Extract from the book "Leadership e obiettivi flessibili Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance", by Niels Pflaeging and Sergio Mascheretti (published in Italian by ETAS, 2010)
4. INDICE
Presentazione all’edizione italiana XI
Prefazione
Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile! XVII
L’obiettivo non chiarisce il percorso XVII
Pensare in modo nuovo anziché usare criticamente
tecniche manageriali più o meno nuove XIX
I pionieri XXI
Che cosa aspettarsi dalla lettura di questo libro XXIII
Parte prima
PENSARE IN MODO RELATIVO
1 Un obiettivo è più che un obiettivo 3
Taylor e le sue conseguenze 4
Esorcizzare l’arroganza della sede centrale 9
Una diversa immagine della natura umana:
un diverso contratto di prestazione 14
5. VI Leadership e obiettivi flessibili
Un nuovo approccio: oltre il budget (Beyond Budgeting) 19
La storia di un pioniere: Handelsbanken 24
2 Indirizzare anziché dare ordini 32
Dall’entusiasmo alla paralisi 34
Come si motiva un seguace di Atena? 38
Basta parlare di incentivi! 39
Organizzazioni democratiche per persone democratiche 42
Come trasformare i capi in consulenti 45
La storia di un pioniere: AES 47
Dalla conoscenza teorica al saper fare 51
3 Perché ha senso definire solo obiettivi relativi 54
I mezzi giustificano il fine 55
Dare un significato all’esistenza delle aziende 59
La storia di un pioniere: dm-drogerie markt 65
Ma perché si lavora? 69
La storia di un pioniere: Southwest Airlines 73
Parte seconda
AGIRE IN MODO RELATIVO
4 Nuove liturgie per nuove mete 81
Mete predeterminate non hanno più senso 82
Gli obiettivi specifici sono più efficaci 87
Le mete relative funzionano così 90
La storia di un pioniere: W.L. Gore & Associates 99
5 Basta pianificare, meglio pensare strategicamente 104
È meglio guardare fuori dalla finestra che immaginare
il futuro 105
Pensare strategicamente e pianificare sono due mestieri
diversi 107
La vita punisce chi decide troppo in fretta 110
Oltre il budget 111
6. Indice VII
Pianificare in modo diverso 113
La storia di un pioniere: Guardian Industries 118
6 Le misure del controllo 123
Il sogno della cabina di comando in azienda 124
La paura della perdita di controllo 126
Benedizione e maledizione del calcolo dei costi 128
La storia di un pioniere: Dell 134
7 Realtà e fantasia nella gestione d’impresa 139
100 clienti in 9,7 secondi: record mondiale! 140
Come si comportano i pionieri 142
La storia di un pioniere: Aldi 144
Guardarsi intorno: il benchmarking 148
8 Stimoli e reazioni: il sistema delle retribuzioni 152
I soldi non motivano... 154
Legare l’incentivo all’obiettivo 156
La storia di un pioniere: Egon Zehnder International 159
Semplicemente più giusto 163
Oltre il budget, cioè oltre gli incentivi 166
Livelli salariali e giustizia 168
Come implementare? 170
9 Non interferite: delegate! 173
Leadership senza burocrazia 174
Un paradosso: democrazia in azienda 178
La storia di un pioniere: Semco 180
Chi decide? 185
Il principio della consultazione: un rovesciamento
di paradigma 188
Effetti della consultazione 192
L’imperativo della trasparenza: l’ossigeno per respirare 194
10 Organizzazioni senza organigrammi 197
Nuove strutture per l’organizzazione del futuro 198
Centro e periferia 201
7. VIII Leadership e obiettivi flessibili
La storia di un pioniere: Toyota 205
Dall’esterno verso l’interno: come raccogliere gli stimoli 209
Il centro, le cellule, le reti 211
Area finanza e controllo: occorre ridurne
significativamente il ruolo 214
Marketing centrale: eliminazione o ridimensionamento 215
Risorse umane: eliminare o cambiare sostanzialmente 218
Parte terza
OTTENERE SUCCESSI RELATIVI
11 Configurare il cambiamento 223
O tutto o niente 224
La storia di un pioniere: Ahlsell 226
Sbarazzarsi delle teorie obsolete 230
Ma come fare? 233
E, dopo il cambiamento, altri cambiamenti 237
12 Epilogo: buone prospettive! 241
Bibliografia 245
Ringraziamenti 249
Gli autori 251
Indice analitico 253
9. PRESENTAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
Opero nel settore della consulenza direzionale da molti anni e mi
sono sempre occupato di sistemi di pianificazione e controllo
delle aziende, cioè di quell’attività volta sia all’individuazione delle
variabili (oggi le chiamiamo “indicatori di performance”) mag-
giormente in grado, ai vari livelli dell’organizzazione, di misurare
il raggiungimento dei risultati aziendali prefissati, sia alla realiz-
zazione di strumenti/metodologie a supporto dell’attività di indi-
rizzo (prima) e di controllo (poi).
Forse per la mia persistente curiosità e voglia di migliorare e
forse anche per un latente senso di insoddisfazione rispetto alla
reale efficacia di tanti progetti di pianificazione e controllo in
aziende che hanno investito tanto impegno, tanto tempo e molto
denaro, questa disciplina continua ad assorbire le mie energie poi-
ché risulta sempre “intrigante”. Mi affascinano sia il lavoro sul
campo in azienda, sia la formazione manageriale e universitaria
sia, talvolta, lo sforzo di mettere a fuoco in uno scritto le mie
riflessioni ed esperienze sui temi della pianificazione e controllo.
Questo libro nasce da un incontro fortuito con Niels procura-
toci da Monica, una comune amica brasiliana. Anche Niels nasce
10. XII Leadership e obiettivi flessibili
controller, ma poi, come spesso gli dico, “folgorato sulla via di
Damasco”, sviluppa, con amici conosciuti in ambito CAM-I
(un’associazione dove si è sviluppata la scuola di pensiero della
gestione per attività e frequentata anche da me per anni), un
approccio ai temi del governo aziendale decisamente alternativo a
quello generalmente riscontrabile nella stragrande maggioranza
delle imprese; in sintesi un approccio che si occupa più delle per-
sone che degli strumenti.
Un approccio quindi davvero diverso dalla tradizionale impo-
stazione che vede l’attività di pianificazione e controllo presidiata
da contabili (più o meno esperti) che utilizzano un variegato set di
strumenti per controllare tutto e tutti. Questo dibattito sulla collo-
cazione in ambito aziendale della funzione pianificazione e con-
trollo non è certo nuovo. Tralasciando per ovvie (ai nostri occhi)
ragioni di palese inadeguatezza la scuola “cibernetica”, che vede il
controllo delle performance aziendali come un semplice mecca-
nismo tecnico di retroazione (quale può essere un termostato che
regola la temperatura), nella letteratura, come avevano ben classi-
ficato tempo fa Franco Amigoni e Claudio Devecchi dell’Univer-
sità Bocconi, esistono almeno tre macro-alternative per affrontare
il tema. Alternative che poi originano logiche e prassi molto diver-
sificate e che dipendono dalla “scelta” della disciplina di riferi-
mento nella quale collocare l’attività di controllo. Secondo questa
impostazione l’attività di controllo può essere “dominata” alterna-
tivamente dai contabili, dagli esperti di organizzazione o dagli
aziendalisti (cioè quelli con una visione più sistemica e omni-
comprensiva del problema).
Prima che nascesse l’idea di un libro a due mani basato sulla
precedente edizione brasiliana del libro di Niels, io e lui discu-
temmo a lungo l’argomento, forti, ognuno, delle proprie convin-
zioni, e potremmo semplicisticamente definire la nostra discus-
sione una disputa tra Niels, preoccupato soprattutto delle moda-
lità di esercizio della leadership, e il sottoscritto, più teso a far
discendere la logica di governo di un’azienda dall’analisi dell’a-
zienda stessa e del contesto ambientale.
Pur convinto della validità intrinseca di molte delle più comuni
e consolidate metodologie correntemente utilizzate nelle aziende
11. Presentazione all’edizione italiana XIII
multinazionali meglio gestite, ero motivato da una grande curiosità
rispetto al tema del “Beyond Budgeting”. Una curiosità legata all’e-
sperienza di avere spesso visto vanificati interventi ben progettati
tecnicamente e supportati da adeguati strumenti informatici.
Il percorso del libro, nel quale grande importanza hanno senza
dubbio i racconti (le descrizioni) delle esperienze di aziende di
successo che hanno testato sul campo i dodici principi del Beyond
Budgeting, è avvincente perché adeguato ai tempi e perché ricer-
ca i punti di convergenza tra un approccio più “umanistico” e uno
più economico/tecnico ai temi della pianificazione e controllo.
Siamo sempre più alle prese con un ambiente imprevedibile,
altamente competitivo e che richiede tempi di risposta molto velo-
ci. Quale deve essere quindi il ruolo del “leader”? Dovrà lui/lei
organizzare, condividere, pianificare e controllare, come diceva Ro-
bert Taylor circa un secolo fa?
Oppure, come già vent’anni fa sosteneva Henry Mintzberg in
un articolo sulla Harvard Business Review, il “capo” svolge un ruolo
caratterizzato da un’estrema varietà di compiti, ognuno da affron-
tare in tempi brevi? Senza tanto tempo per pensare perché troppo
impegnato a fare?
Nella letteratura di management più qualificata si trovano
ormai molti stimoli, supportati da risultati di importanti ricerche,
che chiariscono come la realtà del lavoro quotidiano di un leader
sia molto lontana da quella immaginata da Taylor.
Il “capo” non può più permettersi (se mai lo ha potuto fare) di
osservare la realtà, elaborare una strategia, definire regole di com-
portamento e verificare che tutti i collaboratori eseguano i compi-
ti predefiniti. La globalizzazione prima e la crisi degli ultimi anni
poi hanno reso sempre più evidente la necessità di ripensare a
tutto tondo il tema del governo delle aziende.
E in tal senso si trovano stimoli interessanti. Uno, recente, ad
opera di Ronald Heifetz, Alexander Grashow e Martin Linsky appar-
so sulla Harvard Business Review, focalizza la sua attenzione sull’im-
portanza di alcune “nuove” qualità da ricercare nei leader, quali: aiu-
tare le persone ad adattarsi continuamente ai cambiamenti, a vivere
in situazioni di costante disequilibrio, e creare le condizioni perché
a tutti i livelli dell’organizzazione si sviluppi leadership. A questo
12. XIV Leadership e obiettivi flessibili
proposito non possiamo non citare tutto il movimento di pensiero
che tratta della necessità della creazione di senso nelle organizza-
zioni; una scuola di pensiero che penso si possa ricondurre agli
studi di Karl E. Weick e, in Italia, di Giancarlo Traini. Una scuola di
pensiero che, per citare un esempio di immediata metabolizzazio-
ne, vede preferire, in situazioni di guerra non convenzionale, al sol-
dato ipertecnologico dotato di tutte le migliori armi il guerriero pel-
lerossa che “istintivamente” si adatta e cerca di battere il nemico (o,
nel caso di specie, almeno di sopravvivere, come devono fare tante
imprese di fronte a concorrenti molto agguerriti).
Il libro descrive, in modo spesso provocatorio, le esperienze di
aziende coraggiose e innovatrici le quali, assieme ormai a un
numero sempre più numeroso di adepti, hanno saputo prendere
atto della necessità di innovare radicalmente le pratiche di gestio-
ne e hanno dato vita a importanti cambiamenti spesso non aven-
do chiari tutti i contorni del progetto. Innovazioni organizzative
che muovono sì dal cambiamento di contesto esterno ma anche, e
soprattutto, dall’accettazione piena di un tratto marcante della per-
sonalità umana: quello della preferenza per un ambiente di lavo-
ro dove si possa (sia giusto) avere un ruolo attivo e non di mera
esecuzione di compiti dettagliatamente normati da altri.
I casi di aziende di successo di vari e diversi settori, Paesi,
dimensioni, mercati, stadi del ciclo di vita illustrano chiaramente
l’affinità di molte soluzioni di gestione adottate. Soluzioni che
hanno consentito l’elaborazione di un modello di governo, il
Beyond Budgeting, ormai solido e basato su principi codificati e
applicabili da tutte le aziende (non solo quelle grandi) che voglio-
no sperimentare un’alternativa alla prassi, per ora, più diffusa
basata sul “controllo” per sposare un approccio basato sulla possi-
bilità per tutti di dare un contributo al successo dell’azienda.
È una filosofia di gestione nella quale gli strumenti e le tecni-
che tradizionali hanno chiaramente un ruolo meno cruciale; non
costituiscono più il centro delle attenzioni; anche se continueran-
no a mantenere un ruolo rilevante, non fosse altro che per la por-
tata degli investimenti informatici ad essi associata. Il modello di
gestione del Beyond Budgeting rappresenta la cerniera mancante
tra il focus centrato solo sulle persone (i loro valori, le loro moti-
13. Presentazione all’edizione italiana XV
vazioni) e quello troppo ancorato alla fiducia nelle soluzioni for-
nite da metodologie e strumenti (informatici). Forse, crediamo, il
modo per raggiungere l’obiettivo ultimo dei sistemi di governo è
quello, come diceva Richard Anthony tanti anni fa, di influenzare
i comportamenti di chi opera in azienda.
A coloro che giustamente temono i rischi collegati alle nuove
sfide vale la pena ricordare che è insito addirittura nell’etimologia
del termine imprenditore lo stimolo a creare “qualcosa” di diverso
dall’esistente.
Nel libro Built to Last, dove si raccontano le storie di aziende di
successo nel lungo periodo, alcuni grandi imprenditori non par-
lano mai dell’obiettivo del profitto (che è ritenuto una derivata di
un buon progetto aziendale e un vincolo di un’adeguata remune-
razione dei capitali). Essi sono volti al perseguimento costante del-
l’eccellenza, alla costruzione di un “mondo” diverso da quello esi-
stente. Un mondo quindi dove la creazione di valore da parte delle
imprese è argomento centrale, ma con un’importante avvertenza
per i naviganti. Il valore di cui si parla nel mondo del Beyond Bud-
geting è inequivocabilmente qualcosa di molto diverso dal calcolo
puntuale dell’EVA (cui sfortunatamente tutti dedicano umani
sforzi spesso soprattutto rivolti alla manipolazione dei dati) che si
fa in ogni occasione di incontro con la comunità finanziaria. Il
valore cui ci si riferisce nel libro non è perciò una semplice (illu-
soria?) sottrazione del valore del reddito da governare tecnica-
mente da quello effettivamente generato. Nel libro il valore di
un’azienda fa riferimento, in senso lato, all’importanza dell’azien-
da per i clienti, i dipendenti, i soci e la collettività tutta.
Il Beyond Budgeting, che vede tutti i dipendenti come potenziali
imprenditori e imprenditori-investitori, non può che favorire questo
modo di pensare, cioè un percorso di miglioramento delle persone,
del loro ambiente di lavoro e, in senso lato, del mondo in cui si vive.
Un percorso non tracciato nelle sue minute metodologie, ma molto
solido nei principi. Un messaggio, come quello spesso contenuto
nei discorsi del presidente Obama, di speranza e di valori profondi
emotivamente condivisibili che non si perde in technicalities.
Buona lettura.
Sergio Mascheretti
14. XVI Leadership e obiettivi flessibili
Modello di gestione “comando e controllo” del XX secolo:
• obiettivi e piani prefissati,
• struttura gerarchica centralizzata,
• governo dall’alto verso il basso.
15. Presentazione all’edizione italiana XVII
Nuovo modello per il XXI secolo:
• obiettivi e sfide creative (per far fronte al mercato),
• struttura a “rete decentralizzata”,
• governo dall’esterno verso l’interno.
16. PREFAZIONE
Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile!
L’OBIETTIVO NON CHIARISCE IL PERCORSO
Un numero sempre maggiore di dirigenti d’azienda si sta ren-
dendo conto che qualcosa non va nel modo di definire gli obietti-
vi all’interno delle imprese.
Gli esseri umani hanno bisogno di obiettivi: difficilmente un
manager dubita di questa affermazione. Peraltro nella realtà delle
aziende questo concetto non si applica facilmente. Perché? Forse
perché scegliamo obiettivi sbagliati? Perché si definiscono obietti-
vi esageratamente alti/difficili o inopportunamente troppo facili, o
invece perché il processo di definizione degli obiettivi è sbagliato?
Il modello di gestione per obiettivi più comune nelle aziende si
basa sulla seguente premessa: “Gentili dirigenti e quadri, noi stia-
mo fissando chiaramente gli obiettivi per ognuno di voi: se li rag-
giungete, sarete premiati, in caso contrario sarete puniti”.
Sembra tutto semplice, logico e corretto. Ma allora perché la
motivazione delle persone diminuisce costantemente e tutti affer-
mano che l’MBO (management by objectives) è l’unica alternativa
che conduce le aziende al successo? Perché la produttività e i risul-
17. XVIII Leadership e obiettivi flessibili
tati sono così frequentemente inferiori alle aspettative? Perché
non riusciamo a fidelizzare i clienti come vorremmo? E perché i
nostri collaboratori non danno libero sfogo al loro talento?
Rispetto a quest’ultima domanda, chi oggi dirige un’azienda è già
felice se può affermare che i collaboratori non sabotano l’impresa.
Quali sono le cause? L’economia e la società sono profonda-
mente mutate ma i metodi di gestione e i principi che le ispirano
sono rimasti gli stessi. Piani dettagliati, obiettivi prestabiliti, valu-
tazioni individuali, remunerazione collegata ai risultati, budget,
confronti budget/consuntivo e gestione per attività a partire dal
vertice: sono tutte pratiche manageriali ben definite.
Ma tutte queste tecniche sono ancora adatte alla realtà attuale?
E se così non fosse, come possiamo adattarci meglio a circostan-
ze ambientali molto diverse e lavorare meglio?
Sia nella letteratura di management che nella pratica quotidia-
na sono ormai numerose le critiche alle tecniche tradizionali.
Ormai la coscienza che il tradizionale MBO non porti grandi risul-
tati esiste. Ma come si può procedere?
Molte aziende conoscono tutte le tecniche tradizionali, ma
spesso non le sanno applicare e non ne misurano l’efficacia. È
chiaro a tutti che abbiamo bisogno di capire meglio i meccanismi
della motivazione individuale, il funzionamento di un’organizza-
zione e come responsabilizzare le persone nelle imprese. Ma cosa
significa tutto ciò?
Molti dirigenti insoddisfatti dei risultati conseguiti utilizzando
le tecniche tradizionali si stanno chiedendo come realizzare una
nuova cultura del risultato. Per ora le proposte suggerite da impre-
se pioniere, dalla letteratura e dalla dottrina sembrano eccessiva-
mente generiche e adatte solo a poche aziende vagamente esoti-
che con caratteristiche peculiari. Questo giudizio potrebbe però
risultare un po’ precipitoso perché è ormai acclarato che esistono
percorsi fattibili per gestire aziende attraverso la creazione di
organizzazioni di “tipo nuovo”.
È però necessario chiedersi quali degli ormai numerosi casi di
aziende gestite in modo innovativo possano essere di orienta-
mento e abbiano un valore metodologico.
Le imprese che si saranno liberate dal vincolo della gestione
18. Prefazione XIX
per obiettivi fissi (e di tutte le altre metodologie collegate) saranno
le imprese di successo nel lungo periodo. Ma l’obiettivo di questo
libro non è la critica alle tecniche tradizionali, bensì l’illustrazione
di un’alternativa vera e comprovata dalla realtà al mero ricorso alle
suddette tecniche.
Il libro racconta i casi di aziende pioniere che hanno scelto un
diverso modello di leadership e spiega che occorre sostituire lo
stile troppo direttivo (command and control), quello nel quale il
potere è esercitato attraverso organigrammi, obiettivi rigidi, siste-
mi individuali e aggressivi di incentivazione e confronti esacerba-
ti tra consuntivi e budget.
La soluzione consiste nell’utilizzo di tecniche in sé non del
tutto nuove, ma al contrario già ampiamente sperimentate in vari
ambiti: perseguimento di obiettivi, sistemi di remunerazione,
modelli di pianificazione, di processi decisionali e di buona orga-
nizzazione. Ciò che è importante sapere è che nell’impresa del
futuro conterà molto più la leadership rispetto alla gestione.
Un’impresa attrezzata per il domani (che è già oggi) deve diri-
gere sempre meno la sua attenzione all’interno (cioè ai piani, ai
giochi di potere, alla negoziazione e alla dimostrazione di perfor-
mance interne) per rivolgerla piuttosto all’esterno, cioè al merca-
to, ai concorrenti e ai clienti. Il libro illustrerà come è possibile
gestire un’impresa con modalità adatte al XXI secolo.
PENSARE IN MODO NUOVO
ANZICHÉ USARE CRITICAMENTE TECNICHE MANAGERIALI
PIÙ O MENO NUOVE
Tesi, casi, concetti di questo libro trovano origine nel lavoro del
Beyond Budgeting Round Table (BBRT) e del Beyond Budgeting
Transformation Network (BBTN).
Il filone di studi del Beyond Budgeting (BB) è relativamente
recente ed è diventato un “movimento” internazionale sostenuto
grazie agli sforzi delle due organizzazioni sopracitate.
Il BBRT, fondato in Inghilterra nel 1998, è un gruppo di ricer-
ca che ha l’obiettivo di definire un modello di gestione d’impresa
19. XX Leadership e obiettivi flessibili
più adatto ai mercati dinamici del XXI secolo. All’interno del
BBRT ci si è interrogati sul fatto che, se i mercati sono dinamici e
complessi, ci deve essere un’alternativa alla gestione dirigistica
basata su mete rigide. Il lavoro del BBRT prese dunque le mosse
dalla seguente domanda: come può funzionare un’impresa senza
budget, senza negoziazioni legate al budget, senza analisi degli
scostamenti dal budget ecc.?
Nel tentare di rispondere alla domanda apparve chiaro che il
problema non risiedeva nelle metodologie di pianificazione, ma
nello stile di leadership prevalente all’interno delle organizzazio-
ni, e cioè nella logica “comando e controllo”.
Nella realtà delle aziende la logica “comando e controllo” è
molto diffusa, tutti noi immaginiamo infatti le aziende come
entità ben strutturate e gerarchicamente definite dall’alto in basso.
Implicitamente separiamo le persone che decidono da quelle che
operano e il momento della decisione da quello dell’azione.
Immaginiamo che il capo decida e gestisca persone e piani; e spe-
riamo che chi deve agire lo faccia nel rispetto dei piani, degli indi-
catori, delle regole ecc.
Questo modo di fare è purtroppo sempre più lontano dalla
realtà dei mercati e dal comportamento delle persone.
I problemi attuali non possono essere risolti con paradigmi
prodotti nel passato; farlo significherebbe ripetere azioni errate,
eventualmente ottimizzate.
Sarebbe quindi preferibile definire quali sono le cose “giuste” da
fare attaccando il male alla radice anziché lavorare solo sui sintomi.
Per meglio definire questo cammino di cambiamento occorre
superare una serie di convinzioni ben radicate ma che, a ben vede-
re, non sono altro che miti su che cosa sia davvero un’azienda.
La maggior parte dei dirigenti opera in aziende votate al meto-
do “comando e controllo”. Se un manager non ha più fiducia in un
collaboratore o in un reparto, istituisce istintivamente altri sistemi
di controllo. Tra questi: il budget, gli obiettivi rigidi, le valutazioni
personali, gli ordini di servizio, le supervisioni, le misure di con-
trollo dei risultati, le procedure relative ai miglioramenti, l’analisi
del clima interno ecc. Sono tutte tecniche note e spesso non se ne
percepisce il costo in termini di spreco di tempo, risorse e denaro.
20. Prefazione XXI
La maggior parte dei manager, di fronte a questi sforzi spesso inu-
tili, alza le spalle e conclude: “Le cose vanno così”.
Il rischio implicito, operando in questo modo, è che la leader-
ship passi dalle persone alle prassi. Vengono annullate la fiducia
reciproca e la presa di responsabilità; il coinvolgimento e l’impe-
gno spontaneo svaniscono.
Porsi domande rispetto a questo operare schematico ha porta-
to le imprese pioniere a ricercare alternative allo schema “coman-
do e controllo”.
I PIONIERI
Nel corso degli anni i ricercatori del Beyond Budgeting hanno
identificato una serie di aziende innovative che operano secondo
principi comuni.
Tutte loro hanno adottato una chiara nuova filosofia che ha
consentito di attuare una trasformazione rivoluzionaria senza
cedere alla tentazione di una crescente burocratizzazione.
In questo libro sono analizzati per esteso dodici esempi.
Nell’elenco che segue si trovano nomi noti e meno noti.
• AES: impresa americana del settore energia (global power com-
pany). Fin dalla sua costituzione AES ha modificato le regole di
conduzione del business e il modo di lavorare. I dirigenti
hanno rinunciato al modello “comando e controllo” puntando
su una leadership basata sui valori.
• Ahlsell: impresa svedese di vendita al dettaglio nel mercato
delle costruzioni con alti tassi di crescita in un mercato sta-
gnante. Ahlsell genera alta redditività in tutti i suoi settori di
attività grazie a un alto livello di decentramento di responsabi-
lità e decisioni.
• Aldi: la più grande impresa tedesca di vendita al dettaglio in
forte espansione internazionale, combina un alto successo eco-
nomico a una filosofia organizzativa interessante. Inoltre Aldi
ha rivoluzionato lo stile d’acquisto degli europei inventando il
settore “discount” nei supermercati.
21. XXII Leadership e obiettivi flessibili
• Dell: produttore americano di computer (la “Toyota” del setto-
re elettronico) opera con successo dall’inizio degli anni Ottanta
in un segmento difficile generando utili. I processi di produ-
zione e logistica di Dell sono già una leggenda.
• dm-drogerie markt: la seconda catena tedesca in ordine di
grandezza di vendita al dettaglio di cosmetici, parafarmacia,
prodotti di bellezza ecc. È la più efficiente e stimata del Paese.
L’impresa è diretta nel rispetto del valore della persona. Il suo
fondatore, Götz Werner, ha ricevuto nel 2005 il premio come
imprenditore dell’anno.
• Egon Zehnder International: è l’impresa svizzera leader nella
ricerca di alti dirigenti (ritenuta la “Porsche” del suo settore).
L’estrema attenzione ai bisogni delle aziende clienti ha reso
Zehnder il concorrente più redditizio del settore, pur in un
mercato fortemente ciclico.
• Guardian Industries: impresa americana produttrice di vetri
piani, mostra tassi di crescita elevati a livello internazionale fin
dagli anni Sessanta adottando uno stile di leadership che non
prevede burocrazia. In azienda prevalgono i concetti di
empowerment, decentramento e “piacere di lavorare”.
• Handelsbanken: questa banca universale svedese è una delle
migliori del settore sotto tutti gli aspetti. È il miglior esempio
di applicazione del Beyond Budgeting secondo il modello qui
presentato.
• Semco: impresa brasiliana di tecnologia e servizi che ha la
fama di essere “la più democratica del mondo” con uno stile di
leadership che genera buoni risultati da più di vent’anni.
• Southwest Airlines: l’impresa aerea americana che ha inventa-
to il modello di business “low price-low cost”. Ritenuta la più
efficiente del mondo nel settore, trasmette passione tra mae-
stranze, clienti e azionisti.
• Toyota: famoso produttore giapponese di auto. I metodi Toyota
hanno consentito all’azienda di essere il più redditizio produtto-
re di auto del mondo. Il modello di produzione Toyota – total pro-
duction system (TPS) – e l’efficienza aziendale sono leggendari.
• W.L. Gore & Associates: impresa manifatturiera americana,
ritenuta tra le più innovative, dispone delle maestranze più
22. Prefazione XXIII
soddisfatte del loro lavoro. Piccoli gruppi molto autonomi
hanno sviluppato prodotti spettacolari (il famoso Gore-Tex, per
citarne uno) e raggiunto risultati eccellenti.
Al di là delle differenze tra i dodici casi citati (differenze di sto-
ria, di dimensione, di settore, di cultura), esistono molti aspetti
comuni: ognuna delle aziende ha realizzato un modello di gestio-
ne e di leadership molto flessibile, basato sulla fiducia e su “con-
tratti di performance relativi”.
Si tratta di cinque aziende americane, cinque europee, una
asiatica e una dell’America del Sud. Un altro dato statistico inte-
ressante: sei pionieri sono imprese private, gli altri sei sono azien-
de quotate o possedute da fondi.
È chiaramente un elenco non esaustivo di pionieri del Beyond
Budgeting. Google, l’impresa americana fondata nel 1998 (con una
capitalizzazione di oltre 150 miliardi di dollari e più di 20.000
dipendenti), non è nell’elenco solo perché è un’azienda di più recen-
te costituzione, ma faremo riferimento ad alcune caratteristiche del
modello di gestione da essa adottato.
Altri esempi di aziende interessanti rispetto al filone Beyond
Budgeting sono Flight Centre (rete di agenzie viaggi australiana),
Whole Foods (supermercati statunitensi), Promon (settore inge-
gneria in Brasile), Nucor (acciaieria statunitense) e Ikea (azienda
svedese, con sede in Danimarca, maggior produttore e venditore
di mobili al dettaglio del mondo).
Forse non è un caso che tutte le imprese citate siano, per qual-
che motivo, imprese eccezionali e che in qualche caso siano state
considerate “imprese un po’ pazze” perché troppo anticipatrici.
Tutte queste aziende (e il loro modo di agire) dimostrano che
un’organizzazione diversa da quelle solitamente attuate non è
un’utopia: ciò che esse ci “dicono” è rilevante per tutti.
CHE COSA ASPETTARSI DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO
È un libro per persone insoddisfatte e che non accettano di rima-
nere tali. Si rivolge a tutti i dirigenti d’azienda che lavorano per
obiettivi e anche a coloro che si considerano leader.
23. XXIV Leadership e obiettivi flessibili
Il libro ha un valore speciale per chi deve disegnare, gestire e
supervisionare i sistemi di management, quindi: membri di consi-
glio di amministrazione, alti dirigenti, attori del cambiamento,
esperti di sistemi di controllo di gestione e di risorse umane, con-
sulenti di management. Cioè tutti coloro che, fino a oggi, non sono
riusciti a contrapporre niente di valido al pur insoddisfacente MBO
(la distribuzione di 4 miliardi di dollari come bonus 2008 ai mana-
ger di Merril Lynch è un’ulteriore testimonianza in tal senso).
La dimensione delle aziende non è un aspetto critico dell’ap-
proccio che proponiamo in questo libro. Ciò che conta è poter sta-
bilire nuovi e flessibili impegni sul conseguimento di risultati e,
soprattutto, una forma nuova e duratura di esercizio della leader-
ship. Riuscirci è una sfida per qualsiasi impresa.
Leadership e obiettivi flessibili vuole aiutare a sbarazzarsi di alcune
prassi di gestione scadenti: “cestinare prassi inutili/dannose” è un
tema importante del Beyond Budgeting. Questa non è solo una pro-
vocazione: è in gioco la revisione del significato di una serie di tema-
tiche considerate normali, e addirittura il loro abbandono. In parti-
colare ci riferiamo all’MBO e ad altre tecniche ad esso collegate a cui
si è abituati, ma che palesemente spesso non funzionano.
Serve una distruzione creativa, utile al rinnovamento del nostro
orientamento ai risultati e alla capacità di essere efficienti. Senza
qualche rinuncia non c’è vero rinnovamento. In futuro le tecniche
rivolte solo al tentativo di ottimizzare non saranno sufficienti.
Oggi le tecniche in uso, mentre dichiarano di esigere e pro-
muovere l’ottimizzazione, in realtà la impediscono; demotivano le
persone, soffocano l’entusiasmo e l’innovazione con eccessi di
burocrazia e di potere.
Questo libro vuole dimostrare che esiste un diverso modello di
gestione decisamente distante dal sistema “comando e controllo”.
Il Beyond Budgeting è una cosa vera e funziona. Ha, in ultima
analisi, l’obiettivo di realizzare cose utili per le aziende e per la
società nel suo complesso. Stiamo suggerendo di abbandonare la
fiducia nella macchina chiamata organizzazione: non funziona
più, occorre puntare maggiormente sulle persone.
25. 1 UN OBIETTIVO È PIÙ CHE UN OBIETTIVO
Marco Almeida respira profondamente prima di entrare in riunio-
ne. Siamo verso la fine dell’anno e si stanno per discutere gli obiet-
tivi per l’anno successivo. Il capo inizia la riunione con un tono che
appare calmo: “Caro Marco, quest’anno non abbiamo molti margi-
ni di manovra. Il suo collega Paolo è d’accordo con me nel ritene-
re che non si debbano fare grandi cambiamenti. E l’alta direzione
fa pressione per mantenere i costi allo stesso livello dello scorso an-
no. Ho quindi pensato che forse il suo budget debba essere prati-
camente uguale a quello che avevamo per quest’anno...”.
Più tardi, alla pausa caffè, Marco riferisce della riunione al col-
lega della logistica: “In pratica si è trattato di un dialogo fra stupi-
di. Ho adottato il sorriso di circostanza per questo tipo di riunioni
e ho assecondato il capo. Dovevo semplicemente dimenticare i
miei piani ambiziosi elaborati con tanta fatica. Non c’è stato nem-
meno bisogno che intervenissi in riunione, in soli venti minuti la
commedia è finita. Sono davvero un ingenuo! Credevo veramente
che non arrivasse con i soliti dati di fatturato e di costi già elabo-
rati e che sappiamo già che non funzionano...”.
Il collega Alessandro della logistica chiede: “E adesso?”.
26. 4 Parte I. Pensare in modo relativo
Marco, abbattuto: “Non ho margini e nemmeno il mio capo li ha,
perché i dati li ha avuti dal suo capo. Ho solo l’agio di distribuire i
costi nelle varie voci di spesa ma il totale è vincolato: cercherò di au-
mentare le spese viaggio per non dover giustificare altre spese. Co-
munque tutte le esperienze con i clienti principali e i collegati pro-
getti di marketing degli ultimi anni sono finiti nel dimenticatoio.
Siamo semplicemente obbligati a ignorare il mercato”.
Il collega della logistica, che aveva solo ascoltato, alzando le
spalle, commenta: “Sappiamo tutti che in questa impresa la nego-
ziazione degli obiettivi funziona così! È addirittura una tradizione.
Ho sentito che alla direzione vendite sta succedendo la stessa co-
sa rispetto ai volumi di vendita di budget. E sappiamo già che il ri-
sultato sarà alti stock, incredibili promozioni, forti sconti, il tutto
verso il mese di settembre. Vedrai, a settembre scoppierà come al
solito la bomba...”.
Marco si rassegna e trae la conclusione che il senso di quel ti-
po di riunioni può essere così sintetizzato:
• mostrami il tuo sistema di remunerazione e io ti spiego il tuo
modello di business;
• spiegami come interagisci con le persone e io ti chiarisco che
idea hai della natura umana;
• illustrami come pianifichi e ti dico come lavori con i clienti.
In conclusione, sullo sfondo della definizione degli obiettivi e
delle performance si trova una filosofia, i valori di fondo di un’im-
presa. Il problema è voler affrontare la realtà del XXI secolo con
valori e metodi adatti all’inizio del XX.
TAYLOR E LE SUE CONSEGUENZE
Frederick Winslow Taylor (1856-1915) è considerato il padre della
teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro (scientific manage-
ment). Alla fine del XIX secolo Taylor passava per le fabbriche con
il cronometro e il notes degli appunti con l’obiettivo di migliorare
la produttività del lavoro.
27. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 5
Secondo lui il compito dei “capi” era il miglioramento della
produttività dei sottoposti ottenibile attraverso la razionalizzazio-
ne dei processi e l’esecuzione di compiti minuziosamente descrit-
ti. Nel suo mondo i miglioramenti derivavano dall’ottimizzazione
del tempo di esecuzione delle singole azioni. Il risultato di questo
pensiero fu quello di vedere il luogo fisico (la fabbrica) governato
da un’altra fabbrica: quella dello studio dei processi, della loro pia-
nificazione e del loro controllo.
Il modello ha funzionato bene. Il taylorismo si è dimostrato ge-
niale, l’efficienza è migliorata complessivamente in modo incre-
dibile. Fino ad allora solo la produzione di cattedrali era “indu-
strializzata”: con il taylorismo rami interi di industria manifattu-
riera passarono alla produzione di massa. Il modello fu perfezio-
nato sul campo da Henry Ford e da Alfred Sloan (il primo a par-
lare di gestione attraverso i numeri).
La rivoluzione apportata da Taylor, cioè il grande migliora-
mento della produttività, ha consentito agli operai dell’industria di
ottenere buoni salari e diventare classe media, il tutto senza né
formazione né attitudini specifiche.
Del movimento non beneficiarono solo le imprese con obietti-
vi di lucro; il metodo della divisione netta tra chi pensa e chi agi-
sce fu applicato anche in altri ambiti: ospedali, scuole, chiese, fon-
dazioni, istituti di carità, organismi pubblici; “tutti” adottarono il
metodo taylorista.
Anche negli organismi pubblici si conseguirono sostanziali
aumenti di produttività che si tradussero in benefici per la collet-
tività. Nel periodo della rivoluzione industriale il taylorismo fu,
senza ombra di dubbio, una cosa buona, se non altro rispetto al te-
ma della produttività.
Il principio base è chiaramente la separazione netta tra il lavo-
ro che genera valore e il lavoro di coordinamento e gestione (che
ha l’obiettivo di ridurre la complessità).
In prima battuta, liberare chi produce e trasforma dalla preoc-
cupazione di “pensare” aumenta incommensurabilmente la pro-
duttività rispetto all’impresa artigiana. Così facendo però i proces-
si di creazione di valore perdono contatto con il mercato e diven-
gono ciechi rispetto al valore economico del proprio operare.
28. 6 Parte I. Pensare in modo relativo
Quindi chi lavora in fabbrica ha bisogno di orientamento per la
propria attività esattamente come “i ciechi che hanno bisogno dei
cani da guida”.
Contemporaneamente la fabbrica della gestione diventa un’or-
ganizzazione parallela a quella fisica e diventa sempre più poten-
te e grande. Aumenta il numero di persone che professionalmen-
te si occupano di attività indirette: amministrazione, magazzino,
qualità, pianificazione. Ciò crea una sempre maggiore dipenden-
za delle persone che creano valore (che producono) dalle altre de-
dite all’organizzazione.
Grazie a Taylor, la formazione manageriale sulla gestione ci in-
segna a dividere e scomporre tutto per cercare di migliorare ogni
singolo piccolo componente dell’organizzazione, per poi ricom-
porre il quadro. Come giocare con il lego. Questo modo di ragio-
nare illude che ci sia sempre un metodo o una tecnica che risolve
lo specifico problema (senza occuparsi della visione d’insieme).
Ma poiché i tempi sono cambiati la gestione taylorista crea
sempre più problemi. Come è possibile che l’organizzazione rea-
gisca a mercati imprevedibili e clienti esigenti se è praticamente
proibito a chi crea valore di pensare autonomamente?
Visto che l’approccio taylorista prevede che si gestisca tutto at-
traverso i numeri, come è possibile farlo misurando il lavoro in-
tellettuale che riveste sempre maggiore importanza? Quale valore
potremo dare alle idee di una campagna di marketing?
Peter Drucker può essere considerato il primo specialista di ge-
stione che ha descritto in modo adeguato la nascita dell’economia
basata sulla conoscenza. Già negli anni Sessanta Drucker previde
che sarebbe nato un nuovo modo di gestire le imprese. Sfortunata-
mente egli non poté assistere all’avvento di questo cambiamento.
Peraltro si può sostenere che sia lui sia Michael Porter e altri
rinomati studiosi di management hanno contribuito più a perfe-
zionare il modello taylorista rendendolo più resistente ai cambia-
menti che a tendare di evolverlo.
A nostro modo di vedere il lavoro intellettuale, al contrario del
lavoro di fabbrica della produzione di massa, non può essere coor-
dinato o migliorato attraverso la semplice standardizzazione delle
attività e l’analisi input-output.
29. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 7
W. Edwards Deming, l’inventore della qualità totale, disse: “Un
obiettivo quantitativo conduce facilmente a distorsioni e finzioni
soprattutto quando si percepisce di non essere in condizioni di
raggiungere gli obiettivi prefissati. Tutti riescono a raggiungere
un obiettivo determinato, soprattutto se nessuno sarà responsabi-
lizzato per i costi generati per raggiungerlo”.
E quali sarebbero questi costi? Per rispondere dobbiamo parlare
della gestione dei costi: un argomento amato sia dagli alti dirigenti
sia dai controller perché ritenuto una pratica “normale e valida”.
Se analizziamo il metodo di calcolo da un punto di vista sistemi-
co possiamo semplicemente concludere che non si possono “gesti-
re” i costi. I costi sono rilevazioni contabili: riflessi dei processi di
creazione di valore; ombre di complessi processi di lavoro.
Voler mettere mano ai costi senza metter mano ai processi che li
generano significa generare un mondo parallelo a quello reale. È er-
rato pensare che possiamo migliorare i risultati solo lavorando sui
numeri. Spesso sbagliamo e ci dimentichiamo che il miglioramen-
to non può che avvenire intervenendo sui processi di lavoro.
In altre parole: bisogna migliorare sempre nella creazione di
valore. Purtroppo, sovente la gestione dei costi diventa un sostitu-
to della vera gestione che deve dedicarsi al miglioramento costan-
te dei processi nell’ottica del cliente. L’attenzione sistemica all’eli-
minazione degli sprechi e alla creazione di valore è esattamente
l’opposto dell’attività meccanica, astratta e illusoria del “taglio del-
le spese”.
Prendiamo l’esempio degli obiettivi di vendita. Spesso, anziché
richiedere al personale di contatto con i clienti di concludere buo-
ni affari, i capi (tutti) preferiscono esercitare il ruolo di “capo” e
predefinire volumi e quote di vendita per ogni venditore.
Solitamente c’è una struttura dedicata a questi calcoli. Il lavoro
di tutti diventa lo sviluppo analitico di questi calcoli anziché la ri-
cerca comune dei clienti più redditizi per il futuro. Ci si dimenti-
ca, nel fare i conti, della complessità del mercato e delle sue aspet-
tative per adottare una mentalità amministrativa che spinge i pro-
dotti verso il mercato.
Un altro esempio: il modello di remunerazione dei dipenden-
ti. Tipicamente i produttori americani di automobili (ma non so-
30. 8 Parte I. Pensare in modo relativo
lo loro) hanno sviluppato un modello di remunerazione per gli
alti dirigenti che vincola il valore della loro pensione ai risultati
dei loro ultimi anni di lavoro. Non è necessario essere uno stu-
dioso di scienze comportamentali per farsi la seguente domanda:
alle condizioni di cui sopra quale dirigente (negli ultimi anni di
lavoro) deciderà di investire pesantemente in ricerca anziché li-
cenziare il personale e tagliare i costi? La risposta è ridicolmente
chiara: “Visto che decido io, mi preoccuperò dell’interesse mio e
della mia famiglia”.
E nel settore pubblico? Anche qui negli ultimi anni sono proli-
ferate le tecniche volte a definire indicatori, pianificare, stabilire
obiettivi. Vediamo un esempio relativo all’attività della polizia ri-
spetto al tema delle “aggressioni domestiche”. Marito e moglie li-
tigano: siamo di fronte a due aggressioni; si chiama la polizia che
interviene e riappacifica i coniugi registrando il caso come “risol-
to senza ulteriori conseguenze”, cioè due violenze risolte. Casi co-
me questo producono risultati straordinari quando si guardano le
percentuali dei casi risolti! Lo stesso tipo di manipolazione po-
trebbe avvenire se collegassimo la ricompensa di un capo a un
qualsiasi obiettivo precedentemente definito.
Sfortunatamente i ricercatori, i consulenti e i manager conti-
nuano a ripetere che tutto funzionerebbe “se gli obiettivi fossero
correttamente definiti”. Per esempio si dice: bisogna essere più
realisti o più coraggiosi, coinvolgere maggiormente le persone, fa-
re della buona formazione sul tema, migliorare i controlli ecc.
Nella realtà, qualsiasi iniziativa può, nella migliore delle ipote-
si, scalfire la superficie del problema rispetto alle evidenze di non
funzionamento dell’MBO (e della gestione attraverso i numeri)
raccolte in decine di anni di gestione per obiettivi.
Quindi non sembrano esistere altre soluzioni: occorre elimi-
nare la maggior parte degli obiettivi oggi comunemente utilizzati.
Qualsiasi contratto predefinito di performance deve essere elimi-
nato e sostituito da prassi che creino condizioni adatte a sfruttare
meglio il potenziale delle organizzazioni e delle persone.
31. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 9
ESORCIZZARE L’ARROGANZA DELLA SEDE CENTRALE
La maggior parte degli imprenditori e dei manager non sa in qua-
le direzione dovranno evolvere le tecniche di gestione per consen-
tire alle proprie aziende di sopravvivere alla forte concorrenza.
È chiaro, come vedremo poi, che solo chi si libererà del credo
nel meccanismo “comando e controllo” centralizzato potrà affron-
tare le sfide del mondo di oggi. In queste imprese i gruppi di la-
voro creatori di valore recuperano il contatto con il mercato e svi-
luppano cambiamenti sorprendenti senza dover dipendere dalle
strutture centrali: una sorta di auto-organizzazione.
La teoria dei sistemi ci ha insegnato che in un ambiente com-
plesso possono prosperare solo le imprese già caratterizzate da rile-
vante complessità interna. Esse esercitano pressioni sul mercato per
mezzo di idee fortemente innovative rispetto ai concorrenti.
Quindi trasformare un’impresa taylorista nel senso sopra cita-
to significa aumentarne la competitività per renderla coerente con
i nuovi mercati, come hanno fatto Toyota e Handelsbanken. Chi
non procede a questa trasformazione resta con la sua struttura su-
per-rigida e non più adatta alle nuove sfide.
Il punto forte dell’impresa taylorista, cioè l’intransigente ricer-
ca dell’efficienza nell’esecuzione di processi ripetitivi, diventa un
tallone d’Achille.
Il modello praticato dalle imprese pioniere si basa sull’immo-
dificabile convinzione che l’unico vantaggio competitivo duraturo
risiede nelle persone che lavorano in azienda, nella loro creatività,
passione e capacità di giudicare e agire per l’interesse complessi-
vo dell’azienda.
Quando si è davvero convinti del valore delle persone, e non lo
si afferma solo per posa e nelle occasioni pubbliche di comunica-
zione, allora nascono modelli di governo in palese contraddizione
con il modello taylorista governato dai numeri.
Esistono già imprese basate sulla conoscenza: per esempio tut-
te le imprese di servizi professionali (avvocati, revisori e consu-
lenti).
Molte di queste aziende operano attraverso i sistemi di reti tra
partner (logica di “quasi partnership”) nelle quali alcune decisioni
32. 10 Parte I. Pensare in modo relativo
di vasta portata vengono prese, quasi democraticamente, in riu-
nioni abbastanza frequenti e regolari tra i partner. Anche in que-
ste imprese, però, spesso la gestione quotidiana si ispira ancora al
principio “comando e controllo”.
L’organizzazione del futuro sarà caratterizzata da piccoli grup-
pi molto autonomi con la responsabilità parziale o totale del pro-
prio business. Nella sua forma più pura, questo modello supera le
divisioni funzionali e le rispettive aree di competenza. Non ci sarà
più la necessità di funzioni separate relative, per esempio, alla
vendita, ai nuovi business, all’analisi dei rischi, al controllo di qua-
lità, al marketing, alle risorse umane ecc.
Perché ciò funzioni, si devono trasformare tutte le persone che
lavorano in azienda in “imprenditori”. Ciò implica la completa re-
visione del lavoro della sede centrale: anziché definire le strategie
e prendere decisioni importanti, chi lavora alla holding deve di-
ventare un consigliere, un controllore del rispetto dei principi e
delle responsabilità di tutti e deve imparare a porre continuamen-
te domande. In sostanza la sede centrale deve solo essere al servi-
zio di chi crea valore. È evidente che in questo modello servono va-
lori e principi guida molto forti che garantiscano la coesione.
Fino ad oggi su questo tema si sono viste più dichiarazioni di
intenti che effettivi tentativi. Comunque, oltre alle aziende pionie-
re citate, esistono altre aziende che stanno sperimentando il mo-
del Beyond Budgeting: Unilever, Banco Mundial, UBS, Sight Sa-
vers International, Statoil, Softlab, Hilti, Scottish Enterprise, Syd-
ney Water, VCP, Datasul, Logoplaste do Brasil e altre. Ma cosa si
è tentato di fare, di diverso, in queste aziende?
Nel 1982 Tom Peters e Robert Waterman pubblicano Alla ricerca
dell’eccellenza che, con alcuni milioni di copie vendute nel mondo,
diventa il primo best seller sulla gestione d’impresa. I due consu-
lenti McKinsey avevano analizzato le ragioni del successo di una se-
rie di imprese. Il risultato della ricerca non è la ricetta per avere suc-
cesso, bensì un elenco di fattori di successo (KSF): un approccio de-
cisamente innovativo nella letteratura d’impresa.
Il libro non descrive quindi un’unica ricetta per conseguire
buoni risultati, ma illustra otto principi per raggiungere il succes-
so nell’era della conoscenza, allora agli albori. È utile ripeterli qui:
33. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 11
1. attitudine all’azione (anziché ossessione per la pianificazione e
l’analisi);
2. prossimità al cliente (anziché orientamento all’interno);
3. autonomia e imprenditorialità (anziché burocrazia e dipen-
denza);
4. produttività generata dalle persone (anziché dalle macchine);
5. approccio rivolto alla creazione di valore (anziché alla gerarchia
e alle prassi);
6. attenzione a ciò che si sa fare bene (anziché ossessione per l’e-
spansione e la mancanza di focus);
7. forme semplici, strutture snelle (anziché lo sviluppo funziona-
le taylorista);
8. leadership forte ma disponibile (anziché “comando e controllo”).
Fin dall’inizio degli anni Novanta, quindi alcuni anni dopo la
pubblicazione del libro, Tom Peters non si stanca di ripetere che
gli otto principi si possono ridurre a uno solo: decentramento e
autonomia. In effetti tutti gli altri sette discendono logicamente da
questo.
Ma come si fa a costruire un simile tipo di organizzazione ca-
ratterizzata da ampia autonomia e forte decentramento? Quali so-
no le imprese che possono dire di aver creato un modello di que-
sto tipo più rivolto all’esterno che all’interno? (Figura 1.1)
Oggi esiste un ampio consenso tra i cultori del management sul-
l’idea che i fattori di successo elencati sopra hanno acquisito una ri-
conosciuta validità negli ultimi decenni. In assoluto accordo con
quanto indicato negli anni Ottanta da Peters e Waterman, l’elenco di
tali fattori può essere ridotto oggi ai sei elencati nel seguito:
1. reazione rapida: per fronteggiare meglio mercati discontinui;
2. innovazione: per tenere conto di cicli di vita del prodotto sem-
pre più brevi;
3. eccellenza nell’esecuzione: per essere sempre competitivi an-
che con prezzi calanti;
4. vicinanza al cliente: per fidelizzare clienti sempre più esigenti
e meno fedeli;
5. ottimo posto di lavoro: per attrarre talenti;
34. 12 Parte I. Pensare in modo relativo
FIGURA 1.1
DIRIGERE LE ENERGIE VERSO L’ESTERNO
Organizzazione taylorista “Al servizio della gerarchia”
Visione dall’interno all’esterno “Comando e controllo” dall’alto verso
Spreco causato da gerarchia e burocrazia il basso
Predomina l’attitudine alla “gestione”
S O R del presente
I S Priorità tipiche:
Diminuisce negoziazione dei prezzi interni,
R
E
la quota manipolazione interna, adozione
di energia di tattiche/politiche, bilanci/piani,
creatrice tagli, management by numbers,
di valore
sistema di incentivi ecc.
Aumenta la quota
di energia
rivolta all’interno Porta alla soddisfazione dei bisogni
organizzativi fondamentali, ma produce:
• insufficiente creazione di valore;
• sprechi eccessivi;
• scarso contributo complessivo alla
società.
Un modello nuovo, diverso
Visione dall’esterno all’interno “Al servizio del cliente”
Miglioramento ricercato attraverso (interno/esterno)
una rete autogestita Relazioni trasparenti con i clienti e
creazione di senso dall’esterno
all’interno
Predomina l’attitudine alla leadership
S O R Priorità tipiche:
I S
rapporto strategico con il mercato,
relazioni strette con i clienti,
R
E
cooperazione/alleanze, dialogo e
consultazione, sviluppo dei prodotti,
Minimizzare miglioramento continuo, amore per i
la quota di energia dettagli...
direzionata Massimizzare
all’interno la quota di energia
creatrice di valore
Maggior generazione di valore
Successo al di sopra della media!
35. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 13
6. comportamento etico e socialmente “attento”: per soddisfare la
sempre maggiore richiesta di trasparenza di tutti gli stakeholder.
Molte imprese per ora si limitano a dichiarare l’aderenza a que-
sti principi. Nella pratica quotidiana si verifica spesso esattamen-
te il contrario: la grande maggioranza delle aziende non ha un
modello organizzativo adatto alla ricerca/perseguimento dei fatto-
ri di successo più sopra elencati.
Ciò accade soprattutto perché il modello “comando e controllo”
mostra tre grandi limiti.
Il primo risiede nel processo decisionale: le decisioni le prende
il “capo” e quindi sono accentrate. Il risultato è il ritardo nei tempi
di risposta, un minor grado di innovazione, maggiori costi fissi
(overhead), l’allontanamento dei clienti, la demotivazione delle per-
sone di talento e l’impedimento a un comportamento leale.
Il secondo limite riguarda la prassi di stipulare inflessibili
“contratti” di prestazione su obiettivi fissi sia all’interno della pro-
pria struttura sia con i terzi. Tali contratti stabiliscono obiettivi in-
terrelati tra le funzioni, una rigida allocazione di risorse e un con-
seguente schema di remunerazione. Il sistema è, per sua natura,
molto burocratizzato mentre le condizioni di mercato richiedono
atteggiamenti più adattivi e imprenditoriali.
Il terzo limite, infine, è relativo alla gestione centralizzata dei
sistemi di informazione e controllo (logica taylorista del “coman-
do e controllo”) che confligge con i fattori di successo dell’econo-
mia della conoscenza.
Quando si parla di decentramento e autonomia, come sugge-
risce Tom Peters, non si fa necessariamente riferimento all’intro-
duzione di tecniche nuove o al miglioramento di quelle esistenti.
Significa al contrario che imprenditori e manager (gli esseri uma-
ni in generale) devono decidere di rinunciare completamente al-
l’uso di tecniche e comportamenti quando non sono più utili. Nei
sistemi di leadership e di gestione delle aziende abbiamo bisogno
di cominciare a “disimparare”: liberarci dalle pratiche tradiziona-
li, gettarle in un cestino per pensare diversamente.
36. 14 Parte I. Pensare in modo relativo
UNA DIVERSA IMMAGINE DELLA NATURA UMANA:
UN DIVERSO CONTRATTO DI PRESTAZIONE
In linea di principio non si può dire nulla di sensato riguardante
la gestione delle risorse umane e la leadership senza dover espli-
citare il proprio pensiero rispetto alla natura umana. Molti testi di
management, molti docenti di leadership, molti approcci consu-
lenziali perdono significato perché non chiariscono il loro pensie-
ro rispetto alla natura delle persone (Figura 1.2).
Generalmente gli approcci a questo riguardo oscillano tra due
poli opposti: da un lato la convinzione di dover trattare le persone
come bambini (condurle per mano e controllarle), dall’altro l’idea
che le persone siano tutte individui adulti capaci di pensare da im-
prenditori (quindi in grado di esprimere iniziative, creatività e
senso di responsabilità). A prescindere dalla propria convinzione,
che spesso non viene neppure esplicitata.
In questo testo si opta inequivocabilmente per una teoria di “ti-
po Y”, ossia per il secondo degli approcci delineati più sopra: l’es-
sere umano è intrinsecamente motivato, capace di gestirsi e de-
gno di fiducia.
L’uomo, che è portatore di talenti, è mosso dalla volontà di da-
re il suo contributo ed è alla ricerca di riconoscimento e di senso
di appartenenza. Secondo noi, per applicare i concetti del Beyond
Budgeting e gestire le imprese nell’era della conoscenza, si deve
sempre fare riferimento alla teoria di tipo Y nel disegnare orga-
nizzazioni e modelli di gestione.
Ai lettori più propensi a credere nella teoria di “tipo X”, con
ogni probabilità le prassi e le proposte qui rappresentate sembre-
ranno problematiche e inconcepibili e le esperienze dei pionieri
del Beyond Budgeting discutibili e pericolose. Ognuno può deci-
dere in che cosa credere.
Tuttavia, la scelta ha conseguenze profonde e molto pratiche.
Chi crede nella teoria di tipo X con ogni probabilità crederà nelle
otto affermazioni presentate qui di seguito e le troverà centrali per
il tema delle performance aziendali. Ebbene, secondo la teoria di
tipo Y, questi otto concetti risultano dichiaratamente inadatti
(semplicemente dei miti).
37. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 15
FIGURA 1.2
IL MONDO È CAMBIATO
L’era industriale sta terminando Un’economia avanzata
Dominio dell’offerta basata sulla conoscenza
Mercati di massa Dominio della domanda
Forte concorrenza/domanda customizzata
Superiorità del modello Superiorità del modello
“comando e controllo” adattativo e decentralizzato
alta
Tutti questi fattori critici
sono importanti al giorno d’oggi
Fattore critico di successo:
Efficienza!
Fattori critici
Caratteristiche Caratteristiche di successo (FCS)
• Cambiamenti 1. Cambiamento • Risposta rapida
incrementali discontinuo
• Lunghi cicli di vita 2. Cicli di vita brevi • Innovazione
Dinamicità e
complessità • Prezzi stabili 3. Prezzi in declino • Eccellenza operativa
dell’ambiente
• Clienti fedeli 4. Clienti sleali • Intimità con i clienti
• Datori di lavoro 5. Dipendenti esigenti • Luogo migliore
esigenti per lavorare
• Risultati “gestiti” 6. Trasparenza pressioni • Governance efficace,
sociali comportamento etico
Ω Aspettative finanziarie • Creare maggior valore
bassa
alte in modo durevole
1890 1980 1990 2000 2010 2020 2030
Peters/Waterman “Tutto ciò che è solido
pubblicano tenderà
Alla ricerca dell’eccellenza a scomparire!”
Oggi:
le organizzazioni applicano
un “modello di gestione”
che è stato progettato per l’efficienza...
mentre il problema oggi è
la complessità!
1. “Lo shareholder value, ovvero l’economic value added (EVA) –
cioè la creazione di valore –, è il fine ultimo di ogni impresa”.
È invece chiaro che l’EVA non è l’obiettivo. L’utile, nelle sue va-
38. 16 Parte I. Pensare in modo relativo
rie accezioni, è solo uno dei risultati di un business, è soprat-
tutto una condizione chiave per la continuità dell’attività. La
stessa critica si può fare per tutti gli indicatori finanziari.
Confondere l’utile con la mission significa, per un’impresa,
perdere la propria anima.
2. “Le aziende devono divulgare previsioni di utili futuri (earnings
guidance) per indirizzare gli analisti finanziari”. Si tratta spes-
so di vaghe promesse che comunque generano un impegno
“fisso” nei confronti degli investitori; le imprese saranno quin-
di “obbligate” a rispettare gli impegni. UBS, Porsche, Google,
Coca-Cola e Citigroup hanno abbandonato questa prassi che, a
loro giudizio, obbliga a giocare coi numeri.
3. “La crescita e gli utili sono i più importanti indicatori di succes-
so”. L’obiettivo della crescita dovrebbe essere solo secondario
per la maggior parte delle aziende. Sicuramente è così per le im-
prese che danno valore a un comportamento etico. La maggior
parte dei dirigenti d’azienda, messa alle strette, non è però in
grado di motivare adeguatamente l’affermazione circa la neces-
sità di crescere continuamente. Sia la crescita sia la misura de-
gli utili possono sì essere indicatori di eccellenza nella creazio-
ne di valore e di competitività: ma potrebbe essere altrimenti.
4. “Dobbiamo misurare il rendimento individuale”. Non è vero e
forse è addirittura impossibile. Almeno non è possibile nelle
aziende dove i risultati derivano dallo sforzo interdipendente
di diversi attori e non dall’azione di un singolo individuo. Nei
sistemi complessi quali sono le imprese di oggi il rendimento
individuale semplicemente non esiste.
5. “I rendimenti/efficienze si possono misurare oggettivamente”.
Nessuna misura è obiettiva; al contrario essa si basa su ipotesi
astratte di riferimento. L’affermazione What gets measured gets
done è sovente un’affermazione priva di significato.
6. “Un capo competente può governare un’entità organizzativa se
dispone di buoni indicatori”. D’accordo, gli indicatori suggeri-
scono, nella migliore delle ipotesi, le cose da fare: ma non da-
ranno mai risposte. Sono utili se stimolano le persone a lavo-
rare assieme e a far sorgere le giuste domande. Diventano pe-
ricolosi se ritenuti obiettivi e indiscutibili.
39. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 17
7. “L’agire delle persone è influenzato in modo preponderante dal
top management”. È vero piuttosto che la gestione “eroica” dei
tayloristi è inefficace in contesti dinamici e complessi come
l’attuale. Glorificare i top manager appare oggi una trappola
per il pensiero creativo.
8. “Le cause di cattive performance sono da attribuire alle persone”.
Dovremmo invece chiederci che cosa impedisce alle persone e ai
team di raggiungere buoni risultati e che cosa dovremmo fare
perché tutti possano esprimersi al meglio. Secondo Deming, le
cause dei cattivi risultati sono per il 95% sistemiche e solo per il
5% riconducibili alle persone. Quindi, concentrarci sulle perso-
ne ci fa perdere il 95% della possibilità di miglioramento.
Ma dove si comincia il lavoro che ci consente di lasciare questi
equivoci dietro le spalle?
Nel suo libro Leadership Is an Art Max De Pree distingue tra re-
lazioni sancite da contratti e relazioni comunitarie all’interno di
un’organizzazione. Nello schema concettuale legato al “contratto”
l’uomo agisce secondo l’impulso dello scambio tra il lavoro e il
compenso. Questo tipo di approccio sviluppa docilità e dipenden-
za. È il modello taylorista. È teoria tipo X. A questo schema si con-
trappone la gestione di relazioni comunitarie che si basa sull’im-
pegno personale, cioè su una promessa consensuale tra capo e su-
balterno che poggia sulla condivisione di idee, di valori e di obiet-
tivi. Cioè teoria tipo Y.
Nel lavoro di ricerca del BBRT si è capito subito che, per un cam-
biamento così radicale, non sarebbe stato sufficiente sostituire i
budget e le tecniche usuali di gestione con altre più nuove, ma sa-
rebbe stato necessario costruire un nuovo paradigma organizzativo.
Nel tentare di operare questo importante cambiamento sorgo-
no due grandi problemi. In primo luogo non si può descrivere la
“nuova” organizzazione con il linguaggio usato per la “vecchia”.
Servono nuovi schemi, nuovi concetti e, talvolta, nuovi vocaboli.
In secondo luogo si percepisce chiaramente un curioso fenome-
no: le imprese con i migliori risultati del XXI secolo, che sono i
nostri pionieri nell’uso del Beyond Budgeting, “non sanno quello
che stanno facendo”.
40. 18 Parte I. Pensare in modo relativo
Nella maggior parte dei casi esse hanno agito sugli stimoli e le
intuizioni di imprenditori e dirigenti. Spesso i cambiamenti sono
intervenuti senza aiuti esterni (né di consulenti, né di studiosi di
management) e senza una chiara idea del risultato finale a cui le
aziende sarebbero approdate. Il modello alternativo è risieduto, fi-
no ad oggi, nella visione di pochi.
Sono comunque stati fatti discreti passi avanti nella definizio-
ne di standard di riferimento, oggi comuni tra i pionieri. Uno di
questi è il riconoscimento dell’importanza della stipulazione di
“contratti di prestazione relativi” (uno dei fondamenti del Beyond
Budgeting). I contratti di prestazione relativi, altrimenti detti
“flessibili”, si basano sull’ipotesi che non sia conveniente impe-
gnare dirigenti e gruppi di lavoro su obiettivi rigidi fissati antici-
patamente e poi controllare i risultati rispetto agli obiettivi.
L’accordo implicito in questi tipi di contratto è che il compito
della direzione è solo quello di creare un clima aperto e interessa-
to alle sfide per generare a tutti i livelli la ricerca del migliora-
mento continuo. Nel farlo, tutti gli attori coinvolti devono usare le
proprie conoscenze e capacità di giudizio per adattarsi sempre di
più e meglio ai cambiamenti esterni/interni.
In questo tipo di contratti le decisioni non sono forzosamente
prese sempre dai capi e poi fatte scendere lungo la scala gerarchi-
ca in forma surrettiziamente “partecipativa” ma, al contrario, le
decisioni sono distribuite il più in basso possibile nell’organizza-
zione o, meglio ancora, il più possibile decentrate. Occorre deci-
dere nel punto dove la presa di decisione è più rapida, quindi do-
ve esiste interfaccia con il cliente (esterno o interno che sia).
Questo nuovo tipo di contratto si basa sulla fiducia reciproca,
ma non deve far pensare a un clima rilassato, con assenza di de-
terminazione.
Al contrario, l’elevata trasparenza di tutte le transazioni e gli al-
ti livelli di aspettativa di tutti nei confronti di tutti rappresentano
una sfida costante: il loro non rispetto sarà sotto gli occhi di tutti.
Servono e si realizzano alti livelli di fiducia e di corresponsabilità.
Le responsabilità dei risultati e della presa di decisioni sono
trasferite gradualmente dal centro alla periferia, cioè a chi deve as-
41. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 19
sumere le decisioni. Trattasi di un cambiamento forte nello stile
di direzione: un grande cambiamento culturale.
UN NUOVO APPROCCIO:
OLTRE IL BUDGET (BEYOND BUDGETING)
La critica al modello taylorista è datata, risale addirittura agli anni
Cinquanta. Sia nei lavori di Douglas McGregor e Frederick Herz-
berg – che studiavano gli aspetti motivazionali – sia in quelli del-
lo statistico Edwards Deming, sia negli scritti di esperti di gestio-
ne come Tom Peters, Charles Handy, Chris Argyris, Peter Block o
Reinhard Sprenger si trovano stimoli critici al riguardo.
La novità del Beyond Budgeting è la presenza di un modello al-
ternativo orientato da principi nuovi che consente a chi governa le
imprese di intraprendere i necessari cambiamenti, conoscendone
i passi operativi e il probabile risultato finale, e le differenze ri-
spetto al taylorismo. È questa facilità di utilizzo che forse consen-
te di definire il Beyond Budgeting la prima grande idea di mana-
gement del XXI secolo.
Agli albori del movimento Beyond Budgeting fu soprattutto
uno l’aspetto che destò interesse: l’esigenza della completa elimi-
nazione di tutto ciò che si riferisce all’elaborazione del budget e al
controllo attraverso scostamenti da questo.
È chiaramente un postulato che si può agevolmente definire
“radicale”, visto che almeno il 95% delle aziende grandi e medie
utilizza il budget quale principale meccanismo operativo di piani-
ficazione e controllo. Ma non è tutto. Le imprese che fondarono, e
che dirigono, il Beyond Budgeting Round Table, che coniarono il
concetto stesso, non perdono occasione di ribadire che non biso-
gna solo abbandonare il budget ma si devono anche accantonare
altri strumenti molto diffusi. La definizione di obiettivi quantitati-
vi di vendita deve pure essere eliminata; così come il controllo de-
gli scostamenti dal budget, gli obiettivi predefiniti, tutte le logiche
di negoziazione, le allocazioni parametriche dei costi ecc. Insom-
ma molte delle tecniche ritenute obbligatorie.
In conseguenza di ciò si sono sviluppate accese dispute tra acca-
42. 20 Parte I. Pensare in modo relativo
demici, consulenti e manager di lingua inglese, tedesca e portoghe-
se che coinvolgono soprattutto gli esperti di finanza e controllo. Le
discussioni, all’inizio caratterizzate da toni polemici, hanno comun-
que portato a un sostanziale riconoscimento del valore del modello;
oggi sono numerosi gli esempi di imprese di varie dimensioni e
Paesi che stanno sperimentando il modello Beyond Budgeting.
Poco a poco il Beyond Budgeting sta cominciando ad apparire
nel linguaggio (e nell’agenda) di uomini d’impresa, siano essi
CEO, CFO, controller, responsabili di risorse umane o consulenti
responsabili di iniziative di cambiamento.
È quindi iniziato un movimento che ha sviluppato le idee nate
in Inghilterra nel 1998. In quell’anno il Consortium of Advanced
Management International (CAM-I) creò a Londra il Beyond Bud-
geting Round Table: un gruppo di lavoro costituito da rappresen-
tanti di diverse imprese che aveva l’obiettivo di ricercare modelli
alternativi di gestione al tradizionale sistema basato sul budget.
La prima mossa fu la ricerca di aziende di successo che già ave-
vano rinunciato al controllo budgetario. I numerosi esempi di
aziende che si sono liberate, totalmente o parzialmente, del budget
furono uno stimolo importante e una valida rassicurazione per il
lavoro dei ricercatori negli anni successivi. I ricercatori visitarono:
Handelsbanken (banca svedese), Borealis e Rhodia (imprese chi-
miche europee), AES (produttore di energia americano), la onlus
Sight Savers International, Ikea, il gruppo Bull, il gruppo SKF. Fu-
rono analizzate dai ricercatori del Beyond Budgeting Round Table
imprese eccezionali quali la catena di supermercati Aldi (tedesca),
il produttore giapponese di auto Toyota, e le americane Southwest
Airlines e Guardian Industries. Inoltre: il dettagliante svedese di
materiali da costruzione Ahlsell e organizzazioni pubbliche come
Sydney Water, Scottish Enterprise e Banca Mondiale. Tanto multi-
nazionali leader nei rispettivi mercati, quali Statoil, UBS e Unile-
ver, quanto piccole imprese manifatturiere e di servizi hanno dato
inizio a esperimenti di implementazione del Beyond Budgeting.
Oggi più di 150 aziende lo stanno utilizzando.
Tutte queste imprese si sono liberate delle tecniche di control-
lo budgetario o comunque hanno introdotto ampie trasformazio-
ni del modello di gestione in essere. Ma la nostra sensazione più
43. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 21
netta è questa: il vero problema non è la tecnica budgetaria in sé,
è piuttosto la filosofia “comando e controllo” basata su impegni
fissi predefiniti che si fatica ad abbandonare. Questi sono i due pa-
radigmi che occorre davvero superare se si vuole porre in atto un
modello di gestione più efficiente e più adatto ai fattori di succes-
so dell’economia della conoscenza.
Nell’aprile del 2003 è uscito sulla Harvard Business Review, sca-
tenando grandi dibattiti, un primo importante articolo, seguito
poi da due libri scritti dai direttori del Beyond Budgeting Round
Table. Possiamo perciò dire che i fondamenti concettuali sono or-
mai consolidati.
Lentamente il Beyond Budgeting si sta ora affermando anche
nella vita delle imprese. Robin Fraser, ex socio Coopers & Lybrand,
cofondatore e direttore del Beyond Budgeting Round Table, così il-
lustra l’evoluzione del pensiero: “Abbiamo davvero ancora bisogno
di anni per sviluppare il modello compiutamente a partire dalle sue
fondamenta che sono ormai chiare. Alcuni membri del Beyond
Budgeting Round Table non hanno aspettato la costruzione teorica
completa del modello e hanno cominciato a implementarlo”.
In queste imprese si sono sperimentate anche tecniche nuove
quali il rolling forecast e la balanced scorecard. Sappiamo che l’uso
di tecniche nuove non è mai sufficiente. Il Beyond Budgeting non
vuole impegnarsi per ottimizzare tecniche: la qualità totale, il bu-
siness process reengineering, l’activity-based management, il better
budgeting ecc., tutte hanno importanti aspetti positivi, ma l’enfasi
deve essere posta sul cambiamento culturale.
Infatti Fraser continua così: “Il Beyond Budgeting è un model-
lo che sostituisce la burocrazia con la leadership, gli ordini im-
partiti dall’alto con l’empowerment, le strutture gerarchiche e ac-
centrate con le reti di unità autonomamente gestite”.
Realizzare questo nuovo modello richiede significativi cambia-
menti a tutti i livelli per tutti i tipi di impresa. Si può dire, da que-
sto punto di vista, che il Beyond Budgeting è la tecnologia per ge-
stire il cambiamento secondo questo modello.
Il cambiamento è stato la nostra vera sfida specialmente nei
confronti dei responsabili finanziari con cui abbiamo iniziato il
progetto alla fine degli anni Novanta. È però anche una grande op-
44. 22 Parte I. Pensare in modo relativo
portunità per i top manager, gli imprenditori, i change manager
che davvero vogliono indurre sostanziali cambiamenti nelle loro
organizzazioni: “Un modello olistico al passo con i tempi”.
Il Beyond Budgeting è articolato in dodici principi di gestione:
i primi sei favoriscono una leadership basata sull’empowerment e
quindi una gestione molto decentrata. Il secondo gruppo di sei
principi descrive processi flessibili di gestione delle performance
(Figura 1.3).
La lettura di questa figura può farci concludere che molte cose
che vi si leggono non appaiono altro che riflessioni dettate dal buon
senso. È vero, ma se pensiamo che comunque la grande maggio-
ranza delle aziende aderisce senza troppo questionare ai principi
opposti (quelli della colonna “NON così!”), fare la scelta di adottare
i principi del Beyond Budgeting non è per niente banale.
Inoltre, non si tratta di un menu del quale si possa scegliere di
adottare solo alcune proposte di Beyond Budgeting: si compra tut-
to il pacchetto, senza peraltro acquistare metodologie o software.
Al contrario: i dodici principi mostrano un approccio coeso, orga-
nico e indivisibile che va ricordato incessantemente.
Sosteniamo questo perché i risultati delle nostre ricerche di-
mostrano che solo quando un’azienda adotta e sa utilizzare tutti i
dodici principi riesce a trasformarsi in un’impresa davvero adatti-
va e decentralizzata, efficiente nel creare valore, attenta ai valori
etici e più competitiva della media nel lungo periodo. Il fatto che
i dodici principi abbiano molti punti di contatto e siano un tutt’u-
no è la chiave per la vera comprensione del modello.
Ragionare così può sembrare paradossale: il nuovo modello è,
in principio, indivisibile. Non serve a niente scegliere i più sim-
patici tra i principi e provare solo con quelli; non possiamo spera-
re di cambiare metodo di gestione se non adottiamo congiunta-
mente i dodici principi: solo così possiamo attenderci risultati du-
revoli, con i dodici principi del Beyond Budgeting completamente
applicati. In pratica serve una vera rivoluzione. Risulta difficile, tut-
tavia, soprattutto per grandi imprese di successo sul mercato da
decenni, attuare una transizione dal modello taylorista al modello
Beyond Budgeting, pretendendo di applicare subito tutti i princi-
pi. Il cambiamento richiederà sicuramente diversi anni: il sistema
45. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 23
FIGURA 1.3
I DODICI PRINCIPI DEL “BEYOND BUDGETING”
Sei principi relativi alla leadership
Principi Fare così! NON così!
Clienti Concentrare gli sforzi di tutti per Rapporti verticali
migliorare i risultati per i clienti, rapporti di potere
“dall’esterno all’interno”
Responsabilità Creare una rete di piccole squadre Gerarchie centralizzate
responsabili dei propri risultati
Prestazione Promuovere il successo come “vittoria Approccio contrattuale,
di squadra”, rispetto al mercato focalizzato
internamente
Libertà di agire Dare ai team la libertà, la capacità e Rispetto di piani fissi
l'autorità di agire
Governance Basare la governance su obiettivi, valori Norme dettagliate e
e limiti chiari budget rigidi
Trasparenza Promuovere informazioni condivise e Informazione ristretta,
aperte per tutti solo per chi deve sapere
Sei principi relativi a processi adattabili di gestione
Principi Fare così! NON così!
Obiettivi Definire desiderata e mete flessibili Obiettivi fissati annual-
in grado di promuovere miglioramenti mente e incrementativi
relativi e continui
Ricompense Ricompensare il successo ottenuto Raggiungere
come squadra, basato sulla prestazione obiettivi fissi, individuali
relativa, valutato a posteriori
Pianificazione Rendere la pianificazione un processo Solo annualmente
continuo e globale, concentrato e top-down
sulle azioni
Controlli Basare i controlli sugli indicatori chiave Variazioni
rispetto al mercato, ai concorrenti e ai dal piano/budget
periodi precedenti
Caratteristiche Rendere disponibili le risorse necessarie Dotazione di bilancio
quando servono annuale
Coordinamento Coordinare le interazioni in modo Cicli annuali
dinamico con meccanismi di pianificazione
di “mercato” e di dialogo
46. 24 Parte I. Pensare in modo relativo
nuovo verrà conseguito attraverso un processo evolutivo (ecco il
paradosso apparente).
Come si rendono compatibili un proposito rivoluzionario e un
processo evolutivo? Come si combina la massiccia trasformazione
necessaria a formare un insieme coerente con le molte trasfor-
mazioni pratiche nei sistemi e nei comportamenti dei componen-
ti di un’organizzazione? Si deve agire così: per ottenere una tra-
sformazione profonda serve un grande cambiamento nel modo di
pensare e contemporaneamente nel modo di agire. Sono due di-
mensioni interdipendenti del progetto. Sia il Beyond Budgeting
sia il taylorismo inizialmente rivoluzionano il pensiero dei mem-
bri di un’organizzazione e successivamente stimolano un’evolu-
zione dell’azione attraverso tanti piccoli passi e comportamenti
che cambiano profondamente. Vale la pena a questo proposito
analizzare da vicino l’esempio paradigmatico di Handelsbanken,
dove il Beyond Budgeting applicato in toto ha consentito di creare
una banca universale veramente efficiente e decentrata.
LA STORIA DI UN PIONIERE: HANDELSBANKEN
Questa è la prima azienda in cui i direttori del Beyond Budgeting
Round Table hanno trovato un modello di gestione post-taylorista
totalmente coerente già alla fine degli anni Novanta.
Svenska Handelsbanken, oggi Handelsbanken, è una banca
universale fondata nel 1871 che fattura oggi 2 miliardi di dollari al-
l’anno, dà lavoro a 9.500 persone e opera con più di 600 unità di
business (centri di profitto). I Paesi nei quali la banca opera sono
tutti quelli scandinavi, oltre a Inghilterra, Polonia e Germania.
Nel corso degli ultimi trent’anni, in conseguenza alla radicale
trasformazione attuata già dal 1971, Handelsbanken si è sempre
collocata alle prime posizioni in termini di efficienza nella gestio-
ne dei costi con un rapporto costi/fatturato del 45% contro una
media del 60% dei suoi principali concorrenti internazionali.
Questi migliori risultati rispetto alla concorrenza sono veri an-
che per altri indicatori: soddisfazione della clientela, redditività
del patrimonio (ROE), utili per azione, per citarne alcuni. Han-
47. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 25
FIGURA 1.4
DAL VECCHIO AL NUOVO MODELLO
Modello tradizionale Modello “nuovo”
Burocratico-gerarchico Decentramento/empowerment
Statico, focalizzato sul controllo Robusto e dinamico
Rapporti di potere Rapporti di creazione di valore
Obiettivi rigidi di prestazione Obiettivi di prestazione relativi
assoluta
Gerarchia centralizzata Rete centralizzata
“comando e controllo” “sentire e rispondere”
(keep on track)
Cambiamento
rivoluzionario di
• principi
di leadership
• principi di gestione
delle prestazioni
• contratti
di prestazione
Processi • valori Processi
fissi, annuali • sistemi dinamici, continui
• cultura
Strategia ... Impegno rispetto a
performance relative
Obiettivi rigidi
(formalizzati)
di performance Coordinamento
assoluta dinamico
Controllo
delsbanken è leader di redditività con due sole eccezioni, una se-
conda e una terza posizione. Pure nel rating Handelsbanken bat-
te i suoi concorrenti internazionali (Figura 1.4).
In Handelsbanken non ci sono impegni fissi di prestazione, al
contrario si punta a continui confronti sia interni sia esterni age-
volati dalla totale disponibilità di informazioni e da un processo
48. 26 Parte I. Pensare in modo relativo
decisionale molto decentrato. Più del 50% dei dipendenti ha una
qualche autonomia decisionale rispetto alla concessione di credi-
to; la sede centrale, composta da 500 dipendenti, è molto snella.
Ci troviamo di fronte a tre soli livelli gerarchici: il presidente, i di-
rettori regionali e i responsabili di filiale.
All’inizio degli anni Settanta Handelsbanken viveva una diffi-
cile situazione: scarsa redditività, molta burocrazia e problemi col
fisco svedese.
Il presidente Jan Wallander, divenuto chairman per il periodo
1978-1991, aveva già sperimentato un processo di delega verso chi
aveva contatti più diretti con la clientela in una piccola banca re-
gionale. Divenuto CEO applicò questa esperienza a tutto il grup-
po. Il risultato fu la nascita di un modello totalmente diverso da
quelli in essere all’epoca.
“L’idea base – dice Wallander – è il decentramento del proces-
so decisionale. Secondo questo approccio rimane comunque com-
plicato liberarsi dei budget, ma è solo una delle implicazioni del
nuovo modello”.
Per ottenere un vero decentramento decisionale, Wallander tra-
sformò completamente l’intera organizzazione. Fin dall’inizio eli-
minò “la sovrastruttura burocratica” (parole sue) per poter dare auto-
nomia a chi non lavorava nella sede centrale. Tra le misure adottate
ci fu la completa abolizione degli obiettivi e dei budget fissi. Le divi-
sioni furono abolite. Le funzioni organizzative centrali o furono abo-
lite, o ridotte ai minimi termini o trasferite alle banche regionali.
Wallander comprese che gli obiettivi fissi generano comporta-
menti irrazionali e dipendenza delle unità organizzative locali dal
centro. Secondo lui “tutte le persone della banca tendevano a su-
bordinare gli obiettivi di business ai risultati predefiniti, anche a co-
sto di manipolare i dati”. I dirigenti facevano di tutto per raggiun-
gere gli obiettivi predefiniti anche a costo di destabilizzare impor-
tanti processi di business e deteriorare le relazioni con i clienti.
Nella nuova organizzazione di Handelsbanken, collocare l’in-
teresse del cliente prima di quello della banca divenne una prati-
ca essenziale e un fattore di orgoglio per la banca.
L’obiettivo della banca diventò il conseguimento di una dura-
tura redditività superiore alla media e non il conseguimento di vo-
49. 1. Un obiettivo è più che un obiettivo 27
lumi di vendite e di fatturati; obiettivi questi ultimi che, in alcuni
casi, si smise di rilevare.
Handelsbanken abbandonò l’obiettivo di essere la più grande
banca del Paese per puntare a essere la più efficiente. Quindi l’o-
biettivo diventò, ed è tuttora, l’ottenimento del ROE più alto (at-
traverso leadership di costo e di qualità) della media dei concor-
renti del segmento di mercato di riferimento. Rispetto a questo
obiettivo la prassi Handelsbanken non cambia da trent’anni.
Wallander e la sua équipe hanno sviluppato un modello di ge-
stione molto semplice, di facile comprensione, privo di obiettivi ri-
gidi e di pianificazione annuale. Le persone sviluppano l’abitudi-
ne a lavorare orientandosi con misurazioni relative comparate con
quelle esterne. Il successo quindi non è più costituito dal riuscire
a realizzare quanto previsto da un’arbitraria pianificazione, bensì
dal miglioramento di pochi indicatori. Quindi a partire da allora si
cominciò a confrontare Handelsbanken con i suoi concorrenti di-
retti attraverso alcune “tabelle di confronto” (graduatorie). Si trat-
ta di classifiche come quelle di un campionato sportivo, nelle qua-
li le banche regionali si confrontano costantemente e lo stesso ac-
cade tra le filiali. In altre parole, tutti gli obiettivi, le valutazioni dei
risultati e delle prestazioni diventano quelli relativi alla competi-
zione interna ed esterna e al miglioramento continuo.
Il sistema basato sulle “classifiche” ha dimostrato grandi po-
tenziali di autoregolazione; lungo i decenni ha richiesto solo pic-
cole modifiche e, soprattutto, non implica aggiustamenti e nego-
ziazioni infrannuali.
Lennart Francke, ex CFO della banca, così spiega il modello:
“La maggior parte dei manager quando immagina obiettivi pensa
a dati su cui si sia trovato un accordo e che diventano mete obbli-
gatorie per la fine dell’anno. Noi non lavoriamo così. Utilizziamo
gli obiettivi per stimolare particolari miglioramenti nelle presta-
zioni. Ci concentriamo solo su rilevazioni semplici che non met-
tono pressione al gruppo. Tutto il contesto è quindi caratterizzato
da relativismo. I dirigenti e tutto il personale non sanno che nu-
mero devono raggiungere perché, semplicemente, questo nume-
ro non esiste. Ecco perché riusciamo a evitare le faticose negozia-
zioni e i comportamenti irrazionali di fine anno volti a ‘far torna-
50. 28 Parte I. Pensare in modo relativo
re i conti’. L’impegno principale di tutti è quello di non essere su-
perati dai colleghi; ciò induce automaticamente un continuo sfor-
zo volto al miglioramento costante”.
Contemporaneamente sono stati eliminati tutti gli ostacoli po-
sti alla generazione di valore da rigide procedure e controlli trop-
po gerarchici. Per lo stesso motivo furono aboliti tutti i processi di
definizione di obiettivi di vendita, gli incentivi, la pianificazione ri-
gida ed eccessivi staff centrali.
Nel breve volgere di pochi anni la banca abbandonò l’organiz-
zazione funzionale e la struttura divisionale per orientarsi verso la
creazione di centri di profitto autogestiti con chiare relazioni con
i clienti e responsabilità diretta per i risultati di queste relazioni.
Questa rete di centri di profitto riguarda tutte le 600 filiali, le
banche regionali giuridicamente indipendenti e le funzioni cen-
trali di fornitura di servizi (risorse umane, amministrazione, con-
trollo, tecnologie informatiche, gestione del rischio e altre).
Il punto centrale non è la sede, ma la rete di filiali la cui auto-
nomia è continuamente aumentata a partire dagli anni Settanta.
Conseguentemente lo status delle filiali di Handelsbanken e il
prestigio collegato sono maggiori di quelli delle altre istituzioni fi-
nanziarie: un cambiamento culturale necessario per sostenere il
tipo di cambiamento indotto. Nel caso Handelsbanken, il decen-
tramento radicale significò anche il divieto per il dipartimento
centrale di marketing di emettere istruzioni e ordini e di obbliga-
re a vendere determinati prodotti. Il focus diventò la redditività dei
clienti e non dei prodotti, per i quali questo indicatore non viene
nemmeno più preso in considerazione.
In sede, in Handelsbanken, non ci sono i responsabili di pro-
dotto bensì “le imprese-prodotto” che sono pagate dalle banche re-
gionali e dalle filiali sia per i servizi forniti sia per lo sviluppo dei
prodotti. Dei prodotti non sono importanti né gli obiettivi di vendi-
ta né le quote di ognuno, bensì il gradimento da parte dei clienti.
La modalità di lavoro delle funzioni centrali è la fornitura di
servizi alle reti di filiali sulla base delle loro necessità, per i quali
la funzione fornitrice riceve un compenso a copertura dei costi.
Questo modo di fare induce tutta l’organizzazione a occuparsi più
dei clienti che dei superiori.