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Scienza delle Finanze
Bibliografia principale: «Scienza delle Finanze», Harvey S. Rosen e Ted Gayer.
Donato Mancuso
donatomancuso@gmail.com
http://donatomancuso.blogspot.com
Versione 1.3
Indice
1. Introduzione
2. I beni pubblici
3. Teoria delle scelte collettive
4. Esternalità
5. La redistribuzione dei redditi
6. La spesa sociale: pensioni e
sanità
7. Analisi Costi-Benefici
8. Tassazione e redistribuzione
dei redditi
9. Tassazione ed efficienza:
l’eccesso di pressione tributaria
10. Indicazioni per la politica
tributaria: la teoria della
«tassazione ottimale»
11. Effetto delle imposte personali
sui comportamenti individuali
12. Le modalità di finanziamento
dello Stato
13. Il finanziamento in disavanzo
14. Imposte: tipologia e
classificazione
15. Il sistema fiscale italiano
1. Introduzione
«Le economie di mercato sono macchine
straordinariamente efficienti nella produzione della
ricchezza, ma assai poco capaci di distribuirla
equamente tra coloro che hanno preso parte al
processo della sua creazione»
Quali sono le concezioni circa il ruolo dello
Stato nella società?
• Concezione «organicistica», secondo cui gli individui hanno valore solo in quanto
contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi della collettività, obiettivi che
sono fissati dallo Stato. Esempio più tristemente noto: Nazismo.
• Concezione «meccanicistica», secondo cui lo Stato è un artificio creato con il solo
scopo di consentire la realizzazione degli obiettivi individuali. Non vi è tuttavia
consenso unanime sul ruolo dello Stato:
• «Liberali»: credono che lo Stato debba avere poteri estremamente limitati e, nella sfera
economica, non sono disposti ad assegnargli alcun ruolo ulteriore rispetto a quelli previsti da
Adam Smith. Per dirla con quest’ultimo: «Ogni uomo, laddove non violi le leggi della giustizia,
è perfettamente libero di perseguire i propri interessi nel modo che più ritiene opportuno». I
liberali sono profondamente scettici circa la capacità dello Stato di migliorare il benessere dei
cittadini.
• «Socialdemocratici»: sul versante opposto, ritengono che per garantire il bene degli individui
sia necessario un intervento pubblico di un certo rilievo, che può assumere forme diverse:
leggi sulla sicurezza sul lavoro, regole per l’assegnazione di alloggi pubblici, sussidi per i meno
abbienti, etc. A chi obietta che questi interventi finiscono con il violare la libertà personale,
ribattono che la libertà è più della semplice assenza di coercizione fisica: un individuo che
percepisce un reddito molto basso, è libero di spenderlo come vuole ma il raggio d’azione di
questa sua libertà è piuttosto ridotto.
1. Introduzione
Che cos’è la «Scienza delle Finanze» e
l’«Economia del benessere»?
• La Scienza delle Finanze, detta anche economia del settore pubblico
o economia pubblica, si occupa delle politiche tributarie e di spesa
pubblica adottate dallo Stato e dei loro effetti sull’allocazione delle
risorse e sulla distribuzione del reddito.
• In qualità di cittadini siamo chiamati costantemente a valutare il ruolo
dello Stato nell’economia: le imposte sul reddito andrebbero
aumentate? C’è bisogno di asili-nido sovvenzionati dallo Stato? Si
devono fare controlli più severi sulle emissioni di fumi delle auto?
L’elenco è infinito…
• Per analizzare gli effetti degli interventi pubblici si fa riferimento
all’«economia del benessere»: la branca della teoria economica che si
occupa di stabilire la desiderabilità sociale di allocazioni economiche
alternative.
1. Introduzione
Efficienza Paretiana
• Un’allocazione in cui l’unica possibilità per migliorare la condizione di un
individuo consiste nel peggiorare quella dell’altro, viene detta Pareto efficiente.
• Un’allocazione non è Pareto efficiente quando comporta degli «sprechi», cioè
quando è possibile migliorare la condizione di un individuo senza peggiorare
quella di nessun altro. Quando si migliora la condizione di un individuo senza
peggiorare quella di nessun altro si parla di miglioramento paretiano
• L’efficienza paretiana è il criterio più diffuso per valutare quanto sia desiderabile
un’allocazione di risorse. Quando gli economisti utilizzano il termine efficiente
pensano all’efficienza paretiana.
• Concetto di utilità: gli economisti utilizzano il termine «utilità» come sinonimo di
«soddisfazione» che una persona trae dal consumo dei beni. In questo contesto
però la nozione di bene va interpretata in senso lato: essa comprende non solo
prodotti quali cibo, auto, ecc, ma anche cose meno tangibili come il tempo libero.
 In una allocazione Pareto efficiente l'utilità di una persona può essere
aumentata soltanto da una diminuzione dell'utilità di qualcun altro.
1. Introduzione
1° Teorema dell’Economia del Benessere
• Ipotesi:
1. tutti i consumatori e produttori agiscono da concorrenti perfetti, ovvero
nessuno di loro ha potere di mercato: ogni consumatore (e produttore)
consuma (e produce) una quantità così piccola rispetto al mercato che le
sue azioni da sole non possono modificare i prezzi; si dice che sono price
taker
2. esiste un mercato per tutti i beni
• Il primo teorema dell’economia del benessere afferma che:
un’economia concorrenziale alloca automaticamente le risorse in
modo efficiente senza alcun bisogno di intervento esterno.
• Il primo teorema è un’enunciazione formare di un fatto noto da
tempo: quando si tratta di fornire beni e servizi, i sistemi basati sulla
libertà d’impresa sono estremamente efficienti.
1. Introduzione
2° Teorema dell’Economia del Benessere
• Se i mercati concorrenziali funzionano adeguatamente e allocano le risorse in maniera efficiente
qual è il ruolo dello Stato? Qualsiasi intervento sembrerebbe inutile e superfluo e lo Stato
dovrebbe solo occuparsi della difesa e sicurezza, della giustizia e del diritto di proprietà e
concorrenza.
• Tuttavia un'allocazione Pareto efficiente può non essere ritenuta la migliore dalla collettività. La
collettività può preferire una distribuzione più equa. Ma lo Stato deve intervenire direttamente
sul funzionamento del Mercato?
• Il secondo teorema dell’economia del benessere afferma che: modificando le dotazioni iniziali
allo scopo di ottenere il livello di equità desiderato (con sussidi o tassazione «a somma fissa») e
lasciando poi operare il mercato, un’economia di concorrenza perfetta raggiunge sempre una
allocazione Pareto efficiente.
• Lo Stato quindi non deve intervenire o altrimenti, per redistribuire equamente il reddito, con
interventi iniziali e a somma fissa senza modificare il comportamento di consumatori e produttori.
• Si tratta tuttavia di prescrizioni solo teoriche; tra l’altro la presenza di imposte e sussidi in forma
fissa risulta difficile se non impossibile.
• L’implicazione importante del secondo teorema è che, almeno in teoria, gli aspetti relativi
all’equità si possono tenere separati da quelli relativi all’efficienza; vedremo come, in pratica,
tenere separate efficienza ed equità sia piuttosto complesso.
1. Introduzione
I fallimenti del mercato
Una seconda ragione a sostegno dell’intervento pubblico nel sistema economico sono i fallimenti
del mercato. I fallimenti di mercato avvengono quando non si riescono ad allocare le risorse in
modo efficiente, e ciò accade nei casi in cui c’è potere di mercato o assenza di questi.
• Il Potere di Mercato: i teoremi sono validi solo se tutti i consumatori e produttori non hanno
potere di mercato, ovvero sono price taker. Se alcuni consumatori e/o produttori non sono price
taker, ma hanno facoltà di influire sui prezzi, un’allocazione delle risorse sarà inefficiente. Perché?
Un’impresa che detiene un certo potere di mercato può essere in grado di far salire il prezzo al di
sopra del costo marginale*, offrendo una quantità minore rispetto a quella che offrirebbe un
produttore concorrenziale. Le situazioni in cui i produttori determinano i prezzi sono divere:
• Il caso limite è il monopolio, che si verifica quando c’è solo un’impresa e l’entrata di altre nel mercato è
bloccata.
• Anche nel caso dell’oligopolio, cioè quando i produttori sono un numero ristretto, può darsi che le imprese
riescano a far salire il prezzo al di sopra del costo marginale, se fanno «cartello».
• Può capitare che in alcuni settori le imprese siano molte, ma ognuna di esse gode di un certo potere di
mercato perché i prodotti che ciascuna di esse offre sono tra loro differenziati. Si parla in questo caso di
concorrenza monopolistica. Esempio: sono moltissime le imprese che producono scarpe d’atletica, ma i
consumatori considerano le Reebok, le Nike e le Adidas come beni diversi.
• L’assenza di mercati: i teoremi sono validi se esiste un mercato per ogni bene, ma se per un
determinato bene non esiste un mercato, non possiamo aspettarci che il mercato assicuri una sua
allocazione efficiente. L’altro tipo di inefficienza che può derivare dalla mancanza di mercato è
l’esternalità, cioè quando il comportamento di un individuo influisce sul bene di un altro in modi
che non riflettono i prezzi esistenti.
1. Introduzione *Dalla microeconomia sappiamo che nei mercati
concorrenziali il prezzo a cui un’impresa vende il suo
prodotto sul mercato è pari al costo marginale, cioè
al costo dell’ultima unità di prodotto.
PREZZO = COSTO MARGINALE
I fallimenti dello Stato
• Il fatto che l’allocazione delle risorse sia imperfetta non significa che lo Stato possa fare di meglio:
in alcuni casi la costituzione di un ente pubblico per far fronte ad una esternalità può superare il
costo dell’esternalità stessa!
• Il Fallimento dello Stato si origina quando i costi legati al tentativo di “correggere” le distorsioni
del mercato si rivelano più elevati del costo della distorsione originaria.
• Alcune cause dei fallimenti di Stato: assenza della «mano invisibile», informazione incompleta
(anche lo Stato è ignorante), scelte politiche sbagliate («I partiti politici formulano le proprie
politiche per vincere le elezioni, invece di vincere le elezioni per formulare le proprie politiche»
Prof. Anthony Downs), distorsioni create da tasse e sussidi
• Alcuni sostengono, inoltre, che lo Stato non è mai capace di operare in modo efficiente; questa
tesi è estrema, ma sottolinea che l’economia del benessere si limita solo ad individuare situazioni
in cui l’intervento pubblico potrebbe portare ad una maggiore efficienza.
• In generale, ogni qualvolta si discuta l’opportunità di un intervento pubblico dovremmo porci tre
quesiti:
• Avrà conseguenze desiderabili dal punto di vista della distribuzione?
• Aumenterà l’efficienza?
• Può essere sostenuto ad un costo ragionevole?
Se la risposta a questi interrogativi è negativa, probabilmente il mercato dovrebbe essere lasciato libero di
operare.
1. Introduzione
2. I beni pubblici
Definizione di «Bene pubblico»
• Bene pubblico = bene il cui consumo è non rivale (cioè il consumo del bene da parte di un
individuo non impedisce a qualsiasi altro di usufruirne) e non escludibile (cioè l’esclusione di
uno o più individui dal consumo è o troppo costosa o tecnicamente impossibile).Un esempio è il
faro: quando è acceso, tutte le navi ne traggono vantaggio; il fatto che una nave ne usufruisca non
impedisce ad altre navi di fare altrettanto e non è possibile escludere una o più navi dall’uso del
faro, se si trovano nelle vicinanze.
• Non è detto che la non escludibilità e l’assenza di rivalità nel consumo siano sempre associate.
Esistono infatti:
• Beni comuni = beni rivali ma non escludibili. Esempio: le strade di un centro cittadino nelle ore di punta non
sono escludibili ma all’ora di punta esiste sicuramente rivalità nel consumo, come chiunque finito in un
ingorgo stradale può affermare.
• Beni tariffabili o di «club» = beni escludibili ma non rivali. Esempio: la TV via satellite, la cui visione da parte di
uno spettatore non impedisce a qualsiasi altro di vederla, ma se non si paga l’abbonamento si viene esclusi.
• Fornitura pubblica di beni privati: i beni pubblici non vengono necessariamente forniti solo dal
settore pubblico, anche il settore privato li fornisce. Esempio: Software Open Source, Linux,
Wikipedia.
• Fornitura privata di beni pubblici: i beni privati (escludibili e rivali) non vengono necessariamente
forniti solo dal settore privato: anche il settore pubblico li fornisce. Esempio: assistenza sanitaria
ed edilizia popolare
• Fornitura vs. Produzione: Un bene fornito pubblicamente non sempre è anche prodotto dal
settore pubblico. Esempio: raccolta rifiuti appaltata da alcuni comuni a servizi esterni.
2. I beni pubblici
Determinazione della quantità ottimale di
beni pubblici da produrre (1)
• Beneficio marginale individuale: beneficio che il consumatore ottiene dal consumo di una unità addizionale di
bene; una misura è il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per avere una unità in più di bene.
• Costo marginale: costo di produzione che la società deve sostenere per produrre una unità addizionale di bene
• Beneficio marginale sociale: beneficio che la società intera ottiene dal consumo di una unità addizionale di
bene; una misura è il prezzo che la società disposta a pagare per avere una unità in più di bene
• Per qualsiasi bene, la quantità di produzione ottimale è quella che garantisce l’uguaglianza tra il beneficio
marginale e il costo marginale:
BENEFICIO MARGINALE = COSTO MARGINALE
• Per i beni PRIVATI: il prezzo di mercato è uguale per tutti i consumatori quindi il beneficio marginale individuale è
uguale per tutti. Ad ogni prezzo corrisponde una quantità domandata che varia da consumatore a consumatore.
Sommando le quantità di bene che i consumatori consumerebbero in corrispondenza di un certo prezzo si
ottiene la quantità che la società deve produrre; la quantità ottimale è quella in corrispondenza della quale il
prezzo eguaglia il costo marginale.
BENE PRIVATO (IN CONCORRENZA PERFETTA): Beneficio marginale individuale = Costo Marginale
• Invece per i beni PUBBLICI: poiché un bene pubblico è non escludibile e non rivale, esso viene consumato in
quantità uguali e un’unità addizionale di un bene pubblico è usata da tutti. Ad ogni quantità corrisponde un
beneficio marginale, e quindi una disponibilità a pagare per una unità aggiuntiva, che varia da consumatore a
consumatore. Sommando le singole disponibilità a pagare per un’unità di bene in più, si ottiene la disponibilità
complessiva a pagare. La quantità ottimale da produrre è quella in corrispondenza della quale la somma delle
disponibilità dei cittadini a pagare per un’ulteriore unità sia uguale al suo costo marginale
BENE PUBBLICO: Beneficio marginale sociale = Somma dei Benefici Marginali individuali = Costo Marginale
2. I beni pubblici
Determinazione della quantità ottimale di
beni pubblici da produrre (2)
• Esempio: supponiamo che Adamo ed Eva siano amanti dei fuochi
d’artificio, che sono un bene non escludibile (non si può impedire a
qualcuno, nella prossimità dei fuochi d’artificio, di non guardarli) e non
rivale (guardare fuochi d’artificio non ostacola altri da fare lo stesso).
Consideriamo uno spettacolo di 19 razzi che può essere allungato al costo
di 5 €a razzo (costo marginale = 5€). Adamo è disposto a pagare 6€ per un
razzo in più (beneficio marginale di Adamo = 6€) e Eva è disposta a pagare
4€ per un razzo in più (beneficio marginale di Eva = 4€).
2. I beni pubblici
• La somma delle disponibilità individuali a pagare per un
ulteriore razzo è 10€. Siccome il costo marginale è solo 5€,
conviene acquistare il ventesimo razzo.
Finanziamento del bene pubblico (1)
• Condizione di Lindahl per il finanziamento del bene pubblico: poiché il consumo di bene
pubblico è lo stesso ma il beneficio marginale è diverso da consumatore a consumatore,
la condizione di ottimalità richiede che ogni consumatore paghi un’imposta che agisca
come un prezzo «personalizzato» pari al suo beneficio marginale; tale imposta è detta
«prezzo di Lindahl».
• L’equilibrio di Lindahl è efficiente, tuttavia gli individui non sono incentivati ad essere
onesti nel fornire le informazioni necessarie alla sua realizzazione. Non è facile, infatti,
che un consumatore decida di rivelare quanto è disposto a pagare per il bene pubblico: il
bene pubblico, una volta reso disponibile, sarà comunque consumabile da tutti senza
possibilità di esclusione (non escludibilità) di conseguenza le persone possono essere
incentivate a nascondere il loro vero beneficio marginale. «Esiste un egoistico interesse di
ciascuna persona a fornire falsi segnali, a manifestare meno interesse per un bene
pubblico di quello che in realtà ha» (Samuelson). Questo comportamento opportunista
che consiste nel godere di un bene per cui altri hanno pagato, è definito problema
dell’opportunismo o problema del «free rider».
• Di conseguenza è improbabile che il mercato fornisca beni pubblici non escludibili in
modo efficiente: in presenza di beni pubblici «tutti sperano di carpire qualche beneficio
personale in un modo che non sarebbe possibile nel sistema concorrenziale e
autoregolato di determinazione dei prezzi tipico del mercato dei beni privati»
(Samuelson)
2. I beni pubblici
Finanziamento del bene pubblico (2)
• Quale soluzione al problema del free rider? C’è chi pensa che per risolvere tale
inefficienza sia necessario l’intervento dello Stato che, con potere coercitivo, può
imporre a tutti di pagare per il bene pubblico e, se fosse in grado di conoscere le
preferenze (beneficio marginale) di ciascuno, potrebbe fornirne la quantità efficiente. Per
scoprire le vere preferenze di ciascun cittadino si possono utilizzare diversi metodi:
• Incentivi per far si che ogni cittadino dica la verità sulle sue preferenze. A partire da una data
quantità di bene pubblico, a ciascun utilizzatore è richiesto un contributo al finanziamento di una
unità aggiuntiva del bene; tale contributo è pari alla differenza tra il costo marginale e la somma
dei contributi di tutti gli altri individui. Il singolo contribuente ha convenienza a dichiarare la
propria vera valutazione, al fine di spingere l’offerta del bene pubblico verso il livello ottimale.
Siccome questo ragionamento si applica a tutti i partecipanti, tutti riveleranno correttamente le
proprie preferenze. Questo meccanismo di rilevazione delle preferenze tramite incentivo è però
molto costoso.
• Voto: il sistema di votazione prevede che gli individui determinino con il voto la quantità da
rendere disponibile di beni pubblici. Lo studio di come la collettività può esprimere delle scelte di
merito, è detta appunto «teoria delle scelte collettive» (vedi prossimo capitolo).
• Obiezioni: c’è chi ritiene che sia improbabile che lo Stato possa conoscere perfettamente
le preferenze di ciascuno. E poi siamo sicuri che lo Stato fornisca beni pubblici in modo
più efficiente di quanto possa fare il mercato? Inoltre, sebbene il problema del free rider
esista, non è detto che valga sempre (accanto ai comportamenti opportunistici, ci sono
situazioni in cui individui agiscono senza alcuna coercizione da parte dello Stato; le
organizzazioni di volontari che raccolgono fondi sono riuscite a fondare musei, ospedali,
biblioteche, laboratori scientifici, etc.)
2. I beni pubblici
Il dibattito sulla «privatizzazione»
• In questi ultimi anni, soprattutto nei Paesi occidentali, si è dibattuto sull’opportunità di
privatizzare alcuni servizi forniti o prodotti tradizionalmente dallo Stato. Un aspetto di
questa discussione sta nella distinzione tra fornitura e produzione.
• Privatizzazione della fornitura: si o no? I fattori principali presi in considerazione per
rispondere sono: i costi (se i costi sono differenti tra pubblico e privato, sulla base
dell’efficienza è opportuno scegliere il settore meno costoso), la diversità di gusti (più i
cittadini hanno opinioni diverse su ciò che il pubblico dovrebbe fornire e gusti diversi, più
è considerata efficiente la fornitura privata) e i problemi distributivi (un’interpretazione
possibile del concetto di «equità», fornita da Tobin, richiede che alcuni beni economici –
come istruzione e sanità – siano resi disponibili a tutti)
• Privatizzazione della produzione: si o no? Anche qualora si trovi l’accordo sul fatto che
certi beni devono essere forniti dal settore pubblico, rimane da capire se debbano essere
prodotti dal settore pubblico o da quello privato. C’è chi sostiene che i dirigenti del
settore pubblico, diversamente da quelli privati, non avendo come obiettivo la
massimizzazione del profitto né temendo il fallimento, non abbiano alcun incentivo a
tenere sotto controllo l’attività della loro impresa e che quindi sia preferibile la
produzione privata. Chi, al contrario, sostiene l’opportunità della produzione pubblica e si
oppone alle privatizzazioni ritenendo che non vi siano prove sistematiche a sostegno
dell’idea che la produzione pubblica sia meno efficiente e più costosa.
2. I beni pubblici
Forme di intervento pubblico
• Regolamentazione: lo Stato attribuisce ad operatori privati il diritto a offrire un
bene e/o un servizio, ne stabilisce la tariffa a cui i cittadini lo acquistano e talvolta
la qualità che deve essere garantita, lasciando al mercato il compito di produzione
e fornitura. Esempio: fornitura di servizi di pubblica utilità (acqua, gas, trasporti
pubblici), servizio sanitario negli USA (a differenza che in Europa, negli USA il
sistema sanitario è regolamentato con produzione e fornitura lasciata a mercato e
assicurazioni private)
• Fornitura: lo Stato acquista un servizio dal mercato e decide la tariffa che i
cittadini possono pagare per riceverlo, potendo differenziare la tariffa in ragione
del reddito
• Produzione: lo Stato produce e distribuisce direttamente beni e servizi
• Finanziamento: anziché legare il pagamento alla fruizione del servizio (come
avviene per le pensioni previdenziali), lo Stato può decidere di finanziarlo con la
fiscalità generale (come avviene per sanità e pensioni assistenziali)
Formediinterventoviaviapiùincisive
2. I beni pubblici
3. Teoria delle scelte
collettive
Come si svolge il processo
decisionale in campo politico?
• Le società democratiche utilizzano varie procedure di votazione per prendere
decisioni in merito alla spesa pubblica e al suo finanziamento. Il sistema di
votazione prevede che gli individui determinino con il voto la quantità da rendere
disponibile di beni pubblici
• Il voto può essere:
• all’unanimità: la proposta viene approvata solo se sono d’accordo tutti, al fine di tutelare la
libertà di ogni individuo nei confronti della società. Tuttavia il voto all’unanimità è un sistema
troppo lungo e costoso e, nel caso di preferenze individuali non omogenee ma differenti, la
regola dell’unanimità ha il significato di un diritto di veto che implica il prevalere dello status
quo;
• a maggioranza: la proposta viene approvata se si pronuncia a favore la metà più uno dei
votanti.
• Teorema del votante mediano: se tutti gli individui hanno preferenze unimodali*, il risultato di una
votazione a maggioranza rifletterà la preferenza espressa dal votante mediano, cioè dell’individuo le cui
preferenze occupano la posizione intermedia nell’insieme delle preferenze di tutto il gruppo.
• Tuttavia tale esito non è efficiente, il teorema dell’elettore mediano ha infatti dei limiti: 1) non sempre i
votanti hanno preferenze unimodali poiché solitamente le alternative di scelta hanno diverse dimensioni
di confronto. 2) Inoltre l’esito del voto non è necessariamente efficiente, poiché si assegna uguale peso
alle preferenze di ciascun cittadino, mentre l’esito efficiente dovrebbe pesare ogni voto in base
all’intensità delle preferenze (cioè a quanto gli sta a cuore il problema); questo può . 3) Infine, gli
individui possono esprimere un voto che non riflette le loro reali preferenze al fine di manipolare il
risultato della votazione.
*Preferenza unimodale: man mano che ci si
allontana dall’esito che preferisce, il beneficio
dell’elettore cala costantemente.
Preferenza bimodale: man mano che ci si
allontana dall’esito che preferisce in una
direzione, il beneficio per l’elettore prima cala e
poi aumenta di nuovo
3. Teoria delle scelte collettive
Teorema dell’impossibilità di Arrow
• In conclusione il voto può non produrre un equilibrio e quando lo fa non è in generale Pareto-efficiente. Ma
allora sorge un dubbio: esiste un qualche metodo eticamente accettabile e privo di difetti per tradurre le
preferenze individuali in preferenze collettive? La risposta la fornisce Arrow.
• Teorema dell’impossibilità di Arrow: in una società democratica, il metodo di scelta collettiva debba
soddisfare i seguenti criteri:
• Deve portare a una decisione, qualunque sia la configurazione delle preferenze dei votanti. Non deve perciò fallire in caso di
preferenze multimodali.
• Deve essere in grado di stabilire una graduatoria tra tutti gli esiti possibili.
• Deve riflettere le preferenze individuali, cioè se gli individui preferiscono A a B, l’ordine di preferenza della società deve
essere lo stesso.
• Coerenza: il metodo di scelta deve essere coerente nel senso che, se la proposta A è giudicata preferibile alla proposta B e la
proposta B è giudicata preferibile a C, allora la proposta A deve essere preferita alla proposta C.
• L’ordine di preferenza che la società assegna alle alternative A e B deve dipendere esclusivamente dalle preferenze dei
votanti riguardo A e B. Esemplificando, l’ordine di preferenza in cui una società colloca le spese per la difesa e per la
cooperazione internazionale non deve dipendere da come gli individui ordinano queste alternative rispetto a una terza, per
esempio le spese per la ricerca sull’AIDS. Questo criterio viene definito anche indipendenza delle alternative irrilevanti.
• Non dittatorialità: non è ammessa la dittatura, nel senso che le preferenze della società non devono riflettere solo quelle di
un singolo individuo.
in una società democratica, è impossibile trovare una regola di decisione sociale in cui tutti i criteri che caratterizzano il metodo
di scelta in una società democratica, siano validi contemporaneamente.
• Soluzioni al problema posto dal Teorema di Arrow:
• indebolimento dei requisiti elencati dal Teorema
• abbandono dell’approccio basato sulle preferenze (cioè sulle utilità individuali) – cosiddetto approccio welfarista – per
adottare approcci diversi
3. Teoria delle scelte collettive
Democrazia Rappresentativa (1)
Lo Stato è fatto di individui (politici, giudici, burocrati ecc...) e un
modello realistico di decisione collettiva deve studiare gli obiettivi e i
comportamenti di chi ha il compito di governare
Per spiegare la condotta dello Stato bisogna studiare l’interazione tra
politici, funzionari statali e gruppi di pressione.
• Politici: nelle democrazie rappresentative i cittadini eleggono dei
rappresentanti che decidono a loro nome. I votanti distribuiscono i
loro voti in modo da massimizzare la loro utilità, mentre i candidati
cercano di massimizzare il numero di voti ricevuti.
• Teorema di Downs (1957): Downs ha dimostrato che un politico che intende
massimizzare i voti adotta il programma preferito dal votante mediano, cioè
dal votante che si trova esattamente al centro della distribuzione delle
preferenze  i sistemi maggioritari producono programmi che tendono
all’elettore mediano.
3. Teoria delle scelte collettive
Democrazia Rappresentativa (2)
• Funzionari pubblici (o burocrati): le leggi approvate dai parlamenti hanno spesso formulazioni
piuttosto vaghe e il modo in cui vengono effettivamente attuati i programmi dipende dai
funzionari pubblici.
• Nonostante i funzionari siano bersaglio di critiche, bisogna sempre tener presente che uno Stato moderno
non può funzionare senza burocrazia.
• Modello di Nikasen: nel settore privato un individuo che voglia rendere più redditizia la sua azienda è
incentivato a farlo perché ha come ricompensa un salario più elevato, mentre l’interesse dei burocrati è
focalizzato su reputazione, potere, clientelismo, dato che le opportunità di miglioramento dei salari sono
minime. Poiché il potere e lo status sono in relazione diretta con la dimensione del bilancio a disposizione del
funzionario, egli tende a massimizzarlo, aumentando le dimensioni dell’ente pubblico che gestisce. 
implicazione del modello di Nikasen: i burocrati hanno forti incentivi a impegnarsi in attività di promozione
per far si che il legislatore percepisca l’utilità del loro ufficio.
• Gruppi di pressione: i cittadini che vogliano condizionare la politica di governo possono agire non
solo come singoli elettori, ma gli individui con interessi comuni possono esercitare un fortissimo
potere agendo insieme. I gruppi di interesse spesso dispongono di ingenti risorse grazie alle quali
sono in grado di contribuire alle campagne elettorali e/o di pagare tangenti.
• Il triangolo di ferro: la triplice relazione tra politici, funzionari, gruppi di interesse. Secondo alcuni
sociologi questa triplice relazione è l’aspetto più importante della politica moderna dei paesi
occidentali, specialmente gli USA. Ma perché i programmi godono del favore della maggioranza se
in realtà vanno a beneficio solo di chi fa parte del «triangolo di ferro»? La risposta è nelle
asimmetrie informative: gruppi di pressione e burocrati sono ben organizzati e si avvalgono
dell’arma dell’informazione, mentre coloro che sopportano i costi non sono organizzati e a volte
non si rendono nemmeno conto di ciò che accade.
3. Teoria delle scelte collettive
L’intervento statale in economia
• L’intervento statale in economia è aumentato molto rapidamente. Questo fenomeno può
essere spiegato in diversi modi:
• I cittadini vogliono un maggior intervento dello Stato.
• Approccio marxista: l’incremento dell’intervento statale è un fatto inevitabile perché il settore
privato tende alla sovrapproduzione e lo Stato, controllato dai capitalisti, aumenta la spesa (spesa
sociale o militare) per assorbire questa produzione. Si sostiene, inoltre, che l’aumento della spesa
non sia sostenibile finanziariamente e che lo Stato capitalista sia destinato a crollare.
• Il «displacement effect» di Peacock e Wiseman: 1) la spesa pubblica segue un trend di crescita; 2)
eventi eccezionali (esempio: la guerra, trasformazioni sociali, ecc.) aumentano l’intervento dello
Stato in economia cui segue un aumento della pressione tributaria; 3) ad evento concluso, l’inerzia
impedisce di tornare a livelli precedenti e la spesa pubblica riprende il trend di crescita ad un
livello più alto. Quindi, nel peso della finanza pubblica si verifica uno spostamento
(“displacement”) definitivo
• Alcuni gruppi sociali (individui a basso reddito) utilizzano lo Stato per ridistribuire il reddito a loro
favore. Finché il reddito medio supera quello mediano (e quindi la maggioranza dei votanti ha un
reddito inferiore al reddito medio), i politici sono incentivati ad aumentare il grado di
ridistribuzione del reddito operato dallo Stato. Questa teoria ha un limite, in quanto non considera
i metodi utilizzati dallo Stato per ridistribuire il reddito: l’impatto dell’intervento pubblico sulla
distribuzione del reddito non è chiaro e può accadere che la spesa pubblica favorisca le classi di
reddito medio-alto (obiezione di Stigler)  Stigler (1970) sostiene che «La spesa pubblica ha come
principale beneficiario la classe media ed è finanziata dalle imposte in massima parte a carico di
poveri e ricchi»
3. Teoria delle scelte collettive
Come controllare la spesa pubblica?
• Rigidità della spesa pubblica: una parte della spesa pubblica, riguardante
principalmente impegni già assunti (diritti e concessioni del passato) è
rigida e non controllabile, quindi si può intervenire solo sul futuro.
• Incentivi ai burocrati: diminuire il salario del burocrate quando crescono le
dimensioni dell’ente, ma ci sono effetti indesiderati (il burocrate potrebbe
ridurre troppo il bilancio dell’ente pubblico, aumentando il proprio salario a
scapito degli aventi diritto all’assistenza)
• Maggior ricorso alle aziende private per la produzione di beni e servizi
• Vincoli di bilancio. Ma l’adozione di un bilancio richiede la previsione
dell’andamento delle variabili macroeconomiche (PIL, inflazione, ecc.) sulla
cui evoluzione, però, anche i più onesti esperti possono dare valutazioni
molto diverse
3. Teoria delle scelte collettive
4. Esternalità
Esternalità
• Quando l’attività di un soggetto economico, consumatore o produttore, influisce sul benessere di un
altro direttamente, ossia non mediante variazioni di prezzi, l’effetto viene definito esternalità
(fallimento di mercato). ATTENZIONE: il fatto che il comportamento di alcuni influisca sul benessere di
altri non provoca necessariamente il fallimento di mercato; fintantoché gli effetti vengono trasmessi
mediante i prezzi, i mercati sono efficienti!
• L’effetto può essere tale da ridurre il benessere, esternalità negative, o aumentarlo, esternalità positive.
• In generale le esternalità si riscontrano in assenza di diritti di proprietà: fintantoché una risorsa è di
proprietà di qualcuno, il prezzo ne riflette il valore per usi alternativi e la risorsa viene impiegata in modo
efficiente; al contrario le risorse di proprietà comune vengono utilizzate in maniera non efficiente perché
nessuno è incentivato ad economizzarne l’uso
• In presenza di esternalità, i mercati non producono un livello di output socialmente efficiente. In
particolare:
• in presenza di esternalità negativa i mercati producono di più rispetto alla quantità efficiente perché i costi sostenuti
dal produttore non tengono conto dei danni arrecati alla collettività. Il produttore continua a produrre finché il
beneficio marginale (=beneficio ottenuto dal produttore per una unità aggiuntiva di prodotto) non diventa uguale al
costo marginale privato (=costo sostenuto dal produttore per una unità aggiuntiva di prodotto). Tuttavia, la produzione
socialmente efficiente sarebbe quella in corrispondenza della quale il beneficio marginale, misurato dal prezzo, è
uguale al costo marginale sociale (= costo marginale privato + danno marginale esterno, cioè il danno subito dalla
collettività per una unità aggiuntiva di prodotto) e sarebbe minore dell’output prodotto dal mercato
• In presenza di esternalità positiva i mercati producono di meno rispetto alla quantità efficiente perché i benefici
ottenuti dal produttore non tengono conto dei benefici ottenuti dalla collettività. Il produttore continua a produrre
finché il beneficio marginale privato non diventa uguale al costo marginale. Tuttavia la produzione socialmente
efficiente sarebbe quella in corrispondenza della quale il beneficio marginale sociale (= beneficio marginale privato +
beneficio marginale esterno, cioè il beneficio di cui gode la collettività per una unità aggiuntiva di prodotto) è uguale al
costo marginale, e sarebbe maggiore dell’output prodotto dal mercato.
4. Esternalità
La correzione delle esternalità negative:
soluzioni private
• Teorema di Coase: visto che all’origine dell’esternalità c’è l’assenza di diritto
di proprietà, un modo per risolvere il problema è quello di assegnare ai
privati la proprietà delle risorse in questione.
• Il teorema di Coase stabilisce che, una volta attribuiti i diritti di proprietà, i privati
possono accordarsi sul livello di output efficiente.
• Ipotesi alla base: i costi di contrattazione devono essere contenuti (esempio: è
difficile che milioni di persone, coinvolte nelle esternalità come quelle derivanti
dall’inquinamento atmosferico, possano incontrarsi per trattare individualmente e
possano farlo ad un costo ragionevole) e la fonte dell’esternalità facilmente
individuabile (esempio: nel caso dell’inquinamento atmosferico, ammesso che si
stabilisca chi detiene i diritti di proprietà dell’aria, come si individua il responsabile
dell’inquinamento atmosferico tra migliaia di potenziali inquinatori?)
• Fusioni: se l’impresa A acquista l’impresa B, su cui si abbattono le sue
esternalità, non le potrà più ignorare e le considererà insieme agli altri
costi. Le esternalità vengono «internalizzate» fondendo le imprese
coinvolte.
4. Esternalità
La correzione delle esternalità negative:
soluzioni pubbliche
• Imposta à la Pigou: imposta sull’output in quantità uguale al danno marginale sociale che si avrebbe al livello di output
socialmente efficiente, supponendo che sia noto chi provoca l’esternalità e in che misura, cosa che in molti casi è difficile
individuare con certezza. Questa tassa dà al produttore l’incentivo a produrre il volume di output efficiente, compensando
il costo troppo basso di alcuni input: chi produce riduce l’inquinamento fintanto che il costo marginale di riduzione
dell’inquinamento (= costo per ridurre l’inquinamento di una unità addizionale) è minore dell’imposta sulle emissioni;
questo comporta costi marginali uguali per i vari soggetti inquinanti e, quindi, efficienza in termini di costi.
• Sussidio per l’output non prodotto: un sussidio per ogni unità di prodotto in meno può indurre chi inquina a ridurre la
produzione fino al volume di output efficiente, supponendo che il numero delle imprese inquinanti sia fisso. Infatti la
rinuncia al sussidio diventa un costo in più per il produttore. I sussidi però possono determinare profitti più elevati, una
produzione eccessiva nel lungo periodo e sono difficili da gestire amministrativamente.
• Sistema cap-and-trade: creazione di un mercato in cui i diritti di inquinamento possono essere scambiati; in questo
modo lo Stato stabilisce il livello totale di inquinamento e lascia che sia il mercato ad allocare i diritti ad inquinare: si crea
un mercato delle autorizzazioni in cui un soggetto venderà autorizzazioni ad un altro fino a quando i loro costi marginali
sono uguali, il che è efficiente in termini di costi. Questo metodo è vantaggioso solo se gli amministratori hanno poche
informazioni sulla misura dell’esternalità prodotta da ciascuno e quindi hanno difficoltà a determinare la «giusta» tassa
pigouviana. Il prezzo che si paga per l’autorizzazione ad inquinare prende il nome di tassa sulle emissioni. Esempio:
Protocollo di Kyoto. ATTENZIONE: i diritti di inquinamento possono essere messi all’asta dallo Stato o distribuiti ai privati;
nel caso di vendite all’asta, i ricavi vanno al settore pubblico, nel caso della distribuzione i guadagni derivanti dalla loro
successiva vendita andranno alle imprese.
• Regolamentazione: si impone a chi inquina di ridurre l’inquinamento di una certa entità imponendo alle imprese
determinati standard (standard tecnologici, standard di performance) e chi non rispetta le norme va incontro a sanzioni.
La regolamentazione è inefficiente quando le imprese sono più di una e hanno costi diversi di abbattimento
dell’inquinamento: una regolamentazione che impone a tutte le imprese di ridurre l’output della stessa misura (in termini
assoluti o proporzionali) fa si che alcune imprese producano troppo e altre troppo poco; nonostante ciò, è la forma più
diffusa di politica ambientale.
4. Esternalità
Confronto tra imposta sulle emissioni o
sistema cap-and-trade
• Risposta all’inflazione: un’imposta fissa sulle emissioni non tiene conto
dell’inflazione e quindi potrebbe ridursi con il tempo a differenza del sistema
cap-and-trade. L’imposta, relativamente all’inflazione, è meno efficiente del
sistema cap-and-trade, se non viene aggiornata.
• Risposta alle variazioni di costi: il costo marginale di riduzione
dell’inquinamento varia da anno in anno. Variazioni dei costi possono
condurre a riduzioni diverse dell’inquinamento spesso anche
inferiori/superiori a quanto previsto. L’imposta limita i costi di riduzione
dell’inquinamento ma comporta variazioni delle emissioni al variare delle
condizioni economiche. L’imposta, relativamente alla variazione dei costi, è
più efficiente del sistema cap-and-trade.
• Effetti distributivi: l’imposta sulle emissioni genera entrate per lo Stato
mentre il sistema delle autorizzazioni può generare entrate allo Stato solo se
queste sono vendute; però il sistema delle autorizzazioni apre un mercato tra
operatori.
4. Esternalità
Il Protocollo di Kyoto
• Il protocollo di Kyoto è stato un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il
riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di
180 Paesi in occasione della terza Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite
sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
• Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia.
• Il trattato prevedeva l'obbligo di operare una riduzione delle emissioni di elementi di
inquinamento (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra). Il protocollo prevedeva inoltre, per i
Paesi aderenti, la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di
«crediti di emissioni».
• A Parigi (2015) si è svolta la nuova Conferenza mondiale sull’Ambiente in occasione della
ventunesima Conferenza COP21 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici (UNFCCC), per definire il superamento del protocollo di Kyoto e una nuova modalità di
funzionamento e di riduzione delle emissioni.
• L’accordo di Parigi è un accordo globale sulla riduzione dei cambiamenti climatici e prevede un
obiettivo davvero molto ambizioso: contenere l’aumento della temperatura globale del
pianeta ben al di sotto dei 2°C, perseguendo idealmente il goal di +1,5°C, e un’emissione di gas
serra da parte delle attività umane pari a zero da raggiungere durante la seconda metà del XXI
secolo
• Le parti dovranno firmare l'accordo a New York tra il 22 aprile 2016 e il 21 aprile 2017. L’accordo
entrerà in vigore se ratificato da almeno 55 paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle
emissioni globali di gas serra.
4. Esternalità
La correzione delle esternalità positive:
sussidio pigouviano
• Quando un individuo o un’impresa producono esternalità positive, il
mercato fornisce una quantità inferiore dell’attività o del bene, ma un
sussidio adeguato può correggere l’inefficienza.
• Sussidio à la Pigou: come un’esternalità negativa può essere corretta
da una tassa pigouviana, un’esternalità positiva può essere corretta
da un sussidio pigouviano. In particolare, se l’impresa fa ricerca
ottiene un sussidio uguale al beneficio marginale esterno che si
avrebbe in corrispondenza del volume di output ottimo.
• Naturalmente rimangono tutte le difficoltà legate alla misurazione
della quantità e del valore dell’esternalità.
4. Esternalità
5. La redistribuzione dei
redditi
La redistribuzione dei redditi
• Sebbene non esista un accordo generale su cosa si debba intendere
per «equo» (la «giusta» distribuzione del reddito richiede giudizi di
valore, sui quali non si può trovare un accordo in base a un metodo
«scientifico») e su come lo Stato debba ridistribuire il reddito, il
secondo teorema dell’economia del benessere dimostra che
l’efficienza da sola non è sufficiente per valutare una data allocazione
delle risorse
• Esistono molti punti di vista circa l’opportunità di politiche pubbliche
per la redistribuzione del reddito, che vanno dalla perfetta
uguaglianza alla totale assenza di intervento.
5. La redistribuzione dei redditi
La funzione del benessere sociale
• Il «benessere sociale» è una funzione dell’utilità di ciascun individuo,
e aumenta all’aumentare dell’utilità di ciascun individuo; in altri
termini la società migliora la sua condizione quando la migliora uno
qualsiasi dei suoi membri
• Dal punto di vista algebrico, se una società è composta da n individui
e l’utilità dell’i-esimo individuo è Ui, la funzione del benessere sociale
utilitaristica W (welfare) è funzione delle utilità individuali:
W=F(U1,U2,U3,… );
5. La redistribuzione dei redditi
Le ragioni della redistribuzione del reddito
• «Utilitarismo»: qualunque cambiamento migliori la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un
altro, accresce il benessere sociale, pertanto il reddito va redistribuito a condizione che W aumenti. La
funzione di benessere sociale può essere di diversi tipi:
• Funzione additiva: W=U1+U2+U3+…  supponendo che il reddito è fisso, che gli individui hanno identiche funzioni di utilità
e che l’utilità marginale di ciascun individuo diminuisce all’aumentare del reddito (cioè man mano che il reddito di un
individuo aumenta, il suo benessere aumenta ma in misura via via minore), quando il livello di reddito tra individui è
diverso, anche l’utilità marginale sarà diversa e sarà possibile accrescere la somma della loro utilità incrementando il
reddito degli individui più poveri a spese dei più ricchi, fino a raggiungere la perfetta uguaglianza delle utilità e dei redditi.
• Criterio del maximin: W=min(U1,U2,U3,… )  in questo caso il benessere della società dipende dall’individuo che sta peggio
di tutti; lo Stato dovrebbe redistribuire il reddito in modo tale da massimizzare l’utilità dell’individuo con l’utilità minore.
• Ridistribuzione del reddito come «polizza assicurativa contro la povertà»: quando si è benestanti, si pagano
«premi» sotto forma di imposte destinate a finanziare sussidi per coloro che attualmente sono poveri; in caso
di avversità si ha diritto a ricevere sussidi.
• «Egualitarismo dei beni»: Tobin (1970) propose che fossero distribuiti equamente solo alcuni «beni primari»
Altre considerazioni contrastanti:
• Alcuni sostengono che la distribuzione del reddito è irrilevante a condizione che sia il risultato di un processo
«equo» di acquisizione delle risorse: se il principio delle «pari opportunità» è applicato a tutti, il risultato sarà
equo a prescindere dalla distribuzione del reddito che ne derivi
• Nozick e il libertarismo: Non ha senso chiedersi come la «società» dovrebbe ridistribuire il reddito perché
non esiste la società come entità decisionale e non percepisce reddito, solo gli individui percepiscono
reddito. L’unica giustificazione possibile all’attività ridistributiva dello Stato si ha quando la ripartizione
iniziale delle dotazioni è in qualche modo inadeguata
5. La redistribuzione dei redditi
Effetti della spesa pubblica sulla distribuzione
del reddito
• Lo Stato influisce sulla distribuzione del reddito sia con le tasse sia con la spesa pubblica.
• Calcolare l’effetto di programmi di spesa pubblica non è semplice: nella pratica gli economisti ipotizzano
che una data politica vada soltanto a beneficio di coloro a cui è rivolta e che gli effetti di altre variazioni
siano di minore portata.
• Qualsiasi intervento pubblico innesca una serie di variazioni del prezzo che influiscono sul reddito degli
individui sia in quanto consumatori di beni sia in quanto fornitori di input. Esempio: un programma di
sussidio alle abitazioni aumenta la domanda di abitazioni da parte dei poveri, ma i proprietari delle
abitazioni guadagneranno dal conseguente aumento dei prezzi; inoltre aumenteranno i redditi di coloro
che forniscono input per la costruzione (salari dei lavoratori e materiali edili).
• Trasferimenti in natura: spesso si pensa a trasferimenti in natura anziché in denaro, per il desiderio di
instaurare l’ugualitarismo dei beni. OSSERVAZIONE: anche se i trasferimenti in natura sono programmi
rivolti agli individui dal reddito più basso (pensiamo all’edilizia popolare e alle pensioni sociali), tuttavia
anche le persone delle classi medio-alte traggono vantaggio dai trasferimenti in natura (l’istruzione e
l’assistenza sanitaria pubblica sono i due esempi più evidenti).
• Non è semplice stabilire se siano più opportuni trasferimenti in denaro o in natura:
• Un problema dei trasferimenti in natura sono gli elevati costi amministrativi che questi spesso comportano
• Un vantaggio dei trasferimenti in natura può essere il minor numero di «truffe»: se chi appartiene alla classe media è
propenso a mentire per ottenere un sussidio in denaro a cui non avrebbe diritto, lo è di meno nel caso in cui il sussidio
è in natura (es: case popolari)
• Trasferimenti in natura possono essere determinati da opportunismo politico: favoriscono i produttori del bene il cui
consumo si intende assicurare a tutti, che quindi saranno disponibili a sostenere una coalizione politica favorevole a
quel particolare tipo di intervento
5. La redistribuzione dei redditi
6. La spesa sociale: pensioni
e sanità
La spesa sociale
• La vita è piena di incertezze ed eventi inattesi quali una malattia o un
licenziamento possono essere disastrosi per la vita di ognuno; un modo per
proteggersi è quello di acquistare una polizza assicurativa (in cambio di un premio
pagato alla compagnia assicurativa, si ottiene un indennizzo nel caso in cui gli
eventi citati si verifichino). Ma l’assicurazione contro questi eventi è spesso
gestita dallo Stato, per correggere casi di fallimento del mercato (esternalità e/o
di asimmetrie informative) sia per motivi di «equità» o «equitativi»
• In Italia la componente principale della spesa sociale è sempre stata la spesa
previdenziale con un valore tra il 14% e il 17% del PIL; segue la spesa sanitaria che
assorbe circa il 5% del PIL e la spesa assistenziale che non supera mai il 2% del PIL
• Le critiche più frequenti al modello di welfare state adottato negli ultimi 50 anni
in Europa hanno riguardato: inefficienza dei servizi pubblici (la popolazione
domanda servizi di sempre maggior qualità mentre nel pubblico si sprecano
risorse); la spesa crescente sostenuta dalla collettività; gli effetti distributivi non
sempre coerenti ed «equi» che ne sono derivati
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
L’assicurazione sanitaria
• I servizi sanitari non sono beni pubblici puri, in quanto escludibili e
rivali.
• L’assicurazione è la soluzione privata all’assistenza sanitaria e funziona
in questo modo: l’acquirente versa una somma di denaro, che prende
il nome di premio assicurativo, alla compagnia di assicurazione; la
compagnia di assicurazione accetta di erogare una somma di denaro
all’assicurato qualora dovesse verificarsi un evento sfavorevole che
interessa la sua salute, come nel caso di una malattia.
• Tuttavia, vi sono motivazioni di efficienza e di equità che motivano
l’intervento pubblico nella sanità.
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Giustificazioni ad un Sistema Sanitario pubblico
• Motivazioni di «efficienza»  Le «asimmetrie informative»:
• i pazienti difficilmente possono raccogliere tutte le informazioni per accertarsi che la persona che offre la
prestazione medica ha effettivamente la preparazione necessaria, dunque l’accesso al mercato dei servizi
sanitari come medico è regolamentato; dunque sono istituiti l’albo professionale, esame di Stato, ecc.
• La selezione avversa: un assicuratore stabilisce un premio sulla base del rischio medio di una popolazione,
ma gli individui con rischio basso non acquistano la polizza assicurativa (l’assicurazione privata difficilmente
distingue le persone che hanno più probabilità di ammalarsi dalle altre perché l’assicurato conosce meglio
della compagnia assicurativa la situazione effettiva), con la conseguenza che l’assicuratore perde denaro;
per poter recuperare i soldi per gli indennizzi da dare alle persone malate, l’assicuratore dunque applicherà
un premio più alto, ma così si assicureranno solo coloro che sanno di avere una grossa probabilità di
ammalarsi; di conseguenza per avere profitti la compagnia deve praticare premi sempre più alti con la
conseguenza che sempre meno gente si assicura: si tratta di un circolo vizioso che può condurre alla
paralisi del mercato. Questo fenomeno viene talvolta descritto con l’espressione piuttosto colorita di
spirale della morte.
• Per evitare la variabilità dei profitti, è probabile che le assicurazioni non coprano eventi come le epidemie,
in cui i rischi a cui è sottoposta la popolazione non sono indipendenti
• Motivazioni di «equità»: la sanità pubblica considerata come intervento «equo»: chi lo sostiene,
ritiene che il diritto alla cura rientri tra i diritti di cittadinanza e che vada quindi garantito a tutti,
indipendentemente da reddito, salute o luogo di provenienza
• Paternalismo: gli individui potrebbero non comprendere l’utilità della copertura assicurativa, o
non essere abbastanza lungimiranti da premunirsi in tempo. Gli argomenti paternalisti
suggeriscono che gli individui dovrebbero essere costretti «per il loro bene» ad acquistare
un’assicurazione sanitaria, pubblica o privata che sia.
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Sanitario Nazionale in Italia
• La spesa pubblica per i servizi sanitari in Italia era pari al 14,89% della spesa sociale nel 1992,
è scesa al 13,34% nel 1998 ed è stata il 13,9% nel 2011. In rapporto al PIL, è passata dal
5,77% del 1992 al 5,01% nel 1998, per superare il 6% nel 2011
• Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato introdotto in Italia nel 1978 con l’obiettivo di
fornire un servizio universale, ossia diretto a tutti indipendentemente dal livello di reddito,
dalla condizione occupazionale e professionale. Il SSN doveva essere finanziato con la
fiscalità generale e per l’utente finale le prestazioni dovevano essere gratuite.
• In realtà nel corso degli anni sono stati introdotti i cosiddetti ticket: somme di entità inferiore
rispetto al costo della prestazione, ma finalizzate a responsabilizzare gli utenti nella domanda
di visite e farmaci
• A partire dal 1992 è stato avviato un ampio processo di riforma giustificato dal fatto che le
risorse non sempre sono state impiegate in modo efficiente, sia perché per poter aderire
all’Unione Monetaria Europea era comunque necessario contenere la spesa pubblica italiana
• La riforma ha modificato sia la gestione del SSN sia le sue modalità di finanziamento. Nel
1998 è stata introdotta l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) il cui gettito,
insieme all’addizionale regionale IRPEF, è interamente destinato al finanziamento del SSN;
questi (IRAP + addizionale regionale IRPEF) sono tributi propri delle Regioni, che sono così
responsabilizzate dal finanziamento del servizio di loro competenza.
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Giustificazioni ad un Sistema Pensionistico
pubblico - Le pensioni previdenziali
• La pensioni previdenziali sono lo strumento per far si che nel corso dell’attività
lavorativa gli individui risparmino una somma tale da mantenere lo standard di
vita raggiunto al momento della cessazione del lavoro
• Essendo un investimento a lungo termine, l’intervento pubblico è necessario ad
assicurare i cittadini contro gestioni azzardate e fallimenti degli operatori.
• Necessità di garantire rendite in termini reali al momento della pensione:
l’assicurazione, per fornire una rendita in termini reali, deve assicurare il
pensionato dal rischio dell’inflazione; ma questa colpisce l’intera popolazione e si
presenta come un fenomeno in cui i rischi individuali non sono indipendenti, in
maniera simile all’epidemia nel caso dell’assicurazione sanitaria. La non
indipendenza dei rischi individuali aumenta a tal punto la volatilità dei profitti
delle imprese da indurle a non coprire l’evento, e questo giustifica l’intervento
pubblico
• Argomentazioni di tipo «paternalistico»: gli individui da soli, pur essendo avversi
al rischio e desiderosi di mantenere sempre lo stesso standard di vita, forse
volontariamente non riuscirebbero a risparmiare somme sufficienti
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Giustificazioni ad un Sistema Pensionistico
pubblico - Le pensioni assistenziali
• Le pensioni assistenziali hanno come obiettivo quello di assicurare a tutti,
indipendentemente dalla capacità lavorativa, un reddito minimo. Si tratta
delle pensioni di invalidità e dei sussidi per i disoccupati
• Intervento pubblico nelle pensioni di invalidità: un privato può garantire la
copertura assicurativa ai lavoratori che incidentalmente perdono la
capacità di lavorare, ma non a coloro che non hanno mai lavorato perché
sono stati sempre invalidi (nessun privato sarebbe disposto ad assicurarli);
la necessità che tutti gli invalidi abbiano un reddito minimo giustifica
l’intervento pubblico
• Intervento pubblico nei sussidi di disoccupazione: la compagnia di
assicurazione privata, una volta stipulato un contratto, dovrebbe sostenere
costi troppo alti per verificare che il lavoratore ne rispetti i termini (il
lavoratore potrebbe non essere incentivato a impegnarsi nell’attività
lavorativa, non dovendo sopportare interamente le conseguenze di un
licenziamento, o potrebbe rifiutare occasioni di lavoro)
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Pensionistico (1): Classificazione
delle pensioni
• Pensioni previdenziali:
• Pensioni di vecchiaia = destinate a chi ha cessato l’attività lavorativa per limiti
di età
• Pensioni di anzianità = destinate a chi ha raggiunto un certo numero di anni di
contribuzione
• Pensioni assistenziali:
• Pensioni di invalidità = destinate a chi incidentalmente perde la capacità di
lavorare
• Pensioni per superstiti = destinate a chi, anche se non ha lavorato, è legato da
vincoli familiari con lavoratori deceduti
• Pensioni sociali = destinati a chi è privo di mezzi di sostentamento,
indipendentemente dal fatto che abbia lavorato o meno
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Pensionistico (2): Classificazione dei
Sistemi Pensionistici
• Le entrate dei sistemi previdenziali pubblici sono i contributi versati dai lavoratori e datori di
lavoro: il «gettito contributivo»
• Classificazione dei sistemi pensionistici in base a come viene utilizzato il gettito contributivo
• Sistemi a «ripartizione»: il gettito contributivo è destinato al finanziamento delle prestazioni erogate
in quello stesso periodo (gli occupati pagano le pensioni a chi ha cessato di lavorare). Il finanziamento
delle pensioni dipende dal gettito contributivo, che dipende a sua volta dal numero degli occupati e
dal tasso di crescita dei salari (legato al tasso di produttività del lavoro): a parità di aliquota
contributiva, all’aumentare dei salari e del numero dei salariati, aumenta il gettito
• Sistemi a «capitalizzazione»: il gettito contributivo è investito nel mercato dei capitali e, al momento
del pensionamento, la pensione è pari ai contributi versati aumentati del tasso di rendimento
ottenuto dal loro impiego
• Classificazione dei sistemi pensionistici in base al criterio utilizzato per definire l’ammontare
della pensione
• Sistemi «retributivi»: la pensione è calcolata facendo riferimento al salario del lavoratore (può essere
il salario dell’ultimo periodo di attività lavorativa o una media di tutta la vita lavorativa). L’obiettivo è
quello di assicurare al pensionato il mantenimento di uno standard di consumi simile a quello tenuto
durante il periodo in cui lavorava
• Sistemi «contributivi»: la pensione dipende dall’ammontare dei contributi versati durante la vita
lavorativa ma il tasso di remunerazione non è il tasso di mercato, come nei sistemi a capitalizzazione,
bensì è definito dalla legge a priori. L’obiettivo è quello di vincolare i singoli ad un risparmio forzoso in
vista del periodo di inattività
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Pensionistico (3): Sistemi pensionistici
pubblici e patti intra e intergenerazionali
• Tutti i sistemi pensionistici pubblici si basano su un qualche patto tra generazioni e che l’aspetto
più delicato delle riforme è proprio il fatto che va ridefinito questo accordo tra lavoratori e anziani
e il ruolo dello Stato come garante di tale patto. Comunque, la struttura di un sistema
pensionistico è sempre piuttosto complessa per cui i trasferimenti di risorse non sono solo tra
generazioni, ma anche fra categorie di lavoratori e tra lavoratori appartenenti a settori differenti.
• Nei sistemi a capitalizzazione i trasferimenti di risorse tra generazioni sono determinati dalla
differenza tra il tasso di remunerazione dei contributi versati che lo Stato assicura ai pensionati e
l’andamento dei mercati finanziari: se il tasso di remunerazione dei contributi versati supera
quello di mercato, è la generazione giovane che trasferisce risorse agli anziani e viceversa quando
la remunerazione riconosciuta sia inferiore a quella di mercato.
• Nei sistemi a ripartizione, per capire i trasferimenti di risorse tra le generazioni si utilizza l’aliquota
contributiva di equilibrio (= aliquota contributiva calcolata di anno in anno che, applicata al monte
dei redditi, restituisce l’importo complessivo dei contributi previdenziali). Consideriamo tre tra i
possibili patti tra generazioni:
• il tasso di sostituzione tra pensione e retribuzione è fisso: in questo caso la pensione è fissa. Se la popolazione
e/o la produttività e i salari diminuiscono, cresce l’aliquota contributiva, mentre se aumentano, l’aliquota
contributiva scende  l’onere/il beneficio ricade sui giovani lavoratori
• il rapporto monte pensioni/monte salari è fisso: in questo caso l’aliquota contributiva è fissa. Se la popolazione
diminuisce, diminuisce la pensione pro capite, mentre se la produttività aumenta, aumenta anche la pensione
pro capite e il salario netto  l’onere/il beneficio ricade sui pensionati
• il rapporto tra pensione pro-capite e salario al netto dei contributi è costante: in questo caso se diminuisce la
popolazione, si hanno effetti negativi sia sul salario netto sia sulla pensione pro capite ed entrambe le
generazioni sopportano l’onere dell’andamento della popolazione
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Pensionistico (4): i rischi
Un contratto pensionistico ha normalmente una durata (30-40 anni di versamenti ed altri 25-30 di pagamento
della pensione). È ragionevole che su orizzonti temporali così lunghi sia improbabile prevedere con certezza, al
momento della sottoscrizione del contratto, l’andamento delle principali variabili che concorrono a
determinare il rendimento finale del piano (la pensione). I principali rischi dei sistemi pensionistici sono:
• Il rischio di inadeguatezza dei rendimenti: nonostante il versamento di contributi, la prestazione
previdenziale non garantisce una sopravvivenza dignitosa. È più forte nei sistemi a capitalizzazione ed è a
carico dei pensionati.
• Il rischio inflazionistico: il valore reale della pensione non si conserva nel tempo a causa della crescita dei
prezzi. È a carico dei pensionati nei sistemi a capitalizzazione (rischio non assicurabile). È a carico dei giovani
(pensionati) se (non) esistono forme di indicizzazione delle pensioni ai prezzi, nei sistemi a ripartizione.
• Il rischio salariale: legato alle posizioni economiche relative di lavoratori e pensionati (rapporto tra salari e
pensioni). È a carico dei pensionati nei sistemi a capitalizzazione (dinamica dei salari non influenza dinamica
delle pensioni). È a carico dei giovani (pensionati) se (non) esistono forme di indicizzazione delle pensioni ai
salari nei sistemi a ripartizione.
• Il rischio demografico: è relativo alla possibilità che il tasso di crescita della popolazione possa seguire
dinamiche non previste. Il rischio demografico è evidente nel sistema a ripartizione: se la popolazione non
cresce, un numero ridotto di lavoratori deve sostenere una spesa per pensioni sempre più onerosa.
L'indicatore utilizzato per valutare questo il rischio è il rapporto tra popolazione pensionata e attiva.
• Il rischio politico: è relativo alla possibilità che, durante il periodo del contratto pensionistico, il Parlamento
modifichi i parametri che regolano il funzionamento del sistema pensionistico. È un rischio molto più forte
nel sistema a ripartizione.
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Il Sistema Pensionistico (5): effetti sul
comportamento economico degli individui
• Il punto di partenza è la teoria del ciclo vitale del risparmio (Modigliani),
secondo la quale le decisioni di consumo e risparmio (il comportamento
economico) da parte degli individui si basano su considerazioni riguardanti
la loro vita intera: durante la vita lavorativa, gli individui risparmiano parte
del loro reddito per accumulare i fondi dai quali potranno attingere
durante il periodo in cui saranno in pensione.
• L’effetto sostituzione della ricchezza: secondo questa teoria, i lavoratori
sono consapevoli che, in cambio dei contributi versati alla previdenza
sociale, riceveranno una data pensione. Se considerano i contributi della
previdenza sociale un mezzo per “risparmiare” in funzione di questi
benefici futuri, tenderanno a risparmiare meno per conto loro; in effetti la
previdenza sociale tende a “spiazzare” il risparmio privato, fenomeno noto
con il nome di «effetto sostituzione della ricchezza».
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (1)
• In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, il sistema previdenziale era a ripartizione di tipo retributivo e
caratterizzato non solo da un imponente debito previdenziale, ma anche da marcate differenziazioni di
trattamento tra categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e tra settori dell’economia (industria,
agricoltura e servizi).
• Inoltre, per un lungo periodo di tempo, è stato fatto un uso distorto di alcune prestazioni: le pensioni di
anzianità e quelle di invalidità sono state utilizzate al posto dei sussidi alla disoccupazione per gestire le fasi
negative del ciclo economico e i processi di trasformazione della produzione.
• Con il ridursi dei tassi di crescita della popolazione, l’invecchiamento, e la riduzione dei tassi di crescita e di
produttività del lavoro il sistema a ripartizione di tipo retributivo è divenuto insostenibile e si è dovuti
passare gradualmente ad un sistema a ripartizione di tipo contributivo, detto «senza patrimonio di
previdenza», cioè le pensioni, calcolate con una formula predefinita in base ai contributi versati, sono pagate
con le entrate correnti (= gettito contributivo + trasferimenti dalla fiscalità generale) e non dal patrimonio di
previdenza derivante dall'accantonamento dei contributi obbligatori. Non vi è quindi un patrimonio di
previdenza accumulato dall'ente previdenziale, che sia di garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti
dei pensionati attuali e futuri.
• Con il prioritario intento di contenere la spesa, il sistema previdenziale italiano è stato radicalmente
modificato con le riforme Amato (d.lgvo 503/92) e Dini (L. 335/95). Successivi interventi su questa materia
sono stati fatti sotto il primo Governo Prodi (art. 59, L. 449/97) e con il secondo Governo Berlusconi (L.
243/2004). Nel biennio 2009- 2011 sono stati adottati ulteriori provvedimenti destinati a contenere la spesa
pensionistica nel breve periodo. Infine, una modifica sostanziale della materia è stata adottata dal primo
Governo Monti (articolo 24, legge 214/2011) con la cosiddetta riforma Fornero. Tutto ciò ha portato ad un
progressivo aumento dei requisiti anagrafici e di contributi per accedere alla pensione, e alla modifica del
calcolo della stessa.
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (2)
• Riforma Amato: viene aumentata l’età (da 60 a 65 anni per gli uomini, da 55 a 60 anni per le
donne) per avere diritto alla pensione di vecchiaia (per la quale è necessario aver contribuito per
almeno 20 anni) o aver lavorato almeno 35 anni per avere la pensione di anzianità. Inoltre è stato
stabilito che la pensione fosse calcolata moltiplicando una percentuale (detta tasso di
rendimento) per la cosiddetta retribuzione pensionabile.
• Il tasso di rendimento era pari al 2% per ciascun anno di contribuzione, variando così da un minimo del 40%,
per coloro che avevano raggiunto i requisiti anagrafici e i 20 anni di contributi necessari ad avere la pensione
di vecchiaia, a un massimo dell’80%, per chi aveva 40 anni di contributi.
• La retribuzione pensionabile era una media delle retribuzioni imponibili di tutti gli anni in cui il lavoratore
aveva contribuito (potendo escludere dalla media quelle inferiori del 20%, a condizione che non superassero
un quinto delle retribuzioni considerate).
• Riforma Dini: ha trasformato il sistema pensionistico italiano da sistema a ripartizione di tipo
retributivo a sistema a ripartizione contributivo, ed era previsto che si applicasse integralmente a
coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire dal 1996.
• Primo Governo Prodi: duplice obiettivo di accelerare l’uniformazione della normativa dei regimi
pensionistici e di elevare – per alcune categorie di lavoratori – i requisiti di età per la pensione di
anzianità.
• Secondo Governo Berlusconi, con la legge 243/2004 (legge Maroni): requisito unico per andare in
pensione: 40 anni di contributi o 65 anni di età (60 per le donne) e 35 di contributi (tutto ciò allo
scopo di contenere ulteriormente la spesa pensionistica di lungo periodo). Si creò il cosi detto
«scalone», termine giornalistico che stava a indicare un diverso trattamento previsto per quelli
che potevano andare in pensione prima del 1°gennaio 2008 e quelli che potevano farlo solo dopo
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (3)
• Secondo Governo Prodi: il cosiddetto scalone era stato sostituito con una serie di “scalini”; veniva
adottato il sistema delle quote secondo il quale il diritto alla pensione si maturava considerando
sia l’età anagrafica, sia quella contributiva. La quota valida allora fissata per andare in pensione l’1
gennaio 2013 era 97, che – per esempio – si poteva raggiungere con 60 anni di età e 37 di
contributi, oppure 65 anni di età e 32 di contributi e con tutte le altre possibili combinazioni.
Valeva sempre la possibilità di avere la pensione di anzianità se si raggiungevano i 40 anni di
contributi.
• Terzo Governo Berlusconi: è stata adottata una modifica della normativa in attuazione di una
sentenza della Corte di Giustizia Europea, che richiedeva l’equiparazione del trattamento
pensionistico per gli uomini e le donne.
• La riforma Fornero (articolo 24, legge 214/2011): modifiche ai requisiti di accesso, al meccanismo
del calcolo degli assegni, ai coefficienti di trasformazione nonché di alcune aliquote contributive.
Tutte queste misure hanno il duplice obiettivo di ridurre la spesa e di migliorare l’equità tra
generazioni rispetto al sistema introdotto dalla riforma Dini. A proposito dei requisiti di accesso la
legislazione vigente prevede due canali di accesso al pensionamento: il pensionamento di
vecchiaia e quello anticipato. Possono accedere al pensionamento di vecchiaia coloro che abbiano
almeno 20 anni di contributi e un’età anagrafica che nel 2020 sarà uguale per tutti e pari a 67
anni. Il pensionamento anticipato richiede una minore età anagrafica ma più anni di contributi
(per gli uomini: 42 anni e 3 mesi; per le donne, 41 anni e 3 mesi).
6. La spesa sociale: pensioni e sanità
7. Analisi Costi-Benefici
Analisi costi-benefici
• Il concetto di «funzione del benessere sociale» è di scarso aiuto nella
valutazione quotidiana di progetti alternativi
• L’analisi costi-benefici è un insieme di procedure sistematiche che
aiutano l’operatore pubblico a scoprire se i benefici sociali di un
progetto pubblico (una scuola, una strada, etc.) superano i costi
sociali.
• L’analisi costi-benefici aiuta l’operatore pubblico a capire se è
opportuno o meno realizzare un progetto pubblico.
7. Analisi Costi-Benefici
Il Valore Attuale
• È il valore che ha oggi («attuale») una somma di denaro da ricevere o pagare in futuro.
Serve a confrontare somme di denaro (costi e benefici di un progetto) in tempi diversi.
• Per calcolare il valore attuale di una somma che si avrà tra un anno, si divide quest’ultima
per (1+r), dove r è il tasso di interesse detto anche «tasso di sconto». In generale, in
assenza di inflazione, il valore attuale di R euro allo scadere di T anni è
Va = R/(1+r)T (1+r)T è detto «fattore di sconto»
• Esempio: con un tasso di sconto del 5% annuo, il valore attuale di un progetto che
renderà 1 milione di € tra 20 anni è pari a: 1.000.000€/(1+0,05)20=376.889,5€
• Qui si presume che il tasso di sconto sia costante; se invece cambia nel tempo, per cui nel
primo anno il tasso è r1, nel secondo è r2 e così via, il valore attuale di R euro restituita tra
T anni è
Va = R/[(1 + r1) * (1 + r2) * … * (1 + rT)]
• Consideriamo ora un flusso di reddito: ogni anno viene riscossa una somma R0, R1, R2, …,
RT , fino all’anno T; per calcolare il valore attuale di un flusso di reddito si attualizza
ciascuna delle cifre riscosse in periodi diversi, e poi si sommano:
7. Analisi Costi-Benefici
Il Valore Attuale in presenza di inflazione (1)
• Il valore della moneta può essere classificato in due modi:
• valore nominale: il valore impresso sulla moneta
• valore reale: il potere di acquisto della moneta (cioè la quantità di beni e servizi che
in un dato momento può essere acquistata con l'impiego della moneta).
• Valore reale e valore nominale non coincidono, poiché il valore nominale
non è altro che un numero mentre il valore reale è l'effettivo quantitativo
di ricchezza della quale disponiamo. Il fenomeno che influisce su questa
diversità è l'inflazione, cioè un continuo aumento dei prezzi che provoca un
deprezzamento della moneta: tra un anno il valore nominale di una
banconota da 100€ rimane uguale mentre il valore reale diminuisce. La
relazione tra valore reale e valore nominale è:
Valore reale di una somma erogata tra n anni = valore nominale / (1+inflazione annua)^n
Valore reale di una somma erogata n anni fa = valore nominale * (1+inflazione annua)^n
Esempio: valore reale di 100€ tra 2 anni con inflazione del 2% = 100€/(1+0,02)^2 =
96,12€
7. Analisi Costi-Benefici
Il Valore Attuale in presenza di inflazione (2)
• Lo stesso discorso vale per i tassi di interesse; il tasso di interesse reale è il tasso di
interesse corrente (tasso di interesse nominale) al netto del tasso di inflazione atteso:
Tasso di interesse reale = (1+tasso di interesse nominale)/(1+inflazione)-1
che per valori bassi si può approssimare a:
Tasso di interesse reale = tasso di interesse nominale - inflazione
• Quando è prevista inflazione π, i rendimenti futuri si rivalutano (aumentano
all’aumentare dei prezzi) e quindi per calcolare il valore attuale bisogna «scontarli»
tenendo conto anche dell’inflazione. Il calcolo del valore attuale, quindi, non cambia sia
che si usino grandezze reali che nominali, l’importante è essere coerenti:
• se per attualizzare una somma si usa il tasso di interesse corrente (nominale), i rendimenti
dovranno essere misurati in termini nominali
• se per i rendimenti si usa il valore reale, anche il tasso di sconto deve essere reale, ossia tasso di
interesse corrente (nominale) meno tasso di inflazione atteso
Valore nominale Tasso di sconto nominale
Valore reale Tasso di sconto reale
7. Analisi Costi-Benefici
Analisi di un progetto privato
• Il problema centrale dell’analisi costi-benefici di progetti pubblici è la valutazione degli input e
degli output.
• L’azienda deve rispondere a due domande. La prima: è opportuno realizzare questi progetti, ossia
sono ammissibili? L’azienda potrebbe, infatti, scegliere di non realizzare alcun progetto. La
seconda: se entrambi i progetti sono ammissibili, qual è il migliore?
• Un progetto è ammissibile solo se il suo rendimento netto è positivo, cioè se il valore attuale dei
benefici futuri (al netto delle imposte) è maggiori del valore attuale dei costi. Se entrambi i
progetti sono ammissibili e l’azienda può realizzarne solo uno dei due, non resta che scegliere
quello con il rendimento netto maggiore.
• I benefici di un progetto sono i ricavi ottenuti, i costi sono quelli relativi agli input ed entrambi si
misurano in base ai prezzi di mercato.
• Il tasso di sconto è un elemento chiave dell’analisi, infatti diversi tassi di sconto possono condurre
a conclusioni molto diverse: se si sceglie un tasso di sconto troppo alto, si discriminano
negativamente i progetti con rendite concentrate in un futuro relativamente lontano (maggiore è
il tasso di sconto, minore è il loro valore attuale) e viceversa
• Il tasso di sconto scelto da imprenditori privati dovrebbe riflettere il tasso di rendimento di
eventuali investimenti alternativi, sebbene sia praticamente difficile individuare con esattezza
questo tasso.
BENEFICI NETTI ATTUALIZZATI – COSTI ATTUALIZZATI > 0
7. Analisi Costi-Benefici
Analisi di un progetto pubblico (1)
• Anche gli operatori pubblici per scegliere tra progetti alternativi si basano sul criterio del
valore attuale, ma nel settore pubblico costi, benefici e tassi di sconto possono essere
calcolati in modo diverso da quanto fatto per il settore privato.
• CALCOLO DEL TASSO DI SCONTO NEL SETTORE PUBBLICO. Tre misure possibili :
• Il tasso di rendimento lordo (al lordo delle imposte) del settore privato
• Una media ponderata dei tassi di rendimento lordo e netto del settore privato: siccome gli
investimenti del settore pubblico riducono sia i consumi sia gli investimenti del settore privato, si
utilizza una media ponderata dei tassi di rendimento al lordo e al netto delle imposte; si impiega
come peso, per i tassi di rendimento lordi, la parte di denaro sottratta agli investimenti (non si
considerano le imposte sui rendimenti degli investimenti perché il tasso di rendimento al lordo
dell’imposta misura il valore dell’output che l’investimento avrebbe generato per l’intera società,
indipendentemente dal fatto che l’intera somma rimanga all’investitore o che parte di essa vada allo
Stato sotto forma di imposte) e, per i tassi di rendimento netti, la parte sottratta ai consumi. In
pratica è difficile stabilire quali siano le risorse che si sottraggono ai consumi e agli investimenti e
’impossibilità di disporre di tutte le informazioni necessarie diminuisce l’utilità di questo approccio.
• Il tasso sociale di sconto: è il tasso al quale la società è disposta a rinunciare al consumo attuale in
cambio di quello futuro, cioè il valore che la società attribuisce al consumo sacrificato per finanziare
un dato progetto. Solitamente il tasso sociale di sconto è inferiore ai tassi di rendimento del settore
privato. Le ragioni sono molte: interesse per le generazioni future, paternalismo, inefficienza del
mercato, etc. I sostenitori dell’utilizzo di un tasso sociale di sconto sottolineano che i tassi di sconto
basati sul settore privato sono troppo elevati per riflettere correttamente gli interessi delle
generazioni future; gli oppositori, invece, ritengono che essi siano adeguati a tale scopo.
7. Analisi Costi-Benefici
Analisi di un progetto pubblico (2)
• CALCOLO DEI COSTI E BENEFICI NEL SETTORE PUBBLICO. Il prezzo di mercato, usato per
misurare i Costi e i Benefici, nei mercati imperfetti può non riflettere i costi e i benefici
sociali. Il calcolo di costi e benefici dei progetti pubblici deve quindi tenere conto di
diversi aspetti:
• Se i prezzi di mercato non riflettono il costo marginale sociale, a causa delle imperfezioni del
mercato, si possono correggere con i prezzi ombra. Il prezzo ombra è il costo marginale sociale di
un bene che si può stimare a partire dai prezzi di mercato: pur divergendo dai prezzi di mercato, si
calcola a partire da questi.
• Se non c’è un mercato di riferimento per il bene in questione e dunque non esiste un suo prezzo di
mercato, il suo valore può essere dedotto osservando il comportamento delle persone. Esempio:
come valutare i benefici nel ridurre le probabilità di morte? Un possibile approccio, spesso
utilizzato nei tribunali per stabilire il risarcimento da accordare ai parenti di una persona deceduta
in un incidente, è quello di calcolare il valore della vita di un individuo come il valore attuale dei
guadagni netti durante la sua vita. Tuttavia, preso in senso letterale, questo approccio sottintende
che la società non subirebbe alcuna perdita se l’individuo fosse una persona anziana, un malato o
un handicappato grave, di conseguenza possono essere privilegiati altri approcci
• I costi e i benefici di certi beni immateriali sono difficili da calcolare. Esempio: non è facile
attribuire un valore in denaro a “beni” quali l’aumento del prestigio nazionale che deriva da un
programma spaziale o alla soddisfazione di godere di un bel paesaggio grazie alla creazione di un
parco
• In generale, per costruire criteri alternativi ai prezzi di mercato nel calcolo dei costi e dei
benefici, si deve far ricorso a modelli economici molto complessi. Di conseguenza la
maggior parte degli economisti ritiene che, in assenza di grosse imperfezioni, i prezzi di
mercato siano il miglior criterio cui riferirsi per calcolare costi e benefici pubblici.
7. Analisi Costi-Benefici
Tranelli nell’analisi Costi-Benefici
• Il tranello della reazione a catena: si calcolano benefici secondari per rendere la proposta
più appetibile senza includere i corrispondenti costi secondari. Esempio: se un Governo
costruisce una strada, il beneficio principale è la riduzione dei costi di trasporto, e allo
stesso tempo, probabilmente, si avranno benefici secondari come la crescita dei profitti
di ristoranti, alberghi e aree di servizio locali; ma può produrre anche perdite: dopo aver
costruito la strada, i profitti delle ferrovie diminuiranno perché molti utenti preferiranno
utilizzare l’auto e un maggior uso di auto può portare a un aumento del costo della
benzina.
• Il tranello della creazione di posti di lavoro: si calcolano i salari come benefici e non
come costi del progetto.
• Il tranello del doppio conteggio: i benefici vengono conteggiati, erroneamente, due
volte. Esempio: supponiamo che un Governo decide di costruire un’opera di irrigazione
per alcuni terreni che attualmente non possono essere coltivati e calcola come benefici,
sommandoli, l’aumento del valore della terra e il valore attuale del flusso di reddito netto
derivante dalle attività agricole. L’agricoltore potrà guadagnare vendendo la terra o
coltivandola, ma poiché l’agricoltore non può fare entrambe le cose
contemporaneamente (vendere e coltivare), conteggiarle come due diversi benefici
significa solo duplicare il beneficio effettivo.
7. Analisi Costi-Benefici
Considerazioni sulla ridistribuzione del
reddito nell’analisi Costi-Benefici
• Esistono opinioni discordi riguardanti l’opportunità o meno di inserire nell’analisi costi-
benefici considerazioni sulla distribuzione dei redditi.
• Criterio di Hicks-Kaldor: Un progetto dovrebbe essere realizzato soltanto se presenta un
rendimento netto positivo, indipendentemente dalle conseguenze in termini di
distribuzione.
• Altri sostengono che le implicazioni distributive di un progetto dovrebbero essere tenute in
considerazione perché il fine dello Stato non è il profitto, ma massimizzare il benessere
sociale. In questa prospettiva si può pensare che lo Stato riesca a correggere la distribuzione
del reddito ponendo particolare attenzione ad una certa fascia di popolazione o gruppo
sociale, presumendo che un beneficio per un membro di questo gruppo valga più di un
beneficio per altri. Una volta stabilito il criterio per capire se un individuo appartiene o no a
quel gruppo, bisogna affrontare la questione di quale sia precisamente il peso dei benefici
per i membri di quel gruppo rispetto al resto della società: per esempio un euro per una
persona povera vale il doppio di un euro destinato a una persona ricca o vale 50 volte tanto?
• È chiaro che le cose non sono così semplici, perché lo Stato non ha né il potere né la capacità
di ridistribuire il reddito in modo ottimale. Inoltre introducendo considerazioni distributive vi
è il pericolo che le istanze politiche dominino l’analisi costi-benefici generando un valore
attuale positivo per qualunque progetto, indipendentemente dalla sua efficienza.
7. Analisi Costi-Benefici
Il problema dell’incertezza nell’analisi
costi-benefici
• Nelle situazioni di incertezza, a parità di condizioni, gli individui tendono a scartare i progetti rischiosi.
• Quando i benefici o costi di un progetto siano incerti, devono essere convertiti in equivalenti certi,
ossia nella cifra certa che gli individui sono disposti a scambiare con una combinazione di esiti incerti
generati da un progetto. Per calcolarlo è necessario conoscere sia la probabilità degli esiti del progetto
sia l’avversità al rischio delle persone interessate. Calcolo dell’equivalente certo:
• L’ammontare di moneta certo che l’individuo considera equivalente ad una combinazione rischiosa è quella che
restituisce la stessa utilità attesa della combinazione rischiosa. Se abbiamo due esiti rischiosi in cui si ricevono le
quantità di moneta c1 e c2 con le rispettive probabilità che si verifichino π1 e π2, l’equivalente certo della
combinazione rischiosa (c1, c2 ) è la quantità di moneta ce che restituisce la stessa utilità della combinazione
rischiosa (c1, c2 ):
u(ce) = π1 u(c1) + π2 u(c2) c1 < ce < c2 u() è l’utilità
• Per l’individuo è indifferente tra ricevere ce con certezza e rischiare tra c1 e c2. Se l’ammontare di moneta certo che
si offre all’individuo è maggiore di ce, egli sceglierà l’ammontare di moneta certo, mentre se l’individuo fosse
chiamato a scegliere tra un ammontare di moneta certo minore di ce e la combinazione rischiosa, egli sceglierebbe
quest’ultima.
• Il premio per il rischio è dato dalla differenza tra il «valore atteso» (π1 c1 + π2 c2) e l’equivalente certo
ce:
rp = (π1 c1 + π2 c2) – ce
• Il premio per il rischio rappresenta la cifra massima che l’individuo è disposta a pagare per ottenere un risultato
certo, cioè per eliminare il rischio della scelta. Maggiore è il premio per il rischio, maggiore è, approssimativamente,
il livello di avversione al rischio della persona.
• Il premio per il rischio è > 0 negli individui avversi al rischio, = 0 negli individui neutrali al rischio, < 0 negli individui
propensi al rischio.
7. Analisi Costi-Benefici
8. Tassazione e
redistribuzione dei redditi
«La tassazione è l’arte di spennare l’oca in modo tale da
avere il massimo di piume con il minimo di starnazzi» -
Jean Baptiste Colbert, Ministro delle Finanze francesi
sotto Re Luigi XIV
Come influisce un’imposta sulla distribuzione
del reddito?
• L’incidenza legale dell’imposta indica il soggetto che è giuridicamente tenuto al
pagamento dell’imposta. Poiché i prezzi possono variare in seguito all’introduzione di
un’imposta, l’incidenza legale non fornisce alcuna indicazione su chi versa veramente
l’imposta.
• Al contrario, l’incidenza economica dell’imposta rappresenta la variazione nella
distribuzione del reddito determinata dalla sua introduzione, ovvero chi ne sopporta
effettivamente l’onere.
• La differenza tra l’incidenza legale e quella economica è la traslazione dell’imposta.
• OSSERVAZIONE 1: Nonostante la maggior parte dei sistemi fiscali preveda la tassazione
sia delle persone fisiche sia delle persone giuridiche, per l’economista solo le persone
fisiche possono pagare le imposte
• OSSERVAZIONE 2: Si dovrebbero considerare sia le fonti sia gli impieghi del reddito. se il
prezzo di un bene aumenta, tutti coloro che tendono a consumarne molto vedono
peggiorare il loro benessere; ma quando l’imposta riduce la domanda, anche i fattori
impiegati nella produzione possono perdere reddito. Nella pratica, per semplificare
l’analisi, gli economisti quando analizzano l’imposta che grava sul consumo di un bene,
ignorano gli effetti dal lato del reddito e quando analizzano l’imposta che grava su un
input, trascurano gli effetti sui consumi
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Analisi dell’«incidenza dell’imposta» in regime
di concorrenza perfetta (1)
• Per comprendere come le imposte modifichino la distribuzione del reddito,
è essenziale comprendere come le imposte producono variazioni dei prezzi
relativi.
• Modello concorrenziale di equilibrio parziale: i prezzi sono determinati in
condizione di concorrenza perfetta e si considererà unicamente il mercato
in cui viene imposto il tributo, ignorano quindi gli effetti su altri mercati.
• Analizzeremo l’incidenza dell’imposta sulle vendite, che può essere di due
tipi:
• Imposta unitaria o specifica = ammontare fisso su ogni unità di bene venduto.
• Imposta ad valorem = imposta con un’aliquota proporzionale al prezzo
Queste imposte possono essere applicate ai beni di consumo (esempio: IVA su prodotti
fisici) o ai fattori di produzione (salari e capitali; esempio: contributi da lavoro)
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Analisi dell’«incidenza dell’imposta»
in regime di concorrenza perfetta (2)
• In presenza di un’imposta unitaria o ad valorem il prezzo pagato dal consumatore differisce dal prezzo
ricevuto dal produttore: Prezzo ricevuto = prezzo pagato – imposta
• La differenza tra il prezzo pagato dai consumatori e quello ricevuto dai produttori è detta cuneo fiscale
• L’Incidenza dell’imposta diminuisce il benessere sia dei produttori che dei consumatori: una parte
dell’imposta è pagata dai consumatori con un aumento del prezzo pagato, la restante parte è pagata dai
produttori con un minor prezzo ricevuto. L’incidenza dell’imposta è quindi indipendente dal fatto che sia
legalmente attribuita ai consumatori o ai produttori
• L’incidenza economica dell’imposta dipende dall’elasticità* della domanda e dell’offerta: più è elastica la
domanda (maggiore è la variazione della quantità domandata in risposta ad una variazione dei prezzi),
minore è la parte di imposta che grava sui consumatori, a parità di altre condizioni, perché più è elastica la
domanda più facile risulta per i consumatori passare ad altri prodotti quando il prezzo sale e di
conseguenza una percentuale maggiore dell’imposta sarà sopportata dai fornitori. Analogamente, più è
elastica l’offerta, minore è la parte di imposta che grava sui produttori, a parità di altre condizioni.
• Queste imposte possono essere applicate, oltre che ai beni di consumo, anche ai fattori di produzione:
• Imposta sui salari: in questo caso l’imposta è pari alla differenza tra il salario pagato dai datori di lavoro e il salario
ricevuto dai lavoratori. Con una domanda di lavoro elastica da parte dei produttori e un’offerta di lavoro anelastica, la
maggior parte dell’imposta viene pagata dai salariati e viceversa.
• Imposta sui capitali: in questo caso l’imposta è pari alla differenza tra l’interesse pagato dalle imprese che domandano
capitale e il rendimento ricevuto dai risparmiatori che offrono capitale. Con un’offerta di capitale elastica e una
domanda di capitale anelastica, la maggior parte dell’imposta viene pagata dagli utilizzatori di capitale, cioè le imprese;
viceversa se la domanda è più elastica dell’offerta.
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Analisi dell’«incidenza dell’imposta» in
mancanza di concorrenza perfetta
• Monopolio (un solo produttore): gli effetti di un’imposta unitaria sui beni prodotti da un
monopolista sono che il prezzo pagato dai consumatori sale, la quantità domandata scende e il
prezzo ricevuto dal monopolista diminuisce; di conseguenza i profitti per unità (dati dalla
differenza tra il prezzo ricevuto e il costo medio totale) diminuiscono. Nonostante il monopolista
goda di ampio potere di mercato e contrariamente a quanto si pensi, in genere è colui che
sopporta l’onere delle imposte introdotte sul prodotto che vende; le imprese in concorrenza
perfetta riescono a trasferire l’onere delle imposte sui consumi più facilmente di quanto non
riesca a farlo il monopolista. Come illustrato in precedenza, la quota precisa dell’onere che ricade
sui consumatori dipende esclusivamente dall’elasticità della domanda
• Oligopolio (un numero limitato di produttori): l’incidenza dipende dalla modalità di variazione dei
prezzi ma non esistendo una teoria generalmente accettata della determinazione dei prezzi in
oligopolio, non esiste una teoria univoca dell’incidenza dell’imposta in un mercato oligopolistico.
Tuttavia è comunque possibile studiare l'incidenza delle imposte ipotizzando tre possibili modalità
di determinazione del prezzo:
• il prezzo viene deciso dalle imprese seguendo un comportamento strategico: a seguito dell'introduzione di
un'imposta ognuna di esse ipotizza che un aumento del prezzo del proprio prodotto potrebbe indurre i propri
clienti ad acquistare da altre imprese che non hanno adottato lo stesso comportamento. Se tutte le imprese si
comportano allo stesso modo, l'imposta sarà sopportata dai venditori
• il prezzo è determinato da precisi accordi fra le imprese (che fanno cartello**): in tal caso gran parte
dell'imposta può essere facilmente trasferita sui consumatori mediante una diminuzione dei livelli di
produzione con conseguente innalzamento del livello del prezzo
• il prezzo è fissato in base al criterio del mark up***, in tale ipotesi l'imposta viene considerata, dalle imprese,
come un costo aggiuntivo per cui essa sarà interamente trasferita sui consumatori
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
*L’elasticità è la sensibilità alla variazione dei prezzi. Maggiore è l’elasticità, maggiore è la variazione della
domanda (dell’offerta) dovuta a una variazione dei prezzi.
Si parla di domanda (offerta)
- elastica quando una variazione percentuale del prezzo causa una variazione della quantità domandata
(offerta) più che proporzionale;
- unitaria se la variazione percentuale dei prezzi causa una variazione ugualmente proporzionale;
- rigida o anelastica se la variazione dei prezzi causa una variazione meno che proporzionale.
**Un cartello è costituito da un gruppo di produttori che agiscono di comune accordo per massimizzare i profitti.
Ogni impresa riduce la produzione per far salire il prezzo fino a quello di monopolio: le imprese, agendo di
comune accordo, si comportano come un monopolista.
***Il criterio del mark-up è una semplicissima regola (che a livello pratico quasi tutti i piccoli imprenditori
utilizzano) consistente nell’applicare una percentuale di margine (spesso chiamata di “ricarico”) al costo
d’acquisto o di fabbricazione dei beni venduti, in modo tale da stabilire il prezzo finale cui questi stessi beni
saranno venduti al consumatore. In formula quindi:
costo d’acquisto (o di produzione) + mark up (in percentuale sul costo) = prezzo di vendita
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Analisi dell’incidenza delle imposte sui profitti
• Le imprese possono essere tassate non solo sulle vendite, ma anche
sul profitto, definito come la differenza tra i ricavi totali e i costi dei
fattori utilizzati nella produzione.
• Un’imposta sui profitti non modifica né i costi marginali né i ricavi
marginali, quindi nessuna impresa è incentivata a cambiare la sua
decisione di produzione. Poiché il livello di prodotto non varia, non
cambia neppure il prezzo pagato dai consumatori, che perciò non
vedono ridurre il loro benessere. Se le imprese massimizzano i
profitti, un’imposta di questo tipo non può essere trasferita ed è
sopportata solo dai proprietari dell’impresa.
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Analisi dell’incidenza delle imposte sui fattori
fissi e durevoli (i terreni e i fabbricati)
• Supponiamo di possedere un terreno (bene fisso e durevole) che renda un canone
attuale R e di trovarci in un mercato concorrenziale perfetto. Se r è il tasso di
interesse, il prezzo della terra è pari al valore attuale del flusso di rendimenti:
• Nel momento in cui viene introdotta l’imposta u, il prezzo del fattore di produzione
fisso tende a scendere del valore attuale di tutti i futuri versamenti di imposte
• Il processo mediante il quale un flusso di imposte viene incluso nel prezzo di
un’attività viene denominato «capitalizzazione»
• A causa della capitalizzazione, la persona che sopporta l’intero onere dell’imposta
è colui che possiede la terra nell’istante in cui viene introdotta l’imposta.
=R(r+1)/r
=(R-u)(r+1)/r
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
Modelli di equilibrio generale
• Le analisi precedenti hanno tenuto in considerazione solo gli effetti e
l’incidenza delle imposte in un solo mercato. Tuttavia, quando si introduce
un’imposta in un settore relativamente grande rispetto all’economia,
considerare solo gli effetti su quel mercato può non essere sufficiente
perché gli effetti traslano su altri mercati.
• L’analisi di equilibrio generale prende in considerazione i modi in cui i
mercati sono connessi tra loro.
• In un modello di equilibrio generale l’imposta su un singolo fattore
introdotta in un particolare settore può finire per influenzare i rendimenti
di tutti i fattori di tutte le industrie.
• L’analisi sui modelli di equilibrio generale sull’incidenza delle imposte è
opera di Harberger. Si basa su ipotesi restrittive che possono non essere
reali ma che servono a semplificare il modello.
• Se un’imposta influisce su molti mercati, l’incidenza dipende dalle reazioni
di numerose curve di domanda e offerta di input e output.
8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
9. Tassazione ed efficienza:
l'eccesso di pressione tributaria
Scienza delle finanze
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Scienza delle finanze

  • 1. Scienza delle Finanze Bibliografia principale: «Scienza delle Finanze», Harvey S. Rosen e Ted Gayer. Donato Mancuso donatomancuso@gmail.com http://donatomancuso.blogspot.com Versione 1.3
  • 2. Indice 1. Introduzione 2. I beni pubblici 3. Teoria delle scelte collettive 4. Esternalità 5. La redistribuzione dei redditi 6. La spesa sociale: pensioni e sanità 7. Analisi Costi-Benefici 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi 9. Tassazione ed efficienza: l’eccesso di pressione tributaria 10. Indicazioni per la politica tributaria: la teoria della «tassazione ottimale» 11. Effetto delle imposte personali sui comportamenti individuali 12. Le modalità di finanziamento dello Stato 13. Il finanziamento in disavanzo 14. Imposte: tipologia e classificazione 15. Il sistema fiscale italiano
  • 3. 1. Introduzione «Le economie di mercato sono macchine straordinariamente efficienti nella produzione della ricchezza, ma assai poco capaci di distribuirla equamente tra coloro che hanno preso parte al processo della sua creazione»
  • 4. Quali sono le concezioni circa il ruolo dello Stato nella società? • Concezione «organicistica», secondo cui gli individui hanno valore solo in quanto contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi della collettività, obiettivi che sono fissati dallo Stato. Esempio più tristemente noto: Nazismo. • Concezione «meccanicistica», secondo cui lo Stato è un artificio creato con il solo scopo di consentire la realizzazione degli obiettivi individuali. Non vi è tuttavia consenso unanime sul ruolo dello Stato: • «Liberali»: credono che lo Stato debba avere poteri estremamente limitati e, nella sfera economica, non sono disposti ad assegnargli alcun ruolo ulteriore rispetto a quelli previsti da Adam Smith. Per dirla con quest’ultimo: «Ogni uomo, laddove non violi le leggi della giustizia, è perfettamente libero di perseguire i propri interessi nel modo che più ritiene opportuno». I liberali sono profondamente scettici circa la capacità dello Stato di migliorare il benessere dei cittadini. • «Socialdemocratici»: sul versante opposto, ritengono che per garantire il bene degli individui sia necessario un intervento pubblico di un certo rilievo, che può assumere forme diverse: leggi sulla sicurezza sul lavoro, regole per l’assegnazione di alloggi pubblici, sussidi per i meno abbienti, etc. A chi obietta che questi interventi finiscono con il violare la libertà personale, ribattono che la libertà è più della semplice assenza di coercizione fisica: un individuo che percepisce un reddito molto basso, è libero di spenderlo come vuole ma il raggio d’azione di questa sua libertà è piuttosto ridotto. 1. Introduzione
  • 5. Che cos’è la «Scienza delle Finanze» e l’«Economia del benessere»? • La Scienza delle Finanze, detta anche economia del settore pubblico o economia pubblica, si occupa delle politiche tributarie e di spesa pubblica adottate dallo Stato e dei loro effetti sull’allocazione delle risorse e sulla distribuzione del reddito. • In qualità di cittadini siamo chiamati costantemente a valutare il ruolo dello Stato nell’economia: le imposte sul reddito andrebbero aumentate? C’è bisogno di asili-nido sovvenzionati dallo Stato? Si devono fare controlli più severi sulle emissioni di fumi delle auto? L’elenco è infinito… • Per analizzare gli effetti degli interventi pubblici si fa riferimento all’«economia del benessere»: la branca della teoria economica che si occupa di stabilire la desiderabilità sociale di allocazioni economiche alternative. 1. Introduzione
  • 6. Efficienza Paretiana • Un’allocazione in cui l’unica possibilità per migliorare la condizione di un individuo consiste nel peggiorare quella dell’altro, viene detta Pareto efficiente. • Un’allocazione non è Pareto efficiente quando comporta degli «sprechi», cioè quando è possibile migliorare la condizione di un individuo senza peggiorare quella di nessun altro. Quando si migliora la condizione di un individuo senza peggiorare quella di nessun altro si parla di miglioramento paretiano • L’efficienza paretiana è il criterio più diffuso per valutare quanto sia desiderabile un’allocazione di risorse. Quando gli economisti utilizzano il termine efficiente pensano all’efficienza paretiana. • Concetto di utilità: gli economisti utilizzano il termine «utilità» come sinonimo di «soddisfazione» che una persona trae dal consumo dei beni. In questo contesto però la nozione di bene va interpretata in senso lato: essa comprende non solo prodotti quali cibo, auto, ecc, ma anche cose meno tangibili come il tempo libero.  In una allocazione Pareto efficiente l'utilità di una persona può essere aumentata soltanto da una diminuzione dell'utilità di qualcun altro. 1. Introduzione
  • 7. 1° Teorema dell’Economia del Benessere • Ipotesi: 1. tutti i consumatori e produttori agiscono da concorrenti perfetti, ovvero nessuno di loro ha potere di mercato: ogni consumatore (e produttore) consuma (e produce) una quantità così piccola rispetto al mercato che le sue azioni da sole non possono modificare i prezzi; si dice che sono price taker 2. esiste un mercato per tutti i beni • Il primo teorema dell’economia del benessere afferma che: un’economia concorrenziale alloca automaticamente le risorse in modo efficiente senza alcun bisogno di intervento esterno. • Il primo teorema è un’enunciazione formare di un fatto noto da tempo: quando si tratta di fornire beni e servizi, i sistemi basati sulla libertà d’impresa sono estremamente efficienti. 1. Introduzione
  • 8. 2° Teorema dell’Economia del Benessere • Se i mercati concorrenziali funzionano adeguatamente e allocano le risorse in maniera efficiente qual è il ruolo dello Stato? Qualsiasi intervento sembrerebbe inutile e superfluo e lo Stato dovrebbe solo occuparsi della difesa e sicurezza, della giustizia e del diritto di proprietà e concorrenza. • Tuttavia un'allocazione Pareto efficiente può non essere ritenuta la migliore dalla collettività. La collettività può preferire una distribuzione più equa. Ma lo Stato deve intervenire direttamente sul funzionamento del Mercato? • Il secondo teorema dell’economia del benessere afferma che: modificando le dotazioni iniziali allo scopo di ottenere il livello di equità desiderato (con sussidi o tassazione «a somma fissa») e lasciando poi operare il mercato, un’economia di concorrenza perfetta raggiunge sempre una allocazione Pareto efficiente. • Lo Stato quindi non deve intervenire o altrimenti, per redistribuire equamente il reddito, con interventi iniziali e a somma fissa senza modificare il comportamento di consumatori e produttori. • Si tratta tuttavia di prescrizioni solo teoriche; tra l’altro la presenza di imposte e sussidi in forma fissa risulta difficile se non impossibile. • L’implicazione importante del secondo teorema è che, almeno in teoria, gli aspetti relativi all’equità si possono tenere separati da quelli relativi all’efficienza; vedremo come, in pratica, tenere separate efficienza ed equità sia piuttosto complesso. 1. Introduzione
  • 9. I fallimenti del mercato Una seconda ragione a sostegno dell’intervento pubblico nel sistema economico sono i fallimenti del mercato. I fallimenti di mercato avvengono quando non si riescono ad allocare le risorse in modo efficiente, e ciò accade nei casi in cui c’è potere di mercato o assenza di questi. • Il Potere di Mercato: i teoremi sono validi solo se tutti i consumatori e produttori non hanno potere di mercato, ovvero sono price taker. Se alcuni consumatori e/o produttori non sono price taker, ma hanno facoltà di influire sui prezzi, un’allocazione delle risorse sarà inefficiente. Perché? Un’impresa che detiene un certo potere di mercato può essere in grado di far salire il prezzo al di sopra del costo marginale*, offrendo una quantità minore rispetto a quella che offrirebbe un produttore concorrenziale. Le situazioni in cui i produttori determinano i prezzi sono divere: • Il caso limite è il monopolio, che si verifica quando c’è solo un’impresa e l’entrata di altre nel mercato è bloccata. • Anche nel caso dell’oligopolio, cioè quando i produttori sono un numero ristretto, può darsi che le imprese riescano a far salire il prezzo al di sopra del costo marginale, se fanno «cartello». • Può capitare che in alcuni settori le imprese siano molte, ma ognuna di esse gode di un certo potere di mercato perché i prodotti che ciascuna di esse offre sono tra loro differenziati. Si parla in questo caso di concorrenza monopolistica. Esempio: sono moltissime le imprese che producono scarpe d’atletica, ma i consumatori considerano le Reebok, le Nike e le Adidas come beni diversi. • L’assenza di mercati: i teoremi sono validi se esiste un mercato per ogni bene, ma se per un determinato bene non esiste un mercato, non possiamo aspettarci che il mercato assicuri una sua allocazione efficiente. L’altro tipo di inefficienza che può derivare dalla mancanza di mercato è l’esternalità, cioè quando il comportamento di un individuo influisce sul bene di un altro in modi che non riflettono i prezzi esistenti. 1. Introduzione *Dalla microeconomia sappiamo che nei mercati concorrenziali il prezzo a cui un’impresa vende il suo prodotto sul mercato è pari al costo marginale, cioè al costo dell’ultima unità di prodotto. PREZZO = COSTO MARGINALE
  • 10. I fallimenti dello Stato • Il fatto che l’allocazione delle risorse sia imperfetta non significa che lo Stato possa fare di meglio: in alcuni casi la costituzione di un ente pubblico per far fronte ad una esternalità può superare il costo dell’esternalità stessa! • Il Fallimento dello Stato si origina quando i costi legati al tentativo di “correggere” le distorsioni del mercato si rivelano più elevati del costo della distorsione originaria. • Alcune cause dei fallimenti di Stato: assenza della «mano invisibile», informazione incompleta (anche lo Stato è ignorante), scelte politiche sbagliate («I partiti politici formulano le proprie politiche per vincere le elezioni, invece di vincere le elezioni per formulare le proprie politiche» Prof. Anthony Downs), distorsioni create da tasse e sussidi • Alcuni sostengono, inoltre, che lo Stato non è mai capace di operare in modo efficiente; questa tesi è estrema, ma sottolinea che l’economia del benessere si limita solo ad individuare situazioni in cui l’intervento pubblico potrebbe portare ad una maggiore efficienza. • In generale, ogni qualvolta si discuta l’opportunità di un intervento pubblico dovremmo porci tre quesiti: • Avrà conseguenze desiderabili dal punto di vista della distribuzione? • Aumenterà l’efficienza? • Può essere sostenuto ad un costo ragionevole? Se la risposta a questi interrogativi è negativa, probabilmente il mercato dovrebbe essere lasciato libero di operare. 1. Introduzione
  • 11. 2. I beni pubblici
  • 12. Definizione di «Bene pubblico» • Bene pubblico = bene il cui consumo è non rivale (cioè il consumo del bene da parte di un individuo non impedisce a qualsiasi altro di usufruirne) e non escludibile (cioè l’esclusione di uno o più individui dal consumo è o troppo costosa o tecnicamente impossibile).Un esempio è il faro: quando è acceso, tutte le navi ne traggono vantaggio; il fatto che una nave ne usufruisca non impedisce ad altre navi di fare altrettanto e non è possibile escludere una o più navi dall’uso del faro, se si trovano nelle vicinanze. • Non è detto che la non escludibilità e l’assenza di rivalità nel consumo siano sempre associate. Esistono infatti: • Beni comuni = beni rivali ma non escludibili. Esempio: le strade di un centro cittadino nelle ore di punta non sono escludibili ma all’ora di punta esiste sicuramente rivalità nel consumo, come chiunque finito in un ingorgo stradale può affermare. • Beni tariffabili o di «club» = beni escludibili ma non rivali. Esempio: la TV via satellite, la cui visione da parte di uno spettatore non impedisce a qualsiasi altro di vederla, ma se non si paga l’abbonamento si viene esclusi. • Fornitura pubblica di beni privati: i beni pubblici non vengono necessariamente forniti solo dal settore pubblico, anche il settore privato li fornisce. Esempio: Software Open Source, Linux, Wikipedia. • Fornitura privata di beni pubblici: i beni privati (escludibili e rivali) non vengono necessariamente forniti solo dal settore privato: anche il settore pubblico li fornisce. Esempio: assistenza sanitaria ed edilizia popolare • Fornitura vs. Produzione: Un bene fornito pubblicamente non sempre è anche prodotto dal settore pubblico. Esempio: raccolta rifiuti appaltata da alcuni comuni a servizi esterni. 2. I beni pubblici
  • 13. Determinazione della quantità ottimale di beni pubblici da produrre (1) • Beneficio marginale individuale: beneficio che il consumatore ottiene dal consumo di una unità addizionale di bene; una misura è il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per avere una unità in più di bene. • Costo marginale: costo di produzione che la società deve sostenere per produrre una unità addizionale di bene • Beneficio marginale sociale: beneficio che la società intera ottiene dal consumo di una unità addizionale di bene; una misura è il prezzo che la società disposta a pagare per avere una unità in più di bene • Per qualsiasi bene, la quantità di produzione ottimale è quella che garantisce l’uguaglianza tra il beneficio marginale e il costo marginale: BENEFICIO MARGINALE = COSTO MARGINALE • Per i beni PRIVATI: il prezzo di mercato è uguale per tutti i consumatori quindi il beneficio marginale individuale è uguale per tutti. Ad ogni prezzo corrisponde una quantità domandata che varia da consumatore a consumatore. Sommando le quantità di bene che i consumatori consumerebbero in corrispondenza di un certo prezzo si ottiene la quantità che la società deve produrre; la quantità ottimale è quella in corrispondenza della quale il prezzo eguaglia il costo marginale. BENE PRIVATO (IN CONCORRENZA PERFETTA): Beneficio marginale individuale = Costo Marginale • Invece per i beni PUBBLICI: poiché un bene pubblico è non escludibile e non rivale, esso viene consumato in quantità uguali e un’unità addizionale di un bene pubblico è usata da tutti. Ad ogni quantità corrisponde un beneficio marginale, e quindi una disponibilità a pagare per una unità aggiuntiva, che varia da consumatore a consumatore. Sommando le singole disponibilità a pagare per un’unità di bene in più, si ottiene la disponibilità complessiva a pagare. La quantità ottimale da produrre è quella in corrispondenza della quale la somma delle disponibilità dei cittadini a pagare per un’ulteriore unità sia uguale al suo costo marginale BENE PUBBLICO: Beneficio marginale sociale = Somma dei Benefici Marginali individuali = Costo Marginale 2. I beni pubblici
  • 14. Determinazione della quantità ottimale di beni pubblici da produrre (2) • Esempio: supponiamo che Adamo ed Eva siano amanti dei fuochi d’artificio, che sono un bene non escludibile (non si può impedire a qualcuno, nella prossimità dei fuochi d’artificio, di non guardarli) e non rivale (guardare fuochi d’artificio non ostacola altri da fare lo stesso). Consideriamo uno spettacolo di 19 razzi che può essere allungato al costo di 5 €a razzo (costo marginale = 5€). Adamo è disposto a pagare 6€ per un razzo in più (beneficio marginale di Adamo = 6€) e Eva è disposta a pagare 4€ per un razzo in più (beneficio marginale di Eva = 4€). 2. I beni pubblici • La somma delle disponibilità individuali a pagare per un ulteriore razzo è 10€. Siccome il costo marginale è solo 5€, conviene acquistare il ventesimo razzo.
  • 15. Finanziamento del bene pubblico (1) • Condizione di Lindahl per il finanziamento del bene pubblico: poiché il consumo di bene pubblico è lo stesso ma il beneficio marginale è diverso da consumatore a consumatore, la condizione di ottimalità richiede che ogni consumatore paghi un’imposta che agisca come un prezzo «personalizzato» pari al suo beneficio marginale; tale imposta è detta «prezzo di Lindahl». • L’equilibrio di Lindahl è efficiente, tuttavia gli individui non sono incentivati ad essere onesti nel fornire le informazioni necessarie alla sua realizzazione. Non è facile, infatti, che un consumatore decida di rivelare quanto è disposto a pagare per il bene pubblico: il bene pubblico, una volta reso disponibile, sarà comunque consumabile da tutti senza possibilità di esclusione (non escludibilità) di conseguenza le persone possono essere incentivate a nascondere il loro vero beneficio marginale. «Esiste un egoistico interesse di ciascuna persona a fornire falsi segnali, a manifestare meno interesse per un bene pubblico di quello che in realtà ha» (Samuelson). Questo comportamento opportunista che consiste nel godere di un bene per cui altri hanno pagato, è definito problema dell’opportunismo o problema del «free rider». • Di conseguenza è improbabile che il mercato fornisca beni pubblici non escludibili in modo efficiente: in presenza di beni pubblici «tutti sperano di carpire qualche beneficio personale in un modo che non sarebbe possibile nel sistema concorrenziale e autoregolato di determinazione dei prezzi tipico del mercato dei beni privati» (Samuelson) 2. I beni pubblici
  • 16. Finanziamento del bene pubblico (2) • Quale soluzione al problema del free rider? C’è chi pensa che per risolvere tale inefficienza sia necessario l’intervento dello Stato che, con potere coercitivo, può imporre a tutti di pagare per il bene pubblico e, se fosse in grado di conoscere le preferenze (beneficio marginale) di ciascuno, potrebbe fornirne la quantità efficiente. Per scoprire le vere preferenze di ciascun cittadino si possono utilizzare diversi metodi: • Incentivi per far si che ogni cittadino dica la verità sulle sue preferenze. A partire da una data quantità di bene pubblico, a ciascun utilizzatore è richiesto un contributo al finanziamento di una unità aggiuntiva del bene; tale contributo è pari alla differenza tra il costo marginale e la somma dei contributi di tutti gli altri individui. Il singolo contribuente ha convenienza a dichiarare la propria vera valutazione, al fine di spingere l’offerta del bene pubblico verso il livello ottimale. Siccome questo ragionamento si applica a tutti i partecipanti, tutti riveleranno correttamente le proprie preferenze. Questo meccanismo di rilevazione delle preferenze tramite incentivo è però molto costoso. • Voto: il sistema di votazione prevede che gli individui determinino con il voto la quantità da rendere disponibile di beni pubblici. Lo studio di come la collettività può esprimere delle scelte di merito, è detta appunto «teoria delle scelte collettive» (vedi prossimo capitolo). • Obiezioni: c’è chi ritiene che sia improbabile che lo Stato possa conoscere perfettamente le preferenze di ciascuno. E poi siamo sicuri che lo Stato fornisca beni pubblici in modo più efficiente di quanto possa fare il mercato? Inoltre, sebbene il problema del free rider esista, non è detto che valga sempre (accanto ai comportamenti opportunistici, ci sono situazioni in cui individui agiscono senza alcuna coercizione da parte dello Stato; le organizzazioni di volontari che raccolgono fondi sono riuscite a fondare musei, ospedali, biblioteche, laboratori scientifici, etc.) 2. I beni pubblici
  • 17. Il dibattito sulla «privatizzazione» • In questi ultimi anni, soprattutto nei Paesi occidentali, si è dibattuto sull’opportunità di privatizzare alcuni servizi forniti o prodotti tradizionalmente dallo Stato. Un aspetto di questa discussione sta nella distinzione tra fornitura e produzione. • Privatizzazione della fornitura: si o no? I fattori principali presi in considerazione per rispondere sono: i costi (se i costi sono differenti tra pubblico e privato, sulla base dell’efficienza è opportuno scegliere il settore meno costoso), la diversità di gusti (più i cittadini hanno opinioni diverse su ciò che il pubblico dovrebbe fornire e gusti diversi, più è considerata efficiente la fornitura privata) e i problemi distributivi (un’interpretazione possibile del concetto di «equità», fornita da Tobin, richiede che alcuni beni economici – come istruzione e sanità – siano resi disponibili a tutti) • Privatizzazione della produzione: si o no? Anche qualora si trovi l’accordo sul fatto che certi beni devono essere forniti dal settore pubblico, rimane da capire se debbano essere prodotti dal settore pubblico o da quello privato. C’è chi sostiene che i dirigenti del settore pubblico, diversamente da quelli privati, non avendo come obiettivo la massimizzazione del profitto né temendo il fallimento, non abbiano alcun incentivo a tenere sotto controllo l’attività della loro impresa e che quindi sia preferibile la produzione privata. Chi, al contrario, sostiene l’opportunità della produzione pubblica e si oppone alle privatizzazioni ritenendo che non vi siano prove sistematiche a sostegno dell’idea che la produzione pubblica sia meno efficiente e più costosa. 2. I beni pubblici
  • 18. Forme di intervento pubblico • Regolamentazione: lo Stato attribuisce ad operatori privati il diritto a offrire un bene e/o un servizio, ne stabilisce la tariffa a cui i cittadini lo acquistano e talvolta la qualità che deve essere garantita, lasciando al mercato il compito di produzione e fornitura. Esempio: fornitura di servizi di pubblica utilità (acqua, gas, trasporti pubblici), servizio sanitario negli USA (a differenza che in Europa, negli USA il sistema sanitario è regolamentato con produzione e fornitura lasciata a mercato e assicurazioni private) • Fornitura: lo Stato acquista un servizio dal mercato e decide la tariffa che i cittadini possono pagare per riceverlo, potendo differenziare la tariffa in ragione del reddito • Produzione: lo Stato produce e distribuisce direttamente beni e servizi • Finanziamento: anziché legare il pagamento alla fruizione del servizio (come avviene per le pensioni previdenziali), lo Stato può decidere di finanziarlo con la fiscalità generale (come avviene per sanità e pensioni assistenziali) Formediinterventoviaviapiùincisive 2. I beni pubblici
  • 19. 3. Teoria delle scelte collettive
  • 20. Come si svolge il processo decisionale in campo politico? • Le società democratiche utilizzano varie procedure di votazione per prendere decisioni in merito alla spesa pubblica e al suo finanziamento. Il sistema di votazione prevede che gli individui determinino con il voto la quantità da rendere disponibile di beni pubblici • Il voto può essere: • all’unanimità: la proposta viene approvata solo se sono d’accordo tutti, al fine di tutelare la libertà di ogni individuo nei confronti della società. Tuttavia il voto all’unanimità è un sistema troppo lungo e costoso e, nel caso di preferenze individuali non omogenee ma differenti, la regola dell’unanimità ha il significato di un diritto di veto che implica il prevalere dello status quo; • a maggioranza: la proposta viene approvata se si pronuncia a favore la metà più uno dei votanti. • Teorema del votante mediano: se tutti gli individui hanno preferenze unimodali*, il risultato di una votazione a maggioranza rifletterà la preferenza espressa dal votante mediano, cioè dell’individuo le cui preferenze occupano la posizione intermedia nell’insieme delle preferenze di tutto il gruppo. • Tuttavia tale esito non è efficiente, il teorema dell’elettore mediano ha infatti dei limiti: 1) non sempre i votanti hanno preferenze unimodali poiché solitamente le alternative di scelta hanno diverse dimensioni di confronto. 2) Inoltre l’esito del voto non è necessariamente efficiente, poiché si assegna uguale peso alle preferenze di ciascun cittadino, mentre l’esito efficiente dovrebbe pesare ogni voto in base all’intensità delle preferenze (cioè a quanto gli sta a cuore il problema); questo può . 3) Infine, gli individui possono esprimere un voto che non riflette le loro reali preferenze al fine di manipolare il risultato della votazione. *Preferenza unimodale: man mano che ci si allontana dall’esito che preferisce, il beneficio dell’elettore cala costantemente. Preferenza bimodale: man mano che ci si allontana dall’esito che preferisce in una direzione, il beneficio per l’elettore prima cala e poi aumenta di nuovo 3. Teoria delle scelte collettive
  • 21. Teorema dell’impossibilità di Arrow • In conclusione il voto può non produrre un equilibrio e quando lo fa non è in generale Pareto-efficiente. Ma allora sorge un dubbio: esiste un qualche metodo eticamente accettabile e privo di difetti per tradurre le preferenze individuali in preferenze collettive? La risposta la fornisce Arrow. • Teorema dell’impossibilità di Arrow: in una società democratica, il metodo di scelta collettiva debba soddisfare i seguenti criteri: • Deve portare a una decisione, qualunque sia la configurazione delle preferenze dei votanti. Non deve perciò fallire in caso di preferenze multimodali. • Deve essere in grado di stabilire una graduatoria tra tutti gli esiti possibili. • Deve riflettere le preferenze individuali, cioè se gli individui preferiscono A a B, l’ordine di preferenza della società deve essere lo stesso. • Coerenza: il metodo di scelta deve essere coerente nel senso che, se la proposta A è giudicata preferibile alla proposta B e la proposta B è giudicata preferibile a C, allora la proposta A deve essere preferita alla proposta C. • L’ordine di preferenza che la società assegna alle alternative A e B deve dipendere esclusivamente dalle preferenze dei votanti riguardo A e B. Esemplificando, l’ordine di preferenza in cui una società colloca le spese per la difesa e per la cooperazione internazionale non deve dipendere da come gli individui ordinano queste alternative rispetto a una terza, per esempio le spese per la ricerca sull’AIDS. Questo criterio viene definito anche indipendenza delle alternative irrilevanti. • Non dittatorialità: non è ammessa la dittatura, nel senso che le preferenze della società non devono riflettere solo quelle di un singolo individuo. in una società democratica, è impossibile trovare una regola di decisione sociale in cui tutti i criteri che caratterizzano il metodo di scelta in una società democratica, siano validi contemporaneamente. • Soluzioni al problema posto dal Teorema di Arrow: • indebolimento dei requisiti elencati dal Teorema • abbandono dell’approccio basato sulle preferenze (cioè sulle utilità individuali) – cosiddetto approccio welfarista – per adottare approcci diversi 3. Teoria delle scelte collettive
  • 22. Democrazia Rappresentativa (1) Lo Stato è fatto di individui (politici, giudici, burocrati ecc...) e un modello realistico di decisione collettiva deve studiare gli obiettivi e i comportamenti di chi ha il compito di governare Per spiegare la condotta dello Stato bisogna studiare l’interazione tra politici, funzionari statali e gruppi di pressione. • Politici: nelle democrazie rappresentative i cittadini eleggono dei rappresentanti che decidono a loro nome. I votanti distribuiscono i loro voti in modo da massimizzare la loro utilità, mentre i candidati cercano di massimizzare il numero di voti ricevuti. • Teorema di Downs (1957): Downs ha dimostrato che un politico che intende massimizzare i voti adotta il programma preferito dal votante mediano, cioè dal votante che si trova esattamente al centro della distribuzione delle preferenze  i sistemi maggioritari producono programmi che tendono all’elettore mediano. 3. Teoria delle scelte collettive
  • 23. Democrazia Rappresentativa (2) • Funzionari pubblici (o burocrati): le leggi approvate dai parlamenti hanno spesso formulazioni piuttosto vaghe e il modo in cui vengono effettivamente attuati i programmi dipende dai funzionari pubblici. • Nonostante i funzionari siano bersaglio di critiche, bisogna sempre tener presente che uno Stato moderno non può funzionare senza burocrazia. • Modello di Nikasen: nel settore privato un individuo che voglia rendere più redditizia la sua azienda è incentivato a farlo perché ha come ricompensa un salario più elevato, mentre l’interesse dei burocrati è focalizzato su reputazione, potere, clientelismo, dato che le opportunità di miglioramento dei salari sono minime. Poiché il potere e lo status sono in relazione diretta con la dimensione del bilancio a disposizione del funzionario, egli tende a massimizzarlo, aumentando le dimensioni dell’ente pubblico che gestisce.  implicazione del modello di Nikasen: i burocrati hanno forti incentivi a impegnarsi in attività di promozione per far si che il legislatore percepisca l’utilità del loro ufficio. • Gruppi di pressione: i cittadini che vogliano condizionare la politica di governo possono agire non solo come singoli elettori, ma gli individui con interessi comuni possono esercitare un fortissimo potere agendo insieme. I gruppi di interesse spesso dispongono di ingenti risorse grazie alle quali sono in grado di contribuire alle campagne elettorali e/o di pagare tangenti. • Il triangolo di ferro: la triplice relazione tra politici, funzionari, gruppi di interesse. Secondo alcuni sociologi questa triplice relazione è l’aspetto più importante della politica moderna dei paesi occidentali, specialmente gli USA. Ma perché i programmi godono del favore della maggioranza se in realtà vanno a beneficio solo di chi fa parte del «triangolo di ferro»? La risposta è nelle asimmetrie informative: gruppi di pressione e burocrati sono ben organizzati e si avvalgono dell’arma dell’informazione, mentre coloro che sopportano i costi non sono organizzati e a volte non si rendono nemmeno conto di ciò che accade. 3. Teoria delle scelte collettive
  • 24. L’intervento statale in economia • L’intervento statale in economia è aumentato molto rapidamente. Questo fenomeno può essere spiegato in diversi modi: • I cittadini vogliono un maggior intervento dello Stato. • Approccio marxista: l’incremento dell’intervento statale è un fatto inevitabile perché il settore privato tende alla sovrapproduzione e lo Stato, controllato dai capitalisti, aumenta la spesa (spesa sociale o militare) per assorbire questa produzione. Si sostiene, inoltre, che l’aumento della spesa non sia sostenibile finanziariamente e che lo Stato capitalista sia destinato a crollare. • Il «displacement effect» di Peacock e Wiseman: 1) la spesa pubblica segue un trend di crescita; 2) eventi eccezionali (esempio: la guerra, trasformazioni sociali, ecc.) aumentano l’intervento dello Stato in economia cui segue un aumento della pressione tributaria; 3) ad evento concluso, l’inerzia impedisce di tornare a livelli precedenti e la spesa pubblica riprende il trend di crescita ad un livello più alto. Quindi, nel peso della finanza pubblica si verifica uno spostamento (“displacement”) definitivo • Alcuni gruppi sociali (individui a basso reddito) utilizzano lo Stato per ridistribuire il reddito a loro favore. Finché il reddito medio supera quello mediano (e quindi la maggioranza dei votanti ha un reddito inferiore al reddito medio), i politici sono incentivati ad aumentare il grado di ridistribuzione del reddito operato dallo Stato. Questa teoria ha un limite, in quanto non considera i metodi utilizzati dallo Stato per ridistribuire il reddito: l’impatto dell’intervento pubblico sulla distribuzione del reddito non è chiaro e può accadere che la spesa pubblica favorisca le classi di reddito medio-alto (obiezione di Stigler)  Stigler (1970) sostiene che «La spesa pubblica ha come principale beneficiario la classe media ed è finanziata dalle imposte in massima parte a carico di poveri e ricchi» 3. Teoria delle scelte collettive
  • 25. Come controllare la spesa pubblica? • Rigidità della spesa pubblica: una parte della spesa pubblica, riguardante principalmente impegni già assunti (diritti e concessioni del passato) è rigida e non controllabile, quindi si può intervenire solo sul futuro. • Incentivi ai burocrati: diminuire il salario del burocrate quando crescono le dimensioni dell’ente, ma ci sono effetti indesiderati (il burocrate potrebbe ridurre troppo il bilancio dell’ente pubblico, aumentando il proprio salario a scapito degli aventi diritto all’assistenza) • Maggior ricorso alle aziende private per la produzione di beni e servizi • Vincoli di bilancio. Ma l’adozione di un bilancio richiede la previsione dell’andamento delle variabili macroeconomiche (PIL, inflazione, ecc.) sulla cui evoluzione, però, anche i più onesti esperti possono dare valutazioni molto diverse 3. Teoria delle scelte collettive
  • 27. Esternalità • Quando l’attività di un soggetto economico, consumatore o produttore, influisce sul benessere di un altro direttamente, ossia non mediante variazioni di prezzi, l’effetto viene definito esternalità (fallimento di mercato). ATTENZIONE: il fatto che il comportamento di alcuni influisca sul benessere di altri non provoca necessariamente il fallimento di mercato; fintantoché gli effetti vengono trasmessi mediante i prezzi, i mercati sono efficienti! • L’effetto può essere tale da ridurre il benessere, esternalità negative, o aumentarlo, esternalità positive. • In generale le esternalità si riscontrano in assenza di diritti di proprietà: fintantoché una risorsa è di proprietà di qualcuno, il prezzo ne riflette il valore per usi alternativi e la risorsa viene impiegata in modo efficiente; al contrario le risorse di proprietà comune vengono utilizzate in maniera non efficiente perché nessuno è incentivato ad economizzarne l’uso • In presenza di esternalità, i mercati non producono un livello di output socialmente efficiente. In particolare: • in presenza di esternalità negativa i mercati producono di più rispetto alla quantità efficiente perché i costi sostenuti dal produttore non tengono conto dei danni arrecati alla collettività. Il produttore continua a produrre finché il beneficio marginale (=beneficio ottenuto dal produttore per una unità aggiuntiva di prodotto) non diventa uguale al costo marginale privato (=costo sostenuto dal produttore per una unità aggiuntiva di prodotto). Tuttavia, la produzione socialmente efficiente sarebbe quella in corrispondenza della quale il beneficio marginale, misurato dal prezzo, è uguale al costo marginale sociale (= costo marginale privato + danno marginale esterno, cioè il danno subito dalla collettività per una unità aggiuntiva di prodotto) e sarebbe minore dell’output prodotto dal mercato • In presenza di esternalità positiva i mercati producono di meno rispetto alla quantità efficiente perché i benefici ottenuti dal produttore non tengono conto dei benefici ottenuti dalla collettività. Il produttore continua a produrre finché il beneficio marginale privato non diventa uguale al costo marginale. Tuttavia la produzione socialmente efficiente sarebbe quella in corrispondenza della quale il beneficio marginale sociale (= beneficio marginale privato + beneficio marginale esterno, cioè il beneficio di cui gode la collettività per una unità aggiuntiva di prodotto) è uguale al costo marginale, e sarebbe maggiore dell’output prodotto dal mercato. 4. Esternalità
  • 28. La correzione delle esternalità negative: soluzioni private • Teorema di Coase: visto che all’origine dell’esternalità c’è l’assenza di diritto di proprietà, un modo per risolvere il problema è quello di assegnare ai privati la proprietà delle risorse in questione. • Il teorema di Coase stabilisce che, una volta attribuiti i diritti di proprietà, i privati possono accordarsi sul livello di output efficiente. • Ipotesi alla base: i costi di contrattazione devono essere contenuti (esempio: è difficile che milioni di persone, coinvolte nelle esternalità come quelle derivanti dall’inquinamento atmosferico, possano incontrarsi per trattare individualmente e possano farlo ad un costo ragionevole) e la fonte dell’esternalità facilmente individuabile (esempio: nel caso dell’inquinamento atmosferico, ammesso che si stabilisca chi detiene i diritti di proprietà dell’aria, come si individua il responsabile dell’inquinamento atmosferico tra migliaia di potenziali inquinatori?) • Fusioni: se l’impresa A acquista l’impresa B, su cui si abbattono le sue esternalità, non le potrà più ignorare e le considererà insieme agli altri costi. Le esternalità vengono «internalizzate» fondendo le imprese coinvolte. 4. Esternalità
  • 29. La correzione delle esternalità negative: soluzioni pubbliche • Imposta à la Pigou: imposta sull’output in quantità uguale al danno marginale sociale che si avrebbe al livello di output socialmente efficiente, supponendo che sia noto chi provoca l’esternalità e in che misura, cosa che in molti casi è difficile individuare con certezza. Questa tassa dà al produttore l’incentivo a produrre il volume di output efficiente, compensando il costo troppo basso di alcuni input: chi produce riduce l’inquinamento fintanto che il costo marginale di riduzione dell’inquinamento (= costo per ridurre l’inquinamento di una unità addizionale) è minore dell’imposta sulle emissioni; questo comporta costi marginali uguali per i vari soggetti inquinanti e, quindi, efficienza in termini di costi. • Sussidio per l’output non prodotto: un sussidio per ogni unità di prodotto in meno può indurre chi inquina a ridurre la produzione fino al volume di output efficiente, supponendo che il numero delle imprese inquinanti sia fisso. Infatti la rinuncia al sussidio diventa un costo in più per il produttore. I sussidi però possono determinare profitti più elevati, una produzione eccessiva nel lungo periodo e sono difficili da gestire amministrativamente. • Sistema cap-and-trade: creazione di un mercato in cui i diritti di inquinamento possono essere scambiati; in questo modo lo Stato stabilisce il livello totale di inquinamento e lascia che sia il mercato ad allocare i diritti ad inquinare: si crea un mercato delle autorizzazioni in cui un soggetto venderà autorizzazioni ad un altro fino a quando i loro costi marginali sono uguali, il che è efficiente in termini di costi. Questo metodo è vantaggioso solo se gli amministratori hanno poche informazioni sulla misura dell’esternalità prodotta da ciascuno e quindi hanno difficoltà a determinare la «giusta» tassa pigouviana. Il prezzo che si paga per l’autorizzazione ad inquinare prende il nome di tassa sulle emissioni. Esempio: Protocollo di Kyoto. ATTENZIONE: i diritti di inquinamento possono essere messi all’asta dallo Stato o distribuiti ai privati; nel caso di vendite all’asta, i ricavi vanno al settore pubblico, nel caso della distribuzione i guadagni derivanti dalla loro successiva vendita andranno alle imprese. • Regolamentazione: si impone a chi inquina di ridurre l’inquinamento di una certa entità imponendo alle imprese determinati standard (standard tecnologici, standard di performance) e chi non rispetta le norme va incontro a sanzioni. La regolamentazione è inefficiente quando le imprese sono più di una e hanno costi diversi di abbattimento dell’inquinamento: una regolamentazione che impone a tutte le imprese di ridurre l’output della stessa misura (in termini assoluti o proporzionali) fa si che alcune imprese producano troppo e altre troppo poco; nonostante ciò, è la forma più diffusa di politica ambientale. 4. Esternalità
  • 30. Confronto tra imposta sulle emissioni o sistema cap-and-trade • Risposta all’inflazione: un’imposta fissa sulle emissioni non tiene conto dell’inflazione e quindi potrebbe ridursi con il tempo a differenza del sistema cap-and-trade. L’imposta, relativamente all’inflazione, è meno efficiente del sistema cap-and-trade, se non viene aggiornata. • Risposta alle variazioni di costi: il costo marginale di riduzione dell’inquinamento varia da anno in anno. Variazioni dei costi possono condurre a riduzioni diverse dell’inquinamento spesso anche inferiori/superiori a quanto previsto. L’imposta limita i costi di riduzione dell’inquinamento ma comporta variazioni delle emissioni al variare delle condizioni economiche. L’imposta, relativamente alla variazione dei costi, è più efficiente del sistema cap-and-trade. • Effetti distributivi: l’imposta sulle emissioni genera entrate per lo Stato mentre il sistema delle autorizzazioni può generare entrate allo Stato solo se queste sono vendute; però il sistema delle autorizzazioni apre un mercato tra operatori. 4. Esternalità
  • 31. Il Protocollo di Kyoto • Il protocollo di Kyoto è stato un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della terza Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). • Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. • Il trattato prevedeva l'obbligo di operare una riduzione delle emissioni di elementi di inquinamento (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra). Il protocollo prevedeva inoltre, per i Paesi aderenti, la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di «crediti di emissioni». • A Parigi (2015) si è svolta la nuova Conferenza mondiale sull’Ambiente in occasione della ventunesima Conferenza COP21 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), per definire il superamento del protocollo di Kyoto e una nuova modalità di funzionamento e di riduzione delle emissioni. • L’accordo di Parigi è un accordo globale sulla riduzione dei cambiamenti climatici e prevede un obiettivo davvero molto ambizioso: contenere l’aumento della temperatura globale del pianeta ben al di sotto dei 2°C, perseguendo idealmente il goal di +1,5°C, e un’emissione di gas serra da parte delle attività umane pari a zero da raggiungere durante la seconda metà del XXI secolo • Le parti dovranno firmare l'accordo a New York tra il 22 aprile 2016 e il 21 aprile 2017. L’accordo entrerà in vigore se ratificato da almeno 55 paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra. 4. Esternalità
  • 32. La correzione delle esternalità positive: sussidio pigouviano • Quando un individuo o un’impresa producono esternalità positive, il mercato fornisce una quantità inferiore dell’attività o del bene, ma un sussidio adeguato può correggere l’inefficienza. • Sussidio à la Pigou: come un’esternalità negativa può essere corretta da una tassa pigouviana, un’esternalità positiva può essere corretta da un sussidio pigouviano. In particolare, se l’impresa fa ricerca ottiene un sussidio uguale al beneficio marginale esterno che si avrebbe in corrispondenza del volume di output ottimo. • Naturalmente rimangono tutte le difficoltà legate alla misurazione della quantità e del valore dell’esternalità. 4. Esternalità
  • 33. 5. La redistribuzione dei redditi
  • 34. La redistribuzione dei redditi • Sebbene non esista un accordo generale su cosa si debba intendere per «equo» (la «giusta» distribuzione del reddito richiede giudizi di valore, sui quali non si può trovare un accordo in base a un metodo «scientifico») e su come lo Stato debba ridistribuire il reddito, il secondo teorema dell’economia del benessere dimostra che l’efficienza da sola non è sufficiente per valutare una data allocazione delle risorse • Esistono molti punti di vista circa l’opportunità di politiche pubbliche per la redistribuzione del reddito, che vanno dalla perfetta uguaglianza alla totale assenza di intervento. 5. La redistribuzione dei redditi
  • 35. La funzione del benessere sociale • Il «benessere sociale» è una funzione dell’utilità di ciascun individuo, e aumenta all’aumentare dell’utilità di ciascun individuo; in altri termini la società migliora la sua condizione quando la migliora uno qualsiasi dei suoi membri • Dal punto di vista algebrico, se una società è composta da n individui e l’utilità dell’i-esimo individuo è Ui, la funzione del benessere sociale utilitaristica W (welfare) è funzione delle utilità individuali: W=F(U1,U2,U3,… ); 5. La redistribuzione dei redditi
  • 36. Le ragioni della redistribuzione del reddito • «Utilitarismo»: qualunque cambiamento migliori la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro, accresce il benessere sociale, pertanto il reddito va redistribuito a condizione che W aumenti. La funzione di benessere sociale può essere di diversi tipi: • Funzione additiva: W=U1+U2+U3+…  supponendo che il reddito è fisso, che gli individui hanno identiche funzioni di utilità e che l’utilità marginale di ciascun individuo diminuisce all’aumentare del reddito (cioè man mano che il reddito di un individuo aumenta, il suo benessere aumenta ma in misura via via minore), quando il livello di reddito tra individui è diverso, anche l’utilità marginale sarà diversa e sarà possibile accrescere la somma della loro utilità incrementando il reddito degli individui più poveri a spese dei più ricchi, fino a raggiungere la perfetta uguaglianza delle utilità e dei redditi. • Criterio del maximin: W=min(U1,U2,U3,… )  in questo caso il benessere della società dipende dall’individuo che sta peggio di tutti; lo Stato dovrebbe redistribuire il reddito in modo tale da massimizzare l’utilità dell’individuo con l’utilità minore. • Ridistribuzione del reddito come «polizza assicurativa contro la povertà»: quando si è benestanti, si pagano «premi» sotto forma di imposte destinate a finanziare sussidi per coloro che attualmente sono poveri; in caso di avversità si ha diritto a ricevere sussidi. • «Egualitarismo dei beni»: Tobin (1970) propose che fossero distribuiti equamente solo alcuni «beni primari» Altre considerazioni contrastanti: • Alcuni sostengono che la distribuzione del reddito è irrilevante a condizione che sia il risultato di un processo «equo» di acquisizione delle risorse: se il principio delle «pari opportunità» è applicato a tutti, il risultato sarà equo a prescindere dalla distribuzione del reddito che ne derivi • Nozick e il libertarismo: Non ha senso chiedersi come la «società» dovrebbe ridistribuire il reddito perché non esiste la società come entità decisionale e non percepisce reddito, solo gli individui percepiscono reddito. L’unica giustificazione possibile all’attività ridistributiva dello Stato si ha quando la ripartizione iniziale delle dotazioni è in qualche modo inadeguata 5. La redistribuzione dei redditi
  • 37. Effetti della spesa pubblica sulla distribuzione del reddito • Lo Stato influisce sulla distribuzione del reddito sia con le tasse sia con la spesa pubblica. • Calcolare l’effetto di programmi di spesa pubblica non è semplice: nella pratica gli economisti ipotizzano che una data politica vada soltanto a beneficio di coloro a cui è rivolta e che gli effetti di altre variazioni siano di minore portata. • Qualsiasi intervento pubblico innesca una serie di variazioni del prezzo che influiscono sul reddito degli individui sia in quanto consumatori di beni sia in quanto fornitori di input. Esempio: un programma di sussidio alle abitazioni aumenta la domanda di abitazioni da parte dei poveri, ma i proprietari delle abitazioni guadagneranno dal conseguente aumento dei prezzi; inoltre aumenteranno i redditi di coloro che forniscono input per la costruzione (salari dei lavoratori e materiali edili). • Trasferimenti in natura: spesso si pensa a trasferimenti in natura anziché in denaro, per il desiderio di instaurare l’ugualitarismo dei beni. OSSERVAZIONE: anche se i trasferimenti in natura sono programmi rivolti agli individui dal reddito più basso (pensiamo all’edilizia popolare e alle pensioni sociali), tuttavia anche le persone delle classi medio-alte traggono vantaggio dai trasferimenti in natura (l’istruzione e l’assistenza sanitaria pubblica sono i due esempi più evidenti). • Non è semplice stabilire se siano più opportuni trasferimenti in denaro o in natura: • Un problema dei trasferimenti in natura sono gli elevati costi amministrativi che questi spesso comportano • Un vantaggio dei trasferimenti in natura può essere il minor numero di «truffe»: se chi appartiene alla classe media è propenso a mentire per ottenere un sussidio in denaro a cui non avrebbe diritto, lo è di meno nel caso in cui il sussidio è in natura (es: case popolari) • Trasferimenti in natura possono essere determinati da opportunismo politico: favoriscono i produttori del bene il cui consumo si intende assicurare a tutti, che quindi saranno disponibili a sostenere una coalizione politica favorevole a quel particolare tipo di intervento 5. La redistribuzione dei redditi
  • 38. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 39. La spesa sociale • La vita è piena di incertezze ed eventi inattesi quali una malattia o un licenziamento possono essere disastrosi per la vita di ognuno; un modo per proteggersi è quello di acquistare una polizza assicurativa (in cambio di un premio pagato alla compagnia assicurativa, si ottiene un indennizzo nel caso in cui gli eventi citati si verifichino). Ma l’assicurazione contro questi eventi è spesso gestita dallo Stato, per correggere casi di fallimento del mercato (esternalità e/o di asimmetrie informative) sia per motivi di «equità» o «equitativi» • In Italia la componente principale della spesa sociale è sempre stata la spesa previdenziale con un valore tra il 14% e il 17% del PIL; segue la spesa sanitaria che assorbe circa il 5% del PIL e la spesa assistenziale che non supera mai il 2% del PIL • Le critiche più frequenti al modello di welfare state adottato negli ultimi 50 anni in Europa hanno riguardato: inefficienza dei servizi pubblici (la popolazione domanda servizi di sempre maggior qualità mentre nel pubblico si sprecano risorse); la spesa crescente sostenuta dalla collettività; gli effetti distributivi non sempre coerenti ed «equi» che ne sono derivati 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 40. L’assicurazione sanitaria • I servizi sanitari non sono beni pubblici puri, in quanto escludibili e rivali. • L’assicurazione è la soluzione privata all’assistenza sanitaria e funziona in questo modo: l’acquirente versa una somma di denaro, che prende il nome di premio assicurativo, alla compagnia di assicurazione; la compagnia di assicurazione accetta di erogare una somma di denaro all’assicurato qualora dovesse verificarsi un evento sfavorevole che interessa la sua salute, come nel caso di una malattia. • Tuttavia, vi sono motivazioni di efficienza e di equità che motivano l’intervento pubblico nella sanità. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 41. Giustificazioni ad un Sistema Sanitario pubblico • Motivazioni di «efficienza»  Le «asimmetrie informative»: • i pazienti difficilmente possono raccogliere tutte le informazioni per accertarsi che la persona che offre la prestazione medica ha effettivamente la preparazione necessaria, dunque l’accesso al mercato dei servizi sanitari come medico è regolamentato; dunque sono istituiti l’albo professionale, esame di Stato, ecc. • La selezione avversa: un assicuratore stabilisce un premio sulla base del rischio medio di una popolazione, ma gli individui con rischio basso non acquistano la polizza assicurativa (l’assicurazione privata difficilmente distingue le persone che hanno più probabilità di ammalarsi dalle altre perché l’assicurato conosce meglio della compagnia assicurativa la situazione effettiva), con la conseguenza che l’assicuratore perde denaro; per poter recuperare i soldi per gli indennizzi da dare alle persone malate, l’assicuratore dunque applicherà un premio più alto, ma così si assicureranno solo coloro che sanno di avere una grossa probabilità di ammalarsi; di conseguenza per avere profitti la compagnia deve praticare premi sempre più alti con la conseguenza che sempre meno gente si assicura: si tratta di un circolo vizioso che può condurre alla paralisi del mercato. Questo fenomeno viene talvolta descritto con l’espressione piuttosto colorita di spirale della morte. • Per evitare la variabilità dei profitti, è probabile che le assicurazioni non coprano eventi come le epidemie, in cui i rischi a cui è sottoposta la popolazione non sono indipendenti • Motivazioni di «equità»: la sanità pubblica considerata come intervento «equo»: chi lo sostiene, ritiene che il diritto alla cura rientri tra i diritti di cittadinanza e che vada quindi garantito a tutti, indipendentemente da reddito, salute o luogo di provenienza • Paternalismo: gli individui potrebbero non comprendere l’utilità della copertura assicurativa, o non essere abbastanza lungimiranti da premunirsi in tempo. Gli argomenti paternalisti suggeriscono che gli individui dovrebbero essere costretti «per il loro bene» ad acquistare un’assicurazione sanitaria, pubblica o privata che sia. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 42. Il Sistema Sanitario Nazionale in Italia • La spesa pubblica per i servizi sanitari in Italia era pari al 14,89% della spesa sociale nel 1992, è scesa al 13,34% nel 1998 ed è stata il 13,9% nel 2011. In rapporto al PIL, è passata dal 5,77% del 1992 al 5,01% nel 1998, per superare il 6% nel 2011 • Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato introdotto in Italia nel 1978 con l’obiettivo di fornire un servizio universale, ossia diretto a tutti indipendentemente dal livello di reddito, dalla condizione occupazionale e professionale. Il SSN doveva essere finanziato con la fiscalità generale e per l’utente finale le prestazioni dovevano essere gratuite. • In realtà nel corso degli anni sono stati introdotti i cosiddetti ticket: somme di entità inferiore rispetto al costo della prestazione, ma finalizzate a responsabilizzare gli utenti nella domanda di visite e farmaci • A partire dal 1992 è stato avviato un ampio processo di riforma giustificato dal fatto che le risorse non sempre sono state impiegate in modo efficiente, sia perché per poter aderire all’Unione Monetaria Europea era comunque necessario contenere la spesa pubblica italiana • La riforma ha modificato sia la gestione del SSN sia le sue modalità di finanziamento. Nel 1998 è stata introdotta l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) il cui gettito, insieme all’addizionale regionale IRPEF, è interamente destinato al finanziamento del SSN; questi (IRAP + addizionale regionale IRPEF) sono tributi propri delle Regioni, che sono così responsabilizzate dal finanziamento del servizio di loro competenza. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 43. Giustificazioni ad un Sistema Pensionistico pubblico - Le pensioni previdenziali • La pensioni previdenziali sono lo strumento per far si che nel corso dell’attività lavorativa gli individui risparmino una somma tale da mantenere lo standard di vita raggiunto al momento della cessazione del lavoro • Essendo un investimento a lungo termine, l’intervento pubblico è necessario ad assicurare i cittadini contro gestioni azzardate e fallimenti degli operatori. • Necessità di garantire rendite in termini reali al momento della pensione: l’assicurazione, per fornire una rendita in termini reali, deve assicurare il pensionato dal rischio dell’inflazione; ma questa colpisce l’intera popolazione e si presenta come un fenomeno in cui i rischi individuali non sono indipendenti, in maniera simile all’epidemia nel caso dell’assicurazione sanitaria. La non indipendenza dei rischi individuali aumenta a tal punto la volatilità dei profitti delle imprese da indurle a non coprire l’evento, e questo giustifica l’intervento pubblico • Argomentazioni di tipo «paternalistico»: gli individui da soli, pur essendo avversi al rischio e desiderosi di mantenere sempre lo stesso standard di vita, forse volontariamente non riuscirebbero a risparmiare somme sufficienti 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 44. Giustificazioni ad un Sistema Pensionistico pubblico - Le pensioni assistenziali • Le pensioni assistenziali hanno come obiettivo quello di assicurare a tutti, indipendentemente dalla capacità lavorativa, un reddito minimo. Si tratta delle pensioni di invalidità e dei sussidi per i disoccupati • Intervento pubblico nelle pensioni di invalidità: un privato può garantire la copertura assicurativa ai lavoratori che incidentalmente perdono la capacità di lavorare, ma non a coloro che non hanno mai lavorato perché sono stati sempre invalidi (nessun privato sarebbe disposto ad assicurarli); la necessità che tutti gli invalidi abbiano un reddito minimo giustifica l’intervento pubblico • Intervento pubblico nei sussidi di disoccupazione: la compagnia di assicurazione privata, una volta stipulato un contratto, dovrebbe sostenere costi troppo alti per verificare che il lavoratore ne rispetti i termini (il lavoratore potrebbe non essere incentivato a impegnarsi nell’attività lavorativa, non dovendo sopportare interamente le conseguenze di un licenziamento, o potrebbe rifiutare occasioni di lavoro) 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 45. Il Sistema Pensionistico (1): Classificazione delle pensioni • Pensioni previdenziali: • Pensioni di vecchiaia = destinate a chi ha cessato l’attività lavorativa per limiti di età • Pensioni di anzianità = destinate a chi ha raggiunto un certo numero di anni di contribuzione • Pensioni assistenziali: • Pensioni di invalidità = destinate a chi incidentalmente perde la capacità di lavorare • Pensioni per superstiti = destinate a chi, anche se non ha lavorato, è legato da vincoli familiari con lavoratori deceduti • Pensioni sociali = destinati a chi è privo di mezzi di sostentamento, indipendentemente dal fatto che abbia lavorato o meno 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 46. Il Sistema Pensionistico (2): Classificazione dei Sistemi Pensionistici • Le entrate dei sistemi previdenziali pubblici sono i contributi versati dai lavoratori e datori di lavoro: il «gettito contributivo» • Classificazione dei sistemi pensionistici in base a come viene utilizzato il gettito contributivo • Sistemi a «ripartizione»: il gettito contributivo è destinato al finanziamento delle prestazioni erogate in quello stesso periodo (gli occupati pagano le pensioni a chi ha cessato di lavorare). Il finanziamento delle pensioni dipende dal gettito contributivo, che dipende a sua volta dal numero degli occupati e dal tasso di crescita dei salari (legato al tasso di produttività del lavoro): a parità di aliquota contributiva, all’aumentare dei salari e del numero dei salariati, aumenta il gettito • Sistemi a «capitalizzazione»: il gettito contributivo è investito nel mercato dei capitali e, al momento del pensionamento, la pensione è pari ai contributi versati aumentati del tasso di rendimento ottenuto dal loro impiego • Classificazione dei sistemi pensionistici in base al criterio utilizzato per definire l’ammontare della pensione • Sistemi «retributivi»: la pensione è calcolata facendo riferimento al salario del lavoratore (può essere il salario dell’ultimo periodo di attività lavorativa o una media di tutta la vita lavorativa). L’obiettivo è quello di assicurare al pensionato il mantenimento di uno standard di consumi simile a quello tenuto durante il periodo in cui lavorava • Sistemi «contributivi»: la pensione dipende dall’ammontare dei contributi versati durante la vita lavorativa ma il tasso di remunerazione non è il tasso di mercato, come nei sistemi a capitalizzazione, bensì è definito dalla legge a priori. L’obiettivo è quello di vincolare i singoli ad un risparmio forzoso in vista del periodo di inattività 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 47. Il Sistema Pensionistico (3): Sistemi pensionistici pubblici e patti intra e intergenerazionali • Tutti i sistemi pensionistici pubblici si basano su un qualche patto tra generazioni e che l’aspetto più delicato delle riforme è proprio il fatto che va ridefinito questo accordo tra lavoratori e anziani e il ruolo dello Stato come garante di tale patto. Comunque, la struttura di un sistema pensionistico è sempre piuttosto complessa per cui i trasferimenti di risorse non sono solo tra generazioni, ma anche fra categorie di lavoratori e tra lavoratori appartenenti a settori differenti. • Nei sistemi a capitalizzazione i trasferimenti di risorse tra generazioni sono determinati dalla differenza tra il tasso di remunerazione dei contributi versati che lo Stato assicura ai pensionati e l’andamento dei mercati finanziari: se il tasso di remunerazione dei contributi versati supera quello di mercato, è la generazione giovane che trasferisce risorse agli anziani e viceversa quando la remunerazione riconosciuta sia inferiore a quella di mercato. • Nei sistemi a ripartizione, per capire i trasferimenti di risorse tra le generazioni si utilizza l’aliquota contributiva di equilibrio (= aliquota contributiva calcolata di anno in anno che, applicata al monte dei redditi, restituisce l’importo complessivo dei contributi previdenziali). Consideriamo tre tra i possibili patti tra generazioni: • il tasso di sostituzione tra pensione e retribuzione è fisso: in questo caso la pensione è fissa. Se la popolazione e/o la produttività e i salari diminuiscono, cresce l’aliquota contributiva, mentre se aumentano, l’aliquota contributiva scende  l’onere/il beneficio ricade sui giovani lavoratori • il rapporto monte pensioni/monte salari è fisso: in questo caso l’aliquota contributiva è fissa. Se la popolazione diminuisce, diminuisce la pensione pro capite, mentre se la produttività aumenta, aumenta anche la pensione pro capite e il salario netto  l’onere/il beneficio ricade sui pensionati • il rapporto tra pensione pro-capite e salario al netto dei contributi è costante: in questo caso se diminuisce la popolazione, si hanno effetti negativi sia sul salario netto sia sulla pensione pro capite ed entrambe le generazioni sopportano l’onere dell’andamento della popolazione 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 48. Il Sistema Pensionistico (4): i rischi Un contratto pensionistico ha normalmente una durata (30-40 anni di versamenti ed altri 25-30 di pagamento della pensione). È ragionevole che su orizzonti temporali così lunghi sia improbabile prevedere con certezza, al momento della sottoscrizione del contratto, l’andamento delle principali variabili che concorrono a determinare il rendimento finale del piano (la pensione). I principali rischi dei sistemi pensionistici sono: • Il rischio di inadeguatezza dei rendimenti: nonostante il versamento di contributi, la prestazione previdenziale non garantisce una sopravvivenza dignitosa. È più forte nei sistemi a capitalizzazione ed è a carico dei pensionati. • Il rischio inflazionistico: il valore reale della pensione non si conserva nel tempo a causa della crescita dei prezzi. È a carico dei pensionati nei sistemi a capitalizzazione (rischio non assicurabile). È a carico dei giovani (pensionati) se (non) esistono forme di indicizzazione delle pensioni ai prezzi, nei sistemi a ripartizione. • Il rischio salariale: legato alle posizioni economiche relative di lavoratori e pensionati (rapporto tra salari e pensioni). È a carico dei pensionati nei sistemi a capitalizzazione (dinamica dei salari non influenza dinamica delle pensioni). È a carico dei giovani (pensionati) se (non) esistono forme di indicizzazione delle pensioni ai salari nei sistemi a ripartizione. • Il rischio demografico: è relativo alla possibilità che il tasso di crescita della popolazione possa seguire dinamiche non previste. Il rischio demografico è evidente nel sistema a ripartizione: se la popolazione non cresce, un numero ridotto di lavoratori deve sostenere una spesa per pensioni sempre più onerosa. L'indicatore utilizzato per valutare questo il rischio è il rapporto tra popolazione pensionata e attiva. • Il rischio politico: è relativo alla possibilità che, durante il periodo del contratto pensionistico, il Parlamento modifichi i parametri che regolano il funzionamento del sistema pensionistico. È un rischio molto più forte nel sistema a ripartizione. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 49. Il Sistema Pensionistico (5): effetti sul comportamento economico degli individui • Il punto di partenza è la teoria del ciclo vitale del risparmio (Modigliani), secondo la quale le decisioni di consumo e risparmio (il comportamento economico) da parte degli individui si basano su considerazioni riguardanti la loro vita intera: durante la vita lavorativa, gli individui risparmiano parte del loro reddito per accumulare i fondi dai quali potranno attingere durante il periodo in cui saranno in pensione. • L’effetto sostituzione della ricchezza: secondo questa teoria, i lavoratori sono consapevoli che, in cambio dei contributi versati alla previdenza sociale, riceveranno una data pensione. Se considerano i contributi della previdenza sociale un mezzo per “risparmiare” in funzione di questi benefici futuri, tenderanno a risparmiare meno per conto loro; in effetti la previdenza sociale tende a “spiazzare” il risparmio privato, fenomeno noto con il nome di «effetto sostituzione della ricchezza». 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 50. Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (1) • In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, il sistema previdenziale era a ripartizione di tipo retributivo e caratterizzato non solo da un imponente debito previdenziale, ma anche da marcate differenziazioni di trattamento tra categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e tra settori dell’economia (industria, agricoltura e servizi). • Inoltre, per un lungo periodo di tempo, è stato fatto un uso distorto di alcune prestazioni: le pensioni di anzianità e quelle di invalidità sono state utilizzate al posto dei sussidi alla disoccupazione per gestire le fasi negative del ciclo economico e i processi di trasformazione della produzione. • Con il ridursi dei tassi di crescita della popolazione, l’invecchiamento, e la riduzione dei tassi di crescita e di produttività del lavoro il sistema a ripartizione di tipo retributivo è divenuto insostenibile e si è dovuti passare gradualmente ad un sistema a ripartizione di tipo contributivo, detto «senza patrimonio di previdenza», cioè le pensioni, calcolate con una formula predefinita in base ai contributi versati, sono pagate con le entrate correnti (= gettito contributivo + trasferimenti dalla fiscalità generale) e non dal patrimonio di previdenza derivante dall'accantonamento dei contributi obbligatori. Non vi è quindi un patrimonio di previdenza accumulato dall'ente previdenziale, che sia di garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti dei pensionati attuali e futuri. • Con il prioritario intento di contenere la spesa, il sistema previdenziale italiano è stato radicalmente modificato con le riforme Amato (d.lgvo 503/92) e Dini (L. 335/95). Successivi interventi su questa materia sono stati fatti sotto il primo Governo Prodi (art. 59, L. 449/97) e con il secondo Governo Berlusconi (L. 243/2004). Nel biennio 2009- 2011 sono stati adottati ulteriori provvedimenti destinati a contenere la spesa pensionistica nel breve periodo. Infine, una modifica sostanziale della materia è stata adottata dal primo Governo Monti (articolo 24, legge 214/2011) con la cosiddetta riforma Fornero. Tutto ciò ha portato ad un progressivo aumento dei requisiti anagrafici e di contributi per accedere alla pensione, e alla modifica del calcolo della stessa. 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 51. Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (2) • Riforma Amato: viene aumentata l’età (da 60 a 65 anni per gli uomini, da 55 a 60 anni per le donne) per avere diritto alla pensione di vecchiaia (per la quale è necessario aver contribuito per almeno 20 anni) o aver lavorato almeno 35 anni per avere la pensione di anzianità. Inoltre è stato stabilito che la pensione fosse calcolata moltiplicando una percentuale (detta tasso di rendimento) per la cosiddetta retribuzione pensionabile. • Il tasso di rendimento era pari al 2% per ciascun anno di contribuzione, variando così da un minimo del 40%, per coloro che avevano raggiunto i requisiti anagrafici e i 20 anni di contributi necessari ad avere la pensione di vecchiaia, a un massimo dell’80%, per chi aveva 40 anni di contributi. • La retribuzione pensionabile era una media delle retribuzioni imponibili di tutti gli anni in cui il lavoratore aveva contribuito (potendo escludere dalla media quelle inferiori del 20%, a condizione che non superassero un quinto delle retribuzioni considerate). • Riforma Dini: ha trasformato il sistema pensionistico italiano da sistema a ripartizione di tipo retributivo a sistema a ripartizione contributivo, ed era previsto che si applicasse integralmente a coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire dal 1996. • Primo Governo Prodi: duplice obiettivo di accelerare l’uniformazione della normativa dei regimi pensionistici e di elevare – per alcune categorie di lavoratori – i requisiti di età per la pensione di anzianità. • Secondo Governo Berlusconi, con la legge 243/2004 (legge Maroni): requisito unico per andare in pensione: 40 anni di contributi o 65 anni di età (60 per le donne) e 35 di contributi (tutto ciò allo scopo di contenere ulteriormente la spesa pensionistica di lungo periodo). Si creò il cosi detto «scalone», termine giornalistico che stava a indicare un diverso trattamento previsto per quelli che potevano andare in pensione prima del 1°gennaio 2008 e quelli che potevano farlo solo dopo 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 52. Sistema pensionistico in Italia: un po’ di storia (3) • Secondo Governo Prodi: il cosiddetto scalone era stato sostituito con una serie di “scalini”; veniva adottato il sistema delle quote secondo il quale il diritto alla pensione si maturava considerando sia l’età anagrafica, sia quella contributiva. La quota valida allora fissata per andare in pensione l’1 gennaio 2013 era 97, che – per esempio – si poteva raggiungere con 60 anni di età e 37 di contributi, oppure 65 anni di età e 32 di contributi e con tutte le altre possibili combinazioni. Valeva sempre la possibilità di avere la pensione di anzianità se si raggiungevano i 40 anni di contributi. • Terzo Governo Berlusconi: è stata adottata una modifica della normativa in attuazione di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che richiedeva l’equiparazione del trattamento pensionistico per gli uomini e le donne. • La riforma Fornero (articolo 24, legge 214/2011): modifiche ai requisiti di accesso, al meccanismo del calcolo degli assegni, ai coefficienti di trasformazione nonché di alcune aliquote contributive. Tutte queste misure hanno il duplice obiettivo di ridurre la spesa e di migliorare l’equità tra generazioni rispetto al sistema introdotto dalla riforma Dini. A proposito dei requisiti di accesso la legislazione vigente prevede due canali di accesso al pensionamento: il pensionamento di vecchiaia e quello anticipato. Possono accedere al pensionamento di vecchiaia coloro che abbiano almeno 20 anni di contributi e un’età anagrafica che nel 2020 sarà uguale per tutti e pari a 67 anni. Il pensionamento anticipato richiede una minore età anagrafica ma più anni di contributi (per gli uomini: 42 anni e 3 mesi; per le donne, 41 anni e 3 mesi). 6. La spesa sociale: pensioni e sanità
  • 54. Analisi costi-benefici • Il concetto di «funzione del benessere sociale» è di scarso aiuto nella valutazione quotidiana di progetti alternativi • L’analisi costi-benefici è un insieme di procedure sistematiche che aiutano l’operatore pubblico a scoprire se i benefici sociali di un progetto pubblico (una scuola, una strada, etc.) superano i costi sociali. • L’analisi costi-benefici aiuta l’operatore pubblico a capire se è opportuno o meno realizzare un progetto pubblico. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 55. Il Valore Attuale • È il valore che ha oggi («attuale») una somma di denaro da ricevere o pagare in futuro. Serve a confrontare somme di denaro (costi e benefici di un progetto) in tempi diversi. • Per calcolare il valore attuale di una somma che si avrà tra un anno, si divide quest’ultima per (1+r), dove r è il tasso di interesse detto anche «tasso di sconto». In generale, in assenza di inflazione, il valore attuale di R euro allo scadere di T anni è Va = R/(1+r)T (1+r)T è detto «fattore di sconto» • Esempio: con un tasso di sconto del 5% annuo, il valore attuale di un progetto che renderà 1 milione di € tra 20 anni è pari a: 1.000.000€/(1+0,05)20=376.889,5€ • Qui si presume che il tasso di sconto sia costante; se invece cambia nel tempo, per cui nel primo anno il tasso è r1, nel secondo è r2 e così via, il valore attuale di R euro restituita tra T anni è Va = R/[(1 + r1) * (1 + r2) * … * (1 + rT)] • Consideriamo ora un flusso di reddito: ogni anno viene riscossa una somma R0, R1, R2, …, RT , fino all’anno T; per calcolare il valore attuale di un flusso di reddito si attualizza ciascuna delle cifre riscosse in periodi diversi, e poi si sommano: 7. Analisi Costi-Benefici
  • 56. Il Valore Attuale in presenza di inflazione (1) • Il valore della moneta può essere classificato in due modi: • valore nominale: il valore impresso sulla moneta • valore reale: il potere di acquisto della moneta (cioè la quantità di beni e servizi che in un dato momento può essere acquistata con l'impiego della moneta). • Valore reale e valore nominale non coincidono, poiché il valore nominale non è altro che un numero mentre il valore reale è l'effettivo quantitativo di ricchezza della quale disponiamo. Il fenomeno che influisce su questa diversità è l'inflazione, cioè un continuo aumento dei prezzi che provoca un deprezzamento della moneta: tra un anno il valore nominale di una banconota da 100€ rimane uguale mentre il valore reale diminuisce. La relazione tra valore reale e valore nominale è: Valore reale di una somma erogata tra n anni = valore nominale / (1+inflazione annua)^n Valore reale di una somma erogata n anni fa = valore nominale * (1+inflazione annua)^n Esempio: valore reale di 100€ tra 2 anni con inflazione del 2% = 100€/(1+0,02)^2 = 96,12€ 7. Analisi Costi-Benefici
  • 57. Il Valore Attuale in presenza di inflazione (2) • Lo stesso discorso vale per i tassi di interesse; il tasso di interesse reale è il tasso di interesse corrente (tasso di interesse nominale) al netto del tasso di inflazione atteso: Tasso di interesse reale = (1+tasso di interesse nominale)/(1+inflazione)-1 che per valori bassi si può approssimare a: Tasso di interesse reale = tasso di interesse nominale - inflazione • Quando è prevista inflazione π, i rendimenti futuri si rivalutano (aumentano all’aumentare dei prezzi) e quindi per calcolare il valore attuale bisogna «scontarli» tenendo conto anche dell’inflazione. Il calcolo del valore attuale, quindi, non cambia sia che si usino grandezze reali che nominali, l’importante è essere coerenti: • se per attualizzare una somma si usa il tasso di interesse corrente (nominale), i rendimenti dovranno essere misurati in termini nominali • se per i rendimenti si usa il valore reale, anche il tasso di sconto deve essere reale, ossia tasso di interesse corrente (nominale) meno tasso di inflazione atteso Valore nominale Tasso di sconto nominale Valore reale Tasso di sconto reale 7. Analisi Costi-Benefici
  • 58. Analisi di un progetto privato • Il problema centrale dell’analisi costi-benefici di progetti pubblici è la valutazione degli input e degli output. • L’azienda deve rispondere a due domande. La prima: è opportuno realizzare questi progetti, ossia sono ammissibili? L’azienda potrebbe, infatti, scegliere di non realizzare alcun progetto. La seconda: se entrambi i progetti sono ammissibili, qual è il migliore? • Un progetto è ammissibile solo se il suo rendimento netto è positivo, cioè se il valore attuale dei benefici futuri (al netto delle imposte) è maggiori del valore attuale dei costi. Se entrambi i progetti sono ammissibili e l’azienda può realizzarne solo uno dei due, non resta che scegliere quello con il rendimento netto maggiore. • I benefici di un progetto sono i ricavi ottenuti, i costi sono quelli relativi agli input ed entrambi si misurano in base ai prezzi di mercato. • Il tasso di sconto è un elemento chiave dell’analisi, infatti diversi tassi di sconto possono condurre a conclusioni molto diverse: se si sceglie un tasso di sconto troppo alto, si discriminano negativamente i progetti con rendite concentrate in un futuro relativamente lontano (maggiore è il tasso di sconto, minore è il loro valore attuale) e viceversa • Il tasso di sconto scelto da imprenditori privati dovrebbe riflettere il tasso di rendimento di eventuali investimenti alternativi, sebbene sia praticamente difficile individuare con esattezza questo tasso. BENEFICI NETTI ATTUALIZZATI – COSTI ATTUALIZZATI > 0 7. Analisi Costi-Benefici
  • 59. Analisi di un progetto pubblico (1) • Anche gli operatori pubblici per scegliere tra progetti alternativi si basano sul criterio del valore attuale, ma nel settore pubblico costi, benefici e tassi di sconto possono essere calcolati in modo diverso da quanto fatto per il settore privato. • CALCOLO DEL TASSO DI SCONTO NEL SETTORE PUBBLICO. Tre misure possibili : • Il tasso di rendimento lordo (al lordo delle imposte) del settore privato • Una media ponderata dei tassi di rendimento lordo e netto del settore privato: siccome gli investimenti del settore pubblico riducono sia i consumi sia gli investimenti del settore privato, si utilizza una media ponderata dei tassi di rendimento al lordo e al netto delle imposte; si impiega come peso, per i tassi di rendimento lordi, la parte di denaro sottratta agli investimenti (non si considerano le imposte sui rendimenti degli investimenti perché il tasso di rendimento al lordo dell’imposta misura il valore dell’output che l’investimento avrebbe generato per l’intera società, indipendentemente dal fatto che l’intera somma rimanga all’investitore o che parte di essa vada allo Stato sotto forma di imposte) e, per i tassi di rendimento netti, la parte sottratta ai consumi. In pratica è difficile stabilire quali siano le risorse che si sottraggono ai consumi e agli investimenti e ’impossibilità di disporre di tutte le informazioni necessarie diminuisce l’utilità di questo approccio. • Il tasso sociale di sconto: è il tasso al quale la società è disposta a rinunciare al consumo attuale in cambio di quello futuro, cioè il valore che la società attribuisce al consumo sacrificato per finanziare un dato progetto. Solitamente il tasso sociale di sconto è inferiore ai tassi di rendimento del settore privato. Le ragioni sono molte: interesse per le generazioni future, paternalismo, inefficienza del mercato, etc. I sostenitori dell’utilizzo di un tasso sociale di sconto sottolineano che i tassi di sconto basati sul settore privato sono troppo elevati per riflettere correttamente gli interessi delle generazioni future; gli oppositori, invece, ritengono che essi siano adeguati a tale scopo. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 60. Analisi di un progetto pubblico (2) • CALCOLO DEI COSTI E BENEFICI NEL SETTORE PUBBLICO. Il prezzo di mercato, usato per misurare i Costi e i Benefici, nei mercati imperfetti può non riflettere i costi e i benefici sociali. Il calcolo di costi e benefici dei progetti pubblici deve quindi tenere conto di diversi aspetti: • Se i prezzi di mercato non riflettono il costo marginale sociale, a causa delle imperfezioni del mercato, si possono correggere con i prezzi ombra. Il prezzo ombra è il costo marginale sociale di un bene che si può stimare a partire dai prezzi di mercato: pur divergendo dai prezzi di mercato, si calcola a partire da questi. • Se non c’è un mercato di riferimento per il bene in questione e dunque non esiste un suo prezzo di mercato, il suo valore può essere dedotto osservando il comportamento delle persone. Esempio: come valutare i benefici nel ridurre le probabilità di morte? Un possibile approccio, spesso utilizzato nei tribunali per stabilire il risarcimento da accordare ai parenti di una persona deceduta in un incidente, è quello di calcolare il valore della vita di un individuo come il valore attuale dei guadagni netti durante la sua vita. Tuttavia, preso in senso letterale, questo approccio sottintende che la società non subirebbe alcuna perdita se l’individuo fosse una persona anziana, un malato o un handicappato grave, di conseguenza possono essere privilegiati altri approcci • I costi e i benefici di certi beni immateriali sono difficili da calcolare. Esempio: non è facile attribuire un valore in denaro a “beni” quali l’aumento del prestigio nazionale che deriva da un programma spaziale o alla soddisfazione di godere di un bel paesaggio grazie alla creazione di un parco • In generale, per costruire criteri alternativi ai prezzi di mercato nel calcolo dei costi e dei benefici, si deve far ricorso a modelli economici molto complessi. Di conseguenza la maggior parte degli economisti ritiene che, in assenza di grosse imperfezioni, i prezzi di mercato siano il miglior criterio cui riferirsi per calcolare costi e benefici pubblici. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 61. Tranelli nell’analisi Costi-Benefici • Il tranello della reazione a catena: si calcolano benefici secondari per rendere la proposta più appetibile senza includere i corrispondenti costi secondari. Esempio: se un Governo costruisce una strada, il beneficio principale è la riduzione dei costi di trasporto, e allo stesso tempo, probabilmente, si avranno benefici secondari come la crescita dei profitti di ristoranti, alberghi e aree di servizio locali; ma può produrre anche perdite: dopo aver costruito la strada, i profitti delle ferrovie diminuiranno perché molti utenti preferiranno utilizzare l’auto e un maggior uso di auto può portare a un aumento del costo della benzina. • Il tranello della creazione di posti di lavoro: si calcolano i salari come benefici e non come costi del progetto. • Il tranello del doppio conteggio: i benefici vengono conteggiati, erroneamente, due volte. Esempio: supponiamo che un Governo decide di costruire un’opera di irrigazione per alcuni terreni che attualmente non possono essere coltivati e calcola come benefici, sommandoli, l’aumento del valore della terra e il valore attuale del flusso di reddito netto derivante dalle attività agricole. L’agricoltore potrà guadagnare vendendo la terra o coltivandola, ma poiché l’agricoltore non può fare entrambe le cose contemporaneamente (vendere e coltivare), conteggiarle come due diversi benefici significa solo duplicare il beneficio effettivo. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 62. Considerazioni sulla ridistribuzione del reddito nell’analisi Costi-Benefici • Esistono opinioni discordi riguardanti l’opportunità o meno di inserire nell’analisi costi- benefici considerazioni sulla distribuzione dei redditi. • Criterio di Hicks-Kaldor: Un progetto dovrebbe essere realizzato soltanto se presenta un rendimento netto positivo, indipendentemente dalle conseguenze in termini di distribuzione. • Altri sostengono che le implicazioni distributive di un progetto dovrebbero essere tenute in considerazione perché il fine dello Stato non è il profitto, ma massimizzare il benessere sociale. In questa prospettiva si può pensare che lo Stato riesca a correggere la distribuzione del reddito ponendo particolare attenzione ad una certa fascia di popolazione o gruppo sociale, presumendo che un beneficio per un membro di questo gruppo valga più di un beneficio per altri. Una volta stabilito il criterio per capire se un individuo appartiene o no a quel gruppo, bisogna affrontare la questione di quale sia precisamente il peso dei benefici per i membri di quel gruppo rispetto al resto della società: per esempio un euro per una persona povera vale il doppio di un euro destinato a una persona ricca o vale 50 volte tanto? • È chiaro che le cose non sono così semplici, perché lo Stato non ha né il potere né la capacità di ridistribuire il reddito in modo ottimale. Inoltre introducendo considerazioni distributive vi è il pericolo che le istanze politiche dominino l’analisi costi-benefici generando un valore attuale positivo per qualunque progetto, indipendentemente dalla sua efficienza. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 63. Il problema dell’incertezza nell’analisi costi-benefici • Nelle situazioni di incertezza, a parità di condizioni, gli individui tendono a scartare i progetti rischiosi. • Quando i benefici o costi di un progetto siano incerti, devono essere convertiti in equivalenti certi, ossia nella cifra certa che gli individui sono disposti a scambiare con una combinazione di esiti incerti generati da un progetto. Per calcolarlo è necessario conoscere sia la probabilità degli esiti del progetto sia l’avversità al rischio delle persone interessate. Calcolo dell’equivalente certo: • L’ammontare di moneta certo che l’individuo considera equivalente ad una combinazione rischiosa è quella che restituisce la stessa utilità attesa della combinazione rischiosa. Se abbiamo due esiti rischiosi in cui si ricevono le quantità di moneta c1 e c2 con le rispettive probabilità che si verifichino π1 e π2, l’equivalente certo della combinazione rischiosa (c1, c2 ) è la quantità di moneta ce che restituisce la stessa utilità della combinazione rischiosa (c1, c2 ): u(ce) = π1 u(c1) + π2 u(c2) c1 < ce < c2 u() è l’utilità • Per l’individuo è indifferente tra ricevere ce con certezza e rischiare tra c1 e c2. Se l’ammontare di moneta certo che si offre all’individuo è maggiore di ce, egli sceglierà l’ammontare di moneta certo, mentre se l’individuo fosse chiamato a scegliere tra un ammontare di moneta certo minore di ce e la combinazione rischiosa, egli sceglierebbe quest’ultima. • Il premio per il rischio è dato dalla differenza tra il «valore atteso» (π1 c1 + π2 c2) e l’equivalente certo ce: rp = (π1 c1 + π2 c2) – ce • Il premio per il rischio rappresenta la cifra massima che l’individuo è disposta a pagare per ottenere un risultato certo, cioè per eliminare il rischio della scelta. Maggiore è il premio per il rischio, maggiore è, approssimativamente, il livello di avversione al rischio della persona. • Il premio per il rischio è > 0 negli individui avversi al rischio, = 0 negli individui neutrali al rischio, < 0 negli individui propensi al rischio. 7. Analisi Costi-Benefici
  • 64. 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi «La tassazione è l’arte di spennare l’oca in modo tale da avere il massimo di piume con il minimo di starnazzi» - Jean Baptiste Colbert, Ministro delle Finanze francesi sotto Re Luigi XIV
  • 65. Come influisce un’imposta sulla distribuzione del reddito? • L’incidenza legale dell’imposta indica il soggetto che è giuridicamente tenuto al pagamento dell’imposta. Poiché i prezzi possono variare in seguito all’introduzione di un’imposta, l’incidenza legale non fornisce alcuna indicazione su chi versa veramente l’imposta. • Al contrario, l’incidenza economica dell’imposta rappresenta la variazione nella distribuzione del reddito determinata dalla sua introduzione, ovvero chi ne sopporta effettivamente l’onere. • La differenza tra l’incidenza legale e quella economica è la traslazione dell’imposta. • OSSERVAZIONE 1: Nonostante la maggior parte dei sistemi fiscali preveda la tassazione sia delle persone fisiche sia delle persone giuridiche, per l’economista solo le persone fisiche possono pagare le imposte • OSSERVAZIONE 2: Si dovrebbero considerare sia le fonti sia gli impieghi del reddito. se il prezzo di un bene aumenta, tutti coloro che tendono a consumarne molto vedono peggiorare il loro benessere; ma quando l’imposta riduce la domanda, anche i fattori impiegati nella produzione possono perdere reddito. Nella pratica, per semplificare l’analisi, gli economisti quando analizzano l’imposta che grava sul consumo di un bene, ignorano gli effetti dal lato del reddito e quando analizzano l’imposta che grava su un input, trascurano gli effetti sui consumi 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 66. Analisi dell’«incidenza dell’imposta» in regime di concorrenza perfetta (1) • Per comprendere come le imposte modifichino la distribuzione del reddito, è essenziale comprendere come le imposte producono variazioni dei prezzi relativi. • Modello concorrenziale di equilibrio parziale: i prezzi sono determinati in condizione di concorrenza perfetta e si considererà unicamente il mercato in cui viene imposto il tributo, ignorano quindi gli effetti su altri mercati. • Analizzeremo l’incidenza dell’imposta sulle vendite, che può essere di due tipi: • Imposta unitaria o specifica = ammontare fisso su ogni unità di bene venduto. • Imposta ad valorem = imposta con un’aliquota proporzionale al prezzo Queste imposte possono essere applicate ai beni di consumo (esempio: IVA su prodotti fisici) o ai fattori di produzione (salari e capitali; esempio: contributi da lavoro) 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 67. Analisi dell’«incidenza dell’imposta» in regime di concorrenza perfetta (2) • In presenza di un’imposta unitaria o ad valorem il prezzo pagato dal consumatore differisce dal prezzo ricevuto dal produttore: Prezzo ricevuto = prezzo pagato – imposta • La differenza tra il prezzo pagato dai consumatori e quello ricevuto dai produttori è detta cuneo fiscale • L’Incidenza dell’imposta diminuisce il benessere sia dei produttori che dei consumatori: una parte dell’imposta è pagata dai consumatori con un aumento del prezzo pagato, la restante parte è pagata dai produttori con un minor prezzo ricevuto. L’incidenza dell’imposta è quindi indipendente dal fatto che sia legalmente attribuita ai consumatori o ai produttori • L’incidenza economica dell’imposta dipende dall’elasticità* della domanda e dell’offerta: più è elastica la domanda (maggiore è la variazione della quantità domandata in risposta ad una variazione dei prezzi), minore è la parte di imposta che grava sui consumatori, a parità di altre condizioni, perché più è elastica la domanda più facile risulta per i consumatori passare ad altri prodotti quando il prezzo sale e di conseguenza una percentuale maggiore dell’imposta sarà sopportata dai fornitori. Analogamente, più è elastica l’offerta, minore è la parte di imposta che grava sui produttori, a parità di altre condizioni. • Queste imposte possono essere applicate, oltre che ai beni di consumo, anche ai fattori di produzione: • Imposta sui salari: in questo caso l’imposta è pari alla differenza tra il salario pagato dai datori di lavoro e il salario ricevuto dai lavoratori. Con una domanda di lavoro elastica da parte dei produttori e un’offerta di lavoro anelastica, la maggior parte dell’imposta viene pagata dai salariati e viceversa. • Imposta sui capitali: in questo caso l’imposta è pari alla differenza tra l’interesse pagato dalle imprese che domandano capitale e il rendimento ricevuto dai risparmiatori che offrono capitale. Con un’offerta di capitale elastica e una domanda di capitale anelastica, la maggior parte dell’imposta viene pagata dagli utilizzatori di capitale, cioè le imprese; viceversa se la domanda è più elastica dell’offerta. 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 68. Analisi dell’«incidenza dell’imposta» in mancanza di concorrenza perfetta • Monopolio (un solo produttore): gli effetti di un’imposta unitaria sui beni prodotti da un monopolista sono che il prezzo pagato dai consumatori sale, la quantità domandata scende e il prezzo ricevuto dal monopolista diminuisce; di conseguenza i profitti per unità (dati dalla differenza tra il prezzo ricevuto e il costo medio totale) diminuiscono. Nonostante il monopolista goda di ampio potere di mercato e contrariamente a quanto si pensi, in genere è colui che sopporta l’onere delle imposte introdotte sul prodotto che vende; le imprese in concorrenza perfetta riescono a trasferire l’onere delle imposte sui consumi più facilmente di quanto non riesca a farlo il monopolista. Come illustrato in precedenza, la quota precisa dell’onere che ricade sui consumatori dipende esclusivamente dall’elasticità della domanda • Oligopolio (un numero limitato di produttori): l’incidenza dipende dalla modalità di variazione dei prezzi ma non esistendo una teoria generalmente accettata della determinazione dei prezzi in oligopolio, non esiste una teoria univoca dell’incidenza dell’imposta in un mercato oligopolistico. Tuttavia è comunque possibile studiare l'incidenza delle imposte ipotizzando tre possibili modalità di determinazione del prezzo: • il prezzo viene deciso dalle imprese seguendo un comportamento strategico: a seguito dell'introduzione di un'imposta ognuna di esse ipotizza che un aumento del prezzo del proprio prodotto potrebbe indurre i propri clienti ad acquistare da altre imprese che non hanno adottato lo stesso comportamento. Se tutte le imprese si comportano allo stesso modo, l'imposta sarà sopportata dai venditori • il prezzo è determinato da precisi accordi fra le imprese (che fanno cartello**): in tal caso gran parte dell'imposta può essere facilmente trasferita sui consumatori mediante una diminuzione dei livelli di produzione con conseguente innalzamento del livello del prezzo • il prezzo è fissato in base al criterio del mark up***, in tale ipotesi l'imposta viene considerata, dalle imprese, come un costo aggiuntivo per cui essa sarà interamente trasferita sui consumatori 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 69. *L’elasticità è la sensibilità alla variazione dei prezzi. Maggiore è l’elasticità, maggiore è la variazione della domanda (dell’offerta) dovuta a una variazione dei prezzi. Si parla di domanda (offerta) - elastica quando una variazione percentuale del prezzo causa una variazione della quantità domandata (offerta) più che proporzionale; - unitaria se la variazione percentuale dei prezzi causa una variazione ugualmente proporzionale; - rigida o anelastica se la variazione dei prezzi causa una variazione meno che proporzionale. **Un cartello è costituito da un gruppo di produttori che agiscono di comune accordo per massimizzare i profitti. Ogni impresa riduce la produzione per far salire il prezzo fino a quello di monopolio: le imprese, agendo di comune accordo, si comportano come un monopolista. ***Il criterio del mark-up è una semplicissima regola (che a livello pratico quasi tutti i piccoli imprenditori utilizzano) consistente nell’applicare una percentuale di margine (spesso chiamata di “ricarico”) al costo d’acquisto o di fabbricazione dei beni venduti, in modo tale da stabilire il prezzo finale cui questi stessi beni saranno venduti al consumatore. In formula quindi: costo d’acquisto (o di produzione) + mark up (in percentuale sul costo) = prezzo di vendita 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 70. Analisi dell’incidenza delle imposte sui profitti • Le imprese possono essere tassate non solo sulle vendite, ma anche sul profitto, definito come la differenza tra i ricavi totali e i costi dei fattori utilizzati nella produzione. • Un’imposta sui profitti non modifica né i costi marginali né i ricavi marginali, quindi nessuna impresa è incentivata a cambiare la sua decisione di produzione. Poiché il livello di prodotto non varia, non cambia neppure il prezzo pagato dai consumatori, che perciò non vedono ridurre il loro benessere. Se le imprese massimizzano i profitti, un’imposta di questo tipo non può essere trasferita ed è sopportata solo dai proprietari dell’impresa. 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 71. Analisi dell’incidenza delle imposte sui fattori fissi e durevoli (i terreni e i fabbricati) • Supponiamo di possedere un terreno (bene fisso e durevole) che renda un canone attuale R e di trovarci in un mercato concorrenziale perfetto. Se r è il tasso di interesse, il prezzo della terra è pari al valore attuale del flusso di rendimenti: • Nel momento in cui viene introdotta l’imposta u, il prezzo del fattore di produzione fisso tende a scendere del valore attuale di tutti i futuri versamenti di imposte • Il processo mediante il quale un flusso di imposte viene incluso nel prezzo di un’attività viene denominato «capitalizzazione» • A causa della capitalizzazione, la persona che sopporta l’intero onere dell’imposta è colui che possiede la terra nell’istante in cui viene introdotta l’imposta. =R(r+1)/r =(R-u)(r+1)/r 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 72. Modelli di equilibrio generale • Le analisi precedenti hanno tenuto in considerazione solo gli effetti e l’incidenza delle imposte in un solo mercato. Tuttavia, quando si introduce un’imposta in un settore relativamente grande rispetto all’economia, considerare solo gli effetti su quel mercato può non essere sufficiente perché gli effetti traslano su altri mercati. • L’analisi di equilibrio generale prende in considerazione i modi in cui i mercati sono connessi tra loro. • In un modello di equilibrio generale l’imposta su un singolo fattore introdotta in un particolare settore può finire per influenzare i rendimenti di tutti i fattori di tutte le industrie. • L’analisi sui modelli di equilibrio generale sull’incidenza delle imposte è opera di Harberger. Si basa su ipotesi restrittive che possono non essere reali ma che servono a semplificare il modello. • Se un’imposta influisce su molti mercati, l’incidenza dipende dalle reazioni di numerose curve di domanda e offerta di input e output. 8. Tassazione e redistribuzione dei redditi
  • 73. 9. Tassazione ed efficienza: l'eccesso di pressione tributaria

Hinweis der Redaktion

  1. RICORDA: l’elasticità è la  sensibilità alla variazione dei prezzi. Maggiore è l’elasticità, maggiore è la variazione della domanda (dell’offerta) dovuta a una variazione dei prezzi. Si parla di domanda (offerta) elastica quando una variazione percentuale del prezzo causa una variazione della quantità domandata (offerta) più che proporzionale; unitaria se la variazione percentuale dei prezzi causa una variazione ugualmente proporzionale; rigida o anelastica se la variazione dei prezzi causa una variazione meno che proporzionale.
  2. RICORDA: il criterio del mark-up è una semplicissima regola (che a livello pratico quasi tutti i piccoli imprenditori utilizzano) consistente nell’applicare una percentuale di margine (spesso chiamata di “ricarico”) al costo d’acquisto o di fabbricazione dei beni venduti, in modo tale da stabilire il prezzo finale cui questi stessi beni saranno venduti al consumatore. In formula quindi: costo d’acquisto (o di produzione) + mark up (in percentuale sul costo) = prezzo di vendita
  3. RICORDA: La base monetaria, emessa dalla banca centrale, viene immessa nell'economia attraverso diversi canali: la variazione delle riserve ufficiali: quando la Banca centrale acquista valuta estera pagando (vende) con euro, immette base monetaria nel circuito; quando immette (vende) valuta estera, in cambio di euro (acquistando), sottrae base monetaria dal circuito il finanziamento del tesoro: quando la banca centrale finanzia il tesoro attraverso l'acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato primario, ossia direttamente dall’emittente (il Tesoro, appunto) al momento della loro emissione; il tesoro, a sua volta, distribuisce la moneta così ricevuta al resto dell'economia attraverso la spesa pubblica. Dal 1993 con il Trattato di Maastricht, in vista della nascita dell’Unione Monetaria Europea, è stato stabilito il divieto del finanziamento del tesoro le operazioni di mercato aperto: acquisti o vendite di titoli del debito pubblico effettuati dalla banca centrale sul mercato secondario, ossia con soggetti, diversi dall'emittente, che li avevano in precedenza acquistati. L'acquisto di titoli aumenta la base monetaria, e viceversa. il finanziamento delle banche: finanziando le banche, la Banca Centrale accresce la base monetaria in misura pari all'ammontare del finanziamento; le banche, a loro volta, distribuiscono la moneta così ricevuta al resto dell'economia, principalmente attraverso operazioni di credito (prestiti a vari soggetti).