2. I telefoni dell’Ordine
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Una segreteria telefonica è sempre
attiva per lasciare eventuali messaggi;
il referente d’ufficio provvederà a
rispondere appena possibile.
Sportello ENPAM, modalità di ricevimento
3. 3 Rapporto di sfiducia
salute e migranti
5 I migranti non sono un rischio per la salute pubblica
9 Stranieri più sani di noi, ma prevengono meno
11 Il diritto alla salute per i più vulnerabili: l’impegno dell’INMP
Professione
13 Trasparenza sui compensi, come è stato recepito il disclosure code?
14 Tu vuò fà o’ trasparente, ma si’ nato in Italy!
15 Quanto sono affidabili i test in farmacia o fai da te?
17 Radiologo e odontoiatra a confronto sulla diagnostica
Sanità
20 Legge Regionale 23/2015: la sanità lombarda lentamente si evolve
24 Cannabis di stato ai nastri di partenza
27 Indicazioni e letteratura
28 Umberto Veronesi, nel ricordo di chi l’ha conosciuto
L’intervista
30 Alberto Mantovani: “Medici, coltivate la vostra passione!”
Clinicommedia ieri e oggi
34 Una questione di clisma
36 Una questione di clisma… e di progressi della medicina
Storia e storie
38 Tra elezioni, codice deontologico e medaglie al valore militare
41 Tre chilometri di storia della medicina
43 Un patrimonio oltre la biblioteca
44 Da leggere, vedere e ascoltare
47 Corsi ECM
48 In ricordo di
SmartFAD
I La stagione influenzale 2016-2017
II Destinazione Praga, ma senza influenza
IV Vaccinarsi, un colpo vincente
VI Un inverno freddo anche per la bougainvillea
sommario
editoriale
360°
4. 2 InFormaMI
Registrazione al Tribunale di Milano
n° 366 del 14 agosto 1948
Iscritta al Registro degli operatori
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(delibera AGCOM n. 666/08/CONS del
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Collegio Revisori dei conti
Presidente
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Revisori
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Pallaroni
Revisore Supplente
Alessandra Carreri
Nexive
SANITÀ
Pronta la cannabis
di stato
pag. 24
INTERVISTA
Mantovani: che cosa
consiglio a medici e non
pag. 30
STORIA E STORIE
Viaggio nella biblioteca
del Policlinico
pag. 38
Salute
e migranti
360°
pag. 5
INFORMAMIBollettino dell’OMCeOMI
4 . 2016 ANNO LXIX
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5. 34 . 2016
Editoriale
Il Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia ha recentemente pubblicato, nell’indifferenza
generale, una discutibile (a dir poco) Delibera di Giunta Regionale (DGR), la numero X/5765, che, di
fatto, legittima le registrazioni che il paziente fa all’insaputa del personale sanitario, ma stigmatizza
le registrazioni occulte che vengono fatte per evidenziare le manchevolezze delle strutture sanitarie.
Il documento di lavoro allegato alla DGR, approvato all’unanimità dalla Giunta lombarda, inizia con
l’analizzare in maniera dettagliata i tipi di registrazione del rapporto medico-paziente. Si catalogano i
tipi di luoghi ove le registrazioni possono avvenire, i diversi tipi di registrazione e si analizza il dibattito
internazionale e il quadro giurisprudenziale relativo alle registrazioni che il paziente fa all’insaputa del
medico, che vengono definite pudicamente “registrazioni covert”.
Ebbene, secondo le sapienti considerazioni del documento, si giudicano sostanzialmente legittime
le registrazioni occulte, anche se graziosamente si soggiunge che: “resta da valutarne le ricadute sul
piano etico e su quello della deontologia dei professionisti. Una registrazione covert può derivare da
diversi intenti della persona che la esegue: timore di negative reazioni da parte dei sanitari, sfiducia nel
sistema sanitario o nel singolo operatore, volontà di procurarsi uno strumento spendibile in un’eventuale
successiva azione legale…” [i puntini di sospensione sono nell’originale!].
Dopo queste profonde e originali considerazioni, si esprime l’acuta osservazione che il professionista
si possa forse chiedere il perché di un tale comportamento e che probabilmente la situazione creatasi
possa indurlo in comportamenti difensivistici (… ma dai!). A questo punto, tuttavia, il documento invita
i professionisti a rassegnarsi: queste registrazioni “covert” (cioè truffaldine, dico io) capiteranno sempre
Roberto Carlo Rossi
Rapporto di sfiducia
Il giardino barocco di Villa Garzoni a Collodi.
6. 4 InFormaMI
Editoriale
più spesso e il medico deve cercare di non tenerne conto nel rapporto medico-paziente. Ovverosia, se
gli viene poi confessato o se lo viene a sapere, il medico dovrebbe, secondo questi signori, fare come se
nulla fosse e non attuare comportamenti diversi da quelli che attuerebbe in qualsiasi altro rapporto di
cura. Impresa, questa, che forse riuscirebbe ardua perfino a San Luca (commento io)!
Ma il bello (si fa per dire) viene adesso: il documento prosegue con l’analisi delle “Registrazioni
riguardanti comportamenti di persone operanti per conto di un Ente sanitario, a prescindere dalla
fruizione di una prestazione sanitaria, oppure beni materiali dell’Ente stesso, eseguite all’interno di una
struttura sanitaria o in contesto esterno alla stessa”. L’italiano non è dei migliori, ma quello che è chiaro
è che, in questo caso, la musica cambia radicalmente. “La quotidianità ci offre numerose attestazioni di
registrazioni di questo tipo, per lo più utilizzate allo scopo di evidenziare manchevolezze di vario genere ed
entità e, talvolta, comportamenti censurabili” … “non possono peraltro sfuggire i pericoli correlati a queste
registrazioni: di pregiudizio per la sicurezza di impianti, attrezzature e dello stesso personale, di discredito
dell’organizzazione e di chi vi opera … registrazioni avviate indebitamente devono essere interrotte
immediatamente e, se non passibili di sanatoria, cancellate”.
Insomma avete capito: se il paziente registra il colloquio con il medico all’interno della relazione di cura,
questo non deve minimamente scalfire il rapporto medico-paziente e bisogna far finta di niente. Se però
qualcuno fa una registrazione occulta per evidenziare le manchevolezze di una struttura sanitaria, questo
non è lecito poiché getta discredito e diffonde pregiudizi di carattere negativo. Ebbene, questo Ordine
professionale ha sempre cercato di rafforzare il rapporto medico-paziente in vari modi: abbiamo fondato
una scuola di deontologia, ne facciamo argomento di aggiornamento, ne scriviamo e ne pubblichiamo
di continuo anche sulla stampa non di settore. Infine, quando vi sono fatti che infangano gravemente
la professione medica, sempre ci costituiamo parte civile nei processi. Ecco perché leggere una siffatta
presa di posizione della Regione fa davvero cadere le braccia.
Probabilmente bisognerebbe adattare ai politici ciò che Collodi diceva dei medici (per bocca del Grillo
parlante): il politico “prudente quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di
stare zitto”! Che senso può avere normare la possibilità di ingannare il proprio terapeuta? Che senso
ha fare una Delibera sul rapporto di sfiducia? Invece di perdere tempo e denaro a giustificare per DGR
le registrazioni maramalde, sarebbe il caso di profondere le stesse energie nell’istituire un programma
serio di educazione sanitaria nelle scuole. Ma su questo i nostri politici non ci sentono: molto meglio
fare cassetta elettorale con le associazioni dei pazienti che investire nel futuro; molto meglio incassare
un facile consenso subito invece che rafforzare davvero l’alleanza medico-paziente con programmi che
formerebbero cittadini maturi dal punto di vista dei consumi sanitari, ma solo dopo molti anni, troppi per
chi ha il respiro corto della o delle prossime scadenze elettorali!
7. 54 . 2016
Salute e migranti
360°
I migranti
non sono un
rischio
per la salute
pubblica
stefano menna
L’opinione pubblica è accecata
dalla paura dei migranti,
di quello che fanno e delle
malattie che potrebbero
portare. La realtà però è
diversa e, nonostante un
flusso migratorio importante,
il controllo sanitario è stretto
e le condizioni di salute dei
migranti sono per lo più
buone; il dramma lo vivono
solo loro, tra scabbia, ustioni,
disidratazione, tubercolosi e
traumi psicologici.
“Il primo screening si fa in mare aperto, direttamente a bordo
dei gommoni e delle imbarcazioni di legno che i migranti utilizzano
per attraversare il canale di Sicilia. E’ in questa fase delicata che
il nostro personale sanitario attua una sorta di triage per valutare
la situazione generale, stabilire le priorità di intervento e isolare le
eventuali urgenze”, a parlare è Francesco Di Donna, il coordinatore
medico per i progetti di Medici Senza Frontiere (MSF) in Italia e nel
Mediterraneo centrale. Il suo racconto è la testimonianza diretta di uno
dei tanti operatori impegnati in prima linea per affrontare l’emergenza
8. 6 InFormaMI
sbarchi sulle nostre coste meridionali, con un occhio particolare rivolto
allo stato di salute di questa popolazione fragile, in fuga da guerre e
miseria. “Nel 2016 le nostre attività si sono concentrate soprattutto nelle
operazioni di ricerca e soccorso: tre navi di MSF, ognuna delle quali può
ospitare da 500 a 1.000 persone, pattugliano senza sosta il mare a largo
della Libia e ogni giorno mettono in salvo centinaia di vite. Una volta a
terra, predisponiamo una primissima forma di accoglienza sanitaria e
assistenza psicologica per uomini e donne provati da fatica e dolore” spiega
Di Donna. Compatibilmente con la situazione di chi ha affrontato un lungo
e rischioso viaggio, le condizioni di salute dei migranti sono in genere
abbastanza buone. “I disturbi più ricorrenti sono quelli gastrointestinali
e le problematiche dermatologiche, provocate in particolare da scabbia e
ustioni. Non manca però qualche urgenza, a causa di gravidanze (diversi
i parti avvenuti durante la traversata) e, soprattutto nella stagione fredda,
casi di infezioni respiratorie acute e polmoniti” continua il medico di MSF.
Scabbia e ustioni
La scabbia è sinonimo di condizioni di vita precarie. Come noto, l’infezione
si diffonde con facilità nei luoghi affollati e nelle situazioni in cui vi sono
da Photo Unit, https://goo.gl/8DMdrM
Sotto, Francesco Di Donna, coordinatore medico per i
progetti di MSF in Italia e nel Mediterraneo centrale.
Salute e migranti360°
9. 74 . 2016
molti contatti ravvicinati. Quasi tutte queste persone, infatti, prima di
partire dalle coste africane vengono tenute ammassate per settimane o
addirittura mesi in centri di raccolta e detenzione libici, dove le condizioni
igieniche sono pressoché nulle. La scabbia, che in Italia è presente da
sempre come in qualsiasi altra parte del mondo, è comunque facilmente
curabile: bastano pochi giorni di trattamento topico e, per prevenirne
la diffusione, semplici accorgimenti come l’uso di guanti usa e getta e il
lavaggio frequente delle mani. A riprova del limitato impatto sanitario,
i 2.500 casi di scabbia registrati nel 2015 tra i migranti al momento dello
sbarco non hanno mai fatto scoppiare epidemie nel resto della popolazione.
“Più grave è invece il problema delle ustioni, che richiedono un trattamento
complesso. E che possono procurare complicanze, a iniziare dalla
disidratazione. Le lesioni che riscontriamo sulla pelle dei migranti sono
dovute al contatto con acqua di mare mischiata al carburante dei motori
delle barche: una miscela corrosiva che provoca lesioni gravi ed estese, in
particolare a gambe e piedi. Ne è colpito circa il 2% dei migranti che sbarca
sulle nostre coste” sottolinea Di Donna.
Le procedure di sorveglianza
Il cordone sanitario di controllo allestito dalle autorità è comunque
stretto. Una volta che le imbarcazioni utilizzate per il soccorso e il
recupero dei migranti entrano in porto, i casi più significativi vengono
segnalati agli uffici di sanità di frontiera del Ministero della Salute
(USMAF). “I medici salgono a bordo per valutare i casi più gravi e
decidere se trasferirli in ospedale o medicarli direttamente nei punti
di prima accoglienza. Gli ufficiali dell’USMAF verificano la presenza di
eventuali rischi per la salute pubblica, per esempio di malattie infettive.
Solo a questo punto si dà il via libera allo sbarco” spiega Di Donna.
Una volta a terra, il migrante riceve altra assistenza: operatori delle
aziende sanitarie, insieme a membri della Croce Rossa, procedono con
ulteriori controlli in banchina, prima di avviare le persone alla fase di
identificazione. “E’ un momento delicato, necessario per rilevare eventuali
problemi non ancora riscontrati. Prima di iniziare il trasferimento verso
i centri di smistamento in tutta Italia, infatti, occorre essere certi che chi
sbarca dalle navi – in particolare quelle su cui non viene fatto un primo
screening sanitario (come le petroliere, i cargo o alcune navi militari) – sia
effettivamente in buona salute” continua il medico di MSF.
L’attenzione è alta in particolare sulle malattie infettive. Perché
condizioni di vita caratterizzate da povertà, degrado e scarso accesso
ai servizi possono favorire lo sviluppo di queste patologie. Il sistema di
sorveglianza messo a punto dall’Istituto Superiore di Sanità a seguito
dell’emergenza sbarchi in Sicilia per rilevare in tempo reale le emergenze
di salute nel 2015 ha generato 48 allerte in 6 mesi. Tutte peraltro
rientrate nel giro di 24 ore. Hanno fatto eccezione solo le infestazioni da
scabbia e qualche caso di febbre con rash cutaneo, dovuto a sporadici
episodi di morbillo e varicella. Tutto ciò a fronte di un flusso migratorio
numericamente ben più significativo: secondo i dati del Rapporto statistico
immigrazione 2016, dal 1 gennaio al 30 agosto 2016 sono state 107.089 le
persone giunte via mare in Italia. A cui si aggiungono i 153.842 sbarcati
Migranti e rischio di tubercolosi
Uno screening integrato tra i migranti può
giocare un ruolo chiave nel contenimento della
tubercolosi nei Paesi occidentali, meta dei flussi
migratori dalle aree a più alta incidenza di TBC.
Lo ha messo in evidenza uno studio realizzato
in Gran Bretagna e pubblicato a ottobre
su Lancet. Un programma di monitoraggio
articolato (anamnesi familiare, radiografia
toracica, ricerca del micobatterio nello sputo) si
è infatti dimostrato capace di individuare prima
dell’ingresso anche i casi latenti che, pur non
rappresentando di per sé un veicolo di contagio,
possono manifestare i sintomi in un secondo
momento e ammalarsi.
La tubercolosi rappresenta ancora un problema
sanitario globale, come sottolinea l’ultimo
rapporto OMS: nel 2015 si sono registrati 1,8
milioni di morti (quasi mezzo milione dei quali
co-infettati da HIV), con un incremento del 20%
rispetto agli 1,5 milioni del 2014. Tanti anche
i casi di mancata diagnosi: dei 10,4 milioni di
nuovi casi stimati, solo 6,1 milioni sono stati
ufficialmente notificati. Ne restano fuori ben 4,3
milioni, soprattutto in quei Paesi dove l’accesso
alle cure è più difficile. Numeri allarmanti,
che pongono a rischio il raggiungimento degli
obiettivi fissati per l’eradicazione della malattia:
riduzione del 90% dei decessi e dell’80% dei
casi diagnosticati entro il 2030.
Tubercolosi nel polmone sinistro (a destra
per il lettore) con linfonodi ingrossati.
FONTE: WIKIPEDIA, https://goo.gl/gNFGgP
10. 8 InFormaMI
nel 2015, e i 170.100 nel 2014. Per un totale di 431.031 persone approdate
nel nostro Paese negli ultimi 30 mesi.
Il nodo delle diseguaglianze e la salute mentale
Eppure spesso nell’opinione pubblica la paura la fa da padrona.
Soprattutto rispetto alla diffusione di malattie gravi, come la tubercolosi.
“La probabilità di un contagio tra la popolazione sana è bassissima
perché la tubercolosi non si trasmette facilmente, per esempio con una
stretta di mano o frequentando gli stessi spazi pubblici. Più a rischio sono
i migranti che, oltre a provenire da Paesi in cui la TBC è endemica, vivono
in condizioni di scarsa igiene, denutrizione e in luoghi sovraffollati:
condizioni che favoriscono la riattivazione della malattia in chi l’ha già
contratta. Non solo: quando escono dal circuito dell’accoglienza, spesso i
migranti si trovano a vivere in uno stato di marginalità tale che li esclude
dalle cure mediche di base, mettendo così a rischio la propria salute e
quella dei loro cari. E’ allora importante modificare quei determinanti (le
condizioni abitative, sociali, di accoglienza e di lavoro) che influenzano
lo stato di salute di queste persone, riducendo le diseguaglianze
nell’accesso ai servizi, assicurando la presa in carico e garantendo i
percorsi di terapia e cura più opportuni” spiega Di Donna.
Infine, chi affronta lunghi e rischiosi viaggi per arrivare in Europa
è esposto anche a traumi psicologici. Si tratta di persone che
scappano da guerre e povertà, che possono aver subito torture
e stupri, che hanno visto annegare parenti e amici. Secondo il
rapporto Traumi ignorati di MSF, 6 migranti su 10 presentano
sintomi di ansia e disagio mentale connessi a eventi traumatici
subiti prima o durante il percorso migratorio. Una fotografia
confermata da un reportage pubblicato a ottobre su Nature sui
risultati di un progetto pilota realizzato dal Karolinska Institutet
di Stoccolma. I ricercatori parlano di una vera e propria epidemia
silenziosa. E i più a rischio sembrano i rifugiati, tra i quali l’incidenza
di schizofrenia e disturbi psicotici è tre volte superiore a quella degli
svedesi nativi, e più alta del 66% rispetto agli altri migranti. Tra
i fenomeni aggravanti, le condizioni di precarietà vissuta nei
centri di accoglienza. “I richiedenti asilo si ritrovano a vivere
in strutture isolate, dove rimangono a lungo (da 6 mesi a 2
anni), in attesa dell’esito della procedura. Questa condizione
genera stress e sofferenza, che si somma all’esilio in una terra
sconosciuta e alla mancanza di prospettive” fa notare Di Donna.
“Se consideriamo la salute in una prospettiva di integrazione
tra benessere fisico e psicologico, il migrante è quindi una
persona tendenzialmente abbastanza sana, ma molto fragile e con
problematiche psicologiche a volte gravi, da non sottovalutare”.
Per la TBC la probabilità di un contagio tra la popolazione sana
è bassissima, a rischio sono gli stessi migranti
Tipologia di eventi traumatici subiti dai
richiedenti asilo, prima e durante il percorso
migratorio, Provincia di Ragusa, Sicilia,
ottobre 2014 – dicembre 2015
Fonte: Traumi ignorati, MSF
19%
altro
31%
conflitto
tra famiglie
28%
familiare ucciso/
rapito/detenuto
8%
coinvolgimento in
combattimenti
7%
rischio di vita
4%
assistere alla
morte di qualcuno
3%
violenza fisica
Eventi traumatici
subiti prima del
percorso migratorio
14%
altro
35%
detenzione/
rapimento
12%
situazione di
combattimento
10%
rischio di vita
9%
tortura
8%
assistere alla
morte di qualcuno
5%
lavoro forzato
3%
familiare rapito/
incarcerato
4%
violenza sessuale
Eventi traumatici
subiti durante il
percorso migratorio
Salute e migranti360°
11. 94 . 2016
Se agli stranieri residenti in Italia capita
di ammalarsi, non è per una maggiore incidenza di
comportamenti a rischio, quanto piuttosto per le stesse
ragioni per cui capita di ammalarsi a chiunque di noi:
perché abbiamo perso il lavoro, o perché non abbiamo
più una casa, un riparo. Di Daniel Blake, per citare
l’ultimo toccante film di Ken Loach, in Italia ce ne sono
molti, e non certo solo nella popolazione straniera.
La differenza principale fra gli stranieri e gli italiani
è che i primi in molti casi provengono da aree del
mondo dove sono endemiche malattie che da noi
Stranieri più sani di noi,
ma prevengono meno
non rappresentano più un problema per la salute
pubblica, come la tubercolosi, patologie che possono
ripresentarsi con tutta la loro virulenza in casi di
indigenza, che costringe gli immigrati, anche quelli
regolari, a vivere in condizioni igienico-sanitarie
precarie. In ogni caso, anche nelle situazioni più
difficili, le premesse non sono allarmanti. Secondo
i dati riferiti, per esempio, da una sorveglianza
sindromica condotta tra maggio 2011 e giugno 2013
dall’Istituto Superiore di Sanità su oltre 5.000 persone
ospitate presso centri di accoglienza, sono state riferite
solo 20 allerta statistiche: 8 infestazioni, 5 sindromi
respiratorie febbrili, 6 gastroenteriti e 1 caso di
sospetta tubercolosi polmonare. Non si tratta dunque
di untori, anche se monitorare lo stato di salute della
popolazione immigrata, regolare e non, per paese di
provenienza rimane importantissimo.
Un problema di dati e di controlli
Per monitorare servono i dati, che non sempre ci sono,
ed è questo il caso della tubercolosi: “L’Italia è uno dei
pochi paesi europei che non comunica i propri dati
nazionali all’European Centre for Disease Prevention
and Control (ECDC) per un problema di raccolta
sia centrale sia periferica” racconta Luigi Codecasa,
Direttore del Centro regionale di riferimento per il
controllo della tubercolosi in Lombardia. Nessuna
regione italiana inoltre, propone uno screening
sistematico per la tubercolosi fra gli stranieri residenti:
“Oggi l’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) milanese
conta una media di 15 casi ogni 100 mila abitanti,
ma la significatività statistica nazionale dei dati sulla
tubercolosi è ben poco attendibile. Non sappiamo,
per esempio, che fine fanno i diagnosticati, e questo
come situazione generale, riguardante sia gli italiani
sia gli stranieri”. Il 50% dei casi di tubercolosi
riguarda persone di nazionalità straniera, in una
percentuale maggiore fra gli uomini, circa 1,5-2 a 1.
“Ci sono due aspetti da considerare quando parliamo
di epidemiologia della tubercolosi fra gli immigrati”
La popolazione immigrata in Italia è sostanzialmente
sana, forse di più di noi italiani, ma accedono meno ai
servizi sanitari e sono poco attenti alla prevenzione, forse
perché non ancora sufficientemente consapevoli. Ciò non
toglie che servano più dati per un maggiore e migliore
monitoraggio.
cristina da rold
Una via del
quartiere
Chinatown
a Milano
FONTE: FLICKR, https://
goo.gl/Sw1gy7
12. 10 InFormaMI
La vera sfida è riuscire a individuare i gruppi
a rischio di ammalarsi
e nei paesi dell’Europa orientale. In Medio Oriente e
nel subcontinente indiano invece si stima che il 2-5%
della popolazione generale ne sia colpito, contro
una percentuale inferiore all’1% della popolazione
in Europa occidentale e Nord America, grazie
essenzialmente al vaccino.
“Anche qui, dunque, la sfida è riuscire a individuare i
gruppi a rischio di ammalarsi” spiega Massimo Galli
docente di malattie infettive dell’Università degli
Studi di Milano. “A Milano, per esempio, abbiamo
una comunità cinese molto popolosa che però non è
consapevole del rischio di epatite, in particolare fra
la popolazione over 40, ed è lì che stiamo lavorando
per aumentare questa consapevolezza, provando a
fare prevenzione attraverso la somministrazione di
questionari strutturati”. Anche per l’epatite, tuttavia, i
dati che possediamo sono frammentari. “C’è un enorme
problema di sommerso per quanto riguarda i casi di
epatite” prosegue Galli “sia nella stima del numero delle
infezioni sia nell’accesso alle cure. Nel caso dell’epatite
C, per esempio, abbiamo notato che molti egiziani,
potendo, tornano a curarsi nel loro paese d’origine
dove i farmaci per l’epatite C costano molto meno che
in Italia, e si tratta di pazienti che sfuggono poi ai nostri
tentativi di monitoraggio”.
Le malattie sessualmente trasmesse
Un altro fenomeno sommerso che però svolge un ruolo
cruciale per la salute pubblica è la prostituzione, che
coinvolge il più delle volte un sex worker straniero. Il
problema principale è l’HIV. Alcuni dati li snocciola
l’Istituto Superiore di Sanità attraverso il bollettino
annuale del Centro Operativo AIDS (COA). Nel 2014 in
Italia si sono contate 3.695 nuove diagnosi di infezione
da HIV (questo numero potrebbe aumentare a causa
del ritardo di notifica). Solo poco più di un quarto di
queste diagnosi riguarda persone straniere. L’incidenza
è comunque più elevata fra la popolazione straniera
residente: 19,2 casi su 100 mila, contro i 4,7 casi su
100 mila fra gli italiani. Si parla qui però di residenti,
lasciando fuori dunque il fenomeno della prostituzione.
La nota negativa è che la tendenza è in crescita. Nel 1992
gli stranieri rappresentavano l’11% delle nuove diagnosi
da HIV, raggiungendo il 32% nel 2006 e assestandosi
prosegue Codecasa. “Anzitutto la loro etnia. Gli
‘immigrati’ come categoria non esistono, esistono i
gruppi etnici: filippini, cinesi, albanesi, nigeriani e
così via. Negli anni Novanta, per esempio, abbiamo
assistito a una crescita dei casi di tubercolosi nelle
donne, la maggior parte di loro filippina, ma solo
perché in quegli anni la maggioranza dei filippini che
arrivavano in Italia erano donne che cercavano lavoro
come colf domestiche”.
La tubercolosi è oggi endemica in molte aree del
Mondo (per esempio in Pakistan, nei Paesi del Corno
d’Africa, eccetera) mentre è più rara in Egitto e in
Albania e, sebbene queste persone quando arrivano
in Italia siano sane, sono senza dubbio più soggette
ad ammalarsi rispetto alla popolazione generale. Va
poi aggiunto che essendo la tubercolosi una malattia
sociale e multifattoriale, il rischio di ammalarsi, legato
alle condizioni di vita in cui queste persone vivono qui
in Italia, aumenta.
E’ evidente che senza controlli standardizzati e
coordinati su tutto il territorio nazionale è difficile
fare un’adeguata prevenzione. A Milano esiste un
accordo storico fra Villa Marelli (Azienda Socio-
Sanitaria Territoriale, ASST Niguarda), il Comune
di Milano e la ex-ASL (oggi ATS), che monitora la
malattia e l’infezione latente e i gruppi a rischio, per
esempio chi fa richiesta di un posto in un dormitorio
durante l’inverno. L’ambulatorio fornisce visite e
terapie gratuite da lunedì a venerdì. “Molti soggetti
fragili vengono perduti” spiega Codecasa “ma negli
anni è cresciuta notevolmente la percentuale di
persone che completano l’iter terapeutico, grazie alla
modifica del protocollo, che è passato da prevedere
un solo farmaco per 6 mesi, con il quale solo il 55%
dei pazienti che iniziavano la terapia la portava a
termine, a due farmaci combinati per 3 mesi, con una
percentuale al 75%”. Ovviamente, risultati migliori
come aderenza terapeutica sono stati ottenuti fra
coloro i quali avevano una casa e un lavoro, e quindi
una situazione socio-economica non precaria. Una
situazione simile si verifica nel caso dell’epatite.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che
circa 240 milioni di persone siano state infettate dal
virus dell’epatite B, che provoca ogni anno 686 mila
morti per complicazioni legate alla malattia, come
cirrosi epatica e cancro. L’epatite B è endemica in
Africa sub-sahariana e in Asia orientale, dove tra il
5-10% della popolazione adulta ne è colpita. Alti tassi
di infezioni croniche si trovano anche in Amazzonia
Salute e migranti360°
13. 114 . 2016
Fra gli immigrati residenti c’è, ancora oggi,
uno scarso ricorso alla prevenzione
In alto, un medico e
una paziente presso
l’ambulatorio
dell’INMP.
al 27% nel 2014. “Abbiamo avuto circa 4.000 nuove
diagnosi in 7-8 anni, 1.000 delle quali riguardanti
stranieri” precisa Galli “ma è necessario sottolineare
che parlare di nuove diagnosi non significa parlare di
nuovi casi. I dati raccontano quello che noi facciamo
emergere, non quanto accade. Il 60% delle diagnosi
di AIDS (questo è un dato sulla popolazione generale)
avviene a 3-6 mesi dal contagio. Il problema è che gli
stranieri spesso non sanno di essere sieropositivi, anche
per un accesso meno frequente all’ospedale, rendendosi
in questo modo un’arma pericolosissima a livello
sociale”. Insomma, non è un problema di maggiore
quantità di comportamenti a rischio da parte degli
stranieri, ma di possibilità e di coesione sociale. “Anche
per quanto riguarda le altre malattie sessualmente
trasmissibili non vi è alcuna peculiarità fra gli stranieri
e gli italiani, se non una differenza nel recarsi o meno in
un centro per richiedere una cura, sia per l’esiguità dei
centri che eseguono accertamenti e cura ai non iscritti
al Servizio Sanitario Regionale (SSR), sia per il fatto che
non ci sono attualmente dei servizi di medicina di base
rivolti a questa popolazione irregolare” chiosa Giovanni
Fioni, Responsabile dell’Unità operativa malattie a
trasmissione sessuale dell’ATS Monza e Brianza.
Manca la prevenzione
Al di là delle malattie infettive, anche per le malattie
cardiovascolari, il cancro, il diabete e altre condizioni
croniche, gli stranieri residenti sul territorio sono
più sani degli italiani, anche se meno attenti alla
prevenzione.
A confermarlo è uno studio su “Malattie croniche e
migranti in Italia” pubblicato nel 2015 dall’Università
Ca’ Foscari di Venezia in collaborazione con
l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che mostra un
tasso di ospedalizzazione inferiore rispetto agli italiani,
meno incidenza di fumo e alcol, meno obesità – in
media – e più attività fisica fra gli stranieri residenti.
La nota dolente però c’è e riguarda appunto la
prevenzione. Fra gli immigrati residenti c’è ancora
oggi un minor ricorso a mammografia (il 23% delle
straniere non si è mai sottoposta a mammografia,
contro il 12% delle italiane), Pap-test (23% contro 14%)
e screening colorettale (lo ha fatto il 33% degli italiani
contro il 29% degli stranieri).
Si entra nel poliambulatorio dell’Istituto
salute, migrazioni e povertà (INMP) e subito si è
colpiti dalla quantità di persone di tutti i colori,
dagli abiti di tutte le fogge, dal va-e-vieni di
medici, infermieri, mediatori transculturali che si
affaccendano, si spiegano, che parlano e accolgono.
Molte di quelle persone si trovano in condizione
disagiata; poveri, senzatetto, immigrati, donne
con bambini piccoli di ogni etnia si rivolgono
all’INMP, ente pubblico che è centro di riferimento
nazionale della “Rete per l’assistenza socio-sanitaria
alle popolazioni migranti e alle fragilità sociali”, e
“Centro nazionale per la mediazione transculturale in
campo sanitario”. Un’azione che avviene di concerto
con le Regioni e le Province Autonome.
La vita dell’ambulatorio
L’impatto con gli ambulatori dell’INMP è forte e
spiazzante. Forte per l’umanità che lo frequenta,
spiazzante perché non proprio riconducibile al
Il diritto alla salute per i
più vulnerabili:
l’impegno dell’INMP
Luca Carra, Raffaele Di Palma
Dal 2007 l’INMP fronteggia, all’interno del Servizio Sanitario
Nazionale, le sfide sanitarie relative alle popolazioni più
vulnerabili, attraverso un approccio transculturale e
orientato alla persona e investendo su ricerca e innovazione.
14. 12 InFormaMI
Salute e migranti360°
“classico” ambulatorio. In effetti, basta
inoltrarsi nei corridoi dell’Istituto per
rendersi conto di un modo diverso
di prestare assistenza. Colpisce, per
esempio, la presenza di mediatori
transculturali che forniscono un primo
orientamento ai pazienti, raccolgono
la loro storia, dialogano, danno un
nome alla domanda di salute che li ha
portati qui.
La prima accoglienza dei mediatori
lascia poi spazio alle visite
specialistiche, durante le quali i medici
lavorano fianco a fianco con psicologi
e antropologi per intercettare, nel
modo più appropriato, il loro disagio
al di là delle diverse sfumature
culturali, talvolta sovraccariche
di estraneità e dolore. Le storie in
cui ci si imbatte all’INMP paiono
impossibili tanto sono complesse, ma
illuminano anche sulla resilienza degli
esseri umani. E’ il caso dei rifugiati e
richiedenti asilo, per esempio, con
tutto il portato di sofferenze mentali
e fisiche (ustioni da barcone, malattie
dermatologiche, malnutrizione,
infezioni, segni di maltrattamenti
e torture, vedi l’articolo a pag. 5)
che richiedono attente valutazioni
psicologiche e specialistiche e un
lungo accompagnamento verso una
possibile soluzione. Insieme a questi
casi estremi, si trovano però anche
molte storie comuni, di immigrati
ormai integrati che si rivolgono al
Centro per esami e visite di routine,
così come di italiani che preferiscono
l’ambulatorio dell’INMP ad altre
strutture.
Un’attività senza sosta
Prendendo in osservazione l’attività
complessivamente esercitata nel
periodo 2008-2016 (per il 2016,
si considerano i primi 10 mesi),
presso il poliambulatorio sono stati
effettuati circa 350 mila accessi
prendendo in carico 94 mila
persone. L’attività ambulatoriale
consente, inoltre, una fitta attività
di ricerca e formazione. Particolare
rilievo hanno avuto i progetti sui
dispositivi medici finanziati dal
Ministero della Salute, con lo scopo
di consentire un accesso ampio alle
prestazioni essenziali per le fasce di
popolazione più svantaggiate. Un
vero e proprio percorso di medicina
sociale concernente l’odontoiatria,
l’epatologia, l’oculistica, la
ginecologia e l’infettivologia.
Centrale è anche l’attività
dell’Osservatorio epidemiologico
nazionale dell’INMP che, insieme ai
presidi regionali, monitora lo stato
di salute e i profili di assistenza alla
popolazione immigrata, anche al fine
di fornire dati puntuali e significativi.
“Il futuro vede l’INMP sempre più
orientato al miglioramento continuo
delle diverse attività” spiega la
direttrice dell’Istituto Concetta
Mirisola, “e allo sviluppo di nuovi
programmi di intervento a fianco
delle istituzioni impegnate nella
tutela della salute dei cittadini”.
Inoltre, Mirisola sottolinea quanto il
lavoro di rete verrà potenziato a tutti
i livelli, locale, regionale, nazionale.
Particolare attenzione sarà rivolta
all’innovazione tecnologica e al
sistema informativo, per supportare
meglio l’ambizioso programma di
lavoro di cui l’Istituto si fa promotore.
“Per la realizzazione di questo
programma, l’INMP lavora a stretto
contatto con il Ministero della
Salute, il Ministero dell’Interno, il
Ministero degli Esteri e le Regioni,
per progredire e rendere disponibile
a tutti, nessuno escluso, servizi
e assistenza socio-sanitaria di
maggiore efficienza, accessibilità e
umanità” conclude Mirisola. “Ma è
necessaria la partecipazione di tutti,
in modo che il diritto alla salute
trovi la sua piena applicazione, con
ricadute positive soprattutto sui
gruppi di popolazione più vulnerabili,
stranieri e italiani”.
La storia di Samuel, una di tante
Samuel viveva nella Nigeria del Nord, una zona in prevalenza cristiana
poi presa di mira da Boko Haram. Lui e suo fratello fuggono all’ennesimo
attacco dei terroristi, dove perdono la vita i loro genitori. Vagano insieme
ad altri profughi fino ad arrivare in Libia, dove infuria la
guerra: Samuel ha 14 anni, il fratello 16. Sono uniti più
che mai ma nei giorni successivi uccidono il fratello. Da
Misurata, Samuel si imbarca su un barcone che lo porta
a Lampedusa. E da lì finisce nel Centro Identificazione
ed Espulsione (CIE) di Roma. Qualcuno si prende a cuore
il suo caso e contatta l’INMP. Samuel è minorenne e, se
riuscirà a dimostrarlo, dovrebbe essere tolto dal CIE e
inserito in un normale centro di accoglienza. Ma non ha i
documenti. I primi incontri all’INMP sono molto difficili:
il ragazzino è sotto shock, quasi non parla, balbetta, non
dorme la notte. Inizia allora un lungo lavoro di colloqui
con la psicologa, dove comincia a parlare del fratello, dei
genitori, un lungo percorso di ricostruzione che passa
necessariamente dall’accettazione di quanto è accaduto;
intanto, un avvocato esperto in migrazione gli fa eseguire
la misurazione biometrica del polso che attesta la minore
età. E infatti la Commissione lo toglie finalmente dal CIE
riconoscendogli la protezione internazionale. Viene trasferito in un Sistema
di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) dove riprende a dormire
e mangiare; segue corsi di formazione e gioca a pallone con i suoi coetanei.
E la vita, nonostante tutto, riprende.
15. 134 . 2016
PROFESSIONE tommaso saita
Trasparenza sui compensi,
come è stato
recepito il
disclosure code?
Dal giugno scorso sui siti delle
aziende farmaceutiche italiane
sono disponibili i nomi delle
organizzazioni sanitarie e dei medici
che hanno ricevuto dei compensi.
Tuttavia, una rapida visita ad
alcuni di questi siti mostra quanto
il percorso della trasparenza sia
ancora agli inizi
Se un’azienda farmaceutica vi ha pagato l’iscrizione a un
convegno o vi ha ricompensato per una consulenza o per una
prestazione professionale, d’ora innanzi questa transazione di
denaro verrà resa trasparente: il vostro paziente potrà cercarla in
Internet e, se sufficientemente abile, trovarla nei siti delle aziende
farmaceutiche. Potrà quindi valutare se avete qualche conflitto
d’interesse nel momento in cui gli prescrivete una data terapia.
Questo è divenuto possibile grazie all’adozione, da parte delle
aziende farmaceutiche, del disclosure code (codice di trasparenza) di
EFPIA,1
la Federazione europea delle associazioni e delle industrie
farmaceutiche, attraverso il Codice deontologico di Farmindustria.2
Tuttavia, i pazienti potranno trovarvi solamente se avete dato il
consenso al trattamento dei dati personali alle aziende farmaceutiche
da cui avete ricevuto i compensi. Senza, i dati vengono pubblicati
aggregati, impedendo l’identificazione, il che rappresenta una
scappatoia. Inoltre, restano fuori dalla tracciatura alcuni tipi di
compensi come i pasti, le bevande e, in Italia, anche le donazioni
ai medici in forma di denaro o benefit (servizi, prodotti, eccetera);
infatti, queste ultime sono considerate nel codice EFPIA ma non in
quello di Farmindustria.
Come detto, i dati sono disponibili sui siti aziende farmaceutiche;
non ci sono però indicazioni specifiche su come predisporre la
sezione Internet dedicata, lasciando un discreto margine di libertà.
Sorge quindi spontaneo chiedersi come ciascuna azienda abbia
recepito e messo in pratica il disclosure code. Ci siamo quindi messi
nei panni di un vostro potenziale paziente interessato a capire se e
quali compensi avete ricevuto e abbiamo visitato i siti Internet di
Azienda Nome di sezione1
N. di click2
Possibili interazioni con i dati3
interrogare scaricare ricercare estrarre
Pfizer “Il nostro impegno” 3 • •
GSK “Operatori sanitari” 3 • • •
Bayer “Responsabilità sociale” 2 • • •
AstraZeneca “Disclosure Code EFPIA” 2
Novartis “Codice sulla trasparenza” 2 •
Zambon “Disclosure” 7 •
Angelini “Eticità e trasparenza” 3 • •
1
sezione che rimanda alle
informazioni sul disclosure code e
ai relativi dati
2
per arrivare a visualizzare i dati
3
interazioni con i dati:
- interrogare: ricerca dati tramite
un motore di ricerca interno
dedicato
- scaricare: download file dei dati
- ricercare: testo ricercabile
tramite lo strumento “trova/
cerca”
- estrarre: copiare i dati al di fuori
del file
Sintesi dell’analisi dei siti Internet di alcune aziende farmaceutiche
ultima visita: dicembre 2016
16. 14 InFormaMI
PROFESSIONE
alcune aziende farmaceutiche operanti nel nostro
Paese confrontandoli rispetto al tipo di riferimento in
homepage, al numero di click per raggiungere i dati
e alla possibilità di interagirvi (interrogare, scaricare,
ricercare ed estrarre). I risultati sono riportati in sintesi
in tabella a pagina 13.
Il primo problema è orientarsi: ciascuna azienda
utilizza una sua “nomenclatura” di sezione, più o
meno intuitiva. Per esempio, la voce “Disclosure Code
EFPIA” sul sito di AstraZeneca non è sbagliata ma, a
un cittadino, suggerisce poco. Il percorso di click che
separa dai dati, invece, è breve; fa eccezione il sito
Internet di Zambon, che obbliga a seguire una mini
presentazione semiautomatica di 3 minuti − tempi
“biblici” per Internet – e compiere un totale di 7 click.
Infine, nessuno offre tutte e quattro le possibilità di
interazione con i dati (interrogare, scaricare, ricercare
ed estrarre, vedi tabella). Tra le aziende analizzate,
si sono distinte Bayer e GSK: la prima è l’unica con
un motore di interrogazione dei dati interno, mentre
la seconda è l’unica a fornire file senza protezioni,
consentendo l’estrazione dei dati.
Questa analisi, che è solo un assaggio e non vuole
produrre giudizi, mostra come il disclosure code sia
stato applicato in forma eterogenea. Per perseguire
Tu vuò fà o’ trasparente, ma si’ nato in Italy!
Ugo Falcando
Due sono i difetti del sistema implementato quest’anno in Italia per la trasparenza sui finanziamenti da parte delle aziende farmaceutiche
ai medici: il primo è che ogni azienda pubblica i dati sul proprio sito, per cui il cittadino interessato a conoscere i pagamenti ricevuti dal
proprio medico dovrebbe girare i siti di tutte le aziende farmaceutiche per avere una idea del “profilo compensi” del medico, il secondo è
che l’azienda deve richiedere al medico il consenso per poter pubblicare i dati e, se non lo ottiene, può usarli solo in maniera aggregata,
quindi anonima e sommata a quella di altri medici che non hanno concesso la liberatoria per la pubblicazione dei dati.
Eppure già c’era l’esperienza statunitense, attiva da qualche anno, che poteva fungere da modello. Nasce dal famoso Sunshine Act
del 2010 con il quale, tra gli altri provvedimenti volti alla trasparenza, il governo statunitense imponeva che, a partire dal 2013, ogni
transazione finanziaria superiore ai 10 euro tra azienda farmaceutica e medico venisse resa pubblica.
Il primo Stato a proporre una politica di questo tipo era stato il Massachusetts,1
la cui esperienza ha portato all’Open Payments program.2
Le aziende d’oltreoceano devono pubblicare i dati in un unico sito (openpaymentsdata.cms.gov) in modo che il cittadino, con un’unica
ricerca, possa sapere tutto dei finanziamenti ricevuti dal proprio medico, dalla cena all’iscrizione a un corso ECM, dal pernottamento in un
albergo al libro donato. I dati relativi al 2015,3
gli ultimi disponibili, parlano di 7,52 miliardi di dollari (di cui 3,89 per la ricerca) passati dalle
mani di 1.456 aziende farmaceutiche a quelle di 618.000 medici statunitensi e 1.110 ospedali universitari.
1
EFPIA HCP/HCO Disclosure Code. https://goo.gl/8id2Sn
2
Codice deontologico Farmindustria. https://goo.gl/fxys6O
Il disclosure code di Farmindustria
in punti
• Pubblicazione annuale dei dati sui trasferimenti di
valore diretti o indiretti a:
– operatori sanitari: spese di partecipazione a eventi
congressuali, attività di consulenza e prestazioni
professionali;
– organizzazioni: donazioni e contributi, finanziamenti
a eventi congressuali, spese per consulenze o
prestazioni professionali;
• dati su base individuale: per gli operatori sanitari
serve il consenso, altrimenti dati aggregati;
• dati di dominio pubblico per 3 anni assieme
alla relativa documentazione (per 5 anni) e alla
metodologia di raccolta e predisposizione seguita.
il principio dell’open data non basta che il dato sia
“visibile” ma deve essere anche “fruibile”. Certo
siamo all’inizio di questo percorso di trasparenza e
quindi, strada facendo, si auspicano assestamenti.
In assenza di un database unico e comune, come è
stato fatto negli Stati Uniti e che rimane la soluzione
ideale, basterebbe chiedere alle aziende di rispettare
un modello anche per la sezione del sito dedicata ai
dati richiesti dal disclosure code, per offrire un servizio
che, seppure sparpagliato, risulti almeno uniforme.
Bibliografia
1
Kesselheim A, Robertson C, et al. Distributions of industry payments to Massachusetts physicians. N Engl J Med 2013;68:2049-52.
2
Kirschner N, Sulmasy L, et al. Health policy basics: the Physician Payment Sunshine Act and the Open Payments program. Ann Intern Med 2014;161:519-21.
3
Agrawal S, Brown D. The Physician Payments Sunshine Act - Two years of the Open Payments Program. N Engl J Med 2016;74:906-9.
17. 154 . 2016
Oggi in farmacia ci si
può misurare la pressione,
controllare il livello di colesterolo
e di trigliceridi, fare persino un
elettrocardiogramma. Oppure, si
può comprare un kit di autoanalisi
ed effettuare alcuni di questi esami
a casa. Basta un prelievo capillare
per capire subito se siamo anemici,
che livello di TSH abbiamo nel
sangue o quello del PSA. In pochi
secondi arriva l’esito. Non servono
più stanze asettiche, guanti e
certificazioni degli ambulatori.
Questi esami si possono fare in
farmacia o nel salotto di casa. Viene
da chiedersi per quale motivo ci
sia questa corsa agli esami fai da te,
senza un supporto medico, e quale
grado di affidabilità abbiano questi
esami fatti al di fuori di strutture
certificate e controllate.
“La gente compra questi test perché
sono comodi e veloci, si acquistano
sotto casa, in farmacia e rispondono
subito ai dubbi del paziente” afferma
Erminio Torresani, direttore del
Laboratorio di analisi cliniche del
Centro di ricerche e tecnologie
biomediche dell’IRCCS Istituto
Auxologico di Milano. “In generale
non ne discuto la bontà analitica.
Se penso ai test per la glicemia per
i diabetici, non contesto nulla. Ma
il test del PSA, per esempio, che
notoriamente ha una predittività
del 50%, va fatto in presenza di un
medico o perlomeno il risultato va
fatto leggere a un medico, prima di
prendere qualsiasi decisione”.
E anche gli esami fatti in farmacia
hanno un loro grado di rischio:
“Capisco il controllo della
pressione”, continua Torresani
“ma gli esami dei trigliceridi o
del colesterolo sono delicati. A
noi, come laboratorio, chiedono
competenze specifiche, certificazioni
e siamo controllati. Come è possibile
che le farmacie non siano sottoposte
agli stessi controlli?”.
Quanto sono affidabili i test
in farmacia o fai da te?
Sono sempre di più gli esami che si possono fare direttamente in farmacia o a casa propria: sono
comodi e veloci, si possono acquistare anche online e rispondono subito ai dubbi. Alla base di
questo fenomeno troviamo una sempre più diffusa ipocondria ma anche l’intenzione di bypassare
il “limbo” del Servizio sanitario pubblico. Ma quanto ci si può affidare ai risultati di questi esami?
Angelica Giambelluca
Un fotogramma del videotutorial, disponibile
su YouTube, di un kit di autoanalisi in
vendita online.
18. 16 InFormaMI
PROFESSIONE
Questo fenomeno della “diagnostica
fai da te” sta prendendo sempre più
piede e, secondo gli esperti, trova
la sua spiegazione, da una parte, in
una certa ipocondria e ossessione
del benessere molto diffusa e,
dall’altra, nel non voler aspettare
i tempi del Servizio pubblico e di
voler sapere subito se si è malati e
in che misura.
Ma il rischio di farsi
un’autodiagnosi fuorviante è
molto alto e, inoltre, mancando
completamente la fase preanalitica,
gli stessi risultati dei test possono
essere inaffidabili: prima di fare il
test, che cosa si è mangiato? Il test
è stato eseguito in un ambiente
sterile? E’ stato fatto nel modo
corretto? Se manca un’appropriata
preparazione all’esame, l’esame
stesso è inutile.
“Prendiamo il test delle vie urinarie”
spiega Torresani “che va fatto in un
ambiente pulito e il cui contenitore
deve essere sterile e conservato a
una temperatura idonea. Se fatto a
casa, il rischio di contaminazione
è elevato. E i risultati sono falsati:
in caso si riscontri un alto livello
di leucociti può succedere che
la persona decida di prendere
l’antibiotico che aveva già assunto
tempo prima per lo stesso
problema, esponendosi a possibili
reazioni avverse e aumentando la
resistenza dei germi agli antibiotici,
tutto sulla base di un test che va
considerato inaffidabile. Questi
esami fai da te sono utili per
togliersi un dubbio, ma non vanno
interpretati da soli e, soprattutto,
per avere la conferma o la smentita
di un risultato positivo, vanno
assolutamente ripetuti presso i
laboratori certificati. Cosa che,
temo, non avvenga”.
Il paradosso è che questi test
rappresentino, a ben vedere, un
costo in più per il sistema pubblico:
per esempio, chi fa da sé l’esame
per la ricerca del sangue occulto
nelle feci perché ha in famiglia
parenti con tumore del colon
e ottiene un risultato positivo
potrebbe leggere l’esame in modo
pessimistico e farsi prescrivere
una colonscopia, magari non
necessaria, o vivere stati di vera e
propria ansia.
Annalisa Racca, presidente di
Federfarma, mette le mani avanti
per i kit di autoanalisi: “A chi
vuole comprare questi kit diamo
sempre tutte le spiegazioni
e raccomandiamo cautela
nell’utilizzo. Ma i test si possono
comprare anche online, e allora
in quel caso la persona non ha
alcun supporto informativo”.
E puntualizza: “Per quanto
riguarda il test per la ricerca del
sangue occulto nelle feci o quello
per l’Helicobacter pylori, noi
proponiamo sempre di farli in
farmacia con il supporto delle ASL
e non a casa da soli”.
La tendenza generale da parte
della popolazione, supportata dalla
tecnologia e da Internet, miniera
preziosa di informazioni ma anche
luogo senza filtri dove con pochi
click le persone ormai pensano
di aver trovato la diagnosi, è
sempre più quella dell’autoanalisi
e autodiagnosi, due passaggi che
coinvolgono il medico in modo
sempre più marginale.
Gli esami fai da te sono utili per togliersi un
dubbio, ma per avere la conferma o la smentita
di un risultato vanno assolutamente ripetuti
presso i laboratori certificati
Le health app
Gli esami fai da te sono una realtà anche nel mondo delle app. Infatti,
sono numerose le applicazioni per misurare la pressione arteriosa o
fare un ECG; a breve sarà anche possibile effettuare esami del sangue.
Occorre però diffidare di quelle app che promettono la misurazione
di questi parametri solo posizionando la mano, o il dito, sul display o
facendo una foto: lo smartphone da solo non può, allo stato attuale della
tecnologia, effettuare esami di questo tipo in modo affidabile. Può essere
un ottimo sistema di monitoraggio se associato a dispositivi esterni
di misurazione. Per la pressione del sangue si possono acquistare
sfigmomanometri wireless. Per l’elettrocardiogramma, c’è un’app
approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) che permette di
misurare l’ECG semplicemente mettendo le dita su due piccoli elettrodi
(accessori) applicati al retro del telefonino. Per gli esami del sangue,
alcune start-up stanno sviluppando dei veri e propri analizzatori che
si potranno collegare al telefonino. La vera rivoluzione però si sta
compiendo nel campo della misurazione della glicemia. Google sta
lavorando al lancio di una lente a contatto in grado di stimare, tramite
l’analisi del film lacrimale, i livelli di glucosio nel sangue.
Annalisa Racca,
presidente di
Federfarma.
19. 174 . 2016
“La radioprotezione in
ambito odontoiatrico è un tema
che, ancora oggi, si conferma
di importanza strategica perché
coinvolge diversi aspetti sia
della pratica clinica sia di quella
tecnica e, soprattutto, richiede
una particolare responsabilità
personale” spiega Stefano Almini,
odontoiatra e membro della
Commissione nazionale per la
formazione continua (ECM). “La
radiologia viene infatti concessa
Radiologo e odontoiatra a confronto
sulla diagnostica
Negli ultimi 20 anni si è assistito a un balzo tecnologico delle
apparecchiature di diagnostica radiologica; questi strumenti
sono diventati più sicuri ma anche più sofisticati e richiedono
sempre cautela nell’utilizzo e un’attenta valutazione dei
rischi-benefici. Per questo, oggi più che mai, è indispensabile
una stretta collaborazione fra radiologi e odontoiatri
margherita martini
20. 18 InFormaMI
PROFESSIONE
l’intero splancnocranio, a seconda
del quesito clinico”.
Il primo campo di applicazione
della cone beam CT è stato quello
della pianificazione della chirurgia
implantare. Successivamente,
l’utilizzo di questa tecnologia si è
esteso ad altri ambiti odontoiatrici
(elementi dentari inclusi, malattia
parodontale, endodonzia) e
attualmente anche allo studio di
altri distretti extraodontoiatrici
(studio dell’articolazione temporo-
mandibolare, rocche petrose, seni
paranasali).
Le cone beam CT, grazie all’elevata
capacità dei loro rilevatori, a parità
di volume anatomico esaminato,
permettono di somministrare
una dose di radiazioni
significativamente inferiore
rispetto alle apparecchiature
di tomografia computerizzata
tradizionali. Questa riduzione di
dose varia da 5 a 20 volte a seconda
della tipologia del macchinario
utilizzato e del campo di vista
studiato. Bisogna tuttavia ricordare
che, per contro, la dose efficace
assorbita dai pazienti durante un
esame non è trascurabile, essendo
significativamente superiore (fino a
10 volte) rispetto a quella assimilata
durante esami radiografici di primo
livello come l’ortopantomografia o
esami di cefalometria.
“Per tale motivo” sottolinea
Lorenzo Preda “questa evoluzione
tecnologica non consente di
modificare radicalmente l’iter
diagnostico dei pazienti. E’ bene
infatti che lo specialista continui
a prevedere esami diagnostici di
primo livello che devono rimanere
nella maggior parte dei casi (in
all’esercizio dell’odontoiatria
come auxilium diagnostico, e
tale deve rimanere, in primo
luogo nel rispetto del paziente,
secondo le regole del nostro
Codice deontologico e della nostra
coscienza professionale” continua
Almini. Le radiazioni ionizzanti sono
infatti considerate invasive: anche
se la probabilità è molto bassa,
quelle emesse dalle apparecchiature
di primo e secondo livello possono
determinare un danno agli organi
radiosensibili.
La radiologia negli studi
odontoiatrici sta però cambiando
rapidamente faccia, con non
pochi problemi per i colleghi.
“In ambito di diagnostica
radiologica odontostomatologica,
il passaggio dall’analogico al
digitale è avvenuto negli ultimi
15-20 anni, quando la maggior
parte delle apparecchiature
radiologiche installate presso
gli studi specialistici è stata
progressivamente sostituita da
quelle digitali” commenta Lorenzo
Preda, professore associato di
radiologia all’Università degli Studi
di Pavia. “Tali apparecchiature
hanno consentito l’ottimizzazione
degli esami radiologici eseguiti
e un contenimento della dose
radiante ai pazienti”.
Un punto di svolta:
la cone beam CT
Negli ultimi anni l’evento
più importante dal punto di
vista dell’evoluzione delle
tecniche radiologiche in campo
odontoiatrico è stata l’introduzione
sul mercato e la successiva rapida
diffusione, nella seconda metà
dello scorso decennio, delle
apparecchiature volumetriche
di tomografia computerizzata
dedicate alla radiologia dentale, le
cosiddette cone beam CT, ovvero
a fascio radiante conico, e, più
recentemente, dall’introduzione
dei detettori flat panel, che
hanno apportato un ulteriore
miglioramento tecnologico di
queste apparecchiature.
Esistono in commercio diversi
tipi di questi macchinari con
caratteristiche tecniche molto
differenti tra loro. “Tra le principali
variabili” chiarisce Preda “c’è,
per esempio, la posizione del
paziente durante l’esame, che può
essere supina, seduta o eretta e
il campo di vista dell’indagine,
che può essere circoscritto a
un singolo settore dell’arcata
dentaria o molto più ampio,
permettendo di esaminare, in
un’unica acquisizione, un’intera
arcata, entrambe le arcate
contemporaneamente o addirittura
L’odontoiatra non può eseguire esami radiologici su pazienti inviati da
altri specialisti né può redigere e rilasciare referti scritti
Stefano Almini,
odontoiatra e membro
della Commissione
nazionale per la
formazione continua
(ECM).
21. 194 . 2016
particolare nei pazienti in cui la
problematica della dose è molto
importante, come i bambini o
le donne in età fertile) gli esami
conclusivi e risolutivi rispetto al
quesito clinico. L’importanza di
valutare attentamente il rapporto
rischio-beneficio si conferma
dunque fondamentale”.
Normativa e radioprotezione
“Verso i primi anni Novanta,
nell’Europa settentrionale si è
assistito a un incremento eccessivo
di prescrizioni ingiustificate di
radiologia cone beam CT, al punto
che l’Unione Europea (UE) grazie
ai gruppi di lavoro dedicati, ha
deciso di emanare direttive ad
hoc. Dopo una prima direttiva
mirata a proteggere gli operatori
sanitari direttamente coinvolti
nell’esecuzione delle radiografie,
una successiva disposizione del
1997 si è interessata della tutela del
paziente” racconta Stefano Almini.
In Italia, l’utilizzo delle
apparecchiature radiologiche è
regolato dal d.lgs. n. 187/2000 che
recepisce la direttiva europea in
materia di protezione sanitaria
delle persone contro i pericoli
delle radiazioni ionizzanti connesse
a esposizioni mediche. Questa
legge è stata integrata, in maggio
2010, con raccomandazioni
ministeriali che specificano
i corretti campi di utilizzo
della cone beam CT. “Queste
integrazioni” spiega Lorenzo Preda
“sottolineano che l’uso di tutte
le apparecchiature che erogano
raggi X è di norma prerogativa
dell’attività specialistica
radiologica. Nel caso di utilizzo
di queste apparecchiature al di
fuori dei reparti di radiologia,
l’impiego viene consentito solo
nell’ambito della cosiddetta
“attività complementare” da parte
dell’odontoiatra. In questo ambito,
come riportano le raccomandazioni
ministeriali, sono ammesse le
attività radiodiagnostiche che
presentino i requisiti funzionali e
temporali di risultare contestuali,
integrate e indilazionabili rispetto
allo svolgimento di specifici
interventi di carattere strumentale,
propri della disciplina specialistica.
La presenza del tecnico radiologo,
figura professionale abilitata
all’utilizzo delle apparecchiature
radiologiche, ai fini della legge non
modifica questi aspetti”.
Secondo la legislazione vigente,
l’odontoiatra non può eseguire
esami radiologici su pazienti
inviati da altri specialisti né
può redigere e rilasciare referti
scritti. Inoltre, l’iconografia
dell’esame va consegnata al
paziente, l’archiviazione deve
essere assicurata per un periodo
non inferiore a 5 anni e, grazie
alla collaborazione di un esperto
di fisica medica, deve poi essere
assicurata la verifica periodica
delle apparecchiature, con
particolare riguardo alla dose
radiante somministrata al paziente
e alla qualità delle immagini.
Infine, in radiologia è stabilito
l’obbligo di legge di acquisire
preventivamente il consenso
informato scritto da parte del
paziente che deve ricevere
una copia controfirmata dallo
specialista. “Il paziente” specifica
Almini “spesso non è consapevole
del minimo rischio a cui accetta di
sottoporsi e si affida alla coscienza
del proprio odontoiatra”.
Parole d’ordine: formazione e
collaborazione
“Ultima, ma non meno importante”
conclude Lorenzo Preda “è la
formazione. Tutti gli specialisti
odontoiatri che possiedono
un’apparecchiatura radiologica
devono sottoporsi a un’adeguata
preparazione soprattutto per
quanto riguarda le norme di
radioprotezione e le problematiche
correlate all’esposizioni ai raggi X”.
“La periodicità quinquennale
della formazione, prevista
dall’art. 7 del d.lgs. n. 187/2000”
specifica Stefano Almini “si basa
sulla considerazione che più o
meno ogni 5 anni si assiste a una
modifica tecnologica importante,
tale da poter suppore un corretto
adeguamento delle conoscenze
scientifiche e procedurali”.
I due esperti concordano dunque
sul fatto che rimane necessario
utilizzare le apparecchiature con
la dovuta cautela, facendo sempre
riferimento al rapporto rischio-
beneficio rispetto al paziente,
alle problematiche cliniche a cui
bisogna rispondere e tenendo
sempre a mente la legislazione
(art. 3 e art 4 del d.lgs. n. 187/2000),
secondo cui è necessario
giustificare ogni radiografia
prescritta e ottimizzare la dose
rispetto ai potenziali effetti di
danno al paziente.
Concludono pertanto che,
soprattutto nell’interesse
finale dei pazienti e al di là
dell’utilizzo consentito dall’attività
complementare, è auspicabile una
sempre maggiore collaborazione
professionale e intellettuale fra i
radiologi e gli odontoiatri.
Lorenzo Preda,
professore associato
di radiologia
all’Università degli
studi di Pavia.
23. 214 . 2016
Una fotografia in itinere di una riforma con un disegno complesso e obiettivi ambiziosi; si va dal miglioramento dei
servizi per il cittadino alla riorganizzazione dell’assetto ospedaliero e delle strutture del territorio, dalla riduzione
dei costi e aumento dei controlli alla definizione di un unico assessorato al welfare e altro ancora. Il tutto per
farsi carico del paziente con tutti i suoi bisogni, anche nella “cronicità”. Il rischio, tuttavia, è quello di complicare
anziché semplificare e di sembrare ai cittadini solo come un cambiamento… di nomenclatura
“Evoluzione del sistema
socio-sanitario lombardo:
modifiche al Titolo I e al Titolo
II della legge regionale 30
dicembre 2009 n. 33 (Testo unico
delle leggi regionali in materia
di sanità)”: questo è il nome
altisonante e carico di positività
che è stato dato alla riforma
del sistema sanitario lombardo.
Approvata ad agosto 2015, è
entrata in vigore a gennaio 2016
con l’implementazione dei primi
decreti attuativi. Punti cardine
della riforma, suddivisa in due
parti, una sanitaria e una sociale,
sono il miglioramento dei servizi
per il cittadino, con facilitazione al
loro accesso e diminuzione della
compartecipazione alla spesa,
la riorganizzazione dell’assetto
ospedaliero e delle strutture del
territorio, la riduzione dei costi e
l’aumento dei controlli.
In pratica, ciò che prevede la l.r.
n. 23/2015 è la trasformazione
delle precedenti 15 ASL (Aziende
Sanitarie Locali) in 8 ATS (Agenzie
di Tutela della Salute) con compiti
di programmazione dell’offerta
sanitaria, di accreditamento
delle strutture e di acquisto delle
prestazioni sanitarie e socio-
sanitarie, e il passaggio da 29
AO (Aziende Ospedaliere) a 27
ASST (Aziende Socio-Sanitario
Territoriali) che diventano i veri
erogatori dei servizi. Queste
ultime comprendono i presidi
ospedalieri e dispensano
prestazioni specialistiche, di
prevenzione, cura, riabilitazione
e i servizi a integrazione socio-
sanitaria precedentemente a capo
alle ASL. Si articolano in due
strutture distinte e con bilanci
separati: il polo ospedaliero e la
rete territoriale che, a sua volta,
prevede la creazione di POT
(Presidi Ospedalieri Territoriali)
per l’erogazione di prestazioni
sanitarie di media e bassa intensità
per pazienti in acuto e cronici e
PreSST (Presidi Socio Sanitari
Territoriali), rivolti alla gestione
delle degenze intermedie, post-
acute e riabilitative.
Viene poi creata un’Agenzia
di vigilanza e controllo, con il
compito di collegare ATS e ASST
e supervisionare il loro operato
e un’Agenzia di promozione
del servizio sanitario lombardo
con la finalità di promuovere le
attività connesse all’erogazione
delle prestazioni socio-sanitarie
in regime di solvenza a livello
nazionale e internazionale.
Non manca una ridefinizione del
comparto delle cure primarie
dove il mondo della medicina
generale vedrà l’istituzione di
AFT (Aggregazioni Funzionali
Territoriali) e delle UCCP (Unità
Complesse di Cure Primarie),
strutture organizzative che
comprendono medici di medicina
generale e pediatri di libera scelta,
volte a estendere e rendere più
efficiente l’assistenza primaria.
Il tutto con l’istituzione di un
nuovo assessorato al welfare, a
capo del quale è stato nominato
Giulio Gallera, che raggruppa e
sostituisce i precedenti assessorati
alla sanità e alle politiche sociali e
con il mantenimento del principio
di libera scelta del cittadino, che
potrà ancora decidere se orientarsi
verso il pubblico o il privato.
Dalla cura al prendersi cura
Al di là della pletora di acronimi,
lo slogan della riforma sembra
essere semplice: “dalla cura al
prendersi cura”. Un motto che
racchiude l’intenzione di farsi
carico del paziente con tutti i suoi
bisogni attraverso una profonda
integrazione tra ospedale, rete
territoriale e cure primarie.
Un’esigenza nata, come ben
ha sintetizzato Giulio Gallera lo
scorso novembre in un convegno
dal titolo “La riforma sanitaria
lombarda un anno dopo”, dalla
massiccia entrata in scena, una
decina di anni fa, complice
l’innalzamento dell’aspettativa
di vita, della “cronicità”, una
condizione che riguarda circa tre
milioni di lombardi, per gestire la
quale il vecchio sistema sanitario
Punti cardine: migliori servizi per il cittadino, minore
compartecipazione alla spesa, riorganizzazione e controllo dei costi
24. 22 InFormaMI
non era più adeguato e strutturato
in modo idoneo.
Il paziente cronico ha bisogno
di essere accompagnato in
un percorso assistenziale che
va dal ricovero ospedaliero,
in seguito all’evento acuto, a
un’eventuale riabilitazione, dalla
programmazione dei controlli e del
monitoraggio delle sue condizioni,
alla gestione delle cure in ambito
domiciliare.
Per far questo occorre valutare
attentamente la domanda
sanitaria, le necessità dei pazienti
e l’appropriatezza dei vari percorsi
assistenziali in modo da poter
ottimizzare l’erogazione delle
prestazioni con riduzione dei
costi e dei tempi di attesa. In più,
occorre distinguere tra i vari livelli
di cronicità non uguali in tutti i
pazienti; in base a questi verrà
poi declinato in cosa consiste
operativamente la “presa in carico”
e a quali attività corrisponde, con
conseguente identificazione di una
tariffa di “presa in carico” al posto
di quella della singola prestazione.
Un progetto ambizioso che
prevede, oltre a un incremento
dell’innovazione tecnologica e
informatica, anche un grosso
sforzo organizzativo. Uno sforzo
che, a distanza di circa un anno, ha
prodotto la definizione delle ATS e
delle ASST, con l’accorpamento dei
vari poli ospedalieri, e l’attivazione
dei primi quattro POT, con altri
due in apertura per fine 2016, e dei
primi PreSST.
La strada è lunga e non priva
di perplessità
Per attuare in pieno la riforma la
strada è ancora lunga ma, secondo
il presidente Maroni, il terreno
è stato preparato e nel 2017 si
potrà partire con più slancio verso
l’attuazione di altri provvedimenti,
anche grazie ai 500 milioni di
euro del fondo sanitario, in parte
derivati da risparmi ottenuti
grazie alla riforma e utilizzabili per
innovazione tecnologica, riduzione
dei ticket e delle rette delle RSA
(Residenze Sanitario-Assistenziali).
A metà del 2017 la maggior parte
dei cambiamenti introdotti dalla
legge 23 dovrebbero andare a
regime, ma occorrerà più tempo
per valutare in modo complessivo
i suoi effetti. Ferma restando la
possibilità di privilegiare alcuni
provvedimenti e di tralasciarne
altri, correggendo il tiro in corso
d’opera in base alle evidenze
riscontrate sul campo. D’altra parte
la riforma della Sanità Lombarda
è di natura sperimentale, un
esperimento concordato con
il Ministero della Salute della
durata di tre anni, al termine
dei quali si tireranno le fila e si
faranno le opportune valutazioni,
considerando anche l’eventualità di
estendere il modello lombardo ad
altre regioni.
Ed è anche tale aspetto della nuova
legge che lascia perplesso chi nella
Sanità lombarda è stato di casa per
tanti anni, come Vittorio Carreri,
medico igienista e già direttore
del Servizio di prevenzione della
Lombardia dal 1973 al 2003: “Una
legge sulla sanità approvata in via
sperimentale, che ha una scadenza
di verifica e che all’inizio ha anche
sollevato dubbi di costituzionalità
mi sembra quantomeno rischiosa;
la sanità deve essere un servizio,
c’è un diritto alla salute che
vale da Trapani a Bolzano e le
regioni dovrebbero restare nel
Sistema Sanitario Nazionale,
confrontandosi tra loro senza
scimmiottare il centralismo
statale”.
Pur riconoscendo alla riforma
aspetti positivi, come la creazione
di un unico assessorato al
welfare e l’idea della “presa in
carico” del paziente, Carreri
si mostra scettico sull’effettiva
gestione di una struttura così
complessa e articolata come
quella prevista dalla legge 23.
“Sembra di essere di fronte a un
entificio, un apparato gigantesco,
elefantiaco, sovraccaricato anche
da agenzie di controllo, a mio
parere difficilmente governabile
quando invece si avrebbe bisogno
di maggiore semplificazione per
facilitare anche la comunicazione
e la cooperazione tra le varie
strutture”, dichiara il medico
igienista.
Un entificio che, peraltro, prevede
la presenza di ben 42 direttori
generali e 128 tra direttori sanitari,
amministrativi e socio-sanitari,
troppi secondo i detrattori della
legge 23. Anche se, in realtà,
viene riconosciuto alla riforma il
merito di aver introdotto un nuovo
metodo di scelta del personale
dirigente. La nomina dei direttori
generali è avvenuta dopo una
procedura di selezione a partire
da una rosa di possibili candidati
presentata da una commissione
guidata da Gianluca Vago, Rettore
dell’Università degli Studi di
sanità
Un esperimento di tre anni concordato con il Ministero della Salute
che comporta qualche rischio di entificio, ovvero la creazione di un
apparato gigantesco, elefantiaco, sovraccaricato anche da agenzie
di controllo
25. 234 . 2016
Milano, da Cristina Masella,
docente del Politecnico di Milano
e da Francesco Longo, docente
dell’Università Bocconi.
“Manca poi, nella riforma” conclude
Carreri, “una maggiore attenzione
verso la prevenzione che ha
bisogno di tante figure diverse,
non solo mediche, ma anche
tecniche e organizzative e una
seria discussione sulla medicina
generale, su cui si fonda il Servizio
Sanitario, che va profondamente
riformata anche da un punto di
vista culturale e dell’approccio al
paziente”.
Un paziente che, al momento,
sembra non essersi accorto più di
tanto dei cambiamenti implementati
dalla riforma. L’accorpamento di
molti ospedali in aziende uniche
multi-presidio, rappresentate
dalle ASST, nella maggior parte
dei casi è stato finora un processo
solo formale, lamenta l’ANAAO
ASSOMED, senza un vero e proprio
impatto per l’utenza che rischia
peraltro di rimanere disorientata.
“Occorre distinguere, nella riforma,
ciò che è la veste istituzionale da
quelli che sono i cambiamenti reali”,
dichiara Vittorio Mapelli, docente
di economia sanitaria all’Università
degli Studi di Milano, “e per il
cittadino i cambiamenti percepibili
sono la riduzione dei ticket, delle
liste di attesa e i miglioramenti
tecnologici, per ora poco tangibili,
e poco importa se l’ente cui ci si
rivolge si chiama ASST o ATS”.
Strutture queste che, secondo
Mapelli, hanno un che di
sovrabbondante: “sembra esserci
una certa confusione nel definire
‘chi fa che cosa’, le ATS rischiano
di essere dei contenitori vuoti con
solo funzione burocratica, mentre
avrebbe giovato una maggiore
semplificazione”.
Politiche dei Servizi Sanitari in Lombardia dagli anni ’70 a oggi
Il processo di riforma è laborioso
e richiede i suoi tempi, vista anche
la necessità di integrare i servizi
con il territorio, ma sono in molti a
chiedere che si cambi passo.
E’ tempo che la programmazione
effettuata e i nuovi modelli di
assistenza inizino a concretizzarsi
con regole chiare e precise,
processo che gli operatori del
settore si auspicano avvenga
nell’imminente 2017.
Anni ’70 ideazione della prima rete: consorzi intercomunali sanitari
di zona, asili nido, anziani, disabilità, consultori familiari,
tossicodipendenze
Anni ’80 attivazione delle USSL (Unità Socio Sanitarie Locali) (legge
quadro n. 833/1978; l.r. N.1/1986)
piani socio-assistenziali e programmi di zona dei servizi sociali
1990-1997 riorganizzazione e riduzione delle ASL (Aziende Sanitarie Locali)
da 85 a 44
1997-2001 ulteriore riduzione delle ASL da 44 a 15
attivazione delle AO (Aziende Ospedaliere)
2001-2009 attuazione della l.n. 328/2000 trasformazione delle IPAB
(Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza) in ASP
(Aziende pubbliche di Servizi alla Persona)
piani sociosanitari regionali, regolazione normativa delle tre reti:
servizi sociosanitari, servizi sociali, servizi sanitari (l.r. N. 3/2008)
testo unico delle leggi in materia di sanità (l.r. N. 33/2009)
2013-oggi libro Bianco sullo sviluppo del Sistema sociosanitario lombardo
riorganizzazione del Servizio sanitario e sociosanitario Regionale
(l.r. N. 23/2015)
26. 24 InFormaMI
sanità nicoletta scarpa
Seppure con qualche mese
di ritardo sulla tabella di
marcia, la cannabis a uso
terapeutico sta per arrivare
come specialità medicinale.
Lo Stabilimento chimico
farmaceutico militare di
Firenze ha un ruolo di primo
piano nella produzione del
farmaco
Finalmente ci siamo. Con
l’arrivo del nuovo anno è iniziata
la distribuzione in farmacia dei
primi lotti di cannabis prodotti
dall’Istituto Chimico farmaceutico
di Firenze: l’obiettivo è abbassare
i costi limitando l’importazione
olandese.
La produzione nostrana di cannabis
è una delle novità introdotte con
il decreto del Ministero della
Salute del 9 novembre 2015.
Infatti, grazie all’accordo tra
Cannabis di stato
ai nastri di partenza
Ministero della Salute e Ministero
della della Difesa, lo Stabilimento
chimico farmaceutico militare di
Firenze è diventato il primo
e, al momento, l’unico
produttore italiano di
cannabis sativa a
uso terapeutico. “Questa è solo una
delle novità introdotte dal decreto”,
spiega Paolo Notaro, responsabile
del Centro di terapia del dolore di
Niguarda; “Grazie a questo decreto
si sta colmando un importante
vuoto normativo. Le preparazioni
magistrali di sostanze vegetali a
base di cannabis potevano essere
allestite, dietro presentazione di
ricetta medica non ripetibile, già
dal 1998 (art. 5 del d.l. 1° febbraio
1998, n. 23, convertito dalla l. 94
dell’8 aprile 1998) ma mancava
la possibilità di controllare tali
prescrizioni. Per capire il problema
occorre considerare che fino
all’introduzione del decreto del
2015 il medico aveva la possibilità di
prescrivere la specialità medicinale
(il Sativex) autorizzata in Italia dal
2013 oppure, per utilizzi diversi da
quelli indicati nell’autorizzazione
all’immissione in commercio,
poteva prescrivere con ricetta non
ripetibile le preparazioni magistrali.
segue a pagina 25
27. I4 . 2016
LA STAGIONE INFLUENZALE
2016-2017
Come iscriversi
aL corso
Partecipare al corso FAD
è semplice. Una volta letto
questo dossier, tutti gli iscritti
all’OMCeO Milano, medici e
odontoiatri, possono rispondere
al questionario online e acquisire
i crediti ECM. Ecco come fare:
1. registrarsi sulla piattaforma
www.saepe.it per ricevere via
email ID e PIN per l’accesso
2. entro 48 ore ricollegarsi alla
piattaforma e inserire ID e PIN
ricevuti
3. cliccare al piede della pagina
sul banner Smart FAD
4. cliccare il titolo del corso
5. cliccare sul questionario e
rispondere alle domande ECM;
si ricorda che le domande sono
randomizzate, quindi variano nei
tentativi successivi (non c’è un
limite massimo)
6. rispondere al questionario di
customer satisfaction
7. scaricare l’attestazione dei
crediti cliccando in alto a destra
su “Crediti” e quindi sulla
stampantina vicino al titolo del
corso
Per qualunque dubbio o difficoltà
scrivere a:
gestione@saepe.it
2.2016
L’influenza è spesso sottovalutata ma le sue complicanze possono porre a rischio la vita,
specie nei soggetti a rischio come gli anziani con comorbilità. Per questo è fondamentale
vaccinare le categorie di soggetti indicati dal Ministero della Salute, tra cui tutti gli
operatori sanitari, e gestire la malattia, quando presente, in maniera adeguata.
Evento ECM n. 178200; Provider Zadig (n. 103)
Autore: Maria Rosa Valetto
Revisore: Fabrizio Pregliasco, Dipartimento di scienze
biomediche per la salute dell'Università degli Studi di Milano,
Direttore sanitario IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano
Destinatari: medici e odontoiatri
Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura di questo dossier)
Durata: dall’1 gennaio 2017 al 30 giugno 2017
28. II SmartFad
“Dottoressa, mi guarisca...” canticchia Ludovica non appena la madre apre la porta
di casa trovandola sul divano avvolta in una coperta di pile.
“Dici a me?” le chiede.
“In parte, perché ho bisogno delle tue cure, mamma. In parte cito, forse a sproposito
perché devo ancora capire bene cosa vuol dire il Liga nella sua nuova canzone...”.
“Me lo sono chiesta anche io, ma tralasciamo per un attimo questo interrogativo
che ci tiene tutti con il fiato sospeso e passiamo dal palco alla realtà: cosa ti senti?”.
“Qualche brivido e il naso che cola. Insomma mi sa che mi sono beccata l’influenza in
università”.
“Non rubarmi il mestiere. Hai provato la febbre?” indaga la madre mettendole una mano sulla fronte.
“Mezz’ora fa, 37,2”.
“Mal di testa, tosse, dolori?”.
“No”.
Destinazione Praga, ma senza influenza
la storia
parte I
Poiché la trasmissione interumana del virus dell’influenza si
può verificare per via aerea attraverso le gocce di saliva di chi
tossisce o starnutisce, ma anche attraverso il contatto con mani
contaminate dalle secrezioni respiratorie, sono raccomandate le
seguenti azioni:
1. lavaggio delle mani (in assenza di acqua, uso di gel alcolici);
2. buonaigienerespiratoria(coprireboccaenasoquandosistarnu-
tisce o tossisce, trattare i fazzoletti e lavarsi le mani);
3. isolamento volontario a casa delle persone con malattie respira-
torie febbrili specie in fase iniziale;
4. uso di mascherine da parte delle persone con sintomatologia
influenzale quando si trovano in ambienti sanitari (ospedali).
commento
commento
Secondo i criteri InfluNet, rientra nella definizione clinica di “sin-
drome influenzale” un soggetto che presenti un’insorgenza rapida
e improvvisa di almeno uno tra i seguenti sintomi generali:
• febbre o febbricola;
• malessere/spossatezza;
• mal di testa;
• dolori muscolari;
e almeno uno tra i seguenti sintomi respiratori:
• tosse;
• mal di gola;
• respiro affannoso.
InfluNet. Sistema di sorveglianza sentinella dell’influenza basata sui
medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Sorveglianza
epidemiologica e virologica - Protocollo operativo - Stagione influenzale
2016-2017.
https://goo.gl/Vo25kp
“Insomma che cosa ho?”.
“Secondo me non è influenza. Direi più un raffreddore. Ormai siamo in autunno
inoltrato e continui a vestirti leggera. Conoscendoti, ieri sarai anche andata in giro
senza ombrello”.
“Con Marley che tira da tutte le parti è impensabile uscire con l’ombrello aperto.
L’ultima volta che ci ho provato ho quasi accecato un passante!”. A sentire pronun-
ciare il suo nome il bellissimo labrador color miele che sonnecchiava ai piedi di Lu-
dovica scende dal divano e si avvicina per guadagnarsi un supplemento di crocchette.
“Ciao monello, quando imparerai a camminare per strada? Dai, visto che la tua padroncina fa la malata
tra poco ti porto io a spasso”.
“A proposito di fare la malata, mamma. Per il ponte di Sant’Ambrogio ho un progettino con alcuni
compagni di università, avrei trovato un volo low cost per Praga. Posso comprare il biglietto, la pro-
mozione scade domani?”.
“Certo, dopo un bel trenta, come posso dire di no a questa richiesta?”.
“E come posso evitare di beccarmi l’influenza poco prima dell’agognata vacanza?”.
“Beh, nella vita di tutti i giorni sono indicate delle precauzioni di igiene, dovresti saperle”.
la storia
parte II
29. III4 . 2016
LA STAGIONE INFLUENZALE 2016-2017
Il lavaggio frequente delle mani è sottovalutato, ma è la pratica
riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra le più
efficaci per il controllo della diffusione delle infezioni anche negli
ospedali.
Ministero della Salute. Circolare del 2 agosto 2016. Prevenzione e control-
lo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2016-2017.
https://goo.gl/hXyyzC
World Health Organization (WHO). Guidelines on hand hygiene in health
care first global patient safety challenge clean care is safer care, 2009.
https://goo.gl/aw4hJ7
La vaccinazione stagionale è raccomandata a:
1. soggetti di età pari o superiore a 65 anni;
2. bambini di età superiore ai 6 mesi, ragazzi e adulti fino a 65 anni
di età affetti da patologie che aumentano il rischio di complicanze
da influenza:
a) malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio (inclusa
l’asma grave, la displasia broncopolmonare, la fibrosi cistica e
la broncopatia cronico ostruttiva – BPCO);
b) malattie dell’apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopa-
tie congenite e acquisite;
c) diabete mellito e altre malattie metaboliche (inclusi gli obesi con
indice di massa corporea 30);
d) insufficienza renale/surrenale cronica;
e) malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie;
f) tumori;
g) malattie congenite o acquisite che comportino carente produ-
zione di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci o
da HIV;
h) malattieinfiammatoriecronicheesindromidamalassorbimento
intestinale;
i) patologie per le quali sono programmati importanti interventi
chirurgici;
j) patologie associate a un aumentato rischio di aspirazione delle
secrezioni respiratorie (per esempio malattie neuromuscolari);
k) epatopatie croniche.
Dato l’andamento temporale mostrato dalle epidemie influenzali
in Italia e siccome la protezione indotta dal vaccino comincia 2
settimane dopo l’inoculazione e perdura per un periodo di 6-8 mesi
dopo i quali tende a declinare, il periodo destinato alla conduzione
delle campagne di vaccinazione antinfluenzale è quello autunnale,
a partire dalla metà di ottobre fino a fine dicembre.
Per gli adulti di tutte le età è sufficiente una sola dose di vaccino,
da somministrare per via intramuscolare nel muscolo deltoide.
Ministero della Salute. Circolare del 2 agosto 2016. Prevenzione e con-
trollo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2016-2017.
https://goo.gl/hXyyzC
commento
la storia
conclusione
“Sempre ottimista tu, eh? Beh, l’hai detto, la differenza tra te e i nonni è appunto l’anagrafe. Aggiungo
che se alla tua età avessi bisogno del vaccino antinfluenzale saresti in situazioni che non ti auguro”.
“Ho capito, non dirmi altro”.
“Dai, Marley, andiamo dai nonni a portare il vaccino”.
“Ma mica è Balto. Quanto l’abbiamo visto quel cartone mamma, ti ricordi?”.
“Devi lavarti spesso le mani con acqua calda e sapone. Con cura, non frettolosamen-
te. Poi devi evitare il contatto ravvicinato con persone che tossiscono o starnutisco-
no; in realtà dovrebbero essere loro ad avere il buon senso di coprirsi naso e bocca
in queste circostanze e buttare via il fazzoletto usato”.
“Lavarsi le mani? Mi sembra troppo semplice per funzionare”.
“Eppure lo dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità”.
“Ma allora cosa ci fanno quelle due scatole di vaccino in frigo? Pensavo fossero per
noi…”.
“No, io mi vaccino in ospedale, tutti gli anni… E tu non hai bisogno del vaccino. Quei vaccini sono per
i nonni. Anzi, devo sbrigarmi a farglieli, perché se si aspetta ancora un po’ si va fuori tempo massimo”.
“Sì, sono sempre in giro, cinema, teatro, beati loro. Ma questo pomeriggio li trovi a casa. Mi han chia-
mato mezz'ora fa per sapere dell’esame”.
“Allora devo approfittarne” la madre si infila il cappotto ed estrae i vaccini dal frigorifero.
“Ma, scusa, perché i nonni sì e io no? Cerca di capirmi, mamma, non riesco neanche a pensare alla pos-
sibilità di ritrovarmi a casa malata, stavolta davvero con il febbrone da influenza, mentre i miei amici
salgono la scaletta dell’aereo per Praga”.
la storia
parte III
30. IV SmartFad
Vaccinarsi, un colpo vincente
la storia
parte I
la storia
parte II
commento
Le finalità della vaccinazione antinfluenzale sono duplici:
• protezione individuale, particolarmente importante quando le
complicanze dell’influenza rischiano di essere particolarmente
gravi (anziani e soggetti con comorbilità);
• protezione della collettività, dato che la vaccinazione riduce la
circolazione interumana dei virus.
Le motivazioni per le quali è importante l’immunizzazione del per-
sonale sanitario sono diverse:
• il rischio personale di contrarre l’influenza dato il continuo con-
tatto con i malati;
• l’assenteismo dal lavoro e il rischio di non garantire un servizio
essenziale come quello sanitario nel periodo in cui vi è maggiore
richiesta di assistenza da parte della popolazione;
• ilrischiodidiventaretrasmettitorediinfezionedavirusinfluenzali
nella comunità dove si esercita l’attività lavorativa.
Ministero della Salute. Vaccinazione antinfluenzale, chi vaccinare.
https://goo.gl/kw9f6g
Ministero della Salute. Indicazioni sulla vaccinazione. Finalità della vac-
cinazione.
https://goo.gl/5Z9gcy
Giorgio e Filippo non si sono mai persi di vista: originari della stessa località di pro-
vincia, si sono trasferiti nella sede universitaria più vicina per gli studi di medicina,
condividendo quelli che ancora considerano gli anni migliori della loro vita. Sono
poi tornati alle origini trovando lavoro nell’ospedale della città natale.
Giorgio ha sposato Daniela, una collega che fa il medico di medicina generale in un
paese vicino e ha due figli, Filippo è uno scapolo irriducibile e deve occuparsi dei
genitori anziani. La partita del venerdì pomeriggio è da vent'anni un appuntamento
fisso, turni di guardia permettendo.
Per chiudere degnamente anche questa settimana, Filippo sta aspettando il collega alla timbratrice ed
è impaziente per il ritardo. Finalmente dal fondo del grande corridoio risuona l’eco di passi trafelati e
si staglia la sagoma di Giorgio.
“Cosa mi combini? Lo sai che i minuti persi non li recuperiamo, dopo di noi ci sono sempre quei ra-
gazzetti che manco ci danno il tempo di raccattare le nostre palline, tanto hanno fretta di entrare in
campo!”.
“Eh lo so, scusa. Mi sono attardato in Medicina preventiva per la vaccinazione antinfluenzale... non
avevo nessuno prima di me. Ma chi arriva? Il primario che aveva pure fretta, me l’ha detto subito, ubi
maior, e ho perso quei dieci minuti”.
“Ma perché buttare così il proprio tempo?”.
“Dai, non farla così grossa, ti ho già chiesto scusa”.
“Non mi hai capito. Mi riferivo alla vaccinazione”.
“Ah già, da un anno all’altro dimentico il tuo radicato scetticismo”.
“E’ scontato, con tutti i microbi che abbiamo incontrato in questo mezzo secolo, cosa vuoi che cambi?
Come sai io non me la sono mai fatta e non è che sia stato a casa d’inverno malato più di te!”.
Giorgio scuote la testa: “La pensa come te almeno la metà dei nostri colleghi, qual-
che statistica dice nove su dieci. Ecco spiegata la paralisi dei nostri ambulatori
l'anno scorso sotto Natale, con gran parte del personale in malattia. Ma ti dirò
di più. Io che faccio il geriatra non voglio avere sulla coscienza nessuno dei miei
vecchietti, alcuni parecchio malandati!”.
I due colleghi salgono sull’auto sportiva di Giorgio che cerca di recuperare il tem-
po perduto con una guida piuttosto spericolata.
“Sei sempre stato un idealista. Al massimo sono i tuoi pazienti a rappresentare un pe-
ricolo per te. A me in sala operatoria questo non succede: camici, mascherine, lavaggio mani…” dice
Filippo.
“E tu sei sempre stato un trasgressore. Tra l’altro hai pure due anziani in famiglia. Tieni conto che,
rispetto all’inverno scorso, circola un nuovo sottotipo di virus”.
31. V4 . 2016
la storia
parte III
la storia
conclusione
L’OMS ha indicato che la composizione del vaccino per l’emisfero
settentrionale nella stagione 2016/2017 sia la seguente:
• antigene analogo al ceppo A/California/7/2009 (H1N1)pdm09;
• antigene analogo al ceppo A/Hong Kong/4801/2014 (H3N2);
• antigene analogo al ceppo B/Brisbane/60/2008 (lineaggio B/
Victoria).
Il vaccino per la stagione 2016/2017 conterrà, pertanto, una nuova
variante antigenica di sottotipo H3N2 (A/Hong Kong/4801/2014),
che sostituirà il ceppo A/Switzerland/9715293/2013 contenuto
nel vaccino della stagione 2015/2016 e una variante di tipo B (B/
Brisbane/60/2008), appartenente al lineaggio B/Victoria/2/87, in
sostituzione del precedente ceppo vaccinale, B/Phuket/3073/2013,
appartenente al lineaggio B/Yamagata/16/88.
Ministero della Salute. Circolare del 2 agosto 2016. Prevenzione e con-
trollo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2016-2017.
https://goo.gl/hXyyzC
commento
In Italia la sorveglianza integrata dell’influenza prevede la rileva-
zione stagionale delle sindromi similinfluenzali (influenza-like ill-
ness, ILI) attraverso InfluNet, la rete di medici sentinella, costituita
da medici di medicina generale (MMG) e pediatri di libera scelta
(PLS). Inoltre, dalla stagione pandemica 2009/2010 è attivo in Italia
il monitoraggio dell’andamento delle forme gravi e complicate di
influenza stagionale. I medici sentinella e altri medici operanti
nel territorio e negli ospedali collaborano anche alla raccolta dei
campioni biologici per l’identificazione dei virus circolanti.
La raccolta e l’elaborazione delle segnalazioni di malattia è ef-
fettuata dai Centri di riferimento nazionali: l’Istituto superiore di
sanità (ISS) e il Centro interuniversitario di ricerca sull’influenza
e le altre infezioni trasmissibili (CIRI-IT). L’ISS provvede all’elabo-
razione a livello nazionale e produce un rapporto settimanale che
viene pubblicato sul sito Internet del Ministero della Salute. Le
indagini virologiche sui campioni biologici raccolti vengono ese-
guite dai laboratori della Rete InfluNet e dal Centro nazionale per
l’influenza (NIC) dell’ISS. Il NIC provvede all’elaborazione dei dati
virologicialivellonazionaleeproduceunrapportosettimanale,che
viene pubblicato sul sito del Ministero della salute.
Ministero della Salute. Circolare del 2 agosto 2016. Prevenzione e con-
trollo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2016-2017.
https://goo.gl/hXyyzC
InfluNet. Sistema di sorveglianza sentinella dell’influenza basata su
medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Sorveglianza
epidemiologica e virologica – Protocollo operativo – Stagione influenzale
2016-2017.
https://goo.gl/Vo25kp
commento
“E quindi?” chiede un po’ polemico Filippo.
“E quindi è più probabile che la popolazione sia meno protetta da questa nuova
variante. Pertanto hanno modificato la composizione degli antigeni di superficie
presenti nel vaccino”.
“Già, ma nel frattempo il virus può mutare di nuovo. E siamo da capo”.
“Ma la situazione è costantemente sotto controllo. Lo so perché Daniela fa parte
della rete di medici sentinella” afferma Giorgio.
“Ah, una famiglia che ha fatto del contrasto all’influenza una missione! Ma che compito
ha Daniela? Immagino solo segnalare i casi d’influenza”.
“No, la rete provvede anche alla raccolta di campioni biologici per l’identificazione di virus circolanti”.
“Resto della mia idea. Tempo e soldi buttati” ribadisce Filippo.
“Eh, no. Prima di fare queste affermazioni approssimative devi informarti meglio!”.
“Prima mi preoccupo di stracciarti sulla terra rossa!”.
La partita è più equilibrata delle previsioni di Filippo e arriva al tie-break
“Avremo il tempo? Vedo là fuori i ragazzetti che scalpitano!” chiede Filippo.
“Tempo ne abbiamo a sufficienza. Sarò rapido e indolore…”.
Effettivamente in pochi minuti Giorgio chiude la partita.
Filippo, che non ama perdere, si butta sotto la doccia e uscendone esplode in un fragoroso starnuto.
“Influenza?”.
“Antipatico, primo della classe e dominatore sulla terra rossa. Ma la soddisfazione di prendermi l’in-
fluenza non te la do”.
“Allora sfodera un colpo vincente, vaccinati!”.
LA STAGIONE INFLUENZALE 2016-2017
32. VI SmartFad
Sono i primi giorni dell’anno e anche in riviera fa freddo. Avviando l’auto per le
visite domiciliari, Donatella deve accendere lo sbrinatore: “Non lo facevo da anni,
questo mese di gennaio non sembra proprio riservarci un clima mediterraneo”.
La prima visita è a casa dei signori Brambilla, un’anziana coppia residente a Mi-
lano, ma che tra le parecchie settimane di villeggiatura estiva e qualche mese di
soggiorno invernale, frequenta assiduamente la località turistica ligure.
Donatella già conosce Franca, 68 anni, molto dinamica e combattiva, per aver cura-
to i mal di gola estivi dei nipotini. Una nidiata di 6 marmocchi tra i 4 e i 10 anni che, da
un’estate all’altra, aspettano l’ospitalità dei nonni per gustare “il cono gelato più grande e più buono
del mondo” a detta di Riccardo, il più piccino.
Questa volta il malato è Alberto, il marito di Franca. L’immagine che Donatella ne ha è quella di un
ottantenne affabile e in buona salute. La sera, ricevuta la richiesta di una visita, ha indagato al telefono:
“Quest’estate mi è sembrato in gran forma, di che cosa si tratta?”.
“Spero solo una brutta influenza” ha risposto dall’altra parte la voce molto preoccupata dell’anziana
signora. “Lei non può immaginare che brutta sorpresa ci ha riservato quest’anno il ritorno in città dopo
l’estate”.
“Ma non siete vaccinati?” chiede d’istinto la dottoressa, trascurando in parte il messaggio della donna.
“No, veramente no… col fatto che passavamo l’inverno al mare e che siamo sempre stati bene… non
abbiamo mai preso in considerazione questa possibilità” si giustifica Franca. “Pensa proprio che
fosse necessario?”.
la storia
parte I
la storia
parte II
commento
I dati del Ministero della Salute sulla copertura per la vaccinazione
antinfluenzale nella stagione 2015-2016 riferiscono una copertura
del13,9%nellapopolazionegeneraleedel49,9%nellapopolazione
di età ≥65 anni.
Ciò a fronte di obiettivi di copertura, per tutti i gruppi target del
75% (obiettivo minimo perseguibile) e del 95% (obiettivo ottimale).
Ministero della salute. Coperture per la vaccinazione antinfluenzale
2015-2016.
https://goo.gl/vHx7Oq
Ministero della Salute. Circolare del 2 agosto 2016. Prevenzione e
controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2016-2017.
https://goo.gl/hXyyzC
Donatella è al cancello dell’elegante villetta in stile Liberty e le viene incontro Franca.
“Ha trovato posto per la macchina, dottoressa? Altrimenti la faccio entrare”.
“Grazie, signora, ma questi sono mesi tranquilli. Mica come quando ci siamo
viste a luglio, per il suo nipotino. E’ qui con lei?”.
“No, il cucciolo l’abbiamo visto a Natale ma di sfuggita perché aveva la febbre.
Abbiamo festeggiato a casa di mio figlio questa volta, delle tre la sua era la fami-
glia con il bollettino medico meno sfavorevole. Adesso Riccardo è a Courmayeur
con i genitori e le sorelle, chiuso in casa ancora convalescente. Là fiocca fitto fitto”.
“Beh, anche qui il clima non è mite”.
“Speriamo che la bougainvillea non ne soffra” commenta Franca mentre attraversa il giardino, estre-
mamente curato. “Ma parliamo di cose importanti”.
“Ho intuito che in famiglia c’è stato un grosso problema di salute”.
“Un vero fulmine a ciel sereno: un infarto. E dire che Alberto aveva smesso di fumare da anni. Gli
hanno messo uno stent. Sembra tutto sotto controllo. Ma lui non è più quello di prima. Si è chiuso in se
stesso, sorride raramente perfino con i nipoti e si preoccupa per la salute”.
Un inverno freddo anche per la bougainvillea