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(MA)DONNE
1. STABAT MATER
Alfredo c’era già stato molti anni fa in gita scolastica.
Ma erano i tempi del liceo.
E anche se era un liceo classico (e quindi si studiava anche storia dell’arte) i suoi compagni (e anche
lui stesso) più che alle meraviglie artistiche di Napoli erano interessati essenzialmente a due cose:
fare un po’ di caciara e coltivare gli amorazzi con le compagne.
Però aveva ancora un vago ricordo della visita al Museo di Capodimonte.
Adesso, di fronte alla Crocifissione di Masaccio (che, ormai lo sapeva, era solo la parte centrale dello
smembrato Polittico di Pisa), il ricordo si fece più nitido e si rammentò come gli fosse rimasto
impresso lo squillante rosso della veste della Maddalena.
Già prima di entrare al Museo aveva deciso di dedicare un po’ di tempo a quella tempera.
Perché ?
Perché due sere prima aveva ascoltato ancora una volta lo Stabat Mater di Rossini diretto da Riccardo
Muti.
La musica di Rossini era stupenda.
Ma forse non avrebbe potuto esserla così tanto se non si fosse giovata dell’icastico testo attribuito a
Jacopone da Todi.
Stabat Mater dolorosa
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Fílius.
Una sequenza, una composizione poetica prevista dalla liturgia.cattolica, che aveva ispirato decine di
musicisti famosi, da Palestrina a Pergolesi, da Haydn a Dvorak, da Puolenc a Piovani.
Una sequenza completamente centrata sulla figura della Madonna.
Per questo, di fronte all’opera di Masaccio, provò ad eliminare dalla visione il Cristo, la Maddalena
e San Giovanni e a concentrarsi sulla Madonna.
E gli apparve chiaro che il Masaccio, a differenza dello Stabat Mater di Jacopone da Todi, non
immaginava una madre dolente e piangente, ma, come si poteva dedurre da quella bocca semiaperta
quasi digrignante e da quelle mani strette a pugno, quasi avvinghiate, aveva tratteggiato una madre
quasi sconvolta da una rabbiosa incredulità.
“Se è giusta la mia interpretazione” si disse Alfredo “potrei quasi sostenere che la Madonna di
Masaccio è un archetipo della sofferenza rabbiosa di quelle madri che hanno visto e vedono i loro
figli arrestati, imprigionati, torturati, uccisi, perché portatori di idee rivoluzionarie.”
Perché questa interpretazione quasi rabbiosa di Masaccio ? In fondo, nei suoi brevi anni di vita (morì
nel 1428 a 27 anni) non doveva aver avuto moltissime occasioni di confrontarsi con grandi tragedie.
Qualche episodio familiare o amicale ? Non potremo mai saperlo.
Forse non era un caso che questa Crocifissione, con una Madonna ferocemente sgomenta, avesse
trovato la sua collocazione a Napoli.
A Napoli, con il suo Rione Sanità collocato ai piedi di Capodimonte, dove vivevano quelle madri
che inveivano contro i Carabinieri che si portavano via i figli mafiosi.
A Napoli, dove le madri dei figli assassinati dai sicari delle bande rivali sentivano il cuore come
trafitto da una spada, come la Mater di Jacopone da Todi:
Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.
Magari doveva parlarne con Lucia.
2. GRAN MADRE
Ma Lucia aveva altro di cui parlare.
Il 14 settembre 2019 sulla scalinata della Gran Madre di Dio a Torino era stata presentata una raccolta
di poesie brevi per la libertà delle donne.
Poesie brevi, anzi brevissime, che nella lingua pashtun dell’Afghanistan sono chiamate “landai”
(serpentelli velenosi), ispirate dal ricordo della decapitazione nel 2012 di Mah Gul, una donna
afghana di 20 anni, condannata perché aveva rifiutato di prostituirsi come voleva il marito.
Come il landai di Benedetta Iandolo:
Per un attimo ho visto il cielo, eri tu madre
mentre lui mi divorava la carne... il tuo
silenzio mi ha uccisa
che richiama un testo di Noorjahan Akbar, l’attivista afghana per i diritti delle donne, dove dice
“Quando Mah Gul è stata decapitata sua madre ha sorriso, perché sua figlia era, alla fine, libera.”
E Lucia si era posta un problema. Perché una presentazione proprio sulla scalinata della Gran Madre
Madre di Dio ?
Lucia non lo sapeva.
“Va bene” le disse Alfonso “provo ad indagare”
Si era preso un impegno. E gli impegni vanno mantenuti, specialmente quelli con Lucia.
Punto di partenza: il nome della chiesa.
Non sono molte, anzi sono pochissime in tutto il mondo, le chiese intitolate alla “Gran Madre di Dio”.
In effetti “Gran Madre di Dio” è un appellativo un po’ pomposo, poco adatto alla Madonna. E che sa
anche di pagano. Grande Madre (Magna Mater) era infatti l’appellativo che gli antichi romani davano
a Cibele, la dea della natura.
Può esserci una relazione fra Cibele e la Madonna ?
Alfonso compulsò un po’ di siti e … ecco !!!
Questa è la statua di Cibele, risalente al I secolo a.C. e rinvenuta a Formia
E questa è la statua della Fede, realizzata nel 1828 da Alfredo Chelli, collocata alla base della
scalinata della Gran Madre di Dio
Non si nota una certa somiglianza ?
Cosa dedurne ?
Alfonso non ne era sicuro.
Certo si poteva ricamare su questa somiglianza, tanto più che la chiesa di Torino era stata oggetto di
molte interpretazioni esoteriche.
Ma comunque questo non spiegava perché proprio sulla scalinata della chiesa erano stati presentati
quelle brevi poesie, i landai.
Certo, sarebbe probabilmente bastata una telefonata ad una delle organizzatrici dell’evento.
Non sarebbe però stata un’azione degna dell’impegno.
E quindi Alfonso continuò le sue ricerche … finché …
Finché non trovò la soluzione.
La svolta fu determinata dalla scoperta dell’esistenza di un piatto in argento raffigurante Cibele,
ritrovato ad Ai-Khanum. in Afghanistan.
E quindi:
a) alla base della scalinata della Gran Madre di Dio c’è una statua rappresentante la Fede
b) la statua ha una certa somiglianza con un’antica statua romana raffigurante Cibele (la Magna
Mater)
c) in Afghanistan è stato ritrovato un piatto raffigurante Cibele
d) è dunque logico che landi che parlano dell’Afghanistan siano stati recitati su una scalinata ai piedi
della quale c’è una statua che somiglia ad un’altra statua raffigurante Cibele, la Magna Mater ritratta
su un piatto ritrovato in Afghanistan
Certo, era una bella fantasticheria, ma probabilmente Lucia avrebbe apprezzato.
3. FUTURA
Lucia aveva apprezzato.
Però voleva parlare d’altro.
E che altro !
“Allora Alfonso che facciamo ?”
“In che senso ?”
“Nel senso che se vogliamo vivere insieme uno di noi due si deve trasferire”
La giornata era splendida.
Un sole primaverile, quasi estivo, filtrato dalle foglie di vite della pergola, garantiva una piacevole
temperatura.
Il pranzo era stato ottimo.
Insomma uno splendido “presente”.
E adesso, come un fulmine a ciel sereno (era proprio il caso di dirlo !), la necessità di decidere il
futuro.
Ma lo si poteva fare così ? Col prendere una decisione così importante nello spazio temporale
necessario a finire la sigaretta ?
Ovvio che lo doveva fare, che doveva rispondere.
Doveva dimostrarsi all’altezza.
Non poteva essere uno di quelli che, come diceva Madonna nella sua canzone “Future”, non stanno
venendo nel futuro”
Not everyone is coming to the future
Not everyone is learning from the past
Not everyone can come into the future
Alfonso spense la sigaretta e, accompagnando le parole con uno sguardo intenso, disse:
“Io avrei pensato ad un’altra possibilità”
“E cioè ?”
“ A trasferirci tutti e due.”
Lucia spalancò i suoi grandi occhi viola, e:
“Scusa, che vuoi dire ?”
“Ecco …” riprese Alfonso, aggrappandosi ancora alla canzone di Madonna “dobbiamo imparare dal
passato. Ci siamo detti più volte che non siamo proprio entusiasti dei nostri impieghi. Perché allora
non li molliamo e non cerchiamo migliori opportunità da qualche altra parte ?”
Lucia si abbandonò sullo schienale della poltroncina, incrociò le mani (segno di un prossimo attacco
verbale) e disse:
“Un’ottima idea. Solo che ci vorrà un po’ di tempo per realizzarla. E nel frattempo ?”
“Beh, nel frattempo potresti chiedere di essere distaccata qui a Firenze. Del resto stai già collaborando
con la sezione di Firenze dell’INFN per quanto riguarda le tecniche nucleari per i beni culturali. Per
me, trasferirmi a Frascati, o a Roma, sarebbe più complicato.”
“E perché ?”
“Perché la Logistoscana non ha una sede nell’area romana”
“Ma ci sono tante altre società di logistica”
“Certo. Ma questo significherebbe cambiare impiego. E allora torniamo alla mia ipotesi di cambiare
lavoro.”
“Giusto. Ma ho un sorpresa per te. L’INFN di Roma sta cercando un responsabile per la gestione
degli appalti, dei trasporti e della gestione dei rifiuti. Una posizione dirigenziale. Ma hanno una certa
urgenza …”
Altro che fulmine a ciel sereno. questo era un tornado, un ciclone.
“E’ una proposta molto interessante. Appena rientriamo andrò sul sito dell’INFN a guardare il bando
di concorso.”
Due ore più tardi. Nell’appartamento di Alfonso.
Lucia stava trafficando al computer.
Alfonso, stravaccato sul divano, fumando l’ennesima sigaretta, stava fissando la riproduzione del
busto di Giano conservato nei Musei Vaticani.
Si ricordava di aver letto che il nome “Giano” derivava dal vocabolo latino ianua (porta) che a sua
volta deriverebbe dalla radice indoeuropea y-aa con il significato di "passaggio".
E quindi un passaggio dal passato al futuro.
E il presente ?
Il presente non ha un significato, è solo un attimo fuggente.
Ma cos’è il tempo (passato, presente e futuro) ? Solo una pura intuizione come diceva Kant ?
Oppure una componente dello spaziotemporale della fisica moderna ?
Ma che ne sapeva della fisica moderna ?
Argomento delicato … guai a parlarne con Lucia !
Comunque, Kant o non Kant, Einstein o non Eistein, Madonna o non Madonna, adesso doveva
decidere se andare avanti sull’idea di Lucia e concorrere per quel posto dirigenziale all’INFN di
Frascati.
Ma perché le donne (Lucia in primis) erano sempre un passo avanti quando si trattava di affrontare
un problema concreto ?
4. ALDOBRANDINI
Alfonso si affacciò alla finestra di Palazzo Aldobrandini dove aveva sede la Logistoscana.
Ai suoi piedi Piazza Madonna affollata come al solito di turisti.
In realtà il nome completo era piazza Madonna degli Aldobrandini, così chiamata perché intitolata a
“madonna” Giovanna Altoviti, la moglie del mercante Benci Aldobrandini.
Anche se ormai aveva deciso di seguire l’indicazione di Lucia e di concorrere per un posto di dirigente
all’INFN di Frascati non si sentiva particolarmente entusiasta.
Certo, Frascati (la sede dell’INFN dove lavorava Lucia) e i Castelli Romani in genere, non erano
male.
E neppure Roma era da disprezzare. Specialmente la domenica mattina alle 8.00, quando i romani e
i turisti ancora dormono.
Però era sicuro che gli sarebbe mancato questa sede del suo attuale ufficio.
Non tanto per l’affaccio sulla Piazza Madonna e sull’imponente struttura delle Cappelle Medicee, ma
per quella parte di storia fiorentina che si era materializzata nel Palazzo Aldobrandini, dove talvolta
si sentiva quasi un lontano erede di quella famiglia di commercianti e finanziari che si era affermata
a Firenze nel XIV secolo.
Però doveva essere obbiettivo. Gli Aldobrandini avevano raggiunto il loro apice a Roma, fra la fine
del XVI e il XVII secolo, quando Ippolito Aldobrandini fu eletto papa (col nome di Clemente VIII)
e suo nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini fece costruire Villa Aldobrandini, dove raccolse
un’imponente collezione di opere d’arte prodotte da maestri come Correggio, Giorgione, Leonardo
da Vinci, Mantegna, Tintoretto, Tiziano, ecc.
Tra le tante opere che adornavano le sale della Villa c’era anche “La Madonna degli Aldobrandini”
di Raffaello Sanzio.
Un quadro che forse aveva ispirato la poesia intitolata “Madonna di Rafaello da Urbino” presente
nella raccolta “Poesie varie” di Giovan Battista Marino
Quando a ritrar l’angel terrestre intese
l’angelica beltá, gli atti divini,
di celesti colori e peregrini
scelse le tempre e ’n ciel volando ascese.
E non era un caso che una riproduzione di questo quadro facesse bella mostra di sé nel locale
d’ingresso della sede di Logistoscana..
Ma il vero problema per Alfonso era un altro: non sopportava il dialetto romano.
Non sopportava che i suoi conoscenti romani lo chiamassero “Alfò !”, che dicessero “Aridaje”, “Nun
se po’ fa’”, ecc., ecc.
Non era però un granché come argomento. A Frascati, all’INFN, magari avrebbe dovuto sopportare,
più che il romanesco, l’inglese un po’ maccheronico degli scienziati non di lingua inglese o quello
sguaiato degli statunitensi.
E poi, diciamo la verità, anche se la bistecca alla fiorentina e la ribollita sono piatti insuperabili, a
saper scegliere anche a Roma si poteva mangiar molto bene e (doveva riconoscerlo) con una varietà
molto più ampia.
Era giusto ora di pranzo. Alfonso scese in piazza Madonna e percorse i cento metri che lo separavano
dal Mercato Centrale dove si concesse un panino ripieno al lampredotto e un mezzo calice di Rosso
di Montalcino.
Una piccola deviazione in Via del Melarancio per un caffè, da prendere seduto ad uno dei minuscoli
tavolini sistemati dal proprietario del bar, sempre che ne trovasse uno libero.
Lo trovò. Meno male ! In ufficio non si poteva fumare. Solo qui, all’aperto, poteva ancora alternare
un sorso di caffè con le tirate dalla sigaretta.
All’INFN di Frascati avrebbe avuto problemi ?
I laboratori erano circondati da larghi spazi aperti. Ma con le sempre crescenti restrizioni anche per
il fumare all’aperto … chissà.
La cosa migliore da fare sarebbe quella di smettere di fumare. E magari di ridurre il consumo di
whisky. E magari di fare un po’ più di moto.
La cosa migliore è di tornare in ufficio e mettersi a lavorare.
Mentre girava l’angolo sentì uno stridio di freni e subito dopo:
“Madonna bona !”
Una prosperosa turista (forse una tedesca) era schiacciata contro il muro con la faccia terrorizzata e
la borsa di cuoio appena acquistata in Piazza S. Lorenzo stretta fra le mani incrociate all’altezza del
petto.
Di fronte un giovane a bordo di una moto messa di traverso che, rivolto alla turista, urlò:.
“Ma che cavolo, poteva finir sotto, Madonna bona”
Poi diede gas e si allontanò. E la turista corse via spaventata.
… Madonna bona … una tipica irriverente esclamazione toscana.
… Bona … che in genere, se rivolto ad una donna, significava prosperosa, appetibile, stravolgendo il
significato dell’originale vocabolo italiano “buona”.
Una parola che aveva indotto Alfredo a dare una duplice interpretazione di una delle “Facezie” di
Leonardo da Vinci
Se cioè interpretarla come la mancata conoscenza di una donna buona e gentile o di una donna
prosperosa.
Raggiunto l’ingresso della Logistoscana dette uno sguardo malizioso alla riproduzione di Raffaello:
“Direi una Madonna buona .”
5. ALTEMPS
Una e-mail da Lucia:
“Ciao tesoro, ho trovato un bell’appartamento al terzo (e ultimo) piano di un palazzetto a meno di un
km dall’INFN. 100 mq. Stile conventuale come piace a te (corridoio centrale e stanze da un lato e
l’altro). Buone condizioni. Impianto condizionamento/riscaldamento autonomo. Anche un bel
terrazzo da cui si vede Villa Mondragone. Domani andiamo a vederlo ok ? Bacio. Lucia”
Non male si disse Alfonso. Ma il prezzo ?
E-mail a Lucia:
“E il prezzo ?”
Risposta:
“1200/mese trattabili + spese condominio”
E allora:
“Ok, a domani”
Villa Mondragone … la conosceva.
Adesso era la sede di rappresentanza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ma della sua
esistenza Alfonso era venuto a conoscenza quando aveva cominciato ad interessarsi del manoscritto
Voynich.
Non ricordava più come il tutto fosse iniziato, ma dopo aver scoperto che era un codice illustrato del
XV secolo, scritto in una scrittura indecifrabile e con strane immagini di piante e figure femminili
collegate da vasi comunicanti, tanto da essere definito il libro più misterioso del mondo, non aveva
resistito alla tentazione di provare a decifrarlo, tanto che se ne era fatto mandare una copia
dall’Università di Yale dove era conservato.
Risultato ovviamente (per il momento) fallito.
Aveva però appreso che il manoscritto era chiamato così perché era stato acquistato nel 1912 da
Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari, dal collegio gesuita che dal 1896 aveva sede proprio a
Villa Mondragone.
Aveva anche scoperto che quel manoscritto proveniva dal Collegio Romano dei gesuiti e che quindi
Villa Mondragone era stata solo una sede transitoria del manoscritto.
Ma era proprio così ?
A quel tempo Alfonso, ormai trascinato da una ricerca pseudostoricomisteriosa, era andato a spulciare
la storia di Villa Mondragone, trovando che il periodo di splendore della villa risaliva al XVI secolo,
quando la villa era proprietà del cardinale Marco Sittico Altemps e dove spesso si recava papa
Clemente VIII Aldobrandini (la stessa famiglia proprietaria del palazzo dove Alfonso lavorava !).
Altemps ? Quello di Palazzo Altemps vicino a Piazza Navona ? Sì.
Uno strano personaggio.
Un grande guerriero e poi cardinale.
Come viene descritto nelle “Poesie volgari” di Monsignor Antonio Querenghi
Alfonso pensava che il grande guerriero, una volta assaporati i piaceri di Roma, si sarebbe stato
facilmente convincere a lasciare le armi per ottenere una porpora cardinalizia (del resto sua madre
era Chiara Medici, sorella del papa Pio IV) che gli avrebbe garantito una tranquilla e sontuosa
esistenza, tanto da ottenere che la Madonna della Clemenza, una preziosa e venerata icona del VII-
VIII secolo, fosse custodita nella cappella Altemps in S. Maria in Trastevere.
Comunque, tornando al concreto, la proposta di Lucia suonava bene.
Anche se …
Anche se, dovendo trasferirsi sui castelli Romani, perché non cercare invece (magari con calma, in
una più lunga prospettiva) una villetta con un bel giardino e con uno spazio per ricavarci un piccolo
orto ?
Alfonso stava maturando questa idea da un po’ di mesi, da quando il suo amico Gianfranco lo aveva
invitato nella sua villetta con giardino e orto dalle parti di Pontassieve.
Naturalmente avrebbe fatto un orto sopraelevato, cioè un po’ di cassoni fatti con cortecce d’albero e
riempiti di terra in modo da avere il terreno da coltivare rialzato di circa un metro, perché, come dice
l’antico detto contadino: “la terra è bassa”.
6. FIORI E SASSI
Il trasloco era stato completato.
Trasloco per modo di dire, perché in realtà né Lucia né Alfonso avevano molto da recuperare dai
piccoli appartamenti in affitto dove vivevano, rispettivamente a Frascati e a Firenze.
Ed era stata completata anche la sistemazione dei nuovi arredi appena acquistato. Che poi, anche
quelli, erano ridotti all’essenziale perché, come aveva suggerito (diciamo imposto) Lucia: “Prima
bisogna fare l’occhio alla casa e poi man mano comprare quello che serve, dopo aver studiato bene
cosa serve, come deve essere, e dove metterlo.”
“E magari quanto costa” aveva aggiunto Alfonso.
In attesa di una futura casa con orto e giardino, avevano concordato che comunque qualche vasetto
di fiori ed altre piante ci sarebbe stato bene.
Fuori, sul terrazzo. Ma anche dentro: magari qualche pianta sempreverde.
Era sabato. Avevano tutta la giornata a disposizione.
Quindi la giornata giusta per andare dal vivaista a scegliere le piante.
Il vivaio era vicino al Santuario della Madonna del Tufo a Rocca di Papa.
“La sai la storia del sasso ?” chiede Lucia
“No” rispose Alfonso
“Ma sei mai entrato nel Santuario ?”
“No”
“Allora andiamo, che poi ti spiego”
Entrati nella chiesa, Lucia lo condusse direttamente là dove era conservato un grande masso di tufo
con sopra un affresco.
“Allora” disse Lucia “ Questo sasso, di 15 tonnellate, si staccò dal Monte Cavo nel 1490 e stava per
investire un viandante che, accortosi dell’evento, pregò la Madonna di salvarlo: e il sasso
miracolosamente si arrestò in aria facendolo passare incolume. Il viandante, per riconoscenza, fece
erigere una piccola cappella nella quale venne collocato il sasso, abbellito da un dipinto di Antoniazzo
Romano, un pittore seguace di Gozzoli, Piero della Francesca e Ghirlandaio.”
Appena usciti Alfredo commentò:
“Peccato. Credevo che la Madonna del tufo fosse una specie di santa protettrice dei lavoratori delle
cave. E invece è solo una leggenda. Ma non importa. Andiamo al vivaio, dai”
Nel giro di una mezz’ora avevano già concordato l’acquisto delle piantine di odori necessari per la
cucina: prezzemolo, basilico, salvia, timo, rosmarino e origano. E anche un alberello di alloro e uno
di limoni.
Avevano anche deciso i fiori da mettere sul balcone (roselline, gerani, petunie, fucsie, ecc.) e anche
un ficus benjamin per la sala.
.
Ma, dirigendosi alla cassa, Lucia rimase incantata da una splendida orchidea (sull’etichetta era
riportato il nome scientifico: Cypripedium calceolus).
E naturalmente l’orchidea si aggiunse al già cospicuo carrello.
Arrivati a casa, ormai era ora di pranzo, sistemarono gli acquisti sul terrazzo (sarebbe stato un
pomeriggio faticoso !). Poi Lucia si diresse di corsa al suo tablet (aspettava alcuni files dal CERN di
Ginevra) dicendo ad Alfonso:
“Pensi tu a preparare uno dei tuoi pranzetti sfiziosi con gli avanzi che ci sono in frigo ?”
Alfonso aprì il frigorifero, passò in rassegna tutto quello che c’era e alla fine tirò fuori due fette di
prosciutto di crudo di montagna, un pezzetto di provola affumicata e limone.
Dopo aver messo a cuocere due etti di rigatoni trafilati al bronzo, fece insaporire in un tegame il
prosciutto tagliato a striscioline in una noce di burro e quindi grattugiò la provola affumicata e la
buccia del limone.
Scolata la pasta al dente la versò nel tegame con la provola, la buccia di limone, un po’ di panna e
fece mantecare. E, prima di portare in tavola, una spruzzata di pepe nero.
Lucia apprezzò molto.
Finito il pranzo, preso il caffè, adesso c’era da lavorare-
Per prima cosa Lucia sistemò l’orchidea sul tavolinetto vicino alla finestra in modo da garantirle la
luce solare.
“Scusa, ma il fiorista come ha detto che si chiama questa orchidea ?” chiese Alfonso
“Si chiama Scarpetta di Venere, ma c’è anche chi la chiama Pianella della Madonna.”
“E cosa sarebbe la pianella ?”
“Una specie di ciabatta da donna”
“Mi sembra giusto. L’umile Madonna in ciabatte e la splendida Afrodite con eleganti calzature,
magari col tacco alto. Comunque non mi sembra che l’orchidea abbia un aspetto ricollegabile a una
scarpa.”
“Se sei così curioso, cerca sul tablet, visto che sei così bravo a fare ricerche”
“Ok lo faccio”
E, dopo 2 minuti e 37 secondi:
“Ecco qua. La spiegazione sta nel nome scientifico “Cypripedium”: Cipride è il soprannome di
Venere e, in greco antico, “pedilion” significa calzatura. E, secondo chi ha scritto su Wikipedia , il
labello, cioè la parte più significativa del fiore di orchidea, ha la forma di una scarpa.”
“Contento ? E adesso andiamo a sistemare le piante sul terrazzo”
Non ci volle poi molto. In un’ora avevano riempito i vasi di terriccio, sistemate le piante nei vasi, e
anche deciso quali vasi mettere dove. Poi una prima bella annaffiatura..
Ma Alfonso non era contento della spiegazione sull’etimologia dell’orchidea. Una calzatura ?
Nuove ricerche.
Tante notizie sulla presunta origine, sui luoghi attuali di produzione, sul come coltivarla.
E poi anche due versi di Emily Dickinson:
Per chi serba il cuore di un’orchidea
le paludi sono rosa a giugno.
Acc. E che volevano dire ?
“Lucia !!!”
“Che c’è ?”
“Mi spieghi cosa vogliono dire questi versi ?”
“Fammi vedere … com’è l’originale ?”
“”Questo: To him who keeps an Orchis' heart − The swamps are pink with June”
“Mmm … non ne ho idea. Ma perché non la smetti di perder tempo dietro a queste cavolate ?”
“Hai ragione. Abbiamo di meglio da fare.”
“E cioè ?”
“Perché non andiamo a letto ?”
7. PULVIS ES
Non erano venuti in tanti. E ad Alfonso andava bene così.
E anche a Lucia, ne era sicuro, sarebbe andato bene così.
Una cerimonia semplice, asciutta, laica, al Cimitero acattolico di Roma, vicino alla Piramide Cestia,
con le amiche e gli amici di sempre, prima di consumare il tutto al crematorio del Cimitero Flaminio.
Doveva dire qualcosa.
E allora disse:
“C’è una cosa che devo a Lucia: dirvi che sono quello che sono, perché Lucia mi ha aiutato ad esserlo,
nel bene, non nel male. Certo, abbiamo discusso, litigato, ma ci siamo, prima ancora forse che amati,
ascoltati. Non abbiamo rinunciato ad accusarci, nelle piccole e nelle grandi cose, di sbagliare: ma poi
abbiamo provato e siamo riusciti, grazie soprattutto a lei, a trovare un accordo. Ovvio che mi
mancherà, come credo mancherà anche a voi. Un incidente stradale ce l’ha portata via. Ma non ci ha
portato via, non ci porterà via il ricordo e la riconoscenza di quello che ha fatto. In queste occasioni
si ricordano spesso le parole della Genesi “pulvis es, et in pulverem reverteris”. Ma non sono parole
vere, perché tra la nascita e la fine c’è una vita vissuta. C’è la nostra, mia e di Lucia, vita vissuta. E
adesso c’è ancora altro da fare, almeno per me: vivere all’altezza delle aspirazioni che ho condiviso
con Lucia.”
Più tardi, nella irreale solitudine della casa, chissà perché gli tornarono in mente le riflessioni che
aveva sviluppato sulla Crocifissione di Masaccio, quella di Capodimonte.
Ma lì era la Madonna che si poneva rabbiosa di fronte alla tragedia.
Mentre lui, Alfonso, compagno e non madre, come sentirsi ?
Forse come il San Giovanni nella “Crocifissione del Polittico della Misericordia” di Piero della
Francesca ?
Sì, forse sì.
Sconvolto dall’evento, ma pronto ad accettare quello che poi sarebbe venuto.
Certo, non la resurrezione di Lucia. Ma certamente il germoglio di quanto aveva seminato.

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  • 2. 1. STABAT MATER Alfredo c’era già stato molti anni fa in gita scolastica. Ma erano i tempi del liceo. E anche se era un liceo classico (e quindi si studiava anche storia dell’arte) i suoi compagni (e anche lui stesso) più che alle meraviglie artistiche di Napoli erano interessati essenzialmente a due cose: fare un po’ di caciara e coltivare gli amorazzi con le compagne. Però aveva ancora un vago ricordo della visita al Museo di Capodimonte. Adesso, di fronte alla Crocifissione di Masaccio (che, ormai lo sapeva, era solo la parte centrale dello smembrato Polittico di Pisa), il ricordo si fece più nitido e si rammentò come gli fosse rimasto impresso lo squillante rosso della veste della Maddalena. Già prima di entrare al Museo aveva deciso di dedicare un po’ di tempo a quella tempera. Perché ? Perché due sere prima aveva ascoltato ancora una volta lo Stabat Mater di Rossini diretto da Riccardo Muti. La musica di Rossini era stupenda. Ma forse non avrebbe potuto esserla così tanto se non si fosse giovata dell’icastico testo attribuito a Jacopone da Todi.
  • 3. Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Fílius. Una sequenza, una composizione poetica prevista dalla liturgia.cattolica, che aveva ispirato decine di musicisti famosi, da Palestrina a Pergolesi, da Haydn a Dvorak, da Puolenc a Piovani. Una sequenza completamente centrata sulla figura della Madonna. Per questo, di fronte all’opera di Masaccio, provò ad eliminare dalla visione il Cristo, la Maddalena e San Giovanni e a concentrarsi sulla Madonna. E gli apparve chiaro che il Masaccio, a differenza dello Stabat Mater di Jacopone da Todi, non immaginava una madre dolente e piangente, ma, come si poteva dedurre da quella bocca semiaperta quasi digrignante e da quelle mani strette a pugno, quasi avvinghiate, aveva tratteggiato una madre quasi sconvolta da una rabbiosa incredulità. “Se è giusta la mia interpretazione” si disse Alfredo “potrei quasi sostenere che la Madonna di Masaccio è un archetipo della sofferenza rabbiosa di quelle madri che hanno visto e vedono i loro figli arrestati, imprigionati, torturati, uccisi, perché portatori di idee rivoluzionarie.” Perché questa interpretazione quasi rabbiosa di Masaccio ? In fondo, nei suoi brevi anni di vita (morì nel 1428 a 27 anni) non doveva aver avuto moltissime occasioni di confrontarsi con grandi tragedie. Qualche episodio familiare o amicale ? Non potremo mai saperlo. Forse non era un caso che questa Crocifissione, con una Madonna ferocemente sgomenta, avesse trovato la sua collocazione a Napoli. A Napoli, con il suo Rione Sanità collocato ai piedi di Capodimonte, dove vivevano quelle madri che inveivano contro i Carabinieri che si portavano via i figli mafiosi. A Napoli, dove le madri dei figli assassinati dai sicari delle bande rivali sentivano il cuore come trafitto da una spada, come la Mater di Jacopone da Todi:
  • 4. Cuius ánimam geméntem, contristátam et doléntem pertransívit gládius. Magari doveva parlarne con Lucia.
  • 5. 2. GRAN MADRE Ma Lucia aveva altro di cui parlare. Il 14 settembre 2019 sulla scalinata della Gran Madre di Dio a Torino era stata presentata una raccolta di poesie brevi per la libertà delle donne. Poesie brevi, anzi brevissime, che nella lingua pashtun dell’Afghanistan sono chiamate “landai” (serpentelli velenosi), ispirate dal ricordo della decapitazione nel 2012 di Mah Gul, una donna afghana di 20 anni, condannata perché aveva rifiutato di prostituirsi come voleva il marito. Come il landai di Benedetta Iandolo: Per un attimo ho visto il cielo, eri tu madre mentre lui mi divorava la carne... il tuo silenzio mi ha uccisa che richiama un testo di Noorjahan Akbar, l’attivista afghana per i diritti delle donne, dove dice “Quando Mah Gul è stata decapitata sua madre ha sorriso, perché sua figlia era, alla fine, libera.” E Lucia si era posta un problema. Perché una presentazione proprio sulla scalinata della Gran Madre Madre di Dio ? Lucia non lo sapeva. “Va bene” le disse Alfonso “provo ad indagare” Si era preso un impegno. E gli impegni vanno mantenuti, specialmente quelli con Lucia. Punto di partenza: il nome della chiesa. Non sono molte, anzi sono pochissime in tutto il mondo, le chiese intitolate alla “Gran Madre di Dio”.
  • 6. In effetti “Gran Madre di Dio” è un appellativo un po’ pomposo, poco adatto alla Madonna. E che sa anche di pagano. Grande Madre (Magna Mater) era infatti l’appellativo che gli antichi romani davano a Cibele, la dea della natura. Può esserci una relazione fra Cibele e la Madonna ? Alfonso compulsò un po’ di siti e … ecco !!! Questa è la statua di Cibele, risalente al I secolo a.C. e rinvenuta a Formia E questa è la statua della Fede, realizzata nel 1828 da Alfredo Chelli, collocata alla base della scalinata della Gran Madre di Dio Non si nota una certa somiglianza ?
  • 7. Cosa dedurne ? Alfonso non ne era sicuro. Certo si poteva ricamare su questa somiglianza, tanto più che la chiesa di Torino era stata oggetto di molte interpretazioni esoteriche. Ma comunque questo non spiegava perché proprio sulla scalinata della chiesa erano stati presentati quelle brevi poesie, i landai. Certo, sarebbe probabilmente bastata una telefonata ad una delle organizzatrici dell’evento. Non sarebbe però stata un’azione degna dell’impegno. E quindi Alfonso continuò le sue ricerche … finché … Finché non trovò la soluzione. La svolta fu determinata dalla scoperta dell’esistenza di un piatto in argento raffigurante Cibele, ritrovato ad Ai-Khanum. in Afghanistan. E quindi: a) alla base della scalinata della Gran Madre di Dio c’è una statua rappresentante la Fede b) la statua ha una certa somiglianza con un’antica statua romana raffigurante Cibele (la Magna Mater) c) in Afghanistan è stato ritrovato un piatto raffigurante Cibele d) è dunque logico che landi che parlano dell’Afghanistan siano stati recitati su una scalinata ai piedi della quale c’è una statua che somiglia ad un’altra statua raffigurante Cibele, la Magna Mater ritratta su un piatto ritrovato in Afghanistan Certo, era una bella fantasticheria, ma probabilmente Lucia avrebbe apprezzato.
  • 8. 3. FUTURA Lucia aveva apprezzato. Però voleva parlare d’altro. E che altro ! “Allora Alfonso che facciamo ?” “In che senso ?” “Nel senso che se vogliamo vivere insieme uno di noi due si deve trasferire” La giornata era splendida. Un sole primaverile, quasi estivo, filtrato dalle foglie di vite della pergola, garantiva una piacevole temperatura. Il pranzo era stato ottimo. Insomma uno splendido “presente”. E adesso, come un fulmine a ciel sereno (era proprio il caso di dirlo !), la necessità di decidere il futuro. Ma lo si poteva fare così ? Col prendere una decisione così importante nello spazio temporale necessario a finire la sigaretta ? Ovvio che lo doveva fare, che doveva rispondere. Doveva dimostrarsi all’altezza. Non poteva essere uno di quelli che, come diceva Madonna nella sua canzone “Future”, non stanno venendo nel futuro” Not everyone is coming to the future Not everyone is learning from the past Not everyone can come into the future
  • 9. Alfonso spense la sigaretta e, accompagnando le parole con uno sguardo intenso, disse: “Io avrei pensato ad un’altra possibilità” “E cioè ?” “ A trasferirci tutti e due.” Lucia spalancò i suoi grandi occhi viola, e: “Scusa, che vuoi dire ?” “Ecco …” riprese Alfonso, aggrappandosi ancora alla canzone di Madonna “dobbiamo imparare dal passato. Ci siamo detti più volte che non siamo proprio entusiasti dei nostri impieghi. Perché allora non li molliamo e non cerchiamo migliori opportunità da qualche altra parte ?” Lucia si abbandonò sullo schienale della poltroncina, incrociò le mani (segno di un prossimo attacco verbale) e disse: “Un’ottima idea. Solo che ci vorrà un po’ di tempo per realizzarla. E nel frattempo ?” “Beh, nel frattempo potresti chiedere di essere distaccata qui a Firenze. Del resto stai già collaborando con la sezione di Firenze dell’INFN per quanto riguarda le tecniche nucleari per i beni culturali. Per me, trasferirmi a Frascati, o a Roma, sarebbe più complicato.” “E perché ?” “Perché la Logistoscana non ha una sede nell’area romana” “Ma ci sono tante altre società di logistica” “Certo. Ma questo significherebbe cambiare impiego. E allora torniamo alla mia ipotesi di cambiare lavoro.” “Giusto. Ma ho un sorpresa per te. L’INFN di Roma sta cercando un responsabile per la gestione degli appalti, dei trasporti e della gestione dei rifiuti. Una posizione dirigenziale. Ma hanno una certa urgenza …” Altro che fulmine a ciel sereno. questo era un tornado, un ciclone. “E’ una proposta molto interessante. Appena rientriamo andrò sul sito dell’INFN a guardare il bando di concorso.” Due ore più tardi. Nell’appartamento di Alfonso. Lucia stava trafficando al computer. Alfonso, stravaccato sul divano, fumando l’ennesima sigaretta, stava fissando la riproduzione del busto di Giano conservato nei Musei Vaticani. Si ricordava di aver letto che il nome “Giano” derivava dal vocabolo latino ianua (porta) che a sua volta deriverebbe dalla radice indoeuropea y-aa con il significato di "passaggio". E quindi un passaggio dal passato al futuro.
  • 10. E il presente ? Il presente non ha un significato, è solo un attimo fuggente. Ma cos’è il tempo (passato, presente e futuro) ? Solo una pura intuizione come diceva Kant ? Oppure una componente dello spaziotemporale della fisica moderna ? Ma che ne sapeva della fisica moderna ? Argomento delicato … guai a parlarne con Lucia ! Comunque, Kant o non Kant, Einstein o non Eistein, Madonna o non Madonna, adesso doveva decidere se andare avanti sull’idea di Lucia e concorrere per quel posto dirigenziale all’INFN di Frascati. Ma perché le donne (Lucia in primis) erano sempre un passo avanti quando si trattava di affrontare un problema concreto ?
  • 11. 4. ALDOBRANDINI Alfonso si affacciò alla finestra di Palazzo Aldobrandini dove aveva sede la Logistoscana. Ai suoi piedi Piazza Madonna affollata come al solito di turisti. In realtà il nome completo era piazza Madonna degli Aldobrandini, così chiamata perché intitolata a “madonna” Giovanna Altoviti, la moglie del mercante Benci Aldobrandini. Anche se ormai aveva deciso di seguire l’indicazione di Lucia e di concorrere per un posto di dirigente all’INFN di Frascati non si sentiva particolarmente entusiasta. Certo, Frascati (la sede dell’INFN dove lavorava Lucia) e i Castelli Romani in genere, non erano male. E neppure Roma era da disprezzare. Specialmente la domenica mattina alle 8.00, quando i romani e i turisti ancora dormono. Però era sicuro che gli sarebbe mancato questa sede del suo attuale ufficio. Non tanto per l’affaccio sulla Piazza Madonna e sull’imponente struttura delle Cappelle Medicee, ma per quella parte di storia fiorentina che si era materializzata nel Palazzo Aldobrandini, dove talvolta si sentiva quasi un lontano erede di quella famiglia di commercianti e finanziari che si era affermata a Firenze nel XIV secolo. Però doveva essere obbiettivo. Gli Aldobrandini avevano raggiunto il loro apice a Roma, fra la fine del XVI e il XVII secolo, quando Ippolito Aldobrandini fu eletto papa (col nome di Clemente VIII) e suo nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini fece costruire Villa Aldobrandini, dove raccolse un’imponente collezione di opere d’arte prodotte da maestri come Correggio, Giorgione, Leonardo da Vinci, Mantegna, Tintoretto, Tiziano, ecc. Tra le tante opere che adornavano le sale della Villa c’era anche “La Madonna degli Aldobrandini” di Raffaello Sanzio.
  • 12. Un quadro che forse aveva ispirato la poesia intitolata “Madonna di Rafaello da Urbino” presente nella raccolta “Poesie varie” di Giovan Battista Marino Quando a ritrar l’angel terrestre intese l’angelica beltá, gli atti divini, di celesti colori e peregrini scelse le tempre e ’n ciel volando ascese. E non era un caso che una riproduzione di questo quadro facesse bella mostra di sé nel locale d’ingresso della sede di Logistoscana.. Ma il vero problema per Alfonso era un altro: non sopportava il dialetto romano. Non sopportava che i suoi conoscenti romani lo chiamassero “Alfò !”, che dicessero “Aridaje”, “Nun se po’ fa’”, ecc., ecc. Non era però un granché come argomento. A Frascati, all’INFN, magari avrebbe dovuto sopportare, più che il romanesco, l’inglese un po’ maccheronico degli scienziati non di lingua inglese o quello sguaiato degli statunitensi. E poi, diciamo la verità, anche se la bistecca alla fiorentina e la ribollita sono piatti insuperabili, a saper scegliere anche a Roma si poteva mangiar molto bene e (doveva riconoscerlo) con una varietà molto più ampia. Era giusto ora di pranzo. Alfonso scese in piazza Madonna e percorse i cento metri che lo separavano dal Mercato Centrale dove si concesse un panino ripieno al lampredotto e un mezzo calice di Rosso di Montalcino. Una piccola deviazione in Via del Melarancio per un caffè, da prendere seduto ad uno dei minuscoli tavolini sistemati dal proprietario del bar, sempre che ne trovasse uno libero. Lo trovò. Meno male ! In ufficio non si poteva fumare. Solo qui, all’aperto, poteva ancora alternare un sorso di caffè con le tirate dalla sigaretta. All’INFN di Frascati avrebbe avuto problemi ? I laboratori erano circondati da larghi spazi aperti. Ma con le sempre crescenti restrizioni anche per il fumare all’aperto … chissà.
  • 13. La cosa migliore da fare sarebbe quella di smettere di fumare. E magari di ridurre il consumo di whisky. E magari di fare un po’ più di moto. La cosa migliore è di tornare in ufficio e mettersi a lavorare. Mentre girava l’angolo sentì uno stridio di freni e subito dopo: “Madonna bona !” Una prosperosa turista (forse una tedesca) era schiacciata contro il muro con la faccia terrorizzata e la borsa di cuoio appena acquistata in Piazza S. Lorenzo stretta fra le mani incrociate all’altezza del petto. Di fronte un giovane a bordo di una moto messa di traverso che, rivolto alla turista, urlò:. “Ma che cavolo, poteva finir sotto, Madonna bona” Poi diede gas e si allontanò. E la turista corse via spaventata. … Madonna bona … una tipica irriverente esclamazione toscana. … Bona … che in genere, se rivolto ad una donna, significava prosperosa, appetibile, stravolgendo il significato dell’originale vocabolo italiano “buona”. Una parola che aveva indotto Alfredo a dare una duplice interpretazione di una delle “Facezie” di Leonardo da Vinci Se cioè interpretarla come la mancata conoscenza di una donna buona e gentile o di una donna prosperosa. Raggiunto l’ingresso della Logistoscana dette uno sguardo malizioso alla riproduzione di Raffaello: “Direi una Madonna buona .”
  • 14. 5. ALTEMPS Una e-mail da Lucia: “Ciao tesoro, ho trovato un bell’appartamento al terzo (e ultimo) piano di un palazzetto a meno di un km dall’INFN. 100 mq. Stile conventuale come piace a te (corridoio centrale e stanze da un lato e l’altro). Buone condizioni. Impianto condizionamento/riscaldamento autonomo. Anche un bel terrazzo da cui si vede Villa Mondragone. Domani andiamo a vederlo ok ? Bacio. Lucia” Non male si disse Alfonso. Ma il prezzo ? E-mail a Lucia: “E il prezzo ?” Risposta: “1200/mese trattabili + spese condominio” E allora: “Ok, a domani” Villa Mondragone … la conosceva. Adesso era la sede di rappresentanza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ma della sua esistenza Alfonso era venuto a conoscenza quando aveva cominciato ad interessarsi del manoscritto Voynich. Non ricordava più come il tutto fosse iniziato, ma dopo aver scoperto che era un codice illustrato del XV secolo, scritto in una scrittura indecifrabile e con strane immagini di piante e figure femminili collegate da vasi comunicanti, tanto da essere definito il libro più misterioso del mondo, non aveva resistito alla tentazione di provare a decifrarlo, tanto che se ne era fatto mandare una copia dall’Università di Yale dove era conservato. Risultato ovviamente (per il momento) fallito. Aveva però appreso che il manoscritto era chiamato così perché era stato acquistato nel 1912 da Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari, dal collegio gesuita che dal 1896 aveva sede proprio a Villa Mondragone. Aveva anche scoperto che quel manoscritto proveniva dal Collegio Romano dei gesuiti e che quindi Villa Mondragone era stata solo una sede transitoria del manoscritto. Ma era proprio così ?
  • 15. A quel tempo Alfonso, ormai trascinato da una ricerca pseudostoricomisteriosa, era andato a spulciare la storia di Villa Mondragone, trovando che il periodo di splendore della villa risaliva al XVI secolo, quando la villa era proprietà del cardinale Marco Sittico Altemps e dove spesso si recava papa Clemente VIII Aldobrandini (la stessa famiglia proprietaria del palazzo dove Alfonso lavorava !). Altemps ? Quello di Palazzo Altemps vicino a Piazza Navona ? Sì. Uno strano personaggio. Un grande guerriero e poi cardinale. Come viene descritto nelle “Poesie volgari” di Monsignor Antonio Querenghi Alfonso pensava che il grande guerriero, una volta assaporati i piaceri di Roma, si sarebbe stato facilmente convincere a lasciare le armi per ottenere una porpora cardinalizia (del resto sua madre era Chiara Medici, sorella del papa Pio IV) che gli avrebbe garantito una tranquilla e sontuosa esistenza, tanto da ottenere che la Madonna della Clemenza, una preziosa e venerata icona del VII- VIII secolo, fosse custodita nella cappella Altemps in S. Maria in Trastevere.
  • 16. Comunque, tornando al concreto, la proposta di Lucia suonava bene. Anche se … Anche se, dovendo trasferirsi sui castelli Romani, perché non cercare invece (magari con calma, in una più lunga prospettiva) una villetta con un bel giardino e con uno spazio per ricavarci un piccolo orto ? Alfonso stava maturando questa idea da un po’ di mesi, da quando il suo amico Gianfranco lo aveva invitato nella sua villetta con giardino e orto dalle parti di Pontassieve. Naturalmente avrebbe fatto un orto sopraelevato, cioè un po’ di cassoni fatti con cortecce d’albero e riempiti di terra in modo da avere il terreno da coltivare rialzato di circa un metro, perché, come dice l’antico detto contadino: “la terra è bassa”.
  • 17. 6. FIORI E SASSI Il trasloco era stato completato. Trasloco per modo di dire, perché in realtà né Lucia né Alfonso avevano molto da recuperare dai piccoli appartamenti in affitto dove vivevano, rispettivamente a Frascati e a Firenze. Ed era stata completata anche la sistemazione dei nuovi arredi appena acquistato. Che poi, anche quelli, erano ridotti all’essenziale perché, come aveva suggerito (diciamo imposto) Lucia: “Prima bisogna fare l’occhio alla casa e poi man mano comprare quello che serve, dopo aver studiato bene cosa serve, come deve essere, e dove metterlo.” “E magari quanto costa” aveva aggiunto Alfonso. In attesa di una futura casa con orto e giardino, avevano concordato che comunque qualche vasetto di fiori ed altre piante ci sarebbe stato bene. Fuori, sul terrazzo. Ma anche dentro: magari qualche pianta sempreverde. Era sabato. Avevano tutta la giornata a disposizione. Quindi la giornata giusta per andare dal vivaista a scegliere le piante. Il vivaio era vicino al Santuario della Madonna del Tufo a Rocca di Papa. “La sai la storia del sasso ?” chiede Lucia “No” rispose Alfonso “Ma sei mai entrato nel Santuario ?” “No” “Allora andiamo, che poi ti spiego” Entrati nella chiesa, Lucia lo condusse direttamente là dove era conservato un grande masso di tufo con sopra un affresco. “Allora” disse Lucia “ Questo sasso, di 15 tonnellate, si staccò dal Monte Cavo nel 1490 e stava per investire un viandante che, accortosi dell’evento, pregò la Madonna di salvarlo: e il sasso miracolosamente si arrestò in aria facendolo passare incolume. Il viandante, per riconoscenza, fece erigere una piccola cappella nella quale venne collocato il sasso, abbellito da un dipinto di Antoniazzo Romano, un pittore seguace di Gozzoli, Piero della Francesca e Ghirlandaio.” Appena usciti Alfredo commentò:
  • 18. “Peccato. Credevo che la Madonna del tufo fosse una specie di santa protettrice dei lavoratori delle cave. E invece è solo una leggenda. Ma non importa. Andiamo al vivaio, dai” Nel giro di una mezz’ora avevano già concordato l’acquisto delle piantine di odori necessari per la cucina: prezzemolo, basilico, salvia, timo, rosmarino e origano. E anche un alberello di alloro e uno di limoni. Avevano anche deciso i fiori da mettere sul balcone (roselline, gerani, petunie, fucsie, ecc.) e anche un ficus benjamin per la sala. . Ma, dirigendosi alla cassa, Lucia rimase incantata da una splendida orchidea (sull’etichetta era riportato il nome scientifico: Cypripedium calceolus). E naturalmente l’orchidea si aggiunse al già cospicuo carrello. Arrivati a casa, ormai era ora di pranzo, sistemarono gli acquisti sul terrazzo (sarebbe stato un pomeriggio faticoso !). Poi Lucia si diresse di corsa al suo tablet (aspettava alcuni files dal CERN di Ginevra) dicendo ad Alfonso: “Pensi tu a preparare uno dei tuoi pranzetti sfiziosi con gli avanzi che ci sono in frigo ?” Alfonso aprì il frigorifero, passò in rassegna tutto quello che c’era e alla fine tirò fuori due fette di prosciutto di crudo di montagna, un pezzetto di provola affumicata e limone. Dopo aver messo a cuocere due etti di rigatoni trafilati al bronzo, fece insaporire in un tegame il prosciutto tagliato a striscioline in una noce di burro e quindi grattugiò la provola affumicata e la buccia del limone. Scolata la pasta al dente la versò nel tegame con la provola, la buccia di limone, un po’ di panna e fece mantecare. E, prima di portare in tavola, una spruzzata di pepe nero. Lucia apprezzò molto. Finito il pranzo, preso il caffè, adesso c’era da lavorare- Per prima cosa Lucia sistemò l’orchidea sul tavolinetto vicino alla finestra in modo da garantirle la luce solare. “Scusa, ma il fiorista come ha detto che si chiama questa orchidea ?” chiese Alfonso “Si chiama Scarpetta di Venere, ma c’è anche chi la chiama Pianella della Madonna.” “E cosa sarebbe la pianella ?” “Una specie di ciabatta da donna”
  • 19. “Mi sembra giusto. L’umile Madonna in ciabatte e la splendida Afrodite con eleganti calzature, magari col tacco alto. Comunque non mi sembra che l’orchidea abbia un aspetto ricollegabile a una scarpa.” “Se sei così curioso, cerca sul tablet, visto che sei così bravo a fare ricerche” “Ok lo faccio” E, dopo 2 minuti e 37 secondi: “Ecco qua. La spiegazione sta nel nome scientifico “Cypripedium”: Cipride è il soprannome di Venere e, in greco antico, “pedilion” significa calzatura. E, secondo chi ha scritto su Wikipedia , il labello, cioè la parte più significativa del fiore di orchidea, ha la forma di una scarpa.” “Contento ? E adesso andiamo a sistemare le piante sul terrazzo” Non ci volle poi molto. In un’ora avevano riempito i vasi di terriccio, sistemate le piante nei vasi, e anche deciso quali vasi mettere dove. Poi una prima bella annaffiatura.. Ma Alfonso non era contento della spiegazione sull’etimologia dell’orchidea. Una calzatura ? Nuove ricerche. Tante notizie sulla presunta origine, sui luoghi attuali di produzione, sul come coltivarla. E poi anche due versi di Emily Dickinson: Per chi serba il cuore di un’orchidea le paludi sono rosa a giugno. Acc. E che volevano dire ? “Lucia !!!” “Che c’è ?” “Mi spieghi cosa vogliono dire questi versi ?” “Fammi vedere … com’è l’originale ?” “”Questo: To him who keeps an Orchis' heart − The swamps are pink with June” “Mmm … non ne ho idea. Ma perché non la smetti di perder tempo dietro a queste cavolate ?” “Hai ragione. Abbiamo di meglio da fare.” “E cioè ?” “Perché non andiamo a letto ?”
  • 20. 7. PULVIS ES Non erano venuti in tanti. E ad Alfonso andava bene così. E anche a Lucia, ne era sicuro, sarebbe andato bene così. Una cerimonia semplice, asciutta, laica, al Cimitero acattolico di Roma, vicino alla Piramide Cestia, con le amiche e gli amici di sempre, prima di consumare il tutto al crematorio del Cimitero Flaminio. Doveva dire qualcosa. E allora disse: “C’è una cosa che devo a Lucia: dirvi che sono quello che sono, perché Lucia mi ha aiutato ad esserlo, nel bene, non nel male. Certo, abbiamo discusso, litigato, ma ci siamo, prima ancora forse che amati, ascoltati. Non abbiamo rinunciato ad accusarci, nelle piccole e nelle grandi cose, di sbagliare: ma poi abbiamo provato e siamo riusciti, grazie soprattutto a lei, a trovare un accordo. Ovvio che mi mancherà, come credo mancherà anche a voi. Un incidente stradale ce l’ha portata via. Ma non ci ha portato via, non ci porterà via il ricordo e la riconoscenza di quello che ha fatto. In queste occasioni si ricordano spesso le parole della Genesi “pulvis es, et in pulverem reverteris”. Ma non sono parole vere, perché tra la nascita e la fine c’è una vita vissuta. C’è la nostra, mia e di Lucia, vita vissuta. E adesso c’è ancora altro da fare, almeno per me: vivere all’altezza delle aspirazioni che ho condiviso con Lucia.” Più tardi, nella irreale solitudine della casa, chissà perché gli tornarono in mente le riflessioni che aveva sviluppato sulla Crocifissione di Masaccio, quella di Capodimonte. Ma lì era la Madonna che si poneva rabbiosa di fronte alla tragedia. Mentre lui, Alfonso, compagno e non madre, come sentirsi ? Forse come il San Giovanni nella “Crocifissione del Polittico della Misericordia” di Piero della Francesca ?
  • 21. Sì, forse sì. Sconvolto dall’evento, ma pronto ad accettare quello che poi sarebbe venuto. Certo, non la resurrezione di Lucia. Ma certamente il germoglio di quanto aveva seminato.