Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno tra i più importanti autori e poeti di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un grande letterato, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio Zur Farbenlehre (“Della Teoria dei Colori”) [ ] illustra la sua teoria scientifica – o come l’hanno considerata alcuni detrattori “prescientifica” - sui colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo modo di interpretare non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue composizioni letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato però a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa e della sua traslitterazione nel colore. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e etico-morale del colore, e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione, in una “onorevole contesa”, alla visione Newtoniana strettamente scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno fisico. In questa breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della luce e del colore di Newton, facendo notare il grido di protesta contro ciò che Goethe ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e della fisica, nel caso particolare dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione che possiamo certamente definire puramente romantica del fenomeno - che i colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione fenomenologia in quella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore, con una metrica di giudizio che seppure deve generalizzare in forma universale, deve tuttavia conservare quella sfumatura che è l’interpretazione personale.
Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno dei più importanti autori e poeti di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un grande poeta, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio Zur Farbenlehre (“Della Teoria dei Colori”) illustra la sua teoria scientifica sui colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo modo di intendere non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue creazioni letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e morale del colore e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione a una visione Newtoniana strettamente scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno. In questa breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della luce e del colore di Newton, mettendo in luce il grido di protesta contro ciò che Goethe ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione puramente romantica del fenomeno - che i colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione fenomenologia sia nella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore.
Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno dei più importanti autori e poeti di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un grande poeta, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio Zur Farbenlehre (“Della Teoria dei Colori”) illustra la sua teoria scientifica sui colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo modo di intendere non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue creazioni letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e morale del colore e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione a una visione Newtoniana strettamente scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno. In questa breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della luce e del colore di Newton, mettendo in luce il grido di protesta contro ciò che Goethe ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione puramente romantica del fenomeno - che i colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione fenomenologia sia nella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore.
Josef Albers was a German artist born in 1888. He studied to become a teacher in Germany from 1905 to 1908 and taught primary schools from 1908 to 1913. After further art education, he became an art teacher. In 1950, he became head of the Department of Design at Yale University School of Art, holding that position until 1958 when he became a visiting professor until 1960. Some of his notable artworks include Black Circle from 1933 and Study for Homage to the Square from 1954.
Josef Albers was a German abstract painter known for his paintings and prints exploring color and geometric shapes. He was born in 1888 and became an art teacher at the influential Bauhaus Art School in Germany. When the Nazis closed the school, Albers fled to the United States. There he developed his signature style of painting squares of different colors to experiment with how colors interacted and made people feel. Albers painted over 1,000 works in his Homage to the Square series before his death in 1976, making him a pioneer of abstract art.
The Creative Color Wheel is a document about color theory and how colors relate to each other. It shows how primary colors of red, yellow and blue can be mixed to form secondary colors of orange, green and purple. The color wheel is a tool that artists and designers use to understand how to combine and mix colors effectively.
La presentazione della sezione Design al Ninja Camp 2011. Un po' di nozioni base di visual design e di teoria dei colori. Dalla semiotica al campo visivo, dal significato psicologico dei colori al loro abbinamento.
The document discusses the color wheel and how it shows relationships between colors. It explains that the primary colors are red, blue, and yellow, which cannot be made by mixing other colors. Secondary colors like orange, green, and purple are made by mixing two primary colors. Tertiary colors such as red-violet and blue-green are created by mixing a primary color with a secondary color. The color wheel helps artists understand how to mix colors to create new shades.
The document discusses color theory and different aspects of color including:
- The color wheel which shows the primary, secondary, and tertiary colors. Primary colors are red, yellow, and blue.
- Color values which are the lights and darks of colors created by mixing colors with black or white. Tints are lightened colors mixed with white, and shades are darkened colors mixed with black.
- Warm colors are found on the right side of the color wheel like reds, oranges, and yellows. Cool colors are on the left side like greens, blues, and purples.
- Different color schemes including monochromatic using one color, complementary using opposite colors, analogous using adjacent colors, and
Ulixe. Il lungo cammino delle idee tra arte, scienza e filosofia.Fausto Intilla
Solo in tempi assai recenti (storia contemporanea) si è riscoperto — poiché già noto in tempi antichi, quando ogni ambito della sfera umana si inseriva in uno stesso disegno, percepito da tutti con un profondo “senso del divino”; ovvero prima dell’era cartesiana — il sublime nesso tra tutte le cose presenti nel grande regno della realtà, che ci consente di visualizzare meglio ogni sottile collegamento tra tutto ciò che siamo sempre stati abituati a scindere, a suddividere in compartimenti stagni, ai quali abbiamo dato il nome di Arte, Scienza e Filosofia. Il tentativo di quest’opera, è dunque quello di esporre alcuni punti di partenza dai quali, seguendo percorsi diversi, si arrivi a un unico obiettivo: intravedere l’immagine di una realtà unitaria, dove tutto il sapere e l’operato umano, rivelino (seppure in termini metafisici ed astratti) la loro sottile interdipendenza con la natura dei nostri stessi sensi (filtri irremovibili e dai benèfici risvolti di stampo darwiniano), istinti ed emozioni.
Intervento di Ignazio Licata a RIZOM@ - convergenze fra arte e scienza tenutosi al Brain 2 Brain club il 15 aprile 2010 nella sim della Long Island University
La presentazione è una libera rielaborazione dei capitoli su Hegel dei testi di Brandolini,
Debernardi, Leggero, Simposio vol 2, Laterza e di Sacchetto, Desideri, Petterlini,
L'esperienza del pensiero vol 4, Loescher.
Università di Verona. Dipartimento di Scienze Giuridiche
Seminario del 25 novembre 2015 su "Natura e/o naturalità del diritto. Riflessioni filosofico-giuridiche"
(1) Introduzione
(2) La figura ed il pensiero di Giovanni Ambrosetti.
(3) La critica al naturalismo giuridico (pars destruens).
(4) La proposta del diritto naturale. Breve esposizione critica (pars construens)
(5) Conclusioni
Massimo Corradi & Claudia Tacchella.
Storia della Nautica.
Dalle origini agli inizi del X secolo.
In distribuzione su : www.lulu.com
In questo saggio si vuole raccontare la storia della nautica, dalle origini agli inizi del XX secolo, con alcuni cenni sulla nascita dello yacht e dei primi yacht club dal XVI al XIX secolo. Una particolare attenzione è stata dedicata allo sviluppo delle imbarcazioni a vela e dei loro progressi nei secoli XVII-XIX, cercando anche di offrire una panoramica delle imbarcazioni mercantili che sono state gli archetipi di quelle da diporto. Al fine di rendere la trattazione meno tecnica e più illustrativa si è fatto uso di un ricco apparato iconografico utile a far meglio comprendere caratteristiche, particolarità e differenze tra i diversi tipi di imbarcazioni utilizzati per li trasporto delle merci, per la pesca e, infine, per il diporto. Inoltre, si è ritenuto utile sviluppare argomenti minori - come le imbarcazioni da pesca e da lavoro soprattutto olandesi, antenate dello yacht moderno, le tipologie di imbarcazioni nella Russia di Pietro I, l'invenzione della deriva, e altro - con l'intento di raccontare microstorie meno note, e che hanno visto un minor interesse da parte degli studiosi, ma che riteniamo possano essere utili per arricchire la conoscenza del mondo della nautica e dell'arte della navigazione.
SUMMARY
In the XVII century, when one of the naval culture development center was focused mainly in the Mediterranean area,
disciplines such as geometry, mathematics, static and hydrodynamics had not yet been studied and early naval
architecture treatises were still influenced by empirical and descriptive knowledge typical of an oral rather than a
scientific tradition. Precisely is in this context that, in 1626, that Joseph Furttenbach (1591 - 1667) published
Architectura Navalis in Ulm. In his treatise he provides a summary of technical descriptions and a detailed account of
the construction of sailing boats, according to the Italian way of building, based on direct observation of shipyards.
Furttenbach relies on geometric drawings and a metric system of proportions to describe these techniques. Exactly for
this reason, the Architectura Navalis is considered one of the first shipbuilding treaties, and it has been used as a model
for many authors of the seventeenth and early eighteenth century.
SUMMARY
In the XVII century, when one of the naval culture development center was focused mainly in the Mediterranean area,
disciplines such as geometry, mathematics, static and hydrodynamics had not yet been studied and early naval
architecture treatises were still influenced by empirical and descriptive knowledge typical of an oral rather than a
scientific tradition. Precisely is in this context that, in 1626, that Joseph Furttenbach (1591 - 1667) published
Architectura Navalis in Ulm. In his treatise he provides a summary of technical descriptions and a detailed account of
the construction of sailing boats, according to the Italian way of building, based on direct observation of shipyards.
Furttenbach relies on geometric drawings and a metric system of proportions to describe these techniques. Exactly for
this reason, the Architectura Navalis is considered one of the first shipbuilding treaties, and it has been used as a model
for many authors of the seventeenth and early eighteenth century.
The document discusses the relationship between materials and structures in architecture from the 19th to 20th centuries. It begins with a historical overview of how structural engineering and mechanics evolved, including early experiments on material strength and elasticity. New materials like cast iron, steel, and reinforced concrete allowed for new structural possibilities. The document outlines major developments in metal architecture throughout the 19th century, including important bridges and buildings. It discusses how architecture became more experimental through the use of these new materials.
This document discusses Fausto Veranzio and his 1595/1616 treatise Machinae Novae, which anticipated many technological advances that would be developed in the 18th-19th centuries. Some key points:
- Veranzio was a humanist, philosopher and historian from Dalmatia who published an early "visionary" treaty featuring imaginative machine and engineering designs, including suspension bridges.
- His designs were precursors to the refined technologies developed in later centuries using cast iron, iron and steel in architecture.
- The document places Veranzio in the context of the Renaissance period, when many artist-engineers designed imaginative machines and anticipated the mechanical revolution of the Industrial Era
The history of the rainbow is as old as that of science. The ancient Greek philosophers tried to describe the rainbow, and Aristotle was the first to fully include it among the phenomena studied by physicists. Sunlight reflected in the clouds, the incidence of light rays, the reason for the rainbow’s circular shape, the optical effect of an infinite depth are aspects that have for centuries intrigued scholars, who studied the rainbow with a mixture science and alchemy, sense and sensibility. In the 17th century the rainbow became a strictly physical phenomenon, the object of rigorous investigations according to the law of reflection and refraction. Here we survey this often forgotten history, from ancient Greeks to modern scientists, the rainbow’s colours belonging to the world of physics but also—as Thomas Young wrote in 1803—to the world of speculation and imagination.
The Art of War is a subject that has enthusiast for centuries not only the military but also historians, architects, engineers, mathematicians and scholars of other disciplines that have produced a large number of articles, essays and books. Nevertheless, the Art of War has gone through all periods of history, from antiquity to the present day, gradually adapting to the evolution of techniques and weapons technologies, tactics and military strategy, thanks to what we call a particular “passion” of man to prevaricate his fellows. Simultaneously, in Architecture and Urban Planning, the will to fortify cities and towns, castles and fortresses, create defensive and offensive works, stimulated the intelligence of leaders and military men, architects, engineers and mathematicians who have offered their speculative abilities to compose treaties of fortification and military architecture, introducing what will be the “Star Fort” or “tracé à l'italienne” in the Renaissance. The purpose of this note is retraces, in that span of time ranging from the sixteenth century to the eighteenth century and face even briefly the developments, the steps and the interferences between art and architecture, empirical science and applied sciences, in a big tourbillon studies and research which, although carried out in the fields and distant disciplines together, they have a common denominator in the more general science applied to the architecture of the fortifications and defensive systems.
La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello secondario. Si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno, nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno è dello stesso colore ma più stretta. Per le altre strisce vale lo stesso principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi, dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction to his work, although not all of this was uncritical » [Raymond L. Lee, Alistair B. Fraser. The rainbow bridge: rainbows in art, myth, and science. Penn State Press, 2001 p. 109 ]. La descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro numero e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno, l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di differenti discipline.
Nombres et grandeurs, arithmétique et géométrie ont toujours accompagné les développements de la Mécanique appliquée aux constructions. Les études poursuivies par Aristote et Stevin, par Varignon et Galilée, par Huygens et Euler, et encore celles de Jacques Bernoulli et de Leibniz, jusqu’à Lagrange et à Coulomb, ont permis la rencontre de l’Architecture et de la Géométrie, des Mathématiques et de la Mécanique, en déterminant, ainsi un véritable entrelacement de principes et de règles, de nombres et de grandeurs. À partir des fondements de la Mécanique médiévale, et parallèlement aux ‘préceptes’ de l’Art et de la Science du Bâtir, un fil conducteur s’est distingué, qui a su mener, pas à pas, à la découverte des principes de la Mécanique et, par la suite, à la formulation des bases de la Science des Constructions. Un parcours linguistique a traversé la théorie des proportions et la géométrie euclidienne, le calcul des isopérimètres et le calcul différentiel et intégral, en révolutionnant en peu de peu de temps, un siècle et demi à peu-près, les méthodes d’interprétation des principes statiques et mécaniques (en 1638 Galilée publie ses Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, en 1744 Euler publie son traité Methodus inveniendi lineas curvas…, en 1773 Coulomb écrit son Essai sur une application des Règles de Maximis & Minimis à quelques Problèmes de Statique, relatifs à l’Architecture) Il ne s’agit plus là de principes qui ne sont tirés que de l’interprétation du comportement mécanique de machines simples et, par l’emploi des mathématiques élémentaires, ayant l’objectif de comprendre le comportement structural des constructions, mais de l’emploi du calcul mathématique dans le but de décrire les phénomènes et d’introduire des instruments d’analyse, généralement valables, à même de représenter les fondements mécaniques de la science du bâtir. Un parcours nettement plus « rationnel » et plus « scientifique », qui a dépassé le « savoir de l’ancien constructeur » qui, n’utilisant que l’arithmétique, l’algèbre élémentaire et la géométrie euclidienne, avait été, jusqu’à ce moment là, le guide et l’âme, la raison et la logique nécessaires pour « faire » de l’architecture, dans le but d’utiliser les principes mécaniques afin de gagner cette « immense » lutte entre la pesanteur et la résistance qui constitue à elle seule l’intérêt de la belle architecture [Schopenhauer]. Pouvoir reparcourir le déroulement de cet écheveau si emmêlé, ne peut donc que représenter un encouragement nécessaire et remarquable permettant la redécouverte des connexions, des interférences et des contrastes que les mathématiques ont su mettre en relief entre géométrie et construction, entre arithmétique et résistance des matériaux, entre mécanique et architecture, en apportant, en même temps, une petite contribution au débat concernant le rôle de la pensée mathématique dans les développements de la Mécanique appliquée aux constructions et de l’Architecture.
La lettura verte su una tematica che si rivela fondamentale per tutti i campi dell’Ingegneria, la Resistenza dei solidi e, più in generale la Meccanica dell’Ingegneria nelle ricerche dal XVII al XVIII secolo, un periodo che è da considerare tra i più fervidi e ricchi di risultati, fondante; l’argomento è studiato e visto però non solo nella sostanza applicativa così come si è sedimentato nelle conoscenze attuali che fanno parte del bagaglio culturale e scientifico degli Ingegneri e degli Architetti ma soprattutto, come si è detto, nell’analisi dei meccanismi, delle incentivazioni, degli intenti ora ideali o speculativi, ora pratici, che hanno determinato le linee di sviluppo dell’ingegneria, della ricerca, della formazione degli ingegneri, al fine di ricostituire la continuità degli sviluppi disciplinari soprattutto per un segmento significativo della storia dell’ingegneria. È da rilevare, a questo proposito, che l'Autore pone opportunamente in evidenza, tra l’altro, quanto complesse e profonde siano le basi teoriche e le stesse motivazioni umane oltre che applicative sulle quali si fonda l’ingegneria e quanto estese siano le specializzazioni che questa comprende sino a raggiungere portata per molti versi globalizzante. La lezione è quindi, in sostanza, un vero trattato di fondamenti della “scienza dell’ingegnere”, perché sono presi in considerazione gli aspetti filosofici, matematici, geometrici, fisici, teorici e applicativi e perfino, per quanto concerne le relazioni tra i vari ricercatori, sociali e umani, restituendo l’attività dell’ingegnere al più vasto ambito di attento studioso della natura, interprete delle leggi naturali secondo le esigenze ideali, filosofiche e civili oltre che tecniche e scientifiche, della società. Le sue argomentazioni inducono la fondata convinzione che le ricerche sui temi della costruzione, cioè di un settore modesto, neppure prioritario o centrale, basato sull’empirismo, abbiano assunto carattere paradigmatico ed anzi che esse si siano incentrate sulla conoscenza della realtà; ciò che dava il senso, dell’ingegneria del mondo esperibile, nella più vasta accezione di tale espressione, e in fondo, modificabile oltre che acquisibile con l’intelletto, assegnando all’Ingegnere e all’Architetto il compito di ideatore e costruttore del modello della natura. La conoscenza della storia dell’Ingegneria è dunque uno dei fondamenti del progresso scientifico e tecnologico.
La cupola di S. Gaudenzio a Novara, opera di Alessandro Antonelli, è la più completa sintesi architettonica dei profondi rapporti che intercorrono tra meccanica e geometria, tra materia e costruzione, tra scienza e tecnica, un compendio costruito di scienza e arte del costruire. Le complesse interrelazioni tra forma e struttura, tra immagine dell’architettura e costruzione materica, in un complesso giuoco di forme geometriche ed elementi strutturali sono perfettamente evidenti nella complessa costruzione del sistema architettonico-strutturale che costituisce l’ossatura muraria e portante della cupola antonelliana.
L'insegnamento che la Storia della Scienza e della Tecnica del costruire ha direttamente o indirettamente dispensato nei secoli, e dispensa tutt'oggi attraverso il considerevole patrimonio architettonico tramandatoci, ha sempre più messo in evidenza la sua caratteristica di strumento indispensabile per operare scelte consapevoli negli interventi di consolidamento statico degli edifici storici. La riscoperta degli antichi magisteri, fondati sovente più sull'esperienza e sulla sperimentazione diretta del costruire che sulla conoscenza scientifica e tecnica di particolari metodi di analisi e strumenti di calcolo, diventa dunque indispensabile quando ci troviamo di fronte a quel complesso e variegato insieme d'interventi che riguardano il restauro del patrimonio architettonico e monumentale.
Hydraulics, notwithstanding its ancient origins, is very young as a discipline. It has been founding and consolidating its scientific bases onIy for the last three centuries as pure science, like mechanics, and its application to engineering. The «discovery» of basic principles, the fundamentals of hydraulic science, required many efforts throughout the 17th and 18th century.
The aim of this paper is to compare the development of theoretical research on the collapse analysis of arches and vaults, with some significant constructions of arch bridges, in French and Italy during the XVIIIth and XIXth centuries. On this subject, the authors would develop a brief outline of most important researches about mechanical aspects of the arch bridge theory in the same centuries. Then it will be developed some considerations on the construction, behaviour and assessment of a little number of significant arch bridges, to verify the corresponding between construction, theoretical and mechanical approach, collapse mode and conservation approach of these architectures.
Lagrange écrit dans l’Avertissement de sa Méchanique Analytique (Paris, 1788): «On a déjà plusieurs Traités de Méchanique, mais le plan de celui-ci est entièrement neuf. Je me suis proposé de réduire la théorie de cette science et l’art de résoudre les problèmes qui s’y rapportent, à des formules générales, dont le simple développement donne toutes les équations nécessaires pour la solution de chaque problème». Cette «nouvelle vision du monde », qui sera celle du XVIIe siècle et encore plus celle du siècle suivant et qui tente d’établir un dialogue entre la Méchanique physique proposée par S.D. Poisson et la Mécanique analytique de Lagrange (reprise au XIXe siècle en termes plus précis par le courant des « axiomaticiens »), constitue un vaste et important projet scientifique qui dépasse les principes généraux de la Mécanique pour investir des lieux de recherche et des disciplines plus spécialisées et plus particulières comme, par exemple, la balistique et l’hydraulique.
Jacopo Barozzi da Vignola (1507–1573), pittore di formazione
e architetto di «mestiere», ha lasciato —oltre
ad un cospicuo patrimonio architettonico interprete
del maturo linguaggio Rinascimentale, ricco di una
precisa grammatica e una rigorosa sintassi costruttiva e
formale— un’opera di gran pregio anche per la
«scienza meccanica». Come il linguaggio vitruviano
della firmitas, più o meno ricco e raffinato, riprende i
temi della meccanica antica —pre-galileiana, aristotelica
e archimedea—, dove i princìpi elementari e le
macchine semplici sono gli strumenti indispensabili
per la comprensione del vasto mondo della meccanica
applicata alle costruzioni, così il linguaggio architettonico
di Vignola si spoglia di quell’apparato formale
che contraddistingue la trattatistica Rinascimentale,
per rendere parimenti «puri» e scevri da elementi
complessi i canoni e le regole del buon costruire.
«I vascelli cartaginesi erano costruiti in modo da potersi muovere in tutti i sensi con molta leggerezza; i loro rematori erano esperti. Quando il nemico avanzava per inseguirli loro si giravano, gli volteggiavano attorno o gli piombavano sul fianco e lo urtavano, mentre il vascello romano poteva appena virare nuovamente per la sua pesantezza e la scarsa esperienza dei rematori» [Polibio, 206 - 124 a.C.].
L’immagine della femme fatale è l'immagine di una donna particolare forse più eterea che reale, concentrato di bellezza, sensualità, voluttà, peccato, lussuria, ma sempre e soltanto ‘donna’. Per descrivere la femme fatale abbiamo scelto la strada principale delle immagini che come un fiume raccoglie rivoli di pensieri e parole sull’universo femminile; perché se la donna ideale si sogna, si immagina in un mondo irreale e irraggiungibile, la donna è invece reale, presente, viva nella nostra vita così come lo è stato nella vita degli artisti che l’hanno voluta rappresentare attraverso le diverse forme d’arte che nei secoli sono state utilizzate per presentare i propri pensieri, i propri sogni, i propri desideri, la propria volontà di trasmettere ai posteri un pensiero, un immagine, un sogno che è quello della donna: la femme fatale.
ISBN 9781445266640 - 2010
La costruzione navale è un’arte antica che quasi sicuramente risale alle origini dell’uomo. Nei secoli si è sviluppata fino a diventare scienza e ha consentito all’uomo di solcare i mari, esplorare nuove terre, scoprire nuovi continenti e mettere a contatto popolazioni diverse e molto distanti tra loro. Ma la scienza navale, nel senso moderno del termine, è una disciplina nuova che trae le sue origini dai trattati di costruzione navale, prima manoscritti, e poi a stampa che a partire dal XVI secolo sono sono stati resi pubblici e a disposizione degli studiosi, degli architetti e degli ingegneri navali. In questo volume vogliamo fornire al lettore una raccolta bibliografica sull'arte e l'architettura navale, sulla costruzione e sulla scienza navale, altrimenti uno strumento che si auspica utile per successive ricerche.
ISBN 9781447762027 - 2012
La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe
1. 1
La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe
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Massimo Corradi
1
Dipartimento di Scienze per l’Architettura – Scuola Politecnica, Genova, corradi@arch.unige.it
«Quelli che compongono con luci di colori la luce unica
ed essenzialmente bianca, sono i veri oscurantisti».
(Goethe, Massime e riflessioni)
1. Introduzione
Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno tra i più importanti autori e poeti
di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un
grande letterato, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”.
Nel saggio Zur Farbenlehre (“Della Teoria dei Colori”) [1] illustra la sua teoria
scientifica – o come l’hanno considerata alcuni detrattori “prescientifica” - sui colori
e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo
modo di interpretare non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si
tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue composizioni letterarie, anche se
ne contiene al suo interno lo stile poetico associato però a una visione scientifica, e
mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non
trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa e
della sua traslitterazione nel colore. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e
etico-morale del colore, e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in
contrapposizione, in una “onorevole contesa”, alla visione Newtoniana strettamente
scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno fisico. In
questa breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della luce
e del colore di Newton, facendo notare il grido di protesta contro ciò che Goethe
ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e della fisica, nel
caso particolare dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione che possiamo
certamente definire puramente romantica del fenomeno - che i colori sono qualche
cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione
fenomenologia in quella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo
della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore,
con una metrica di giudizio che seppure deve generalizzare in forma universale,
deve tuttavia conservare quella sfumatura che è l’interpretazione personale.
2. Zur Farbenlehre
Il saggio di Goethe, pubblicato nel 1810, contiene alcune delle prime descrizioni
pubblicate, ad esempio, su fenomeni come ombre colorate, rifrazione e aberrazione
cromatica. Tale scritto esercitò una forte influenza su numerosi artisti, sulla pittura
di Philipp Otto Runge (1777 – 1810), Joseph Mallord William Turner (1775 –
1851), i Pre-Raffaeliti, Wassily Kandinsky (1866 – 1944), Paul Klee (1879 – 1940),
e molti altri, e trovò anche un ampio interesse e forte curiosità in studiosi di
differenti discipline quali filosofi e fisici; tra i filosofi, Arthur Schopenhauer (1788 –
1860) – che all’età di 28 anni pubblicò un interessante trattato sulla visione dei
colori (Über das Sehn und die Farben) -, Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951),
Rudolf Steiner (1861 – 1925), tra i fisici Thomas Johann Seebeck (1770 – 1831),
2. 2
Hermann von Helmholtz (1821 – 1894), Werner Heisenberg (1901 – 1976), e infine
tra i matematici Kurt Gödel (1906 – 1978) e Mitchell Feigenbaum (1944 - ).
Il libro di Goethe è uno studio sulla percezione del colore che si pone in
contrapposizione alla teoria scientifica di Isaac Newton, e che lo stesso autore
tedesco relega nell’ambito delle verifiche sperimentali dei fenomeni di percezione
sensitiva. Il tema affrontato da Goethe non riguarda il lato ‘meccanicistico’
dell’argomento, il colore come fenomeno di oscillazione elettro-magnetica piuttosto
che pigmento chimico-fisico, quanto piuttosto la percezione fisico-sensoriale del
fenomeno da parte dell’uomo, ponendo una differenza sostanziale tra l’oggetto
fenomenico, lo spettro ottico, così come era stato osservato da Newton, e quello
percettivo- sensoriale del colore conoscibile nell’esperienza attraverso i sensi, tema
che sarà poi oggetto di studio da parte di Wittgenstein [2] nella sua esegesi del testo
di Goethe. Un’anticipazione della metodologia fenomenologica, come osserva
Giulio Carlo Argan (1909 - 1992) nella prefazione alla Farbenlehre [3] del poeta
tedesco.
Goethe espone la propria teoria riguardante i colori, analizzando le proprietà, le
caratteristiche e i fenomeni con cui essi si manifestano. Nella prima Sezione parla
dei colori fisiologici e di quelli patologici che riguardano soprattutto la luce e
l’oscurità e gli effetti che provocano sull’occhio; per esempio le immagini, le ombre
colorate, e per quanto riguarda i primi gli aloni soggettivi, mentre in merito ai
secondi si limita solo a una descrizione di ciò che può essere conosciuto
esperienzialmente. Nella seconda e terza Sezione distingue i colori fisici (suddivisi
in diottrici, catottrici ossia relativi alla riflessione della luce, parottici, ossia relativi a
una visione extra-retinica, epottici di carattere metafisico) da quelli chimici
analizzando, per esempio, fenomeni come la rifrazione, anche in assenza di
manifestazione di colore, la fissazione e la trasmissione del colore, le immagini
grigie e colorate, l’acromaticità e l’ipercromaticità; la Sezione quarta è dedicata al
‘cerchio dei colori’ (energia, determinazione, mescolanza, intensificazione,
compiutezza della manifestazione, scomparsa e durata del colore); nella sezione
successiva del libro (Sezione quinta) espone infine le proprie considerazioni circa i
rapporti di prossimità con altre discipline (filosofia, matematica, tecnica della
tintura, fisiologia e patologia, storia naturale, fisica generale e teoria del suono) e,
infine, nella Sezione sesta tratta degli effetti sensibili-morali e storico-culturali del
colore.
La nota che introduce la posizione di Goethe è illustrata in questa osservazione al
pensiero di Newton che nel suo trattato sull’ottica del 1704 [4] aveva mostrato che il
bianco, in sostanza il colore/non-colore, contempla in sé tutti i colori componenti la
gamma e che questo fenomeno è visibile quando un fascio di luce diretta attraversa
un prisma. Goethe era convinto che tutti i colori fossero contenuti nella luce, e non
aveva alcun minimo motivo per dubitare di questo, tuttavia, scrive, a questo
proposito: «Ma come io rimasi stupito, come guardando un muro bianco attraverso il
prisma, esso era rimasto bianco! Che solo soltanto osservando da qualche zona buia,
esso mostrava un certo colore, poi finalmente, attorno al davanzale della finestra
tutti i colori brillavano ... Non ci volle molto tempo che io capii che c’era qualcosa
di significativo sul colore che doveva essere compreso, e io ho parlato d’istinto ad
alta voce, [dicendo] che gli insegnamenti di Newton erano falsi» [5]. La prova
3. 3
esperienziale di Goethe lo illumina sulla necessità di definire il confine tra il chiaro e
lo scuro, quella linea immaginaria che unisce due fenomeni antitetici per formare il
colore.
Secondo Goethe, il fatto che non si percepiscono i colori in assenza di luce non
significa che i colori siano i componenti della luce bianca. L’occhio percepisce i
colori, ma non lo spazio ossia la luce che li contiene, dunque si ha una soggettività
percettiva, una arbitrarietà nella percezione del fenomeno conseguenza di un
processo di interpretazione fenomenologica da parte della mente umana. Goethe
afferma che Newton aveva commesso un errore nell’esperimento del prisma ottico
[6], e nel 1793 il poeta tedesco aveva formulato le sue argomentazioni nel saggio
Über Newton Hypothese der diversen Refrangibilität [7], cominciando ad affrontare
il problema da un altro punto di vista e rimarcando l’importanza dell’aspetto
fisiologico dei colori [8]. Nell’introduzione storica al suo saggio, Goethe ricorda che
già il matematico francese Louis Bertrand Castel (1688 - 1757), nel 1740, aveva
pubblicato una forte critica alla descrizione dello spettro dei colori da parte di
Newton [9], mostrando che la sequenza dei colori divisi dalla ‘mediazione’ del
prisma dipende dalla distanza dal prisma stesso, e sottolineando quindi che la teoria
dello scienziato inglese era sostanzialmente basata sull’osservazione di un caso
particolare [10]. Una posizione forte quella di Castel, peraltro ripresa da Goethe il
quale nega che la luce incolore possa produrre colori: «La teoria che abbiamo
enunciato contro questa [quella di Newton, n.d.t.] inizia con la luce incolore, e si
avvale di condizioni esterne, in grado di produrre fenomeni di colore; e riconosce
valore e dignità a queste condizioni. Non è necessario attribuire lo sviluppo dei
colori dalla luce, ma piuttosto cercare di dimostrare con innumerevoli esempi che il
colore è prodotto dalla luce ma anche da quello che a essa si oppone [il buio, n.d.t.]»
[11]. Come abbiamo accennato, la critica di Wittgenstein fu feroce: «Goethe’s
theory of the constitution of the colours of the spectrum has not proved to be
unsatisfactory theory, rather it really isn’t a theory at all. Nothing can be predicted
with it. It is, rather, a vague schematic outline, of the sort we find in James’s
psychology. Nor is there any experimentum crucis which could decide for or against
the theory» [12].
La cosiddetta “teoria” di Goethe è, tuttavia, una forma interpretativa di un fenomeno
fisico legata a fattori conoscitivo-sensoriali volti a una interpretazione
immaginativo-simbolica. L’intento di Goethe è, infatti, «ritrarre piuttosto che
spiegare» [13]. Goethe colleziona prove sperimentali a supporto di una sua visione
del colore che va oltre il fatto strettamente scientifico, e dunque tralascia l’analisi dei
fenomeni fisici come le lunghezze d’onda o le particelle, senza la necessità di
addivenire a un unico experimentum crucis che potrebbe provare o confutare la sua
teoria, ma si propone di cercare attraverso altre forme interpretative il carattere
essenziale del colore. Come scrive Seamon [14] «il punto cruciale della sua teoria
del colore è [soprattutto] la sua fonte esperienziale», un “delicato empirismo” (zarte
Empirie). Infatti, l’appunto principale che Goethe muove a Newton è quello di
«fidarsi della matematica invece che delle sensazioni del suo occhio», e afferma che
è necessario rimanere fedeli alla percezione senza ricorrere a spiegazioni fisico-
matematiche della realtà naturale, in quanto i fenomeni stessi sono la teoria. Questa
impostazione teoretico-sensoriale-esperienziale suscitò la vemente critica di
4. 4
Schopenahuer. Il filosofo tedesco sottolineò come il lavoro di Goethe fosse solo una
raccolta di dati, come peraltro è citato nel titolo della sua opera; una raccolta
importante, completa e rilevante, un materiale cospicuo per procedere alla
formulazione di una teoria del colore ma nulla di più. Schopenhauer rimarcò ancora
che Goethe non ha fornito una vera spiegazione della natura essenziale del colore,
ma in realtà solamente postulato come avviene un fenomeno, una presentazione
sistematica dei fatti, che ci racconta come nasce il colore, non quello che è, e si
ferma a questa unica caratterizzazione. Questo, peraltro, era stato affermato dallo
stesso Goethe che, nel suo saggio del 1772 [15], aveva scritto che l’esperimento è
mediatore tra soggetto e oggetto sottolineando come l’essere umano stesso, nella
misura in cui fa buon uso dei suoi sensi, dà la più esatta descrizione di un fenomeno
fisico. A titolo di esempio si rileva che, a differenza dei suoi contemporanei, Goethe
non vede il buio come assenza di luce, ma piuttosto come l’opposto che deve
interagire con essa; in questa contrapposizione buio-luce, il colore diventa lo
strumento di interazione che ne stabilisce la gradazione, e le ombre sono parte della
luce stessa. Secondo Goethe, la luce è la più semplice, più indivisa, più omogenea
cosa che noi conosciamo e pertanto si deve per necessità confrontare con il buio, e
pertanto egli caratterizza il colore come una combinazione dinamica di buio e luce.
L’oscurità è un nulla completo, la luce non trova resistenza nelle tenebre, ma
l’oscurità può indebolire la luce, come la luce può limitare l’energia del buio [16].
«Anche qui possiamo dire che un bianco che si scurisce, che si intorbida, diviene
giallo; il nero che si schiarisce diviene invece azzurro» [17].
3. «La chiarezza è una giusta distribuzione di ombre e di luci»
«... essere stato l’unico del mio secolo che ha visto chiaro in questa difficile scienza
dei colori, ebbene sì, di questo vado fiero, e sono cosciente di essere superiore a
molti saggi» [18]. La comprensione della verità è l’obiettivo di Goethe. Egli afferma
che esistono ambiti della conoscenza che sfuggono, a causa della propria natura
intrinseca ed estrinseca, e alla loro interpretazione attraverso lo strumento della
matematica; uno di questi è proprio l’interpretazione del fenomeno dei colori: «Io
riverisco i matematici … però non approvo che si voglia far abuso delle cose che
non appartengono al loro campo e dove questa nobile scienza diviene assurda, come
se esistesse solo ciò che può essere dimostrato matematicamente!» [19] La questione
dell’interpretazione fenomenologica dei colori secondo Goethe mette in evidenza
una sua personale visione del mondo illuminista, che non può prescindere di fatto da
una mediazione romantica della verità di ragione, la prosa del fenomeno fisico si
muta in poesia.
Il colore deve essere compreso globalmente nella sua interezza di fenomeno
percettivo e non solamente fisico-matematico, e dunque non solo analiticamente,
pertanto il fatto visuale è un fenomeno sostanzialmente sensuale. La percezione dei
colori dipende dall’equilibrio che esiste tra luminosità e oscurità: nell’oscurità tutto
è nero e viceversa niente si può distinguere se la luminosità è eccessiva. L’origine
dei colori sta nell’oscurità e nella luce, il giallo e il blu sono i colori che si
trasformano e consentono di arrivare alla nascita del colore “finale”, il rosso, per
intensificazione di ognuno di essi [20]. Il rosso, è il risultato dell’oscuramento del
giallo e l’attenuazione verso il chiaro del blu. I tre colori intermedi (il verde, il viola,
5. 5
l’arancio) completano la gamma cromatica dello spettro dei colori e sono la
trasformazione dei tre colori principali; infatti, il giallo, proviene dalla luce, e
l’azzurro dall’oscurità; essi si mischiano per dare il verde e si intensificano per dare
l’arancio e il viola, per giungere infine al rosso. Si tratta di quella che si potrebbe
affermare essere una “teoria genetica” dei colori, che Goethe oppone al metodo
sperimentale di galileiana impostazione e applicato da Newton. La scomposizione
spettrale della luce bianca in sette colori essenziali, tra i quali egli aggiunge l’indaco,
quasi a voler scandire una analogia tra la gamma cromatica dei colori e quella
musicale delle note. Goethe, tuttavia, esclude ogni possibile equivalenza tra colore e
suono «Colore e suono non si possono in alcun modo paragonare. … Entrambi sono
azioni elementari e generali, operanti secondo la legge universale del dividere e del
tendere alla riunione, del dirigersi ora verso l’alto ora verso il basso, dello spostarsi
ora su questo ora su quel lato della bilancia, ma su lati interamente diversi, in modi
diversi, poggiando su elementi intermedi diversi, rivolti a sensi diversi. … la musica
… nasce per vie empiriche insolite, casuali, matematiche, estetiche e geniali» [21],
ma nondimeno la sua Farbenlehre svolse un ruolo importante nella teoria e nella
pratica musicale, come ha rilevato Gareth Cox [22] nell’opera del compositore
austriaco Anton Ebern (1883 – 1945). La scomposizione spettrale è, ancora secondo
il poeta tedesco, la sintesi esperienziale dell’opera pittorica, come per esempio nella
pittura di Leonardo da Vinci dove si distinguono fortemente i colori della luce (il
giallo e il rosso) da quelli dell’ombra (l’azzurro e il verde). Goethe oppone alla
sperimentazione empirica strumentale della luce, la percezione e l’osservazione
sensoriale “naturale” degli oggetti e delle loro tonalità cromatiche, sottoposti alla
luce. Un ‘metodo’ di interpretazione del fenomeno fisico più legato alla obiettività
che alla soggettività, e basato dunque sulla qualità della percezione. L’obiettività
della percezione è naturale e universale, la soggettività della percezione è invece
strumentalizzata e conseguenza della ‘cultura’ scientifica che chiede sempre e
unicamente conferme strumentali al fine di affermare la sua “universalità” e la sua
“obiettività” anche se in disaccordo con la percezione comune [23].
Gli studi di Goethe sul colore partono da una serie di esperimenti che prendono in
esame gli effetti ‘torbidi’ provocati nell’aria da agenti come la polvere e l’umidità, e
come questi Urphänomen (fenomeni primari) intervengono sulla percezione della
luce e del buio. La luce osservata attraverso un mezzo torbido appare di colore
giallo, e le tenebre osservate attraverso un mezzo illuminato sembrano ai nostri
occhi di colore blu. L’alto livello di luce, come ad esempio quello del sole è,
secondo Goethe, per la maggior parte incolore. Ma se noi osserviamo questa luce
attraverso un mezzo leggermente denso essa ci appare gialla. Se, poi, la densità di
tale mezzo aumenta vedremo la luce gradualmente assumere un colore giallo-rosso,
che aumenta fino a raggiungere la tonalità rubino, rosso intenso, limpido e brillante.
Se d’altro canto il buio è visto attraverso un mezzo semitrasparente, ad esempio
illuminato da una fonte di luce che lo attraversa, allora ci appare di colore blu.
Questo colore diventa più leggero e più pallido con l’aumentare della densità del
fluido, ma al contrario ci apparirà più scuro e più profondo all’aumentare della
trasparenza del mezzo. In un leggero stato di penombra in trasparenza assoluta,
supponendo sempre un mezzo perfettamente incolore, il blu profondo si avvicina al
viola. Quando osserviamo la luce attraverso un prisma, l’orientamento del confine
6. 6
luce-buio rispetto all’asse del prisma diventa allora significativo per
l’interpretazione del fenomeno. Quando osserviamo il colore bianco sopra un
confine buio, possiamo riconoscere che la luce estende la sua gamma di colori dal
blu-viola al “buio”, e se gli associamo il significato latino del termine “burius”
diventa proprio rosso scuro. Viceversa, l’osservazione del buio sopra un contorno
chiaro mostra la luce che vira al colore rosso-giallo, verso il chiaro. Il confine di
percezione diventa allora fondamentale, per Goethe, per la creazione dello spettro
dei colori; lo spettro risulta pertanto un fenomeno composto dalle condizioni
ambientali, dalle differenti gradazioni di ombre, e di grigi, che incidono
sull’intensità dei colori stessi e, a seconda del contorno luminoso rispetto al quale
sono osservati, la percezione del fenomeno da parte dell’occhio muta sensibilmente.
Poiché il fenomeno del colore si basa sull’adiacenza tra luce e buio, ci sono allora
due modi per produrre uno spettro luminoso: con un fascio di luce in una stanza
buia, e con un fascio scuro (cioè un’ombra) in una stanza piena di luce. Goethe ha
registrato la sequenza dei colori proiettati a varie distanze da un prisma per entrambi
i casi, e ha osservato che i bordi gialli e blu sono più vicini al lato illuminato, mentre
i bordi rossi e viola sono più vicini al lato buio. A una certa distanza questi si
sovrappongono e si ottiene lo spettro dei colori di Newton. Quando i bordi si
sovrappongono in uno spettro luminoso si ottiene il colore verde; quando invece si
sovrappongono in uno spettro scuro non si producono colori spettrali. Con uno
spettro di luce che esce dal prisma, Goethe osserva un raggio di luce circondato
dall’oscurità e i colori giallo-rosso che si manifestano lungo il bordo superiore,
mentre i colori blu-violetto si osservano lungo il bordo inferiore. Il colore verde si
riscontra, invece, nel mezzo del fascio luminoso solo quando i bordi blu-violetto si
sovrappongono ai bordi giallo-rosso. Con uno spettro scuro (ad esempio un’ombra
circondata di luce), si osservano i colori viola-blu lungo il bordo superiore, e rosso-
giallo lungo il bordo inferiore. Goethe afferma che quando l’occhio umano vede un
colore è, per sua natura, immediatamente e spontaneamente eccitato dal fenomeno
visivo, e contemporaneamente percepisce un altro colore, che con quello originale,
comprende tutta la scala cromatica.
Goethe propone una ruota dei colori simmetrica. Il cerchio cromatico è disposto in
modo generale secondo l’ordine naturale e i colori diametralmente opposti tra loro
sono quelli che evocano reciprocamente gli uni agli altri. Pertanto, il giallo richiama
il viola, l’arancio il blu; il viola il verde, e viceversa; così tutte le gradazioni
intermedie reciprocamente richiamano l’una l’altra; il colore più semplice quello
composto, e viceversa.
Alcuni autori moderni elogiano Goethe per non aver tenuto conto dei colori non-
spettrali: «For Newton, only spectral colors could count as fundamental. By contrast,
Goethe’s more empirical approach led him to recognize the essential role of (non-
spectral) magenta in a complete color circle, a role that it still has in all modern
color systems» [24]. L’intento di Goethe è stato quello di studiare gli effetti del
colore sulla fisiologia degli individui introducendo una nuova disciplina la
‘psicologia del colore’. In quest’ottica egli associa nella sua ruota dei colori le
qualità estetiche del colore stesso: il rosso con la bellezza, l’arancione con la nobiltà,
il bene con il giallo, il verde con l’utile, il blu con la parola, e il viola con il
superfluo [25]. In questo modo il colore non diventa solo percezione di un fenomeno
7. 7
fisico, ma si traduce in un tentativo di interpretazione dell’animo e della psiche
dell’uomo.
4. Goethe versus Newton
Le teorie del colore enunciate alla fine del diciassettesimo secolo erano
sostanzialmente basate su tre modelli fenomenologici differenti: Keplero affermava
che i colori erano una mescolanza di luce e ombra, René Descartes (1596 - 1650)
aveva introdotto il concetto di vis luminis prodotta dalla rotazione di globuli aetherei
coerentemente alla sua teoria dei vortici e nell’opera Les Météores [26], riprendendo
la teoria di Teodorico di Freiberg (c. 1250 – c. 1310), aveva immaginato il
fenomeno dell’arcobaleno come una conseguenza del cambiamento di direzione
della luce nel passaggio da un mezzo all’altro, senza tuttavia dare una spiegazione
scientifica alla formazione dello spettro dei colori.
1a 1b 1c
Fig. 1 a, b, c – (a) Il cerchio dei colori di Newton, Libro I, Parte II, Tavola III, fig. 11 [27], (b) Il cerchio dei colori di
Goethe; (c) La sfera dei colori di Runge [28].
Secondo Descartes le particelle luminose spinte dal centro di un vortice verso
l’esterno ruotano e tale rotazione è percepita attraverso il colore: veloce come rosso,
moderata come giallo e lenta come blu. Quindi, secondo il filosofo francese, la
formazione dei colori dipendeva da una 'trasformazione' di tipo meccanicistico della
materia, la luce, in corrispondenza dell’urto obliquo sulla superficie di separazione
tra due mezzi. Robert Hooke (1635 - 1703), invece, sosteneva che la propagazione
della luce avvenisse attraverso un moto vibratorio di tipo periodico - al contrario di
Newton -, e tale moto era la causa della formazione dei colori. Hooke immagina un
sistema di vibrazioni prodotte dall’eccitazione dei corpi luminosi nell’etere, in
analogia con quello che avviene per le onde sonore che causano la sensazione di
luminosità quando colpiscono l’occhio. La luce, pertanto, deve essere un susseguirsi
di impulsi sferici che si muovono in linea retta e passando da un mezzo all’altro, ad
esempio dall’aria all’acqua, cambiano di direzione e danno la sensazione del colore.
Esiste una differenza sostanziale tra la teoria del colore di Goethe e la teoria che,
enunciata da Newton, si è consolidata nell’arco di circa un secolo [29]. La differenza
sostanziale sta nei confini della ricerca: quella di Newton e dei suoi successori è
stata basata sul metodo scientifico e assegna alla luce stessa la caratteristica
fondamentale di matrice del colore, escludendo ogni valenza sensoriale da parte
dell’uomo; Goethe, viceversa, ha fondato la sua teoria su fenomeni esperienziali
basati sulla percezione del fenomeno fisico da parte dell’occhio umano [30]. Si
hanno così due distinte visioni epistemologiche del problema: una strettamente
8. 8
scientifica (Newton), una prettamente esperienziale (Goethe) [31]. La critica
Goethiana alla teoria Newtoniana è, peraltro in questi termini, molto dura: «[la]
teoria di Newton … in virtù della considerazione di cui gode, ha ostacolato
fortemente una libera visione delle manifestazioni dei colori» [32].
Newton afferma che la luce bianca è composta dalla somma dei singoli colori
(fenomeno scientificamente dimostrabile), mentre Goethe immagina che il colore
derivi dall’interazione tra luce e buio (attraverso considerazioni sui fenomeni visivi,
sulle percezioni umane e non dimostrabili scientificamente).
Secondo Newton, il prisma ottico che consente di verificare lo spettro dei colori è
uno strumento funzionale all’osservazione ma irrilevante rispetto alla fenomenologia
o l’esistenza di colore; come esistono tutti i colori nella luce bianca, il prisma è solo
uno strumento che non influisce sulla natura stessa del colore. Goethe, invece, cerca
di dimostrare che se la luce passa attraverso un mezzo torbido come il prisma si ha
un’alterazione del colore e dunque la materia è un fattore integrante nella
formazione del colore. Riducendo sensibilmente il fascio di luce che attraversa il
prisma, Goethe osserva che all’aumento dell’ampiezza del fascio luminoso non
corrisponde più lo spettro dei colori. Egli osserva solo bordi rosso-giallo e bordi blu-
ciano intercalati tra loro dal bianco, e lo spettro si forma solamente se questi bordi
sono abbastanza vicini da sovrapporsi, questo perché il fenomeno dello spettro
luminoso dei colori deriva dall’interazione tra i bordi chiari e quelli scuri.
Newton spiega la formazione del colore del bianco come conseguenza della quantità
complessiva diversa di rifrazione; i raggi luminosi si mescolano insieme per creare
un unico colore uniforme, il bianco appunto, verso il centro del fascio luminoso,
mentre i bordi non beneficiano di questa miscela piena e appaiono con maggiori o
minori componenti di rossi e di blu [33]. Sia Newton che Christiaan Huygens (1629
– 1695) avevano definito il buio come assenza di luce. Thomas Young (1773 –
1829) e Augustin-Jean Fresnel (1788 – 1827) avevano invece combinato la teoria
delle particelle di Newton con la teoria delle onde di Huygens per dimostrare che il
colore è la manifestazione visibile della lunghezza d’onda della luce. I fisici
attribuiscono oggi alla luce il fenomeno di dualità onda-particella in relazione al
moto corpuscolare e ondulatorio delle particelle.
La critica di Goethe al ‘metodo’ scientifico di Newton è forte: la riduzione della luce
a un mero movimento meccanico di particelle, misurabile quantitativamente
mediante il prisma, è per lo scrittore/sperimentatore tedesco del tutto erronea.
Secondo Goethe, l’errore di Newton sta nel ‘dimenticare’ il ruolo svolto dai nostri
sensi, dalla nostra percezione e dalla nostra capacità di elaborare il dato visivo-
sperimentale; lo studio del fenomeno ottico, della visione della luce e dei colori,
deve mettere in evidenza il ruolo attivo dell’occhio nella percezione del fenomeno
stesso e rimarca che la luce non è una semplice ricezione di qualcosa esterno
all’occhio stesso che il senso percepisce asetticamente. Non è una questione
semplicemente meccanicistica legata al fatto fisico in sé, ma si tratta di un fenomeno
che deve trovare un’intima connessione, un punto di equilibrio, tra soggetto e
oggetto, tra uomo e fenomeno fisico. La relazione tra soggettività e oggettività del
conoscere, nei termini Kantiani della questione, nell’opera di Goethe mostra il punto
di passaggio tra la cultura e la visione illuministica del mondo, e quella romantica.
«La Farbenlehre è forse il primo disegno di una psicologia della percezione, di una
9. 9
Gestaltpsychologie» [34]. La percezione è immaginazione, raccolta di informazioni,
immagini, memoria acquisita e ri-elaborata dall’occhio e dalla mente umana come
ad esempio avviene per i colori fisiologici, illusori, immaginari, ma secondo Goethe
strumentali ai fini della percezione corretta del colore; così «si scopre che la teoria
della percezione è in realtà la storia della percezione: se già la permanenza sulla
rètina faceva pensare ad una memoria ottica, la capacità imagopoietica identifica
l’occhio con l’immaginazione» [35].
5. Conclusioni
La ricerca di Goethe non ha ovviamente un carattere di scientificità nel senso attuale
del termine, tuttavia ha influenzato sensibilmente le arti, soprattutto quelle
pittoriche, per la sua caratterizzazione legata alla sensibilità umana nella percezione
del colore. Tale percezione da parte dell’occhio e della mente umana diventa per
Goethe strumento di interpretazione e caratterizzazione del colore, attraverso il
fenomeno della luce. Goethe è stato inizialmente indotto a occuparsi dello studio del
colore dalle numerose declinazioni di tonalità di colori che si riscontrano nella
pittura. Durante il suo primo viaggio in Italia (1786-1788), Goethe osserva che gli
artisti sono in grado di percepire il fenomeno del colore, ma non di stabilire delle
regole per la sua caratterizzazione, lasciata all’intuizione e alla sensibilità dell’artista
stesso. Goethe avverte questo fatto come una mancanza, una lacuna nella
‘progettualità’ della scelta della gradazione colorimetrica, e per questo motivo vuole
enunciare delle regole per definire l’uso artistico del colore [36].
L’obiettivo diventa sostanziale quando diversi artisti, tra i quali Runge, cominciano
a interessarsi ai suoi studi sul colore [37]. Dopo la traduzione in lingua inglese
avvenuta nel 1840 da parte di Charles Eastlake (1793 – 1865), la teoria sui colori di
Goethe diventa uno dei testi di riferimento nel mondo dell’arte, particolarmente tra i
pre-raffaelliti. Turner studiò il lavoro dello studioso tedesco e molti riferimenti a
quest’opera si possono trovare nei titoli di alcuni suoi dipinti [38], e Kandinsky la
considerò una delle opere più importanti sull’argomento [39].
Il saggio di Goethe si oppone alla ‘scientificità’ della fisica sperimentale di Newton,
alla sua teoria cromatica del colore dedotta da osservazioni sperimentali e deduzioni
logico-speculative, rivendicando la centralità dei sensi dell’uomo nella conoscenza
dei fenomeni naturali. Lo scrupolo minuzioso che Goethe mette nell’osservazione
dei fenomeni legati alla luce e al colore si unisce a uno spirito filosofico di matrice
illuminista, associato comunque a una visione romantica e a un amore per i
fenomeni esperienziali della natura con profonde declinazioni poetiche. La teoria dei
colori è un esempio luminoso di unità della conoscenza e del sapere, che nello
spirito e nell’intendimento dello studioso tedesco deve superare le barriere fra
letteratura e scienza e diventare così un modello per la costruzione di una nuova
letteratura scientifica.
La novità della concezione scientifica di Goethe consiste nel formulare una
posizione culturale in opposizione al modello che allora stava diventando
dominante, che si rifà alla Rivoluzione scientifica del XVII secolo. Secondo il
pensiero di Goethe il compito della conoscenza non è quello di conquistare e
soggiogare la natura alla volontà dell’uomo, nei termini formulati da Francesco
Bacone (1561 – 1626) e descritti nella proposizione «sapere è potere», ma altrimenti
10. 10
di porsi in una condizione di osservazione e ascolto della Natura e dei suoi
fenomeni. La posizione dello scienziato, secondo Goethe, deve essere quella di
mettersi in sintonia con la Natura stessa e di ritrovare l’unità perduta di tutte le cose,
nei termini probabilmente delle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg (1688 –
1772), ma anche del panteismo di Baruch Spinoza (1632 – 1677).
La polemica contro Newton sulla natura della luce e dei colori è il caso esemplare
che mostra una nuova concezione delle finalità e della stessa essenza del sapere e
della ricerca scientifica. Il colore non è semplicemente una manifestazione della
luce, che l’osservatore riceva passivamente dall’esterno, ma è anche e soprattutto
una elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente umana, e si configura nella
armonia e completezza del rapporto uomo-Natura contro una scienza newtoniana
oppositiva, aggressiva, utilitarista e riduzionista al fatto meramente sperimentale di
un fenomeno che invece attraversa simbologia e spiritualità del nostro essere.
Goethe ritiene inammissibile ridurre la fenomenologia dei colori a solamente una
manifestazione ottica di un fenomeno fisico. La percezione dei colori è una
successione di attimi nei quali l’uomo attraverso l’occhio assiste a un fenomeno e lo
elabora con la mente percependo le differenze e le distinzioni.
La posizione di Goethe è in forte contrapposizione ad una visione strettamente
matematica della scienza, o meglio, contro la pretesa della matematica di essere
l’unico criterio di verità nella conoscenza della Natura. Contro la “nuova scienza”
Galileiana del secolo XVII, ma anche contro il razionalismo cartesiano, che aveva
offuscato lo stesso Spinoza quando questi aveva preteso di spiegare perfino l’etica
con i procedimenti logici che sono propri della geometria. La ‘scienza’ di Goethe
deve essere in grado di riconoscere la bellezza della Natura e dei suoi fenomeni
attraverso una visione organica, armonica, spirituale; una posizione di umiltà ma
anche di audacia speculativa nei confronti della conoscenza e dei saperi. La scienza
non deve essere solo quantitativa, pragmatica, utilitaristica, riduzionista e
meccanicista, ma deve essere una scienza illuminata da una vivida luce che proviene
dal nostro essere, dalla nostra spiritualità, dai nostri sentimenti.
In conclusione, citando Plotino (203/205 – 270): «La bellezza di un colore … nasce
da una forma che domina l’oscurità della materia e dalla presenza nel colore di una
luce incorporea, che è ragione e idea» [40]; «Mai un occhio vedrà il Sole senza
essere divenuto simile al Sole, né un’anima contemplerà la bellezza senza essere
divenuta bella» [41] e per aprire uno spiraglio di ‘autorevolezza’ allo scritto di
Goethe, rifuggendo da quello che è stato considerato “un serio infortunio” nell’opera
dello scrittore tedesco, la sua Teoria dei colori [42], rimarca come «I colori sono
azioni della luce, azioni e passioni» [43].
Note e bibliografia
[1] Goethe, Johann Wolfgang von 1810. Zur Farbenlehre. Tübingen: Cotta.
[2] Si tratta di una raccolta di note di Wittgenstein sulla teoria dei colori di Goethe, in contrapposizione
al pensiero del letterato tedesco e con la volontà di formulare un tentativo di chiarimento dell’uso del
linguaggio sul colore, distinguendo tra l’aspetto scientifico del fenomeno, come sviluppato da
Newton, e la fenomenologia del colore di Goethe. Wittgenstein, Ludwig 2007. Bemerkungen über die
Farben (edizione consultata, Wittgenstein, Ludwig 1978. Remarks on Colour / Bemerkungen über
die Farben. Berkeley and Los Angeles: University of California Press. Per maggiori approfondimenti
vedi: McGinn, Marie 1991. Wittgenstein’s Remarks on Colour. Philosophy, 66 (258): 435–453.
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[3] Goethe, Johann Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre. Köln: M. Du Mont Scahuberg (ed. ital. La
teoria dei colori. Milano: il Saggiatore, 1973, 2013).
[4] Mandelkow, Karl Robert 1968. Goethes Briefe. Vol. 2: Briefe der Jahre 1786-1805. Hamburg:
Christian Wegner, p. 528. «Das zentrale Axiom von Newtons Farbentheorie, daß in dem weißen,
farblosen Licht alle Farben enthalten seien (l’assioma centrale della teoria dei colori di Newton
afferma che ci sono tutti i colori nel bianco, la luce [è] incolore) ».
[5] «Aber wie verwundert war ich, als die durch's Prisma angeschaute weiße Wand nach wie vor weiß
blieb, daß nur da, wo ein Dunkles dran stieß, sich eine mehr oder weniger entschiedene Farbe zeigte,
daß zuletzt die Fensterstäbe am allerlebhaftesten farbig erschienen, indessen am lichtgrauen Himmel
draußen keine Spur von Färbung zu sehen war. Es bedurfte keiner langen Überlegung, so erkannte
ich, daß eine Gränze nothwendig sey, um Farben hervorzubringen, und ich sprach wie durch einen
Instinct sogleich vor mich laut aus, daß die Newtonische Lehre falsch sey». Goethe, Johann
Wolfgang von 1887-1919. Goethes Werke. Weimar: Hermann Böhlau. II. Abtheilung:
Naturwissenschaft lichte Schriften, Bd. 4, pp. 295–296.
[6] Rupprecht, Matthaei 1949. Über die Anfänge von Goethes Farbenlehre. In: Jahrbuch der Goethe-
Gesellschaft, 11, 1949, p. 259.
[7] Mandelkow, Karl Robert 1968. Op. cit., p. 528.
[8] Mandelkow, Karl Robert 1968. Op. cit., p. 553.
[9] Castel, Louis-Bertrand 1740. Optique des couleurs, fondée sur les simples observations et tournée
surtout à la pratique de la peinture, de la teinture, et autres arts coloristes. Paris: Briasson.
[10]Thomas L. Hankins and Robert J. Silverman 1995. Instruments and the Imagination. Princeton:
Princeton University Press.
[11]«Die Lehre dagegen, die wir mit Überzeugung aufstellen, beginnt zwar auch mit dem farblosen
Lichte, sie bedient sich äußerer Bedingungen, um farbige Erscheinungen hervorzubringen; sie gesteht
aber diesen Bedingungen Wert und Würde zu. Sie maßt sich nicht an, Farben aus dem Licht zu
entwickeln, sie sucht vielmehr durch unzählige Fälle darzutun, dass die Farbe zugleich von dem
Lichte und von dem, was sich ihm entgegenstellt, hervorgebracht werde»; Mandelkow, Karl Robert
1968. Op. cit., p. 528.
[12]«Die Goethesche Lehre von der Entstehung der Spektralfarben ist nicht eine Theorie, die sich als
ungenügend erwiesen hat, sondern eigentlich gar keine Theorie. Es läßt sich mit ihr nichts
vorhersagen. Sie ist eher ein vages Denkschema nach Art derer, die man in James’s Psychologie
findet. Es gibt auch kein experimentum crucis, das für, oder gegen diese Lehre entscheiden könnte».
Wittgenstein, Ludwig 2007: op. cit., p. I-70, IIe. Cfr.: Wittgenstein, 1978.
[13]Goethe, Johann Wolfgang von 1995. Scientific Studies. In: Miller, Douglas. The Collected Works,
Vol. 12, p. 57. Princeton: Princeton University Press.
[14]Seamon, David e Arthur Zajonc (eds.) 1998. Goethe’s Way of Science: A Phenomenology of Nature.
Albany: State University of New York Press.
[15]Goethe, Johann Wolfgang von 1792. Trad. inglese: The experiment as mediator between subject and
object. In: Goethe. Scientific studies edited and translated by Douglas Miller, vol. 12. New York:
Suhrkamp Publisher, 1988.
[16]Steiner, Rudolf 1897. Goethes Weltanschauung. Wiemar: Emil Felber.
[17]Goethe, 2013, op. cit., § 502, p. 134.
[18]Conversations de Goethe avec Eckermann (intervista del 19 febbraio 1829), trad. francese di Jean
Chuzeville (1930), Paris, Gallimard 1949; 1988, p. 285.
[19]Gespräche mit Goethe in den letzen Jahren seines Lebens 1823-1832. Leipzig: Brockhaus, vol. I & II
1836; Magdeburg: Heinrichshofen, vol. III 1848. Per la citazione si è fatto riferimento alla traduzione
francese di Chuzeville del 1930, op. cit., p. 176. Si veda anche l’edizione a cura di Luca Bianco, con
trad. di Ada Vigliani, Conversazioni con Goethe. Torino: Einaudi, 2008.
[20]Cfr. “Vues générales internes”, in Traité des Couleurs, trad. francese di Henriette Bideau, Paris:
Triades, 1973. L’opera contiene la prefazione di Rudolf Steiner, del quale si può leggere l’eccellente
opera scritta con “lo spirito” del suo predecessore: La science de l’occulte, trad. francese di H. & R.
Waddington, Paris: Triades, 1976.
[21]Goethe, 2013, op. cit., § 748 e § 750, pp. 185-86.
[22]Cox, Gareth 2004. Blumengruß and Blumenglöcken: Goethe’s Influence on Anton Webern. In: Byrne,
Lorraine (edited by) 2004. Goethe: Musical Poet, Musical Catalyst. Dublin: Carysfort Press Book,
pp. 203-224.
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[23]Sulla storia dei colori, la teoria di Goethe, e sulla distinzione tra colori fisiologici, fisici e chimici, si
veda anche l’articolo di Manlio Brusatin, “Colori (storia dell’arte)”: «Un’opposizione radicale, di
natura non scientifica, nell’ottica di Newton si manifesta con l’apparizione della Teoria dei colori
(Farbenlehre, 1810). In quest’opera, Goethe si oppone deliberatamente al carattere primario della
luce bianca ed al carattere secondario delle sensazioni cromatiche. Negandogli una natura astratta, di
fatto manifesta il suo interesse per la ricostruzione di una fisiologia della visione, la quale passa dalla
soggettività partecipante di chi percepisce e l’apprezzamento dei colori fisici confrontati con i nuovi
colori chimici. Per riassumere le posizioni di Goethe, si può dire che lui avrebbe voluto stabilire un
fondamento dialettico per la “forma” della percezione dei colori, prima di contestare la pretesa unità
del bianco newtoniano. Dato che il colore è indifferentemente legato alla luce e all’oscurità (il chiaro,
bianco, lo scuro, nero), è la sua miscela, il grigio, che riassume e fonde in se stesso tutti gli altri
colori. Goethe spiegherà che i colori possono essere fisiologici: si tratta di colori soggettivi, il cui
unico intermediario è il soggetto che li percepisce; fisici: colori soggettivi o oggettivi di intensità
variabile e passeggera, che si ottiene per interposizione di corpi trasparenti o traslucidi; chimici: solo
colori oggettivi, si fissano su corpi e sostanze di diversa natura o sono estratti da loro» in
Encyclopaedia Universalis, vol. 6, 1997.
[24]Ribe, Neil and Friedrich Steinle 2002. Exploratory Experimentation: Goethe, Land, and Color
Theory. Physics Today, 55 (7), 43.
[25]Goethe, Johann Wolfgang von 1809. Farbenkreis zur Symbolisierung des menschlichen Geistes- und
Seelenlebens“. «Jeder Farbe wird eine menschliche Eigenschaft zugeordnet (...). Im inneren Ring: rot
– ‘schön’, gelbrot – ‘edel’, gelb – ‘gut’, grün – ‘nützlich’, blau – ‘gemein’, blaurot – ‘unnöthig’».
[26]“Diottrica, Meteore, Geometria”, in René Descartes, Opere scientifiche, II, a cura di E. Lojacono.
Torino: UTET, 1983.
[27]Newton, Isaac 1704. Op. cit., Book I, Part. II, Plate III, Fig. 11.
[28]Runge, Philipp Otto 1810. Farben-Kugel oder Construction des Verhältnisses aller Mischungen der
Farben zueinander, und ihrer vollständigen Affinität, mit angehängtem Versuch einer Ableitung der
Harmonie in den Zusammenstellungen der Farben. Hamburg: Friedrich Perthes.
[29]Cfr.: Joseph Priestley (1733 - 1804), The history and present state of discoveries relating to vision,
light and colours. London: J. Johnson, 1772.
[30]Lehrs, Ernst 2004. Man or Matter. Introduction to a Spiritual Understanding of Nature on the Basis
of Goethe’s Method of Training Observation and Thought. Project Gutenberg eBook. Il ruolo attivo
dei sensi nella visione dei colori si rivelò, comunque, una intuizione scientificamente valida, come
dimostrarono i risultati delle ricerche condotte nell'Ottocento, da Thomas Young (1773 - 1829) e
Charles Maxwell (1831 - 1879).
[31]Stephenson, R. H. 1995. Goethe’s Conception of Knowledge and Science. Edinburgh: Edinburgh
University Press.
[32]Goethe, 2013, op. cit., Prefazione, p. 7.
[33]Newton, Isaac 1704. Opticks or, A treatise of the Reflections, Refractions, Inflexions and Colours of
Light, Also Two treatises of the Species and Magnitude of Curvilinear Figures. London: printed for
Sam. Smith, and Benj. Walford, Printers to the Royal Society.
[34]Argan, Giulio Carlo 2013. In Goethe, Johann Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre. Köln: M. Du
Mont Scahuberg (ed. ital. La teoria dei colori. Milano: il Saggiatore, 1973, 2013), p. XVII.
[35]Argan, Giulio Carlo 2013, op. cit., p. XVIII.
[36]Sepper, Dennis L. 2007. Goethe contra Newton: Polemics and the Project for a New Science of
Color. Cambridge: Cambridge University Press.
[37]Mandelkow, Karl Robert 1976. Goethes Briefe. Vol. 4: Briefe der Jahre 1821-1832. München: C. H.
Beck, p. 622. «Wie die Anfänge von Goethes Beschäftigung mit der Farbenlehre veranlaßt waren
durch die Frage nach dem Kolorit in der Malerei (...), so war die Anteilnahme bildender Künstler an
seinen Farbenstudien für Goethe eine hochwillkommene Bestätigung des von ihm Gewollten, wie er
sie vor allem von Philipp Otto Runge erfahren hat».
[38]Bockemuhl, M. 1991. Turner. Köln: Taschen.
[39]Rowley, Alison 2002. Kandinskii’s theory of colour and Olesha’s Envy. Canadian Slavonic Papers,
Vol. 44, No. 3-4, pp. 251-261.
[40]Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, III.
[41]Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, IX.
[42]Troncon, Renato 2013. Goethe e la filosofia del colore. Appendice a: Goethe, 2013, op. cit., p. 221.
[43]Goethe, 2013, op. cit., Prefazione, p. 5.