18 bellini et atelier la déploration sur le christ mort_bondetti
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1. GIOVANNI BELLINI (1433-1516)
Madonna con Bambino e i santi Nicola, Pietro, Benedetto e Marco (Trittico dei Frari)
Venezia, Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
Il dipinto si trova tuttora nel luogo per il quale fu concepito, ossia la cappella Pesaro nella sagrestia della basilica di S. Maria
Gloriosa dei Frari, in origine sede dei francescani conventuali e scrigno d'arte e di memorie della Repubblica di Venezia.
L'opera, in formato di trittico, è firmata e datata sul gradino del trono nel pannello centrale: «IOANNES BELLINVS. F.
1488», data confermata anche sul retro della tavola - 15 febbraio 1488 - ancorché da intendersi more veneto, cioè 1489.
L'iscrizione sulla lastra dichiara che la tomba associata all'altare è di Franceschina Tron e che i figli ne furono i committenti.
Se la committenza onora la memoria di Franceschina, il dipinto contiene al suo interno i santi omonimi/eponimi dei figli e
del marito, Nicola e Pietro a destra, Benedetto e Marco a sinistra. Nel panello centrale la Madonna si erge seduta sul trono
con il Bambino, in posizione preminente, mentre pù in basso, inchinati sui gradini del podio, stanno due angeli musicanti.
I riferimenti precisi e molteplici al culto mariano, specie al dogma della Immacolata Concezione, contenuti nell'opera di
Giovani Bellini sono stati puntualmente analizzati e contestualizzati da Rona Goffen, in un saggio fondamentale del 1986.
Il trittico dei Frari costituisce allo stesso tempo il punto d'arrivo e un momento di svolta per l'arte veneziana, da una parte
l'ossequio alla formula del paliotto ligneo, dall'altro un rinnovato passo nella pittura belliniana, e nell'evoluzione della pala
d'altare dopo i trittici della Carità e il polittico di S.Vincenzo Ferrer (a). Il dipinto di Giovanni Bellini si differenzia infatti
dai suoi immediati predecessori, in cui i santi appaiono nettamente delimitati da elaborate cornici gotiche, che separano
nettamente gli spazi di ogni pannello, dimostrando una concezione unitaria. Qui la cornice dorata, forse progettata dallo
stesso Bellini, è sia architettura fittizia, ciborio o sezione verticale di una chiesa, con stretti richiami alla venezianità dei
mosaici marciani, che luogo di dialogo e passaggio tra il mondo reale dell'osservatore e la visione sacra dipinta, che è resa
più accessibile e familiare. La scena è inondata da una luce calda e diffusa, che promana dalle due aperture laterali aperte su
un arioso paesaggio veneto, anticipando i tempi con certe soluzioni pittoriche "tonalistiche". La pala di Bellini ai Frari offre
una formula di grande ingegnosità ma di gusto piuttosto arcaico, quasi un nostalgico revival gotico (dettato da ragioni di
committenza o forse dal contesto) che non avrà seguito a Venezia, a differenza della Pala di san Giobbe, realizzata invece
per i francescani osservanti. Ricordato da Vasari e Ridolfi, il trittico ebbe un buon riscontro nella letteratura ottocentesca,
specie nei resoconti di viaggiatori stranieri che transitarono per Venezia, da John Ruskin (1844) a Hyppolite Taine (1864),
un riscontro che sancirà la fortuna di Giovanni Bellini e eleverà, in particolare, il Trittico dei Frari tra i capisaldi della
pittura veneziana, al pari della Pala di san Zaccaria e quella di San Giobbe (b).
Notizie tratte da: Giovanni C.F. Villa, «Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari: Il Trittico dei Frari», in: Bellini a
Venezia, Milano 2008, pp. 125-139 (con bibliografia).
(a) Polittico di S.Vincenzo Ferrer (Venezia, S. Zanipolo) (b) Pala di S.Giobbe (Venezia, Gallerie dell'Accademia)
2. CENNI STORICO-ARTISTICI SULLA SAGRESTIA E LA CAPPELLA PESARO.
La sagrestia costituisce oggi uno delle ambienti più antichi e caratteristici del complesso, edificata quando ancora esisteva la
seconda chiesa e mentre si costruiva la terza, ossia quella attuale. In origine si trattava di una sala rettangolare larga più di 8
metri e profonda quanto il transetto con le absidi, cioè circa 21 metri. Mentre la basilica gotica era ancora in costruzione,
nel 1478 la famiglia Pesaro di San Beneto (San Benedetto) chiese di poter usare una parte della sagrestia come cappella
funebre per Franceschina Tron, seconda moglie di Pietro Pesaro e madre di Benedetto, Nicolò e Marco. I frati accolsero
favorevolmente la richiesta e la sagrestia venne quindi modificata con l'aggiunta di un'abside pentagonale, con tre grandi
finestre ogivali, raggiungendo gli attuali 31 metri di lunghezza. La cappella funebre – proprietà privata e personale della
famiglia Pesaro – onora la sepoltura di «FranceschinaeTron pientissimae matri», morta nel 1478, come recita l'epitaffio sulla
lastra tombale nel pavimento davanti all'altare, e quella successiva del marito Pietro. Inoltre sembra molto probabile che
che il sacello fosse dotato di una balaustra o meglio di una cancellata metallica per separarlo dalla segrestia vera e propria,
come è d'altronde usuale in molte altre cappelle funebri dell'epoca, veneziane e non.
Le pareti della cappella Pesaro erano in origine interamente affrescate, benché oggi rimangano solo pallidi lacerti, Sulla
volta si riconoscono gli Evangelisti, mentre per le decorazioni murali furono preferiti dei fregi ornamentali bicromi, che
forse dovevano incorniciare altre decorazioni scultoree (forse sepolture murali) o pittoriche, ora affatto perdute. L'unico
elemento degno di nota tuttora conservato dell'originaria decorazione parietale è un Arcangelo Gabriele e una Madonna
Annunciata ai lati dell'arco d'ingresso; opera di incerta attribuzione e avvicinata ai modi di Jacopo Parisati da Montagnana.
All'epoca la sagrestia era inoltre arredata con banchi e panche in legno attribuite a Pierantonio dell'Abate, continuatore
della scuola dei Canozi di Lendinara. Per quanto ne sappiamo dovevano essere dei manufatti lignei di pregevole fattura,
probabilmente presi a modello da quelli realizzati nella Basilica di Sant'Antonio a Padova. Nel 1497, dopo una visita ai
Frari, Arnold von Harff (1471-1505), pellegrino e viaggiatore tedesco, passando per Venezia alla volta di Alessandria
d'Egitto, scrisse che «la sagrestia contiene degli stalli corali di legno intagliato, i più mirabili che si possa vedere».
Attualmente, oltre al cosiddetto Trittico dei Frari di Giovanni Bellini si possono osservare altri dipinti, aggiunti in epoche
successive: sulla parete sinistra della cappella una Susanna tra i vecchioni della scuola del Piazzetta e un Agar nel deserto di
Giambattista Pittoni, mentre a destra una Adorazione dei Magi attribuita al pennello di Sebastiano Ricci.
3. BIBLIOGRAFIA SPECIFICA: H. Taine, Voyage en Italie, Paris 1866, III, p. 103; G. Toscano, «Giovanni Bellini et la
France (XVI-XX siècles): les alèas d'une reconnaissance», in Da Bellini a Veronese. Temi di arte veneta , a cura di G.
Toscano-F. Valcanover, Venezia 2004, pp. 349-400; P. Humfrey, The Cambridge Companion to Giovanni Bellini ,
Cambridge 2004; M. Lucco, Venezia, in La pittura nel Veneto: Il Quattrocento, Milano 1990, II, p. 458, G. Robertson
Giovanni Bellini, Oxford 1968, p. 88; C. Gamba, Giovanni Bellini: con 200 tavole, Milano 1937, pp. 125-126; L.
Finocchi Ghersi, Il Rinascimento veneziano di Giovanni Bellini , Venezia 2003, p. 80; J.A. Crowe-G.B. Cavalcaselle, A
History of painting in North Italy, London 1871, I, p. 167; O. Pächt, La pittura veneziana del Quattrocento: i Bellini e
Andrea Mantegna, a cura di Margareta Vyoral-Tschapka, Michael Pächt, pp. 226-227. R. Goffen, Devozione e
committenza: Bellini, Tiziano e i Frari , Venezia 1991; F. Heinemann, Bellini e i belliniani, Venezia 1962, p. 34; R.
Pallucchini, Giovanni Bellini, Venezia 1961; A. Tempestini, Giovanni Bellini, Milano 1997.