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I GIORNI
DECISIVI
MERCOLEDÌ
16 DICEMBRE 2009 7
il summit
Nelnuovodocumento
presentatodallaDanimarca
mancanoriferimentiprecisi
sullariduzionedel
riscaldamentoclimatico,sui
taglidelleemissionidiCO2
esugliaiutiglobaliaiPaesiinvia
disviluppo.Ieriunalunga
teleconferenza
traObama,
Sarkozy,
MerkeleBrown
sull’andamento
delletrattative
Christiania,nottedibotteeincendi
DA COPENAGHEN
el campo di battaglia esploso nella
notte di lunedì, con gli scontri tra
polizia danese e oppositori conclu-
si con 200 fermi, quasi non c’è più traccia.
Nella città libera di Christiania, la storica
comunitàhippyfondatanel1971inuncam-
podicasermeabbandonatetuttiparlanodi
un intervento duro della polizia, ma nessu-
no di feriti, né di brutalità. Tutto è comin-
ciato durante una festa orgazzata dal
networkReclaimPowerinunadelle“bar-
rack”dopouninterventodiNaomiKlein,
lascrittricecanadesediventataiconadei
no global.
«C’era musica e l’atmosfera era assolu-
tamente rilassata – raccontano – il dj ad
uncertopuntohaavvertitochefuoric’e-
ra la polizia. Dopo un po’ un altro an-
nuncio, ma tutto è rimasto ancora mol-
to calmo. Poi però abbiamo sentito l’o-
dore dei lacrimogeni e la gente ha co-
D
minciatoadandarsene.Quandosonousci-
tohovistocheeravamocircondati».Unrac-
conto che coincide con quello del brasilia-
noGustavo,trentunennefunzionariodiun
Programma per il bacino del Rio Negro in
Amazzonia dell’Istituto Socioambiental di
Brasilia. «La musica si è fermata due volte –
racconta–masiamoandatiavantiafarefe-
sta. Quando si è sentito l’odore dei lacri-
mogeni la gente è uscita. Ma c’erano poli-
ziotti dappertutto. In fondo alla strada era
pieno, bloccavano tutto e si facevano sotto.
QuellidiChristianiahannofattounabarricatainmezzoallastra-
da e le hanno dato fuoco per evitare che partisse la carica. Noi
ci siamo nascosti, ma alla fine siamo dovuti passare attraverso
un posto di blocco. Ci hanno chiesto i documenti e alla fine ci
hanno lasciato andare».
Per i poliziotti impiegati sul campo, ad attaccare sono stati per
primi i black bloc. E 200 persone sono state portate via, con i
polsi legati dai lacci di plastica dietro la schiena. La polizia da-
nesehafermatoilportavocedelgruppoClimateJusticeAction,
il tedesco Tadzio Muller. E in attesa dell’arrivo dei capi di stato
la Polizia ha deciso di alzare al massimo il livello di sicurezza.
Gli scontri dell’altra notte a Christiania (Epa)
Èstalloalverticesulclima:
«Labozzarestainbianco» L’interno del Bella Center,teatro della conferenza sul clima in corso a Copenaghen (Ap)
DI PAOLO M.ALFIERI
asterebbe un dato per capire quanto
lunga e tortuosa sia ancora la strada
versounaccordosulclimaaCopena-
ghen:sullanuovabozzadiconclusionipredi-
sposta dalla Danimarca circolata ieri non c’è
una sola cifra, un solo dettaglio su quelle che
da tutti – Paesi grandi e piccoli, industrializ-
zati ed emergenti – venivano indicate alla vi-
gilia come le questioni-chiave del summit.
Spariti i numerini sulla riduzione del riscal-
damento climatico; non pervenuto l’am-
montare dei tagli alle emissioni di C02; nes-
sun accenno circostanziato agli stanziamen-
ti per i Paesi in via di sviluppo. Certo, nei vari
gruppidilavoroquestinodisonoall’ordinedel
giorno dei ministri dell’Ambiente, ma per o-
ra la speranza di arrivare a un’intesa globale
entro venerdì – giorno di chiusura della con-
ferenza sul clima – è e resta, appunto, solo u-
na speranza.
La vaghezza della nuova bozza è la fotografia
dell’incertezza di un negoziato a porte chiu-
B se che procede tra polemiche e scambi di ac-
cuse. A scontrarsi due opposte visioni e al-
meno quattro blocchi regionali: da una parte
c’è chi vorrebbe un trattato unico e comples-
sivo che, alla scadenza del Protocollo di Kyo-
to nel 2012, vincoli tutti i Paesi con impegni
precisi; dall’altro c’è chi lavora per un aggior-
namento limitato di Kyoto, che prevede im-
pegni per i soli Paesi industrializzati che lo
hannosottoscritto(egliUsa,peresempio,ne
sono fuori). A frenare su nuovi impegni vin-
colanti ci sono anzitutto i due grandi inqui-
natori, Cina e Stati Uniti, divisi però sulle ve-
rificheinternazionalisulleemissioni,chePe-
chino respinge.
Divisioni sugli obiettivi, dunque, ma anche
divisioni regionali e strategiche:Washington,
Pechino,UnioneeuropeaePaesiinviadisvi-
lupporappresentano,infatti,quattromodidi-
stinti di affrontare la questione clima. Anche
se si fa largo una convergenza tra Bruxelles e
l’Africa, rinsaldata ieri da un incontro tra il
presidente francese Nicolas Sarkozy e il pre-
mier etiope Melles Zenawi. «L’alleanza tra A-
fricaedEuropaèassolutamentecruciale»,ha
detto Sarkozy, e Melles gli ha fatto eco soste-
nendo che c’è «comprensione quasi totale»
con la Ue, soprattutto sull’obiettivo di otte-
nerechel’aumentodellatemperaturanonsia
superiore ai 2 gradi. Per l’Africa, in particola-
re, la «morte» del Protocollo di Kyoto signifi-
cherebbe il fallimento di Copenaghen e una
minaccia al proprio futuro.
Da parte loro gli Stati Uniti hanno fatto sape-
re di non avere intenzione di rivedere al rial-
zo i loro obiettivi di riduzione di emissioni di
gas serra. La proposta di Barack Obama pre-
vedeuntagliodelleemissionidiCO2del17%
entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. L’U-
nione europea sostiene che aumenterà i suoi
obiettivi solo se Washington dovesse fare lo
stesso, presentando a Copenaghen – dove O-
bama è atteso venerdì – un’offerta più ambi-
ziosa. Anche Pechino, peraltro, ha fatto sape-
re di non aver intenzione di mettere i suoi o-
biettivi(riduzionedi«intensitàcarbonica»del
40%entroil2020)indiscussione.«Ilprincipale
problemaèchenègliStatiUnitinèlaCinain-
tendonofareunpassoinavanti.Tuttieduevo-
gliono mantenere aperte tutte le opzioni fino
all’ultimominuto»,hachiosatoilministrote-
desco dell’Ambiente Norbert Rottgen.
Per fare il punto sui negoziati, Sarkozy, Oba-
ma, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il
premierbritannicoGordonBrownsisonoin-
trattenutiieripomeriggioper50minutiinte-
leconferenza. Ad anticiparli, lo scetticismo
sui risultati di Copenaghen sia del presiden-
te della Commissione europea Josè Manuel
BarrosochedelpresidenterussoDmitrijMed-
vedev.«Nonsosesiriusciràatrovareun’inte-
sa sul cosiddetto accordo vincolante sulle e-
missioni», ha ammesso Medvedev. «Questa è
una conferenza dell’Onu ed è necessario che
tuttelapartigiunganoadunaccordo»,haco-
munque ribadito ieri con forza Connie He-
degaard,ilministrodanesedelClimaepresi-
dente della conferenza di Copenaghen. «Sia-
moquiperscrivereunfuturodiversodelmon-
do», ha sottolineato il segretario delle Nazio-
ni Unite, Ban Ki-moon. Chissà se i grandi del
mondo alla fine gli daranno retta.
Sirinforzal’asseUe-Africa,mapesailvetoincrociatodiUsaeCina
Washington:«Nonrivedremoalrialzo
inostriobiettivi».Germania
preoccupata:néPechinonégliStati
Unitivoglionofareunpassoavanti
AncheMedvedevèscetticosull’accordo
GLI ATTIVISTI
IN 50MILA DICONO «NO»AL NUCLEARE
FOCSIV:«NON SI ESCLUDANO LE ONG»
Le organizzazioni riunite nella campagna
internazionale «Don’t nuke the climate» hanno
consegnato a Copenaghen, ai delegati dei
governi presenti, 50mila firme e una cartolina
gigante per chiedere che il nucleare sia escluso
dall’accordo sul clima che verrà sottoscritto al
vertice. L’appello delle Ong, tra cui l’italiana
Legambiente, è stato sottoscritto da figure di
spicco del mondo ambientalista nonchè da due
ex ministri dell’Ambiente francesi,Yves Cochet e
Corinne Lepage e dal deputato europeo Josè
Bovè, leader del movimento no global.
L’accordo post-2012 per la riduzione dei gas
serra su larga scala, sottolineano gli attivisti, è
una grande sfida dove «non c’è posto alcuno per
l’atomo». Intanto ieri il segretario generale della
Focsiv Sergio Marelli ha criticato la decisione di
restringere gli accessi delle Ong al vertice di
Copenaghen. «Il piano di restrizione scattato
per contingentare le entrate dei delegati delle
Ong fino a venerdì al Bella Center, la sede del
quindicesimoVertice Onu, è un’azione
antidemocratica e ingiusta», ha detto Marelli.
«Queste restrizioni – ha proseguito – rischiano
gravemente di marginalizzare la voce della
società civile che rappresenta un attore
fondamentale in questo processo».
l’intervista «Occorreuniretradizioneenuovetecniche»
DI DANIELE ZAPPALÀ
ono ottimista sull’esito com-
plessivo del processo di Cope-
naghen, poiché molti Paesi so-
prattuttoinviadisviluppopercepisconoog-
gichiaramenteunasituazionedicrisi.Enel-
le fasi di crisi, si finisce per ragionare collet-
tivamente». L’ingegnere indiano Rajendra
Shende guida la divisione di Unep (Pro-
gramma dell’Onu per l’ambiente) concen-
trata sul trasferimento tecnologico ai Paesi
in via di sviluppo ed è stato un artefice sul
campo del successo del Protocollo di Mon-
trealcontroilbuconell’ozono:proprioilpat-
toambientalechemoltiindicanooggicome
unmodellodaseguireneinegoziatialsum-
mit di Copenaghen.
Il trasferimento tecnologico sarà davvero
centralenelprocessodelletrattativediCo-
penaghen?
Certamente. Innanzitutto, perché occorro-
no tecnologie alternative adattate a ogni
contestoperridurreleemissioni,dall’usodi
fontienergetichemenoinquinantiallaque-
stione dell’efficienza energetica. Su que-
st’ultimo fronte, ad esempio, basterebbe
promuovereinCinaeIndial’utilizzodilam-
padine di nuova generazione per ottenere
S«
risultati storici. In Brasile, invece, servono
pratiche migliori di gestione delle foreste.
Ma in molti Paesi occorrono già anche tec-
nologie per l’adattamento a condizioni cli-
matiche più difficili. Si pensi solo al cam-
biamento delle tecniche agricole o a quelle
per l’utilizzo ottimale dell’acqua.
Quale logica di fondo accompagna l’assi-
stenza dei Paesi poveri in questa sfida?
Vi sono ragioni storiche e circostanze con-
tingenti odierne. Le prime riguardano l’im-
perativo etico di sostenere dei Paesi che su-
biscono talora già le conseguenze del cam-
biamento climatico senza aver giocato un
ruolo significativo nelle emissioni. A livello
negoziale,ciòpuòtradursinelprincipioper
il quale paga chi ha inquinato, applicato già
nel Protocollo di Montreal. Inoltre, soprat-
tutto in Africa, le priorità stringenti restano
l’alimentazione, la sanità e gli altri servizi di
base. Mancano fondi significativi da desti-
nareallalottaalcambiamentoclimatico,no-
nostante i suoi effetti visibili. Dato il livello
deibisogniedelledevastazionipreviste,non
è esagerato confrontare la situazione attua-
leincertiPaesiconquelladell’Europadopo
la Seconda guerra mondiale. Proprio per
questo,occorreoggiunasortadipianoMar-
shall per il cambiamento climatico.
Fino a che punto i governi dei Paesi in via
di sviluppo sono coinvolti nel processo?
Fino al 1992 c’era scarsa attenzione, ma ne-
gli ultimi anni vi è stata un’eccezionale pre-
sa di coscienza. Gli esempi della Cina e del-
l’Indiasonolampanti.Entrambihannolan-
ciato un piano d’azione nazionale contro il
cambiamentoclimatico,allorquandononè
il caso in molti Paesi più industrializzati. Si
ècompresochesitrattadiunproblemache
tocca il cittadino qualunque, dato che ri-
guardal’agricoltura,ladisponibilitàd’acqua
potabile, la salute. Si pensi anche alle azio-
nisimbolicheorganizzatenelleMaldive,con
un consiglio dei ministri subacqueo o nel
Nepal, in alta quota, dove è visibile lo scio-
glimento dei ghiacciai.
Le tecniche tradizionali potranno allearsi
con le nuove tecnologie?
Èunpuntocruciale.DaglianniOttanta,con
la rivoluzione tecnologica in molti Paesi in
via di sviluppo, molti saperi tradizionali so-
nostatiaccantonati.Eppure,essioffronoin-
finitiesempieccezionalidiadattamentodel-
le popolazioni ai contesti locali e climatici.
Penso, ad esempio, alle tecniche di costru-
zione tradizionali sviluppate in Egitto nelle
aree desertiche. Esse richiedono un appor-
to minimo di energia. È proprio da un’al-
leanzafraquestisaperielemodernetecno-
logie che potrà nascere in molti Paesi lo sti-
le di vita dei prossimi decenni. Ma la chia-
ve, a mio avviso, sarà l’appetibilità econo-
mica che dovrà essere creata attorno ad o-
gni tecnica.
Alcontempo,leprospettiveditrasferimen-
tofinanziarioetecnologicopaionominac-
ciate dalla recessione…
La recessione è talora invocata come scusa
pernonagire,certo.MaileaderdimoltiPae-
si hanno già compreso che la recessione è
pure un’opportunità. Perché è esattamente
la fase migliore per cambiare i modelli na-
zionali di sviluppo e in proposito abbiamo
già segnali incoraggianti. Nel 2008, ad e-
sempio,ilsettoredelleenergierinnovabilisi
è sviluppato su scala mondiale considere-
volmente e non sembra conoscere la crisi.
Rajendra Shende
RajendraShende,dirigente
diUnep:«Lachiaveper
salvarel’ambientesarà
l’appetibilitàeconomica
diognitecnologia.Però
mancanoancoraifondi»
l’allarme InSudafricailMondialedell’inquinamento
DI IVO ROMANO
e ci si mette pure il calcio
il Pianeta non ha più
speranze. Fortuna che è
roba di un mesetto, giorno più
giorno meno. Poi il football
tornerà a produrre danni nella
norma. Ma in quel mese ne farà di enormi, ben
più che in precedenti occasioni. Non che sia
colpa del calcio in quanto tale, piuttosto è colpa
di un evento che si tiene ogni 4 anni, la Coppa
del Mondo. Certo, però, che l’inquinamento che
sarà prodotto dal Mondiale sudafricano non ha
paragoni con eventi del genere. Rispetto a 4
anni fa, quando fu la Germania a ospitarlo,
siamo a livelli di inquinamenti ben 9 volte
superiori. Che si riducono al doppio se il
termine di paragone è rappresentato dalle
Olimpiadi di Pechino: mica poco, se è vero come
è vero che la Cina è uno dei due Paesi (insieme
agli Stati Uniti) che più contribuiscono
S
all’inquinamento. I dati
previsti parlano chiaro: i gas
serra prodotti saranno pari a
2,75 milioni di tonnellate,
contro l’1,8 milioni delle
ultime Olimpaidi. Poco o nulla
a che fare col calcio giocato,
naturalmente. Molto (o tutto),
invece, con i trasporti necessari per la
competizione iridata. Perché il 67 per cento
delle emissioni nocive sarà determinato dai voli
necessari a trasportare squadre e tifosi in
Sudafrica, mentre un altro 18 per cento sarà
dovuto ai voli tra le diverse città del Paese
ospitante (in sostanza, i trasporti incideranno
sull’85 per cento del totale delle emissioni di gas
serra). A Copenaghen s’è parlato anche di
questo argomento. Alcuni Paesi (innanzitutto,
Uruguay, Corea e Serbia) si sono detti d’accordo
a compensare le emissioni nocive, altri stanno
considerando il problema. Perché il calcio non
diventi fonte d’inquinamento. I Mondiali di calcio in Sudafrica si disputeranno nel giugno 2010
Iltorneodicalciodel
2010avràunimpatto
dinovevoltesuperiore
aquellodel2006:colpa
soprattuttodeitrasporti
Scontri tra no-global e polizia
nello storico quartiere
alternativo:duecento i fermati
«Gli agenti ci hanno attaccato
senza alcuna provocazione»
Bloccato il portavoce del
gruppo Climate JusticeAction

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QuellidiChristianiahannofattounabarricatainmezzoallastra- da e le hanno dato fuoco per evitare che partisse la carica. Noi ci siamo nascosti, ma alla fine siamo dovuti passare attraverso un posto di blocco. Ci hanno chiesto i documenti e alla fine ci hanno lasciato andare». Per i poliziotti impiegati sul campo, ad attaccare sono stati per primi i black bloc. E 200 persone sono state portate via, con i polsi legati dai lacci di plastica dietro la schiena. La polizia da- nesehafermatoilportavocedelgruppoClimateJusticeAction, il tedesco Tadzio Muller. E in attesa dell’arrivo dei capi di stato la Polizia ha deciso di alzare al massimo il livello di sicurezza. Gli scontri dell’altra notte a Christiania (Epa) Èstalloalverticesulclima: «Labozzarestainbianco» L’interno del Bella Center,teatro della conferenza sul clima in corso a Copenaghen (Ap) DI PAOLO M.ALFIERI asterebbe un dato per capire quanto lunga e tortuosa sia ancora la strada versounaccordosulclimaaCopena- ghen:sullanuovabozzadiconclusionipredi- sposta dalla Danimarca circolata ieri non c’è una sola cifra, un solo dettaglio su quelle che da tutti – Paesi grandi e piccoli, industrializ- zati ed emergenti – venivano indicate alla vi- gilia come le questioni-chiave del summit. Spariti i numerini sulla riduzione del riscal- damento climatico; non pervenuto l’am- montare dei tagli alle emissioni di C02; nes- sun accenno circostanziato agli stanziamen- ti per i Paesi in via di sviluppo. Certo, nei vari gruppidilavoroquestinodisonoall’ordinedel giorno dei ministri dell’Ambiente, ma per o- ra la speranza di arrivare a un’intesa globale entro venerdì – giorno di chiusura della con- ferenza sul clima – è e resta, appunto, solo u- na speranza. La vaghezza della nuova bozza è la fotografia dell’incertezza di un negoziato a porte chiu- B se che procede tra polemiche e scambi di ac- cuse. A scontrarsi due opposte visioni e al- meno quattro blocchi regionali: da una parte c’è chi vorrebbe un trattato unico e comples- sivo che, alla scadenza del Protocollo di Kyo- to nel 2012, vincoli tutti i Paesi con impegni precisi; dall’altro c’è chi lavora per un aggior- namento limitato di Kyoto, che prevede im- pegni per i soli Paesi industrializzati che lo hannosottoscritto(egliUsa,peresempio,ne sono fuori). A frenare su nuovi impegni vin- colanti ci sono anzitutto i due grandi inqui- natori, Cina e Stati Uniti, divisi però sulle ve- rificheinternazionalisulleemissioni,chePe- chino respinge. Divisioni sugli obiettivi, dunque, ma anche divisioni regionali e strategiche:Washington, Pechino,UnioneeuropeaePaesiinviadisvi- lupporappresentano,infatti,quattromodidi- stinti di affrontare la questione clima. Anche se si fa largo una convergenza tra Bruxelles e l’Africa, rinsaldata ieri da un incontro tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e il pre- mier etiope Melles Zenawi. «L’alleanza tra A- fricaedEuropaèassolutamentecruciale»,ha detto Sarkozy, e Melles gli ha fatto eco soste- nendo che c’è «comprensione quasi totale» con la Ue, soprattutto sull’obiettivo di otte- nerechel’aumentodellatemperaturanonsia superiore ai 2 gradi. Per l’Africa, in particola- re, la «morte» del Protocollo di Kyoto signifi- cherebbe il fallimento di Copenaghen e una minaccia al proprio futuro. Da parte loro gli Stati Uniti hanno fatto sape- re di non avere intenzione di rivedere al rial- zo i loro obiettivi di riduzione di emissioni di gas serra. La proposta di Barack Obama pre- vedeuntagliodelleemissionidiCO2del17% entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. L’U- nione europea sostiene che aumenterà i suoi obiettivi solo se Washington dovesse fare lo stesso, presentando a Copenaghen – dove O- bama è atteso venerdì – un’offerta più ambi- ziosa. Anche Pechino, peraltro, ha fatto sape- re di non aver intenzione di mettere i suoi o- biettivi(riduzionedi«intensitàcarbonica»del 40%entroil2020)indiscussione.«Ilprincipale problemaèchenègliStatiUnitinèlaCinain- tendonofareunpassoinavanti.Tuttieduevo- gliono mantenere aperte tutte le opzioni fino all’ultimominuto»,hachiosatoilministrote- desco dell’Ambiente Norbert Rottgen. Per fare il punto sui negoziati, Sarkozy, Oba- ma, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premierbritannicoGordonBrownsisonoin- trattenutiieripomeriggioper50minutiinte- leconferenza. Ad anticiparli, lo scetticismo sui risultati di Copenaghen sia del presiden- te della Commissione europea Josè Manuel BarrosochedelpresidenterussoDmitrijMed- vedev.«Nonsosesiriusciràatrovareun’inte- sa sul cosiddetto accordo vincolante sulle e- missioni», ha ammesso Medvedev. «Questa è una conferenza dell’Onu ed è necessario che tuttelapartigiunganoadunaccordo»,haco- munque ribadito ieri con forza Connie He- degaard,ilministrodanesedelClimaepresi- dente della conferenza di Copenaghen. «Sia- moquiperscrivereunfuturodiversodelmon- do», ha sottolineato il segretario delle Nazio- ni Unite, Ban Ki-moon. Chissà se i grandi del mondo alla fine gli daranno retta. Sirinforzal’asseUe-Africa,mapesailvetoincrociatodiUsaeCina Washington:«Nonrivedremoalrialzo inostriobiettivi».Germania preoccupata:néPechinonégliStati Unitivoglionofareunpassoavanti AncheMedvedevèscetticosull’accordo GLI ATTIVISTI IN 50MILA DICONO «NO»AL NUCLEARE FOCSIV:«NON SI ESCLUDANO LE ONG» Le organizzazioni riunite nella campagna internazionale «Don’t nuke the climate» hanno consegnato a Copenaghen, ai delegati dei governi presenti, 50mila firme e una cartolina gigante per chiedere che il nucleare sia escluso dall’accordo sul clima che verrà sottoscritto al vertice. L’appello delle Ong, tra cui l’italiana Legambiente, è stato sottoscritto da figure di spicco del mondo ambientalista nonchè da due ex ministri dell’Ambiente francesi,Yves Cochet e Corinne Lepage e dal deputato europeo Josè Bovè, leader del movimento no global. L’accordo post-2012 per la riduzione dei gas serra su larga scala, sottolineano gli attivisti, è una grande sfida dove «non c’è posto alcuno per l’atomo». Intanto ieri il segretario generale della Focsiv Sergio Marelli ha criticato la decisione di restringere gli accessi delle Ong al vertice di Copenaghen. «Il piano di restrizione scattato per contingentare le entrate dei delegati delle Ong fino a venerdì al Bella Center, la sede del quindicesimoVertice Onu, è un’azione antidemocratica e ingiusta», ha detto Marelli. «Queste restrizioni – ha proseguito – rischiano gravemente di marginalizzare la voce della società civile che rappresenta un attore fondamentale in questo processo». l’intervista «Occorreuniretradizioneenuovetecniche» DI DANIELE ZAPPALÀ ono ottimista sull’esito com- plessivo del processo di Cope- naghen, poiché molti Paesi so- prattuttoinviadisviluppopercepisconoog- gichiaramenteunasituazionedicrisi.Enel- le fasi di crisi, si finisce per ragionare collet- tivamente». L’ingegnere indiano Rajendra Shende guida la divisione di Unep (Pro- gramma dell’Onu per l’ambiente) concen- trata sul trasferimento tecnologico ai Paesi in via di sviluppo ed è stato un artefice sul campo del successo del Protocollo di Mon- trealcontroilbuconell’ozono:proprioilpat- toambientalechemoltiindicanooggicome unmodellodaseguireneinegoziatialsum- mit di Copenaghen. Il trasferimento tecnologico sarà davvero centralenelprocessodelletrattativediCo- penaghen? Certamente. Innanzitutto, perché occorro- no tecnologie alternative adattate a ogni contestoperridurreleemissioni,dall’usodi fontienergetichemenoinquinantiallaque- stione dell’efficienza energetica. Su que- st’ultimo fronte, ad esempio, basterebbe promuovereinCinaeIndial’utilizzodilam- padine di nuova generazione per ottenere S« risultati storici. In Brasile, invece, servono pratiche migliori di gestione delle foreste. Ma in molti Paesi occorrono già anche tec- nologie per l’adattamento a condizioni cli- matiche più difficili. Si pensi solo al cam- biamento delle tecniche agricole o a quelle per l’utilizzo ottimale dell’acqua. Quale logica di fondo accompagna l’assi- stenza dei Paesi poveri in questa sfida? Vi sono ragioni storiche e circostanze con- tingenti odierne. Le prime riguardano l’im- perativo etico di sostenere dei Paesi che su- biscono talora già le conseguenze del cam- biamento climatico senza aver giocato un ruolo significativo nelle emissioni. A livello negoziale,ciòpuòtradursinelprincipioper il quale paga chi ha inquinato, applicato già nel Protocollo di Montreal. Inoltre, soprat- tutto in Africa, le priorità stringenti restano l’alimentazione, la sanità e gli altri servizi di base. Mancano fondi significativi da desti- nareallalottaalcambiamentoclimatico,no- nostante i suoi effetti visibili. Dato il livello deibisogniedelledevastazionipreviste,non è esagerato confrontare la situazione attua- leincertiPaesiconquelladell’Europadopo la Seconda guerra mondiale. Proprio per questo,occorreoggiunasortadipianoMar- shall per il cambiamento climatico. Fino a che punto i governi dei Paesi in via di sviluppo sono coinvolti nel processo? Fino al 1992 c’era scarsa attenzione, ma ne- gli ultimi anni vi è stata un’eccezionale pre- sa di coscienza. Gli esempi della Cina e del- l’Indiasonolampanti.Entrambihannolan- ciato un piano d’azione nazionale contro il cambiamentoclimatico,allorquandononè il caso in molti Paesi più industrializzati. Si ècompresochesitrattadiunproblemache tocca il cittadino qualunque, dato che ri- guardal’agricoltura,ladisponibilitàd’acqua potabile, la salute. Si pensi anche alle azio- nisimbolicheorganizzatenelleMaldive,con un consiglio dei ministri subacqueo o nel Nepal, in alta quota, dove è visibile lo scio- glimento dei ghiacciai. Le tecniche tradizionali potranno allearsi con le nuove tecnologie? Èunpuntocruciale.DaglianniOttanta,con la rivoluzione tecnologica in molti Paesi in via di sviluppo, molti saperi tradizionali so- nostatiaccantonati.Eppure,essioffronoin- finitiesempieccezionalidiadattamentodel- le popolazioni ai contesti locali e climatici. Penso, ad esempio, alle tecniche di costru- zione tradizionali sviluppate in Egitto nelle aree desertiche. Esse richiedono un appor- to minimo di energia. È proprio da un’al- leanzafraquestisaperielemodernetecno- logie che potrà nascere in molti Paesi lo sti- le di vita dei prossimi decenni. Ma la chia- ve, a mio avviso, sarà l’appetibilità econo- mica che dovrà essere creata attorno ad o- gni tecnica. Alcontempo,leprospettiveditrasferimen- tofinanziarioetecnologicopaionominac- ciate dalla recessione… La recessione è talora invocata come scusa pernonagire,certo.MaileaderdimoltiPae- si hanno già compreso che la recessione è pure un’opportunità. Perché è esattamente la fase migliore per cambiare i modelli na- zionali di sviluppo e in proposito abbiamo già segnali incoraggianti. Nel 2008, ad e- sempio,ilsettoredelleenergierinnovabilisi è sviluppato su scala mondiale considere- volmente e non sembra conoscere la crisi. Rajendra Shende RajendraShende,dirigente diUnep:«Lachiaveper salvarel’ambientesarà l’appetibilitàeconomica diognitecnologia.Però mancanoancoraifondi» l’allarme InSudafricailMondialedell’inquinamento DI IVO ROMANO e ci si mette pure il calcio il Pianeta non ha più speranze. Fortuna che è roba di un mesetto, giorno più giorno meno. Poi il football tornerà a produrre danni nella norma. Ma in quel mese ne farà di enormi, ben più che in precedenti occasioni. Non che sia colpa del calcio in quanto tale, piuttosto è colpa di un evento che si tiene ogni 4 anni, la Coppa del Mondo. Certo, però, che l’inquinamento che sarà prodotto dal Mondiale sudafricano non ha paragoni con eventi del genere. Rispetto a 4 anni fa, quando fu la Germania a ospitarlo, siamo a livelli di inquinamenti ben 9 volte superiori. Che si riducono al doppio se il termine di paragone è rappresentato dalle Olimpiadi di Pechino: mica poco, se è vero come è vero che la Cina è uno dei due Paesi (insieme agli Stati Uniti) che più contribuiscono S all’inquinamento. I dati previsti parlano chiaro: i gas serra prodotti saranno pari a 2,75 milioni di tonnellate, contro l’1,8 milioni delle ultime Olimpaidi. Poco o nulla a che fare col calcio giocato, naturalmente. Molto (o tutto), invece, con i trasporti necessari per la competizione iridata. Perché il 67 per cento delle emissioni nocive sarà determinato dai voli necessari a trasportare squadre e tifosi in Sudafrica, mentre un altro 18 per cento sarà dovuto ai voli tra le diverse città del Paese ospitante (in sostanza, i trasporti incideranno sull’85 per cento del totale delle emissioni di gas serra). A Copenaghen s’è parlato anche di questo argomento. Alcuni Paesi (innanzitutto, Uruguay, Corea e Serbia) si sono detti d’accordo a compensare le emissioni nocive, altri stanno considerando il problema. Perché il calcio non diventi fonte d’inquinamento. I Mondiali di calcio in Sudafrica si disputeranno nel giugno 2010 Iltorneodicalciodel 2010avràunimpatto dinovevoltesuperiore aquellodel2006:colpa soprattuttodeitrasporti Scontri tra no-global e polizia nello storico quartiere alternativo:duecento i fermati «Gli agenti ci hanno attaccato senza alcuna provocazione» Bloccato il portavoce del gruppo Climate JusticeAction