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ROTARY INTERNATIONAL
DISTRETTO 2100 ITALIA
Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best
Raimondo Villano
Verso la società globale
dell’informazione
A. R. 2000-2001
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L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996.
© Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est
Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano
Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
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Indice
Presentazione 7
Prefazione 9
CAPITOLO I
Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11
CAPITOLO II
Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione
e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33
CAPITOLO III
Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85
CAPITOLO IV
Problematiche ed azioni politiche 113
CAPITOLO V
Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135
CAPITOLO VI
Stime di mercato 149
CAPITOLO VII
Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155
CAPITOLO VIII
Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163
CAPITOLO IX
Impatto sociale 169
Conclusioni 177
Note 180
Bibliografia 183
7
Presentazione
Un grande dono offerto con grande umiltà.
Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale,
per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la
parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu-
zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i
conti con essa, anche se non per loro scelta.
Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire
un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne
conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non
con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di
non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed
elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali
coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta-
lità e abitudini a rapidi processi di adattamento.
Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati
enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e
quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità
della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep-
pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva
emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do-
ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano.
Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto
di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di
scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla.
E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo
alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi.
È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e
irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le
insidie di un gran male.
Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé
l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono-
scenza. Per accettare o per respingere.
* * *
L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la
trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le
debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di
cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con-
tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
8
misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel-
ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini.
Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad
una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne
incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano
molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi-
lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca
oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è
sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente
“metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a
nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale.
Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione
dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi
in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi?
Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre
l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori
ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino
verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con
coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene-
razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo.
La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor-
so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi
mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono
inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna.
Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo
con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e
rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita-
rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni-
versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor-
matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I.
Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi
anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez-
za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni-
te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani.
A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio-
nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel
delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora-
nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far
sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine.
Gennaio 2000 Antonio Carosella
9
Prefazione
Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem-
pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so-
cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi
testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il
prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome-
no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e
non superficiale attenzione.
A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau-
stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca
multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione
del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio-
re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co-
noscenze.
Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog-
getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi-
ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran-
de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea.
Raimondo Villano
113
CAPITOLO IV
Problematiche ed azioni politiche
L’avvento della società dell’informazione, di cui già le sole autostrade informatiche sono
ritenute le protagoniste principali dello sviluppo socio-economico dei Paesi industrializzati per i
prossimi dieci anni almeno e, nel contempo, elemento fondamentale d’un emergente vero e
proprio sesto potere, pone problemi non banali a livello dei Governi.
Innanzitutto vi sono posizioni spesso contrapposte sia delle forze politiche che della opinio-
ne pubblica. Vi sono coloro che privilegiano l’esigenza di sviluppo tecnologico incentivando gli
investimenti al fine di porre rapidamente a disposizione nuovi servizi per i cittadini, per creare
rinnovate condizioni di competitività per un’economia che si delocalizza, dematerializza e inter-
nazionalizza, e per non perdere l’opportunità dei molti nuovi posti di lavoro che le autostrade
dell’informazione dimostrano di poter generare sia nella fase della loro costruzione sia, soprat-
tutto, durante l’esercizio dei variegati servizi multimediali.
Vi sono altri che si preoccupano, invece, soprattutto dell’adeguamento delle normative e
delle regolamentazioni sia per fornire adeguate risposte a numerosi problemi sia per assicurare
concorrenza fra gli operatori dimostrandosi anche pronti a sacrificare lo stesso sviluppo di spe-
cifici progetti di fronte a pericoli di posizioni dominanti.
Ciò che non deve accadere è che il risultato di queste contrapposizioni di opinioni, spesso
influenzate da interessi di specifici operatori, sia la paralisi degli investimenti innovativi.
Altro problema, poi, come già osservato in altri capitoli, è che l’informazione non conosce
frontiere e di fatto appare non poter essere strettamente regolamentata: l’esempio di Internet è
emblematico, un ingresso nel mondo della comunicazione globale, altamente creativa, molto
vivace ma anche caotica e anarchica. Le stesse “autostrade telematiche”, con la possibilità che
danno di convogliare una molteplicità di servizi e di rendere interattivi i rapporti fra operatori
grandi e piccoli avendo per territorio d’azione il mondo, non possono essere controllate e governate
con le regole del passato. Questa è una vera e propria rivoluzione, se si pensa che su di esse è
destinata a passare sostanzialmente tutta l’economia e ogni forma di attività sociale.
Inoltre, la società dell’informazione significa una società mobilissima non solo in senso fisi-
co ma, soprattutto, in senso concettuale dato che ogni idea, ogni innovazione, ogni sviluppo
diventano immediatamente attuabili in qualsiasi parte del mondo mettendo in discussione leggi,
regole e direttive Governative oltreché comportamenti di individui e gruppi sociali.
Un’altra scelta di fondo che ciascun Governo nazionale dovrebbe compiere è quella fra un
servizio di telecomunicazioni vincolato al monopolio pubblico ed un servizio liberalizzato, or-
ganizzato e gestito dall’imprenditoria privata.
Se, da un lato, la posizione netta nel senso della deregulation (servizio liberalizzato) potreb-
be esser tacciata di penalizzare l’aspetto sociale, dall’altro certamente dovrebbe portare, attra-
verso la concorrenza, all’avvento delle comunicazioni a bassissimo costo.
Il monopolio pubblico, invece, penalizzerebbe l’importante e vitale settore delle società
private che operano nel settore.
114
Una terza ipotesi è, infine, la gestione mista (pubblica e privata) nella quale, sotto il controllo
statale, compiti e ruoli sia del pubblico che del privato siano definiti ed integrati e sia attiva la
mediazione tra le spinte estreme del mercato e la tutela dell’utente.
Inoltre, l’interesse di un Paese richiede che le politiche pubbliche siano orientate a stimola-
re, e non a fermare, la pluralità complessiva di operatori, peraltro garantita dalla presenza di
cinque segmenti orizzontali di attività diverse, realizzabile con gli investimenti privati all’inter-
no di regole che evitino nel medio termine situazioni dominanti di un unico operatore su più di
uno dei segmenti orizzontali di attività.
Altro problema generale da considerare è il ruolo della innovazione tecnologica nella
competitività di un Paese che non è mai stata fine a se stessa ma è semplicemente un mezzo per
migliorare il benessere sociale garantendo l’equilibrio degli scambi con l’estero, una delle condi-
zioni per la propria indipendenza. Stimolando l’innovazione e gli investimenti, la competitività
consente di aumentare il potenziale di crescita del Paese.
In questo senso la competitività è, dunque, uno strumento al servizio del progresso economi-
co, della creazione di posti di lavoro, della ricchezza delle nazioni e risulta essere composta
tradizionalmente da tre fattori: la popolazione attiva, il capitale finanziario, la ricchezza naturale.
Ma c’è un quarto fattore immateriale, che sta conquistando un posto sempre più rilevante, ed è
proprio l’incontro delle tecnologie dell’informazione con le comunicazioni numeriche che potrebbe
anchecreareunosconvolgimentosimileaquellodellainvenzionedellastampadapartediGutenberg.
E a tal punto emergono altre due questioni di fondo: l’individuazione del ritmo della trasfor-
mazione e la comprensione di come prepararsi.
Per quanto riguarda il ritmo, fattori decisivi sono l’approfondimento del mercato interno
attraverso la liberalizzazione rapida dei servizi e delle infrastrutture delle telecomunicazioni da
un lato e la definizione di un quadro regolamentare adeguato dall’altro.
Per quanto riguarda il metodo, la forza motrice principale è il mercato e bisogna evitare di
imporre uno schema astratto senza prendere in considerazione le esigenze reali. E’ necessario
non creare un’offerta costosa in investimenti senza suscitare una domanda, per esempio di
telelavoro, telemedicina, teleinsegnamento, programmi audiovisivi per il tempo libero o servizi
interattivi. Gli industriali più famosi mettono in guardia le autorità pubbliche sui pericoli deri-
vanti da uno sviluppo delle infrastrutture senza che i programmi o i servizi corrispondenti ab-
biano trovato una propria utilità. Offrire programmi e creare servizi è anche un modo per difen-
dere le culture europee nella loro diversità: significa affermare la nostra identità e stimolare il
talento delle nostre intelligenze.
Un altro problema rilevante è costituito dall’obbligo del servizio universale anche per quel-
l’utenza che non è economicamente conveniente allacciare alle reti di trasmissione, in modo da
assicurare ai cittadini pari opportunità nell’accesso ai nuovi servizi.
Il tema dell’importanza di non creare disparità di accesso alle reti, ai servizi, alle tecnologie
pone il problema dei rischi delle disuguaglianze sia all’interno dei Paesi che su scala planetaria
dove l’attenzione particolarmente si sofferma sul tema del Terzo Mondo.
Lo scenario offerto dalle nuove tecnologie, infatti, oltre ad offrire numerose chances fa paven-
tare un problema notevole: come riuscire a colmare o quanto meno a non accrescere il gap che
divide territori più evoluti da altri che lo sono meno e riuscire a farlo in modo da rispettare, anzi,
conquistare un livello di eguaglianza sociale. Va evitato che si creino caste sociali di privilegiati
nel detenere ed utilizzare conoscenze tecnologiche e va tenuto presente che, per il cruciale pro-
blema dei Paesi Sviluppati in relazione a quelli in Via di Sviluppo, queste tecniche rischiano di
creare un baratro tra quelli che sanno usare tutti i mezzi disponibili e li utilizzano sempre più
velocemente e coloro che non ne sono capaci.
Una risposta indubbiamente positiva dei Paesi in Via di Sviluppo, cui in parte già oggi si
assiste (in Africa, America del Sud, Asia Sud Orientale, India), consiste nel comprendere che la
115
connessione con le reti informatiche è un modo per portare il loro contributo creativo, economi-
co e commerciale al Mondo saltando la fase obbligatoria degli investimenti pesanti per produrre
delle industrie, delle macchine per le quali occorre un apporto finanziario.
Altro problema importante da considerare, poi, è che i processi di diffusione delle tecnologie
costituiscono uno degli aspetti più importanti delle interrelazioni fra progresso tecnico e progres-
so economico. La diffusione delle innovazioni nei sistemi produttivi costituisce, in effetti, un
fattore chiave per la crescita e lo sviluppo delle moderne economie, risultando anche cruciale per
la competitività dei sistemi economici.
Sul fenomeno della diffusione tecnologica, da un lato vi sono concezioni basate sulla visione
di una interazione automatica fra imprese assicurata dal funzionamento dei mercati e influenzata
dal tasso di sviluppo della produzione e dalle caratteristiche industriali dei settori; dall’altro lato
stanno quadri di riferimento teorici più attenti al carattere sistemico dei processi di diffusione
tecnologica e, quindi, a comportamenti delle imprese in termini di adozione di nuove tecnologie
motivate sia dalle caratteristiche della domanda finale (e quindi influenzate dall’evoluzione del-
l’economia), sia dalle esigenze produttive indotte dal progresso tecnologico, dagli aspetti relativi
ai fattori produttivi e dai processi competitivi fra le imprese.
Ecco, quindi, in questo secondo caso, l’importanza dei processi di interdipendenza fra agenti
economici nel creare e nel diffondere tecnologia sfruttando importanti esternalità positive, vale a
dire la possibilità di acquisire conoscenze senza doverne sopportare il pieno costo.
Ne deriva, ovviamente, la rilevanza delle capacità delle singole imprese di “assorbire” tali
esternalità e di stabilire collegamenti con altre imprese e istituzioni grazie a contiguità e a inve-
stimenti specifici.
In altri termini, le imprese aumentano la propria capacità tecnologica non solo con investi-
menti in ricerca e sviluppo e processi di apprendimento interni ma anche perseguendo processi
sistematici di acquisizione di conoscenze esterne, passando via via a forme di apprendimento
sempre più “costose” e complesse quali i fenomeni imitativi, le interazioni fra produttori e utiliz-
zatori nonché le interazioni con il sistema scientifico.
Questa complessità del processo di creazione, utilizzazione e diffusione di nuove tecnologie
e innovazioni, e la ricordata molteplicità di elementi che ne determinano il successo e l’efficacia,
spiegano l’importanza delle asimmetrie esistenti fra le varie fasce dimensionali di imprese in
termini di intensità di investimenti in ricerca e sviluppo e di rendimento degli investimenti stessi.
Ne consegue anche l’importanza di politiche volte ad aumentare questi fenomeni di esternalità posi-
tive attraverso politiche pubbliche volte a sostenere le autonome strategie delle imprese, tenendo
conto del fatto che l’ambito territoriale all’interno del quale le imprese tendono a interagire fra di
loro risulti generalmente abbastanza circoscritto, soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese.
Vi è, poi, anche in molti Paesi avanzati, il problema del ritardo culturale che attraversa in
vario grado tutti i settori, dal ceto politico a quello imprenditoriale ed ai gruppi professionali. E’
un ritardo che fa assumere le iniziative sul piano tecnologico ed innovativo o in malo modo o
facendo primi investimenti, talora anche non irrilevanti, e poi abbandonando l’impresa.
Va tenuto ben presente che informatica e telecomunicazioni cominciano ad essere e saranno
sempre più in futuro il lievito delle società e delle economie: ogni ritardo, ogni arretratezza su
questi aspetti avranno effetti devastanti sui ritardatari. In effetti, proprio per le caratteristiche
trasversali delle attività informatiche e di telecomunicazione, sempre più fuse in una nuova
industria/servizio, eventuali ritardi si trasmetteranno a tutte le altre attività, produttive, cultura-
li, di impiego del tempo libero, sociali.
I Governi, dunque, dovrebbero perseguire politiche economiche ed amministrative capaci di
promuovere in ogni modo le nuove tecnologie e lo sviluppo delle applicazioni innovative. Se la
costruzione delle autostrade informatiche è compito del settore privato e non dei Governi, questi
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ultimi, tuttavia, dovrebbero sollecitare le amministrazioni pubbliche, in quanto fornitrici di servizi,
a sviluppare applicazioni innovative, con il duplice obiettivo di creare nuova domanda ed al
tempo stesso di risparmiare costi ed aumentare la efficienza. In effetti, anche senza investire parti-
colari risorse, le amministrazioni possono svolgere un ruolo molto positivo per il cambiamento.
Inoltre nel grande processo mondiale di riorganizzazione delle telecomunicazioni, dove
un’azione attesa e di notevole importanza è costituita dalla spinta liberalizzante da imprimere, le
direttrici principali sono: l’internazionalizzazione e la caduta delle barriere tecnologiche con la
distribuzione di servizi dotati di contenuto (televisivi in primo luogo).
Entrambi gli sviluppi sembrano favorire le società americane che, sul piano strategico, appa-
iono le più avanzate nell’affrontare il nuovo contesto di competizione.
L’internazionalizzazione, trainata da una domanda delle imprese e delle organizzazioni sem-
pre più orientata su scala mondiale (GLOBALIZZAZIONE dell’economia), spinge tutti gli operatori
di telecomunicazioni, che nella massima parte per storia e radici avevano fino ad ieri soprattutto
orizzonti nazionali, a proiettarsi verso l’estero aggiornando strategie, stringendo accordi, facen-
do acquisizioni. Su questa via i grandi operatori americani, in particolare quelli della long distance,
sembrano essersi mossi in anticipo.
Tuttavia va considerato che, in generale, l’economia mondiale sperimenta oggi la contrappo-
sizione tra due palesi tendenze.
Da un lato, quella verso la crescente globalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali.
Dall’altro, quella verso crescenti nazionalismi politici. Il primo fenomeno appare ormai inevita-
bile, considerato l’alto grado di interdipendenza che si è instaurato tra le economie reali e finanzia-
rie dei vari Paesi: non è solo che a produrre una scatola di sardine concorrono imprese (armatoriali,
olearie, trasformatrici, di imballaggio, ecc.) di una dozzina di Paesi; è anche che molte opera-
zioni finanziarie sono organizzate con joint ventures complesse cui concorrono istituti finanzia-
ri e banche di più Paesi.
Il secondo fenomeno, che consiste nell’aspirazione a politiche economiche di marca nazionale,
è a sua volta in rafforzamento. Le collettività dei vari Paesi mostrano insofferenza all’idea che
i propri destini economici siano decisi da forze esterne al controllo nazionale, da burocrazie
comunitarie che operano lontano dai cittadini, da Trattati che suscitano dissensi diffusi o appro-
vazioni stentate.
La contrapposizione tra globalizzazione e politiche nazionali, intanto, esercita i suoi effetti
sia sul mercato dei capitali che su quello dei beni.
La seconda tendenza al riassestamento del mercato delle telecomunicazioni, poi, è forse ancora
più rilevante, almeno in proiezione futura.
La rivoluzione digitale, che non distingue più fra segnali telefonici, televisivi e di trasmissio-
ne dati e consente di trasportarli sulla stessa rete, modifica in prospettiva l’economia delle tele-
comunicazioni. La capacità di trasmissione aumenta in misura considerevole e di conseguenza
tende a ridurre il suo prezzo; i margini più elevati si collocano allora o in servizi di trasmissione
più ricchi e innovativi o in servizi basati sul contenuto.
Le reti a banda larga hanno la possibilità di decollare solo se vi sarà un’offerta ampia ed
attraente di servizi dotati di contenuto. Ne sono una conferma le alleanze fra specialisti della
trasmissione più ricchi e innovativi o in servizi basati sul contenuto
Ma sia l’internazionalizzazione sia il processo di integrazione fra Tlc, media ed informatica
richiedono, come requisito preliminare e indispensabile, che la riorganizzazione dei settori e dei
mercati non incontri barriere geografiche, non sia confinata in ambiti regionali. A tale scopo
occorre che i costi di trasmissione non contengano pedaggi locali, aggravi di costo (più o meno
mascherati) per i servizi più innovativi, mercati chiusi o fortemente vincolati. Per gli operatori
delle telecomunicazioni meno attrezzati al nuovo ambiente competitivo una strategia efficace
117
(e comoda) può essere quella di tenere elevati comunque i prezzi della capacità di trasmissione e
di lucrare cosi sulla crescente domanda di servizi. La conservazione di mercati chiusi agli opera-
tori stranieri tutela e anzi accentua tali strategie regressive.
Gli USA hanno proposto una “Authority” mondiale per le telecomunicazioni, indipendente e
che garantisca regole trasparenti per le tariffe internazionali e definisca sistemi di salvaguardia
della concorrenza.
Un’altra considerazione importante di ordine generale, infine, è che il settore delle tecnolo-
gie dell’informazione varia in modo talmente rapido per cui se un Paese vuole avere adeguata
capacità di reazione deve necessariamente interpretare le cose quando ancora i segnali disponi-
bili sono deboli, stanno appena emergendo dal rumore e ciò si può fare soltanto se si è partecipi
della emissione dei segnali stessi o, almeno, si è molto vicini alle sorgenti. Non bastano sondag-
gi e osservatori bisogna essere presenti nei vari organismi internazionali che producono i nuovi
standard comunicativi in modo attivo e immaginare le conseguenze per il Paese e le poche
industrie rimaste a operarvi. Sapere che il futuro è nella multimedialità, parola che dice tutto e
niente, serve solo per capire che l’orizzonte delle competenze necessarie è vasto più che mai e
che, da un numero enorme di applicazioni potenziali, emergeranno progressivamente le moda-
lità vincenti. Inoltre, più le telecomunicazioni si liberalizzano e più diventa essenziale il ruolo
della standardizzazione che, sola, consente che poi il cliente non sia schiavo del primo vendito-
re a cui si è rivolto o che, dopo la Babele biblica, ne segua una seconda tecnologica. Le vecchie
telecomunicazioni risolvevano questi problemi attraverso la dominazione dei gestori nazionali.
Oggi questo ruolo è passato nelle mani degli organismi che svolgono l’attività di standardizza-
zione che sta diventando anch’essa oggetto di ricerca.
L’Europa affronta la sfida delle telecomunicazioni da una posizione di relativo ritardo e deve
operare prontamente sia sul piano delle infrastrutture che su quello delle decisioni politiche per
non lasciarsi ancora una volta distaccare dai più rapidi ed intraprendenti decisori americani.
La valutazione dovrebbe essere articolata Paese per Paese ma, semplificando e genera-
lizzando, si possono identificare almeno cinque aspetti sotto i quali l’Europa è in ritardo
rispetto agli Stati Uniti.
Il primo aspetto è che in Europa il livello di diffusione delle nuove tecnologie della informa-
zione e telecomunicazione è nettamente inferiore a quello degli Usa, come testimoniano vari
indicatori statistici. La posizione europea è anche indebolita dalla persistenza, in molti Paesi, di
situazioni monopolistiche nelle telecomunicazioni che rendono più elevati i costi dei servizi di
telecomunicazione e frenano l’introduzione di applicazioni innovative.
Il secondo aspetto è che i Paesi europei non sono sufficientemente orientati all’innovazione
e focalizzati sulle tecnologie avanzate. Ciò è vero sia in termini di utilizzo dei nuovi strumenti
di informazione e comunicazione nelle imprese e nelle amministrazioni, sia in termini di
posizionamento generale del sistema economico-produttivo. In Europa la quota dei prodotti
high-tech sul totale delle esportazioni e sul totale del valore aggiunto manifatturiero è più bassa
che negli Usa e in Giappone.
Il terzo aspetto è che, in generale, l’Europa è meno consapevole degli Usa delle sfide e delle
opportunità proposte dalla rivoluzione digitale e multimediale. Se non vi è piena coscienza di
come si modifica lo scenario diventa più difficile dare una risposta positiva alla sfida del cambia-
mento. Una maggior consapevolezza del nuovo scenario dovrebbe spingere i governi europei a
svolgere un ruolo più attivo nella transizione dalla società industriale alla società dell’informazione.
Il quarto aspetto è che l’Europa è ancora invischiata in atteggiamenti dirigistici e in tentativi
di definizioni dettagliate, mentre è chiaro che, nella rapida evoluzione del settore, ogni tipo di
dirigismo comunitario o nazionale non paga. Quello che la Commissione europea o i Governi
possono offrire è un contesto coerente di poche norme generali, capace di favorire lo sviluppo di
118
un mercato con un gran numero di operatori differenziati, così che sia sostanzialmente garantita
la democrazia per chi opera e per chi usufruisce, sempre più interattivamente, dei prodotti
multimediali. Sono le imprese, e quindi il settore privato, che debbono essere i protagonisti prin-
cipali della realizzazione delle “autostrade” come dello sviluppo della multimedialità, ma il si-
stema pubblico, gli Stati, hanno un ruolo essenziale da giocare proprio nella definizione delle
regole che liberalizzano il mercato garantendone un funzionamento corretto, ispirato alla salva-
guardia della decorrenza e dei principi fondamentali della società democratica.
Il quinto aspetto è che in Europa il ciclo degli investimenti in macchinari e impianti è in
grave ritardo rispetto al ciclo americano. Negli Usa, tra il 1991 e 1994, il volume di questi
investimenti è aumentato quasi del 50%; nell’Unione Europea è calato del 10%. Inoltre, quasi la
metà degli investimenti americani (a prezzi costanti del 1987) ha per oggetto prodotti delle
nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione mentre in Europa questa quota oscilla tra
il 20% e il 30% a seconda dei Paesi. Per conseguenza, lo stock di capitale europeo sta divenen-
do quantitativamente inadeguato e obsoleto.
Se è vero che la diffusione delle nuove tecnologie informatiche impone una svolta decisiva
nel modello di vita economica e sociale allora il ritardo nel ciclo degli investimenti è particolar-
mente grave. Sui mercati internazionali il sistema economico europeo si trova sempre più schiac-
ciato tra due forze. Da un lato gli Stati Uniti, resi competitivi non solo dalla debolezza del dollaro
ma dalla maggiore efficienza acquisita attraverso lo sviluppo di reti telematiche, la re-ingegne-
rizzazione e la informatizzazione delle imprese e delle amministrazioni, lo sviluppo di nuovi
servizi e nuovi prodotti che creano mercati di grandi dimensioni.
Dall’altro lato, il Sud-Est asiatico e tanti Paesi Emergenti che a gran velocità si stanno avvici-
nando al tenore di vita, ai livelli tecnologici e alla qualità produttiva dei Paesi Europei, ma con
costi molto più bassi e, quindi, con una ben maggiore competitività delle produzioni industriali.
Lo spostamento verso un nuovo modello di società e di economia rappresenta per l’Europa l’uni-
ca via per non rimanere schiacciata dalla competizione dell’Est e dell’Ovest. Ma questo sposta-
mento presuppone una forte propensione ad accettare la sfida del cambiamento e un robusto
cielo di nuovi investimenti. Come fare? E’ da ritenere che a questo riguardo si debba fare chiarezza
su alcuni orientamenti di tipo generale. Le autostrade informatiche non sono un sistema infra-
strutturale simile a quello delle ferrovie, delle strade o dell’energia. Queste sono reti fisiche,
mentre le information highways sono in gran parte reti immateriali o virtuali, largamente basate
sul software. Reti, inoltre, dove il confine tra la parte infrastrutturale e la parte applicativa (cioè,
il servizio fornito) non sempre è identificabile con certezza.
In Italia, poi, serve in tempi brevi un vero e proprio progetto-Paese per le telecomunicazioni
che abbia quali coordinate essenziali la creazione e il finanziamento delle infrastrutture destinate
a diffondere informazioni e un’azione straordinaria di formazione del personale, sia delle impre-
se che dello Stato, partendo dalla scuola, per essere competitivi a fronte delle discontinuità intro-
dotte dalle tecnologie numeriche.
Nel settore televisivo, inoltre, c’è il problema del reperimento delle risorse per le infrastruttu-
re, per la formazione, per i nuovi servizi interattivi e di quali imprese li effettueranno. Le risorse
provenienti dagli investimenti in comunicazioni delle aziende di largo consumo non cresceranno
più di tanto nel prossimo decennio anche per la feroce competizione apertasi nella grande distri-
buzione con il proliferare delle marche private.
Altre risorse possono arrivare ai nuovi servizi da settori finora o ai margini della comunica-
zione pubblicitaria, come i servizi, o ad essa del tutto estranei, come i consumi scolastici e quelli
sanitari che nei prossimi dieci anni dovranno finanziare soprattutto TV tematiche e stampa.
Per quanto concerne, poi, la formazione, le imprese, a cominciare da quelle piccole e medie,
hanno urgente bisogno di capacità manageriali per operare nei sistemi a rete e per dialogare con
i sistemi multimediali.
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E c’è, poi, un’altra emergenza, spesso sottovalutata: la carente produzione nazionale di con-
tenuti da trasmettere nelle reti distributive che avranno sempre maggiori capacità di trasportare
canali tv, testi scritti, dati, musica e immagini fisse.
Le aziende italiane, da parte loro, vanno avanti ognuna per conto proprio senza un quadro di
certezze che ne aiuti la convergenza e ne indirizzi gli investimenti. Si è tutti occupati a capire
chi dovrà costruire le autostrade, quali dovranno essere i pedaggi, quale il tipo di asfalto, senza
che nessuno, in Italia, stia riflettendo su quali saranno i veicoli che le attraverseranno e i sogget-
ti che li guideranno.
Per i progetti delle città digitali, inoltre, potrebbe essere privilegiato l’intervento locale (ammi-
nistrazioni, aziende, associazioni, individui operanti nelle città) come suggerito dall’Unione Euro-
pea (rapporto Bangemann). Nella futura società dell’informazione, infatti, le reti di diffusione
via cavo diventeranno un patrimonio fondamentale delle comunità locali e vanno viste con la
stessa ottica delle reti di trasporto urbano. Vanno, quindi, incoraggiate iniziative per la costituzione
di consorzi per la città digitale da convertire poi in società i cui azionisti devono essere ammini-
strazioni o enti locali che rappresentano i cittadini.
Vi è, ancora, il problema della ricerca nel settore strategico delle TLC e dell’informatica: è,
infatti, poco credibile una competizione internazionale se le risorse per la ricerca e l’innovazione
sono in mano a pochi grandi gruppi internazionali nei quali il nostro Paese sta via via perdendo peso.
E’ necessario che i gruppi di ricerca siano appoggiati a livello internazionale, siano indirizzati
verso le applicazioni più interessanti, finalizzino gli studi partecipando al processo di standardiz-
zazione, fruiscano di sufficienti fondi comunitari.
Il problema della regolamentazione dei servizi di Tlc, inoltre, va affrontato da subito ade-
guatamente sia perché è oggettivamente molto complesso sia perché è carico di aspetti politici
e persino emotivi.
Non c’è alcun dubbio che si devono combattere dal nascere posizioni di monopolio e rompe-
re quelle già consolidate e potenzialmente in grado di effettuare ulteriori espansioni.
Il ruolo dell’Autorità è importante, ma essa deve aiutare il mercato e non interferire con esso.
L’Autorità deve poter essere messa in condizione di lavorare al meglio e, dunque, vanno delimitati
con intelligenza i suoi ruoli e poteri rispetto a quelli dell’Antitrust. Ad esempio, un’Autorità non
potrebbemaiseriamentefissaretariffediaccessoallareteselaretefossediproprietàdiunmonopolista.
Il problema dell’Authority (a cui verrebbero delegate molte competenze attualmente del
Ministero) e delle sue relazioni con il ministero delle Poste e con l’Antitrust (che rivendica tutte
le competenze in materia di regolamentazione della concorrenza) non è ancora stato risolto ma
ci siamo forse vicini.
L’Authority dovrà garantire che le opportunità offerte dalle moderne tecnologie si traducano
in realizzazioni concrete in uno scenario di pluralità di soggetti, in regime di leale concorrenza,
nel rispetto dei diritti dei cittadini sia nel campo economico sia in quello delle idee e, auspicabil-
mente, in modo efficiente e adatto a massimizzare la produzione di posti di lavoro e il vantaggio
economico per il Paese.
Tuttavia, per quanto almeno appare dalla lettura della stampa e dalle dichiarazioni dei politi-
ci, non sembra chiaro a un osservatore esterno se si stia affrontando il nodo essenziale del proble-
ma. Non è possibile, infatti, delineare le caratteristiche di un organo così delicato senza affronta-
re di petto le peculiarità del settore.
La nuova istituzione, inoltre, non deve essere né snella né pachidermica: come accade in
altre nazioni, deve avere consistenza adeguata agli scopi e organizzazione interna adeguata per
raggiungerli. Il problema non è, poi, se deve essere dentro o fuori dal ministero. Sarebbe total-
mente insensato rinunciare alle persone valide, che non sono poche, rimaste ancora dentro que-
sta istituzione. Ma, nello stesso tempo, il nuovo ente deve conservare ben poco del vecchio
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modo burocratico di procedere e, per esempio, non può essere costretto a rinunciare a seguire
l’attività internazionale perché si trova senza mezzi per le missioni a metà dell’anno. Non può
dipendere dagli umori del momento né attendere da altri la luce verde, quando si tratta di predi-
sporre le risorse di banda o le normative necessarie per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi,
perché anzi deve essere in grado di anticipare le esigenze. Deve poter svolgere un lavoro e dei
compiti che tengano allenato al massimo il cervello delle persone che impiega; deve essere
principalmente luogo dove si trovano persone autorevoli nel campo e non solo esecutori di
pratiche perfette sul piano formale.
Come già detto, c’è fonte di ispirazione all’estero: ma, purtroppo, dovrebbero metterci anche
qualcosa di nostro, di particolare. Altri Paesi non hanno il problema del rilancio dell’industria
nazionale, che ovviamente va perseguito nel rispetto delle regole comunitarie, né la necessità di
introdurre nuovi solidi attori, senza per questo danneggiare più del necessario la famiglia Stet-
Telecom che è l’unica realtà di cui disponiamo ora a livello internazionale. E, infine, hanno
politici che leggono i vari libri bianchi sull’importanza della ricerca per creare nuovi posti di
lavoro non soltanto al momento delle campagne elettorali.
Battere la disoccupazione, dare un futuro al lavoro e, più in generale, rafforzare la qualità
della vita e le prospettive di sviluppo economico-sociale sono tuttora problemi rilevanti per i
Paesi industrializzati e per l’Italia in particolare. Il potenziamento dell’infrastruttura in atto su
base mondiale, con particolare riguardo - nei Paesi più avanzati - alle nuove tecnologie dell’infor-
mazione e della comunicazione (Ict), ai trasporti e all’energia, a sostegno di un ambito economico e
sociale più vivibile e dinamico, è un indirizzo d’intervento (sostenuto dal piano Ue-Delors di fine ’93
per l’Europa) che appare avere contribuito sostanzialmente al rilancio dell’economia Usa.
Seppur in modo molto differenziato, l’investimento in infrastruttura economia (acqua potabi-
le, servizi di bonifica dei terreni e di smaltimento dei rifiuti inclusi) è risultato importante anche
per la crescita dei Paesi meno avanzati, come segnala la Banca Mondiale (nel “Rapport sur le
développement dans le monde ’94 - Une infrastructure pour le dévelopement”).
In un’economia mondiale che nel ’94 cresce (per i Paesi G7 del 3%) registrando il più
grande incremento degli scambi degli ultimi vent’anni, grazie anche al contributo delle esporta-
zioni di Paesi in Via di Sviluppo (in cui il prodotto interno lordo è aumentato del 6% e vale il
40% del totale mondiale in termini di potere d’acquisto), il miglioramento del mercato del
lavoro nei Paesi più avanzati è stato lieve, a eccezione degli Usa, dove il Pil è cresciuto del 4,1%
e sono state create 2,7 milioni di “unità di lavoro” principalmente nei servizi, anche grazie a un
forte recupero di competitività (portando la disoccupazione dal 7,4% nel ’92 al 5,4% nel dicem-
bre del ’94), secondo dati della Banca d’Italia.
In un’Europa che risulta ancora alle prese con costi derivanti da varie diseconomie istituzio-
nali, allocative e di mercato, la crescita del 2,7% si è tradotta in un incremento occupazionale: la
percentuale dei senza lavoro dell’11,5% di inizio ’94 (la più alta dal dopoguerra a oggi) è scesa
solo all’11,1% nel dicembre ’94. L’Italia è cresciuta meno (il Pil è aumentato del 2,2%) nonostante
“un eccezionale incremento della produttività” del settore manifatturiero e una netta crescita
delle esportazioni. Con un’occupazione in contrazione, fra il ’93 e il ’94, complessivamente
dell’1,6%, il Paese appare fornire un’ulteriore evidenza della rilevanza delle indicazioni del
piano Delors per lo sviluppo.
Infatti, accanto a una più favorevole dinamica occupazionale concentrata nel Nord, dove il
tasso di disoccupazione è stato pari all’8%, nel Sud la disoccupazione ha toccato il 21% e la
produttività è risultata mediamente inferiore del 20% rispetto alla media nazionale, fatto riconduci-
bile “in misura non trascurabile”, secondo la Banca d’Italia, a diseconomie esterne all’impresa
legate alla geografia, alla minor efficienza delle amministrazioni pubbliche e alla carenza di
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infrastruttura economica. Inoltre, la forte presenza dell’agricoltura, che assorbe il 13,6% degli
occupati, il permanere di aree di emergenza economica e sociale evidenziano la necessità di
avviare specifici processi di sviluppo.
Se per la Banca Mondiale non vi è ancora consenso sulle precise interrelazioni esistenti fra
crescita e investimenti in infrastruttura economica, è condiviso il giudizio che essi, se non sono
condizione sufficiente, siano necessari per lo sviluppo e offrano un contributo sostanziale, in
particolare all’abbattimento dei costi logistici e di produzione, che è spesso superiore a investimenti
di altra natura. Un dato empirico che emerge dall’aggregato dei Paesi del Mondo, è che “capacità
dell’infrastruttura e produzione economica si muovono di pari passo”: a un incremento dell’1%
del capitale d’infrastruttura corrisponde un aumento dell’1% del Pil.
Nei Paesi meno sviluppati risultano percentualmente più rilevanti gli interventi per la bonifica di
terreni, l’acqua potabile o le ferrovie, mentre cresce fortemente, al crescere dello sviluppo economi-
co,l’importanzarelativadelleretiperl’energia,peritrasporti,perlacomunicazioneel’informazione.
Un dato non omogeneo, ma significativo, è offerto dalla sola spesa Edp Usa (software e
servizi esclusi) che sarebbe stata dell’ordine del 3% del Pil nel ’94, un valore che si riduce alla
metà per l’Italia (secondo stime Assinform/Nomos). In Italia, la spesa pubblica in Itc nel ’94 è
stata pari a 3.200 miliardi di lire, risultando in contrazione rispetto al ’93 (-2,7% secondo
Assinform/Nomos) e anche tenendo conto delle previsioni d’investimento (da finanziare) di cui
agli “Indirizzi per l’attuazione del Piano triennale (’95-’97) per l’informatica nella Pa”, stimate
dall’Autorità per l’informatica in 12.574 miliardi, permane il divario con i Paesi più avanzati.
Per la crescita è, dunque, necessario fare conto sugli investimenti privati che, se sono risultati
sostanzialmentestazionarinel’94,appaionoinnettoaumentonel’95,conparticolareriguardoall’Itc.
Nella conferenza dei Paesi del G7 del febbraio del ’95 sulla “società” dell’informazione, è
stato ancora una volta ricordato quanto le Itc delle realtà più avanzate, “comprimendo spazi,
tempi, costi e sviluppando potenzialità” abbiamo un impatto sul modo di vivere delle persone e
sull’azione sociale di tutte le forme di aggregazione umana: imprese, istituzioni dello Stato,
famiglie, associazioni, comunità e gruppi più o meno formalizzati e possano cambiare il modo di
vivere, di lavorare, di fare affari, di apprendere, studiare e di divertirsi (si pensi - per esempio -
alle nuove possibilità d’interazione sociale indotte dalla diffusione della telefonia mobile).
La maggiore centralità della persona, non solo in ambito lavorativo, ma in tutti i “luoghi” (a
partire dall’abitazione) e in tutte le dimensioni relazionali della vita sociale suggerisce una revisione
di molti dei paradigmi tradizionali della cultura industriale di derivazione “fordista”, funzionalista e
incentrata sui tempi imposti da un modo di produzione ormai superato in Occidente.
E’ importante anche notare che la potenziata infrastruttura mondiale appare sostenere un
processo di ridimensionamento (irreversibile nei Paesi più Sviluppati) della grande impresa che
non ne diminuisce la rilevanza nella crescente economia “globale”.
Il nuovo ambiente operativo ha reso possibile la ristrutturazione delle grandi imprese (per
esempio, secondo gli orientamenti del cosiddetto “reengineering”, della “lean” o della “learnig
organization” per la realizzazione di economie di dimensione, di differenziazione e di apprendimen-
to). Ha supportato incrementi di produttività, risparmi di lavoro vivo e acquisizione di lavoro in
aree geografiche dove questo costa meno (fenomeno che appare destinato a rafforzarsi al cresce-
re dell’ infrastruttura mondiale e dell’economia dei Paesi in Via di Sviluppo).
Nei Paesi Ocse (secondo Industrial Policy ’94), tutto ciò si è tradotto in un declino occupazio-
nale nel settore manifatturiero differenziato a seconda dei comparti industriali ma netto a partire
dal ’90-’91. Il settore high-tech, anche per via dei grandi incrementi di produttività e degli “skill”
necessari, sostiene l’occupazione ma non appare in grado di compensare il calo complessivo
dell’occupazione nel manifatturiero.
Inoltre, il supporto che le nuove tecnologie offrono all’innovazione di prodotto e di processo,
appare vasto e promettente se si pensa che nei Paesi Ocse circa due terzi dei beni commercializzati
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sono stati prodotti e venduti su richiesta del committente e spesso consegnati con modalità di
tipo “juste in time”, ormai diffuse in molti settori (secondo la Banca Mondiale). Si prefigura,
dunque, la concreta possibilità di razionalizzare ulteriormente la “filiera” distributiva, integran-
do anche i sistemi di comunicazione e rafforzando la funzione di servizio del punto vendita (con
“chioschi” multimediali e altro) risparmiando lavoro anche nel “terziario”: settore in cui l’occu-
pazione è cresciuta di più.
Con la disponibilità presso le famiglie di pc dotati di modem o di sistemi per la Tv
interattiva, è possibile pensare di estendere ai prodotti di largo consumo modalità di acqui-
sto da “catalogo” e pagamento analoghi a quelli correntemente in uso per i prodotti finan-
ziari nelle borse valori telematiche.
Intere industrie risultano interessate potenzialmente dal cambiamento (sebbene in misura
diversa): dall’editoria ai “media”, alla finanza (con sistemi di pagamento digitali, servizi di “remote
banking” ecc.) e all’intrattenimento. Offrire a un pubblico sempre più raggiungibile e “in linea”
(anche grazie a “personal digital assistant”, a satelliti, alla telefonia mobile, al video telefono,
alla teleconferenza, al “Video on Demand” VoD), servizi innovativi e altro ancora per il tempo
libero e la salute appare, dunque, un promettente nuovo settore di attività, per cui non esistono,
tuttavia, ancora dati certi sulle caratteristiche della domanda.
Inoltre, sistemi informativi avanzati utilizzati nei Paesi più innovativi appaiono particolarmen-
te adatti alla ricerca d’iniziative di sviluppo “su misura” a sostegno dei sistemi socio-economici
locali. Infatti, una miglior funzionalità e interoperabilità dei sistemi informativi della Pubblica
amministrazione centrale e degli Enti di governo locale può consentire a cittadini, comunità e
alle imprese un contatto più diretto con l’amministrazione (per esempio, utilizzando posta e
“bacheche” elettroniche).
Si pongono, così, le basi per la ricerca di una superiore efficienza ed efficacia dei servizi e
mediante i sistemi informativi territoriali si può raggiungere una superiore conoscenza sulla
natura del territorio, sulle risorse e sulle entrate utili nel realizzare interventi di politica sociale
e industriale che siano in sintonia con i vincoli di bilancio e con aspettative e bisogni delle
comunità e dei gruppi interessati.
L’economia della “informazione” appare, dunque, in fase di accelerazione: cresce la penetra-
zione delle Itc e la necessità di connettività in genere. Sostiene la tesi la ripresa degli investimenti
in tc nel ’95 e l’andamento del comparto delle telecomunicazioni. Secondo dati Ocse di quest’anno,
nel ’92 le prime 25 società telefoniche pubbliche sono risultate più profittevoli delle più grandi
cento banche mondiali, realizzando un fatturato di 385 miliardi di dollari (circa 635mila miliardi
di lire) e utili netti per 39, con 409 milioni di linee “principali” (47,5 linee per cento abitanti
nell’Ocse, 41 in Italia, a cui si aggiungono milioni di utenti di telefonia mobile).
In un decennio, il numero di linee telefoniche “principali” (“mainlines”, che connettono un
utente a un “local exchange” e, attraverso questo, alla rete pubblica), è passato da 15 a 27,7 (e da
16,9 a 23,9 per l’Italia) ogni cento dipendenti nel ’92 e le linee completamente digitalizzate sono
passate dal 39% del 1990 al 57% del ’92 nell’Ocse e dal 33% al 48% per l’Italia.
Dove il mercato è stato liberalizzato, le tariffe sono risultate più contenute e correlate alla
struttura dei costi e la penetrazione dei servizi è aumentata; ciò pone le premesse per la
liberalizzazione del mercato mondiale e per un ulteriore sviluppo del settore.
Non stupisce che gli investimenti nell’Ocse in telecomunicazioni siano ingenti come anche il
massiccio piano d’interventi annunciato da Telecom nel ’95 (dopo un periodo di flessione degli
investimenti). Anche se, avverte l’Ocse, gli investimenti realizzati dai privati (“demand-led”
come i fax) sono risultati generalmente più efficienti di quelli dell’offerta (“supply-driven”).
Questo comparto, tuttavia, ha dato un contributo negativo ai livelli occupazionali che, nel
mondo, sono passati dai 2.645 milioni di addetti nel 1982 ai 2.426 milioni del ’92, portando i
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ricavi per addetto da una media Ocse di 41.600 dollari a 147.700 (da circa 68 a quasi 244 milioni
di lire), aumentando anche il numero delle linee per dipendente e i salari medi.
Appare fondata la tesi avanzata da diversi economisti per cui l’attuale fase economica se-
gnerebbe la fine di un’epoca di sviluppo industriale incentrata su incrementi di produzione e
produttività del settore manifatturiero in grado di tradursi in incrementi reddituali e occupazio-
nali di massa. In Occidente, appare esaurita la capacità di produrre occupazione da parte di una
metodologia di produzione che ha avuto il grande merito di saper valorizzare con la tecnologia,
attraverso la standardizzazione di capacità, di funzioni, ma anche di comportamenti di consu-
mo, masse di lavoratori poco qualificati. In un’economia della conoscenza, in cui la tecnologia
è crescentemente standardizzata (per consentirne una più veloce diffusione) a supporto della
persona, si pone, invece, il problema dello sviluppo di competenze e capacità di produttori,
consumatori e di tutto ciò che può sostenere e incoraggiare la nascita di nuovi bisogni e l’inno-
vazione di prodotti e servizi per migliorare la qualità della vita.
Le Itc, per esempio, con lo sviluppo di tecnologie (a “oggetti”) per l’interscambio di infor-
mazioni eterogenee o consentendo (con Internet) a una vasta popolazione mondiale di comuni-
care in modo nuovo, appaiono in grado di supportare la formazione di nuovi business e nuovi
mercati. Inoltre, l’utilizzo di standard di comunicazione costituisce uno strumento potente per
la creazione, la finalizzazione della conoscenza e la valorizzazione di importanti risorse del
Paese (si pensi al patrimonio dei beni culturali).
Servizi avanzati di rete (come Isdn) che possono migliorare la comunicazione fra persone
operanti per esempio in località e organizzazioni diverse (abbattendo costi con fax “di gruppo”
o sistemi di teleconferenza), consentono modalità di lavoro innovative e costituiscono un esem-
pio di interrelazione virtuosa fra piccola e grande impresa. Le caratteristiche di standardizzabilità
dei prodotti/servizi offerti da fornitori di telecomunicazioni facilitano questo diretto rapporto
ma le accresciute possibilità di interrelazione suggeriscono che ciò possa estendersi e tradursi in
una maggior interconnessione di tutto il tessuto economico, nonché in minori costi e maggiori
capacità di finalizzare risorse e competenze per la produzione di servizi e prodotti, per arricchi-
re di personalizzazioni e di varietà l’economia delle quantità.
Queste “federazioni” di imprese (nate dal riassetto di grandi o dall’aggregazione di piccole)
che si misurano sui mercati globali grazie alla flessibilità organizzativa e a superiori capacità di
interrelazione con le specificità “locali”, in seguito a un mutato bilanciamento fra diseconomie
interne ed esterne, appaiono strutture in grado di potenziare le interrelazioni fra grandi multi-
nazionali, network internazionale della ricerca scientifica e tecnologica e piccole imprese.
Per l’Italia vi sono dati che documentano un processo di aggregazione di piccole imprese in
gruppi interaziendali, anche per superare alcuni limiti della piccola dimensione.
L’indagine pubblicata nel ’95 (su dati ’94) relativa a 600 piccole e medie imprese industriali
dal Mediocredito centrale (che nel rapporto di ricerca del ’94, tra l’altro sottolineava come la
tecnologia avesse avuto un ruolo “non fondamentale nello sviluppo economico italiano”), mo-
stra come il 37,4% delle imprese appartenga a un gruppo, valore che sale al 70,4% per le medie
imprese (da 251 a 400 addetti). Si tratta di aggregazioni recenti (che hanno non più di dieci anni
nel 75,5% dei casi). Il rapporto rileva l’insufficienza e la scarsa connettività, anche a livello
europeo, dei diversi sistemi e delle istituzioni che presiedono all’innovazione tecnologica. Ciò
ostacola la diffusione tecnologica, la piena capitalizzazione delle esperienze, il coordinamento
delle iniziative e un efficiente impiego delle risorse.
Se, come suggerisce Delors e come l’Italia dei distretti industriali (dove secondo il Censis,
l’occupazione sarebbe salita del 2,1% nel ’94) sembra confermare, per battere la disoccupazione
occorrono più imprenditori, più creatività, più studio, più lavoro e iniziativa che in passato, per
produrre valore economico è centrale allora sostenere le piccole e medie imprese che in Europa, nel
124
’93, erano 14,6 milioni e occupavano 62 milioni di addetti, secondo stime dell’Istituto Tagliacarne e
più di 11 milioni in Italia nel ’91 con il 77% dell’occupazione nelle imprese, secondo l’Istat.
Manca, allora, un network di agenzie locali e centrali, pubbliche e private, in grado di elabo-
rare strategie di intervento e avviare iniziative differenziate di infrastrutturazione economica,
tenendo debitamente conto di bisogni, culture e specificità locali (come, per esempio, la presenza
o meno di un senso civico diffuso, di risparmio o d’imprenditorialità) e che siano in grado, se del
caso, di fronteggiare la disoccupazione anche con iniziative di solidarietà sociale che risultino
compatibili con le risorse locali e con i vincoli di bilancio del Paese.
Non a caso, le politiche industriali di sostegno alla crescita in tutti i Paesi Ocse appaiono
focalizzate su base regionale e locale per fare leva sul patrimonio culturale delle popolazioni,
sull’intuito e sulla creatività imprenditoriale “per vivere meglio”, un principio-guida che è anche
il titolo di una raccolta di scritti (un pò datati - risalgono agli anni ’45-’49 - pubblicata da Bo-
ringhieri nel ’94) di Massimo Olivetti, fratello di Adriano: in essi appare davvero attuale l’impegno
nella ricerca di un rapporto virtuoso fra sviluppo economico e benessere della persona.
Altro aspetto da considerare è che i servizi pubblici hanno, nel complesso, ampie sacche di
disoccupazione nascosta, ovvero di occupati il cui lavoro non è - almeno tendenzialmente - più
necessario per l’avanzare della tecnologia, per il cambiamento nei modelli organizzativi o per il
mutamento della domanda di mercato.
Queste eccedenze di personale sono tollerabili sempre più a fatica, dalle aziende e dalla colletti-
vità: questo è ovvio per i servizi che si confrontano con un mercato ormai concorrenziale che è
pronto a ridurre a mal partito chi si trovi a operare gravato da costi superiori a quelli dei concorrenti.
L’intollerabilità di queste eccedenze può risultare meno ovvia nelle aziende che godono ancora
di condizioni di monopolio naturale: anche un tranquillo acquedotto comunale, se ha personale
in eccesso, impone però ai cittadini (direttamente attraverso le tariffe o indirettamente attraverso
il bilancio pubblico) costi ingiustificati; il trend verso una maggiore localizzazione della finanza
pubblica non mancherà di rendere palese ai cittadini-contribuenti questa elementare verità.
L’aggiustamento occupazionale nei servizi pubblici è evidentemente un problema di molti
Paesi. In particolare, in Europa, ad esso sono state date risposte diverse, comprese tra le rapide e
massicce riduzioni di personale in Gran Bretagna e la sostanziale paralisi che sembra aver colto
la Francia (France Telecom ad esempio ha cambiato tre presidenti in due settimane per l’indeci-
sione su come procedere su questo delicato capitolo).
In Italia, la soluzione a questo problema è stata finora principalmente basata sul ricorso ai
pre-pensionamenti con un costo estremamente elevato per la collettività.
Da un punto di vista “filosofico” i pre-pensionamenti sono figli di una particolare visione del
rapporto di lavoro e di uno stato non eccessiva responsabilità in ordine alla spesa pubblica.
La visione cui ci si riferisce riconosce come lavoro solo un “posto” di lavoro determinato, a
tempo pieno, all’interno di una data impresa: in questa ottica, se viene a mancare quel posto
viene a mancare il lavoro tout court e occorre, quindi, partire in cerca di ammortizzatori sociali.
In anni di finanza pubblica allegra è relativamente facile trovare risorse per questi ammor-
tizzatori specie per dipendenti di aziende pubbliche che gestiscono servizi a rete e che hanno
quindi un elevato potere contrattuale nei confronti della collettività e dunque delle aziende da
cui essi dipendono.
I tempi sono però ormai cambiati sul piano della finanza pubblica che comunque non riuscirebbe
a disporre delle risorse necessarie per coprire con ammortizzatori così costosi i riflessi occupazionali
di un ampio processo di recupero di efficienza nei servizi che si protrarrà per diversi anni.
E’, quindi, necessario cercare soluzioni nuove nella gestione delle eccedenze con un accor-
do la cui importanza derivi da almeno tre caratteristiche principali: dal fatto che l’accordo non
richiede alcun intervento alla finanza pubblica; dall’esteso ricorso alla flessibilizzazione del
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rapporto di lavoro (all’interno e all’esterno dell’azienda) su cui esso si basa; dal ricorso su ampia
scala alle moderne tecnologie dell’informazione per svincolare la prestazione del lavoro da quel-
la “unità di spazio e di tempo” che storicamente l’ha contraddistinta.
La scelta di non ricorrere a risorse pubbliche è di ovvia importanza ma anche le due altre
caratteristiche dell’accordo sono innovative e di grande rilievo.
Un tale accordo segna, infatti, un cambiamento “filosofico” di rilievo, che valorizza la di-
sponibilità dei lavoratori dipendenti a passare a forme assai diversificate di rapporto di lavoro
(part-time orizzontale, part-time verticale, attività temporanee) evidenziata da varie indagini
ma che trova scarsa possibilità di esprimersi.
In secondo luogo esso utilizza pienamente le nuove possibilità offerte dalla tecnologia di
superare le distanze portando il lavoro al lavoratore e non più viceversa.
In terzo luogo esso realizza un sensibile outplacement nelle strutture a valle della azienda
che ne commercializzano i prodotti, contribuendo quindi allo sviluppo di nuove opportunità di
lavoro non solo per i dipendenti coinvolti.
A mano a mano che un accordo di questo tipo si sviluppa, l’impresa diventerà diversa
dall’attuale, e, sulla base di modelli organizzativi in evoluzione, utilizzerà in modo assai diver-
sificato il “capitale umano” accumulato dai dipendenti nel corso della loro vita lavorativa, sen-
za disperderlo con pre-pensionamenti: con meno “posti” di lavoro ci sarà insomma ancora lavo-
ro, più flessibile e più diffuso territorialmente.
Questo accordo non può essere certamente trasposto meccanicamente a tutt’altre situa-
zioni; esso apre però strade nuove che potranno essere percorse anche da molti gestori a
livello nazionale e locale.
Più in generale, esso consentirà a tutto il Paese di accumulare esperienze preziose sulle nuove
forme di attività lavorativa che potranno svilupparsi nella società dell’Informazione.
Emerge, però, un altro problema di ordine generale: imprese che affidano l’espletamento di
lavoro ad impiegati residenti in Paesi in Via di Sviluppo che lavorano sui loro terminali in tempo
reale con paghe da Terzo Mondo e produttività da Manhattan.
Passando a considerare il piano delle vere e proprie azioni politiche è opportuno evidenziare
che la velocità con cui si stanno concretizzando, non solo a livello internazionale ma anche in
Europa, le infrastrutture e le applicazioni delle autostrade dell’informazione induce a far ritenere
ormai lontane le riserve che ci accompagnavano invece solamente poco più di un paio di anni fa.
Il lancio del progetto della National information infrastructure negli Stati Uniti nel 1992, il pro-
getto Advanced information infrastructure in Giappone nel 1993, il libro bianco di Delors del
1993 e il rapporto Bangemann del 1994 in Europa, la conferenza del G7 sulla Società dell’Infor-
mazione del febbraio 1995, costituiscono tutte iniziative che hanno indirizzato verso le autostra-
de dell’informazione le attenzioni dei media e dei governi e le iniziative concrete degli operatori,
facendo intravedere la possibilità del nuovo ciclo di sviluppo capace di offrire servizi ai cittadini
competitività alle imprese e un gran numero di nuovi posti di lavoro.
Ma ancora maggiore effetto ha avuto la constatazione dello sviluppo esponenziale della rete
Internet e delle innumerevoli applicazioni, di crescente interesse anche commerciale, che su di essa
sono concretamente visibili, con un fatturato previsto al 1997 in oltre quattro miliardi di dollari.
Come conseguenza, mentre solo poco più di un anno fa si riteneva che ci sarebbero voluti
vent’anni per dispiegare gli investimenti necessari per cablare a larga banda le principali nazioni,
oggi si stima invece che le principali aree urbane saranno interamente ricablate entro 2-5 anni.
Limitandoci a considerare i più recenti significativi sviluppi di azioni politiche a livello mon-
diale, va ricordato che i ministri del G7 nel citato vertice celebratosi a Bruxelles nel febbraio
1995 si sono proposti di imprimere un reale cambiamento nel futuro di tutte le nostre società
imponendo i principi-base per la costruzione delle autostrade dell’informazione senza ostacolare
126
ma, anzi, assecondando i giganti dell’economia informatica ed affermando che la liberalizzazione
di servizi, infrastrutture, appalti, investimenti è un elemento essenziale e che solo se l’accesso
al mercato e le condizioni di concorrenza saranno reali, eque e stabili, gli investimenti privati
mobiliteranno i capitali55
.
Il vertice, inoltre, ha lanciato undici progetti di altissima tecnologia informatica che costitui-
ranno la realizzazione di un primo pezzo della società del terzo millennio. E l’Italia è capofila di
due di quei progetti: quello multimediale su musei e gallerie che dovrà rendere accessibili tutte le
opere d’arte del mondo simultaneamente al pubblico di tutti i Paesi del Globo (partner fonda-
mentale è la RAI) e quello di telemedicina, settore patologie cardiovascolari, di cui coordinatrice
sarà l’Università Cattolica di Roma.
Nel successivo vertice dei G7 del maggio 1995 ad Halifax (Scozia) sono state riprese le fila
del summit di Bruxelles riaffermando il ruolo strategico dei progetti pilota approvati per le auto-
strade informatiche, dei quali è stata verificata la situazione di avanzamento, e sono state fatte
proprie le conclusioni di quel summit ministeriale sulla società dell’informazione.
Sono state discusse, inoltre, le proposte contenute nel documento “Costruire la società globa-
le dell’informazione: un appello all’azione dei governi” che sintetizza per la prima volta posizio-
ni comuni ad industriali e manager delle telecomunicazioni su temi di rilevanza strategica (ap-
provato il 18 maggio 1995 a Washington dai rappresentanti delle industrie del settore di quaran-
tacinque Paesi) per trovare indicazioni operative per l’attività dei singoli Governi. Le raccoman-
dazioni contenute nel documento, firmato dai rappresentanti di AT&T, Apple, Bbe, Bel Canada
International, Bertelsmann, British Telecom, Canal Plus, Dimler Benz, Deutsche Telekom,
Ericsson, France Telecom, Iel, Le Groupe Videtron, Matra Hachette, Mitsubishi Electrie, Nacsis,
Nec, Nippon Steel, Nokia, Ntt, Nynex, Olivetti, Pearson, Philips, Pirelli., Rai, Sega, Siemens,
Silicon Graphics, Société Génerale de Belgique, Stet, Teleglobe, Telefonica, Texas Instruments,
The Walt Disney Company, Time Warner, Tokio Marine, ma aperto a tutti i business leader ap-
partenenti o meno ai Paesi del G-7 che condividano i principi suesposti e che siano pronti ad
agire secondo le loro indicazioni, riguardano la completa liberalizzazione di infrastrutture e servizi
di telecomunicazioni entro il 1 °gennaio 1998, eque opportunità di accesso e di investimento,
Authority indipendenti per le telecomunicazioni, calendarizzazione del passaggio dal regime di
monopolio a quello di concorrenza, soluzione del problema del servizio universale.
In particolare, il documento si conclude con la “Dichiarazione per la Società Globale dell’In-
formazione” in cui gli imprenditori ed i manager esprimono le convinzioni che la Società Globa-
le dell’Informazione permetterà la creazione di nuovi posti di lavoro e migliorerà la qualità della
vita delle persone in tutto il mondo e, inoltre, che la sua costruzione richiederà il massimo impe-
gno e cooperazione dei Governi e del settore produttivo. Essi, ancora, esprimono la volontà di
promuovere la Società Globale dell’Informazione, condividendo i seguenti principi stabiliti nel-
la conferenza ministeriale del G-7 Bruxelles:
- “Promuovere una concorrenza attiva;
- Incoraggiare gli investimenti privati;
- Definire un regime normativo flessibile;
- Fornire libero accesso alle reti;
- Assicurare fornitura e accesso universali ai servizi;
- Promuovere uguali opportunità per i cittadini;
- Promuovere la diversità dei contenuti mediali, inclusa la diversità culturale e linguistica;
- Riconoscere la necessità di cooperazione a livello mondiale con un’attenzione particolare ai
Paesi meno sviluppati.
Attraverso:
- la promozione dell’interconnettività e dell’interoperabilità;
- lo sviluppo di mercati globali per le reti, i servizi e le applicazioni;
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- la garanzia di riservatezza e sicurezza dei dati;
- a protezione dei diritti di proprietà intellettuale;
- la cooperazione nella R&S e nello sviluppo di nuove applicazioni;
- il controllo delle implicazioni, della società dell’informazione a livello sociale e di società
nel suo complesso”.
Si impegnano ad agire secondo questi principi a livello nazionale, regionale e globale con
l’obiettivo primario di promuovere, proteggere ed accelerare lo sviluppo di un ambito effettiva-
mente concorrenziale.
Si dichiarano saldamente convinti che un senso di urgenza debba pervadere il processo di
decisione a tutti i livelli. Per questa ragione chiedono azioni urgenti e condividono la volontà
della Conferenza ministeriale del G-7 di facilitare le iniziative del settore produttivo nell’ambito
di adeguate condizioni di regolamentazione, concorrenza e accesso ai mercati nonché appoggia-
no vigorosamente la conclusione della Conferenza ministeriale del G-7 che il settore produttivo
dovrebbe diffondere la costruzione della Società Globale dell’informazione a patto che i Governi
e le istituzioni internazionali lavorino insieme per creare adeguate condizioni di regolamentazione,
concorrenza e accesso ai mercati e per stimolarne sviluppo.
Infine offrono la loro collaborazione ai Governi e alle istituzioni internazionali per tra-
sparente per definire un sistema di regolamentazione trasparente e prevedibile e per con-
trollarne la realizzazione; dichiarano di considerare l’educazione e la formazione come un
mezzo appropriato a promuovere per gli abitanti di tutte le nazioni eguali opportunità di
partecipazione e giovamento dalla Società Globale dell’Informazione e per questo scopo si
impegnano a lavorare insieme ed a cooperare con gli enti competenti per promuovere pro-
grammi specifici ed applicazioni sperimentali.
A settembre scorso, poi, sono stati avviati anche i negoziati sul futuro del quadro competitivo
a livello della WTO (World Trade Organisation) nel cui ambito sono individuabili due schiera-
menti di base: da una parte gli Stati Uniti che schiacciano il piede sull’acceleratore della
deregulation, dall’altra l’Europa che, invece, tira la leva del freno, anche perché nella trattativa
risulta appesantita dai Paesi più deboli e fa molta fatica a coagulare una posizione unitaria. Al suo
interno troviamo, infatti, l’ultraliberista Gran Bretagna che spinge per la deregulation mentre
alcuni Paesi hanno addirittura chiesto deroghe alla fine del monopolio sulla voce, previsto per il
31 dicembre ’97, cioè tra meno di due anni.
In Italia il ministro delle Poste, Agostino Gambino, ha presentato un disegno di legge,
recentemente varato dal Consiglio dei ministri, che anticipa al ’96 la liberalizzazione delle
reti con l’esclusione della voce, destinata a rimanere in monopolio fino alla scadenza euro-
pea del primo gennaio ’98.
Più in particolare, gli Stati Uniti intendono costruire il trattato che regolerà il villaggio
globale dell’informazione su quattro “condizioni inderogabili”: istituzione di una authority
globale indipendente sulle telecomunicazioni; regole trasparenti sulla determinazione delle
tariffe internazionali; definizione di sistemi di salvaguardia della competizione e di prote-
zione dagli abusi dei grandi operatori telefonici globali; rimozione dei limiti al controllo
estero delle società di telecomunicazione.
Tale proposta era contenuta nella bozza di Trattato messa a punto dall’Amministrazione Clinton.
Ma al vertice mondiale delle TLC per i negoziati WTO, cui partecipano le rappresentan-
ze di tutte le grandi aree del mondo, si è profilata subito una dura battaglia: gli americani
hanno infatti già bocciato le proposte anticipate dal Giappone definendole, per bocca di
alcuni alti funzionari della Casa Bianca, come “molto povere e in larga misura non accetta-
bili” e hanno anche criticato i tentennamenti europei esprimendo “preoccupazione” per il
ritardo con cui la Ue si sta preparando per il vertice.
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La bozza di trattato delle 15 Nazioni dell’Unione Europea, infatti, sarebbe dovuta essere pronta
entro il primo agosto ma le divergenze hanno bloccato la definizione di una proposta comune.
Gli Stati Uniti, dunque, temono che il loro impegno per un trattato globale delle TLC venga
scambiato per un problema tutto americano. In effetti è necessario il supporto di tutte le Nazioni.
In altre parole, secondo l’amministrazione Clinton ritardi e spinte protezioniste rischiano di tra-
sformare in una giungla il mercato globale delle telecomunicazioni, in aperta violazione degli
accordi già sottoscritti due anni fa. Secondo i trattati dell’Uruguay Round firmati nel 1993, dopo
ben 7 anni di negoziato avviato sotto l’egida del Gatt, infatti, il patto mondiale sulle telecomuni-
cazioni deve essere definito entro il 30 aprile del 1996.
Dunque, le proposte cominciano ad arrivare ma le basi di una intesa appaiono ancora lontane.
E ad allontanare un accordo, secondo Washington, è ancora una volta il protezionismo giapponese.
La proposta presentata da Tokio non modifica le attuali restrizioni alla competizione estera
sul mercato nipponico delle telecomunicazioni: come avviene oggi le società straniere non po-
tranno possedere più del 30% di una compagnia telefonica locale o long distance e non più del
20% dei giganti nazionali, Nippon Telegraph & Telephone Corp e Kokusai Denshin Denwa.
Secondo la proposta americana, invece, il mercato globale delle telecomunicazioni si creerà
soltanto aprendo alla libera competizione tutti i mercati nazionali, un concetto che del resto si
sta già affermando negli Stati Uniti con la legge di riforma delle telecomunicazioni approvata
all’inizio di agosto scorso dalla Camera dei deputati. La salvaguardia della competizione e della
libera concorrenza dovrà essere affidata a un’Authority indipendente e dotata di ampi poteri di
intervento regolatorio e sanzionatorio da istituire dopo la firma del trattato. “Gli Stati Uniti - è
scritto nella bozza di trattato dal Journal of Commerce - offriranno alle società straniere accesso
illimitato al proprio mercato, trattandole con gli stessi diritti e doveri riconosciuti alle imprese
americane”. Alcune limitazioni, tuttavia, saranno mantenute per prevenire un’eccessiva presen-
za estera nel settore delle licenze radio-televisive: attualmente i Governi stranieri non possono
possedere licenze radio sul mercato Usa e le società estere possono avere partecipazioni che
non superano il 20 per cento. La globalizzazione e l’integrazione dei sistemi di comunicazione
ha reso, infatti, le licenze radio un campo strategico su cui Washington sembra disposta a tratta-
re solo a determinate condizioni. Prima tra tutte l’affermazione del principio della reciprocità
sulle opportunità di investimento.
Dunque, una domanda da porsi andando al tavolo delle trattative WTO a Ginevra è la seguen-
te: sono davvero diversi i Paesi cosiddetti liberisti dai Paesi cosiddetti monopolisti, a dieci anni
dall’inizio delle varie tappe di liberalizzazione, e chi ha avuto ragione?
Se prendiamo i Paesi del G7, gruppo al quale ci onoriamo di appartenere e li dividiamo in due
gruppi secondo il grado di liberalizzazione troviamo da una parte i liberisti Regno Unito, Giap-
pone, Canada e Usa che hanno tutti lanciato i loro progetti di liberalizzazione fra il 1981 e il
1985, dall’altra Francia, Germania e Italia, che l’Ocse giudica tutt’oggi Paesi quasi integralmen-
te monopolisti (salvo nella telefonia cellulare), insieme a quasi tutta l’Europa continentale, con
Austria, Belgio, Danimarca, Grecia, Lussemburgo e Olanda.
La densità telefonica dei Paesi liberisti è cinque punti superiore a quella dei Paesi monopolisti
ma chiunque può ricordare che lo era anche dieci anni prima, quando più o meno tutti erano
monopolisti. C’è però, una vistosa differenza, la diffusione aziendale è nettamente superiore nei
Paesi liberisti che tuttavia non hanno mancato ai loro obblighi di servizio universale. Tutti
sanno, infatti, che in questi Paesi le tariffe aziendali (interurbane, internazionali, linee affittate
per trasmissione dati) sono molto più basse ma questo non ha depresso né i fatturati degli ope-
ratori né i loro profitti che godono anzi di ottima salute.
Indubbiamente gli operatori dei Paesi liberisti hanno diminuito gli investimenti, anche
perché tutti sono stati assoggettati a regimi tariffari di price-cap che incentivano l’aumento
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di produttività mentre i monopolisti e, salvo la Francia, hanno ancora regimi tariffari che pre-
miano gli investimenti. Naturalmente i Paesi liberisti diminuiscono gli addetti alle telecomunica-
zioni ma, guarda caso, hanno anche i minori tassi di disoccupazione nel sistema economico.
Allora ci chiediamo: valeva la pena tanta cautela dell’Europa continentale nell’adottare le
direttive di Bruxelles, che quindi aveva buone ragioni di insistere? Forse no, se guardiamo ai
risultati di mercato ed economici in generale. Forse sì, se pensiamo a certe tecnologie tipicamen-
te top-down, come le reti Isdn e i chilometri di fibra stesi, dove i monopolisti hanno qualche
vantaggio che darà risultati solo a lungo termine.
Il prossimo decennio vedrà riallineamento delle politiche perché, al più tardi entro fine
1997, saremo tutti più simili e si vedrà, per usare un paragone sportivo, se era colpa della
macchina o dei piloti.
Sarebbe paradossale che il prossimo decennio dimostrasse che la miglior preparazione alla
liberalizzazione sono stati i prolungati regimi di monopolio, come forse il rapido sviluppo della
telefonia cellulare in Italia starebbe a dimostrare. Forse la prossima dimostrazione verrà dal
cavo. Il gruppo del G7 sul G.I.I.(Global Information Infrastructure), presieduto da Carlo De
Benedetti, poi, l’ottobre scorso a Ginevra ha compiuto un nuovo passo in avanti. Infatti, ha
discusso ed esaminato i temi dei negoziati per l’accordo di libero scambio nelle TLC, i tempi
della deregulation europea e le regole sui diritti di proprietà intellettuale sul software (copyright)
pervenendo ad una serie di specifiche raccomandazioni ai Governi di cui si è anche parlato a
porte chiuse con lo stesso Direttore Generale del WTO Renato Ruggiero.
Questa riunione del G7 informatico, pertanto, ha rappresentato la tappa intermedia tra il ver-
tice G7 di Halifax del 1995 e quello che si terrà in Sud Africa il prossimo maggio.
Un’enfasi particolare è stata posta sul ruolo che possono giocare i privati, essendo la
prima volta che l’industria presenta un grande progetto di sviluppo ai Governi senza chie-
dere denaro. Le autostrade elettroniche, infatti, rappresentano un business che si autofinanzia
totalmente. Quello che è stato chiesto è di mettere a punto un’agenda credibile e seria sulla
liberalizzazione in modo da facilitare il decollo del libero mercato. Non per niente il piano
d’azione e di lavoro ha ricevuto non solo il plauso ma anche l’incoraggiamento del presi-
dente Usa Bill Clinton, di quello francese Jacques Chirac, del cancelliere tedesco Helmut
Kohl e della Commissione Ue guidata da Jacques Santer.
Si tratta adesso di trasformare i documenti in azioni concrete, magari iniziando dai progetti
pilota riguardanti la formazione e il lavoro a distanza, avendo la consapevolezza che ci trovia-
mo di fronte ad un cambiamento epocale, come ha sottolineato lo stesso De Benedetti.
Questa nuova rivoluzione “globale”, sia a livello geografico sia a livello sociale, è destinata
ad avere un fortissimo impatto sui nostri modi di vivere del prossimo futuro anche perché si
tratta di cambiamenti che interessano soprattutto le aree “immateriali” e aprono quindi nuove
dimensioni: le idee non hanno barriere. La fase che si apre darà quindi opportunità anche ai
Paesi poveri. La stessa Europa, se si muove nella giusta direzione, può contendere la leadership
agli Stati Uniti, dal momento che il vecchio continente rappresenta un bacino di “cultura distri-
buita” senza pari al mondo.
Ma gli ostacoli non mancano. Sul tappeto, ad esempio, c’è lo spinoso problema del copyright.
E in discussione ci sono proprio gli ultimi dettagli di una proposta-quadro in grado di dare un
minimo di regole alla proprietà intellettuale dei prodotti già a partire dal primo gennaio. Secon-
do gli esperti, il copyright mondiale sulla multimedialità darà un grande impulso allo sviluppo
di prodotti hi-tech e alla diffusione di nuovi servizi multimediali.
Considerando i più recenti significativi sviluppi di azioni politiche a livello di Unione Europea,
va ricordato il “Rapporto Bangerman: Europa e la società globale della informazione” del 1994.
Il Rapporto indica come le città possano avere un ruolo fondamentale nella futura società
dell’informazione e sottolinea il loro ruolo nel generare la domanda iniziale e nel promuovere
130
l’interesse dei cittadini verso i nuovi servizi ed ancora proporre un piano di azione comprenden-
te, tra gli altri, tre elementi essenziali:
a) la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni;
b) il concetto di dimensione mondiale;
c) le iniziative nel settore applicativo per affrontare il problema della crescita troppo lenta
della domanda e dell’offerta.
Più in particolare, inoltre, il Rapporto auspica un nuovo scenario regolamentare che
consenta la libera concorrenza in modo da mobilitare i capitali necessari per l’innovazione,
la crescita e lo sviluppo.
A tal fine l’azione dell’Unione europea si pone l’obiettivo di dimostrare, attraverso esperi-
menti selezionati, il potenziale della società dell’informazione e di identificare e rimuovere i
vincoli amministrativi, operativi e regolamentari, in modo da creare un ambiente libero e favore-
vole. Si prevedono due direzioni di sviluppo:
- promuovere la fornitura di servizi, con particolare enfasi a quelli offerti dalle autorità pub-
bliche locali, in modo diretto e personalizzato;
- facilitare l’accesso di tutti i cittadini ai prodotti e servizi della società dell’informazione, tra cui
prodotti/serviziperl’intrattenimento,l’educazione,l’acquistoadistanza,labancadacasa,iltelelavoro.
A sostegno dello sviluppo delle infrastrutture telefoniche e telematiche, poi, l’Unione Euro-
pea nel dicembre 1994 ha varato un programma ad hoc di 455,1 milioni di ecu per l’Ammoder-
namento, 425,5 milioni di ecu per la Qualità, 192,97 milioni di ecu per lo Sviluppo innovativo
e 2,42 milioni di ecu per l’Attuazione, per complessivi 1.076,05 milioni di ecu fino al Duemila56
.
Di tale Programma operativo multiregionale “Telecomunicazioni 1994-99 U.E.” sono desti-
nati, in particolare, al nostro Paese ben 2.250 miliardi di lire fino al Duemila.
Il pacchetto di aiuti è degno erede di precedenti iniezioni di fondi arrivati nell’ambito del
quadro comunitario di sostegno 1989-93. In quel periodo venne inizialmente deciso un inter-
vento di 83,9 milioni di ecu sempre a favore delle infrastrutture telefoniche del Sud: nel ’92 i
lavori previsti erano già conclusi in anticipo sulla tabella di marcia (strano quando si tratta di
fondi strutturali). Tanto che, nel ’93, al momento di riprogrammare i finanziamenti comunitari
destinati al nostro Paese, venne deciso di spostare una parte dei contributi lasciati inutilizzati
proprio sul settore delle telecomunicazioni, portando a un totale di 225 milioni di ecu i contri-
buti Ue per un investimento globale di 646 milioni.
A continuare questi interventi si è inserito il nuovo programma, relativo al periodo 1994-99:
stavolta gli euro-aiuti sono addirittura 376,7 milioni di ecu e l’intero investimento tocca quota
1.076 milioni, al cambio attuale 2.250 miliardi di lire. Il via libera è arrivato nel dicembre ’94 e
da allora l’utilizzo degli aiuti è già decollato. Agestire i fondi, come nel passato, è Telecom Italia
e l’esistenza di un unico beneficiario semplifica non poco l’utilizzo di questi fondi.
La differenza tra i 1076 milioni di ecu e i 376,7 di aiuti europei (699,3) verrà quindi ricavata
dal bilancio di Telecom. A cosa serviranno tutti questi finanziamenti? Ad ammodernare la rete
esistente e soprattutto a realizzare nuove strutture avanzate di telecomunicazioni: come nel
passato gli aiuti europei sono destinati ad anticipare interventi che diversamente sarebbero rin-
viati ad un futuro più o meno prossimo.
Come segnalato in una nota della Telecom, le linee programmatiche degli interventi
infrastrutturali previsti nel periodo 1994-99 sono indirizzate tra l’altro alla numerizzazione del-
le infrastrutture con la conseguente diffusione di uno “zoccolo” di intelligenza in tutti gli ele-
menti della rete; alla crescita delle capacità di trasporto in funzione dello sviluppo dei servizi
tradizionali e dell’emergere dei servizi “a larga banda” e del corrispondente impiego delle fibre
ottiche anche nella rete di distribuzione; al trattamento integrato delle informazioni (voce, dati,
immagini) con particolare attenzione allo sviluppo delle interfacce d’accesso utente-rete di tlc;
allo sviluppo delle telecomunicazioni mobili e ai nuovi sistemi satellitari.
131
Inoltre, per promuovere i nuovi prodotti multimediali, al fine di rendere più agile ed efficace
la società dell’informazione europea, la Commissione europea nel 1995 ha proposto il program-
ma “INFO 2000” stanziando 100 milioni di ecu (quasi 400 miliardi di lire) dal 1996 al 1999.
L’obiettivo, specificato dal commissario Martin Bangemann, è quello di sostenere tutta una
serie di prodotti multimediali per collegare i produttori del contenuto dell’informazione creando
una rete accessibile alla totalità degli utenti europei. I servizi di informazione hanno una grande
importanza culturale e linguistica per il ruolo determinante che svolgono nella vita privata, sociale,
culturale e politica. Bisogna quindi renderli disponibili e accessibili alle imprese e ai cittadini
europei. Ma come fare?
La proposta presenta un corposo pacchetto di iniziative che coinvolgerebbe tutta l’industria
dell’informazione, dalle edizioni stampate a quelle elettroniche, compresa naturalmente l’indu-
stria audiovisiva.
Una prima fase consiste nello stimolare l’utenza europea.
Gli utenti che hanno bisogno d’informazioni a chi devono rivolgersi, dove vanno a cercarle?
Info 2000 intende dare loro delle risposte, utilizzando le strutture già esistenti ma operando una
piccola rivoluzione mettendo insieme le Camere di commercio, le organizzazioni professionali e
gli organismi pubblici in una rete europea con la consegna di scambiare tra loro esperienze e
informazioni, creando una libera circolazione.
Su questa linea perché non puntare anche sul settore pubblico che produce un potenziale
d’informazione non indifferente? E siamo alla seconda fase operativa di Info 2000, quella cioè
che mira a facilitare l’accesso a tutta una serie di informazioni prodotte da organismi ed enti
pubblici sparsi nel territorio dei Quindici. Informazioni che possono riguardare ad esempio la
salute, di grande importanza sia per i singoli cittadini che per le imprese. E soprattutto fanno parte
del settore pubblico fonti d’informazione come i musei, le biblioteche, i sistemi di deposito dei diritti
d’autore dei brevetti, gli organismo di insegnamento e di formazione, gli archivi storici.
Informazioni che restano spesso confinate in ambito nazionale e che non sono ancora adatte
per essere utilizzate a livello multimediale.
Questo processo di comunicazione potrà concretizzarsi in un “repertorio d’informazioni”,
una sorta d’indirizzario delle informazioni prodotte dal settore pubblico. Attraverso questo in-
dirizzario potrà partire un lavoro di integrazione e scambio transnazionale dei diversi repertori
d’informazione nazionali, regionali e locali.
Ma promuovere nuovi prodotti multimediali vuol dire anche affrontare la trafila kafkiana
dei diritti di riproduzione e di proprietà a loro volta di differenti autori e di numerose società di
gestione collettiva. Info 2000 prevede per questo la creazione di procedure più snelle e agili in
modo da accedere più facilmente agli scambi a livello europeo di diritti di proprietà intellettua-
le. Un ostacolo che potrebbe frapporsi al terzo momento operativo del programma, quello che
ha l’obiettivo di rendere concrete le opportunità del contenuto dell’informazione in Europa,
attraverso tre livelli strategici: lo sviluppo economico del patrimonio culturale europeo, i servi-
zi alle piccole e medie imprese, e l’informazione geografica.
Un altro passo significativo registrato nel 1995 emerge dal “Rapporto sulla competività del-
l’economia comunitaria”, presentato dal Gruppo di Lavoro CAG presieduto dall’italiano Carlo
Azeglio Ciampi, nel cui capitolo dedicato all’impresa europea, dopo aver precisato che “la capa-
cità delle imprese, sia piccole che grandi, di creare valore aggiunto è uno dei fattori chiave che
determinano le prestazioni globali di qualsiasi economia, il suo livello di competitività nonché
gli standard di vita della sua popolazione direttamente attraverso l’occupazione e indirettamen-
te attraverso la previdenza sociale e la ridistribuzione dei redditi e che in un’economia di mer-
cato a carattere aperto e internazionale le imprese europee che vogliono garantire occupazione
e produrre ricchezza devono essere in grado di competere e conquistare mercati redditizi sia
all’interno che all’esterno del proprio Paese, al punto due si evidenzia la necessità di eliminare
132
gli ostacoli all’innovazione ed all’applicazione di tecnologia. Nella fattispecie si osserva che “le
prestazioni delle imprese europee dipendono dalla loro capacità di innovare e di applicare le
nuove tecnologie allo scopo di aumentare la produttività e sviluppare nuovi prodotti. Di conse-
guenza, un programma mirato ad accrescere la competitività dovrà eliminare le barriere che
ostacolano l’innovazione e l’applicazione di nuove tecnologie”.
Quella delle telecomunicazioni è considerata una delle principali infrastrutture transeuropee,
in quanto rappresenta il sistema nervoso di un’economia basata sulle informazioni, in cui la
capacità di catturare, trasferire, elaborare e utilizzare le informazioni diventa sempre più impor-
tante per affermarsi sul mercato. Il cammino verso la liberalizzazione dei servizi e delle infra-
strutture di telecomunicazione, attualmente prevista per il 1998, è stato finora lungo e tortuoso:
in base a un recente studio, i costi per alcuni servizi di telecomunicazione in Europa sono ben 22
volte più alti che negli Stati Uniti con grande svantaggio per le imprese che devono misurarsi con
la concorrenza sui mercati mondiali.
Come emerge da una serie di studi effettuati durante l’ultimo decennio, nella sfera dell’indu-
stria delle telecomunicazioni rientrano una serie di tecnologie che nel corso dei prossimi decenni
dovranno svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo del vantaggio competitivo dell’Euro-
pa. Il Cag è convinto che il completamento del mercato interno in questo settore rappresenti
attualmente una priorità urgente per la Commissione e debba essere dichiarato uno dei suoi obiettivi
principali per i prossimi due anni. La capacità di assicurare efficienti servizi di telecomunicazione
rafforzerebbe la competitività delle imprese dell’Ue sia al suo interno - grazie all’abbassamento
delle tariffe, al miglioramento della qualità dei servizi e allo sviluppo di servizi nuovi e innova-
tivi - che all’esterno, sul mercato mondiale dei servizi di telecomunicazione che si sta sviluppan-
do con estrema rapidità. Comunque, numerosi restano gli interventi necessari in campo comuni-
tario a sostegno dello sviluppo delle TLC e tra questi uno dei più complessi è senza dubbio
l’armonizzazione degli interventi dei singoli Stati per creare una rete davvero europea.
Considerando, poi, l’azione politica di alcuni singoli Paesi, limitandoci a puro scopo indica-
tivo a citare taluni aspetti di processi in realtà intuitivamente complessi ed articolati, va evidenziato,
innanzitutto, la vasta azione di revisione di tutta la normativa riguardante le reti di comunicazio-
ne (telefonia, trasmissione dati, televisione) in atto negli Stati Uniti ad opera del Congresso.
E’ un fatto di importanza capitale per tutto quell’ampio settore che, sotto la pressione dell’inno-
vazione tecnologica, viene formandosi attraverso l’integrazione di media, telecomunicazioni,
informatica, elettronica di consumo.
Il primo motivo che segnala il rilievo dell’evento è di ordine cronologico: per oltre sessant’anni
(il vecchio telecommunications act era del 1934) il Congresso non aveva più toccato la questione
(con l’eccezione di una legge settoriale sulla tv via cavo all’inizio degli anni Ottanta) lascinadola
agli interventi (spesso pesantemente regolatori) della Federal Communications Commission e
addirittura della Corte suprema; ora riprende in mano la materia con grande decisione ripensan-
done, dalle fondamenta, l’architettura. Il Congresso, inoltre, procede depurando la legge dalle
disposizioni destinate ad accelerare la liberalizzazione delle tariffe nel settore via cavo e l’elimi-
nazione delle restrizioni sulla proprietà delle aziende nel settore dei media, aprendo così la strada
a crescenti concentrazioni. Ma a preoccupare la Casa Bianca è la prospettiva che la riforma apra
la strada alla formazione di ampi conglomerati industriali nel campo della telefonia e dei media,
riducendo drasticamente la concorrenza nel campo delle telecomunicazioni e dell’informazione
con un danno economico per il pubblico.
Vi è, inoltre, la proposta di eliminare la rigida separazione tra i mercati della telefonia locale
e a lunga distanza, di allentare il limite al numero di stazioni radio e tv che un solo gruppo può
possedere e di abbattere il divieto a controllare contemporaneamente sistemi via cavo, giornali e
stazioni tv in un unico mercato locale. E ora, con il voto della Camera, l’unica restrizione alla
proprietà televisiva resterebbe un limite del 35% dell’audience nazionale che può essere raggiunta
133
da ciascun broadeater. In gioco ci sono cifre da capogiro: secondo i sostenitori della riforma, la
deregulation provocherà un boom di investimenti stimolando un giro d’affari che già oggi si
aggira sui 700 miliardi di dollari. Prive di vincoli territoriali, le sole società telefoniche si conten-
deranno un mercato da 190 miliardi di dollari.
Anche in Gran Bretagna è in atto un processo di modernizzazione che ha già avuto una prima
applicazione di notevole rilievo con il vero e proprio “big bang” della Borsa di Londra.
Tra gli eventi più recenti, poi, c’è da segnalare la proposta del leader Blair al Congresso
Laburista del 1995 di collegare tutti i servizi pubblici della Gran Bretagna con una enorme autostra-
da informatica per rilanciare il sistema-Paese: un’operazione quantificata dagli esperti del setto-
re in non meno di 10 miliardi di sterline, oltre 25 mila miliardi di lire.
Nel contempo, nel settore TV via cavo, l’attuale Governo conservatore sta consentendo la
crescita di numerose società concorrenti del gigante delle TLC British Telecom facendo osserva-
re a quest’ultimo il divieto, contenuto nelle regole sul Broadeasting ed in vigore fino al 2001, di
fornire via cavo informazioni legate all’intrattenimento ed al tempo libero.
A sua volta, il governo giapponese ha approvato un ingente piano di investimento (per centi-
naia di migliaia di miliardi di lire), incentrato su Ntt, che consentirà di collegare tutte le famiglie
in fibra ottica entro il 2010, con la ipotizzata creazione di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro.
In Francia, inoltre, dove già France Telecom gestisce il “Plancable”, è in atto uno sforzo
finanziario per la realizzazione dell’autostrada dell’informazione nell’ordine tra i 45 ed i 60
mila miliardi di lire (con un valore aggiunto a sua volta almeno triplo) mentre in Germania è
stato varato il progetto di allacciare 1,2 milioni di famiglie in fibra ottica entro il 1996, opera
affidata alla Telecom locale che gestisce anche le reti via cavo.
In Italia, poi, oltre all’opera di Telecom Italia che sta allacciando sperimentalmente per i
servizi interattivi a banda larga famiglie nelle principali città perseguendo l’obiettivo di collega-
re 350 mila famiglie entro il 1995 e 10 milioni entro il 1998, comincia ad essere più significativa
l’azione politica a sostegno del processo di ammodernamento ed integrazione tecnologica.
Oltre quanto specificamente trattato in altri capitoli, va menzionato che è stato presen-
tato il “Piano triennale per l’informatica 1996-98 della pubblica amministrazione” a cura
dell’A.I.P.A., l’Authority per l’informatica nella P.A., che prevede finanziamenti per 8.170
miliardi in tre anni e il bilancio di quasi 400 progetti sperimentali che vedono in prima fila
anche l’ipotesi di voto elettronico.
Il Piano, inoltre, ha come obiettivo di massima, accanto all’esigenza di ridurre i disagi dei
cittadini col ricorso deciso ma “intelligente” e mirato ai sistemi informativi, quello di diffondere
l’uso dell’informatica nelle amministrazioni. E soprattutto di creare una rete di interconnessione
tale da creare un reale supporto all’attività di Governo. Il tutto, con una dotazione di 2.784 mi-
liardi nel ’96, 2.984 nel ’97 e 2.402 nel ’98.
La pubblica amministrazione, dal canto suo, dovrà scommettere sull’economicità e sulla gestio-
ne efficiente delle risorse: tagliando i costi di esercizio e manutenzione dei sistemi e i contratti esterni
dei Centri di elaborazione dei dati, per i quali sono possibili risparmi anche del 50% in tre anni.
Di poi, sempre lo scorso anno, lo stesso Governo ha varato una direttiva per
l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione che prevede proprio la creazione di una
rete informatica unitaria per collegare gli uffici tra di loro e permettere scambi di informazioni
nonché vantaggi per i cittadini che potranno ottenere notizie di carattere tributario, amministra-
tivo, previdenziale, anagrafico, catastale, ecc. da un unico sportello.
Vi è, poi, il piano di politica industriale per le TLC, destinato a sorreggere tanto Olivetti che le
altre aziende del settore, che prevede, al primo punto, la creazione di un ambiente favorevole per lo
sviluppo degli investimenti attraverso il passaggio dal monopolio alla libera concorrenza. In tal
senso va il DDL presentato lo scorso anno, dal ministro Gambino, che può essere considerato il
nuovo punto di riferimento verso l’allargamento del mercato delle telecomunicazioni.
  R. Villano - Società globale dell'informazione: problematiche e azioni politiche
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  • 1.
  • 2. 3 ROTARY INTERNATIONAL DISTRETTO 2100 ITALIA Service Above Self - He Profit Most Who Serves Best Raimondo Villano Verso la società globale dell’informazione A. R. 2000-2001
  • 3. 4 L’elaborazione e la scrittura di questo testo è stata ultimata nel mese di maggio 1996. © Rotary International - Club Pompei Oplonti Vesuvio Est Elaborazione, impaginazione e correzioni a cura di Raimondo Villano Edizioni Eidos, Castellammare di Stabia (Na)
  • 4. 5 Indice Presentazione 7 Prefazione 9 CAPITOLO I Analisi settoriale delle principali applicazioni telematiche 11 CAPITOLO II Analisi settoriale dei problemi tecnici di applicazione e/o sviluppo delle tecnologie informatiche 33 CAPITOLO III Sicurezza e reati informatici: problemi tecnici, giuridici e normativi 85 CAPITOLO IV Problematiche ed azioni politiche 113 CAPITOLO V Politica, attività e problematiche delle imprese del settore informatico 135 CAPITOLO VI Stime di mercato 149 CAPITOLO VII Aspetti filosofici, morali ed esistenziali 155 CAPITOLO VIII Impatto spaziale. Problemi urbanistici 163 CAPITOLO IX Impatto sociale 169 Conclusioni 177 Note 180 Bibliografia 183
  • 5. 7 Presentazione Un grande dono offerto con grande umiltà. Ecco come si può definire questa lunga e non lieve fatica di Raimondo Villano, il quale, per mero spirito di servizio e non certo per ambizioni accademiche, ha voluto assumere la parte e l’ufficio di mediatore tra una materia intrinsecamente complessa e in rapida evolu- zione e la gran massa di coloro che, in numero e in misura crescenti, son destinati a fare i conti con essa, anche se non per loro scelta. Il discorso sull’attuale società dell’informazione è tanto diffuso, che rischia di apparire un luogo comune. Ma proprio il fatto di essere comune comporta la necessità che se ne conoscano, sia pure a grandi linee ma non superficialmente, contenuti metodi e finalità non con la pretesa di dominare il nuovo universo disciplinare ma con il legittimo desiderio di non esserne dominati e manipolati. La nuova realtà creata dalla scienza informatica ed elettronica ha profondamente mutato, abbreviandole fin quasi a cancellarle, le tradizionali coordinate spaziali e temporali dell’umano agire e comunicare, costringendo anche menta- lità e abitudini a rapidi processi di adattamento. Quando gli adattamenti ci sono stati (con o senza traumi conta poco), si son ritrovati enormemente accresciuti i poteri di ciascun individuo di mettersi in relazione con gli altri e quindi di moltiplicare, attraverso lo scambio di informazioni, le occasioni e le modalità della crescita globale della personalità. Quando, invece, gli adattamenti non sono stati nep- pure tentati o, se avviati, non hanno creato le sperate abilità, s’è avvertita una progressiva emerginazione dal flusso delle informazioni e s’è instaurata la non felice condizione di do- ver utilizzare informazioni manipolate da altri o comunque di seconda mano. Ecco perché oggi non è più possibile scegliere tra l’adesione alla nuova realtà e il rifiuto di essa. Nella società dell’informazione ci siamo già e, ci piaccia o no, l’unica libertà di scelta che rimane è tra il rassegnarsi a subirla o il prepararsi a guidarla. E l’uomo, se non vuole abdicare alla propria dignità, non può non provvedere in tempo alla propria libertà con lo scegliere la seconda ipotesi. È davvero un Giano bifronte quello che sfida l’uomo contemporaneo a scelte difficili e irrevocabili: esso promette e fa intravvedere un gran bene, ma contiene anche, occulte, le insidie di un gran male. Ancora una volta, come all’inizio della storia, l’uomo deve vivere e risolvere dentro di sé l’eterno dramma della scelta. Ma in ogni caso la via resta sempre una: quella della cono- scenza. Per accettare o per respingere. * * * L’autore non chiude gli occhi di fronte ai problemi che vien ponendo all’uomo di oggi la trasformazione in atto della società. Al contrario: li fa suoi, quei problemi, e, pur con le debite cautele e riserve, assume coraggiosamente posizione a favore della prospettiva di cambiamento, ovviamente governato e diretto dall’uomo. Il cap. VII, in particolare, con- tiene una diligente e accurata disamina del pensiero filosofico contemporaneo nel suo
  • 6. 8 misurarsi con la tecnologia informatica e con i problemi ch’essa pone alla perplessa intel- ligenza e all’ancor più perplessa sensibilità degli uomini. Sembra proprio che l’intera civiltà occidentale, di plurimillenaria durata, sia giunta ad una svolta decisiva del suo cammino: la macchina, che pur è frutto dell’umano pensiero, ne incrementa ed amplifica le potenzialità in misura incredibile e imprevedibile, ma restano molto difformi da essa i ritmi con cui le masse degli uomini si adeguano alle nuove possibi- lità operative. È come se l’immensa eredità della storia dell’umana intelligenza e ricerca oggi costituisse una remora o un gravame per l’uomo dannato al cambiamento: questo c’è sempre stato, ma, per i ritmi che ne scandivano il processo, è stato sempre agevolmente “metabolizzato” dall’uomo. Oggi è l’incalzante rapidità dei processi innovativi che mette a nudo la lentezza dell’adeguamento dell’uomo e della sua struttura psichica e mentale. Ed è proprio lì, nello scarto tra le due velocità, che si annida il rischio: la liberazione dalla ripetitività meccanica di certe operazioni, offerta dalla macchina, potrebbe tramutarsi in un forma sconosciuta di asservimento delle masse. Da parte di chi? e a vantaggio di chi? Se a questo punto della riflessione interviene l’inevitabile avvertimento di tener sempre l’uomo come fine, ecco che ammonitore si leva il passato con tutto il fascino dei valori ch’esso ha creati e consegnati alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità. Il cammino verso il nuovo è inarrestabile. L’augurio è che l’uomo sappia percorrerlo con saggezza, con coraggio e con umiltà, traghettando sempre nei nuovi approdi l’eredità delle passate gene- razioni, in virtù della quale egli può ancora riconoscersi e dirsi uomo. La riflessione dell’autore su tutta quest’area problematica dura da alcuni anni, nel cor- so dei quali egli ne ha fatto partecipi gli amici rotariani del suo club con la generosità di chi mette a vantaggio degli altri la propria fatica e con l’umiltà di chi sente il proprio dono inadeguato al sentimento che lo muove e lo accompagna. Alcune tappe di questo fecondo e costante rapporto della silenziosa operosità del singolo con la vita del gruppo sono state contrassegnate da concrete proposte di notevole utilità e rilevanza sociale: ricordo le validissime indicazioni sull’organizzazione del servizio sanita- rio e dell’assistenza agli anziani, sull’orientamento dei giovani nella scelta degli studi uni- versitari e nella ricerca del lavoro nonché le preziose applicazioni della razionalità infor- matica alla sistemazione dell’archivio del Distretto 2100 del R.I. Di tutta l’esperienza acquisita e della conoscenza accumulata nell’itinerario degli ultimi anni quest’opera rappresenta la “summa”, della quale non saprei se apprezzare di più l’ampiez- za della materia trattata o lo sforzo di renderla accessibile alla comprensione di persone sforni- te di competenza specifica ma dotate di buona volontà, quali son certamente i Rotariani. A me, che ho avuto più volte l’occasione di apprezzare la serietà dell’impegno professio- nale e civile dell’autore, piace concludere questa presentazione col notare ch’egli, nel delineare l’avvento del nuovo universalismo tecnologico come versione contempora- nea degli universalismi classici (cristiano, umanistico, razionalistico), ha saputo far sua la pedagogia rotariana dell’uomo come fine. Gennaio 2000 Antonio Carosella
  • 7. 9 Prefazione Il presente lavoro è scaturito dall’analisi, a mano a mano sem- pre più approfondita, degli aspetti e delle problematiche della so- cietà globale dell’informazione, condotta sulla scorta di numerosi testi e pubblicazioni, tra le quali ultime mi piace ricordare qui il prestigioso quotidiano nazionale IL SOLE 24 ORE, che al fenome- no delle telecomunicazioni riserva con costanza la sua ben nota e non superficiale attenzione. A me pare, invero, ch’esso, pur senza la pretesa di essere esau- stivo in una materia oltremodo complessa a causa dell’intrinseca multifattorialità e polivalenza nonché della magmatica evoluzione del fenomeno, possa tuttavia divenire un utile strumento di ulterio- re comprensione e punto di partenza per l’aggiornamento delle co- noscenze. Ciò a beneficio di una platea non di addetti ai lavori ma di sog- getti di buona volontà, che con attenzione, sensibilità e sollecitudi- ne recano il loro tassello, piccolo ma pur sempre prezioso, alla gran- de opera collettiva dell’edificazione della società contemporanea. Raimondo Villano
  • 8. 113 CAPITOLO IV Problematiche ed azioni politiche L’avvento della società dell’informazione, di cui già le sole autostrade informatiche sono ritenute le protagoniste principali dello sviluppo socio-economico dei Paesi industrializzati per i prossimi dieci anni almeno e, nel contempo, elemento fondamentale d’un emergente vero e proprio sesto potere, pone problemi non banali a livello dei Governi. Innanzitutto vi sono posizioni spesso contrapposte sia delle forze politiche che della opinio- ne pubblica. Vi sono coloro che privilegiano l’esigenza di sviluppo tecnologico incentivando gli investimenti al fine di porre rapidamente a disposizione nuovi servizi per i cittadini, per creare rinnovate condizioni di competitività per un’economia che si delocalizza, dematerializza e inter- nazionalizza, e per non perdere l’opportunità dei molti nuovi posti di lavoro che le autostrade dell’informazione dimostrano di poter generare sia nella fase della loro costruzione sia, soprat- tutto, durante l’esercizio dei variegati servizi multimediali. Vi sono altri che si preoccupano, invece, soprattutto dell’adeguamento delle normative e delle regolamentazioni sia per fornire adeguate risposte a numerosi problemi sia per assicurare concorrenza fra gli operatori dimostrandosi anche pronti a sacrificare lo stesso sviluppo di spe- cifici progetti di fronte a pericoli di posizioni dominanti. Ciò che non deve accadere è che il risultato di queste contrapposizioni di opinioni, spesso influenzate da interessi di specifici operatori, sia la paralisi degli investimenti innovativi. Altro problema, poi, come già osservato in altri capitoli, è che l’informazione non conosce frontiere e di fatto appare non poter essere strettamente regolamentata: l’esempio di Internet è emblematico, un ingresso nel mondo della comunicazione globale, altamente creativa, molto vivace ma anche caotica e anarchica. Le stesse “autostrade telematiche”, con la possibilità che danno di convogliare una molteplicità di servizi e di rendere interattivi i rapporti fra operatori grandi e piccoli avendo per territorio d’azione il mondo, non possono essere controllate e governate con le regole del passato. Questa è una vera e propria rivoluzione, se si pensa che su di esse è destinata a passare sostanzialmente tutta l’economia e ogni forma di attività sociale. Inoltre, la società dell’informazione significa una società mobilissima non solo in senso fisi- co ma, soprattutto, in senso concettuale dato che ogni idea, ogni innovazione, ogni sviluppo diventano immediatamente attuabili in qualsiasi parte del mondo mettendo in discussione leggi, regole e direttive Governative oltreché comportamenti di individui e gruppi sociali. Un’altra scelta di fondo che ciascun Governo nazionale dovrebbe compiere è quella fra un servizio di telecomunicazioni vincolato al monopolio pubblico ed un servizio liberalizzato, or- ganizzato e gestito dall’imprenditoria privata. Se, da un lato, la posizione netta nel senso della deregulation (servizio liberalizzato) potreb- be esser tacciata di penalizzare l’aspetto sociale, dall’altro certamente dovrebbe portare, attra- verso la concorrenza, all’avvento delle comunicazioni a bassissimo costo. Il monopolio pubblico, invece, penalizzerebbe l’importante e vitale settore delle società private che operano nel settore.
  • 9. 114 Una terza ipotesi è, infine, la gestione mista (pubblica e privata) nella quale, sotto il controllo statale, compiti e ruoli sia del pubblico che del privato siano definiti ed integrati e sia attiva la mediazione tra le spinte estreme del mercato e la tutela dell’utente. Inoltre, l’interesse di un Paese richiede che le politiche pubbliche siano orientate a stimola- re, e non a fermare, la pluralità complessiva di operatori, peraltro garantita dalla presenza di cinque segmenti orizzontali di attività diverse, realizzabile con gli investimenti privati all’inter- no di regole che evitino nel medio termine situazioni dominanti di un unico operatore su più di uno dei segmenti orizzontali di attività. Altro problema generale da considerare è il ruolo della innovazione tecnologica nella competitività di un Paese che non è mai stata fine a se stessa ma è semplicemente un mezzo per migliorare il benessere sociale garantendo l’equilibrio degli scambi con l’estero, una delle condi- zioni per la propria indipendenza. Stimolando l’innovazione e gli investimenti, la competitività consente di aumentare il potenziale di crescita del Paese. In questo senso la competitività è, dunque, uno strumento al servizio del progresso economi- co, della creazione di posti di lavoro, della ricchezza delle nazioni e risulta essere composta tradizionalmente da tre fattori: la popolazione attiva, il capitale finanziario, la ricchezza naturale. Ma c’è un quarto fattore immateriale, che sta conquistando un posto sempre più rilevante, ed è proprio l’incontro delle tecnologie dell’informazione con le comunicazioni numeriche che potrebbe anchecreareunosconvolgimentosimileaquellodellainvenzionedellastampadapartediGutenberg. E a tal punto emergono altre due questioni di fondo: l’individuazione del ritmo della trasfor- mazione e la comprensione di come prepararsi. Per quanto riguarda il ritmo, fattori decisivi sono l’approfondimento del mercato interno attraverso la liberalizzazione rapida dei servizi e delle infrastrutture delle telecomunicazioni da un lato e la definizione di un quadro regolamentare adeguato dall’altro. Per quanto riguarda il metodo, la forza motrice principale è il mercato e bisogna evitare di imporre uno schema astratto senza prendere in considerazione le esigenze reali. E’ necessario non creare un’offerta costosa in investimenti senza suscitare una domanda, per esempio di telelavoro, telemedicina, teleinsegnamento, programmi audiovisivi per il tempo libero o servizi interattivi. Gli industriali più famosi mettono in guardia le autorità pubbliche sui pericoli deri- vanti da uno sviluppo delle infrastrutture senza che i programmi o i servizi corrispondenti ab- biano trovato una propria utilità. Offrire programmi e creare servizi è anche un modo per difen- dere le culture europee nella loro diversità: significa affermare la nostra identità e stimolare il talento delle nostre intelligenze. Un altro problema rilevante è costituito dall’obbligo del servizio universale anche per quel- l’utenza che non è economicamente conveniente allacciare alle reti di trasmissione, in modo da assicurare ai cittadini pari opportunità nell’accesso ai nuovi servizi. Il tema dell’importanza di non creare disparità di accesso alle reti, ai servizi, alle tecnologie pone il problema dei rischi delle disuguaglianze sia all’interno dei Paesi che su scala planetaria dove l’attenzione particolarmente si sofferma sul tema del Terzo Mondo. Lo scenario offerto dalle nuove tecnologie, infatti, oltre ad offrire numerose chances fa paven- tare un problema notevole: come riuscire a colmare o quanto meno a non accrescere il gap che divide territori più evoluti da altri che lo sono meno e riuscire a farlo in modo da rispettare, anzi, conquistare un livello di eguaglianza sociale. Va evitato che si creino caste sociali di privilegiati nel detenere ed utilizzare conoscenze tecnologiche e va tenuto presente che, per il cruciale pro- blema dei Paesi Sviluppati in relazione a quelli in Via di Sviluppo, queste tecniche rischiano di creare un baratro tra quelli che sanno usare tutti i mezzi disponibili e li utilizzano sempre più velocemente e coloro che non ne sono capaci. Una risposta indubbiamente positiva dei Paesi in Via di Sviluppo, cui in parte già oggi si assiste (in Africa, America del Sud, Asia Sud Orientale, India), consiste nel comprendere che la
  • 10. 115 connessione con le reti informatiche è un modo per portare il loro contributo creativo, economi- co e commerciale al Mondo saltando la fase obbligatoria degli investimenti pesanti per produrre delle industrie, delle macchine per le quali occorre un apporto finanziario. Altro problema importante da considerare, poi, è che i processi di diffusione delle tecnologie costituiscono uno degli aspetti più importanti delle interrelazioni fra progresso tecnico e progres- so economico. La diffusione delle innovazioni nei sistemi produttivi costituisce, in effetti, un fattore chiave per la crescita e lo sviluppo delle moderne economie, risultando anche cruciale per la competitività dei sistemi economici. Sul fenomeno della diffusione tecnologica, da un lato vi sono concezioni basate sulla visione di una interazione automatica fra imprese assicurata dal funzionamento dei mercati e influenzata dal tasso di sviluppo della produzione e dalle caratteristiche industriali dei settori; dall’altro lato stanno quadri di riferimento teorici più attenti al carattere sistemico dei processi di diffusione tecnologica e, quindi, a comportamenti delle imprese in termini di adozione di nuove tecnologie motivate sia dalle caratteristiche della domanda finale (e quindi influenzate dall’evoluzione del- l’economia), sia dalle esigenze produttive indotte dal progresso tecnologico, dagli aspetti relativi ai fattori produttivi e dai processi competitivi fra le imprese. Ecco, quindi, in questo secondo caso, l’importanza dei processi di interdipendenza fra agenti economici nel creare e nel diffondere tecnologia sfruttando importanti esternalità positive, vale a dire la possibilità di acquisire conoscenze senza doverne sopportare il pieno costo. Ne deriva, ovviamente, la rilevanza delle capacità delle singole imprese di “assorbire” tali esternalità e di stabilire collegamenti con altre imprese e istituzioni grazie a contiguità e a inve- stimenti specifici. In altri termini, le imprese aumentano la propria capacità tecnologica non solo con investi- menti in ricerca e sviluppo e processi di apprendimento interni ma anche perseguendo processi sistematici di acquisizione di conoscenze esterne, passando via via a forme di apprendimento sempre più “costose” e complesse quali i fenomeni imitativi, le interazioni fra produttori e utiliz- zatori nonché le interazioni con il sistema scientifico. Questa complessità del processo di creazione, utilizzazione e diffusione di nuove tecnologie e innovazioni, e la ricordata molteplicità di elementi che ne determinano il successo e l’efficacia, spiegano l’importanza delle asimmetrie esistenti fra le varie fasce dimensionali di imprese in termini di intensità di investimenti in ricerca e sviluppo e di rendimento degli investimenti stessi. Ne consegue anche l’importanza di politiche volte ad aumentare questi fenomeni di esternalità posi- tive attraverso politiche pubbliche volte a sostenere le autonome strategie delle imprese, tenendo conto del fatto che l’ambito territoriale all’interno del quale le imprese tendono a interagire fra di loro risulti generalmente abbastanza circoscritto, soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese. Vi è, poi, anche in molti Paesi avanzati, il problema del ritardo culturale che attraversa in vario grado tutti i settori, dal ceto politico a quello imprenditoriale ed ai gruppi professionali. E’ un ritardo che fa assumere le iniziative sul piano tecnologico ed innovativo o in malo modo o facendo primi investimenti, talora anche non irrilevanti, e poi abbandonando l’impresa. Va tenuto ben presente che informatica e telecomunicazioni cominciano ad essere e saranno sempre più in futuro il lievito delle società e delle economie: ogni ritardo, ogni arretratezza su questi aspetti avranno effetti devastanti sui ritardatari. In effetti, proprio per le caratteristiche trasversali delle attività informatiche e di telecomunicazione, sempre più fuse in una nuova industria/servizio, eventuali ritardi si trasmetteranno a tutte le altre attività, produttive, cultura- li, di impiego del tempo libero, sociali. I Governi, dunque, dovrebbero perseguire politiche economiche ed amministrative capaci di promuovere in ogni modo le nuove tecnologie e lo sviluppo delle applicazioni innovative. Se la costruzione delle autostrade informatiche è compito del settore privato e non dei Governi, questi
  • 11. 116 ultimi, tuttavia, dovrebbero sollecitare le amministrazioni pubbliche, in quanto fornitrici di servizi, a sviluppare applicazioni innovative, con il duplice obiettivo di creare nuova domanda ed al tempo stesso di risparmiare costi ed aumentare la efficienza. In effetti, anche senza investire parti- colari risorse, le amministrazioni possono svolgere un ruolo molto positivo per il cambiamento. Inoltre nel grande processo mondiale di riorganizzazione delle telecomunicazioni, dove un’azione attesa e di notevole importanza è costituita dalla spinta liberalizzante da imprimere, le direttrici principali sono: l’internazionalizzazione e la caduta delle barriere tecnologiche con la distribuzione di servizi dotati di contenuto (televisivi in primo luogo). Entrambi gli sviluppi sembrano favorire le società americane che, sul piano strategico, appa- iono le più avanzate nell’affrontare il nuovo contesto di competizione. L’internazionalizzazione, trainata da una domanda delle imprese e delle organizzazioni sem- pre più orientata su scala mondiale (GLOBALIZZAZIONE dell’economia), spinge tutti gli operatori di telecomunicazioni, che nella massima parte per storia e radici avevano fino ad ieri soprattutto orizzonti nazionali, a proiettarsi verso l’estero aggiornando strategie, stringendo accordi, facen- do acquisizioni. Su questa via i grandi operatori americani, in particolare quelli della long distance, sembrano essersi mossi in anticipo. Tuttavia va considerato che, in generale, l’economia mondiale sperimenta oggi la contrappo- sizione tra due palesi tendenze. Da un lato, quella verso la crescente globalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali. Dall’altro, quella verso crescenti nazionalismi politici. Il primo fenomeno appare ormai inevita- bile, considerato l’alto grado di interdipendenza che si è instaurato tra le economie reali e finanzia- rie dei vari Paesi: non è solo che a produrre una scatola di sardine concorrono imprese (armatoriali, olearie, trasformatrici, di imballaggio, ecc.) di una dozzina di Paesi; è anche che molte opera- zioni finanziarie sono organizzate con joint ventures complesse cui concorrono istituti finanzia- ri e banche di più Paesi. Il secondo fenomeno, che consiste nell’aspirazione a politiche economiche di marca nazionale, è a sua volta in rafforzamento. Le collettività dei vari Paesi mostrano insofferenza all’idea che i propri destini economici siano decisi da forze esterne al controllo nazionale, da burocrazie comunitarie che operano lontano dai cittadini, da Trattati che suscitano dissensi diffusi o appro- vazioni stentate. La contrapposizione tra globalizzazione e politiche nazionali, intanto, esercita i suoi effetti sia sul mercato dei capitali che su quello dei beni. La seconda tendenza al riassestamento del mercato delle telecomunicazioni, poi, è forse ancora più rilevante, almeno in proiezione futura. La rivoluzione digitale, che non distingue più fra segnali telefonici, televisivi e di trasmissio- ne dati e consente di trasportarli sulla stessa rete, modifica in prospettiva l’economia delle tele- comunicazioni. La capacità di trasmissione aumenta in misura considerevole e di conseguenza tende a ridurre il suo prezzo; i margini più elevati si collocano allora o in servizi di trasmissione più ricchi e innovativi o in servizi basati sul contenuto. Le reti a banda larga hanno la possibilità di decollare solo se vi sarà un’offerta ampia ed attraente di servizi dotati di contenuto. Ne sono una conferma le alleanze fra specialisti della trasmissione più ricchi e innovativi o in servizi basati sul contenuto Ma sia l’internazionalizzazione sia il processo di integrazione fra Tlc, media ed informatica richiedono, come requisito preliminare e indispensabile, che la riorganizzazione dei settori e dei mercati non incontri barriere geografiche, non sia confinata in ambiti regionali. A tale scopo occorre che i costi di trasmissione non contengano pedaggi locali, aggravi di costo (più o meno mascherati) per i servizi più innovativi, mercati chiusi o fortemente vincolati. Per gli operatori delle telecomunicazioni meno attrezzati al nuovo ambiente competitivo una strategia efficace
  • 12. 117 (e comoda) può essere quella di tenere elevati comunque i prezzi della capacità di trasmissione e di lucrare cosi sulla crescente domanda di servizi. La conservazione di mercati chiusi agli opera- tori stranieri tutela e anzi accentua tali strategie regressive. Gli USA hanno proposto una “Authority” mondiale per le telecomunicazioni, indipendente e che garantisca regole trasparenti per le tariffe internazionali e definisca sistemi di salvaguardia della concorrenza. Un’altra considerazione importante di ordine generale, infine, è che il settore delle tecnolo- gie dell’informazione varia in modo talmente rapido per cui se un Paese vuole avere adeguata capacità di reazione deve necessariamente interpretare le cose quando ancora i segnali disponi- bili sono deboli, stanno appena emergendo dal rumore e ciò si può fare soltanto se si è partecipi della emissione dei segnali stessi o, almeno, si è molto vicini alle sorgenti. Non bastano sondag- gi e osservatori bisogna essere presenti nei vari organismi internazionali che producono i nuovi standard comunicativi in modo attivo e immaginare le conseguenze per il Paese e le poche industrie rimaste a operarvi. Sapere che il futuro è nella multimedialità, parola che dice tutto e niente, serve solo per capire che l’orizzonte delle competenze necessarie è vasto più che mai e che, da un numero enorme di applicazioni potenziali, emergeranno progressivamente le moda- lità vincenti. Inoltre, più le telecomunicazioni si liberalizzano e più diventa essenziale il ruolo della standardizzazione che, sola, consente che poi il cliente non sia schiavo del primo vendito- re a cui si è rivolto o che, dopo la Babele biblica, ne segua una seconda tecnologica. Le vecchie telecomunicazioni risolvevano questi problemi attraverso la dominazione dei gestori nazionali. Oggi questo ruolo è passato nelle mani degli organismi che svolgono l’attività di standardizza- zione che sta diventando anch’essa oggetto di ricerca. L’Europa affronta la sfida delle telecomunicazioni da una posizione di relativo ritardo e deve operare prontamente sia sul piano delle infrastrutture che su quello delle decisioni politiche per non lasciarsi ancora una volta distaccare dai più rapidi ed intraprendenti decisori americani. La valutazione dovrebbe essere articolata Paese per Paese ma, semplificando e genera- lizzando, si possono identificare almeno cinque aspetti sotto i quali l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Il primo aspetto è che in Europa il livello di diffusione delle nuove tecnologie della informa- zione e telecomunicazione è nettamente inferiore a quello degli Usa, come testimoniano vari indicatori statistici. La posizione europea è anche indebolita dalla persistenza, in molti Paesi, di situazioni monopolistiche nelle telecomunicazioni che rendono più elevati i costi dei servizi di telecomunicazione e frenano l’introduzione di applicazioni innovative. Il secondo aspetto è che i Paesi europei non sono sufficientemente orientati all’innovazione e focalizzati sulle tecnologie avanzate. Ciò è vero sia in termini di utilizzo dei nuovi strumenti di informazione e comunicazione nelle imprese e nelle amministrazioni, sia in termini di posizionamento generale del sistema economico-produttivo. In Europa la quota dei prodotti high-tech sul totale delle esportazioni e sul totale del valore aggiunto manifatturiero è più bassa che negli Usa e in Giappone. Il terzo aspetto è che, in generale, l’Europa è meno consapevole degli Usa delle sfide e delle opportunità proposte dalla rivoluzione digitale e multimediale. Se non vi è piena coscienza di come si modifica lo scenario diventa più difficile dare una risposta positiva alla sfida del cambia- mento. Una maggior consapevolezza del nuovo scenario dovrebbe spingere i governi europei a svolgere un ruolo più attivo nella transizione dalla società industriale alla società dell’informazione. Il quarto aspetto è che l’Europa è ancora invischiata in atteggiamenti dirigistici e in tentativi di definizioni dettagliate, mentre è chiaro che, nella rapida evoluzione del settore, ogni tipo di dirigismo comunitario o nazionale non paga. Quello che la Commissione europea o i Governi possono offrire è un contesto coerente di poche norme generali, capace di favorire lo sviluppo di
  • 13. 118 un mercato con un gran numero di operatori differenziati, così che sia sostanzialmente garantita la democrazia per chi opera e per chi usufruisce, sempre più interattivamente, dei prodotti multimediali. Sono le imprese, e quindi il settore privato, che debbono essere i protagonisti prin- cipali della realizzazione delle “autostrade” come dello sviluppo della multimedialità, ma il si- stema pubblico, gli Stati, hanno un ruolo essenziale da giocare proprio nella definizione delle regole che liberalizzano il mercato garantendone un funzionamento corretto, ispirato alla salva- guardia della decorrenza e dei principi fondamentali della società democratica. Il quinto aspetto è che in Europa il ciclo degli investimenti in macchinari e impianti è in grave ritardo rispetto al ciclo americano. Negli Usa, tra il 1991 e 1994, il volume di questi investimenti è aumentato quasi del 50%; nell’Unione Europea è calato del 10%. Inoltre, quasi la metà degli investimenti americani (a prezzi costanti del 1987) ha per oggetto prodotti delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione mentre in Europa questa quota oscilla tra il 20% e il 30% a seconda dei Paesi. Per conseguenza, lo stock di capitale europeo sta divenen- do quantitativamente inadeguato e obsoleto. Se è vero che la diffusione delle nuove tecnologie informatiche impone una svolta decisiva nel modello di vita economica e sociale allora il ritardo nel ciclo degli investimenti è particolar- mente grave. Sui mercati internazionali il sistema economico europeo si trova sempre più schiac- ciato tra due forze. Da un lato gli Stati Uniti, resi competitivi non solo dalla debolezza del dollaro ma dalla maggiore efficienza acquisita attraverso lo sviluppo di reti telematiche, la re-ingegne- rizzazione e la informatizzazione delle imprese e delle amministrazioni, lo sviluppo di nuovi servizi e nuovi prodotti che creano mercati di grandi dimensioni. Dall’altro lato, il Sud-Est asiatico e tanti Paesi Emergenti che a gran velocità si stanno avvici- nando al tenore di vita, ai livelli tecnologici e alla qualità produttiva dei Paesi Europei, ma con costi molto più bassi e, quindi, con una ben maggiore competitività delle produzioni industriali. Lo spostamento verso un nuovo modello di società e di economia rappresenta per l’Europa l’uni- ca via per non rimanere schiacciata dalla competizione dell’Est e dell’Ovest. Ma questo sposta- mento presuppone una forte propensione ad accettare la sfida del cambiamento e un robusto cielo di nuovi investimenti. Come fare? E’ da ritenere che a questo riguardo si debba fare chiarezza su alcuni orientamenti di tipo generale. Le autostrade informatiche non sono un sistema infra- strutturale simile a quello delle ferrovie, delle strade o dell’energia. Queste sono reti fisiche, mentre le information highways sono in gran parte reti immateriali o virtuali, largamente basate sul software. Reti, inoltre, dove il confine tra la parte infrastrutturale e la parte applicativa (cioè, il servizio fornito) non sempre è identificabile con certezza. In Italia, poi, serve in tempi brevi un vero e proprio progetto-Paese per le telecomunicazioni che abbia quali coordinate essenziali la creazione e il finanziamento delle infrastrutture destinate a diffondere informazioni e un’azione straordinaria di formazione del personale, sia delle impre- se che dello Stato, partendo dalla scuola, per essere competitivi a fronte delle discontinuità intro- dotte dalle tecnologie numeriche. Nel settore televisivo, inoltre, c’è il problema del reperimento delle risorse per le infrastruttu- re, per la formazione, per i nuovi servizi interattivi e di quali imprese li effettueranno. Le risorse provenienti dagli investimenti in comunicazioni delle aziende di largo consumo non cresceranno più di tanto nel prossimo decennio anche per la feroce competizione apertasi nella grande distri- buzione con il proliferare delle marche private. Altre risorse possono arrivare ai nuovi servizi da settori finora o ai margini della comunica- zione pubblicitaria, come i servizi, o ad essa del tutto estranei, come i consumi scolastici e quelli sanitari che nei prossimi dieci anni dovranno finanziare soprattutto TV tematiche e stampa. Per quanto concerne, poi, la formazione, le imprese, a cominciare da quelle piccole e medie, hanno urgente bisogno di capacità manageriali per operare nei sistemi a rete e per dialogare con i sistemi multimediali.
  • 14. 119 E c’è, poi, un’altra emergenza, spesso sottovalutata: la carente produzione nazionale di con- tenuti da trasmettere nelle reti distributive che avranno sempre maggiori capacità di trasportare canali tv, testi scritti, dati, musica e immagini fisse. Le aziende italiane, da parte loro, vanno avanti ognuna per conto proprio senza un quadro di certezze che ne aiuti la convergenza e ne indirizzi gli investimenti. Si è tutti occupati a capire chi dovrà costruire le autostrade, quali dovranno essere i pedaggi, quale il tipo di asfalto, senza che nessuno, in Italia, stia riflettendo su quali saranno i veicoli che le attraverseranno e i sogget- ti che li guideranno. Per i progetti delle città digitali, inoltre, potrebbe essere privilegiato l’intervento locale (ammi- nistrazioni, aziende, associazioni, individui operanti nelle città) come suggerito dall’Unione Euro- pea (rapporto Bangemann). Nella futura società dell’informazione, infatti, le reti di diffusione via cavo diventeranno un patrimonio fondamentale delle comunità locali e vanno viste con la stessa ottica delle reti di trasporto urbano. Vanno, quindi, incoraggiate iniziative per la costituzione di consorzi per la città digitale da convertire poi in società i cui azionisti devono essere ammini- strazioni o enti locali che rappresentano i cittadini. Vi è, ancora, il problema della ricerca nel settore strategico delle TLC e dell’informatica: è, infatti, poco credibile una competizione internazionale se le risorse per la ricerca e l’innovazione sono in mano a pochi grandi gruppi internazionali nei quali il nostro Paese sta via via perdendo peso. E’ necessario che i gruppi di ricerca siano appoggiati a livello internazionale, siano indirizzati verso le applicazioni più interessanti, finalizzino gli studi partecipando al processo di standardiz- zazione, fruiscano di sufficienti fondi comunitari. Il problema della regolamentazione dei servizi di Tlc, inoltre, va affrontato da subito ade- guatamente sia perché è oggettivamente molto complesso sia perché è carico di aspetti politici e persino emotivi. Non c’è alcun dubbio che si devono combattere dal nascere posizioni di monopolio e rompe- re quelle già consolidate e potenzialmente in grado di effettuare ulteriori espansioni. Il ruolo dell’Autorità è importante, ma essa deve aiutare il mercato e non interferire con esso. L’Autorità deve poter essere messa in condizione di lavorare al meglio e, dunque, vanno delimitati con intelligenza i suoi ruoli e poteri rispetto a quelli dell’Antitrust. Ad esempio, un’Autorità non potrebbemaiseriamentefissaretariffediaccessoallareteselaretefossediproprietàdiunmonopolista. Il problema dell’Authority (a cui verrebbero delegate molte competenze attualmente del Ministero) e delle sue relazioni con il ministero delle Poste e con l’Antitrust (che rivendica tutte le competenze in materia di regolamentazione della concorrenza) non è ancora stato risolto ma ci siamo forse vicini. L’Authority dovrà garantire che le opportunità offerte dalle moderne tecnologie si traducano in realizzazioni concrete in uno scenario di pluralità di soggetti, in regime di leale concorrenza, nel rispetto dei diritti dei cittadini sia nel campo economico sia in quello delle idee e, auspicabil- mente, in modo efficiente e adatto a massimizzare la produzione di posti di lavoro e il vantaggio economico per il Paese. Tuttavia, per quanto almeno appare dalla lettura della stampa e dalle dichiarazioni dei politi- ci, non sembra chiaro a un osservatore esterno se si stia affrontando il nodo essenziale del proble- ma. Non è possibile, infatti, delineare le caratteristiche di un organo così delicato senza affronta- re di petto le peculiarità del settore. La nuova istituzione, inoltre, non deve essere né snella né pachidermica: come accade in altre nazioni, deve avere consistenza adeguata agli scopi e organizzazione interna adeguata per raggiungerli. Il problema non è, poi, se deve essere dentro o fuori dal ministero. Sarebbe total- mente insensato rinunciare alle persone valide, che non sono poche, rimaste ancora dentro que- sta istituzione. Ma, nello stesso tempo, il nuovo ente deve conservare ben poco del vecchio
  • 15. 120 modo burocratico di procedere e, per esempio, non può essere costretto a rinunciare a seguire l’attività internazionale perché si trova senza mezzi per le missioni a metà dell’anno. Non può dipendere dagli umori del momento né attendere da altri la luce verde, quando si tratta di predi- sporre le risorse di banda o le normative necessarie per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, perché anzi deve essere in grado di anticipare le esigenze. Deve poter svolgere un lavoro e dei compiti che tengano allenato al massimo il cervello delle persone che impiega; deve essere principalmente luogo dove si trovano persone autorevoli nel campo e non solo esecutori di pratiche perfette sul piano formale. Come già detto, c’è fonte di ispirazione all’estero: ma, purtroppo, dovrebbero metterci anche qualcosa di nostro, di particolare. Altri Paesi non hanno il problema del rilancio dell’industria nazionale, che ovviamente va perseguito nel rispetto delle regole comunitarie, né la necessità di introdurre nuovi solidi attori, senza per questo danneggiare più del necessario la famiglia Stet- Telecom che è l’unica realtà di cui disponiamo ora a livello internazionale. E, infine, hanno politici che leggono i vari libri bianchi sull’importanza della ricerca per creare nuovi posti di lavoro non soltanto al momento delle campagne elettorali. Battere la disoccupazione, dare un futuro al lavoro e, più in generale, rafforzare la qualità della vita e le prospettive di sviluppo economico-sociale sono tuttora problemi rilevanti per i Paesi industrializzati e per l’Italia in particolare. Il potenziamento dell’infrastruttura in atto su base mondiale, con particolare riguardo - nei Paesi più avanzati - alle nuove tecnologie dell’infor- mazione e della comunicazione (Ict), ai trasporti e all’energia, a sostegno di un ambito economico e sociale più vivibile e dinamico, è un indirizzo d’intervento (sostenuto dal piano Ue-Delors di fine ’93 per l’Europa) che appare avere contribuito sostanzialmente al rilancio dell’economia Usa. Seppur in modo molto differenziato, l’investimento in infrastruttura economia (acqua potabi- le, servizi di bonifica dei terreni e di smaltimento dei rifiuti inclusi) è risultato importante anche per la crescita dei Paesi meno avanzati, come segnala la Banca Mondiale (nel “Rapport sur le développement dans le monde ’94 - Une infrastructure pour le dévelopement”). In un’economia mondiale che nel ’94 cresce (per i Paesi G7 del 3%) registrando il più grande incremento degli scambi degli ultimi vent’anni, grazie anche al contributo delle esporta- zioni di Paesi in Via di Sviluppo (in cui il prodotto interno lordo è aumentato del 6% e vale il 40% del totale mondiale in termini di potere d’acquisto), il miglioramento del mercato del lavoro nei Paesi più avanzati è stato lieve, a eccezione degli Usa, dove il Pil è cresciuto del 4,1% e sono state create 2,7 milioni di “unità di lavoro” principalmente nei servizi, anche grazie a un forte recupero di competitività (portando la disoccupazione dal 7,4% nel ’92 al 5,4% nel dicem- bre del ’94), secondo dati della Banca d’Italia. In un’Europa che risulta ancora alle prese con costi derivanti da varie diseconomie istituzio- nali, allocative e di mercato, la crescita del 2,7% si è tradotta in un incremento occupazionale: la percentuale dei senza lavoro dell’11,5% di inizio ’94 (la più alta dal dopoguerra a oggi) è scesa solo all’11,1% nel dicembre ’94. L’Italia è cresciuta meno (il Pil è aumentato del 2,2%) nonostante “un eccezionale incremento della produttività” del settore manifatturiero e una netta crescita delle esportazioni. Con un’occupazione in contrazione, fra il ’93 e il ’94, complessivamente dell’1,6%, il Paese appare fornire un’ulteriore evidenza della rilevanza delle indicazioni del piano Delors per lo sviluppo. Infatti, accanto a una più favorevole dinamica occupazionale concentrata nel Nord, dove il tasso di disoccupazione è stato pari all’8%, nel Sud la disoccupazione ha toccato il 21% e la produttività è risultata mediamente inferiore del 20% rispetto alla media nazionale, fatto riconduci- bile “in misura non trascurabile”, secondo la Banca d’Italia, a diseconomie esterne all’impresa legate alla geografia, alla minor efficienza delle amministrazioni pubbliche e alla carenza di
  • 16. 121 infrastruttura economica. Inoltre, la forte presenza dell’agricoltura, che assorbe il 13,6% degli occupati, il permanere di aree di emergenza economica e sociale evidenziano la necessità di avviare specifici processi di sviluppo. Se per la Banca Mondiale non vi è ancora consenso sulle precise interrelazioni esistenti fra crescita e investimenti in infrastruttura economica, è condiviso il giudizio che essi, se non sono condizione sufficiente, siano necessari per lo sviluppo e offrano un contributo sostanziale, in particolare all’abbattimento dei costi logistici e di produzione, che è spesso superiore a investimenti di altra natura. Un dato empirico che emerge dall’aggregato dei Paesi del Mondo, è che “capacità dell’infrastruttura e produzione economica si muovono di pari passo”: a un incremento dell’1% del capitale d’infrastruttura corrisponde un aumento dell’1% del Pil. Nei Paesi meno sviluppati risultano percentualmente più rilevanti gli interventi per la bonifica di terreni, l’acqua potabile o le ferrovie, mentre cresce fortemente, al crescere dello sviluppo economi- co,l’importanzarelativadelleretiperl’energia,peritrasporti,perlacomunicazioneel’informazione. Un dato non omogeneo, ma significativo, è offerto dalla sola spesa Edp Usa (software e servizi esclusi) che sarebbe stata dell’ordine del 3% del Pil nel ’94, un valore che si riduce alla metà per l’Italia (secondo stime Assinform/Nomos). In Italia, la spesa pubblica in Itc nel ’94 è stata pari a 3.200 miliardi di lire, risultando in contrazione rispetto al ’93 (-2,7% secondo Assinform/Nomos) e anche tenendo conto delle previsioni d’investimento (da finanziare) di cui agli “Indirizzi per l’attuazione del Piano triennale (’95-’97) per l’informatica nella Pa”, stimate dall’Autorità per l’informatica in 12.574 miliardi, permane il divario con i Paesi più avanzati. Per la crescita è, dunque, necessario fare conto sugli investimenti privati che, se sono risultati sostanzialmentestazionarinel’94,appaionoinnettoaumentonel’95,conparticolareriguardoall’Itc. Nella conferenza dei Paesi del G7 del febbraio del ’95 sulla “società” dell’informazione, è stato ancora una volta ricordato quanto le Itc delle realtà più avanzate, “comprimendo spazi, tempi, costi e sviluppando potenzialità” abbiamo un impatto sul modo di vivere delle persone e sull’azione sociale di tutte le forme di aggregazione umana: imprese, istituzioni dello Stato, famiglie, associazioni, comunità e gruppi più o meno formalizzati e possano cambiare il modo di vivere, di lavorare, di fare affari, di apprendere, studiare e di divertirsi (si pensi - per esempio - alle nuove possibilità d’interazione sociale indotte dalla diffusione della telefonia mobile). La maggiore centralità della persona, non solo in ambito lavorativo, ma in tutti i “luoghi” (a partire dall’abitazione) e in tutte le dimensioni relazionali della vita sociale suggerisce una revisione di molti dei paradigmi tradizionali della cultura industriale di derivazione “fordista”, funzionalista e incentrata sui tempi imposti da un modo di produzione ormai superato in Occidente. E’ importante anche notare che la potenziata infrastruttura mondiale appare sostenere un processo di ridimensionamento (irreversibile nei Paesi più Sviluppati) della grande impresa che non ne diminuisce la rilevanza nella crescente economia “globale”. Il nuovo ambiente operativo ha reso possibile la ristrutturazione delle grandi imprese (per esempio, secondo gli orientamenti del cosiddetto “reengineering”, della “lean” o della “learnig organization” per la realizzazione di economie di dimensione, di differenziazione e di apprendimen- to). Ha supportato incrementi di produttività, risparmi di lavoro vivo e acquisizione di lavoro in aree geografiche dove questo costa meno (fenomeno che appare destinato a rafforzarsi al cresce- re dell’ infrastruttura mondiale e dell’economia dei Paesi in Via di Sviluppo). Nei Paesi Ocse (secondo Industrial Policy ’94), tutto ciò si è tradotto in un declino occupazio- nale nel settore manifatturiero differenziato a seconda dei comparti industriali ma netto a partire dal ’90-’91. Il settore high-tech, anche per via dei grandi incrementi di produttività e degli “skill” necessari, sostiene l’occupazione ma non appare in grado di compensare il calo complessivo dell’occupazione nel manifatturiero. Inoltre, il supporto che le nuove tecnologie offrono all’innovazione di prodotto e di processo, appare vasto e promettente se si pensa che nei Paesi Ocse circa due terzi dei beni commercializzati
  • 17. 122 sono stati prodotti e venduti su richiesta del committente e spesso consegnati con modalità di tipo “juste in time”, ormai diffuse in molti settori (secondo la Banca Mondiale). Si prefigura, dunque, la concreta possibilità di razionalizzare ulteriormente la “filiera” distributiva, integran- do anche i sistemi di comunicazione e rafforzando la funzione di servizio del punto vendita (con “chioschi” multimediali e altro) risparmiando lavoro anche nel “terziario”: settore in cui l’occu- pazione è cresciuta di più. Con la disponibilità presso le famiglie di pc dotati di modem o di sistemi per la Tv interattiva, è possibile pensare di estendere ai prodotti di largo consumo modalità di acqui- sto da “catalogo” e pagamento analoghi a quelli correntemente in uso per i prodotti finan- ziari nelle borse valori telematiche. Intere industrie risultano interessate potenzialmente dal cambiamento (sebbene in misura diversa): dall’editoria ai “media”, alla finanza (con sistemi di pagamento digitali, servizi di “remote banking” ecc.) e all’intrattenimento. Offrire a un pubblico sempre più raggiungibile e “in linea” (anche grazie a “personal digital assistant”, a satelliti, alla telefonia mobile, al video telefono, alla teleconferenza, al “Video on Demand” VoD), servizi innovativi e altro ancora per il tempo libero e la salute appare, dunque, un promettente nuovo settore di attività, per cui non esistono, tuttavia, ancora dati certi sulle caratteristiche della domanda. Inoltre, sistemi informativi avanzati utilizzati nei Paesi più innovativi appaiono particolarmen- te adatti alla ricerca d’iniziative di sviluppo “su misura” a sostegno dei sistemi socio-economici locali. Infatti, una miglior funzionalità e interoperabilità dei sistemi informativi della Pubblica amministrazione centrale e degli Enti di governo locale può consentire a cittadini, comunità e alle imprese un contatto più diretto con l’amministrazione (per esempio, utilizzando posta e “bacheche” elettroniche). Si pongono, così, le basi per la ricerca di una superiore efficienza ed efficacia dei servizi e mediante i sistemi informativi territoriali si può raggiungere una superiore conoscenza sulla natura del territorio, sulle risorse e sulle entrate utili nel realizzare interventi di politica sociale e industriale che siano in sintonia con i vincoli di bilancio e con aspettative e bisogni delle comunità e dei gruppi interessati. L’economia della “informazione” appare, dunque, in fase di accelerazione: cresce la penetra- zione delle Itc e la necessità di connettività in genere. Sostiene la tesi la ripresa degli investimenti in tc nel ’95 e l’andamento del comparto delle telecomunicazioni. Secondo dati Ocse di quest’anno, nel ’92 le prime 25 società telefoniche pubbliche sono risultate più profittevoli delle più grandi cento banche mondiali, realizzando un fatturato di 385 miliardi di dollari (circa 635mila miliardi di lire) e utili netti per 39, con 409 milioni di linee “principali” (47,5 linee per cento abitanti nell’Ocse, 41 in Italia, a cui si aggiungono milioni di utenti di telefonia mobile). In un decennio, il numero di linee telefoniche “principali” (“mainlines”, che connettono un utente a un “local exchange” e, attraverso questo, alla rete pubblica), è passato da 15 a 27,7 (e da 16,9 a 23,9 per l’Italia) ogni cento dipendenti nel ’92 e le linee completamente digitalizzate sono passate dal 39% del 1990 al 57% del ’92 nell’Ocse e dal 33% al 48% per l’Italia. Dove il mercato è stato liberalizzato, le tariffe sono risultate più contenute e correlate alla struttura dei costi e la penetrazione dei servizi è aumentata; ciò pone le premesse per la liberalizzazione del mercato mondiale e per un ulteriore sviluppo del settore. Non stupisce che gli investimenti nell’Ocse in telecomunicazioni siano ingenti come anche il massiccio piano d’interventi annunciato da Telecom nel ’95 (dopo un periodo di flessione degli investimenti). Anche se, avverte l’Ocse, gli investimenti realizzati dai privati (“demand-led” come i fax) sono risultati generalmente più efficienti di quelli dell’offerta (“supply-driven”). Questo comparto, tuttavia, ha dato un contributo negativo ai livelli occupazionali che, nel mondo, sono passati dai 2.645 milioni di addetti nel 1982 ai 2.426 milioni del ’92, portando i
  • 18. 123 ricavi per addetto da una media Ocse di 41.600 dollari a 147.700 (da circa 68 a quasi 244 milioni di lire), aumentando anche il numero delle linee per dipendente e i salari medi. Appare fondata la tesi avanzata da diversi economisti per cui l’attuale fase economica se- gnerebbe la fine di un’epoca di sviluppo industriale incentrata su incrementi di produzione e produttività del settore manifatturiero in grado di tradursi in incrementi reddituali e occupazio- nali di massa. In Occidente, appare esaurita la capacità di produrre occupazione da parte di una metodologia di produzione che ha avuto il grande merito di saper valorizzare con la tecnologia, attraverso la standardizzazione di capacità, di funzioni, ma anche di comportamenti di consu- mo, masse di lavoratori poco qualificati. In un’economia della conoscenza, in cui la tecnologia è crescentemente standardizzata (per consentirne una più veloce diffusione) a supporto della persona, si pone, invece, il problema dello sviluppo di competenze e capacità di produttori, consumatori e di tutto ciò che può sostenere e incoraggiare la nascita di nuovi bisogni e l’inno- vazione di prodotti e servizi per migliorare la qualità della vita. Le Itc, per esempio, con lo sviluppo di tecnologie (a “oggetti”) per l’interscambio di infor- mazioni eterogenee o consentendo (con Internet) a una vasta popolazione mondiale di comuni- care in modo nuovo, appaiono in grado di supportare la formazione di nuovi business e nuovi mercati. Inoltre, l’utilizzo di standard di comunicazione costituisce uno strumento potente per la creazione, la finalizzazione della conoscenza e la valorizzazione di importanti risorse del Paese (si pensi al patrimonio dei beni culturali). Servizi avanzati di rete (come Isdn) che possono migliorare la comunicazione fra persone operanti per esempio in località e organizzazioni diverse (abbattendo costi con fax “di gruppo” o sistemi di teleconferenza), consentono modalità di lavoro innovative e costituiscono un esem- pio di interrelazione virtuosa fra piccola e grande impresa. Le caratteristiche di standardizzabilità dei prodotti/servizi offerti da fornitori di telecomunicazioni facilitano questo diretto rapporto ma le accresciute possibilità di interrelazione suggeriscono che ciò possa estendersi e tradursi in una maggior interconnessione di tutto il tessuto economico, nonché in minori costi e maggiori capacità di finalizzare risorse e competenze per la produzione di servizi e prodotti, per arricchi- re di personalizzazioni e di varietà l’economia delle quantità. Queste “federazioni” di imprese (nate dal riassetto di grandi o dall’aggregazione di piccole) che si misurano sui mercati globali grazie alla flessibilità organizzativa e a superiori capacità di interrelazione con le specificità “locali”, in seguito a un mutato bilanciamento fra diseconomie interne ed esterne, appaiono strutture in grado di potenziare le interrelazioni fra grandi multi- nazionali, network internazionale della ricerca scientifica e tecnologica e piccole imprese. Per l’Italia vi sono dati che documentano un processo di aggregazione di piccole imprese in gruppi interaziendali, anche per superare alcuni limiti della piccola dimensione. L’indagine pubblicata nel ’95 (su dati ’94) relativa a 600 piccole e medie imprese industriali dal Mediocredito centrale (che nel rapporto di ricerca del ’94, tra l’altro sottolineava come la tecnologia avesse avuto un ruolo “non fondamentale nello sviluppo economico italiano”), mo- stra come il 37,4% delle imprese appartenga a un gruppo, valore che sale al 70,4% per le medie imprese (da 251 a 400 addetti). Si tratta di aggregazioni recenti (che hanno non più di dieci anni nel 75,5% dei casi). Il rapporto rileva l’insufficienza e la scarsa connettività, anche a livello europeo, dei diversi sistemi e delle istituzioni che presiedono all’innovazione tecnologica. Ciò ostacola la diffusione tecnologica, la piena capitalizzazione delle esperienze, il coordinamento delle iniziative e un efficiente impiego delle risorse. Se, come suggerisce Delors e come l’Italia dei distretti industriali (dove secondo il Censis, l’occupazione sarebbe salita del 2,1% nel ’94) sembra confermare, per battere la disoccupazione occorrono più imprenditori, più creatività, più studio, più lavoro e iniziativa che in passato, per produrre valore economico è centrale allora sostenere le piccole e medie imprese che in Europa, nel
  • 19. 124 ’93, erano 14,6 milioni e occupavano 62 milioni di addetti, secondo stime dell’Istituto Tagliacarne e più di 11 milioni in Italia nel ’91 con il 77% dell’occupazione nelle imprese, secondo l’Istat. Manca, allora, un network di agenzie locali e centrali, pubbliche e private, in grado di elabo- rare strategie di intervento e avviare iniziative differenziate di infrastrutturazione economica, tenendo debitamente conto di bisogni, culture e specificità locali (come, per esempio, la presenza o meno di un senso civico diffuso, di risparmio o d’imprenditorialità) e che siano in grado, se del caso, di fronteggiare la disoccupazione anche con iniziative di solidarietà sociale che risultino compatibili con le risorse locali e con i vincoli di bilancio del Paese. Non a caso, le politiche industriali di sostegno alla crescita in tutti i Paesi Ocse appaiono focalizzate su base regionale e locale per fare leva sul patrimonio culturale delle popolazioni, sull’intuito e sulla creatività imprenditoriale “per vivere meglio”, un principio-guida che è anche il titolo di una raccolta di scritti (un pò datati - risalgono agli anni ’45-’49 - pubblicata da Bo- ringhieri nel ’94) di Massimo Olivetti, fratello di Adriano: in essi appare davvero attuale l’impegno nella ricerca di un rapporto virtuoso fra sviluppo economico e benessere della persona. Altro aspetto da considerare è che i servizi pubblici hanno, nel complesso, ampie sacche di disoccupazione nascosta, ovvero di occupati il cui lavoro non è - almeno tendenzialmente - più necessario per l’avanzare della tecnologia, per il cambiamento nei modelli organizzativi o per il mutamento della domanda di mercato. Queste eccedenze di personale sono tollerabili sempre più a fatica, dalle aziende e dalla colletti- vità: questo è ovvio per i servizi che si confrontano con un mercato ormai concorrenziale che è pronto a ridurre a mal partito chi si trovi a operare gravato da costi superiori a quelli dei concorrenti. L’intollerabilità di queste eccedenze può risultare meno ovvia nelle aziende che godono ancora di condizioni di monopolio naturale: anche un tranquillo acquedotto comunale, se ha personale in eccesso, impone però ai cittadini (direttamente attraverso le tariffe o indirettamente attraverso il bilancio pubblico) costi ingiustificati; il trend verso una maggiore localizzazione della finanza pubblica non mancherà di rendere palese ai cittadini-contribuenti questa elementare verità. L’aggiustamento occupazionale nei servizi pubblici è evidentemente un problema di molti Paesi. In particolare, in Europa, ad esso sono state date risposte diverse, comprese tra le rapide e massicce riduzioni di personale in Gran Bretagna e la sostanziale paralisi che sembra aver colto la Francia (France Telecom ad esempio ha cambiato tre presidenti in due settimane per l’indeci- sione su come procedere su questo delicato capitolo). In Italia, la soluzione a questo problema è stata finora principalmente basata sul ricorso ai pre-pensionamenti con un costo estremamente elevato per la collettività. Da un punto di vista “filosofico” i pre-pensionamenti sono figli di una particolare visione del rapporto di lavoro e di uno stato non eccessiva responsabilità in ordine alla spesa pubblica. La visione cui ci si riferisce riconosce come lavoro solo un “posto” di lavoro determinato, a tempo pieno, all’interno di una data impresa: in questa ottica, se viene a mancare quel posto viene a mancare il lavoro tout court e occorre, quindi, partire in cerca di ammortizzatori sociali. In anni di finanza pubblica allegra è relativamente facile trovare risorse per questi ammor- tizzatori specie per dipendenti di aziende pubbliche che gestiscono servizi a rete e che hanno quindi un elevato potere contrattuale nei confronti della collettività e dunque delle aziende da cui essi dipendono. I tempi sono però ormai cambiati sul piano della finanza pubblica che comunque non riuscirebbe a disporre delle risorse necessarie per coprire con ammortizzatori così costosi i riflessi occupazionali di un ampio processo di recupero di efficienza nei servizi che si protrarrà per diversi anni. E’, quindi, necessario cercare soluzioni nuove nella gestione delle eccedenze con un accor- do la cui importanza derivi da almeno tre caratteristiche principali: dal fatto che l’accordo non richiede alcun intervento alla finanza pubblica; dall’esteso ricorso alla flessibilizzazione del
  • 20. 125 rapporto di lavoro (all’interno e all’esterno dell’azienda) su cui esso si basa; dal ricorso su ampia scala alle moderne tecnologie dell’informazione per svincolare la prestazione del lavoro da quel- la “unità di spazio e di tempo” che storicamente l’ha contraddistinta. La scelta di non ricorrere a risorse pubbliche è di ovvia importanza ma anche le due altre caratteristiche dell’accordo sono innovative e di grande rilievo. Un tale accordo segna, infatti, un cambiamento “filosofico” di rilievo, che valorizza la di- sponibilità dei lavoratori dipendenti a passare a forme assai diversificate di rapporto di lavoro (part-time orizzontale, part-time verticale, attività temporanee) evidenziata da varie indagini ma che trova scarsa possibilità di esprimersi. In secondo luogo esso utilizza pienamente le nuove possibilità offerte dalla tecnologia di superare le distanze portando il lavoro al lavoratore e non più viceversa. In terzo luogo esso realizza un sensibile outplacement nelle strutture a valle della azienda che ne commercializzano i prodotti, contribuendo quindi allo sviluppo di nuove opportunità di lavoro non solo per i dipendenti coinvolti. A mano a mano che un accordo di questo tipo si sviluppa, l’impresa diventerà diversa dall’attuale, e, sulla base di modelli organizzativi in evoluzione, utilizzerà in modo assai diver- sificato il “capitale umano” accumulato dai dipendenti nel corso della loro vita lavorativa, sen- za disperderlo con pre-pensionamenti: con meno “posti” di lavoro ci sarà insomma ancora lavo- ro, più flessibile e più diffuso territorialmente. Questo accordo non può essere certamente trasposto meccanicamente a tutt’altre situa- zioni; esso apre però strade nuove che potranno essere percorse anche da molti gestori a livello nazionale e locale. Più in generale, esso consentirà a tutto il Paese di accumulare esperienze preziose sulle nuove forme di attività lavorativa che potranno svilupparsi nella società dell’Informazione. Emerge, però, un altro problema di ordine generale: imprese che affidano l’espletamento di lavoro ad impiegati residenti in Paesi in Via di Sviluppo che lavorano sui loro terminali in tempo reale con paghe da Terzo Mondo e produttività da Manhattan. Passando a considerare il piano delle vere e proprie azioni politiche è opportuno evidenziare che la velocità con cui si stanno concretizzando, non solo a livello internazionale ma anche in Europa, le infrastrutture e le applicazioni delle autostrade dell’informazione induce a far ritenere ormai lontane le riserve che ci accompagnavano invece solamente poco più di un paio di anni fa. Il lancio del progetto della National information infrastructure negli Stati Uniti nel 1992, il pro- getto Advanced information infrastructure in Giappone nel 1993, il libro bianco di Delors del 1993 e il rapporto Bangemann del 1994 in Europa, la conferenza del G7 sulla Società dell’Infor- mazione del febbraio 1995, costituiscono tutte iniziative che hanno indirizzato verso le autostra- de dell’informazione le attenzioni dei media e dei governi e le iniziative concrete degli operatori, facendo intravedere la possibilità del nuovo ciclo di sviluppo capace di offrire servizi ai cittadini competitività alle imprese e un gran numero di nuovi posti di lavoro. Ma ancora maggiore effetto ha avuto la constatazione dello sviluppo esponenziale della rete Internet e delle innumerevoli applicazioni, di crescente interesse anche commerciale, che su di essa sono concretamente visibili, con un fatturato previsto al 1997 in oltre quattro miliardi di dollari. Come conseguenza, mentre solo poco più di un anno fa si riteneva che ci sarebbero voluti vent’anni per dispiegare gli investimenti necessari per cablare a larga banda le principali nazioni, oggi si stima invece che le principali aree urbane saranno interamente ricablate entro 2-5 anni. Limitandoci a considerare i più recenti significativi sviluppi di azioni politiche a livello mon- diale, va ricordato che i ministri del G7 nel citato vertice celebratosi a Bruxelles nel febbraio 1995 si sono proposti di imprimere un reale cambiamento nel futuro di tutte le nostre società imponendo i principi-base per la costruzione delle autostrade dell’informazione senza ostacolare
  • 21. 126 ma, anzi, assecondando i giganti dell’economia informatica ed affermando che la liberalizzazione di servizi, infrastrutture, appalti, investimenti è un elemento essenziale e che solo se l’accesso al mercato e le condizioni di concorrenza saranno reali, eque e stabili, gli investimenti privati mobiliteranno i capitali55 . Il vertice, inoltre, ha lanciato undici progetti di altissima tecnologia informatica che costitui- ranno la realizzazione di un primo pezzo della società del terzo millennio. E l’Italia è capofila di due di quei progetti: quello multimediale su musei e gallerie che dovrà rendere accessibili tutte le opere d’arte del mondo simultaneamente al pubblico di tutti i Paesi del Globo (partner fonda- mentale è la RAI) e quello di telemedicina, settore patologie cardiovascolari, di cui coordinatrice sarà l’Università Cattolica di Roma. Nel successivo vertice dei G7 del maggio 1995 ad Halifax (Scozia) sono state riprese le fila del summit di Bruxelles riaffermando il ruolo strategico dei progetti pilota approvati per le auto- strade informatiche, dei quali è stata verificata la situazione di avanzamento, e sono state fatte proprie le conclusioni di quel summit ministeriale sulla società dell’informazione. Sono state discusse, inoltre, le proposte contenute nel documento “Costruire la società globa- le dell’informazione: un appello all’azione dei governi” che sintetizza per la prima volta posizio- ni comuni ad industriali e manager delle telecomunicazioni su temi di rilevanza strategica (ap- provato il 18 maggio 1995 a Washington dai rappresentanti delle industrie del settore di quaran- tacinque Paesi) per trovare indicazioni operative per l’attività dei singoli Governi. Le raccoman- dazioni contenute nel documento, firmato dai rappresentanti di AT&T, Apple, Bbe, Bel Canada International, Bertelsmann, British Telecom, Canal Plus, Dimler Benz, Deutsche Telekom, Ericsson, France Telecom, Iel, Le Groupe Videtron, Matra Hachette, Mitsubishi Electrie, Nacsis, Nec, Nippon Steel, Nokia, Ntt, Nynex, Olivetti, Pearson, Philips, Pirelli., Rai, Sega, Siemens, Silicon Graphics, Société Génerale de Belgique, Stet, Teleglobe, Telefonica, Texas Instruments, The Walt Disney Company, Time Warner, Tokio Marine, ma aperto a tutti i business leader ap- partenenti o meno ai Paesi del G-7 che condividano i principi suesposti e che siano pronti ad agire secondo le loro indicazioni, riguardano la completa liberalizzazione di infrastrutture e servizi di telecomunicazioni entro il 1 °gennaio 1998, eque opportunità di accesso e di investimento, Authority indipendenti per le telecomunicazioni, calendarizzazione del passaggio dal regime di monopolio a quello di concorrenza, soluzione del problema del servizio universale. In particolare, il documento si conclude con la “Dichiarazione per la Società Globale dell’In- formazione” in cui gli imprenditori ed i manager esprimono le convinzioni che la Società Globa- le dell’Informazione permetterà la creazione di nuovi posti di lavoro e migliorerà la qualità della vita delle persone in tutto il mondo e, inoltre, che la sua costruzione richiederà il massimo impe- gno e cooperazione dei Governi e del settore produttivo. Essi, ancora, esprimono la volontà di promuovere la Società Globale dell’Informazione, condividendo i seguenti principi stabiliti nel- la conferenza ministeriale del G-7 Bruxelles: - “Promuovere una concorrenza attiva; - Incoraggiare gli investimenti privati; - Definire un regime normativo flessibile; - Fornire libero accesso alle reti; - Assicurare fornitura e accesso universali ai servizi; - Promuovere uguali opportunità per i cittadini; - Promuovere la diversità dei contenuti mediali, inclusa la diversità culturale e linguistica; - Riconoscere la necessità di cooperazione a livello mondiale con un’attenzione particolare ai Paesi meno sviluppati. Attraverso: - la promozione dell’interconnettività e dell’interoperabilità; - lo sviluppo di mercati globali per le reti, i servizi e le applicazioni;
  • 22. 127 - la garanzia di riservatezza e sicurezza dei dati; - a protezione dei diritti di proprietà intellettuale; - la cooperazione nella R&S e nello sviluppo di nuove applicazioni; - il controllo delle implicazioni, della società dell’informazione a livello sociale e di società nel suo complesso”. Si impegnano ad agire secondo questi principi a livello nazionale, regionale e globale con l’obiettivo primario di promuovere, proteggere ed accelerare lo sviluppo di un ambito effettiva- mente concorrenziale. Si dichiarano saldamente convinti che un senso di urgenza debba pervadere il processo di decisione a tutti i livelli. Per questa ragione chiedono azioni urgenti e condividono la volontà della Conferenza ministeriale del G-7 di facilitare le iniziative del settore produttivo nell’ambito di adeguate condizioni di regolamentazione, concorrenza e accesso ai mercati nonché appoggia- no vigorosamente la conclusione della Conferenza ministeriale del G-7 che il settore produttivo dovrebbe diffondere la costruzione della Società Globale dell’informazione a patto che i Governi e le istituzioni internazionali lavorino insieme per creare adeguate condizioni di regolamentazione, concorrenza e accesso ai mercati e per stimolarne sviluppo. Infine offrono la loro collaborazione ai Governi e alle istituzioni internazionali per tra- sparente per definire un sistema di regolamentazione trasparente e prevedibile e per con- trollarne la realizzazione; dichiarano di considerare l’educazione e la formazione come un mezzo appropriato a promuovere per gli abitanti di tutte le nazioni eguali opportunità di partecipazione e giovamento dalla Società Globale dell’Informazione e per questo scopo si impegnano a lavorare insieme ed a cooperare con gli enti competenti per promuovere pro- grammi specifici ed applicazioni sperimentali. A settembre scorso, poi, sono stati avviati anche i negoziati sul futuro del quadro competitivo a livello della WTO (World Trade Organisation) nel cui ambito sono individuabili due schiera- menti di base: da una parte gli Stati Uniti che schiacciano il piede sull’acceleratore della deregulation, dall’altra l’Europa che, invece, tira la leva del freno, anche perché nella trattativa risulta appesantita dai Paesi più deboli e fa molta fatica a coagulare una posizione unitaria. Al suo interno troviamo, infatti, l’ultraliberista Gran Bretagna che spinge per la deregulation mentre alcuni Paesi hanno addirittura chiesto deroghe alla fine del monopolio sulla voce, previsto per il 31 dicembre ’97, cioè tra meno di due anni. In Italia il ministro delle Poste, Agostino Gambino, ha presentato un disegno di legge, recentemente varato dal Consiglio dei ministri, che anticipa al ’96 la liberalizzazione delle reti con l’esclusione della voce, destinata a rimanere in monopolio fino alla scadenza euro- pea del primo gennaio ’98. Più in particolare, gli Stati Uniti intendono costruire il trattato che regolerà il villaggio globale dell’informazione su quattro “condizioni inderogabili”: istituzione di una authority globale indipendente sulle telecomunicazioni; regole trasparenti sulla determinazione delle tariffe internazionali; definizione di sistemi di salvaguardia della competizione e di prote- zione dagli abusi dei grandi operatori telefonici globali; rimozione dei limiti al controllo estero delle società di telecomunicazione. Tale proposta era contenuta nella bozza di Trattato messa a punto dall’Amministrazione Clinton. Ma al vertice mondiale delle TLC per i negoziati WTO, cui partecipano le rappresentan- ze di tutte le grandi aree del mondo, si è profilata subito una dura battaglia: gli americani hanno infatti già bocciato le proposte anticipate dal Giappone definendole, per bocca di alcuni alti funzionari della Casa Bianca, come “molto povere e in larga misura non accetta- bili” e hanno anche criticato i tentennamenti europei esprimendo “preoccupazione” per il ritardo con cui la Ue si sta preparando per il vertice.
  • 23. 128 La bozza di trattato delle 15 Nazioni dell’Unione Europea, infatti, sarebbe dovuta essere pronta entro il primo agosto ma le divergenze hanno bloccato la definizione di una proposta comune. Gli Stati Uniti, dunque, temono che il loro impegno per un trattato globale delle TLC venga scambiato per un problema tutto americano. In effetti è necessario il supporto di tutte le Nazioni. In altre parole, secondo l’amministrazione Clinton ritardi e spinte protezioniste rischiano di tra- sformare in una giungla il mercato globale delle telecomunicazioni, in aperta violazione degli accordi già sottoscritti due anni fa. Secondo i trattati dell’Uruguay Round firmati nel 1993, dopo ben 7 anni di negoziato avviato sotto l’egida del Gatt, infatti, il patto mondiale sulle telecomuni- cazioni deve essere definito entro il 30 aprile del 1996. Dunque, le proposte cominciano ad arrivare ma le basi di una intesa appaiono ancora lontane. E ad allontanare un accordo, secondo Washington, è ancora una volta il protezionismo giapponese. La proposta presentata da Tokio non modifica le attuali restrizioni alla competizione estera sul mercato nipponico delle telecomunicazioni: come avviene oggi le società straniere non po- tranno possedere più del 30% di una compagnia telefonica locale o long distance e non più del 20% dei giganti nazionali, Nippon Telegraph & Telephone Corp e Kokusai Denshin Denwa. Secondo la proposta americana, invece, il mercato globale delle telecomunicazioni si creerà soltanto aprendo alla libera competizione tutti i mercati nazionali, un concetto che del resto si sta già affermando negli Stati Uniti con la legge di riforma delle telecomunicazioni approvata all’inizio di agosto scorso dalla Camera dei deputati. La salvaguardia della competizione e della libera concorrenza dovrà essere affidata a un’Authority indipendente e dotata di ampi poteri di intervento regolatorio e sanzionatorio da istituire dopo la firma del trattato. “Gli Stati Uniti - è scritto nella bozza di trattato dal Journal of Commerce - offriranno alle società straniere accesso illimitato al proprio mercato, trattandole con gli stessi diritti e doveri riconosciuti alle imprese americane”. Alcune limitazioni, tuttavia, saranno mantenute per prevenire un’eccessiva presen- za estera nel settore delle licenze radio-televisive: attualmente i Governi stranieri non possono possedere licenze radio sul mercato Usa e le società estere possono avere partecipazioni che non superano il 20 per cento. La globalizzazione e l’integrazione dei sistemi di comunicazione ha reso, infatti, le licenze radio un campo strategico su cui Washington sembra disposta a tratta- re solo a determinate condizioni. Prima tra tutte l’affermazione del principio della reciprocità sulle opportunità di investimento. Dunque, una domanda da porsi andando al tavolo delle trattative WTO a Ginevra è la seguen- te: sono davvero diversi i Paesi cosiddetti liberisti dai Paesi cosiddetti monopolisti, a dieci anni dall’inizio delle varie tappe di liberalizzazione, e chi ha avuto ragione? Se prendiamo i Paesi del G7, gruppo al quale ci onoriamo di appartenere e li dividiamo in due gruppi secondo il grado di liberalizzazione troviamo da una parte i liberisti Regno Unito, Giap- pone, Canada e Usa che hanno tutti lanciato i loro progetti di liberalizzazione fra il 1981 e il 1985, dall’altra Francia, Germania e Italia, che l’Ocse giudica tutt’oggi Paesi quasi integralmen- te monopolisti (salvo nella telefonia cellulare), insieme a quasi tutta l’Europa continentale, con Austria, Belgio, Danimarca, Grecia, Lussemburgo e Olanda. La densità telefonica dei Paesi liberisti è cinque punti superiore a quella dei Paesi monopolisti ma chiunque può ricordare che lo era anche dieci anni prima, quando più o meno tutti erano monopolisti. C’è però, una vistosa differenza, la diffusione aziendale è nettamente superiore nei Paesi liberisti che tuttavia non hanno mancato ai loro obblighi di servizio universale. Tutti sanno, infatti, che in questi Paesi le tariffe aziendali (interurbane, internazionali, linee affittate per trasmissione dati) sono molto più basse ma questo non ha depresso né i fatturati degli ope- ratori né i loro profitti che godono anzi di ottima salute. Indubbiamente gli operatori dei Paesi liberisti hanno diminuito gli investimenti, anche perché tutti sono stati assoggettati a regimi tariffari di price-cap che incentivano l’aumento
  • 24. 129 di produttività mentre i monopolisti e, salvo la Francia, hanno ancora regimi tariffari che pre- miano gli investimenti. Naturalmente i Paesi liberisti diminuiscono gli addetti alle telecomunica- zioni ma, guarda caso, hanno anche i minori tassi di disoccupazione nel sistema economico. Allora ci chiediamo: valeva la pena tanta cautela dell’Europa continentale nell’adottare le direttive di Bruxelles, che quindi aveva buone ragioni di insistere? Forse no, se guardiamo ai risultati di mercato ed economici in generale. Forse sì, se pensiamo a certe tecnologie tipicamen- te top-down, come le reti Isdn e i chilometri di fibra stesi, dove i monopolisti hanno qualche vantaggio che darà risultati solo a lungo termine. Il prossimo decennio vedrà riallineamento delle politiche perché, al più tardi entro fine 1997, saremo tutti più simili e si vedrà, per usare un paragone sportivo, se era colpa della macchina o dei piloti. Sarebbe paradossale che il prossimo decennio dimostrasse che la miglior preparazione alla liberalizzazione sono stati i prolungati regimi di monopolio, come forse il rapido sviluppo della telefonia cellulare in Italia starebbe a dimostrare. Forse la prossima dimostrazione verrà dal cavo. Il gruppo del G7 sul G.I.I.(Global Information Infrastructure), presieduto da Carlo De Benedetti, poi, l’ottobre scorso a Ginevra ha compiuto un nuovo passo in avanti. Infatti, ha discusso ed esaminato i temi dei negoziati per l’accordo di libero scambio nelle TLC, i tempi della deregulation europea e le regole sui diritti di proprietà intellettuale sul software (copyright) pervenendo ad una serie di specifiche raccomandazioni ai Governi di cui si è anche parlato a porte chiuse con lo stesso Direttore Generale del WTO Renato Ruggiero. Questa riunione del G7 informatico, pertanto, ha rappresentato la tappa intermedia tra il ver- tice G7 di Halifax del 1995 e quello che si terrà in Sud Africa il prossimo maggio. Un’enfasi particolare è stata posta sul ruolo che possono giocare i privati, essendo la prima volta che l’industria presenta un grande progetto di sviluppo ai Governi senza chie- dere denaro. Le autostrade elettroniche, infatti, rappresentano un business che si autofinanzia totalmente. Quello che è stato chiesto è di mettere a punto un’agenda credibile e seria sulla liberalizzazione in modo da facilitare il decollo del libero mercato. Non per niente il piano d’azione e di lavoro ha ricevuto non solo il plauso ma anche l’incoraggiamento del presi- dente Usa Bill Clinton, di quello francese Jacques Chirac, del cancelliere tedesco Helmut Kohl e della Commissione Ue guidata da Jacques Santer. Si tratta adesso di trasformare i documenti in azioni concrete, magari iniziando dai progetti pilota riguardanti la formazione e il lavoro a distanza, avendo la consapevolezza che ci trovia- mo di fronte ad un cambiamento epocale, come ha sottolineato lo stesso De Benedetti. Questa nuova rivoluzione “globale”, sia a livello geografico sia a livello sociale, è destinata ad avere un fortissimo impatto sui nostri modi di vivere del prossimo futuro anche perché si tratta di cambiamenti che interessano soprattutto le aree “immateriali” e aprono quindi nuove dimensioni: le idee non hanno barriere. La fase che si apre darà quindi opportunità anche ai Paesi poveri. La stessa Europa, se si muove nella giusta direzione, può contendere la leadership agli Stati Uniti, dal momento che il vecchio continente rappresenta un bacino di “cultura distri- buita” senza pari al mondo. Ma gli ostacoli non mancano. Sul tappeto, ad esempio, c’è lo spinoso problema del copyright. E in discussione ci sono proprio gli ultimi dettagli di una proposta-quadro in grado di dare un minimo di regole alla proprietà intellettuale dei prodotti già a partire dal primo gennaio. Secon- do gli esperti, il copyright mondiale sulla multimedialità darà un grande impulso allo sviluppo di prodotti hi-tech e alla diffusione di nuovi servizi multimediali. Considerando i più recenti significativi sviluppi di azioni politiche a livello di Unione Europea, va ricordato il “Rapporto Bangerman: Europa e la società globale della informazione” del 1994. Il Rapporto indica come le città possano avere un ruolo fondamentale nella futura società dell’informazione e sottolinea il loro ruolo nel generare la domanda iniziale e nel promuovere
  • 25. 130 l’interesse dei cittadini verso i nuovi servizi ed ancora proporre un piano di azione comprenden- te, tra gli altri, tre elementi essenziali: a) la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni; b) il concetto di dimensione mondiale; c) le iniziative nel settore applicativo per affrontare il problema della crescita troppo lenta della domanda e dell’offerta. Più in particolare, inoltre, il Rapporto auspica un nuovo scenario regolamentare che consenta la libera concorrenza in modo da mobilitare i capitali necessari per l’innovazione, la crescita e lo sviluppo. A tal fine l’azione dell’Unione europea si pone l’obiettivo di dimostrare, attraverso esperi- menti selezionati, il potenziale della società dell’informazione e di identificare e rimuovere i vincoli amministrativi, operativi e regolamentari, in modo da creare un ambiente libero e favore- vole. Si prevedono due direzioni di sviluppo: - promuovere la fornitura di servizi, con particolare enfasi a quelli offerti dalle autorità pub- bliche locali, in modo diretto e personalizzato; - facilitare l’accesso di tutti i cittadini ai prodotti e servizi della società dell’informazione, tra cui prodotti/serviziperl’intrattenimento,l’educazione,l’acquistoadistanza,labancadacasa,iltelelavoro. A sostegno dello sviluppo delle infrastrutture telefoniche e telematiche, poi, l’Unione Euro- pea nel dicembre 1994 ha varato un programma ad hoc di 455,1 milioni di ecu per l’Ammoder- namento, 425,5 milioni di ecu per la Qualità, 192,97 milioni di ecu per lo Sviluppo innovativo e 2,42 milioni di ecu per l’Attuazione, per complessivi 1.076,05 milioni di ecu fino al Duemila56 . Di tale Programma operativo multiregionale “Telecomunicazioni 1994-99 U.E.” sono desti- nati, in particolare, al nostro Paese ben 2.250 miliardi di lire fino al Duemila. Il pacchetto di aiuti è degno erede di precedenti iniezioni di fondi arrivati nell’ambito del quadro comunitario di sostegno 1989-93. In quel periodo venne inizialmente deciso un inter- vento di 83,9 milioni di ecu sempre a favore delle infrastrutture telefoniche del Sud: nel ’92 i lavori previsti erano già conclusi in anticipo sulla tabella di marcia (strano quando si tratta di fondi strutturali). Tanto che, nel ’93, al momento di riprogrammare i finanziamenti comunitari destinati al nostro Paese, venne deciso di spostare una parte dei contributi lasciati inutilizzati proprio sul settore delle telecomunicazioni, portando a un totale di 225 milioni di ecu i contri- buti Ue per un investimento globale di 646 milioni. A continuare questi interventi si è inserito il nuovo programma, relativo al periodo 1994-99: stavolta gli euro-aiuti sono addirittura 376,7 milioni di ecu e l’intero investimento tocca quota 1.076 milioni, al cambio attuale 2.250 miliardi di lire. Il via libera è arrivato nel dicembre ’94 e da allora l’utilizzo degli aiuti è già decollato. Agestire i fondi, come nel passato, è Telecom Italia e l’esistenza di un unico beneficiario semplifica non poco l’utilizzo di questi fondi. La differenza tra i 1076 milioni di ecu e i 376,7 di aiuti europei (699,3) verrà quindi ricavata dal bilancio di Telecom. A cosa serviranno tutti questi finanziamenti? Ad ammodernare la rete esistente e soprattutto a realizzare nuove strutture avanzate di telecomunicazioni: come nel passato gli aiuti europei sono destinati ad anticipare interventi che diversamente sarebbero rin- viati ad un futuro più o meno prossimo. Come segnalato in una nota della Telecom, le linee programmatiche degli interventi infrastrutturali previsti nel periodo 1994-99 sono indirizzate tra l’altro alla numerizzazione del- le infrastrutture con la conseguente diffusione di uno “zoccolo” di intelligenza in tutti gli ele- menti della rete; alla crescita delle capacità di trasporto in funzione dello sviluppo dei servizi tradizionali e dell’emergere dei servizi “a larga banda” e del corrispondente impiego delle fibre ottiche anche nella rete di distribuzione; al trattamento integrato delle informazioni (voce, dati, immagini) con particolare attenzione allo sviluppo delle interfacce d’accesso utente-rete di tlc; allo sviluppo delle telecomunicazioni mobili e ai nuovi sistemi satellitari.
  • 26. 131 Inoltre, per promuovere i nuovi prodotti multimediali, al fine di rendere più agile ed efficace la società dell’informazione europea, la Commissione europea nel 1995 ha proposto il program- ma “INFO 2000” stanziando 100 milioni di ecu (quasi 400 miliardi di lire) dal 1996 al 1999. L’obiettivo, specificato dal commissario Martin Bangemann, è quello di sostenere tutta una serie di prodotti multimediali per collegare i produttori del contenuto dell’informazione creando una rete accessibile alla totalità degli utenti europei. I servizi di informazione hanno una grande importanza culturale e linguistica per il ruolo determinante che svolgono nella vita privata, sociale, culturale e politica. Bisogna quindi renderli disponibili e accessibili alle imprese e ai cittadini europei. Ma come fare? La proposta presenta un corposo pacchetto di iniziative che coinvolgerebbe tutta l’industria dell’informazione, dalle edizioni stampate a quelle elettroniche, compresa naturalmente l’indu- stria audiovisiva. Una prima fase consiste nello stimolare l’utenza europea. Gli utenti che hanno bisogno d’informazioni a chi devono rivolgersi, dove vanno a cercarle? Info 2000 intende dare loro delle risposte, utilizzando le strutture già esistenti ma operando una piccola rivoluzione mettendo insieme le Camere di commercio, le organizzazioni professionali e gli organismi pubblici in una rete europea con la consegna di scambiare tra loro esperienze e informazioni, creando una libera circolazione. Su questa linea perché non puntare anche sul settore pubblico che produce un potenziale d’informazione non indifferente? E siamo alla seconda fase operativa di Info 2000, quella cioè che mira a facilitare l’accesso a tutta una serie di informazioni prodotte da organismi ed enti pubblici sparsi nel territorio dei Quindici. Informazioni che possono riguardare ad esempio la salute, di grande importanza sia per i singoli cittadini che per le imprese. E soprattutto fanno parte del settore pubblico fonti d’informazione come i musei, le biblioteche, i sistemi di deposito dei diritti d’autore dei brevetti, gli organismo di insegnamento e di formazione, gli archivi storici. Informazioni che restano spesso confinate in ambito nazionale e che non sono ancora adatte per essere utilizzate a livello multimediale. Questo processo di comunicazione potrà concretizzarsi in un “repertorio d’informazioni”, una sorta d’indirizzario delle informazioni prodotte dal settore pubblico. Attraverso questo in- dirizzario potrà partire un lavoro di integrazione e scambio transnazionale dei diversi repertori d’informazione nazionali, regionali e locali. Ma promuovere nuovi prodotti multimediali vuol dire anche affrontare la trafila kafkiana dei diritti di riproduzione e di proprietà a loro volta di differenti autori e di numerose società di gestione collettiva. Info 2000 prevede per questo la creazione di procedure più snelle e agili in modo da accedere più facilmente agli scambi a livello europeo di diritti di proprietà intellettua- le. Un ostacolo che potrebbe frapporsi al terzo momento operativo del programma, quello che ha l’obiettivo di rendere concrete le opportunità del contenuto dell’informazione in Europa, attraverso tre livelli strategici: lo sviluppo economico del patrimonio culturale europeo, i servi- zi alle piccole e medie imprese, e l’informazione geografica. Un altro passo significativo registrato nel 1995 emerge dal “Rapporto sulla competività del- l’economia comunitaria”, presentato dal Gruppo di Lavoro CAG presieduto dall’italiano Carlo Azeglio Ciampi, nel cui capitolo dedicato all’impresa europea, dopo aver precisato che “la capa- cità delle imprese, sia piccole che grandi, di creare valore aggiunto è uno dei fattori chiave che determinano le prestazioni globali di qualsiasi economia, il suo livello di competitività nonché gli standard di vita della sua popolazione direttamente attraverso l’occupazione e indirettamen- te attraverso la previdenza sociale e la ridistribuzione dei redditi e che in un’economia di mer- cato a carattere aperto e internazionale le imprese europee che vogliono garantire occupazione e produrre ricchezza devono essere in grado di competere e conquistare mercati redditizi sia all’interno che all’esterno del proprio Paese, al punto due si evidenzia la necessità di eliminare
  • 27. 132 gli ostacoli all’innovazione ed all’applicazione di tecnologia. Nella fattispecie si osserva che “le prestazioni delle imprese europee dipendono dalla loro capacità di innovare e di applicare le nuove tecnologie allo scopo di aumentare la produttività e sviluppare nuovi prodotti. Di conse- guenza, un programma mirato ad accrescere la competitività dovrà eliminare le barriere che ostacolano l’innovazione e l’applicazione di nuove tecnologie”. Quella delle telecomunicazioni è considerata una delle principali infrastrutture transeuropee, in quanto rappresenta il sistema nervoso di un’economia basata sulle informazioni, in cui la capacità di catturare, trasferire, elaborare e utilizzare le informazioni diventa sempre più impor- tante per affermarsi sul mercato. Il cammino verso la liberalizzazione dei servizi e delle infra- strutture di telecomunicazione, attualmente prevista per il 1998, è stato finora lungo e tortuoso: in base a un recente studio, i costi per alcuni servizi di telecomunicazione in Europa sono ben 22 volte più alti che negli Stati Uniti con grande svantaggio per le imprese che devono misurarsi con la concorrenza sui mercati mondiali. Come emerge da una serie di studi effettuati durante l’ultimo decennio, nella sfera dell’indu- stria delle telecomunicazioni rientrano una serie di tecnologie che nel corso dei prossimi decenni dovranno svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo del vantaggio competitivo dell’Euro- pa. Il Cag è convinto che il completamento del mercato interno in questo settore rappresenti attualmente una priorità urgente per la Commissione e debba essere dichiarato uno dei suoi obiettivi principali per i prossimi due anni. La capacità di assicurare efficienti servizi di telecomunicazione rafforzerebbe la competitività delle imprese dell’Ue sia al suo interno - grazie all’abbassamento delle tariffe, al miglioramento della qualità dei servizi e allo sviluppo di servizi nuovi e innova- tivi - che all’esterno, sul mercato mondiale dei servizi di telecomunicazione che si sta sviluppan- do con estrema rapidità. Comunque, numerosi restano gli interventi necessari in campo comuni- tario a sostegno dello sviluppo delle TLC e tra questi uno dei più complessi è senza dubbio l’armonizzazione degli interventi dei singoli Stati per creare una rete davvero europea. Considerando, poi, l’azione politica di alcuni singoli Paesi, limitandoci a puro scopo indica- tivo a citare taluni aspetti di processi in realtà intuitivamente complessi ed articolati, va evidenziato, innanzitutto, la vasta azione di revisione di tutta la normativa riguardante le reti di comunicazio- ne (telefonia, trasmissione dati, televisione) in atto negli Stati Uniti ad opera del Congresso. E’ un fatto di importanza capitale per tutto quell’ampio settore che, sotto la pressione dell’inno- vazione tecnologica, viene formandosi attraverso l’integrazione di media, telecomunicazioni, informatica, elettronica di consumo. Il primo motivo che segnala il rilievo dell’evento è di ordine cronologico: per oltre sessant’anni (il vecchio telecommunications act era del 1934) il Congresso non aveva più toccato la questione (con l’eccezione di una legge settoriale sulla tv via cavo all’inizio degli anni Ottanta) lascinadola agli interventi (spesso pesantemente regolatori) della Federal Communications Commission e addirittura della Corte suprema; ora riprende in mano la materia con grande decisione ripensan- done, dalle fondamenta, l’architettura. Il Congresso, inoltre, procede depurando la legge dalle disposizioni destinate ad accelerare la liberalizzazione delle tariffe nel settore via cavo e l’elimi- nazione delle restrizioni sulla proprietà delle aziende nel settore dei media, aprendo così la strada a crescenti concentrazioni. Ma a preoccupare la Casa Bianca è la prospettiva che la riforma apra la strada alla formazione di ampi conglomerati industriali nel campo della telefonia e dei media, riducendo drasticamente la concorrenza nel campo delle telecomunicazioni e dell’informazione con un danno economico per il pubblico. Vi è, inoltre, la proposta di eliminare la rigida separazione tra i mercati della telefonia locale e a lunga distanza, di allentare il limite al numero di stazioni radio e tv che un solo gruppo può possedere e di abbattere il divieto a controllare contemporaneamente sistemi via cavo, giornali e stazioni tv in un unico mercato locale. E ora, con il voto della Camera, l’unica restrizione alla proprietà televisiva resterebbe un limite del 35% dell’audience nazionale che può essere raggiunta
  • 28. 133 da ciascun broadeater. In gioco ci sono cifre da capogiro: secondo i sostenitori della riforma, la deregulation provocherà un boom di investimenti stimolando un giro d’affari che già oggi si aggira sui 700 miliardi di dollari. Prive di vincoli territoriali, le sole società telefoniche si conten- deranno un mercato da 190 miliardi di dollari. Anche in Gran Bretagna è in atto un processo di modernizzazione che ha già avuto una prima applicazione di notevole rilievo con il vero e proprio “big bang” della Borsa di Londra. Tra gli eventi più recenti, poi, c’è da segnalare la proposta del leader Blair al Congresso Laburista del 1995 di collegare tutti i servizi pubblici della Gran Bretagna con una enorme autostra- da informatica per rilanciare il sistema-Paese: un’operazione quantificata dagli esperti del setto- re in non meno di 10 miliardi di sterline, oltre 25 mila miliardi di lire. Nel contempo, nel settore TV via cavo, l’attuale Governo conservatore sta consentendo la crescita di numerose società concorrenti del gigante delle TLC British Telecom facendo osserva- re a quest’ultimo il divieto, contenuto nelle regole sul Broadeasting ed in vigore fino al 2001, di fornire via cavo informazioni legate all’intrattenimento ed al tempo libero. A sua volta, il governo giapponese ha approvato un ingente piano di investimento (per centi- naia di migliaia di miliardi di lire), incentrato su Ntt, che consentirà di collegare tutte le famiglie in fibra ottica entro il 2010, con la ipotizzata creazione di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro. In Francia, inoltre, dove già France Telecom gestisce il “Plancable”, è in atto uno sforzo finanziario per la realizzazione dell’autostrada dell’informazione nell’ordine tra i 45 ed i 60 mila miliardi di lire (con un valore aggiunto a sua volta almeno triplo) mentre in Germania è stato varato il progetto di allacciare 1,2 milioni di famiglie in fibra ottica entro il 1996, opera affidata alla Telecom locale che gestisce anche le reti via cavo. In Italia, poi, oltre all’opera di Telecom Italia che sta allacciando sperimentalmente per i servizi interattivi a banda larga famiglie nelle principali città perseguendo l’obiettivo di collega- re 350 mila famiglie entro il 1995 e 10 milioni entro il 1998, comincia ad essere più significativa l’azione politica a sostegno del processo di ammodernamento ed integrazione tecnologica. Oltre quanto specificamente trattato in altri capitoli, va menzionato che è stato presen- tato il “Piano triennale per l’informatica 1996-98 della pubblica amministrazione” a cura dell’A.I.P.A., l’Authority per l’informatica nella P.A., che prevede finanziamenti per 8.170 miliardi in tre anni e il bilancio di quasi 400 progetti sperimentali che vedono in prima fila anche l’ipotesi di voto elettronico. Il Piano, inoltre, ha come obiettivo di massima, accanto all’esigenza di ridurre i disagi dei cittadini col ricorso deciso ma “intelligente” e mirato ai sistemi informativi, quello di diffondere l’uso dell’informatica nelle amministrazioni. E soprattutto di creare una rete di interconnessione tale da creare un reale supporto all’attività di Governo. Il tutto, con una dotazione di 2.784 mi- liardi nel ’96, 2.984 nel ’97 e 2.402 nel ’98. La pubblica amministrazione, dal canto suo, dovrà scommettere sull’economicità e sulla gestio- ne efficiente delle risorse: tagliando i costi di esercizio e manutenzione dei sistemi e i contratti esterni dei Centri di elaborazione dei dati, per i quali sono possibili risparmi anche del 50% in tre anni. Di poi, sempre lo scorso anno, lo stesso Governo ha varato una direttiva per l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione che prevede proprio la creazione di una rete informatica unitaria per collegare gli uffici tra di loro e permettere scambi di informazioni nonché vantaggi per i cittadini che potranno ottenere notizie di carattere tributario, amministra- tivo, previdenziale, anagrafico, catastale, ecc. da un unico sportello. Vi è, poi, il piano di politica industriale per le TLC, destinato a sorreggere tanto Olivetti che le altre aziende del settore, che prevede, al primo punto, la creazione di un ambiente favorevole per lo sviluppo degli investimenti attraverso il passaggio dal monopolio alla libera concorrenza. In tal senso va il DDL presentato lo scorso anno, dal ministro Gambino, che può essere considerato il nuovo punto di riferimento verso l’allargamento del mercato delle telecomunicazioni.