Resilienza, Empatia, Concetto di sé e Mentalizzazione slide
1. Resilienza, Empatia, Concetto di
sé e Mentalizzazione
Università di Messina
Corso di Laurea in Fisioterapia di Caltagirone
Lezioni di Psicologia clinica
Prof Raffaele Barone
2. La resilienza
La resilienza deriva dalle scienze dei materiali e
indica la proprietà che alcuni modelli hanno di
conservare la propria struttura o di riacquistare la
forma originaria dopo essere stati sottoposti a
schiacciamento o deformazione. La resilienza
non è una caratteristica che è presente o assente
in un individuo; essa presuppone invece
comportamenti, pensieri e azioni che possono
essere appresi da chiunque, va intesa come una
funzione psichica che si modifica nel tempo, in
rapporto all’esperienza, ai vissuti, e soprattutto al
modificarsi dei meccanismi mentali che la
sottendano. L’esposizione alle avversità sembra
rafforzarla ,piuttosto che indebolirla
3. La resilienza
La resilienza, intesa come la capacità degli
individui di affrontare e superare con successo le
avversità importanti della vita.
Essere resiliente significa saper vivere da
protagonista la propria vita, riducendo la
dipendenza dal proprio contesto.
Ambientarsi non significa un adeguamento
passivo al contesto ma – piuttosto – la capacità di
ridisegnare la relazione con il proprio
ambiente, valorizzando se stesso e il proprio
contesto.
4. L’IDENTIKIT DELLA PERSONA
RESILIENTE
Tali individui sembrerebbero avere numerose
caratteristiche, tra cui perseveranza umorismo,
ottimismo, speranza, curiosità, creatività, umiltà,
empatia, gratitudine e altruismo.
Spontaneità, etica, intuito e nobiltà d’animo
5. L’ORGANIZZAZIONE
RESILIENTE
Il concetto di resilienza è stato esaminato anche
in ambito organizzativo. A questo proposito, la
resilienza è la capacità di un’organizzazione di
continuare ad essere operativa ed efficiente a
fronte di eventi stressanti o “catastrofici” che
possono colpirla; essere resilienti significa
rimanere altamente produttivi anche nelle
turbolenze e nelle difficoltà, significa capitalizzare
esperienze e far tesoro di esse così come dei
propri errori per guardare avanti in modo positivo
6. Koboso, psicologo dell’Università di
Chicago
Le persone più resilienti,mostrano i seguenti tre tratti
di personalità: l’impegno, il controllo e il gusto per le
sfide:
-l’impegno è la tendenza della persona a farsi
coinvolgere dalle attività, si dà da fare e non
abbandona facilmente il campo, valuta le difficoltà
realisticamente, ha degli obiettivi e crede nelle cose
che fa;
-il controllo , si intende che la persona ha la
convinzione di non essere in balia degli altri. E’ pronto
a modificare, anche radicalmente, le proprie strategie,
prende tempo e sa aspettare;
- il gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione
ad accettare le sfide, vede gli aspetti positivi delle
trasformazioni e minimizza quelli negativi, vive il
cambiamento come un incentivo a crescere e non
come una difficoltà da evitare.
7. L’Empatia
L’empatia è la capacità di comprendere appieno
lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che
di dolore. Empatia significa sentire dentro ed è
una capacità che fa parte dell’esperienza umana
e animale. Rappresenta la capacità di un
individuo di comprendere in modo immediato i
pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona.
L’empatia è dunque un processo: essere con
l’altro.
8. Empatia e relazione di cura
L’empatia permette al curante di comprendere i
sentimenti e le sofferenze del paziente.
Incorporandoli nella costruzione del rapporto di
cura ma senza esserne sopraffatto.
L’empatia nella relazione di cura migliora i risultati
terapeutici,la soddisfazione del paziente e minori
contenziosi curante-paziente.
9. Per una definizione di Empatia…
C’è empatia quando smettiamo di focalizzare la nostra
attenzione in modo univoco (single-minded), per adottare
invece un tipo di attenzione “doppia” (double-minded);
Focalizzare la nostra attenzione “in modo univoco” significa
prestare attenzione solo alla propria mente, ai propri
pensieri o alle proprie percezioni;
Avere una attenzione “doppia” significa tenere presente
allo stesso tempo anche la mente di qualcun altro. Quando
l’empatia è spenta, pensiamo solo ai nostri interessi,
quando è accesa – invece - ci concentriamo anche sugli
interessi di altre persone.
10. Il QE (Quoziente empatico)
Sono stati messi a punti dei test per testare i livello di
empatia (QE) delle persone che ha evidenziato come
alcune persone hanno un livello alto di empatia, altre
medio e altre basso.
Qualunque sia il modo in cui si arriva al valore basso
sulla scala dell’empatia, il risultato sarà lo stesso: a
quel punto si diventa capaci di disumanizzare gli
altri, di trasformare l’altro in un oggetto, e questo può
avere conseguenze tragiche.
11. Il circuito dell0’empatia
I neuroscienziati ritengono che l’empatia dipenda dal
funzionamento di un particolare circuito cerebrale: il
circuito dell’empatia.
Attraverso
la risonanza magnetica funzionale i
neuroscienziati stanno tracciando un quadro chiaro
delle aree cerebrali che hanno un ruolo centrale
quando si entra in empatia.
Nell’empatia non è coinvolto dunque l’intero cervello,
ma una decina di regioni del cervello tra loro
interconnesse.
12. Il circuito dell’empatia 6
Questi dieci centri costituiscono il circuito dell’empatia
e sono collegati in attraverso una molteplice serie di
connessioni.
La constatazione che l’attività di queste regioni varia
nei diversi individui in base al diverso livello di empatia
della persona ci riconduce all’idea che l’empatia vari
come un dispositivo di modulazione e ci offre un modo
diretto per spiegare perché alcune persone abbiano
poca o nessuna empatia.
13. Il grado zero dell’empatia
Significa non avere consapevolezza di come ci si
relaziona con gli altri, si interagisce con essi , o se ne
anticipano i sentimenti o le reazioni
Questo grado zero di empatia può essere classificato
in due forme: zero negativo e zero positivo. I tre
principali sottotipi di zero negativi sono i tipi di
personalità P (Psicopatia), N (Narcisista) e B
(Borderline). Naturalmente questi non sono i soli
sottotipi esistenti. L’alcool, la fatica, la depressione
sono alcuni esempi di stati che possono
temporaneamente ridurre l’empatia. Due sono i
sottotipi di zero positivi, l’Autismo e la sindrome di
Asperger.
14. Zero negativo di tipo B
(Borderline)
I borderline nutrono rabbia nei confronti di coloro che
amano. Spesso si dice che c’è una linea sottile tra amore e
odio. Nonostante tutta questa rabbia, si descrivono come
vuoti dentro. Il sentimento di vuoto causa un terribile dolore
emotivo e uno stato di depressione. I comportamenti
compulsivi (il bere, la droga, l’automutilazione, la
promiscuità sessuale, il mangiare compulsivo, il gioco
d’azzardo o i tentativi di suicidio) sono tutti tentativi di
ottenere qualche momento di sollievo, un disperato
tentativo di sentire qualcosa, piuttosto che sentire il vuoto
Vive in una continua alternanza di stati in cui dapprima
respinge gli altri ( con rabbia e odio), e poi vi si aggrappa
disperatamente ( con estrema gratitudine). Utilizza un
meccanismo di difesa noto come “scissione”. Le
15. Zero negativo di tipo B
(Borderline)
Nel cervello di tipo B le tecniche di neuroimaging
rivelano anomalie nel circuito dell’empatia, in
particolare un’attività ridotta nella corteccia orbito
frontale e nella corteccia temporale. Alcuni studi hanno
trovato un aumento dell’attività dell’amigdala durante
la visione di diapositive emotivamente negative. I
marcatori neurali legati ai gesti di cooperazione e di
fiducia (insula anteriore), normalmente attivi, sono del
tutto assenti negli individui di tipo B. Un ippocampo di
volume ridotto si riscontra anche in persone che
abbiano vissuto un trauma e sviluppato un disturbo
post-traumatico da stress.
16. Zero negativi di tipo P
(Psicopatia)
In queste persone vi è una volontà di fare qualsiasi
cosa serva a soddisfare i propri desideri.
Una caratteristica di queste persone è la mancanza
d’ansia o di senso di colpa.
Alcune ricerche tramite le scansioni fMRI hanno
evidenziato delle anomalie del circuito dell’empatia nei
soggetti psicopatici: minore attività nella corteccia
prefrontale ventromediale, anomalie dei lobi frontali del
circuito dell’empatia e non negli interi lobi frontali, una
minore attività dell’amigdala quando sono sottoposti a
un condizionamento avversativo.
17. Zero negativo di tipo N
(Narcisista)
Il grado zero di empatia rende il tipo N profondamente
egocentrico, privi di umiltà, pensano di essere migliori
delle altre persone, come se avessero qualche
particolare dono che agli altri manca. Di fatto, la
vanagloria e il continuo autoincensamento è parte di
ciò che gli altri trovano offensivo, non perché siano
gelosi, ma perché è un indicatore della esclusiva
preoccupazione per sé del narcisista.
Egli non riesce a riconoscere la bi direzionalità delle
relazioni
18. Grado zero empatia positivo
L’esistenza di una forma zero positiva si identifica con
quello che in psichiatria si chiama spettro delle
condizione autistica e della sindrome di Asperger.
Anch’esse mostrano un’attività ridotta in quasi ogni
zona del circuito dell’empatia. Oltre alla difficoltà a
capire gli altri, le persone che sono zero positive
hanno anche difficoltà a capire la propria mente, una
difficoltà chiamata “alessitimia”, che si può tradurre in
“senza parole per l’emozione”.
Lo zero positivo è un caso particolare, in cui l’empatia
è compromessa, ma il riconoscimento e la
sistematizzazione sono potenziati
19. La civiltà dell’empatia di Jeremy
Rifkin
L’uomo moderno è naturalmente predisposto
all’empatia. Secondo Rifkin sono circa 20.000
anni che non siamo più homo sapiens sapiens,
ma homo emphaticus. Leghiamo fra di noi,
socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo
cooperativi. Ci basiamo su tre colonne portanti
per il nostro benessere: la socializzazione, la
salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività.
20. Empatia come risorsa sottoutilizzata
L’empatia è una delle più valide risorse del nostro
tempo.
Senza empatia rischiamo la rottura delle relazioni,
diventiamo capaci di ferirci l’un l’altro possiamo
causare conflitti.
Con l’empatia abbiamo una risorsa che risolve i
conflitti, accresce la coesione della comunità,
allieva il dolore di qualcuno.
21. L’ empatia è come un solvente
universale
Qualunque problema, immerso nell’empatia,
diventa solubile.
E’ una strada efficace per prevenire e risolvere i
problemi interpersonali, che si tratti di conflitti
coniugali, internazionali, di questioni di lavoro, di
difficoltà di amicizia, di situazioni di stallo in
politica, di dispute familiari o di beghe con i vicini.
22. Il concetto di Sé
L’insieme delle conoscenze, dei concetti, delle
credenze che l’individuo ad un dato momento ha a
proposito di se stesso e di cui è consapevole.
L’individuo sviluppa il concetto di Sé nel corso del
processo di socializzazione, o comunque tramite
l’interazione sociale.
Il concetto di Sé lo accompagna, aggiustandosi
man mano, attraverso tutta l’esistenza, guidando
le sue azioni
23. La divisione del Sé in due componenti (Io
e Me)
«siamo una cosa per l’uno ed un’altra per l’altro […],
noi smembriamo i nostri “Sé” in differenti “Sé”, di
tutti i generi, in relazione ai nostri conoscenti.
Discutiamo di politica con uno e di religione con un
altro. Vi sono “Sé” differenti, di ogni sorta,
corrispondenti a tutti i tipi delle diverse relazioni
sociali […]. Generalmente vi è una organizzazione del
“Sé” complessivo in riferimento alla comunità alla
quale apparteniamo e alla situazione nella quale ci
troviamo. […] il “Sé” che noi saremo deriva dal
complesso delle relazioni sociali che si
determinano».
24. W. James
Distinzione tra Io e Me
- IO: coincide con il soggetto consapevole,
capace di conoscere e di intraprendere iniziative
nei confronti della realtà esterna oltre che di
riflettere su di Sé
- ME: è quanto del Sé è conosciuto dall’Io,
l’aspetto oggettivo ed empirico del Sé (quello
che vedo di me, percepisco di me, il modo in cui
mi vedo).
25. Uno, nessuno e centomila (L.
Pirandello)
Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri
quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere.
[…] L’idea che gli altri vedevano in me uno che non
ero io quale mi conoscevo ; uno che essi soltanto
potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi
che non erano i miei e che mi davano un aspetto
destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in
me, pur essendo il mio per loro (un «mio» dunque che
non era per me!); una vita nella quale, pur essendo la
mia per loro, io non potevo penetrare, quest’idea non
mi diede più requie …
26. Empatia e concetto di sé
Il concetto di sé si può definire come la rappresentazione che un
individuo ha di se stesso.
Il concetto di sé si sviluppa in modo sostanzialmente relazionale, come
conseguenza di un continuo processo di interazione tra l’individuo, il
suo ambiente e le persone che ne fanno parte. L’individuo agisce
sull’ambiente e l’ambiente a sua volta reagisce influenzando l’individuo.
Lo sviluppo di un concetto di sé positivo è facilitato dal fatto di vivere in
un contesto che, anche al di là della relazione con il caregiver, sia
caratterizzato da empatia, accettazione e supporto. A questo punto
resta da chiarire se il fatto di avere un concetto di sé positivo possa, a
sua volta, facilitare la messa in atto di comportamenti empatici.
Alcuni studi sembrerebbero dimostrare che lo sviluppo di un buon
concetto di sé può incentivare i bambini a essere più empatici. La
ragione ditale propensione si può rintracciare, secondo gli autori, nel
fatto che l’avere un buon concetto di sé fa sì che i bambini si sentano
meno minacciati dagli stati d’animo dei compagni e più capaci di
alleviare il loro disagio.
Essere empatici con gli altri, se da un lato consente di avere una vita
relazionale ricca e soddisfacente, dall’altro significa essere
continuamente esposti a vissuti emotivi intensi e questo continuo
coinvolgimento emozionale si può tradurre, a lungo andare, in una sorta
di instabilità emotiva, di ansietà, di insicurezza.
27. Mentalizzazione
Per mentalizzazione si intende il "tenere a mente
la mente propria e altrui". In altre parole, il
"rappresentarsi internamente gli stati mentali",
riferiti a se stessi e altri.
Coloro che sono affetti da malattie
psicosomatiche tendenzialmente hanno difficoltà
di mentalizzazione degli stati emotivi (alessitimia);
ovvero, non "simbolizzano i conflitti affettivi",
lasciando nel loro corpo (ed in particolare nei
cosiddetti "organi-bersaglio") la contraddizione di
un pensiero che "passa all'atto" (acting-out), cioè
un pensiero incapace di produrre un completo
lavoro mentale che si esprima come attività
28. Funzione riflessiva del sè
Il termine "funzione riflessiva" o mentalizzazione si riferisce alla
capacità di interpretare e di rappresentarsi il proprio comportamento e
quello altrui in termini di ipotetici stati mentali.
Permette di sviluppare la consapevolezza e la riflessione su di sè e
comporta la capacità di rendersi conto che gli altri hanno una mente
diversa dalla propria e che le proprie rappresentazioni costituiscono il
nostro punto di vista, ma che altre persone possono averne altri, di tipo
diverso.
La capacità di mentalizzazione si acquisisce nel corso del tempo, ma
risulta fondamentale la relazione con le principali figure di attaccamento.
I genitori dovrebbero riuscire a riflettere in maniera comprensiva
sull'esperienza interna del proprio figlio, rispondendogli adeguatamente.
In caso contrario il soggetto non riuscirà a sviluppare tale funzione che
risulta molto importante per il suo adattamento e per le relazioni sociali.
Quindi, la mentalizzasione è una capacità che risulta collegata alla
modalità di accudimento ed alle cure ricevute dal bambino
nell'infanzia. Infatti, l'interesse per la mente dell'altro è possibile solo se
il bambino ha potuto fare l'esperienza precoce che i suoi stati interni
sono stati compresi da un'altra mente.
29. Fonagy: Mentalizzazione e
funzione riflessiva
a capacità di mentalizzazione riguarda la capacita di
vedere stessi e le altre persone in termini di stati mentali (
sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri) e di pensare
ai propri e altrui comportamenti in termini di stati mentali,
attraverso un processo che viene normalmente definito
riflessione. La solidità di questa capacità determina non
solo la natura della realtà psichica dell’individuo, ma anche
la qualità e la coerenza della parte riflessiva del Sé, che
si ritiene ne costituisca il nucleo strutturale. La capacità di
esplorare il significato delle azioni altrui è connessa in
maniera cruciale alla capacità del bambino di etichettare e
dare significato alla propria esperienza. Questa capacità
può dare un contributo decisivo alla regolazione affettiva, controllo degli impulsi, automonitoraggio - e all’esperienza
di Sé come soggetto agente,e permette di distinguere la
realtà interna da quella esterna, la finzione dai modi “reali”
di funzionamento.
30. Mentalizzazione e attaccamento
Se la relazione con le figure di attaccamento è povera
di sintonizzazione emotiva, se i genitori non
mentalizzano i bisogni del figlio e non riescono perciò
a fornire risposte adeguate, il bambino viene esposto
ad un’esperienza prolungata di mancato
riconoscimento; in particolare, quando la relazione di
attaccamento non coinvolge il bambino come individuo
pensato pensante – dotato cioè di intenzionalità
complessa nella rappresentazione del genitore – egli non
sperimenta il rispecchiamento necessario alla costruzione
della funzione riflessiva, poiché l’immagine che i genitori gli
rimandano con i loro comportamenti e le loro reazioni non
descrive un soggetto che ha scopi e vissuti psichici
individuali, in grado di differenziarsi dalla mente dell’altro e
di generare una rappresentazione autonoma
dell’esperienza, bensì un bambino incapace di aderire alle
richieste che gli vengono impartite e di adattarsi
correttamente all’ambiente in cui vive.
31. Cura come paradigma con cardini
empatia e mentalizzazione/riflessività
La costruzione di una persona non richiede
solamente dati biologici, culturali, sociali,
professionali. La costruzione di una persona
passa necessariamente dal sentire l'altro, dal
pensare l'altro, dall'essere con l'altro. Da qui era
iniziato il discorso sull'empatia continuato poi con
l'approfondimento della tesi sulla funzione
riflessiva. La cura è il paradigma che ha come
cardini empatia e mentalizzazione/riflessività che,
infatti, è possibile ritrovare come atti centrali in
ogni pratica di cura e disposizione etica alla cura.
Alcuni sentimenti morali sono particolarmente
importanti per questo percorso: la fiducia, la
speranza, la tenerezza,
l'accettazione, la serenità.