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Resilienza, Empatia, Concetto di
sé e Mentalizzazione
Università di Messina
Corso di Laurea in Fisioterapia di Caltagirone
Lezioni di Psicologia clinica
Prof Raffaele Barone
La resilienza
 La resilienza deriva dalle scienze dei materiali e

indica la proprietà che alcuni modelli hanno di
conservare la propria struttura o di riacquistare la
forma originaria dopo essere stati sottoposti a
schiacciamento o deformazione. La resilienza
non è una caratteristica che è presente o assente
in un individuo; essa presuppone invece
comportamenti, pensieri e azioni che possono
essere appresi da chiunque, va intesa come una
funzione psichica che si modifica nel tempo, in
rapporto all’esperienza, ai vissuti, e soprattutto al
modificarsi dei meccanismi mentali che la
sottendano. L’esposizione alle avversità sembra
rafforzarla ,piuttosto che indebolirla
La resilienza
 La resilienza, intesa come la capacità degli

individui di affrontare e superare con successo le
avversità importanti della vita.
 Essere resiliente significa saper vivere da
protagonista la propria vita, riducendo la
dipendenza dal proprio contesto.
 Ambientarsi non significa un adeguamento
passivo al contesto ma – piuttosto – la capacità di
ridisegnare la relazione con il proprio
ambiente, valorizzando se stesso e il proprio
contesto.
L’IDENTIKIT DELLA PERSONA
RESILIENTE
 Tali individui sembrerebbero avere numerose

caratteristiche, tra cui perseveranza umorismo,
ottimismo, speranza, curiosità, creatività, umiltà,
empatia, gratitudine e altruismo.
 Spontaneità, etica, intuito e nobiltà d’animo
L’ORGANIZZAZIONE
RESILIENTE
 Il concetto di resilienza è stato esaminato anche

in ambito organizzativo. A questo proposito, la
resilienza è la capacità di un’organizzazione di
continuare ad essere operativa ed efficiente a
fronte di eventi stressanti o “catastrofici” che
possono colpirla; essere resilienti significa
rimanere altamente produttivi anche nelle
turbolenze e nelle difficoltà, significa capitalizzare
esperienze e far tesoro di esse così come dei
propri errori per guardare avanti in modo positivo
Koboso, psicologo dell’Università di
Chicago
 Le persone più resilienti,mostrano i seguenti tre tratti

di personalità: l’impegno, il controllo e il gusto per le
sfide:
 -l’impegno è la tendenza della persona a farsi
coinvolgere dalle attività, si dà da fare e non
abbandona facilmente il campo, valuta le difficoltà
realisticamente, ha degli obiettivi e crede nelle cose
che fa;
 -il controllo , si intende che la persona ha la
convinzione di non essere in balia degli altri. E’ pronto
a modificare, anche radicalmente, le proprie strategie,
prende tempo e sa aspettare;
 - il gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione
ad accettare le sfide, vede gli aspetti positivi delle
trasformazioni e minimizza quelli negativi, vive il
cambiamento come un incentivo a crescere e non
come una difficoltà da evitare.
L’Empatia
 L’empatia è la capacità di comprendere appieno

lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che
di dolore. Empatia significa sentire dentro ed è
una capacità che fa parte dell’esperienza umana
e animale. Rappresenta la capacità di un
individuo di comprendere in modo immediato i
pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona.
L’empatia è dunque un processo: essere con
l’altro.
Empatia e relazione di cura
 L’empatia permette al curante di comprendere i

sentimenti e le sofferenze del paziente.
Incorporandoli nella costruzione del rapporto di
cura ma senza esserne sopraffatto.
 L’empatia nella relazione di cura migliora i risultati
terapeutici,la soddisfazione del paziente e minori
contenziosi curante-paziente.
Per una definizione di Empatia…
 C’è empatia quando smettiamo di focalizzare la nostra

attenzione in modo univoco (single-minded), per adottare
invece un tipo di attenzione “doppia” (double-minded);
 Focalizzare la nostra attenzione “in modo univoco” significa

prestare attenzione solo alla propria mente, ai propri
pensieri o alle proprie percezioni;
 Avere una attenzione “doppia” significa tenere presente

allo stesso tempo anche la mente di qualcun altro. Quando
l’empatia è spenta, pensiamo solo ai nostri interessi,
quando è accesa – invece - ci concentriamo anche sugli
interessi di altre persone.
Il QE (Quoziente empatico)
 Sono stati messi a punti dei test per testare i livello di

empatia (QE) delle persone che ha evidenziato come
alcune persone hanno un livello alto di empatia, altre
medio e altre basso.
 Qualunque sia il modo in cui si arriva al valore basso

sulla scala dell’empatia, il risultato sarà lo stesso: a
quel punto si diventa capaci di disumanizzare gli
altri, di trasformare l’altro in un oggetto, e questo può
avere conseguenze tragiche.
Il circuito dell0’empatia
 I neuroscienziati ritengono che l’empatia dipenda dal

funzionamento di un particolare circuito cerebrale: il
circuito dell’empatia.
 Attraverso

la risonanza magnetica funzionale i
neuroscienziati stanno tracciando un quadro chiaro
delle aree cerebrali che hanno un ruolo centrale
quando si entra in empatia.

 Nell’empatia non è coinvolto dunque l’intero cervello,

ma una decina di regioni del cervello tra loro
interconnesse.
Il circuito dell’empatia 6
 Questi dieci centri costituiscono il circuito dell’empatia

e sono collegati in attraverso una molteplice serie di
connessioni.
 La constatazione che l’attività di queste regioni varia

nei diversi individui in base al diverso livello di empatia
della persona ci riconduce all’idea che l’empatia vari
come un dispositivo di modulazione e ci offre un modo
diretto per spiegare perché alcune persone abbiano
poca o nessuna empatia.
Il grado zero dell’empatia
 Significa non avere consapevolezza di come ci si

relaziona con gli altri, si interagisce con essi , o se ne
anticipano i sentimenti o le reazioni
 Questo grado zero di empatia può essere classificato

in due forme: zero negativo e zero positivo. I tre
principali sottotipi di zero negativi sono i tipi di
personalità P (Psicopatia), N (Narcisista) e B
(Borderline). Naturalmente questi non sono i soli
sottotipi esistenti. L’alcool, la fatica, la depressione
sono alcuni esempi di stati che possono
temporaneamente ridurre l’empatia. Due sono i
sottotipi di zero positivi, l’Autismo e la sindrome di
Asperger.
Zero negativo di tipo B
(Borderline)
 I borderline nutrono rabbia nei confronti di coloro che

amano. Spesso si dice che c’è una linea sottile tra amore e
odio. Nonostante tutta questa rabbia, si descrivono come
vuoti dentro. Il sentimento di vuoto causa un terribile dolore
emotivo e uno stato di depressione. I comportamenti
compulsivi (il bere, la droga, l’automutilazione, la
promiscuità sessuale, il mangiare compulsivo, il gioco
d’azzardo o i tentativi di suicidio) sono tutti tentativi di
ottenere qualche momento di sollievo, un disperato
tentativo di sentire qualcosa, piuttosto che sentire il vuoto

 Vive in una continua alternanza di stati in cui dapprima

respinge gli altri ( con rabbia e odio), e poi vi si aggrappa
disperatamente ( con estrema gratitudine). Utilizza un
meccanismo di difesa noto come “scissione”. Le
Zero negativo di tipo B
(Borderline)
Nel cervello di tipo B le tecniche di neuroimaging
rivelano anomalie nel circuito dell’empatia, in
particolare un’attività ridotta nella corteccia orbito
frontale e nella corteccia temporale. Alcuni studi hanno
trovato un aumento dell’attività dell’amigdala durante
la visione di diapositive emotivamente negative. I
marcatori neurali legati ai gesti di cooperazione e di
fiducia (insula anteriore), normalmente attivi, sono del
tutto assenti negli individui di tipo B. Un ippocampo di
volume ridotto si riscontra anche in persone che
abbiano vissuto un trauma e sviluppato un disturbo
post-traumatico da stress.
Zero negativi di tipo P
(Psicopatia)
 In queste persone vi è una volontà di fare qualsiasi

cosa serva a soddisfare i propri desideri.
 Una caratteristica di queste persone è la mancanza
d’ansia o di senso di colpa.
 Alcune ricerche tramite le scansioni fMRI hanno

evidenziato delle anomalie del circuito dell’empatia nei
soggetti psicopatici: minore attività nella corteccia
prefrontale ventromediale, anomalie dei lobi frontali del
circuito dell’empatia e non negli interi lobi frontali, una
minore attività dell’amigdala quando sono sottoposti a
un condizionamento avversativo.
Zero negativo di tipo N
(Narcisista)
 Il grado zero di empatia rende il tipo N profondamente

egocentrico, privi di umiltà, pensano di essere migliori
delle altre persone, come se avessero qualche
particolare dono che agli altri manca. Di fatto, la
vanagloria e il continuo autoincensamento è parte di
ciò che gli altri trovano offensivo, non perché siano
gelosi, ma perché è un indicatore della esclusiva
preoccupazione per sé del narcisista.
 Egli non riesce a riconoscere la bi direzionalità delle
relazioni
Grado zero empatia positivo
 L’esistenza di una forma zero positiva si identifica con

quello che in psichiatria si chiama spettro delle
condizione autistica e della sindrome di Asperger.
Anch’esse mostrano un’attività ridotta in quasi ogni
zona del circuito dell’empatia. Oltre alla difficoltà a
capire gli altri, le persone che sono zero positive
hanno anche difficoltà a capire la propria mente, una
difficoltà chiamata “alessitimia”, che si può tradurre in
“senza parole per l’emozione”.
 Lo zero positivo è un caso particolare, in cui l’empatia

è compromessa, ma il riconoscimento e la
sistematizzazione sono potenziati
La civiltà dell’empatia di Jeremy
Rifkin
 L’uomo moderno è naturalmente predisposto

all’empatia. Secondo Rifkin sono circa 20.000
anni che non siamo più homo sapiens sapiens,
ma homo emphaticus. Leghiamo fra di noi,
socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo
cooperativi. Ci basiamo su tre colonne portanti
per il nostro benessere: la socializzazione, la
salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività.
Empatia come risorsa sottoutilizzata
 L’empatia è una delle più valide risorse del nostro

tempo.
 Senza empatia rischiamo la rottura delle relazioni,
diventiamo capaci di ferirci l’un l’altro possiamo
causare conflitti.
 Con l’empatia abbiamo una risorsa che risolve i
conflitti, accresce la coesione della comunità,
allieva il dolore di qualcuno.
L’ empatia è come un solvente
universale
 Qualunque problema, immerso nell’empatia,

diventa solubile.
 E’ una strada efficace per prevenire e risolvere i
problemi interpersonali, che si tratti di conflitti
coniugali, internazionali, di questioni di lavoro, di
difficoltà di amicizia, di situazioni di stallo in
politica, di dispute familiari o di beghe con i vicini.
Il concetto di Sé
 L’insieme delle conoscenze, dei concetti, delle

credenze che l’individuo ad un dato momento ha a
proposito di se stesso e di cui è consapevole.

 L’individuo sviluppa il concetto di Sé nel corso del

processo di socializzazione, o comunque tramite
l’interazione sociale.
 Il concetto di Sé lo accompagna, aggiustandosi

man mano, attraverso tutta l’esistenza, guidando
le sue azioni
La divisione del Sé in due componenti (Io
e Me)
 «siamo una cosa per l’uno ed un’altra per l’altro […],

noi smembriamo i nostri “Sé” in differenti “Sé”, di
tutti i generi, in relazione ai nostri conoscenti.
Discutiamo di politica con uno e di religione con un
altro. Vi sono “Sé” differenti, di ogni sorta,
corrispondenti a tutti i tipi delle diverse relazioni
sociali […]. Generalmente vi è una organizzazione del
“Sé” complessivo in riferimento alla comunità alla
quale apparteniamo e alla situazione nella quale ci
troviamo. […] il “Sé” che noi saremo deriva dal
complesso delle relazioni sociali che si
determinano».
W. James
 Distinzione tra Io e Me

- IO: coincide con il soggetto consapevole,

capace di conoscere e di intraprendere iniziative
nei confronti della realtà esterna oltre che di
riflettere su di Sé
- ME: è quanto del Sé è conosciuto dall’Io,

l’aspetto oggettivo ed empirico del Sé (quello
che vedo di me, percepisco di me, il modo in cui
mi vedo).
Uno, nessuno e centomila (L.
Pirandello)
 Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri

quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere.
[…] L’idea che gli altri vedevano in me uno che non
ero io quale mi conoscevo ; uno che essi soltanto
potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi
che non erano i miei e che mi davano un aspetto
destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in
me, pur essendo il mio per loro (un «mio» dunque che
non era per me!); una vita nella quale, pur essendo la
mia per loro, io non potevo penetrare, quest’idea non
mi diede più requie …
Empatia e concetto di sé
 Il concetto di sé si può definire come la rappresentazione che un

individuo ha di se stesso.
Il concetto di sé si sviluppa in modo sostanzialmente relazionale, come
conseguenza di un continuo processo di interazione tra l’individuo, il
suo ambiente e le persone che ne fanno parte. L’individuo agisce
sull’ambiente e l’ambiente a sua volta reagisce influenzando l’individuo.
Lo sviluppo di un concetto di sé positivo è facilitato dal fatto di vivere in
un contesto che, anche al di là della relazione con il caregiver, sia
caratterizzato da empatia, accettazione e supporto. A questo punto
resta da chiarire se il fatto di avere un concetto di sé positivo possa, a
sua volta, facilitare la messa in atto di comportamenti empatici.
Alcuni studi sembrerebbero dimostrare che lo sviluppo di un buon
concetto di sé può incentivare i bambini a essere più empatici. La
ragione ditale propensione si può rintracciare, secondo gli autori, nel
fatto che l’avere un buon concetto di sé fa sì che i bambini si sentano
meno minacciati dagli stati d’animo dei compagni e più capaci di
alleviare il loro disagio.
Essere empatici con gli altri, se da un lato consente di avere una vita
relazionale ricca e soddisfacente, dall’altro significa essere
continuamente esposti a vissuti emotivi intensi e questo continuo
coinvolgimento emozionale si può tradurre, a lungo andare, in una sorta
di instabilità emotiva, di ansietà, di insicurezza.
Mentalizzazione
 Per mentalizzazione si intende il "tenere a mente

la mente propria e altrui". In altre parole, il
"rappresentarsi internamente gli stati mentali",
riferiti a se stessi e altri.
 Coloro che sono affetti da malattie
psicosomatiche tendenzialmente hanno difficoltà
di mentalizzazione degli stati emotivi (alessitimia);
ovvero, non "simbolizzano i conflitti affettivi",
lasciando nel loro corpo (ed in particolare nei
cosiddetti "organi-bersaglio") la contraddizione di
un pensiero che "passa all'atto" (acting-out), cioè
un pensiero incapace di produrre un completo
lavoro mentale che si esprima come attività
Funzione riflessiva del sè
 Il termine "funzione riflessiva" o mentalizzazione si riferisce alla

capacità di interpretare e di rappresentarsi il proprio comportamento e
quello altrui in termini di ipotetici stati mentali.
 Permette di sviluppare la consapevolezza e la riflessione su di sè e
comporta la capacità di rendersi conto che gli altri hanno una mente
diversa dalla propria e che le proprie rappresentazioni costituiscono il
nostro punto di vista, ma che altre persone possono averne altri, di tipo
diverso.
 La capacità di mentalizzazione si acquisisce nel corso del tempo, ma

risulta fondamentale la relazione con le principali figure di attaccamento.
I genitori dovrebbero riuscire a riflettere in maniera comprensiva
sull'esperienza interna del proprio figlio, rispondendogli adeguatamente.
In caso contrario il soggetto non riuscirà a sviluppare tale funzione che
risulta molto importante per il suo adattamento e per le relazioni sociali.
Quindi, la mentalizzasione è una capacità che risulta collegata alla
modalità di accudimento ed alle cure ricevute dal bambino
nell'infanzia. Infatti, l'interesse per la mente dell'altro è possibile solo se
il bambino ha potuto fare l'esperienza precoce che i suoi stati interni
sono stati compresi da un'altra mente.
Fonagy: Mentalizzazione e
funzione riflessiva
 a capacità di mentalizzazione riguarda la capacita di

vedere stessi e le altre persone in termini di stati mentali (
sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri) e di pensare
ai propri e altrui comportamenti in termini di stati mentali,
attraverso un processo che viene normalmente definito
riflessione. La solidità di questa capacità determina non
solo la natura della realtà psichica dell’individuo, ma anche
la qualità e la coerenza della parte riflessiva del Sé, che
si ritiene ne costituisca il nucleo strutturale. La capacità di
esplorare il significato delle azioni altrui è connessa in
maniera cruciale alla capacità del bambino di etichettare e
dare significato alla propria esperienza. Questa capacità
può dare un contributo decisivo alla regolazione affettiva, controllo degli impulsi, automonitoraggio - e all’esperienza
di Sé come soggetto agente,e permette di distinguere la
realtà interna da quella esterna, la finzione dai modi “reali”
di funzionamento.
Mentalizzazione e attaccamento
 Se la relazione con le figure di attaccamento è povera

di sintonizzazione emotiva, se i genitori non
mentalizzano i bisogni del figlio e non riescono perciò
a fornire risposte adeguate, il bambino viene esposto
ad un’esperienza prolungata di mancato
riconoscimento; in particolare, quando la relazione di
attaccamento non coinvolge il bambino come individuo
pensato pensante – dotato cioè di intenzionalità
complessa nella rappresentazione del genitore – egli non
sperimenta il rispecchiamento necessario alla costruzione
della funzione riflessiva, poiché l’immagine che i genitori gli
rimandano con i loro comportamenti e le loro reazioni non
descrive un soggetto che ha scopi e vissuti psichici
individuali, in grado di differenziarsi dalla mente dell’altro e
di generare una rappresentazione autonoma
dell’esperienza, bensì un bambino incapace di aderire alle
richieste che gli vengono impartite e di adattarsi
correttamente all’ambiente in cui vive.
Cura come paradigma con cardini
empatia e mentalizzazione/riflessività
 La costruzione di una persona non richiede

solamente dati biologici, culturali, sociali,
professionali. La costruzione di una persona
passa necessariamente dal sentire l'altro, dal
pensare l'altro, dall'essere con l'altro. Da qui era
iniziato il discorso sull'empatia continuato poi con
l'approfondimento della tesi sulla funzione
riflessiva. La cura è il paradigma che ha come
cardini empatia e mentalizzazione/riflessività che,
infatti, è possibile ritrovare come atti centrali in
ogni pratica di cura e disposizione etica alla cura.
Alcuni sentimenti morali sono particolarmente
importanti per questo percorso: la fiducia, la
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 l'accettazione, la serenità.

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Resilienza, Empatia, Concetto di sé e Mentalizzazione slide

  • 1. Resilienza, Empatia, Concetto di sé e Mentalizzazione Università di Messina Corso di Laurea in Fisioterapia di Caltagirone Lezioni di Psicologia clinica Prof Raffaele Barone
  • 2. La resilienza  La resilienza deriva dalle scienze dei materiali e indica la proprietà che alcuni modelli hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. La resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri e azioni che possono essere appresi da chiunque, va intesa come una funzione psichica che si modifica nel tempo, in rapporto all’esperienza, ai vissuti, e soprattutto al modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendano. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarla ,piuttosto che indebolirla
  • 3. La resilienza  La resilienza, intesa come la capacità degli individui di affrontare e superare con successo le avversità importanti della vita.  Essere resiliente significa saper vivere da protagonista la propria vita, riducendo la dipendenza dal proprio contesto.  Ambientarsi non significa un adeguamento passivo al contesto ma – piuttosto – la capacità di ridisegnare la relazione con il proprio ambiente, valorizzando se stesso e il proprio contesto.
  • 4. L’IDENTIKIT DELLA PERSONA RESILIENTE  Tali individui sembrerebbero avere numerose caratteristiche, tra cui perseveranza umorismo, ottimismo, speranza, curiosità, creatività, umiltà, empatia, gratitudine e altruismo.  Spontaneità, etica, intuito e nobiltà d’animo
  • 5. L’ORGANIZZAZIONE RESILIENTE  Il concetto di resilienza è stato esaminato anche in ambito organizzativo. A questo proposito, la resilienza è la capacità di un’organizzazione di continuare ad essere operativa ed efficiente a fronte di eventi stressanti o “catastrofici” che possono colpirla; essere resilienti significa rimanere altamente produttivi anche nelle turbolenze e nelle difficoltà, significa capitalizzare esperienze e far tesoro di esse così come dei propri errori per guardare avanti in modo positivo
  • 6. Koboso, psicologo dell’Università di Chicago  Le persone più resilienti,mostrano i seguenti tre tratti di personalità: l’impegno, il controllo e il gusto per le sfide:  -l’impegno è la tendenza della persona a farsi coinvolgere dalle attività, si dà da fare e non abbandona facilmente il campo, valuta le difficoltà realisticamente, ha degli obiettivi e crede nelle cose che fa;  -il controllo , si intende che la persona ha la convinzione di non essere in balia degli altri. E’ pronto a modificare, anche radicalmente, le proprie strategie, prende tempo e sa aspettare;  - il gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione ad accettare le sfide, vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi, vive il cambiamento come un incentivo a crescere e non come una difficoltà da evitare.
  • 7. L’Empatia  L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana e animale. Rappresenta la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona. L’empatia è dunque un processo: essere con l’altro.
  • 8. Empatia e relazione di cura  L’empatia permette al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente. Incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto.  L’empatia nella relazione di cura migliora i risultati terapeutici,la soddisfazione del paziente e minori contenziosi curante-paziente.
  • 9. Per una definizione di Empatia…  C’è empatia quando smettiamo di focalizzare la nostra attenzione in modo univoco (single-minded), per adottare invece un tipo di attenzione “doppia” (double-minded);  Focalizzare la nostra attenzione “in modo univoco” significa prestare attenzione solo alla propria mente, ai propri pensieri o alle proprie percezioni;  Avere una attenzione “doppia” significa tenere presente allo stesso tempo anche la mente di qualcun altro. Quando l’empatia è spenta, pensiamo solo ai nostri interessi, quando è accesa – invece - ci concentriamo anche sugli interessi di altre persone.
  • 10. Il QE (Quoziente empatico)  Sono stati messi a punti dei test per testare i livello di empatia (QE) delle persone che ha evidenziato come alcune persone hanno un livello alto di empatia, altre medio e altre basso.  Qualunque sia il modo in cui si arriva al valore basso sulla scala dell’empatia, il risultato sarà lo stesso: a quel punto si diventa capaci di disumanizzare gli altri, di trasformare l’altro in un oggetto, e questo può avere conseguenze tragiche.
  • 11. Il circuito dell0’empatia  I neuroscienziati ritengono che l’empatia dipenda dal funzionamento di un particolare circuito cerebrale: il circuito dell’empatia.  Attraverso la risonanza magnetica funzionale i neuroscienziati stanno tracciando un quadro chiaro delle aree cerebrali che hanno un ruolo centrale quando si entra in empatia.  Nell’empatia non è coinvolto dunque l’intero cervello, ma una decina di regioni del cervello tra loro interconnesse.
  • 12. Il circuito dell’empatia 6  Questi dieci centri costituiscono il circuito dell’empatia e sono collegati in attraverso una molteplice serie di connessioni.  La constatazione che l’attività di queste regioni varia nei diversi individui in base al diverso livello di empatia della persona ci riconduce all’idea che l’empatia vari come un dispositivo di modulazione e ci offre un modo diretto per spiegare perché alcune persone abbiano poca o nessuna empatia.
  • 13. Il grado zero dell’empatia  Significa non avere consapevolezza di come ci si relaziona con gli altri, si interagisce con essi , o se ne anticipano i sentimenti o le reazioni  Questo grado zero di empatia può essere classificato in due forme: zero negativo e zero positivo. I tre principali sottotipi di zero negativi sono i tipi di personalità P (Psicopatia), N (Narcisista) e B (Borderline). Naturalmente questi non sono i soli sottotipi esistenti. L’alcool, la fatica, la depressione sono alcuni esempi di stati che possono temporaneamente ridurre l’empatia. Due sono i sottotipi di zero positivi, l’Autismo e la sindrome di Asperger.
  • 14. Zero negativo di tipo B (Borderline)  I borderline nutrono rabbia nei confronti di coloro che amano. Spesso si dice che c’è una linea sottile tra amore e odio. Nonostante tutta questa rabbia, si descrivono come vuoti dentro. Il sentimento di vuoto causa un terribile dolore emotivo e uno stato di depressione. I comportamenti compulsivi (il bere, la droga, l’automutilazione, la promiscuità sessuale, il mangiare compulsivo, il gioco d’azzardo o i tentativi di suicidio) sono tutti tentativi di ottenere qualche momento di sollievo, un disperato tentativo di sentire qualcosa, piuttosto che sentire il vuoto  Vive in una continua alternanza di stati in cui dapprima respinge gli altri ( con rabbia e odio), e poi vi si aggrappa disperatamente ( con estrema gratitudine). Utilizza un meccanismo di difesa noto come “scissione”. Le
  • 15. Zero negativo di tipo B (Borderline) Nel cervello di tipo B le tecniche di neuroimaging rivelano anomalie nel circuito dell’empatia, in particolare un’attività ridotta nella corteccia orbito frontale e nella corteccia temporale. Alcuni studi hanno trovato un aumento dell’attività dell’amigdala durante la visione di diapositive emotivamente negative. I marcatori neurali legati ai gesti di cooperazione e di fiducia (insula anteriore), normalmente attivi, sono del tutto assenti negli individui di tipo B. Un ippocampo di volume ridotto si riscontra anche in persone che abbiano vissuto un trauma e sviluppato un disturbo post-traumatico da stress.
  • 16. Zero negativi di tipo P (Psicopatia)  In queste persone vi è una volontà di fare qualsiasi cosa serva a soddisfare i propri desideri.  Una caratteristica di queste persone è la mancanza d’ansia o di senso di colpa.  Alcune ricerche tramite le scansioni fMRI hanno evidenziato delle anomalie del circuito dell’empatia nei soggetti psicopatici: minore attività nella corteccia prefrontale ventromediale, anomalie dei lobi frontali del circuito dell’empatia e non negli interi lobi frontali, una minore attività dell’amigdala quando sono sottoposti a un condizionamento avversativo.
  • 17. Zero negativo di tipo N (Narcisista)  Il grado zero di empatia rende il tipo N profondamente egocentrico, privi di umiltà, pensano di essere migliori delle altre persone, come se avessero qualche particolare dono che agli altri manca. Di fatto, la vanagloria e il continuo autoincensamento è parte di ciò che gli altri trovano offensivo, non perché siano gelosi, ma perché è un indicatore della esclusiva preoccupazione per sé del narcisista.  Egli non riesce a riconoscere la bi direzionalità delle relazioni
  • 18. Grado zero empatia positivo  L’esistenza di una forma zero positiva si identifica con quello che in psichiatria si chiama spettro delle condizione autistica e della sindrome di Asperger. Anch’esse mostrano un’attività ridotta in quasi ogni zona del circuito dell’empatia. Oltre alla difficoltà a capire gli altri, le persone che sono zero positive hanno anche difficoltà a capire la propria mente, una difficoltà chiamata “alessitimia”, che si può tradurre in “senza parole per l’emozione”.  Lo zero positivo è un caso particolare, in cui l’empatia è compromessa, ma il riconoscimento e la sistematizzazione sono potenziati
  • 19. La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin  L’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia. Secondo Rifkin sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo emphaticus. Leghiamo fra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi. Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività.
  • 20. Empatia come risorsa sottoutilizzata  L’empatia è una delle più valide risorse del nostro tempo.  Senza empatia rischiamo la rottura delle relazioni, diventiamo capaci di ferirci l’un l’altro possiamo causare conflitti.  Con l’empatia abbiamo una risorsa che risolve i conflitti, accresce la coesione della comunità, allieva il dolore di qualcuno.
  • 21. L’ empatia è come un solvente universale  Qualunque problema, immerso nell’empatia, diventa solubile.  E’ una strada efficace per prevenire e risolvere i problemi interpersonali, che si tratti di conflitti coniugali, internazionali, di questioni di lavoro, di difficoltà di amicizia, di situazioni di stallo in politica, di dispute familiari o di beghe con i vicini.
  • 22. Il concetto di Sé  L’insieme delle conoscenze, dei concetti, delle credenze che l’individuo ad un dato momento ha a proposito di se stesso e di cui è consapevole.  L’individuo sviluppa il concetto di Sé nel corso del processo di socializzazione, o comunque tramite l’interazione sociale.  Il concetto di Sé lo accompagna, aggiustandosi man mano, attraverso tutta l’esistenza, guidando le sue azioni
  • 23. La divisione del Sé in due componenti (Io e Me)  «siamo una cosa per l’uno ed un’altra per l’altro […], noi smembriamo i nostri “Sé” in differenti “Sé”, di tutti i generi, in relazione ai nostri conoscenti. Discutiamo di politica con uno e di religione con un altro. Vi sono “Sé” differenti, di ogni sorta, corrispondenti a tutti i tipi delle diverse relazioni sociali […]. Generalmente vi è una organizzazione del “Sé” complessivo in riferimento alla comunità alla quale apparteniamo e alla situazione nella quale ci troviamo. […] il “Sé” che noi saremo deriva dal complesso delle relazioni sociali che si determinano».
  • 24. W. James  Distinzione tra Io e Me - IO: coincide con il soggetto consapevole, capace di conoscere e di intraprendere iniziative nei confronti della realtà esterna oltre che di riflettere su di Sé - ME: è quanto del Sé è conosciuto dall’Io, l’aspetto oggettivo ed empirico del Sé (quello che vedo di me, percepisco di me, il modo in cui mi vedo).
  • 25. Uno, nessuno e centomila (L. Pirandello)  Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere. […] L’idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo ; uno che essi soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi davano un aspetto destinato a restarmi sempre estraneo, pur essendo in me, pur essendo il mio per loro (un «mio» dunque che non era per me!); una vita nella quale, pur essendo la mia per loro, io non potevo penetrare, quest’idea non mi diede più requie …
  • 26. Empatia e concetto di sé  Il concetto di sé si può definire come la rappresentazione che un individuo ha di se stesso. Il concetto di sé si sviluppa in modo sostanzialmente relazionale, come conseguenza di un continuo processo di interazione tra l’individuo, il suo ambiente e le persone che ne fanno parte. L’individuo agisce sull’ambiente e l’ambiente a sua volta reagisce influenzando l’individuo. Lo sviluppo di un concetto di sé positivo è facilitato dal fatto di vivere in un contesto che, anche al di là della relazione con il caregiver, sia caratterizzato da empatia, accettazione e supporto. A questo punto resta da chiarire se il fatto di avere un concetto di sé positivo possa, a sua volta, facilitare la messa in atto di comportamenti empatici. Alcuni studi sembrerebbero dimostrare che lo sviluppo di un buon concetto di sé può incentivare i bambini a essere più empatici. La ragione ditale propensione si può rintracciare, secondo gli autori, nel fatto che l’avere un buon concetto di sé fa sì che i bambini si sentano meno minacciati dagli stati d’animo dei compagni e più capaci di alleviare il loro disagio. Essere empatici con gli altri, se da un lato consente di avere una vita relazionale ricca e soddisfacente, dall’altro significa essere continuamente esposti a vissuti emotivi intensi e questo continuo coinvolgimento emozionale si può tradurre, a lungo andare, in una sorta di instabilità emotiva, di ansietà, di insicurezza.
  • 27. Mentalizzazione  Per mentalizzazione si intende il "tenere a mente la mente propria e altrui". In altre parole, il "rappresentarsi internamente gli stati mentali", riferiti a se stessi e altri.  Coloro che sono affetti da malattie psicosomatiche tendenzialmente hanno difficoltà di mentalizzazione degli stati emotivi (alessitimia); ovvero, non "simbolizzano i conflitti affettivi", lasciando nel loro corpo (ed in particolare nei cosiddetti "organi-bersaglio") la contraddizione di un pensiero che "passa all'atto" (acting-out), cioè un pensiero incapace di produrre un completo lavoro mentale che si esprima come attività
  • 28. Funzione riflessiva del sè  Il termine "funzione riflessiva" o mentalizzazione si riferisce alla capacità di interpretare e di rappresentarsi il proprio comportamento e quello altrui in termini di ipotetici stati mentali.  Permette di sviluppare la consapevolezza e la riflessione su di sè e comporta la capacità di rendersi conto che gli altri hanno una mente diversa dalla propria e che le proprie rappresentazioni costituiscono il nostro punto di vista, ma che altre persone possono averne altri, di tipo diverso.  La capacità di mentalizzazione si acquisisce nel corso del tempo, ma risulta fondamentale la relazione con le principali figure di attaccamento. I genitori dovrebbero riuscire a riflettere in maniera comprensiva sull'esperienza interna del proprio figlio, rispondendogli adeguatamente. In caso contrario il soggetto non riuscirà a sviluppare tale funzione che risulta molto importante per il suo adattamento e per le relazioni sociali. Quindi, la mentalizzasione è una capacità che risulta collegata alla modalità di accudimento ed alle cure ricevute dal bambino nell'infanzia. Infatti, l'interesse per la mente dell'altro è possibile solo se il bambino ha potuto fare l'esperienza precoce che i suoi stati interni sono stati compresi da un'altra mente.
  • 29. Fonagy: Mentalizzazione e funzione riflessiva  a capacità di mentalizzazione riguarda la capacita di vedere stessi e le altre persone in termini di stati mentali ( sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri) e di pensare ai propri e altrui comportamenti in termini di stati mentali, attraverso un processo che viene normalmente definito riflessione. La solidità di questa capacità determina non solo la natura della realtà psichica dell’individuo, ma anche la qualità e la coerenza della parte riflessiva del Sé, che si ritiene ne costituisca il nucleo strutturale. La capacità di esplorare il significato delle azioni altrui è connessa in maniera cruciale alla capacità del bambino di etichettare e dare significato alla propria esperienza. Questa capacità può dare un contributo decisivo alla regolazione affettiva, controllo degli impulsi, automonitoraggio - e all’esperienza di Sé come soggetto agente,e permette di distinguere la realtà interna da quella esterna, la finzione dai modi “reali” di funzionamento.
  • 30. Mentalizzazione e attaccamento  Se la relazione con le figure di attaccamento è povera di sintonizzazione emotiva, se i genitori non mentalizzano i bisogni del figlio e non riescono perciò a fornire risposte adeguate, il bambino viene esposto ad un’esperienza prolungata di mancato riconoscimento; in particolare, quando la relazione di attaccamento non coinvolge il bambino come individuo pensato pensante – dotato cioè di intenzionalità complessa nella rappresentazione del genitore – egli non sperimenta il rispecchiamento necessario alla costruzione della funzione riflessiva, poiché l’immagine che i genitori gli rimandano con i loro comportamenti e le loro reazioni non descrive un soggetto che ha scopi e vissuti psichici individuali, in grado di differenziarsi dalla mente dell’altro e di generare una rappresentazione autonoma dell’esperienza, bensì un bambino incapace di aderire alle richieste che gli vengono impartite e di adattarsi correttamente all’ambiente in cui vive.
  • 31. Cura come paradigma con cardini empatia e mentalizzazione/riflessività  La costruzione di una persona non richiede solamente dati biologici, culturali, sociali, professionali. La costruzione di una persona passa necessariamente dal sentire l'altro, dal pensare l'altro, dall'essere con l'altro. Da qui era iniziato il discorso sull'empatia continuato poi con l'approfondimento della tesi sulla funzione riflessiva. La cura è il paradigma che ha come cardini empatia e mentalizzazione/riflessività che, infatti, è possibile ritrovare come atti centrali in ogni pratica di cura e disposizione etica alla cura. Alcuni sentimenti morali sono particolarmente importanti per questo percorso: la fiducia, la speranza, la tenerezza,  l'accettazione, la serenità.