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La filosofia Moderna

   da metodo a sistema
INTRODUZIONE
Se ogni teoria è uno sguardo sulla realtà occorre
cercare di capire in quale comune direzione hanno
diretto l’indagine su problemi e questioni nell’epoca
moderna.

I tre filosofi, Giorgione di Castelfranco:
lo sguardo della filosofia moderna si dirige alla
natura in modo originale, utilizza strumenti diversi e
nuovi (matematizzazione), con riferimento costante
all’esperienza sensibile e al rigore delle
dimostrazioni
PRECONDIZIONI: RINASCIMENTO E
RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

Modernità: epoca compresa tra Rinascimento e
Rivoluzioni francese e industriale.

Epoca in cui forte è la consapevolezza della novità:
scoperta dell’America, Riforma protestante,
Umanesimo e Rivoluzione scientifica.

Si trasformano radicalmente i rapporti tra
conoscenza, ricerca e realtà naturale.
MODERNITA’ DEGLI ANTICHI
Rinascimento: contrapposizione al recente passato
(Medioevo) e richiamo all’antichità come epoca
perfetta, fonte di ogni valore.
Filologia: ricerca, trascrizione e pubblicazione dei
codici antichi.
Rinnovamento degli studi aristotelici (Padova) e
della lettura delle opere dello Stagirita.
Riscoperta di Platone attraverso Marsiglio Ficino
(1433-1499).
Nuova modalità di lettura degli antichi: l’antichità
ha generato una cultura diversa e irriducibile verso
cui si prova grande ammirazione (fine della lettura
allegorico-teologica)
DIGNITA’ DELL’UOMO
De hominis dignitate, Giovanni Pico della
Mirandola (1463-1494).
La dignità dell’uomo risiede nalla sua intrinseca
progettualità, egli può diventare tutto. La sua libertà
si caratterizza       per il fare e l’operare:
l’antropocentrismo si laicizza poiché l’uomo
persegue l’autonomo valore delle proprie attività.
La volontà diviene facoltà centrale ed esaltata come
forza, energia, impulso ad operare nel mondo:
Prometeo diviene il simbolo dell’uomo moderno che
va elaborando la sua supremazia sulla natura e sulle
cose.
NUOVA VISIONE DELLA NATURA
Cresce l’interesse per i fenomeni naturali, per il
controllo del mondo circostante, per la tecnica e le
sue esigenze.
Tendenza a matematizzare il cosmo (platonismo),
rivendicazione dell’autonomia della ricerca filosofica
dalla religione, osservazione empirica sempre più
valorizzata    (aristotelismo padovano),       visione
pragmatica della conoscenza naturale: ne deriva
una nuova idea della natura.
De rerum natura iuxta propria principia, Telesio
1509-1588): essa deve essere studiata facendo
riferimento ai principi in esse presenti come
appaiono all’osservazione empirica.
RIVOLUZIONE ASTRONOMICA
Nell’astronomia si sancisce l’affermazione della
modernità: ribaltamento del sistema tolemaico
attraverso la rivoluzione astronomica che diviene il
primo passo della rivoluzione scientifica.
1543 – De rivolutionibus orbium coelestium
1687      –    Philosophiae    naturalis   principia
mathematica
Da un universo finito, geocentrico, di sgere
concentriche e distinto in due parti, conforme ai
principi teologici e morali del cristianesimo e
coreente con il senso comune, ad un universo
infinito (G.Bruno) e sostanzialmente destrutturato
che crea disagio all’uomo moderno (Pascal, 1623-
1662).
UN NUOVO METODO
Compito della filosofia moderna è rifondare la
capacità interpretativa dell’uomo ed elaborare un
nuovo metodo della conoscenza per razionalizzare
la nuova complessità del reale.
La scienza si presenta come un nuovo metodo
d’indagine e come il sapere moderno per eccellenza:
metodo, cioè percorso, via attraverso cui conoscere
la realtà.
Essa, chiamata ancora filosofia naturale, unisce in
sintesi felice la riflessione teorica e l’osservazione
dei fatti: le teorie (necessarie dimostrazioni) sono
costantemente         e    sistematicamente     legare
all’esperienza (sensate esperienze).
LA SCIENZA MODERNA
Le leggi generali delle scienze sono la traduzione
matematica del prodursi dei fenomeni (Galileo).
(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag. 67)
La nuova conoscenza non si presenta né come
assoluta né come onnicomprensiva, bensì dinamica
e continuamente alla ricerca di confronti e nuove
prove (processo incompleto), senza paura di
sconfitte e smentite, viste invece come occasioni di
miglioramento.
N.B.
Si rimanda al testo di Storia, pagine 40-57, dedicate alla
Rivoluzione astronomica e a Galileo Galilei.
IL PROBLEMA DEL METODO NEL SEICENTO
Gli intellettuali del Seicento sono estremamente
razionalisti, cioè convinti dell’intelligibilità dei
principi della realtà, accessibili alla conoscenza e
omogenei alla natura umana.
Occorrono nuove regole del pensare e del
conoscere: un metodo inteso come il percorso
ottimale, breve e sicuro per giungere              alla
conoscenza vera. Criteri e regole per un uso
corretto     della ragione:      regole    (azioni    e
atteggiamenti), in grado di preservare dall’errore,
capaci di accrescere il sapere (azione cumulativa) e
di esaurire il campo conosciti oggetto della ricerca.
Una sapere a tappe, progressivo, inteso come
scoperta utile anche nella vita pratica.
FRANCESCO BACONE * 1561-1626
Propugnò la rifondazione della conoscenza poiché
comprese che sapere di più significava potere di più.

Le invenzioni della modernità avevano aperto una
epoca nuova fortemente discontinua: la conoscenza
moderna      aveva    un’attitudine    essenzialmente
pratico-operativa in grado di dominare la natura.
Si rendeva necessaria la rifondazione della filosofia
attraverso    la   liberazione      dai   preconcetti
(pregiudizi) e la individuazione di procedure
logiche per il nuovo sapere.
              (vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag.71)
LA TEORIA DELI IDOLI
Sono i pregiudizi, i fantasmi, le false nozioni che
impediscono alla mente umana di rapportarsi in
modo immediato con la natura:
Della tribù: pregiudizi propri della natura dell’uomo, come
credere che i sensi siano la mis ura delle cose e che esso sia il
fine dell’universo.
Della caverna: propri dell’uomo come individuo.
Del mercato: pregiudizi e fraintendimenti che derivano dall’uso
del linguaggio, dal commercio con le parole e dall’uso di
approssimazioni nel linguaggio scientifico.
Del teatro: sistemi filosofici creati come favole e recitati sulla
scena de mondo.
                     (vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)
Occorre negare i pregiudizi elencati prima per poi
definire una nuova teoria induttiva (procedimento
logico che dall’osservazione di più casi particolari
conclude a leggi generali). Aristotele aveva
privilegiato       un         impianto           gnoseologico
essenzialmente        deduttivo        (dall’universale       al
particolare, dai principi alle cose). Ora occorreva con
ordine e metodo partire dalle cose per giungere ai
principi generali: prima una collezione ordinata di
fatti ordinati e catalogati su apposite tabelle; poi
l’analisi delle stesse e la formulazione di una prima
ipotesi (prima vendemmia) sul fenomeno studiato;
infine una serie di prove per conoscere con
chiarezza. (vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)
CARTESIO * 1596-1650
Insoddisfazione per le tradizionali dottrine
aristoteliche insegnate a La Flèche, pedanti e
speculativamente vuote: la filosofia nonostante molti
secoli di pensiero non ha raggiunto alcuna
conoscenza certa ed è spesso pura abilità retorica.
Occorre ricreare il legame tra parole e realtà, tra
uomo e natura. (vedi inizio del Discorso sul metodo)
Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto
tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si
troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle
scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo
che l'autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della
morale ch'egli ha tratto da questo metodo. Nella quarta, gli
argomenti con i quali prova l'esistenza di Dio e dell'anima
dell'uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica.
Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha
esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del
cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora,
la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti.
Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per
andare avanti nello studio della natura piú di quanto si è
fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.
Il buon senso è fra le cose del mondo quella piú
equamente distribuita, giacché ognuno pensa di
esserne cosí ben dotato, che perfino quelli che sono piú
difficili da soddisfare riguardo a ogni altro bene non
sogliono desiderarne piú di quanto ne abbiano.
E in questo non è verosimile che tutti si sbaglino; è la
prova, piuttosto, che il potere di ben giudicare e di
distinguere il vero dal falso, che è propriamente quel
che si dice buon senso o ragione, è per natura uguale
in tutti gli uomini; e quindi che la diversità delle nostre
opinioni non dipende dal fatto che alcuni siano piú
ragionevoli di altri, ma soltanto da questo, che facciamo
andare i nostri pensieri per strade diverse e non
prestiamo attenzione alle stesse cose.
Perché non basta avere buono l'ingegno; la cosa
principale è usarlo bene. Le anime piú grandi come
sono capaci delle maggiori virtú, cosí lo sono dei piú
grandi vizi; e quelli che camminano assai lentamente
possono progredire molto di piú, se seguono sempre la
via diritta, di quelli che correndo se ne allontanano.
Quanto a me, non ho mai preteso che il mio ingegno
fosse in qualcosa piú perfetto di quello comune; anzi ho
spesso desiderato di avere il pensiero cosí pronto,
l'immaginazione cosí netta e distinta, la memoria cosí
capace o anche cosí presente, com'è in altri.
E non conosco altre qualità che servano a rendere
perfetto l'ingegno; perché quanto alla ragione o
discernimento, che è la sola cosa che ci rende uomini
e ci distingue dai bruti,
credo che essa sia tutta intera in ciascuno di noi, e
intendo in questo seguire l'opinione comune degli
scolastici, i quali affermano che il piú e il meno è solo
negli accidenti, non mai nelle forme o nature degli
individui di una medesima specie.
Ma penso, e non esito a dirlo, di avere avuto molta
fortuna per essermi ritrovato fin da giovane su una
strada che mi ha condotto a riflessioni e massime da cui
ho forgiato un metodo, col quale mi sembra di poter
aumentare per gradi la mia conoscenza, e portarla a
poco a poco al punto piú alto che le consentono la
mediocrità del mio ingegno e la breve durata della mia
vita.
Perché ne ho già raccolto frutti tali che sebbene cerchi,
ogni volta che giudico me stesso, di piegare verso la
diffidenza piuttosto che verso la presunzione, e
sebbene, guardando con l'occhio del filosofo le diverse
azioni e imprese degli uomini, non ne scorga quasi
nessuna che mi sembri vana e inutile, pure continuo a
trarre sempre il massimo piacere nel progresso che
penso di avere già fatto nella ricerca della verità, e a
concepire per l'avvenire speranze tali da osar credere
che tra le occupazioni dell'uomo in quanto uomo ve ne è
qualcuna davvero buona e importante, è proprio quella
che ho scelto. E tuttavia può darsi ch'io mi inganni, che
scambi per oro e diamanti quello che non è altro, forse,
che un po' di rame e di vetro.
So quanto siamo facili a sbagliarci in ciò che ci riguarda,
e come dobbiamo diffidare anche dei giudizi dei nostri
amici, quando sono a nostro favore.
Ma sarò ben lieto di mostrare in questo discorso quali
strade ho seguíto e di raffigurarvi la mia vita come in un
quadro, perché sia consentito a ognuno di giudicarne, e
a me di acquistare, raccogliendo dalla voce della gente
le opinioni che ne avrà, un nuovo mezzo di istruirmi, che
aggiungerò a quelli di cui di solito mi servo.
Non intendo dunque insegnare qui il metodo che
ciascuno deve seguire per ben giudicare la propria
ragione, ma solo far vedere in che modo ho cercato
di guidare la mia.
Sono stato nutrito fin dall'infanzia di studi letterari, e
poiché mi si faceva credere che per mezzo di essi si
potesse acquistare una conoscenza chiara e salda di
tutto ciò che è utile alla vita, ero oltremodo desideroso di
apprendere.
Ma appena compiuto l'intero corso di studi al termine del
quale si suole essere accolti nel rango dei dotti, cambiai
del tutto opinione. Perché mi ritrovai impacciato da
tanti dubbi ed errori che mi sembrava di non aver
ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non di
avere scoperto sempre di piú la mia ignoranza.
Eppure stavo in una delle piú celebri scuole d'Europa,
dove pensavo dovessero trovarsi dei dotti, se mai ce
n'erano in qualche parte della terra.
Lí avevo imparato tutto quello che imparavano gli
altri; e in piú, non contento delle scienze che ci
insegnavano, avevo scorso tutti i libri di quelle ritenute
piú curiose e piú rare, che mi erano capitate tra le mani.
Oltre a ciò, sapevo dei giudizi che gli altri davano di me;
e constatavo di non essere considerato in nulla
inferiore ai miei compagni, benché ve ne fossero
alcuni già destinati ad occupare il posto dei nostri
maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fiorente e
fertile di buoni ingegni quanto ogni altro secolo
precedente. Tutto questo mi induceva a prendermi la
libertà di giudicare da me tutti gli altri, e di pensare
che non ci fosse al mondo scienza, quale all'inizio me
l'avevano fatta sperare.
Non avevo tuttavia smesso di stimare gli esercizi di cui
ci si occupa nelle scuole.
Riconoscevo che le lingue che vi si apprendono sono
necessarie per l'intelligenza dei libri antichi; che la grazia
delle favole sveglia l'ingegno, e che lo elevano le azioni
memorabili delle storie, le quali, lette con prudenza,
aiutano a formare il giudizio.
Riconoscevo che la lettura dei buoni libri è come una
conversazione con gli uomini piú illustri dei secoli
passati che ne furono gli autori, e per di piú una
conversazione studiata, in cui quelli ci palesano solo i
loro migliori pensieri.
Riconoscevo che l'eloquenza ha forza e bellezza
incomparabili, e la poesia delicatezza e dolcezze che
incantano;
che nelle matematiche ci sono invenzioni assai sottili,
che possono ben servire sia a soddisfare i curiosi, sia a
facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro degli uomini.
Riconoscevo che gli scritti che trattano dei costumi
contengono parecchi utilissimi precetti ed esortazioni
alla virtú;
che la teologia ci insegna a guardare il cielo, e la
filosofia il mezzo per parlare di tutto con
verosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno
di meno; che il diritto, la medicina e le altre scienze
danno onori e ricchezze a chi li coltiva; infine, che è
bene avere esaminato tutte queste scienze, anche le
piú cariche di pregiudizi o piú false, per conoscerne il
giusto valore e non lasciarsene ingannare.
Ma ritenevo di aver già dedicato un tempo sufficiente
alle lingue e anche alla lettura dei libri antichi, alle loro
storie e alle loro favole. Perché a conversare con gli
uomini del passato accade quasi lo stesso che col
viaggiare. È bene conoscere qualcosa dei costumi di
altri popoli, per poter giudicare dei nostri piú
saggiamente, e non pensare che tutto ciò che è
contrario alle nostre usanze sia ridicolo e irragionevole,
come fanno di solito quelli che non hanno visto nulla. Ma
quando si spende molto tempo nei viaggi, si diventa alla
fine stranieri in casa propria; e quando si è troppo
curiosi delle cose del passato, si rimane di solito assai
ignoranti di quelle del presente. Senza contare che le
favole ci fanno immaginare come possibili molti fatti che
non lo sono per nulla; e che anche le storie piú fedeli,
se non alterano né accrescono il valore delle cose per
renderle piú degne di essere lette, perlomeno ne
omettono quasi sempre le circostanze piú basse o
meno nobili: cosí quel che rimane appare diverso da
quello che è, e chi vuol regolare i propri costumi sugli
esempi che ne trae, rischia di cadere nelle stravaganze
degli eroi dei nostri romanzi, e di concepire disegni che
vanno al di là delle sue forze. Avevo grande stima
dell'eloquenza, ed ero innamorato della poesia; ma
pensavo che l'una e l'altra fossero doni dell'ingegno,
piuttosto che frutto dello studio. Chi ha il raziocinio piú
robusto e sa mettere meglio in ordine i propri
pensieri per renderli piú chiari e intelligibili, può
sempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche se
parla soltanto il basso bretone e non ha mai
imparato la retorica.
E quelli che son capaci delle invenzioni piú piacevoli, e
sanno esprimerle con maggior ornamento e dolcezza,
continuano a essere i migliori poeti, anche se ignorano
l'arte poetica. Mi piacevano soprattutto le matematiche,
per la certezza e l'evidenza delle loro ragioni; ma non
ne avevo ancora riconosciuto il vero uso e, pensando
che servissero solo alle arti meccaniche, mi stupivo del
fatto che, pur essendo le loro fondamenta cosí sicure
e solide, su di esse non si fosse costruito nulla di piú
alto. Come, al contrario, paragonavo gli scritti di morale
degli antichi pagani a palazzi molto superbi e magnifici,
ma costruiti sulla sabbia e sul fango. Innalzano al cielo
le virtú, e le fanno apparire stimabili al di sopra di ogni
altra cosa al mondo, ma non ce la fanno conoscere a
sufficienza.
Spesso quello che chiamano con un cosí bel nome non
è altro che insensibilità, oppure orgoglio, o
disperazione, o parricidio.
Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque
altro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come
cosa assai certa che questa strada è aperta ai piú
ignoranti come ai piú dotti, e che le verità rivelate che
ci conducono fino ad esso sono al di sopra della nostra
intelligenza, non avrei mai osato sottoporle alla
debolezza dei miei ragionamenti, e pensavo che per
intraprenderne e condurre a termine l'esame era
necessario ottenere una qualche straordinaria
assistenza dal cielo ed essere piú che uomo.
Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendola
coltivata per molti secoli dagli ingegni piú alti senza
tuttavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto
di dispute e di cui perciò non si dubiti, non avevo
tanta presunzione da sperare qui un successo migliore
di quello ottenuto da altri; considerando poi quante
diverse opinioni su uno stesso oggetto possono essere
sostenute dai dotti, senza che ce ne possa essere mai
piú di una soltanto che sia vera, ritenevo quasi falso
tutto ciò che era solo verosimile. Per altre scienze poi,
dal momento che traggono i loro princípi dalla filosofia,
giudicavo che non era possibile che si fosse costruito
qualcosa di solido su fondamenta cosí instabili.
E né l'onore, né i guadagni che promettono era
sufficiente a impegnarmi in esse; giacché non ritenevo di
essere, grazie a Dio, nella condizione di dover fare
della scienza un mestiere, per migliorare la mia
fortuna; e benché non professassi, come fanno i cinici, il
disprezzo della gloria, pure stimavo assai poco quella
che non stimavo di potere acquistare se non con falsi
titoli. Infine, per quel che riguarda le scienze bugiarde,
pensavo di conoscerne già abbastanza il valore per non
correre il rischio di venir ingannato né dalle promesse di
un alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, né
dalle imposture di un mago, né dalle frodi o vanterie di
chi va dicendo di sapere piú di quanto non sappia . Per
questo, non appena l'età mi liberò dalla tutela dei
precettori, abbandonai del tutto lo studio delle
lettere.
E avendo deciso di non cercare altra scienza se non
quella che potevo trovare in me stesso oppure nel
gran libro del mondo, impiegai il resto della giovinezza
a viaggiare, a visitare corti ed eserciti, a frequentare
uomini di indole e condizioni diverse, a raccogliere varie
esperienze, a mettere alla prova me stesso nei casi che
il destino mi offriva, e a riflettere dappertutto sulle
cose che mi si presentavano, in modo da trarne
qualche profitto. Perché mi sembrava che avrei
scoperto molta piú verità nei ragionamenti che uno fa
sugli affari che lo interessano, e il cui esito punisce ben
presto chi ha mal giudicato, che in quelli dell'uomo di
lettere, chiuso nel suo studio, immerso in
speculazioni senza effetto, e che non hanno per lui
altra conseguenza se non che ne trarrà forse una vanità
tanto maggiore quanto piú saranno distanti dal senso
comune,
perché in questo caso avrà dovuto impiegare piú
ingegno e piú artifici per renderle verosimili. E avevo
sempre un desiderio estremo di imparare a
distinguere il vero dal falso, per veder chiaro nelle
mie azioni e procedere con sicurezza in questa vita. È
vero che, dedicandomi interamente all'osservazione dei
costumi altrui, non vi trovai niente che mi sembrasse
sicuro; e che notai qui una varietà quasi pari a quella
già vista nelle opinioni dei filosofi. Per cui il maggior
profitto che ne traevo, vedendo parecchie cose che pur
apparendoci molto stravaganti e ridicole vengono
tuttavia comunemente accolte e approvate da altri
grandi popoli, era quello di non credere con troppa
sicurezza a tutto ciò di cui mi avevano convinto solo
con l'esempio e con l'uso;
cosí mi liberai a poco a poco di molti errori che
possono oscurare il nostro lume naturale, e renderci
meno capaci di intendere ragione.
Ma dopo che ebbi cosí impiegato qualche anno nello
studio del libro del mondo e nello sforzo di
raccogliere varie esperienze, decisi un giorno di
studiare anche in me stesso, e di applicare tutte le
                          stesso
forze dell'ingegno a scegliere le strade che avrei dovuto
seguire.
E questo mi riuscí molto meglio, mi pare, che se non mi
fossi mai allontanato né dal mio paese né dai miei libri.
UN NUOVO METODO
Il problema dell’affidabilità del sapere: il cosa si
    conosce è in funzione del come si conosce.
Rifiuto di ogni principio di autorità
Rifiuto di ogni illusione derivata dai sensi.
Criterio saranno la chiarezza e la distinzione,
    indicate magistralmente nel Discorso sul metodo
    attraverso le quattro regole per ben condurre la
    ragione, facoltà comune a tutti gli uomini:
1) evidenza, 2) risoluzione in parti semplici, 3)
    ricondurre i pensieri dal semplice al complesso,
    4) enumerazione e revisione.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.95)
L’evidenza (principale contrassegno della verità) è
caratterizzata da chiarezza e distinzione, tratti propri
dei concetti che la mente può intuire in modo
immediato e semplice.
L’indagine razionale acquisisce un ordine in grado
di liberare il soggetto conoscente
dall’approssimazione e dall’opinabile.
Ora il metodo porta alla conoscenza certa, ma non
sappiamo ancora se vera: occorre un fondamento
per rendere valide le nostre conoscenze: si deve
trovare un principio assolutamente indubitabile
come fondamento del nuovo sapere.
Si dovrà provvisoriamente sospendere l’assenso ad
ogni conoscenza: dubbio metodico.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 2, pag.97)
Distruzione generale di tutte le antiche opinioni,
partendo dalle fondamenta su cui esse erano
poggiate, per rifondare la conoscenza su basi
certissime: la conoscenza sensibile poiché i sensi
talvolta ingannano, e anche quando ciò sembra
assurdo si può pensare all’inganno del sogno.
Eppure anche nel sogno vi sono cose elementari a
cui tutte le altre sono riconducibili (tempo, spazio,
materia ..). Le scienze matematiche, che riguardano
cose semplicissime, hanno fondamento indubitabile.
Eppure si può andar oltre con il nostro dubitare:
dubbio iperbolico.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.99)
Genium aliquem malignum: è l’ipotesi di un genio
maligno, non Dio, che ingannando l’uomo mette in
discussione tutto, anche le verità logico-
matematiche.
 Eppure il dubbio totale (metodico e iperbolico) non
può mettere in discussione il fatto stesso di dubitare:
             se dubito sto pensando e
se sto pensando allora esisto – cogito ergo sum.
Solo il pensiero si presenta con la caratteristica
dell’evidenza intuitiva (chiarezza e distinzione):
questa è la certezza prima, il principio indubitabile di
cui aveva bisogno Cartesio per provare la validità del
suo metodo (il soggetto è la verità originaria).
(vedi testo di filosofia, storia, testo 4, pag.100)
HOBBES * 1588-1679
Estensione del metodo matematico ad ogni campo
del sapere, dunque anche alle istituzioni politiche
che devono avere fondamento razionale, con
regole dedotte da postulati etici (poche
proposizioni vere). Rifondazione della politica grazie
al retto ragionamento. Il metodo è deduttivo, non
induttivo, per avere certezza e non solo probabilità.
Il filosofare si caratterizza come operazione
razionale con un procedere di tipo matematico
(calcolo). Si parte dalle definizioni dei nomi per
arrivare alla coerenza, ordine-trama dei significati
che l’uomo crea attraverso il linguaggio.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.181)
RAGIONE ED ESPERIENZA
La ragione è la facoltà chiave della filosofia
moderna che è attraversata dal problema del valore
della nostra conoscenza (corrispondenza delle
rappresentazioni mentali con la realtà esterna). In
particolare: quanto di essa deriva dalla percezione
sensibile e quanto dall’attività della sola e pura
ragione. Dal diverso ruolo attribuito alle due
discendono le tendenze razionalista ed empirista.
Tutta la filosofia moderna è razionalista (nulla è
conosciuto se non prima giudicato dalla ragione). Ma
i secondi ne vedono il limite e la fonte
nell’esperienza, i primi giudicano la ragione come
unico fondamento di una conoscenza vera.
LOCKE * 1632-1704
Padre dell’empirismo inglese. Vuole esaminare i
limiti e le possibilità della ragione e della conoscenza
umane esaminandone il funzionamento.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.197)
Solo così sarà possibile salvarsi dall’illusione di una
totale trasparenza della realtà.

Ruolo cruciale ha il problema critico che impone la
riflessione preliminare sul metodo impiegato dalla
ragione per conoscere.
ILLUMINISMO
Ricondurre entro i limiti e i criteri di accettabilità
fissati dalla ragione tutte le dimensioni dell’uomo in
linea di continuità con razionalismo ed empirismo
seicenteschi.
C’è la consapevolezza di vivere in un’epoca
illuminata: la metafora della luce indica la
conoscenza che giunge a verità e che si libera dal
pregiudizio, dalla superstizione, dal fanatismo e dal
dogmatismo, giudicando in piena libertà.
La riflessione razionale è dinamica, volta all’azione,
al mutamento, capace di trasformare la realtà
mondana attraverso la discussione pubblica
(Encyclopédie).
L’Enciclopedia (1751-1772) salda l teoria con la
pratica, propugna le grandi idee di tolleranza e
libertà, pone fiducia nel progresso.
Il filosofo ha un ruolo pubblico, non si allontana dalla
società poiché è intellettuale impegnato per un’utilità
pubblica della ragione.
Allo spirito di sistema del seicento succede lo spirito
sistematico: ordine del sapere, classificazione e
sistemazione, che esclude ormai l’esistenza di un
sistema unico e indiscutibile, poiché i saperi hanno
un ordine paritario e non gerarchico, con una
destinazione        essenzialmente      operativa      e
strumentale.

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  • 1. La filosofia Moderna da metodo a sistema
  • 2. INTRODUZIONE Se ogni teoria è uno sguardo sulla realtà occorre cercare di capire in quale comune direzione hanno diretto l’indagine su problemi e questioni nell’epoca moderna. I tre filosofi, Giorgione di Castelfranco: lo sguardo della filosofia moderna si dirige alla natura in modo originale, utilizza strumenti diversi e nuovi (matematizzazione), con riferimento costante all’esperienza sensibile e al rigore delle dimostrazioni
  • 3. PRECONDIZIONI: RINASCIMENTO E RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Modernità: epoca compresa tra Rinascimento e Rivoluzioni francese e industriale. Epoca in cui forte è la consapevolezza della novità: scoperta dell’America, Riforma protestante, Umanesimo e Rivoluzione scientifica. Si trasformano radicalmente i rapporti tra conoscenza, ricerca e realtà naturale.
  • 4. MODERNITA’ DEGLI ANTICHI Rinascimento: contrapposizione al recente passato (Medioevo) e richiamo all’antichità come epoca perfetta, fonte di ogni valore. Filologia: ricerca, trascrizione e pubblicazione dei codici antichi. Rinnovamento degli studi aristotelici (Padova) e della lettura delle opere dello Stagirita. Riscoperta di Platone attraverso Marsiglio Ficino (1433-1499). Nuova modalità di lettura degli antichi: l’antichità ha generato una cultura diversa e irriducibile verso cui si prova grande ammirazione (fine della lettura allegorico-teologica)
  • 5. DIGNITA’ DELL’UOMO De hominis dignitate, Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494). La dignità dell’uomo risiede nalla sua intrinseca progettualità, egli può diventare tutto. La sua libertà si caratterizza per il fare e l’operare: l’antropocentrismo si laicizza poiché l’uomo persegue l’autonomo valore delle proprie attività. La volontà diviene facoltà centrale ed esaltata come forza, energia, impulso ad operare nel mondo: Prometeo diviene il simbolo dell’uomo moderno che va elaborando la sua supremazia sulla natura e sulle cose.
  • 6. NUOVA VISIONE DELLA NATURA Cresce l’interesse per i fenomeni naturali, per il controllo del mondo circostante, per la tecnica e le sue esigenze. Tendenza a matematizzare il cosmo (platonismo), rivendicazione dell’autonomia della ricerca filosofica dalla religione, osservazione empirica sempre più valorizzata (aristotelismo padovano), visione pragmatica della conoscenza naturale: ne deriva una nuova idea della natura. De rerum natura iuxta propria principia, Telesio 1509-1588): essa deve essere studiata facendo riferimento ai principi in esse presenti come appaiono all’osservazione empirica.
  • 7. RIVOLUZIONE ASTRONOMICA Nell’astronomia si sancisce l’affermazione della modernità: ribaltamento del sistema tolemaico attraverso la rivoluzione astronomica che diviene il primo passo della rivoluzione scientifica. 1543 – De rivolutionibus orbium coelestium 1687 – Philosophiae naturalis principia mathematica Da un universo finito, geocentrico, di sgere concentriche e distinto in due parti, conforme ai principi teologici e morali del cristianesimo e coreente con il senso comune, ad un universo infinito (G.Bruno) e sostanzialmente destrutturato che crea disagio all’uomo moderno (Pascal, 1623- 1662).
  • 8. UN NUOVO METODO Compito della filosofia moderna è rifondare la capacità interpretativa dell’uomo ed elaborare un nuovo metodo della conoscenza per razionalizzare la nuova complessità del reale. La scienza si presenta come un nuovo metodo d’indagine e come il sapere moderno per eccellenza: metodo, cioè percorso, via attraverso cui conoscere la realtà. Essa, chiamata ancora filosofia naturale, unisce in sintesi felice la riflessione teorica e l’osservazione dei fatti: le teorie (necessarie dimostrazioni) sono costantemente e sistematicamente legare all’esperienza (sensate esperienze).
  • 9. LA SCIENZA MODERNA Le leggi generali delle scienze sono la traduzione matematica del prodursi dei fenomeni (Galileo). (vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag. 67) La nuova conoscenza non si presenta né come assoluta né come onnicomprensiva, bensì dinamica e continuamente alla ricerca di confronti e nuove prove (processo incompleto), senza paura di sconfitte e smentite, viste invece come occasioni di miglioramento. N.B. Si rimanda al testo di Storia, pagine 40-57, dedicate alla Rivoluzione astronomica e a Galileo Galilei.
  • 10. IL PROBLEMA DEL METODO NEL SEICENTO Gli intellettuali del Seicento sono estremamente razionalisti, cioè convinti dell’intelligibilità dei principi della realtà, accessibili alla conoscenza e omogenei alla natura umana. Occorrono nuove regole del pensare e del conoscere: un metodo inteso come il percorso ottimale, breve e sicuro per giungere alla conoscenza vera. Criteri e regole per un uso corretto della ragione: regole (azioni e atteggiamenti), in grado di preservare dall’errore, capaci di accrescere il sapere (azione cumulativa) e di esaurire il campo conosciti oggetto della ricerca. Una sapere a tappe, progressivo, inteso come scoperta utile anche nella vita pratica.
  • 11. FRANCESCO BACONE * 1561-1626 Propugnò la rifondazione della conoscenza poiché comprese che sapere di più significava potere di più. Le invenzioni della modernità avevano aperto una epoca nuova fortemente discontinua: la conoscenza moderna aveva un’attitudine essenzialmente pratico-operativa in grado di dominare la natura. Si rendeva necessaria la rifondazione della filosofia attraverso la liberazione dai preconcetti (pregiudizi) e la individuazione di procedure logiche per il nuovo sapere. (vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag.71)
  • 12. LA TEORIA DELI IDOLI Sono i pregiudizi, i fantasmi, le false nozioni che impediscono alla mente umana di rapportarsi in modo immediato con la natura: Della tribù: pregiudizi propri della natura dell’uomo, come credere che i sensi siano la mis ura delle cose e che esso sia il fine dell’universo. Della caverna: propri dell’uomo come individuo. Del mercato: pregiudizi e fraintendimenti che derivano dall’uso del linguaggio, dal commercio con le parole e dall’uso di approssimazioni nel linguaggio scientifico. Del teatro: sistemi filosofici creati come favole e recitati sulla scena de mondo. (vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)
  • 13. Occorre negare i pregiudizi elencati prima per poi definire una nuova teoria induttiva (procedimento logico che dall’osservazione di più casi particolari conclude a leggi generali). Aristotele aveva privilegiato un impianto gnoseologico essenzialmente deduttivo (dall’universale al particolare, dai principi alle cose). Ora occorreva con ordine e metodo partire dalle cose per giungere ai principi generali: prima una collezione ordinata di fatti ordinati e catalogati su apposite tabelle; poi l’analisi delle stesse e la formulazione di una prima ipotesi (prima vendemmia) sul fenomeno studiato; infine una serie di prove per conoscere con chiarezza. (vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)
  • 14. CARTESIO * 1596-1650 Insoddisfazione per le tradizionali dottrine aristoteliche insegnate a La Flèche, pedanti e speculativamente vuote: la filosofia nonostante molti secoli di pensiero non ha raggiunto alcuna conoscenza certa ed è spesso pura abilità retorica. Occorre ricreare il legame tra parole e realtà, tra uomo e natura. (vedi inizio del Discorso sul metodo)
  • 15. Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l'autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della morale ch'egli ha tratto da questo metodo. Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l'esistenza di Dio e dell'anima dell'uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti. Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per andare avanti nello studio della natura piú di quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.
  • 16. Il buon senso è fra le cose del mondo quella piú equamente distribuita, giacché ognuno pensa di esserne cosí ben dotato, che perfino quelli che sono piú difficili da soddisfare riguardo a ogni altro bene non sogliono desiderarne piú di quanto ne abbiano. E in questo non è verosimile che tutti si sbaglino; è la prova, piuttosto, che il potere di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso, che è propriamente quel che si dice buon senso o ragione, è per natura uguale in tutti gli uomini; e quindi che la diversità delle nostre opinioni non dipende dal fatto che alcuni siano piú ragionevoli di altri, ma soltanto da questo, che facciamo andare i nostri pensieri per strade diverse e non prestiamo attenzione alle stesse cose.
  • 17. Perché non basta avere buono l'ingegno; la cosa principale è usarlo bene. Le anime piú grandi come sono capaci delle maggiori virtú, cosí lo sono dei piú grandi vizi; e quelli che camminano assai lentamente possono progredire molto di piú, se seguono sempre la via diritta, di quelli che correndo se ne allontanano. Quanto a me, non ho mai preteso che il mio ingegno fosse in qualcosa piú perfetto di quello comune; anzi ho spesso desiderato di avere il pensiero cosí pronto, l'immaginazione cosí netta e distinta, la memoria cosí capace o anche cosí presente, com'è in altri. E non conosco altre qualità che servano a rendere perfetto l'ingegno; perché quanto alla ragione o discernimento, che è la sola cosa che ci rende uomini e ci distingue dai bruti,
  • 18. credo che essa sia tutta intera in ciascuno di noi, e intendo in questo seguire l'opinione comune degli scolastici, i quali affermano che il piú e il meno è solo negli accidenti, non mai nelle forme o nature degli individui di una medesima specie. Ma penso, e non esito a dirlo, di avere avuto molta fortuna per essermi ritrovato fin da giovane su una strada che mi ha condotto a riflessioni e massime da cui ho forgiato un metodo, col quale mi sembra di poter aumentare per gradi la mia conoscenza, e portarla a poco a poco al punto piú alto che le consentono la mediocrità del mio ingegno e la breve durata della mia vita.
  • 19. Perché ne ho già raccolto frutti tali che sebbene cerchi, ogni volta che giudico me stesso, di piegare verso la diffidenza piuttosto che verso la presunzione, e sebbene, guardando con l'occhio del filosofo le diverse azioni e imprese degli uomini, non ne scorga quasi nessuna che mi sembri vana e inutile, pure continuo a trarre sempre il massimo piacere nel progresso che penso di avere già fatto nella ricerca della verità, e a concepire per l'avvenire speranze tali da osar credere che tra le occupazioni dell'uomo in quanto uomo ve ne è qualcuna davvero buona e importante, è proprio quella che ho scelto. E tuttavia può darsi ch'io mi inganni, che scambi per oro e diamanti quello che non è altro, forse, che un po' di rame e di vetro.
  • 20. So quanto siamo facili a sbagliarci in ciò che ci riguarda, e come dobbiamo diffidare anche dei giudizi dei nostri amici, quando sono a nostro favore. Ma sarò ben lieto di mostrare in questo discorso quali strade ho seguíto e di raffigurarvi la mia vita come in un quadro, perché sia consentito a ognuno di giudicarne, e a me di acquistare, raccogliendo dalla voce della gente le opinioni che ne avrà, un nuovo mezzo di istruirmi, che aggiungerò a quelli di cui di solito mi servo. Non intendo dunque insegnare qui il metodo che ciascuno deve seguire per ben giudicare la propria ragione, ma solo far vedere in che modo ho cercato di guidare la mia.
  • 21. Sono stato nutrito fin dall'infanzia di studi letterari, e poiché mi si faceva credere che per mezzo di essi si potesse acquistare una conoscenza chiara e salda di tutto ciò che è utile alla vita, ero oltremodo desideroso di apprendere. Ma appena compiuto l'intero corso di studi al termine del quale si suole essere accolti nel rango dei dotti, cambiai del tutto opinione. Perché mi ritrovai impacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di non aver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non di avere scoperto sempre di piú la mia ignoranza. Eppure stavo in una delle piú celebri scuole d'Europa, dove pensavo dovessero trovarsi dei dotti, se mai ce n'erano in qualche parte della terra.
  • 22. Lí avevo imparato tutto quello che imparavano gli altri; e in piú, non contento delle scienze che ci insegnavano, avevo scorso tutti i libri di quelle ritenute piú curiose e piú rare, che mi erano capitate tra le mani. Oltre a ciò, sapevo dei giudizi che gli altri davano di me; e constatavo di non essere considerato in nulla inferiore ai miei compagni, benché ve ne fossero alcuni già destinati ad occupare il posto dei nostri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fiorente e fertile di buoni ingegni quanto ogni altro secolo precedente. Tutto questo mi induceva a prendermi la libertà di giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che non ci fosse al mondo scienza, quale all'inizio me l'avevano fatta sperare.
  • 23. Non avevo tuttavia smesso di stimare gli esercizi di cui ci si occupa nelle scuole. Riconoscevo che le lingue che vi si apprendono sono necessarie per l'intelligenza dei libri antichi; che la grazia delle favole sveglia l'ingegno, e che lo elevano le azioni memorabili delle storie, le quali, lette con prudenza, aiutano a formare il giudizio. Riconoscevo che la lettura dei buoni libri è come una conversazione con gli uomini piú illustri dei secoli passati che ne furono gli autori, e per di piú una conversazione studiata, in cui quelli ci palesano solo i loro migliori pensieri. Riconoscevo che l'eloquenza ha forza e bellezza incomparabili, e la poesia delicatezza e dolcezze che incantano;
  • 24. che nelle matematiche ci sono invenzioni assai sottili, che possono ben servire sia a soddisfare i curiosi, sia a facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro degli uomini. Riconoscevo che gli scritti che trattano dei costumi contengono parecchi utilissimi precetti ed esortazioni alla virtú; che la teologia ci insegna a guardare il cielo, e la filosofia il mezzo per parlare di tutto con verosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno di meno; che il diritto, la medicina e le altre scienze danno onori e ricchezze a chi li coltiva; infine, che è bene avere esaminato tutte queste scienze, anche le piú cariche di pregiudizi o piú false, per conoscerne il giusto valore e non lasciarsene ingannare.
  • 25. Ma ritenevo di aver già dedicato un tempo sufficiente alle lingue e anche alla lettura dei libri antichi, alle loro storie e alle loro favole. Perché a conversare con gli uomini del passato accade quasi lo stesso che col viaggiare. È bene conoscere qualcosa dei costumi di altri popoli, per poter giudicare dei nostri piú saggiamente, e non pensare che tutto ciò che è contrario alle nostre usanze sia ridicolo e irragionevole, come fanno di solito quelli che non hanno visto nulla. Ma quando si spende molto tempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casa propria; e quando si è troppo curiosi delle cose del passato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del presente. Senza contare che le favole ci fanno immaginare come possibili molti fatti che non lo sono per nulla; e che anche le storie piú fedeli,
  • 26. se non alterano né accrescono il valore delle cose per renderle piú degne di essere lette, perlomeno ne omettono quasi sempre le circostanze piú basse o meno nobili: cosí quel che rimane appare diverso da quello che è, e chi vuol regolare i propri costumi sugli esempi che ne trae, rischia di cadere nelle stravaganze degli eroi dei nostri romanzi, e di concepire disegni che vanno al di là delle sue forze. Avevo grande stima dell'eloquenza, ed ero innamorato della poesia; ma pensavo che l'una e l'altra fossero doni dell'ingegno, piuttosto che frutto dello studio. Chi ha il raziocinio piú robusto e sa mettere meglio in ordine i propri pensieri per renderli piú chiari e intelligibili, può sempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche se parla soltanto il basso bretone e non ha mai imparato la retorica.
  • 27. E quelli che son capaci delle invenzioni piú piacevoli, e sanno esprimerle con maggior ornamento e dolcezza, continuano a essere i migliori poeti, anche se ignorano l'arte poetica. Mi piacevano soprattutto le matematiche, per la certezza e l'evidenza delle loro ragioni; ma non ne avevo ancora riconosciuto il vero uso e, pensando che servissero solo alle arti meccaniche, mi stupivo del fatto che, pur essendo le loro fondamenta cosí sicure e solide, su di esse non si fosse costruito nulla di piú alto. Come, al contrario, paragonavo gli scritti di morale degli antichi pagani a palazzi molto superbi e magnifici, ma costruiti sulla sabbia e sul fango. Innalzano al cielo le virtú, e le fanno apparire stimabili al di sopra di ogni altra cosa al mondo, ma non ce la fanno conoscere a sufficienza.
  • 28. Spesso quello che chiamano con un cosí bel nome non è altro che insensibilità, oppure orgoglio, o disperazione, o parricidio. Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque altro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come cosa assai certa che questa strada è aperta ai piú ignoranti come ai piú dotti, e che le verità rivelate che ci conducono fino ad esso sono al di sopra della nostra intelligenza, non avrei mai osato sottoporle alla debolezza dei miei ragionamenti, e pensavo che per intraprenderne e condurre a termine l'esame era necessario ottenere una qualche straordinaria assistenza dal cielo ed essere piú che uomo.
  • 29. Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendola coltivata per molti secoli dagli ingegni piú alti senza tuttavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di dispute e di cui perciò non si dubiti, non avevo tanta presunzione da sperare qui un successo migliore di quello ottenuto da altri; considerando poi quante diverse opinioni su uno stesso oggetto possono essere sostenute dai dotti, senza che ce ne possa essere mai piú di una soltanto che sia vera, ritenevo quasi falso tutto ciò che era solo verosimile. Per altre scienze poi, dal momento che traggono i loro princípi dalla filosofia, giudicavo che non era possibile che si fosse costruito qualcosa di solido su fondamenta cosí instabili.
  • 30. E né l'onore, né i guadagni che promettono era sufficiente a impegnarmi in esse; giacché non ritenevo di essere, grazie a Dio, nella condizione di dover fare della scienza un mestiere, per migliorare la mia fortuna; e benché non professassi, come fanno i cinici, il disprezzo della gloria, pure stimavo assai poco quella che non stimavo di potere acquistare se non con falsi titoli. Infine, per quel che riguarda le scienze bugiarde, pensavo di conoscerne già abbastanza il valore per non correre il rischio di venir ingannato né dalle promesse di un alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, né dalle imposture di un mago, né dalle frodi o vanterie di chi va dicendo di sapere piú di quanto non sappia . Per questo, non appena l'età mi liberò dalla tutela dei precettori, abbandonai del tutto lo studio delle lettere.
  • 31. E avendo deciso di non cercare altra scienza se non quella che potevo trovare in me stesso oppure nel gran libro del mondo, impiegai il resto della giovinezza a viaggiare, a visitare corti ed eserciti, a frequentare uomini di indole e condizioni diverse, a raccogliere varie esperienze, a mettere alla prova me stesso nei casi che il destino mi offriva, e a riflettere dappertutto sulle cose che mi si presentavano, in modo da trarne qualche profitto. Perché mi sembrava che avrei scoperto molta piú verità nei ragionamenti che uno fa sugli affari che lo interessano, e il cui esito punisce ben presto chi ha mal giudicato, che in quelli dell'uomo di lettere, chiuso nel suo studio, immerso in speculazioni senza effetto, e che non hanno per lui altra conseguenza se non che ne trarrà forse una vanità tanto maggiore quanto piú saranno distanti dal senso comune,
  • 32. perché in questo caso avrà dovuto impiegare piú ingegno e piú artifici per renderle verosimili. E avevo sempre un desiderio estremo di imparare a distinguere il vero dal falso, per veder chiaro nelle mie azioni e procedere con sicurezza in questa vita. È vero che, dedicandomi interamente all'osservazione dei costumi altrui, non vi trovai niente che mi sembrasse sicuro; e che notai qui una varietà quasi pari a quella già vista nelle opinioni dei filosofi. Per cui il maggior profitto che ne traevo, vedendo parecchie cose che pur apparendoci molto stravaganti e ridicole vengono tuttavia comunemente accolte e approvate da altri grandi popoli, era quello di non credere con troppa sicurezza a tutto ciò di cui mi avevano convinto solo con l'esempio e con l'uso;
  • 33. cosí mi liberai a poco a poco di molti errori che possono oscurare il nostro lume naturale, e renderci meno capaci di intendere ragione. Ma dopo che ebbi cosí impiegato qualche anno nello studio del libro del mondo e nello sforzo di raccogliere varie esperienze, decisi un giorno di studiare anche in me stesso, e di applicare tutte le stesso forze dell'ingegno a scegliere le strade che avrei dovuto seguire. E questo mi riuscí molto meglio, mi pare, che se non mi fossi mai allontanato né dal mio paese né dai miei libri.
  • 34. UN NUOVO METODO Il problema dell’affidabilità del sapere: il cosa si conosce è in funzione del come si conosce. Rifiuto di ogni principio di autorità Rifiuto di ogni illusione derivata dai sensi. Criterio saranno la chiarezza e la distinzione, indicate magistralmente nel Discorso sul metodo attraverso le quattro regole per ben condurre la ragione, facoltà comune a tutti gli uomini: 1) evidenza, 2) risoluzione in parti semplici, 3) ricondurre i pensieri dal semplice al complesso, 4) enumerazione e revisione. (vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.95)
  • 35. L’evidenza (principale contrassegno della verità) è caratterizzata da chiarezza e distinzione, tratti propri dei concetti che la mente può intuire in modo immediato e semplice. L’indagine razionale acquisisce un ordine in grado di liberare il soggetto conoscente dall’approssimazione e dall’opinabile. Ora il metodo porta alla conoscenza certa, ma non sappiamo ancora se vera: occorre un fondamento per rendere valide le nostre conoscenze: si deve trovare un principio assolutamente indubitabile come fondamento del nuovo sapere. Si dovrà provvisoriamente sospendere l’assenso ad ogni conoscenza: dubbio metodico.
  • 36. (vedi testo di filosofia, storia, testo 2, pag.97) Distruzione generale di tutte le antiche opinioni, partendo dalle fondamenta su cui esse erano poggiate, per rifondare la conoscenza su basi certissime: la conoscenza sensibile poiché i sensi talvolta ingannano, e anche quando ciò sembra assurdo si può pensare all’inganno del sogno. Eppure anche nel sogno vi sono cose elementari a cui tutte le altre sono riconducibili (tempo, spazio, materia ..). Le scienze matematiche, che riguardano cose semplicissime, hanno fondamento indubitabile. Eppure si può andar oltre con il nostro dubitare: dubbio iperbolico. (vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.99)
  • 37. Genium aliquem malignum: è l’ipotesi di un genio maligno, non Dio, che ingannando l’uomo mette in discussione tutto, anche le verità logico- matematiche. Eppure il dubbio totale (metodico e iperbolico) non può mettere in discussione il fatto stesso di dubitare: se dubito sto pensando e se sto pensando allora esisto – cogito ergo sum. Solo il pensiero si presenta con la caratteristica dell’evidenza intuitiva (chiarezza e distinzione): questa è la certezza prima, il principio indubitabile di cui aveva bisogno Cartesio per provare la validità del suo metodo (il soggetto è la verità originaria). (vedi testo di filosofia, storia, testo 4, pag.100)
  • 38. HOBBES * 1588-1679 Estensione del metodo matematico ad ogni campo del sapere, dunque anche alle istituzioni politiche che devono avere fondamento razionale, con regole dedotte da postulati etici (poche proposizioni vere). Rifondazione della politica grazie al retto ragionamento. Il metodo è deduttivo, non induttivo, per avere certezza e non solo probabilità. Il filosofare si caratterizza come operazione razionale con un procedere di tipo matematico (calcolo). Si parte dalle definizioni dei nomi per arrivare alla coerenza, ordine-trama dei significati che l’uomo crea attraverso il linguaggio. (vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.181)
  • 39. RAGIONE ED ESPERIENZA La ragione è la facoltà chiave della filosofia moderna che è attraversata dal problema del valore della nostra conoscenza (corrispondenza delle rappresentazioni mentali con la realtà esterna). In particolare: quanto di essa deriva dalla percezione sensibile e quanto dall’attività della sola e pura ragione. Dal diverso ruolo attribuito alle due discendono le tendenze razionalista ed empirista. Tutta la filosofia moderna è razionalista (nulla è conosciuto se non prima giudicato dalla ragione). Ma i secondi ne vedono il limite e la fonte nell’esperienza, i primi giudicano la ragione come unico fondamento di una conoscenza vera.
  • 40. LOCKE * 1632-1704 Padre dell’empirismo inglese. Vuole esaminare i limiti e le possibilità della ragione e della conoscenza umane esaminandone il funzionamento. (vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.197) Solo così sarà possibile salvarsi dall’illusione di una totale trasparenza della realtà. Ruolo cruciale ha il problema critico che impone la riflessione preliminare sul metodo impiegato dalla ragione per conoscere.
  • 41. ILLUMINISMO Ricondurre entro i limiti e i criteri di accettabilità fissati dalla ragione tutte le dimensioni dell’uomo in linea di continuità con razionalismo ed empirismo seicenteschi. C’è la consapevolezza di vivere in un’epoca illuminata: la metafora della luce indica la conoscenza che giunge a verità e che si libera dal pregiudizio, dalla superstizione, dal fanatismo e dal dogmatismo, giudicando in piena libertà. La riflessione razionale è dinamica, volta all’azione, al mutamento, capace di trasformare la realtà mondana attraverso la discussione pubblica (Encyclopédie).
  • 42. L’Enciclopedia (1751-1772) salda l teoria con la pratica, propugna le grandi idee di tolleranza e libertà, pone fiducia nel progresso. Il filosofo ha un ruolo pubblico, non si allontana dalla società poiché è intellettuale impegnato per un’utilità pubblica della ragione. Allo spirito di sistema del seicento succede lo spirito sistematico: ordine del sapere, classificazione e sistemazione, che esclude ormai l’esistenza di un sistema unico e indiscutibile, poiché i saperi hanno un ordine paritario e non gerarchico, con una destinazione essenzialmente operativa e strumentale.

Hinweis der Redaktion

  1. Giovanni Quartini