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Capitolo II
LA CONCORRENZA E IL SETTORE
2.1 Le componenti ambientali nell’analisi del marketing
Le informazioni provenienti dall’esterno favoriscono la correlazione tra fase analitica e
decisioni di mktg. L’analisi si fonda su 3 aree specifiche: domanda, offerta e sistema
distributivo. Per completare il panorama informativo, l’azienda deve essere in grado di
cogliere e rilevare le informazioni interne (in termini di forza e di debolezza).
Il mktg è uno strumento che deve consentire all’impresa di ottenere un vantaggio
competitivo sui concorrenti. Prima di attivare le politiche di mercato si deve analizzare il
luogo (cioè il settore: insieme delle imprese che operano all’interno di uno stesso
territorio competitivo) in cui deve concretizzarsi il vantaggio, secondo il paradigma
struttura-condotta-performance.
2.2 Il concetto di settore e di concorrenza
La concorrenza è intesa in 2 modi:
1. teoricamente esistono 2 correnti di pensiero distinte:
- mano invisibile di Adam Smith: ossia intendendola come quella mano invisibile
che rende socialmente utile il perseguimento dell’interesse dei singoli individui,
- impostazione neoclassica: ossia quel meccanismo di mercato che rende omogeneo
il comportamento di molte piccole imprese in presenza di un’offerta simile;
2. praticamente è intesa dalle aziende come una situazione in cui ciascuna impresa è
sottoposta alla minaccia derivante dalle azioni delle altre (rivalità tra soggetti
economici).
Solo quando esiste una rivalità tra imprese esiste competizione e questa si manifesta
essenzialmente con riferimento alla conquista delle preferenze della domanda (i clienti
preferiscono in modo non casuale certi prodotti), attuabile tramite la differenziazione tra i
prodotti; questa si può riferire alla qualità, alla confezione, all’immagine, alle modalità di
distribuzione e a qualsiasi altro elemento che possa rendere i prodotti poco sostituibili
tra loro. Tali differenziazioni procurano un vantaggio stabile solo in condizioni statiche e
riguardanti rivalità di breve periodo. Quella, invece, realmente efficace nel lungo periodo
è la differenziazione derivante dall’introduzione di continui cambiamenti nei prodotti, nei
metodi produttivi, nelle strutture organizzative e gestionali (continua innovazione).
2.3 La definizione e i confini del settore
Il settore è il luogo economico in cui si realizza il confronto concorrenziale. Per poter
procedere all’analisi del settore bisogna definirne i confini, ciò significa indagare sugli
effettivi e potenziali concorrenti del settore. Teoricamente nel breve periodo è sufficiente
calcolare l’elasticità incrociata tra i prodotti per capire quali sono in concorrenza e
cercano di sostituirsi nella domanda. In pratica però questo metodo non è facile da
applicare, data l’instabilità ambientale del mercato. Si cercano quindi concetti sostitutivi
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che consentano di capire quali elementi accomunano imprese diverse e che
appartengono allo stesso settore. Le omogeneità possono riguardare la struttura delle
imprese o i comportamenti competitivi (quindi le politiche), ma anche un’identità di
obiettivi, il livello di dinamismo ed il bisogno da soddisfare (omogeneità della domanda).
Sotto il profilo del mktg l’accento deve essere posto sui bisogni della clientela con
l’obiettivo di soddisfare un determinato segmento di domanda. L’individuazione del
settore basata sui bisogni pone dei limiti: sostituibilità tra prodotti (gli stessi bisogni possono
essere soddisfatti da prodotti diversi) e imprese diversificate (appartengono ad uno stesso
settore per una parte della propria attività).
2.4 La concentrazione settoriale
La concentrazione settoriale è l’esistenza di imprese diversificate, operanti cioè in settori
diversi. Definito il settore e individuati i confini, si può passare all’analisi strutturale vera
e propria per definire le caratteristiche di struttura dell’arena competitiva.
Una prima analisi è data dalla misura della concentrazione, intesa come numerosità delle
imprese con riguardo alla loro dimensione relativa (si condiziona la capacità di utilizzare
determinati strumenti competitivi).
Una seconda analisi è la rilevazione dell’esistenza di 2 forze contrarie:
- il potere: inteso come capacità di imporre alla domanda e alla concorrenza la propria
strategia (prezzi e condizioni di vendita);
- la concorrenza: intesa come la necessità di fronteggiare direttamente o indirettamente
le strategie delle imprese concorrenti.
Una terza analisi è basata sulla quota di mercato controllata dall’azienda, ossia
l’espressione quantitativa più diretta del suo potere di mercato.
Il processo di concentrazione è attivato di solito dallo sviluppo delle aziende più
dinamiche che sottraggono quote di mercato alle più deboli, ma è influenzato anche
dalle fusioni e dalle acquisizioni; comunque vi sono diversi tipi di concentrazione:
• tecnica: si riferisce alla numerosità e alla dimensione delle unità produttive del settore,
indipendentemente dalle imprese di appartenenza;
• economica: si riferisce alla numerosità e dimensione delle imprese;
• finanziaria: considera come una unità aziende controllate dallo stesso soggetto
economico.
I primi 2 tipi sono riferibili ad un Fig. 2.1
settore o zona geografica. Una misura
delle vendite
Curva di
% cumulata
Lorenz
più semplice della concentrazione
economica riguarda la quota di mercato
100%
dell’impresa più grande e la somma
delle n prime imprese di maggiori
dimensioni (Cn); altra volte si utilizza
la dispersione delle imprese in termini
di quota di mercato (curva di Lorenz).
100%
% cumulata del numero delle imprese
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2.5 La scelta del posizionamento: tra differenziazione competitiva ed economie di
dimensione
In ogni settore esistono 2 insiemi di forze contrastanti che attraggono le imprese verso
strategie contrapposte:
1. le economie di dimensione incidono sui costi e si sviluppano in un ambito
competitivo in cui domina il concetto di standardizzazione dei prodotti, dei processi e
della gestione;
2. il potenziale di differenziabilità dell’offerta aziendale per i prodotti e per l’insieme
delle caratteristiche percepite e valutate dalla domanda (è sostanzialmente infinito
anche se devono considerarsi i limiti di natura tecnologica ed economica).
2.6 La differenziabilità dell’offerta
Per differenziazione si intende la possibilità di offrire un prodotto con caratteristiche
diverse da quelli del mercato (diverse anche le curve). Il potenziale di differenziazione
concorrenziale è determinato dalla validità dell’impresa di ottenere un livello superiore di
preferenze da parte della domanda, guadagnandosi così un vantaggio competitivo nei
confronti dei concorrenti. Tale vantaggio si concretizza nella disponibilità della domanda
di sopportare un prezzo relativamente più alto o acquistare allo stesso prezzo maggiori
quantità. Diverse le modalità di differenziabilità dell’offerta:
- differenziazione delle caratteristiche fisiche: dipende dall’interesse della domanda verso la
performance tecnica e i rendimenti ottenibili con il consumo e l’utilizzo del prodotto;
- differenziazione del livello qualitativo: riferita alla qualità intesa come capacità della
domanda di distinguere 2 o più prodotti in base agli elementi centrali ed accessori che
li compongono e che possono essere differenti;
- differenziazione dei costi d’accesso e di utilizzo del prodotto: si prende in considerazione il
prezzo-costo del prodotto e tutti i costi che l’acquirente deve sopportare per averlo;
- differenziazione dell’immagine: consiste nel prendere in considerazione tutti gli elementi
rilevanti per la percezione del consumatore, dalle caratteristiche fisiche, alla qualità, al
prezzo, alle modalità di comunicazione e vendite, ecc..
Ulteriore distinzione per la differenziazione è stata esposta da Lancaster e da Podestà:
1. differenziazione verticale: il consumatore può organizzare i diversi prodotti secondo una
scala ordinata dove a prodotti differenziati corrispondono schede di costi diversi, per
cui la convenienza economica della differenziazione si può giudicare solo
confrontando il costo che ne deriva con il maggior prezzo che questa consente e con
maggiori o minori volumi di vendita ottenuti;
2. differenziazione orizzontale: non ha livelli gerarchici, ma ogni individuo-consumatore
esprime una preferenza soggettiva anche se il prodotto selezionato non è
oggettivamente migliore di altri; a parità di altre condizioni, è economicamente più
vantaggiosa.
Per prodotti posti al di fuori del settore esaminato si parla di differenziazione laterale: alcuni
prodotti possono essere considerati sostitutivi di altri collocati al di fuori del settore, se
definito secondo criteri tradizionali (ad es. prodotti di lusso o di moda).
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2.7 Le economie legate alle dimensioni
Si hanno in virtù della dimensione delle imprese con cui queste ultime riescono a
realizzare la propria attività produttiva a costi medi inferiori rispetto a quelli sostenuti da
imprese di dimensioni minori. Tale situazione può essere collegata a 4 concetti:
- dimensioni dell’impianto o dell’azienda nel suo complesso in un dato momento,
- dimensioni della produzione, cumulata tutta l’attività svolta storicamente dall’impresa,
- capacita delle grandi imprese di trasformare le dimensioni in potere di mercato con la
possibilità di ottenere i fattori produttivi a costi più bassi,
- economie a raggio d’azione (c.d. scope economicies).
Le economie dimensionali si distinguono in vario modo.
1. Economie di scala: si hanno quando il rendimento della funzione di produzione
cresce all’aumentare della dimensione, ciò comporta una riduzione dei costi medi
unitari di produzione al crescere delle potenzialità produttive dell’unità economica
considerata (impianto, impresa). Le economie di scala consentono di individuare
l’esistenza di una o più dimensioni ottime minime (DOM) nel breve periodo, nel
lungo esiste un solo momento in cui si verifica la migliore combinazione di costi a
determinata quantità (curva ad U); se invece esistono una pluralità di punti di ottimo
minimo dimensionale (curva ad L) vuol dire che esistono diversi livelli di quantità che
consentono indifferentemente di ottenere il massimo di efficienza produttiva (DEM).
Le fonti generatrici delle economie di scala sono:
- esistenza di una soglia minima di impiego di una risorsa: determinata in basa alla
convenienza e all’impiego (solo se il costo corrispondente può essere ripartito su
quantità elevate di prodotto);
- uso ripetitivo di una risorsa senza che l’impresa debba sopportare oneri aggiuntivi (first copy):
ossia l’investimento in una risorsa (immateriale) che, una volta acquistata, si presta
ad essere utilizzata senza limitazione di quantità;
- sfruttamento del livello di impiego ottimale di risorse combinate: riguarda l’aspetto tecnico-
produttivo ed è la combinazione di risorse a impiego non perfettamente
frazionabile (es. collegamento a cascata di più macchine);
- forme di autoassicurazione: derivano dal fatto che una gestione aziendale organizzata
su grandi dimensioni attiva una massa notevole di eventi statisticamente
indipendenti le cui variazioni di senso opposto si compensano.
2. Curve di esperienza ed economie di apprendimento: rappresentano un risparmio
di costo derivante dalla considerazione della produzione cumulata fino ad un certo
periodo. La relazione tra dimensione di costo medio e produzione cumulata è detta
curva di esperienza. Si è osservato infatti che in molti settori il costo di una unità di
prodotto diminuisce di una percentuale costante ogni volta che la produzione
cumulata raddoppia, tale percentuale è detta tasso di apprendimento. Una prima ragione è
individuabile nell’apprendimento legato al semplice fatto di ripetere più volte una
certa attività, migliorandone ogni volta l’efficienza, un’altra è individuabile nelle
innovazioni che è possibile introdurre all’aumentare della conoscenza dell’attività. La
differenza tra economie di scala e di apprendimento si verifica in quanto le prime, a
differenza delle seconde, possono essere eventualmente riprodotte dai concorrenti.
3. Vantaggi assoluti di costo: riguardano le economie legate agli acquisti dei fattori di
produzione (c.d. economie esterne) dove grandi imprese, sfruttando le loro dimensioni,
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ottengono vantaggi individuabili nella maggior forza contrattuale, nell’ampiezza dei
campi di scelta, nella possibile alternativa delle produzioni interne, nelle maggiori
garanzie che può offrire ai fornitori e nell’accesso più facile alla varie fonti di
finanziamento.
4. Economie di raggio d’azione: le scope economicies riguardano il risparmio di costi
unitari in ipotesi di produzione congiunta di più beni all’interno dello stesso processo
produttivo e sono confinate a pochi settori industriali. È più utile estendere tale
concetto alle funzioni distributive e di comunicazione.
2.8 I mercati di fornitura e di sbocco: il modello della concorrenza allargata
L’analisi del settore deve comprendere anche le forze che agiscono intorno alla stessa e
Porter ha individuato 5 forze competitive di cui 4 esterne ed 1 interna: le prime
riguardano i mercati di fornitura e di sbocco e quelli formati da prodotti sostitutivi dai
concorrenti potenziali, quella interna al settore è rappresentata dalla rivalità competitiva
che si relaziona sia con gli elementi del settore che con l’agire delle altre 4 forze esterne.
Fig. 2.2
Entrate Le 5 forza
potenziali competitive
(Porter)
minacce di
nuove entrate
potere potere
contrattuale dei CONCORRENTI contrattuale dei
fornitori clienti
Fornitori Clienti
Rivalità fra
imprese esistenti
minacce di
prodotti/servizi
sostitutivi
Prodotti
sostitutivi
I rapporti con i mercati di fornitura hanno rilievo sotto il profilo concorrenziale in
quanto influiscono sulla capacità competitiva delle diverse imprese. Infatti i fornitori
possono incidere su: livello contenuto dei prezzi d’acquisto, qualità e continuità delle
forniture, assistenza tecnica adeguata.
L’analisi delle modalità d’acquisto parte da 2 aspetti di analisi della struttura del settore di
approvvigionamento che consente di capire la concorrenza tra fornitori e le condizioni
dei rapporti tra fornitori e clienti, ossia la reciproca forza contrattuale che è funzione di:
- quota di acquisti complessivi soddisfatti dal fornitore,
- esistenza di succedanei per i beni acquistati,
- costi di cambiamento del fornitore,
- quota delle vendite del fornitore assorbite da un unico cliente.
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8. Appunti d’esame
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I settori di fornitura possono influire sull’azione della concorrenza nei mercati di sbocco,
la struttura di questi ultimi influenza a sua volta la concorrenza tra imprese fornitrici.
Una volta compresa la struttura verticale del settore e il tipo di relazione, le imprese
devono analizzare il miglior posizionamento lungo la filiera produttiva. Quindi
l’integrazione verticale è il processo attraverso il quale un’impresa operante in una certa fase
della produzione di un bene estende la propria attività ad una fase precedente:
integrazione a monte e/o seguente integrazione a valle.
I motivi per cui si da corso ad un processo di integrazione sono:
- riduzione dei costi: per l’interdipendenza tecnologica delle produzioni e per la
protezione dal rischio relativo agli approvvigionamenti;
- miglioramento della posizione di mercato: con un maggior controllo sia delle fonti di
approvvigionamento che del mercato (integrazione a monte e a valle).
2.9 La concorrenza potenziale e le barriere all’ingresso di nuovi concorrenti
La concorrenza potenziale è data da quelle imprese e da quei nuovi investitori desiderosi
di entrare in un determinato settore dopo aver analizzato le possibilità di reddito presenti
e confrontate poi con gli investimenti necessari per approntare le capacità necessarie e
con i costi e le difficoltà legate all’ingresso. D’altra parte, le imprese del settore,
sentendosi minacciate, predispongono una serie di ostacoli per generare difficoltà
all’ingresso, le c.d. barriere all’entrata nel mercato di nuovi concorrenti. Tali barriere possono
essere suddivise in 2 grandi gruppi:
- di tipo strutturale: si basano sulle caratteristiche strutturali del settore minacciato e
comprendono le economie di scala, quelle di apprendimento, i vantaggi assoluti di
costo, la differenziabilità del prodotto; possono essere di 4 tipi:
~ finanziarie: quando in alcuni settori produttivi, per produrre a costi in linea con la
concorrenza, si deve ricorrere a ingenti mezzi finanziari non facilmente reperibili,
~ economico-produttive: quando le aziende già affermate sul mercato controllano,
mediante brevetti o segreti di fabbricazione, determinate tecniche produttive;
~ istituzionali: si hanno a causa della regolamentazione pubblica tesa appunto ad
impedire o scoraggiare l’ingresso,
~ commerciali: la pubblicità in particolare rappresenta un ostacolo all’entrata in quanto
costringe i nuovi entranti a sopportare sacrifici in termini di minori prezzi o
maggiori costi di vendita;
- di tipo competitivo: le imprese minacciate possono attuare comportamenti volti a
creare difficoltà per le potenziali concorrenti (ad es. ribasso dei prezzi).
2.10 Il modello network
Secondo una logica industriale e organizzativa, il settore è costituito dall’insieme di
relazioni che uniscono le imprese. Tali relazioni avvicinano e allontanano le imprese dal
mercato e consentono un continuo, incessante e dinamico adattamento delle rispettive
capacità alle esigenze della domanda e, viceversa, della domanda all’offerta. Il network
model si riferisce alle situazioni ed ai casi in cui l’ambiente dell’impresa è di tipo
concentrato-strutturato e pertanto costituito da un insieme di altre imprese ed
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9. Appunti d’esame
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organizzazioni attive e facilmente identificabili. L’efficacia e la performance delle imprese
operanti in tale rete dipendono non solo da come l’impresa stessa agisce nell’interazione
con le sue dirette controparti, ma anche da come queste a loro volta gestiscono le
relazioni con i terzi (comportamento reciproco ed interattivo). La performance dipende
perciò da chi interagisce con essa, il contesto viene creato dall’organizzazione stessa.
2.11 La rivalità intrasettoriale e le barriere alla mobilità
Un’impresa, nel predisporre le proprie politiche in conformità alla struttura del settore,
deve tener presente una serie di fattori individuali che le consentono di acquisire
posizioni originali. Se ciò non accade, l’uniformità competitiva porterebbe alla
sostanziale scomparsa di qualsiasi forma di concorrenza. Le strategie diverse che
conducono a risultati reddituali e di mercato differenziati, in qualsiasi tipo di settore, si
deducono dall’analisi interna di settore. Per definire le strategie competitive è dunque
necessario, dopo aver indagato il settore, approfondire l’analisi circoscrivendola ad una
ambito più ristretto. Secondo la definizione di Porter, a tal fine, possono esistere più
gruppi strategici, ciascuno dei quali raggruppa imprese simili tra loro, ma differenti da
quelle appartenenti ad altri gruppi strategici. All’interno di ciascun gruppo strategico le
aziende sono in stretta concorrenza, operando nella stessa arena competitiva.
L’appartenenza ad uno stesso gruppo dipende dalla strategia che ciascuna azienda
persegue, ed in particolare da alcuni elementi, quali i segmenti di mercato prescelti, il
livello dei prezzi, la qualità del prodotto, i canali di distribuzione.
2.12 Evoluzione del settore e dinamismo concorrenziale
Il dinamismo temporale del settore può concretizzarsi tanto a livello quantitativo (come
intensità del tasso di crescita) che a livello qualitativo (come cambiamenti delle
caratteristiche strutturali). Il modello interpretativo del dinamismo settoriale è noto come
ciclo di vita del settore che si articola in 4 fasi distinte:
1. introduzione: segue la nascita del settore, dovuta alla comparsa di un nuovo
prodotto (sia esso una novità o la sostituzione di uno esistente), ed è caratterizzata da
poche imprese che per prime hanno sviluppato una nuova tecnologia, da molta
incertezza relativa alla domanda e all’area tecnologica e da elevati costi di produzione
per mancanza di esperienza;
2. sviluppo: si avvia quando si esauriscono tutte o buona parte delle incertezze che si
manifestano nel periodo precedente; tale fase si caratterizza per un incremento dei
tassi di crescita dei volumi scambiati che consentono di fronteggiare un mercato
sempre più vasto, per la standardizzazione dell’offerta e per il consentire alle imprese
l’acquisizione ed il mantenimento di economie legate alla scala di produzione; mentre
nella fase precedente il consumatore è attratto dalla novità intrinseca del prodotto, in
questa fase il consumatore è più attento alle caratteristiche di differenziazione;
3. maturità: si caratterizza per l’assestamento del settore su valori di crescita zero o a
tassi di espansione ridotti; le cause che conducono alla fine dello sviluppo sono
molteplici, ma le più importanti possono essere ricondotte a 2:
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10. Appunti d’esame
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- la saturazione della domanda: si ha quando tutti i potenziali clienti o la maggior parte
di essi si rivolge ad un nuovo prodotto,
- la concorrenza proveniente da nuovi settori: questa abbrevia la saturazione quando i
nuovi prodotti sono in grado di sostituire quelli già esistenti,
non tutte le imprese di un settore maturo sono in grado di ottenere elevati livelli di
redditività in quanto alcune non hanno la capacità di reggere le nuove tensioni
concorrenziali, mentre altre trovano più conveniente svilupparsi in nuovi settori di
attività; un’altra caratteristica è costituita dall’opportunità di sviluppo del fatturato
anche in presenza di un mercato stagnante attraverso sviluppi e modifiche di alcune
caratteristiche di prodotto; infine in questa fase esiste un processo di
internazionalizzazione attraverso la ricerca di nuovi mercati dove la concorrenza
consente incrementi di fatturato;
4. declino: caratterizzata da un calo delle vendite globali fino all’estinzione del settore;
in tale fase si determina l’uscita di alcune aziende dal settore, con il conseguente
aumento del livello di concentrazione; non sempre tuttavia l’uscita può avvenire in
modo semplice, soprattutto a causa delle barriere all’uscita – ostacoli che impediscono
alle imprese operanti in un settore in declino di abbandonarlo senza sopportare
perdite ingenti – le più importanti sono:
- difficile riconversione degli impianti in altre attività o loro accettabile liquidazione,
- resistenze sindacali o politiche relative ad un’area d’affari di impresa diversificata,
- complementarietà tecnica o di mercato con altre attività,
alcune imprese sono costrette a competere in settori in declino per ridurre i danni,
altre invece possono trovare conveniente rimanere nel settore per la condizione di
mercato (ad es. la maggiore capacità di fronteggiare le tensioni concorrenziali).
Modello alternativo è il ciclo di trasformazione del settore con cui si individua una
successione di stati che caratterizzano l’evolversi della domanda e dell’offerta nel tempo:
questi ultimi sono rappresentati da una matrice (indicante le strategie delle imprese
operanti nel settore e una successione temporale della strategia di una stessa impresa),
sintetizzano il succedersi di situazioni di consumo tipiche e prendono in considerazione:
- la variabile quantitativa: che definisce l’intensità di diffusione del consumo con, ai 2
estremi, consumo elitario e consumo di massa;
- la variabile qualitativa: che tiene conto del grado di segmentazione della domanda con,
ai 2 estremi, consumo omogeneo e consumo segmentato.
Il combinarsi delle 2 variabili genera:
- consumo elitario omogeneo: porzione ristretta della domanda potenziale,
- consumo di massa omogeneo: dovuto al prezzo ma senza saturare la domanda,
- consumo elitario segmentato: per una pluralità di esigenze diverse, ma buon rapporto
prezzo/utilità,
- consumo di massa segmentato: non c’è possibilità di differenziazione e domanda satura.
Capitolo III
IL CONSUMO E LA DOMANDA
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11. Appunti d’esame
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3.1 Bisogni, consumo e domanda
Premessa indispensabile per comprendere il fenomeno della domanda è lo studio del
consumo e della sua naturale determinate, il bisogno. Infatti, tra i 3 fenomeni esiste un
legame logico inscindibile: così come il bisogno genera – nei limiti delle possibilità
economiche dell’individuo e dell’azienda – il consumo, così questo genera la domanda. È
chiaro che consumo e domanda sono 2 momenti distinti di un’azione volta a soddisfare
un bisogno, ma mentre la domanda è costituita da una serie di azioni tese ad assicurare
la disponibilità di un determinato bene e si conclude con uno scambio, il consumo è
espressione di utilità, ricerca di soddisfazione e di piacere acquistato prima dal prodotto.
Il richiamo ai bisogni è il punto di partenza per l’analisi sia dei consumi che della
domanda anche per il fatto che l’obiettivo del mktg è, tra altri, di raggiungere e
mantenere la massima soddisfazione possibile dei consumatori. Ad ogni individuo si
palesano ogni giorno un numero infinito di bisogni tra loro collegati di diversa intensità,
ma il numero di essi che riesce a soddisfare è funzione delle sue possibilità economiche:
è naturale il richiamo al reddito e alla propensione al consumo dell’individuo.
Il consumo è quindi un fenomeno assai complesso il cui studio è in continua evoluzione,
sempre alla ricerca di nuovi modelli interpretativi. Dapprima si cercò di spiegare il
comportamento del consumatore in chiave esclusivamente economica: il consumatore è
un homo oeconomicus che agisce in modo perfettamente razionale, confrontando l’utilità
ricavata dall’uso del bene con il costo necessario per possederlo. Ora, sebbene gli aspetti
economici siano rilevanti nei comportamenti d’acquisto, non è possibile limitare ad essi
l’interpretazione del complesso fenomeno del consumo. Il passo successivo fu il
riconoscimento che individui con le stesse possibilità economiche ma sottoposti a
stimoli diversi possano assumere comportamenti di acquisto differenti. Pertanto la
conoscenza del rapporto stimolo-risposta era sufficiente per prevedere il comportamento
degli individui, ma la constatazione successiva – a uguali stimoli possono corrispondere
risposte diverse – portò al riconoscimento che il comportamento umano è un fenomeno
più complesso del semplice automatismo input-output. Lo stimolo a cui è sottoposto
l’individuo viene elaborato in funzione delle sue caratteristiche psicologiche e sociali,
fornendo in funzione di esso risposte differenziate, perciò negli ultimi anni lo studio del
fenomeno del consumo si è avvalso del contributo di altre discipline quali la sociologia,
la psicologia, la psicoanalisi, la statistica e l’etologia: ciò deriva dalla complessità del
fenomeno che mal si presta ad un unico approccio disciplinare.
3.2 Il contributo dell’economia
La teoria economica classica del comportamento del consumatore cerca di spiegare
come un individuo, che in un dato periodo dispone di un determinato reddito, lo
distribuisca tra i beni ed i servizi che egli giudica idonei al soddisfacimento dei suoi
bisogni, acquistandoli in determinate quantità. Esiste, quindi, un legame inscindibile tra
reddito e consumi, ben descritto nella c.d. funzione di domanda, che deriva in gran parte
dagli studi di Keynes sulle funzioni di spesa e investimento: Keynes distingue gli
elementi che possono influenzare la domanda di beni e servizi di consumo tra fattori
soggettivi e quelli oggettivi, inoltre sostiene che il livello della spesa per consumi dipenda
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12. Appunti d’esame
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essenzialmente dal livello di reddito totale degli individui espresso principalmente in
termini di salari. La funzione del consumo sarà, indicando con C il totale delle spese per
consumi, con Y il reddito totale, con u un fattore di disturbo e con a e b costanti:
C = a + bY + u
Il reddito personale in un dato periodo è quindi considerato come l’elemento centrale
per spiegare il livello e l’andamento dei consumi, correlato positivamente all’ammontare
della spesa per beni e servizi di consumo; inoltre si ritiene che gli aggiustamenti della
variabile indipendente (reddito) riguardino le aspettative circa i livelli futuri di reddito che
possono aumentare o diminuire in funzione delle modifiche salariali e delle politiche
fiscali. Oltre alla variabile reddito, possono subentrarne altre – influenzando la
consistenza e l’andamento dei consumi delle famiglie, aumentando ad es. il potere
d’acquisto e/o modificando la propensione al consumo – come:
- il patrimonio posseduto ed il ricorso al credito;
- l’andamento dei prezzi dei beni e servizi in valore assoluto e relativo;
- le variabili soggettive (aspettative su consumi, abitudini, gusti, stili di vita, società).
Constatata l’esistenza di una correlazione diretta tra reddito e consumi, resta da chiarire
se ed in quale misura i consumi subiscano passivamente l’andamento del reddito e se
questo possa influenzare il livello di reddito di cui si dispone. È da notare che, una volta
superato il livello di pura sussistenza e soddisfatti i bisogni primari, l’individuo ha a
disposizione una grande varietà di alternative per l’impiego del suo reddito (elevare il suo
tenore di vita aumentando qualitativamente e quantitativamente il livello dei consumi o
può destinare parte del suo reddito al risparmio). Ciò che conta è che qualunque sia
l’alternativa scelta dall’individuo il reddito rappresenta il suo limite massimo invalicabile. Il
considerare il consumo in modo subalterno al reddito ha generato un’ipotesi interessante
secondo cui il consumatore è in qualche modo capace di controllare il reddito di cui
dispone adeguandolo al livello dei consumi desiderati, ciò comporta che il consumatore
si trasformi da soggetto passivo ad attore attivo nei processi di consumo. La
distribuzione del reddito tra i beni atti a soddisfare i bisogni del consumatore si basa su:
1. la volontà del consumatore di massimizzare l’utilità totale derivante dal bene
consumato;
2. l’utilità marginale che sia decrescente rispetto alla quantità consumata di ogni bene.
Dati i prezzi ed il reddito, il consumatore raggiunge l’equilibrio quando le utilità
marginali di ciascun bene sono tra loro uguali (e all’utilità marginale della moneta).
Graficamente il punto di equilibrio è rappresentato dal punto di tangenza tra la retta di
bilancio e la curva di indifferenza più elevata, quindi la quantità domandata di un bene è
funzione del reddito speso per consumi, del suo prezzo e del prezzo degli altri beni.
Y1 = f(p1, p2…ps, M)
Effetti della variazione del reddito: un aumento del reddito, fermo restando i prezzi dei beni,
comporta uno spostamento parallelo della retta di bilancio verso l’alto determinando un
nuovo punto di equilibrio dalla condizione di tangenza con una curva di indifferenza più
elevata. Dall’unione dei punti di equilibrio si ottiene una curva nota come curva di Engel
(o curva reddito consumato) che esprime come varia la quantità domandata di un bene al
variare del reddito, fermo restando il prezzo dello stesso bene e degli altri. Se la curva ha
un andamento crescente si ha un effetto reddito positivo che significa che all’aumentare del
reddito aumenta la quantità domandata del bene. Se la curva ha un andamento
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13. Appunti d’esame
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decrescente si ha un effetto reddito negativo che significa che all’aumentare del reddito
diminuisce la quantità domandata del bene (bene inferiore).
y2 Fig. 3.1
M3 Curva di Engel
(effetto reddito
positivo)
U3
M2
U2
U1
M1 E3
E2
E1
y1
Effetti della variazione dei prezzi: una siffatta variazione può generare 2 situazioni opposte:
1. la quantità domandata del bene aumenta al diminuire del suo prezzo;
2. la quantità diminuisce al diminuire del prezzo del bene (paradosso dei beni di Giffen).
La diminuzione del prezzo di un bene provoca 2 effetti:
1) un effetto reddito dato dall’accrescimento del reddito reale e quindi uno spostamento
del punto di equilibrio del consumatore su una curva di indifferenza più elevata;
2) effetto sostituzione che provoca un aumento della quantità domandata del bene il cui
prezzo è diminuito rispetto agli altri; tale effetto è utilizzato dagli economisti per
definire i beni fungibili (se l’effetto è positivo), complementari (se è negativo) e
indipendenti (se è nullo).
La somma delle domande individuali di ciascun bene costituisce la domanda globale che
dipende da: prezzi di tutti i beni, reddito globale destinato ai consumi e sua distribuzione.
y2 U2 Fig. 3.1
U1 Paradosso di Giffen
(effetto variazione
P’’2
prezzi: diminuzione
quantità richiesta)
P’2
Q’
Q’’
y1
In tempi più recenti, alle 2 determinanti classiche (prezzi e reddito), ne sono state
aggiunte altre 2 grazie a Chamberlin: le spese di vendita e il prodotto. Dei prodotti bisogna
tener conto perché essi vengono scambiati come una parte essenziale del processo di
mercato. Alcuni hanno sostenuto che il limite principale di tale teoria consista
nell’assunzione di un ordine stabile delle preferenze, cioè nell’assumere che i gusti dei
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14. Appunti d’esame
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consumatori non mutino al variare del reddito e dei prezzi dei beni. In realtà i gusti del
consumatore cambiano per diverse ragioni:
- per effetto della comparazione con nuovi prodotti, per il ricorso a nuovi strumenti di
distribuzione e come risultato delle campagne pubblicitarie;
- per effetto della stessa esperienza del consumatore che prova prodotti diversi, prima
sconosciuti e poi, se ne è influenzato, modifica i suoi gusti e le sue scelte successive.
La più nota relazione tra consumo e reddito è nota come legge di Engel, dal nome del
famoso statistico tedesco che nel secolo scorso studiò i bilanci familiari notando
significativi cambiamenti al variare del livello del reddito disponibile e che sostenne che
“quanto più è povera una famiglia, tanto più grande è la quota della sua spesa totale che deve essere
devoluta alla famiglia; più è ricca una nazione, minore è la quota della spesa alimentare sul totale ”. Le
sue affermazioni sono risultate vere e sono state riprese da alcuni autori quali Carol
Wright che le ha usate per giungere ad alcune considerazioni:
- tanto maggiore è il reddito, tanto minore è la relativa percentuale di spesa per la
sussistenza;
- la percentuale di spesa per l’abbigliamento è pressoché la stessa qualunque sia il livello
del reddito disponibile;
- è invariabile anche la percentuale di spesa per abitazioni, combustibili ed energia;
- all’aumentare del reddito, cresce la percentuale di spesa per i beni secondari;
- all’aumentare del reddito, cresce la percentuale di reddito destinata ai beni di rifugio e
al risparmio.
Dalla relazione reddito-consumo è possibile derivare una classificazione dei beni e dei
servizi in base alla loro elasticità rispetto al totale delle spese per beni di consumo.
3.3 Le altre prospettive di analisi dei consumi
L’analisi economica non è sufficiente a comprendere tutti i fattori che influenzano e
determinano i fenomeni di consumo; quest’ultimo non è infatti solo l’espressione di un
comportamento economico condotto con maggiore o minore razionalità, ma è anche
fortemente condizionato da fattori sociologici e psicologici. Pertanto l’analisi economica
dei consumi si avvale dei contributi provenienti da altre discipline quali la sociologia e la
psicologia, fornendo una visione complementare del fenomeno.
3.4 L’analisi sociologica del consumo
L’analisi sociologica considera i comportamenti di consumo avendo come principale
punto di riferimento la collettività. In tal senso il consumo è un fenomeno che coinvolge
l’intera collettività (gruppi o masse di persone). Quando invece si considerano i singoli
individui, si analizzano le loro interazioni con i gruppi di influenza sociale (classi sociali,
gruppi di riferimento) e di come queste interazioni influenzino i consumi di determinati
prodotti o servizi.
I primi contributi sociologici all’analisi dei consumi risalgono alla fine del secolo scorso,
soprattutto ad opera di Veblen che pose in luce l’importanza dell’esposizione del
consumatore all’ambiente sociale di riferimento e teorizzò la dipendenza dello stesso
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15. Appunti d’esame
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dalla struttura sociale in cui è inserito piuttosto che da un sistema di bisogni individuali.
Pertanto un’approfondita conoscenza degli elementi sociali consentirebbe di prevedere i
comportamenti dei consumatori, sia come singoli che come collettività. Nella
concezione di Veblen il possesso della ricchezza è alla base della reputazione e della
stima, ma tale ricchezza deve però farsi notare e ciò può avvenire o mediante l’agiatezza
vistosa (spreco di tempo) o con il consumo vistoso (spreco di beni). L’obiettivo perseguito è
un tipo di consumo che si colloca al di sopra delle proprie effettive capacità di reddito in
modo da avvicinarsi il più possibile ed imitare la classe superiore. L’emulazione (cioè il
continuo confronto antagonistico con coloro con i quali il consumatore ama
paragonarsi) è quindi la molla essenziale nelle scelte dei beni. Ben si comprende perché
siano particolarmente onorifici i beni che contengono un’utilità limitata rispetto ai costi e
perché i beni a buon mercato siano disprezzati secondo il principio cheap and nasty.
Tale teoria è stata molto criticata perché – risentendo in modo significativo del periodo
storico, della struttura sociale e dei luoghi in cui si svolsero le ricerche – una sua
generalizzazione è del tutto improponibile: in particolare non è corretto ipotizzare che i
comportamenti di consumo siano subordinati alla struttura sociale e culturale e che tutti i
consumatori siano orientati sempre verso comportamenti di agiatezza vistosa o consumo
vistoso. Nonostante tutto da tale teoria discendono alcune implicazioni importanti
ancora valide ai giorni nostri:
1. i comportamenti di emulazione (verso la classe sociale di appartenenza) e di
aspirazione (verso le classi sociali superiori) sono particolarmente condizionati dalla
mobilità sociale della popolazione e dall’influsso dei mezzi di comunicazione (media);
2. la “difesa” attuata dalle classi sociali più agiate nei confronti delle classi inferiori, nel
momento in cui queste ultime tentano di avvicinarsi, comporta che quelle superiori
cerchino di mantenere il carattere distintivo dei loro consumi conservando le distanze
da quelle inferiori, ciò può avvenire in 2 modi:
- aumentando il livello dei consumi (soprattutto qualitativo),
- adottando un comportamento opposto di “sottoconsumo ostentativo”
(underconsumption).
La conflittualità che si sviluppa tra le classi sociali nei processi di
emulazione/differenziazione può essere considerata alla base dell’analisi dei processi di
diffusione delle mode e più in generale dei processi di diffusione dei nuovi prodotti e
dell’innovazione.
Un fondamentale passo in avanti nell’analisi sociologica dei consumi fu fatto da
Duesemberry che elaborò una serie di teorie esplicative sul comportamento del
consumatore basato sul concetto di interdipendenza delle preferenze. La teoria si fonda sulla
considerazione che il consumo è un fenomeno fondamentalmente sociale (influenza di
Veblen) per cui è ragionevole presumere che le preferenze dell’individuo non si formino
in modo autonomo, ma siano la risultante di una serie di interdipendenze sociali, cioè
basate sulle scelte e sui comportamenti degli altri individui. La massima espressione di
tale teoria è sintetizzata nel noto effetto dimostrativo secondo cui il livello di soddisfazione
del consumatore deriva non tanto dall’aver esaudito il proprio sistema di bisogni
individuali, ma dalla comparazione tra i propri consumi e quelli dei gruppi sociali con cui
interagisce. Strettamente connessa a tale effetto è la teoria dei gruppi di riferimento secondo
cui il comportamento di consumo è condizionato dagli influssi provenienti dai gruppi
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16. Appunti d’esame
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sociali con i quali l’individuo si confronta pur non facendone necessariamente parte.
Rispetto a Veblen, Duesemberry amplia il campo di osservazione considerando gli
influssi dei gruppi cui aspira il consumatore, ma la maggiore originalità della teoria sta
nel collegamento tra teoria di impresa e teoria di domanda: l’autore non sostiene
l’adeguamento della domanda alle variazioni di prezzo dei prodotti, bensì la dipendenza
reciproca tra le varie curve di domanda dei consumatori.
3.5 L’analisi psicologica del consumo
L’analisi psicologica del consumo focalizza l’attenzione sui singoli individui di cui
analizza prevalentemente le caratteristiche della personalità, i processi di apprendimento,
le motivazioni di consumo e di acquisto e l’influsso delle informazioni e della
comunicazione sui processi di consumo. Nel caso della psicologia, il problema della
collocazione complementare rispetto ad altri approcci di ricerca che pur si occupano di
analisi dei consumi è particolarmente complesso, infatti da un lato le relazioni a livello
teorico tra economia e psicologia talvolta presentano confini così labili che è preferibile
parlare di sviluppi paralleli piuttosto che di reciproca complementarietà, dall’altro i
contributi psicologici e sociologici spesso sono così prossimi che presentano evidenti
aree di sovrapposizione.
Visto che gli autori riconducono il problema alla vastità del campo di indagine della
psicologia, è bene focalizzare l’attenzione sui contributi psicologici di maggiore
importanza.
Analisi dei processi di apprendimento nei comportamenti di consumo
Il fenomeno dell’apprendimento (ovvero il continuo accumulo di informazioni e
conoscenze ordinate dal consumatore secondo criteri definiti) influenza in modo
determinante il comportamento di consumo, a cui sono riconducibili eventi quali la
formazione e soprattutto la stabilizzazione delle preferenze e la creazione di meccanismi di
fidelizzazione.
I primi studi sui processi di apprendimento sono riconducibili alla scuola behaviorista,
la cui teoria si basa sul presupposto dell’esistenza di un processo di stimolo-risposta che
presiede ai comportamenti di acquisto e di consumo, che risulterebbero, quindi, dalla
risposta degli individui ad una serie di stimoli ambientali a cui sono sottoposti, molti dei
quali difficilmente governabili. Estremizzando la teoria comportamentista si giunge a
negare ogni possibilità di autodeterminazione da parte dell’individuo che diventa così
oggetto passivo dell’influenza degli stimoli ricevuti.
Alla tale scuola si contrappose quella cognitivista che considera i comportamenti di
consumo come il rilievo di un processo di elaborazione cognitiva diretto al
raggiungimento di obiettivi specifici e considera la motivazione come l’espressione della
tendenza a muoversi verso il raggiungimento degli stessi. Inoltre i cognitivisti, a
differenza dei comportamentisti, considerano fattori soggettivi quali i desideri, le
curiosità e le aspirazioni, ma l’elemento di maggiore differenziazione tra le due scuole
riguarda il concetto di problem solving. Difatti, mentre i comportamentisti sostengono
l’esistenza di un legame diretto tra stimolo e risposta, i cognitivisti considerano il
comportamento di consumo come una sequenza di azioni che inizia nel momento in cui
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17. Appunti d’esame
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l’individuo viene esposto ad una serie di informazioni (inizia così un processo di
elaborazione mentale in cui vengono richiamate alla mente esperienze passate, eventi poi
catalogati per trasformarsi in atteggiamenti e valori che costituiscono la predisposizione
al comportamento); s’impone così il concetto di black box che evidenzia la difficoltà di
decifrare i processi cognitivi e la complessità dei processi decisionali dei consumatori: il
compito dell’analista è quello di individuare le variabili che all’interno della scatola nera
interagiscono tra di loro e che tipo di relazione esista tra le stesse.
Black box Fig. 3.3
Il modello stimolo-
Processi Comportamento risposta
Stimolo cognitivi di consumo
L’influsso della personalità e delle motivazioni
I maggiori contributi psicologici alla definizione delle preferenze del consumatore si
devono alla scuola freudiana che ha approfondito il tema dell’influsso della personalità
e delle motivazioni a livello di conscio e di preconscio sui comportamenti di consumo.
La critica maggiore posta alla teoria economica riguarda il postulato della perfetta
razionalità dell’agire dell’uomo; tale postulato è infatti astratto in quanto del tutto assente
nel fenomeno del consumo individuale, sebbene sussistano aspetti rilevanti di razionalità
economica nei processi di acquisto. In buona parte l’agire del consumatore è mosso da
motivi non razionali. Resta da chiarire il termine di razionalità, qui intesa come razionalità
economica e cioè analisi sistematica delle alternative in termini di costi e vantaggi
comparati. Pertanto il comportamento dell’individuo può essere perfettamente
irrazionale nella prospettiva economica e razionale secondo le regole della psicologia;
proprio a quest’ultima, ma soprattutto alla psicoanalisi, si deve il merito di aver indagato
su aspetti del comportamento di consumo che sfuggono all’indagine economica: si tratta
di motivi di consumo non razionale e cioè a carattere emozionale. Il primo passo in
avanti fatto dalla psicologia consiste nella scoperta dell’inconscio accanto alla sfera della
consapevolezza, in grado di condizionare tutta la vita dell’individuo e quindi anche i
comportamenti di consumo; proprio nell’inconscio risiede la fonte dell’agire, gli impulsi
fondamentali, ovvero quella serie di istinti primordiali alla base di ogni comportamento
umano (libido, aggressività). Il serbatoio di tali impulsi è l’Id che esiste fin dalla nascita
dell’individuo; nel bambino, nei primi anni di vita, si forma poi gradualmente l’Ego, vale a
dire la sfera di coscienza in cui è organizzato il processo del pensiero logico; durante lo
sviluppo psichico del bambino prende a poco a poco forma il Super-ego ovvero la
struttura mentale dell’individuo ove risiede la funzione morale che rende moralmente e
socialmente accettabile il soddisfacimento degli istinti primari, ciò si traduce nel fatto che
i prodotti non vengono acquistati solo per il loro valore funzionale, ma anche per il
significato simbolico che ad essi associa il consumatore. Le teorie freudiane trovarono
un’immediata ed estesa accettazione anche se è necessario ponderarle in quanto:
- il valore simbolico talvolta prevale sul valore funzionale, affermare quindi la
predominanza del primo sul secondo è eccessivo e fuorviante;
- i metodi di indagine della psicoanalisi non vengono applicati con rigore scientifico;
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18. Appunti d’esame
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- non si considerano alcuni aspetti esterni al consumatore che possono influenzare il
suo comportamento: ambiente di riferimento, struttura sociale e culturale.
L’influenza delle informazioni e della comunicazione
Dagli studi psicologici provengono indicazioni interessanti circa l’esposizione e
l’influenza esercitata sugli individui dalle informazioni provenienti dall’ambiente esterno,
in quanto le informazioni vengono elaborate da un processo mentale molto complesso:
solo l’interpretazione psicologica di tali processi consente di fornire indicazioni circa la
misura in cui il consumatore è condizionato dai processi di comunicazione attivati dalle
imprese, che, d’altro canto, riescono a stimare meglio gli effetti di determinate azioni
pubblicitarie (scuola di Gestalt). È noto che l’efficacia della pubblicità è largamente
influenzata dalla predisposizione del ricevente (audience) nei confronti del mezzo
utilizzato e del contenuto del messaggio. A sua volta tale predisposizione è determinata
da componenti consce e componenti inconsce, nel senso che il consumatore è in grado
di controllare alcune dimensioni, mentre altre sfuggono al suo controllo: ad es. ricerche
empiriche hanno dimostrato che il consumatore è in grado di controllare le primissime
fasi di esposizione alla pubblicità selezionando i messaggi ai quali prestare maggiore
attenzione (fasi dell’esposizione e dell’attenzione). Molti elementi rendono il consumatore
recettivo nei confronti del messaggio pubblicitario:
- se sta affrontando l’acquisto del bene oggetto del messaggio,
- se si tratta di beni problematici,
- in base alle caratteristiche tecniche del messaggio (colore, marca, ecc.).
Nei processi di influenza del consumatore un ruolo determinate è occupato dalla
comunicazione interpersonale (world of mouth communication) la cui capacità di convinzione
e di orientamento all’acquisto di un determinato prodotto è stata dimostrata di gran
lunga superiore a quella della pubblicità. Ciò deriva dal fatto che si basa su alcuni fattori
sociali quali la sensibilità dei consumatori all’ambiente di riferimento, l’esposizione ai
modelli di consumo, l’influenza degli opinion leader. Nonostante la maggiore efficacia
riconosciutagli, solo in minima parte è possibile governare tali meccanismi, ad es.
attivando a proprio favore processi di opinion leadership.
3.6 L’evoluzione dei consumi in Italia
La struttura dei consumi, il loro andamento e la distribuzione per aree geografiche, per
classi sociali, di reddito e di età della popolazione rappresentano elementi fondamentali
per rappresentare il benessere materiale di un paese e la ricchezza che questo è in grado
di produrre. Per quanto riguarda l’Italia, i primi dati organizzati sulla struttura dei
consumi risalgono alla data dell’unificazione politica (1861), ma da un punto di vista
manageriale è più utile considerare l’analisi dei consumi a partire dagli anni ’50. Difatti è
solo a partire dal dopoguerra che la struttura economica e produttiva italiana si è
chiaramente indirizzata verso un’economia industrializzata e di libero scambio. Per tutti
gli anni ’50 la struttura dei consumi rimase sostanzialmente stabile: un’elevata
percentuale era destinata alla spesa per generi alimentari, prevaleva una situazione di
grave e diffusa povertà, il reddito pro-capite era nettamente inferiore a quello degli altri
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paesi e all’interno sussistevano profonde differenze tra zona e zona; tutti i
comportamenti di consumi erano tesi alla ricerca del benessere materiale e pertanto le
motivazioni simboliche e cioè immateriali erano del tutto assenti. È solo sul finire degli
anni ’60 che l’economia italiana comincia a trasformarsi prima lentamente e poi in
maniera vorticosa, difatti tutte le variabili macroeconomiche, non solo consumi e
reddito, subiscono una forte accelerazione: sono gli anni del c.d. boom economico (1959-63).
L’elemento centrale della trasformazione riguarda la netta riduzione della percentuale di
spesa per generi alimentari a vantaggio della spesa per mobili e arredo per la casa, per
servizi e comunicazioni. La maggior parte della popolazione si avvicina ai modelli di
consumo di massa soprattutto grazie all’influenza della cultura nordamericana che ha
introdotto in Europa la c.d. american way of life. Viene a modificarsi la funzione del
consumo: da atto necessario legato alla sopravvivenza diventa un’attività piacevole e
gratificante. Tale modifica della funzione sociale del consumo viene favorita da alcuni
fenomeni sociali in atto: crescente urbanizzazione e sviluppo del ceto medio
impiegatizio. Nonostante tutto la popolazione italiana resta ancora fortemente ancorata
al valore del risparmio. Negli anni ’70-’80 l’Italia vive un periodo di gravi turbolenze
ambientali che si riflettono sui consumi delle famiglie: crisi energetica, movimenti
contestativi del ’68, messa in discussione dei modelli di consumo adottati dai paesi
industrializzati. L’elemento centrale della contestazione fu l’american way of life, da cui
si dipanò un movimento di pensiero volto a recuperare i valori simbolici che sembravano
essere stati cancellati dal boom economico. Furono anni di stagnazione dei consumi e
dell’economia, ma si trattò anche di un periodo di riflessione necessario dopo gli
eccessivi ottimismi generati dallo stesso boom. Gli anni ’80-’90 sono caratterizzati da
situazioni altalenanti e contrastanti nei consumi: si riducono i differenziali di ricchezza
con gli altri paesi e il rinnovato incremento dei consumi spinge il consumatore ad
abbandonare i valori tradizionali e a ricercare l’innovazione (il consumatore diviene cioè
sempre più informato, esigente e quindi più evoluto).
3.7 Evoluzione dei consumi e delle politiche di marketing delle imprese
Le prime azioni di mktg cominciano a manifestarsi in Italia solo dopo la prima metà
degli anni ’60, grazie alle politiche di sviluppo attuate da imprese multinazionali straniere,
specie nordamericane e non per iniziativa autonoma delle aziende italiane. Le imprese
straniere portarono con sé, oltre alle conoscenze e alle logiche di mktg, anche le strutture
di supporto per l’attuazione delle politiche di mktg. Videro così la luce in Italia le prime
agenzie di pubblicità e di ricerche di mercato grazie alle imprese straniere e ciò ebbe sia
effetti positivi che negativi: in positivo, il mktg giunse in Italia già sperimentato, in
quanto le tecniche utilizzate erano avanzate; in negativo, non era stata condotta
un’attenta analisi del contesto socio-ambientale, per cui le modalità di applicazione del
mktg risultavano essere poco in sintonia con i comportamenti di consumo ed in generale
con il sistema ambientale, ciò determinò una certa ritrosia degli operatori aziendali che
ritennero che il mktg potesse essere applicato esclusivamente alle imprese di grandi
dimensioni e operanti nel mercato dei beni di largo consumo. In quegli anni non
esistevano condizioni che favorissero uno sviluppo del mktg, mentre ne esistevano che
favorissero un forte orientamento alle vendite: una domanda in crescita, un’offerta da
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20. Appunti d’esame
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poco in grado di soddisfare qualitativamente e quantitativamente le esigenze della
domanda e la presenza di imprese che da poco avevano investito in capacità produttiva
da sfruttare al massimo (i prodotti offerti erano di medio-bassa qualità, fortemente
standardizzati e a prezzi contenuti). Questa situazione ben si conciliava con le esigenze
della domanda orientata all’acquisto di beni durevoli e semidurevoli che presentassero le
caratteristiche dell’economicità e della funzionalità; proprio questi aspetti consentirono a
molte imprese italiane di espandersi con successo oltre i confini nazionali (soprattutto
nell’abbigliamo e nell’auto).
Negli anni ’70 il mktg risentì della crisi economica e sociale in atto e furono gli anni del
ripensamento sul versante dei consumi, vissuti come un periodo di rifiuto del mktg, che
per molte imprese coincise con “spese superflue” e “discrezionali” comportando forti
tagli agli investimenti in mktg. Le difficili condizioni ambientali di quegli anni (gusti e
domanda si modificavano rapidamente) fecero maturare la consapevolezza che solo
un’attenta analisi delle aspettative di mercato potesse consentire alle imprese di operare
con successo: iniziò così a diffondersi nelle imprese l’orientamento al mercato.
È solo negli anni ’80, però, che il mktg si impone come principale punto di riferimento e
come elemento centrale nei processi decisionali d’impresa. Il difficile contesto
ambientale e concorrenziale favorisce lo sviluppo di efficaci processi di gestione dei
rapporti con i mercati e nel contempo il mktg si diffonde nel settore dei beni industriali e
dei servizi. Lo sviluppo del mktg fu favorito dal verificarsi di alcuni fenomeni che
indussero le imprese ad orientarsi al mercato:
1) evoluzione delle strutture distributive ed in particolare il consolidamento di quelle moderne: la
modernizzazione della distribuzione, verificatasi negli anni ’70, ha inciso sui rapporti
impresa-mercato, determinando un progressivo affievolimento delle relazioni tra
impresa industriale e consumatore; questi obiettivi delle imprese industriali molto
spesso si scontrano con quelli delle imprese commerciali, anch’esse orientate ad un
contatto diretto con i consumatori; è noto il dualismo acquirente/consumatore che
porta con sé conseguenze importanti quali il confronto tra brand e store loyalty;
2) forte crescita della pressione competitiva in molti mercati: soprattutto in quei mercati esposti
alla concorrenza internazionale che ha spinto molte imprese a dotarsi velocemente
delle competenze di mercato necessarie per fronteggiare una concorrenza
particolarmente aggressiva;
3) disponibilità di nuovi supporti: prime fra tutti le televisioni commerciali, nate in ambito
locale e successivamente sviluppatesi al punto di avere, almeno sotto il profilo
pubblicitario, le caratteristiche di un network a diffusione nazionale;
4) disponibilità fornita da molte imprese di ricerche di mercato sofisticate: orientate sempre più a
fornire elementi sui comportamenti, stili di vita e consumi dei consumatori;
5) evoluzione dei consumatori: con questi che divengono sempre più informati, evoluti ed
esigenti ed in presenza di una concorrenza agguerrita, le imprese hanno dovuto
affinare le proprie competenze di mktg e spesso questa necessità è risultata alla base
di molti successi di impresa.
3.8 Scenari evolutivi dei consumi
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21. Appunti d’esame
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L’analisi prospettica dell’evoluzione dei consumi si basa sull’interpretazione di alcuni
macrofenomeni ambientali e sulla comprensione dei loro potenziali effetti sulle abitudini
e sui comportamenti di consumo degli individui. I fattori di cambiamento che hanno
inciso ed incideranno maggiormente sull’evoluzione della domanda e dei consumi sono
rintracciabili e nella dimensione economica (integrazione europea, 1992; entrata in vigore
della moneta unica, 1999-2001; evoluzione in atto nei paesi dell’est europeo; sviluppo
della concorrenza internazionale; progresso tecnologico) e nella dimensione sociale e
culturale; questi fattori influenzeranno i parametri su cui si fondano le scelte dei
consumatori, si affermeranno nuovi prodotti per effetto dell’inserimento nel tessuto
sociale di nuove culture che faranno perdere l’importanza del rifornimento nazionale a
favore di quello internazionale, ovviamente contrastate da un orientamento localistico.
Gli elementi di cambiamento dei consumatori, frutto di trend di lungo periodo e quindi
destinati a durare nel tempo, sono raggruppabili in alcune categorie principali:
1. il ruolo della casa: la casa – intesa sia come struttura fisica che come insieme dei
prodotti che la compongono (arredamento, suppellettili) – è un bene molto radicato
nella tradizione, d’altro canto esprime simbolicamente lo status sociale ed economico
della famiglia (la casa è cioè sempre meno qualificabile in termini funzionali come il
luogo in cui si abita, ma diviene la manifestazione della personalità di chi ci vive);
questa trasformazione, attuata da tempo nei paesi anglosassoni, ha interessato anche
l’Italia ed in particolare quelle fasce di popolazione più avanzate sul piano sociale e
sul reddito, ciò ha fatto sì che sia diminuita l’importanza attribuita a caratteristiche
quali la funzionalità e l’economicità, a vantaggio delle caratteristiche estetiche di
design e tecnologiche che conferiscono all’abitazione una dimensione di unicità e di
levata personalizzazione;
2. la funzione sociale ed individuale del lavoro: si fa riferimento a 2 fenomeni (sviluppo
dell’occupazione femminile e funzione sociale del lavoro) basandosi non solo sugli
stili di vita e consumo ma anche sui comportamenti connessi con l’attività
professionale; mentre fino a poco tempo fa il lavoro femminile poteva essere
considerato come una conquista sociale, oggi il loro comportamento è orientato allo
sviluppo di una carriera professionale (come per gli uomini); tali evoluzioni incidono
sulle abitudini di acquisto e di consumo delle famiglie, tanto che l’estensione dei ruoli
della “casalinga” e del “responsabile degli acquisti” ad altri membri della famiglia ha
determinato dei cambiamenti nei tipi di prodotti acquistati, nella scelta dei punti di
vendita e nella distinzione tra acquisti giornalieri e settimanali;
3. aumento dell’età media della popolazione: in tutti i paesi industrializzati si è registrato negli
ultimi anni un aumento della vita media e di conseguenza una forte riduzione del
tasso di natalità; pertanto la popolazione è costituita prevalentemente da persone
anziane, con maggiori disponibilità economiche e con maggiore propensione al
consumo di determinati prodotti, in special modo se legati alla salute;
4. evoluzione dei modelli e delle strutture familiari: il cambiamento maggiore consiste nel
progressivo aumento del numero delle famiglie monocomponenti, maggiormente
riscontrabili nelle fasce giovani (l’abbandono della casa dei genitori non coincide
necessariamente con il matrimonio) e nelle fasce anziane della popolazione (per
effetto dell’aumento della vita media); aumentano anche il numero delle unità
familiari che risultano dalla separazione di matrimoni precedenti: conseguenza è che
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22. Appunti d’esame
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si sviluppano servizi come quelli culturali e ricreativi e servizi di supporto alla
gestione della casa;
5. mobilità della popolazione e flussi migratori: la popolazione diventa più mobile e paesi
come l’Italia divengono meta di flussi migratori, comportando come conseguenza
l’adozione di criteri di segmentazione del mercato e di differenziazione dell’offerta
basata su fattori etnici;
6. crescente attenzione per la natura e per l’ambiente: eventi attuali e passati negativi sul piano
ecologico (ad es. Cernobyl e buco dell’ozono) uniti ad una maggiore maturità dei
consumatori hanno fatto sì che ad un prodotto non si chieda più di esaudire i bisogni
funzionali, economici e di immagine per cui lo si è acquistato, ma anche di rispettare
l’ambiente sia durante l’uso che terminata la sua vita utile; inizia così a farsi spazio
nelle imprese il concetto di disassembling e cioè la possibilità di riutilizzare in modo e
con criteri differenti i prodotti esausti, risparmiando così sugli approvvigionamenti di
materie prime e diminuendo l’onere ecologico della gestione dei rifiuti.
I cambiamenti previsti potrebbero incidere sull’evoluzione del mktg in quanto:
- il consumatore diviene sempre più esperto, informato ed esigente;
- emergono valori differenti e diventano importanti gli elementi valoriali e simbolici;
- aumenta la ricerca di fattori di distinzione che possano qualificare il proprio
comportamento sociale ed i propri stili di vita;
- un duraturo vantaggio competitivo si basa su elementi di differenziazione che
abbiano caratteristiche di immaterialità (ad es. l’immagine);
- le evoluzioni tecnologiche consentono all’impresa di agire sui prodotti mantenendo
inalterata la convenienza economica;
- dalla differenziazione “facile” può derivare che la comprensione delle esigenze della
domanda divenga di primaria importanza e che i fattori “immateriali” siano sempre
più critici per la loro difficile limitabilità.
Capitolo IV
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23. Appunti d’esame
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L’ANALISI QUANTITATIVA DELLA DOMANDA
4.1 La nozione di domanda
L’importanza che ha l’analisi della domanda è implicito nella stessa definizione di mktg:
non è possibile ricercare la soddisfazione del consumatore e ottenere un vantaggio
competitivo senza una conoscenza approfondita ed articolata della domanda. Conoscere
la domanda (a maggior ragione se con un consistente anticipo rispetto ai concorrenti) e
fondare le proprie politiche sulla sua analisi permette di avere un notevole vantaggio sui
concorrenti e di assumere un comportamento proattivo.
La domanda esprime la quantità di prodotti e/o servizi che vengono richiesti in un
determinato periodo, da una certa clientela presente in un certo mercato ed è costituita
da tutte le relazioni che intercorrono tra la domanda di un determinato bene e le
modalità di offerta dello stesso (politiche delle imprese, strutture competitive, ecc.). Si
intuisce quindi come la domanda sia costituita da un insieme di relazioni
consumatore/imprese e sia condizionata quantitativamente e qualitativamente dalle
azioni (di mktg in particolare).
Si può analizzare la domanda in base a differenti livelli di aggregazione
1. globale o aziendale: la prima indica la complessiva richiesta di un dato prodotto fatta in
un determinato periodo e in un certo paese, la seconda la richiesta che si riferisce ad
una singola azienda per un certo prodotto; può essere riferita ad un prodotto in
generale (quando si vogliono affrontare problemi di carattere strategico) o a prodotti
sempre più specifici (se le decisioni da prendere attengono a tematiche operative);
2. di prodotti industriali (o strumentali) o di prodotti di consumo: nel primo caso la domanda è
generata da operatori economici (ad es. imprese, enti) che agiscono per il
raggiungimento dei propri obiettivi economici e non per soddisfare esigenze
personali; nel secondo i richiedenti si lasciano influenzare da considerazioni non
strettamente economiche e conoscono solo in parte le caratteristiche del prodotto ed
i prezzi dei concorrenti; i mercati dei prodotti industriali operano con più elevata
trasparenza e la domanda ad essi relativa è più facilmente soggetta a reazioni intense
ed improvvise;
3. di beni destinati all’immediato consumo o di beni durevoli (entrambi derivanti dai beni di
consumo): per i primi esiste una sostanziale coincidenza temporale tra l’atto di
richiesta ed il fenomeno del consumo; al contrario per i secondi l’utilizzazione può
anche essere protratta per anni ed è bene distinguere tra la relativa domanda “di
riacquisto” (periodico rinnovo di consumatore che già utilizzano il prodotto per le
caratteristiche o per obsolescenza) e quella “di prima utenza”;
4. finale o intermedia: nel primo caso i produttori di beni considerano le aziende
commerciali come intermediari relativamente passivi che rispecchiano le esigenze dei
consumatori, viceversa ci si trova nella seconda ipotesi se le aziende di distribuzione
hanno un ruolo attivo a causa del loro potere contrattuale o di condizionamento dei
consumatori; al momento attuale le imprese industriali devono comunque
considerare con estrema attenzione le caratteristiche della domanda intermedia;
5. autonoma o derivata: derivate sono le domande che dipendono dall’acquisto di un altro
bene (per complementarietà o per la complessità), a ben vedere è piuttosto raro
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identificare domande rigorosamente autonome, estremizzando infatti tutte sono
collegate dal vincolo di un unico reddito; la domanda derivata ha un grado di
elasticità assai limitato rispetto al prezzo in quanto entrano in gioco altri fattori;
6. di beni omogenei o di beni differenziati: l’analisi considera se la domanda globale sia
soddisfatta da prodotti perfettamente omogenei (o quasi omogenei), anche se in
realtà le imprese soddisfano domande particolari.
4.2 La domanda effettiva e la domanda potenziale
La dimensione della domanda effettiva è relativamente semplice da ottenere: o tramite enti
pubblici, associazioni (ecc.) o tramite ricerche delle singole aziende.
Discorso diverso per la domanda potenziale, per capire la quale si deve meglio chiarire il
concetto di potenziale di mercato: questo è la massima quantità (in volumi o valori)
vendibile in una determinata unità di tempo ed in un dato mercato e, quindi, il livello
massimo che può raggiungere la domanda d’un determinato bene o servizio; allo stesso
tempo esprime sia l’interesse del consumatore nei confronti di una specifica offerta di
prodotto (in base alla necessità ed al reddito) sia le varie possibili situazioni ambientali sia
le diverse azioni di mktg (in sintesi il potenziale di mercato è una stima).
Varie sono state le definizioni date al potenziale di mercato:
1. parte della letteratura, soprattutto nordamericana, parte dalla considerazione che la
domanda globale di un dato periodo dipende anche dal “livello” delle spese
commerciali di tutte le aziende del settore nel periodo; la funzione (Fig. 4.1) parte da
un livello di domanda minima che si avrebbe anche in assenza di un qualche
intervento, cresce prima rapidamente e poi più lentamente fino a raggiungere un
livello insuperabile che è appunto la domanda potenziale; questa definizione ha però
delle lacune in quanto nessuno è in grado di identificare il livello insuperabile della
domanda e, anche riuscendo a trovarlo, è molto improbabile che le spese commerciali
globali raggiungano il relativo ammontare;
Fig. 4.1
domanda
Domanda
prevista e
domanda domanda
potenziale potenziale
domanda
prevista
domanda
minima
spesa prevista spesa commerciale
2. modo migliore consiste nel riferirsi alle vendite massime possibili non in una
situazione astratta tendente all’infinito, ma in certe situazioni reali di ambiente e di
mercato, in quanto la domanda potenziale è influenzata da fattori macro e
microeconomici; a posteriori si può quindi sostenere che la domanda potenziale
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coincide con la domanda effettiva quando un certo prodotto ha raggiunto il “tetto”
delle vendite (stadio di maturità) (Fig. 4.2), in altri termini le vendite cresceranno fino
ad un certo livello che, in assenza di cambiamenti radicali, non muterà più, tale livello
corrisponde alla domanda potenziale, in linea di massima costante nel tempo; tale
discorso funziona sul piano concettuale, ma sul piano pratico la misura della
domanda potenziale è difficile ed è sempre il frutto di opinioni;
vendite Fig. 4.2
Il potenziale di
potenziale di mercato mercato
vendite del prodotto
V1 domanda
effettiva
t1 tempo
3. altre volte si assume una certa misura del consumo pro-capite, giudicata possibile in
date condizioni favorevoli o realizzabile in definite circostanze, e si moltiplica questo
dato per il numero dei consumatori possibili, in altri termini il mercato potenziale è
dato dalla differenza tra il limite massimo di fruizione del prodotto ed il numero
effettivo di tale prodotto; tale concetto può essere assimilato al grado di saturazione del
mercato (bassi gradi indicano possibili sviluppi di consumi, elevati livelli
corrispondono a margini sempre più stretti); se si considera PMIL t il potenziale di
mercato al tempo t, Nt la numerosità della popolazione, Pil la percentuale della
popolazione potenzialmente interessata al prodotto, O uso il numero delle occasioni
d’uso e Dpiena la dose minima consumata in ogni occasione, si ha nel caso di prodotti
ad acquisto ricorrente:
PMILt = Nt * Pil * Ouso * Dpiena
nel caso di prodotti durevoli, per la stima del potenziale devono essere esplicitate le 2
componenti della domanda (nuovi consumatori e domanda di sostituzione).
Comunque sia definito, una vota che si sia venuti a conoscenza del potenziale di mercato,
l’impresa può valutare meglio quale strategia adottare. Particolarmente utile è la
conoscenza degli spazi di potenziale ancora disponibili: se la quota è elevata, sono
indicate politiche volte a sollecitare la prova e a “condizionare” la prima utenza
potenziale; viceversa sarebbe più indicato indirizzarsi verso la domanda secondaria.
Altrettanto utile è desumere le cause che possono determinare un certo differenziale tra
domanda effettiva e potenziale: conoscere il gap di potenziale consente di orientare in
modo più preciso le variabili del mktg mix.
Concetto simile è quello del potenziale di vendita normalmente utilizzato per le
decisioni di carattere operativo (ad es. la delimitazione delle zone dei venditori, le quote
di vendita, ecc.); l’espressione può avere 2 significati:
- può corrispondere a quanto un’azienda può, in un certo periodo, riuscire a vendere di
un determinato prodotto;
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- può riferirsi a solo alcune parti della domanda globale (di solito per zona geografica,
per canale di distribuzione o per una particolare versione di un prodotto).
Gli indici di consumo (generali o parziali), molto usati a livello geografico, rappresentano
quantitativamente l’attitudine di determinate zone all’acquisto di certi beni (ad es. il
numero di veicoli di una zona può essere usato come indice dei consumi di benzina). Tali
indici sono utili anche per calcolare la capacità di assorbimento delle varie zone, calcolandoli
come media dell’indice di consumo e di un dato espressivo della popolazione (ad es.
numero della popolazione in genere). Gli indici di assorbimento possono poi essere
utilizzati per il calcolo delle quote di vendita per zone, cioè nella determinazione dei
programmi e degli obiettivi di vendita attribuiti ad ogni zona (correggendoli in base alle
condizioni locali).
Quanto detto finora si riferisce ai beni destinati al consumo finale, ma può valere anche
per i beni strumentali: in tal caso il calcolo è semplificato per il minor numero di possibili
acquirenti e spesso si perviene ad una valutazione più analitica.
4.3 La previsione della domanda
La previsione della dimensione della domanda a breve o a lungo termine è necessaria per
la formulazione delle politiche di mktg, rispettivamente per piani annuali e per le
decisioni che possono avere ripercussioni nel lungo temine.
Ciò che va studiato è la relazione tra previsione della domanda (della singola azienda) e
programma commerciale in quanto la dimensione della domanda dipende dal
programma (impegno e risorse investite) che si vuole applicare.
Esistono diverse tecniche di previsione, ma in generale si può affermare che quanto più è
esteso l’arco temporale della previsione, tanto più aggregata deve essere la domanda da
stimare e tanto più efficaci risultano i metodi che considerano le relazioni tra macro-
variabili ambientali e domanda stessa.
Vanno comunque considerati i seguenti aspetti:
- tipo di esigenza che la previsione deve soddisfare (ad es. programmazione della
produzione e del controllo della rete di vendita);
- orizzonte temporale;
- livello di aggregazione voluto (plurisettoriale, di mercato, di segmento, di azienda);
- grado di sicurezza desiderato;
- tipo di informazioni disponibili;
- costo della previsione.
La previsione di una domanda di un prodotto (o gruppo di prodotti) da parte di una
singola azienda non di piccole dimensioni può avere le seguenti fasi:
1) previsione della domanda globale;
2) previsione dell’evoluzione della quota di mercato per l’azienda considerata;
3) previsione della futura domanda aziendale.
Negli ultimi anni sono stati messi a punto 3 categorie di metodi: quantitativi (basati
sull’analisi statistica dei dati), qualitativi (sulle opinioni) e sperimentali (sui mercati di prova).
Metodi quantitativi di previsione della domanda
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Tali metodi si basano su 3 diversi trattamenti dei dati:
1. estrapolativo: si fonda sulla conoscenza degli andamenti precedenti di un fenomeno per
spiegare quelli futuri (le relazioni causa-effetto rimangono inalterate);
2. simulato: basato su modelli causali (econometrici) che valutano gli effetti di diverse
ipotesi individuando un insieme di possibili risultati delle variabili;
3. normativo: si definiscono gli obiettivi ed in funzione di questi si individuano le possibili
azioni di mktg atte a raggiungerli.
Gli algoritmi su cui si basano questi modelli si dividono in:
• autoproiettivi: consentono di ottenere una buona accuratezza di previsione
applicabile quasi esclusivamente a previsioni di breve periodo, vi appartengono le 2
tipologie di analisi delle serie storiche:
o analisi classica: si basa sull’ipotesi dell’estensione al futuro di regole valide nel
passato, ovvero si suppone che il tasso di incremento tra t -1 e t sia uguale a quello
tra t e t+1; se la serie è breve si usa la tecnica delle medie mobili, basata sulla
stazionarietà del fenomeno, determinando il dato come media delle osservazioni;
in caso di mancanza di stazionarietà si utilizza il metodo del livellamento
(exponential smoothing) dando più veridicità alle osservazioni più recenti; la stabilità
del trend passato consente un’estrapolazione lineare, ma alcune componenti
(come la stagionalità, la ciclicità e l’accidentalità) possono modificarne
l’andamento anche sensibilmente; ulteriore metodo di estrapolazione si fonda
sull’osservazione che, se 2 paesi hanno caratteristiche simili, un prodotto nel paese
A avrà la stessa evoluzione avuta nel paese B (economicamente più avanzato),
o analisi moderna: si presuppone che sia la serie storica ad orientare la scelta del
modello da utilizzare a fini revisionali; a tal fine un ottimo es. è dato dal modello
di Box-Jenkis che minimizza l’errore tra valori osservati e valori teorici; trovato il
modello, si stimano i parametri e si procede all’elaborazione dei risultati, che
saranno tanto eccellenti per il breve periodo quanto più lunga sarà la serie storica;
• causali: partono dalla ricerca dei legami esistenti tra più variabili e li elaborano in un
modello statistico che consente di evidenziare le relazioni di causa-effetto tra
fenomeni e di prevedere i “punti di svolta”; uno dei più importanti è quello della
regressione che consiste nella stima di una variabile dipendente che si pensa correlata
ad una o più variabili indipendenti (dette esplicative), si calcolano quindi i parametri
di una equazione di regressione che collega le “indipendenti” ricavandone la
grandezza della “dipendente”; in ogni caso la validità della relazione assunta
dev’essere verificata con appropriate misurazione (come il coefficiente di
correlazione); tali procedimenti hanno il vantaggio della semplicità, ma
presuppongono il permanere nel futuro delle relazioni passate, è difficile verificare a
posteriori i motivi di una certa previsione errata e non si considerano le variabili non
suscettibili di trattamento matematico;
• fondati sulla costruzione di matrici di settore: si basano sul metodo di input-output
di Leontieff che analizza le interdipendenze strutturali di un sistema economico
illustrando le relazioni esistenti tra produzioni e consumi dei diversi settori del
sistema considerato tramite una matrice; quest’ultima permette di spiegare le
variazioni della domanda (in termini di variazioni delle domande finali dei vari tipi di
beni in modo da calcolare il dato per l’anno futuro), di tener conto dei mutamenti
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della domanda (potendo porvi rimedio), di effettuare comparazioni analitiche tra
previsioni e realtà (capendo gli errori fatti) e di svolgere un processo di previsione in
modo trasparente e suscettibile di analisi e di revisione.
Metodi qualitativi di previsione della domanda
Le previsioni della domanda non possono essere effettuate ricorrendo esclusivamente a
metodi statistici e non possono esimersi dal considerare una componente qualitativa: a
tal scopo sono stati sviluppati vari metodi che si basano sulle capacità di prefigurazione
di “esperti” che possono essere interni (consumatori, distributori, forza vendite, ecc.) o
esterni (ma sempre a conoscenza del fenomeno). Tali procedimenti tendono ad essere
utilizzati per la previsione della domanda e breve-medio termine.
Un primo metodo si basa sulle intenzioni d’acquisto dei consumatori grazie a delle indagini
campionarie tese a stabilire i futuri comportamenti di varie categorie di consumatori per
gli acquisti programmati (non per quelli di impulso). Mentre ottenere indicazioni relative
all’eventuale intenzione d’acquisto di un consumatore è abbastanza complicato, gli
accertamenti per prodotti industriali sono molto più agevoli; comprensibile quindi come
siano considerati molto utili gli accertamenti fatti dagli intermediari commerciali ed in
particolare dai dettaglianti (campione tra l’altro molto più ridotto). Indicazioni di tal
genere vengono spesso apprese dalle aziende tramite le opinioni espresse dai venditori
diretti, dai rappresentanti, ecc. (interni all’azienda); in tal caso ci si deve preoccupare che i
venditori diano previsioni relative alla propria zona in modo non sporadico e che non
siano condizionati da future valutazioni e/o remunerazioni.
L’utilizzo di “esperti” esterni può avvenire in 2 modi:
- le opinioni vengono espresse in riunioni di gruppo (panel di esperti): tale metodo può
però essere negativamente influenzato da condizionamenti sociali;
- per questo si usa anche il metodo Delphi: dopo un primo questionario, le risposte
vengono fatte conoscere agli altri in modo da eliminare le ipotesi più estreme.
Metodi sperimentali di previsione della domanda
Tali metodi consistono nella formulazione di previsioni in funzione dei risultati ottenuti
da determinate prove sul campo, in modo da valutare le reazioni a differenti ipotesi di
mktg mix. Molto usato il metodo del mercato di prova, al quale va affiancato il mercato di
controllo (con caratteri simili al primo); le difficoltà maggiori sono nell’individuazione di
un ristretto ambito territoriale che possa considerarsi un buon campione nell’utilizzare
l’intero piano di mktg su una base spaziale assai limitata.
Questi metodi sono in genere complessi da organizzare e con costi elevati di gestione.
4.4 La quota di mercato
Le imprese misurano le loro performance controllando la posizione dei propri prodotti
rispetto ai concorrenti; la quota di mercato è un indicatore molto sintetico ed è:
vendita del prodotto A da parte dell' azienda
vendite totali del prodotto A
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Per definire l’ambito di calcolo è necessario identificare un gruppo di prodotti/servizi
distinti, un gruppo di consumatori distinguibili, un gruppo circoscritto di concorrenti
(non sempre queste identificazioni sono però facili come sembrano).
La quota di mercato indica in primo luogo la capacità concorrenziale di una determinata
marca o prodotto: una quota elevata denota elevati volumi di vendita.
Altro indice da tenere in considerazione – possedere una quota elevata con una
concorrenza modesta è ben diverso che rispetto ad una concorrenza agguerrita – è la
quota di mercato relativa, che rappresenta inoltre la capacità del prodotto di attrarre e
mantenere le preferenze della domanda (fidelizzazione):
quota di mercato dell' azienda A (o di un prodotto)
quota di mercato del maggior concorrente (azienda o prodotto)
Partendo dalla considerazione che il livello della quota di mercato è strettamente legato
alle azioni di mktg effettuate (relazione diretta e proporzionale ma non costante e lineare
nel tempo), Kotler ha introdotto il teorema fondamentale della quota di mercato: la quota di
mercato di un’impresa è proporzionale al rapporto tra i suoi sforzi di mktg e quelli di
tutti i concorrenti.
Alcuni studiosi (tramite la ricerca PIMS, Profit Impact of Mktg Strategy) hanno inoltre
dimostrato che esiste una relazione anche tra la stessa quota e la redditività, in quanto
una maggiore dimensione consente di attivare economie di costo, di avere un maggior
potere contrattuale, di controllare maggiormente il mercato (maggior capacità di
investimento e minor rischio) e di avere maggiore libertà di azione nel mercato (quindi
maggiore redditività). Si deve però notare come questa relazione possa presentarsi con
un disallineamento temporale (con grossi investimenti aumenta la quota ma la redditività
è bassa nel breve periodo) o possa essere assente (nei settori frammentati e bloccati).
Metodi per la stima delle quote di mercato sono:
- panel dei consumatori: mira a studiare in via continuativa i consumi di un campione fisso
di consumatori (i prodotti devono essere di frequente acquisto e ben identificabili);
tale metodo è molto utile per valutare la posizione delle varie marche di un dato
prodotto potendone studiare l’evoluzione nel breve;
- scanner nei distributori: molto diffuso in quanto consente la rilevazione diretta di tutti i
dati tramite lettura ottica dei codici a barre (quindi non in forma campionaria).
Per migliorare la quota di mercato bisogna attivare strategie in linea con le esigenze dei
consumatori e quindi “scomporre” la quota in 2 indici:
• grado di penetrazione (o quota trattanti): evidenzia la percentuale delle vendite di una
marca rispetto alle quantità totali di prodotto dello stesso genere acquistate dai clienti
della stessa impresa;
• grado di copertura ponderata: è espresso come rapporto tra gli acquisti totali di un tipo di
prodotto effettuati dalla clientela dell’impresa e le vendite (mercato) complessive.
Considerando QMi la quota di mercato di un’impresa, Qi la quantità venduta
dell’impresa, Q quella totale del mercato e ACS gli acquisti totali del prodotto, si ha
analiticamente che:
QMi = Qi/ACSi * ACSi/Q
L’indice (Qi/ACSi) indica il grado di penetrazione, l’indice (ACSi/Q) la copertura ponderata che,
a sua volta, può essere scomposto evidenziando N i (numero di clienti serviti) e N (totale
consumatori di quel prodotto): l’indice N i/Q esprime la copertura numerica, mentre
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ACSi/N il peso medio della clientela servita. Un basso indice di copertura richiede interventi
sulla selezione della clientela, aumentandone la dimensione media. Viceversa con un
miglioramento dell’indice di penetrazione, l’impresa dovrebbe migliorare il grado di
accettazione del prodotto.
Fig. 4.1
Copertura ponderata
Scomposizione della
quota di mercato
alta Migliorare l’accettazione
Consolidare e difendere la
del prodotto presso il
posizione competitiva
cliente servito
Migliorare il parco clienti e Migliorare selettivamente il
bassa investire per accrescere parco clienti (distributori
l’accettazione del prodotto e/o consumatori finali)
bassa alta
Penetrazione (quota trattanti)
4.5 L’elasticità della domanda globale
Molto importanti per l’analisi della domanda è la definizione delle probabili reazioni della
domanda e del consumo rispetto sia a particolari iniziative delle aziende produttrici sia a
fenomeni che accadono al di fuori della volontà delle aziende.
Se un evento è suscettibile di misurazione (es. il prezzo) l’analisi può essere fatta tramite
il calcolo dell’elasticità del consumo, cioè analizzando la variazione storica (accertata o
presunta). Non tutti i fenomeni sono però misurabili (ad es. l’introduzione di un
succedaneo può ridurre il consumo di un prodotto a parità di altre circostanze).
Le indagini sull’elasticità vanno distinte se si riferiscono alla domanda globale o alla
domanda aziendale.
Se riferite alla domanda globale le misurazioni più significative sono:
a. rispetto al reddito della collettività (sensitività della domanda);
b. rispetto al prezzo del prodotto (elasticità diretta o marshalliana);
c. rispetto al prezzo di altri prodotti, di solito succedanei o complementari (elasticità
incrociata).
Gli strumenti più utilizzati per la domanda globale sono fondati sull’analisi di correlazione;
tali ricerche hanno significato quando la copertura della domanda è assicurata da
produzione omogenee e quando la forma della curva si palesa stabile nel tempo.
L’analisi di correlazione congiunta si fonda sull’ipotesi che il consumo di un bene (C) sia
legato da una ben definita funzione al reddito nazionale lordo o netto (R) e al prezzo del
bene stesso (P):
C = K’ * Re’ * Pe’’
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