5. Assocalzaturifici nel 2013 si prende una pausa dall’allure e dallo sfarzo del
Made in Italy per tornare all’essenza del “Fatto in Italia”, da persone che
lavorano in Italia.
Una decisione forte, che parte dalla consapevolezza che è l’intera filiera
a fare la differenza di stile, realizzazione, prodotto, vendita. Per questo si
è deciso di raccontare la storia di tutti gli attori della scena della calzatura
mettendo in primo piano la realtà che quotidianamente e in modo
sinergico rende il nostro Paese il leader nel settore calzature.
Al convegno annuale di quest’anno, che si è tenuto a Fermo il 23
Novembre, ci siamo incontrati ancora una volta per confrontarci,
condividere e scambiare idee.
Abbiamo voluto raccontare il viaggio attraverso alcuni dei sette
principali distretti della calzatura mandando un nostro team di persone
lungo la penisola, per conoscere e raccontare le diverse realtà e funzioni
che caratterizzano il mondo della scarpa.
Abbiamo voluto raccontare quegli imprenditori che nel perseguire i loro
sogni risollevano ogni giorno lo spirito imprenditoriale di questo paese
nonostante la strada sia ardua, nella convinzione che il meglio debba
ancora venire.
Vorrei ringraziare una per una le persone, le donne, gli uomini, i molti
giovani che abbiamo incontrato nelle aziende e nelle fabbriche. Le persone
che tengono letteralmente “in mano” il destino del nostro meraviglioso
settore produttivo. Se siamo ai piedi del mondo e il mondo intero sogna di
avere ai piedi le nostre calzature è grazie ad ognuno di Voi.
In queste pagine troverete le immagini, i volti, i nomi, dei luoghi visti
e delle persone incontrate, l’unicità della calzatura Made in Italy in tutto il
suo straordinario valore.
Il Presidente Assocalzaturifici
Cleto Sagripanti
5
9. FRATELLI
ROSSETTI
Il viaggio di Assocalzaturifici lungo tutta la filiera italiana della calzatura è
partito da Milano. Non siamo partiti dal quadrilatero della moda: abbiamo
scelto di partire da Parabiago, sede di produzione dei Fratelli Rossetti.
Da subito ci è stato chiaro come il famoso e tanto conclamato Made in
Italy parta da un paese, una famiglia, uno stabilimento. E soprattutto dalle
persone. Questo è quello che abbiamo visto, notato, ascoltato dalle parole
di Diego Rossetti e dal capoproduzione Bruno Colombo.
Solo le persone, infatti, possono tramandare le tecniche e segreti di
produzione ma soprattutto il cuore e la cura nella produzione di una
calzatura in tutta la sua realizzazione. Questo ci ha incantato e al tempo
stesso riflettere sulla complessità e responsabilità, per chi produce ad alti
livelli, di vendere il prodotto finale al prezzo corretto. Un prezzo che tenga
conto, ad esempio, di 120 passaggi di costruzione, di trenta o quaranta
minuti di lavoro su ciascun paio prodotto.
Dal punto di vista tecnico, l’avanguardia dei sistemi, l’innovazione
tecnologica è data dalla grande attenzione per la ricerca, ma soprattutto
per la grande importanza data all’esperienza degli artigiani che entrano
nell’azienda da giovani e non la lasciano più, diventando ambasciatori
del know-how Fratelli Rossetti per le nuove generazioni. L’innovazione
diventa quindi riuscire a far diventare produttivamente efficiente il capitale
umano, un concetto che molte volte è da manuale di marketing ma
nell’azienda da noi visitata è racchiuso in una sola parola: passione.
Impossibile da comprare o essere insegnata, la passione dei Fratelli
Rossetti la si percepisce in tutte le persone che ne fanno parte, in tutti
i vari step della produzione. L’abbiamo capito dalla storia del marchio,
dall’unione dei tre fratelli, dagli occhi brillanti del direttore di produzione
che ci ha fatto vedere come nasce una scarpa, dalle mani esperte, precise
e veloci di chi si occupava dell’orlatura, da come siamo stati accolti in
azienda.
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15. BONAUDO
Assocalzaturifici arriva a Cuggiono, sempre nella grande provincia
milanese. Arriviamo alla conceria Bonaudo. Rimaniamo subito colpiti
dallo stabilimento, tanto semplice fuori, quanto innovativo e ricercato
dentro. Una metafora fisica di quella che è veramente la missione di
Alessandro Iliprandi. La pelle è un elemento di lavoro per la filiera, quindi
un manufatto a vedersi semplice. Che invece racchiude grandissima
ricerca e innovazione.
Il giro per la conceria ci conferma la prima impressione, i muri sono
tutti dipinti di bianco, perché è importante fornire un luogo bello dove
lavorare, ci spiega Iliprandi. Osserviamo poi le persone che lavorano nello
stabilimento. Ci viene il dubbio di essere ancora in Italia. Conosciamo
così Andrea, che a 25 anni è già il responsabile. Scopriamo che allora
la questione non è l’atavica e retorica “i giovani non hanno voglia di
lavorare”. Qui ce ne sono, Bonaudo è un’azienda con la maggior parte
degli impiegati under 30. E gli over 30 sono i maestri e formatori dei
giovani, ai quali con grande passione e umiltà raffinano le tecniche
apprese a scuola.
La questione, che da sempre Assocalzaturifici propone e sostiene, è
che l’azienda deve imparare a raccontarsi. Iliprandi è sensibile a questo
argomento e aggiunge che bisogna aprire le porte e fare molta, molta rete
tra le forze della filiera.
Uscendo, ci soffermiamo a guardare uno dei ragazzi che stende del
pellame appena lavato. Non esiste un macchinario che possa fare questa
operazione. Vanno stese, controllate e non hanno mai la stessa forma.
Abbiamo visto rifinire la pelle con una velocità e precisione impensabile.
Anche in questa visita capiamo quanto sia fondamentale il valore umano
nel processo di produzione.
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21. LORIBLU
Il viaggio di #calzarevalore si sposta dalla Lombardia e arriva nelle Marche.
Anche qui troviamo una struttura grande, ampia e luminosissima.
L’attenzione per chi ci lavora è molto presente. Ce lo racconta Annarita
Pilotti, titolare di Loriblu col marito Graziano Cuccù che non incontriamo
subito. Pensiamo ad una figura impegnata in grandi meeting, viaggi,
telefonate ma ci dobbiamo presto ricredere. Camminando per lo
stabilimento ad un certo punto Annarita prende a braccetto un signore
in camice che cammina con un ragazzo. “Eccolo qua, lui non sta mai in
ufficio.” Ebbene sì, Cuccù passa la sua giornata tra le linee di produzione.
E la sorpresa non finisce qui. Il ragazzo vicino è il figlio, che comincia la
strada in azienda dal piano terra, non dai piani alti.
“Per comandare bisogna imparare ad ubbidire” ci aveva detto qualche
minuto fa Annarita durante l’intervista. Non abbiamo parlato solo di
questo, ovviamente. Abbiamo capito che la forza di Loriblu sta nei suoi
negozi monomarca, in continua crescita. E nell’espansione capillare in
mercati emergenti, sebbene non sia facile. Scopriamo quindi che per le
aziende italiane è davvero difficile riuscire ad entrare in paesi come quelli
BRIC, con dazi fino al 37%. Anche riuscire a farsi conoscere, promuovere,
proporre è molto difficile per le aziende italiane. Serve promozione
e comunicazione, non cene di gala. Gli imprenditori vogliono creare
connessioni e sviluppare business.
Questo potrebbe far pensare ad un’azienda dura. E invece Loriblu è
una tra le poche, pochissime a mettere i dipendenti al centro di tutto il
percorso produttivo, al punto di proporre un servizio fisso di psicologa per
i lavoratori, di regalare alle dipendenti gli esami clinici per la prevenzione
dei tumori, di favorire l’accesso ai giovani in azienda con concorsi e servizi
di tutoring, e soprattutto una cosa che non avevamo ancora mai visto:
la mensa autogestita per i dipendenti. Perché si lavora tutto il giorno
assieme, si parla, si condivide e si crea valore anche davanti ad un piatto di
pasta panna e tartufo.
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27. FABI
Siamo al secondo giorno del nostro tour nelle Marche. Ci perdiamo
volentieri in paesaggi così belli e diversi tra loro mentre guardiamo il mare
a sinistra e i monti a destra. Arriviamo a Monte San Giusto, andiamo
a conoscere la storia di FABI. La superficie vetrata dello stabilimento
riflette la bellezza del luogo, vicino vi si trova il FABI Store. Flaminio
Fabi, della seconda generazione della famiglia, ci porta a visitare anche
quello: è importante perché il loro brand punta molto sul retail, e lo spazio
che visitiamo è la matrice di tutti gli spazi FABI aperti e in apertura nel
mondo.
Scopriamo allora che FABI da qualche anno propone, soprattutto per
richiesta dei mercati esteri, il total look. E non parliamo di una semplice
linea di giacche di pelle. Il look è davvero total, ci sono delle valigie che
rubano il cuore di noi viaggiatori di professione, gli occhiali fatti in legno
e pure il make up. Più total di così... Veniamo accompagnati a visitare
tutta la linea di produzione che ha due enormi padiglioni, uno per l’uomo,
uno per la donna. Quante persone, quante storie. Ad un tavolo di lavoro
vediamo tre generazioni che collaborano. “É così che si insegna l’arte
della scarpa. Bisogna fare le scarpe con amore, sennò non durano” ci dice
Flaminio Fabi.
L’esperienza del totale di FABI non si ferma. Infatti, anche la filiera è
presente nella sua totalità nell’azienda, rendendo autentico il valore della
produzione del Made in Italy, delle sue specificità locali, del genius loci,
dello stile e della ricerca. Questa potrebbe sembrare retorica ma quando
Flaminio Fabi ci ha fatto sentire che la colla utilizzata è inodore e quindi
non va a creare disturbi alla respirazione dei dipendenti abbiamo capito:
solo se il rispetto di tutti i componenti e delle persone è totale, si arriva ad
essere un’azienda leader di mercato.
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33. ZEIS
EXCELSA
Assocalzaturifici continua il viaggio nelle Marche. La destinazione di oggi
è Zeis Excelsa. Ieri eravamo da FABI, monobrand, oggi siamo in un’altra
realtà internazionale che offre diversi marchi, come Dirk Bikkembergs,
Docksteps, Cult, Virtus Palestre, Merrell, Sebago, Sonora, Patrizia Pepe.
Ancora una volta ci mettiamo a pensare quanto sia forte e differenziata la
produzione italiana delle calzature.
L’azienda che visitiamo è in pieno movimento e riusciamo a intervistare
Dino Pizzuti, il brand manager. In Italia si parla tanto di giovani e ne
abbiamo trovati. Esistono anche nelle posizioni dirigenziali! E Dino non
è vestito in maniera convenzionale ma ha una barba, degli orecchini, dei
tatuaggi e dei jeans. Vediamo quindi che conoscere i costumi delle nuove
generazioni non vuol dire per forza criticarli.
Procedendo con l’intervista presente sul sito e tutti gli spazi social di
#calzarevalore, ci rendiamo conto che Zeis Excelsa riesce ad avere una
visione d’insieme della complessità del mercato, soprattutto della nuova
funzione del cliente nel mondo della filiera per cui “il cliente diventa
un nostro partner”. Infatti, ci spiega il brand manager, ormai l’acquisto
di una calzatura è un acquisto ponderato, maturato, informato, i tempi
dell’acquisto d’impulso sono finiti. É proprio questo il segreto dell’azienda,
osservare e comprendere il comportamento di acquisto dei consumatori.
La ricetta di Dino Pizzuti è quindi essere in ascolto, sempre di quello che
succede fuori dall’azienda, di essere pronti al cambiamento.
Una strategia che viene applicata in toto alla filiera: è fondamentale
l’ascolto di tutte le parti, dei dipendenti diretti, dei monomarca, del
wholesale. Per Zeis Excelsa sono tutti partner fondamentali per lo
sviluppo del prodotto perché il loro Made in Italy è “dare di più alle scarpe
riempiendole di attenzioni, curando i materiali e trattamenti e, soprattutto,
collaborando con tutti.”
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39. SILVANO
LATTANZI
Siamo in tour da una settimana, scoprendo ogni giorno un nuovo scorcio
del paesaggio italiano e una nuova azienda associata Assocalzaturifici.
Oggi però ci sembra di essere entrati in una favola, in un sogno: entriamo
nel mondo di Silvano Lattanzi. Zintala è la sua azienda, è una bottega, un
museo, uno spazio dove l’artigiano incontra l’arte.
Veniamo subito rapiti dal genio, dalle storie, le esperienze di Silvano
Lattanzi che ci tiene moltissimo: lui è un calzolaio. Amante della
perfezione, dei materiali, del lavoro che c’è dietro una calzatura. Il rispetto
per il prodotto è talmente forte e radicato che quando parla di aziende
della calzatura parla di gioiellerie. Per questo non ha mezzi termini nel
raccontarci la sua posizione sulla vendita delle eccellenze del settore
ai grandi marchi francesi o del lusso: non si deve fare. Bisogna invece
ritornare ad essere in possesso delle chiavi dei laboratori e non padroni di
aziende ma di una storia.
Uno stratega, un businessman, un poeta. Secondo Silvano Lattanzi l’unica
soluzione alla stagnazione del mercato italiano è quella di porre lo stesso
impegno per un prodotto da sessanta come a seimila euro. Per fare questo,
però, è imprescindibile essere credibili come imprenditori in primis,
soprattutto nel discorso della comunità europea. In secondo luogo, poi,
l’imprenditore deve rinunciare alle comodità che si possono presentare
e lavorare ventiquattr’ore al giorno per l’impresa, che deve essere etica e
corretta. Quando parla di mercato straniero, di espansione, di crescita ci
insegna che è importante imparare da tutti per non commettere l’errore
di sottovalutare la grande crescita di know-how che hanno i mercati
emergenti.
Concludendo l’intervista gli chiediamo come possono fare le nuove leve a
diventare veri imprenditori. Bisogna applicarsi, ci viene risposto, perché
oggi è sempre più difficile e non c’è un ritorno veloce. E augura a tutti
giovani di “poter ricominciare a sognare, proprio come noi negli anni ’70.”
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45. ROCCO P.
Il tour di #calzarevalore continua. Ci spostiamo a Torre San Patrizio, sede
di Rocco P., Principe di Bologna. L’approccio di Rocco Pistolesi al mondo
della calzatura non è convenzionale. É corroborante. Dà e vive una nuova
dimensione, fortifica, rinvigorisce il Made in Italy. Al punto che ha tolto
tale dicitura dalle sue scarpe, sostituendola con Made in Torre San Patrizio.
Allo stesso modo si approccia ai mercati emergenti, non si fa prendere dal
mito asiatico del mercato in espansione, ma conosce e predilige quello di
nicchia come Giappone e Corea, non sottovalutando mai l’establishment
del mercato degli Stati Uniti.
Le calzature di Rocco P. sono creazioni, non prodotti, passano in numero
ridotto dalle manovie, non da impianti di produzione. La scelta di produrre
pochi pezzi al giorno è garanzia di una scelta manageriale, artigianale e
umana: parliamo di scelta della lavorazione delle pelli, delle pelli stesse
(si possono usare anche quelle dei pesci), della lavorazione artigianale del
fondo e della tecnica di montaggio della calzatura. Un film.
Ci perdiamo nei pensieri di Rocco Pistolesi, la visione del sistema azienda
e del sistema moda è molto chiara: “il fashion system ha forzato il sistema
dell’artigianalità. Certe cose vanno migliorate e non modificate ogni
stagione.” Musica per le nostre orecchie anche quando si parla di ricette
anticrisi. Il regime di tassazione dovrebbe permettere agli imprenditori
di investire nell’azienda. E a loro volta, gli imprenditori dovrebbero porre
maggiore serietà e meno imprecisione. La crisi ha allontanato le persone,
“la stretta di mano non c’è più, questo era il Made in Italy”
Assocalzaturifici pone una domanda uguale a tutti gli intervistati del tour
della filiera italiana. Come si può produrre calzature e produrre, allo stesso
tempo, valore. Rocco Pistolesi risponde che bisogna far comprendere
al cliente finale che quella che indossa non è una scarpa ma un oggetto
d’arte, dove l’artigiano, il calzolaio, il produttore deve esprimere la propria
creatività in 30 centimetri quadrati.
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51. FALC
Il viaggio di #calzarevalore nelle Marche prosegue da FALC. Azienda
nata nel 1974, negli anni ’80 crea i brand Falcotto e Naturino, diventando
subito un player di grande valore nel mercato delle calzature per i più
piccoli, forte di una grande ricerca e innovazione di prodotto. Altra
caratteristica del successo di FALC, il forte legame e la forte integrazione
col territorio di Civitanova Marche.
La grande conoscenza della realtà locale è il punto di partenza per la
consapevolezza dello stato del mercato italiano. Salina Ferretti ci racconta
infatti che è importante ricordarsi che è dal mercato italiano che le grandi
aziende sono partite e sono cresciute. Il momento richiede due cose dalla
difficile convivenza: una forte politica di prezzo e continua innovazione.
La concorrenza non è solo fra italiani, esistono anche marchi stranieri con
cui confrontarsi. Salina Ferretti racchiude tutto in un concetto: bisogna
credere nel mercato italiano.
Una volta che ci si sposta all’estero, il passaporto italiano deve continuare
ad essere garanzia di qualità perché per FALC sottovalutare le richieste
e abitudini di un mercato emergente è un errore, come pensare che sia
facile conoscere e gestire l’accesso e le vendite in un paese lontano e
straniero. L’italianità è creatività, eccellenza e diventa valore investendo,
puntando sul marchio, lavorando sulla qualità. Ricordando sempre
il legame col territorio: l’apertura delle Cantine Fontezoppa (il nome
ricorda l’antica fonte esistente in passato dove ora sorgono i vigneti) che
producono vini pregiati e Vernaccia Nera, è un brindisi al camminare
italiano.
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57. DA.MI.
La 500L di #calzarevalore continua a macinare chilometri tra le colline
marchigiane. Ci spostiamo da Civitanova a Sant’Elpidio. Oggi conosciamo
il punto più importante della scarpa: suole e fondi, quello strato di pochi
millimetri o centimetri che ci appoggia o innalza dal suolo terrestre. Siamo
da DA.MI., azienda che da mezzo secolo propone qualità, innovazione e
grande personalizzazione nella realizzazione di suole e fondi di scarpe.
Ci accompagna nel tour in azienda Michela Catalini e parliamo subito
di mercati. Quello italiano che crea problemi ai produttori per la
questione dei pagamenti e delle riscossioni e quelli stranieri, soprattutto
emergenti, con due tipologie di intervento. Nel primo caso la gestione e
organizzazione è diretta dall’azienda italiana, nel secondo caso ci sono
partner del luogo, con vantaggi iniziali nell’entrata e nello scambio di
know-how. Il modello italiano non è sempre la soluzione ma va tenuto
sempre in considerazione il mercato del posto, il successo è lo scambio
e l’ascolto tra le due parti coinvolte nel processo, l’azienda deve imparare
a non sradicare mai la realtà della zona e a capire le diverse modalità e
mentalità.
Anche in Italia. Essendo DA.MI. parte della filiera produttiva, Michela
Catalini ci spiega che per favorire il lavoro di tutti non basta fare accordi
sulla carta, bisogna agire, perché la creazione di valore parte dai rapporti
tra persone e poi tra aziende. Il segreto del successo di DA.MI.?
Conservare il Made in Italy, preservarlo dalle acquisizioni straniere.
Ricerca e attrezzature per condire il tutto e… tanta ma tanta passione e
voglia di fare.
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63. ELISABET-WALK SAFARI
Siamo all’ultimo giorno nelle Marche. Mentre in tutta Italia il cielo è grigio
e fa freddo, qui si continua a stare in giacchetta, a vedere il mare e le vicine
montagne sotto il sole. Andiamo a conoscere Marcello Vallasciani, e la sua
azienda, Walk Safari. La specializzazione è in calzature per bambini, con
marchio proprio e in licenza, per prestigiosi brand come Liu-Jo, Roberto
Cavalli, Aliviero Martini e Byblos.
Anche da Walk Safari ci rendiamo conto di quanto sia grande l’impresa
italiana. Siamo infatti spesso portati a pensare che all’estero, tra i marchi
italiani, ci siano solo grandi multinazionali, marchi di lusso, produzioni
di grande numero. Invece ci sono moltissime realtà che conoscono molto
bene e sono presenti nei mercati stranieri e - cosa ben più complessa - in
quelli emergenti. Marcello Vallasciani ci spiega infatti che per arrivare
solo al contratto, quando ci si trova in un playground lontano, serve molto
tempo ma soprattutto è importante crescere in relazione alle persone
che si hanno di fronte. Per questo è fondamentale avere un saldo partner
locale, una scelta rischiosa e non sempre facile: servono mesi per poter dar
vita un progetto di valore.
Walk Safari produce marchi propri e in licenza: chiediamo a Marcello
Vallasciani che strada prenderà in futuro l’azienda. Sarà sempre più
importante puntare sui propri marchi, perché il mercato delle licenze
è molto variabile. La filiera continua ad essere un punto d’inizio per la
produzione della calzatura, ma anche il suo prosieguo e la conclusione:
il rapporto umano e professionale cambia notevolmente il successo di
un’impresa.
É tempo di caricare telecamere e microfoni in macchina: il nostro viaggio
continua in Toscana.
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69. MAGONIO
Arriviamo in Toscana. I cipressi sulle colline ci confermano che siamo
proprio in una delle regioni più cinematografiche d’Italia. #calzarevalore
e il suo tour fanno tappa a Montelupo, andiamo a conoscere la storia
del suolificio Magonio. In mezzo secolo di esperienza è ora produttore
di fondi e suole per aziende come Gucci, Ferragamo, Jimmy Choo e
Valentino.
La storia comincia a fine anni ’50 quando Alessandro Piccini, vista
l’ingegnosità e grande pratica, comincia a riceve il soprannome di Mago…
per poi diventare Magonio. Il suolificio cambia diverse sedi ma rimane
sempre strettamente collegato al territorio. Una costante, una realtà che
va a scontrarsi con una difficoltà nel ruolo artigianale delle persone che
ci lavorano: il ricambio generazionale è difficile, si nota nel tempo una
maggiore difficoltà a trovare la manodopera.
Il nostro giro in azienda è guidato da Sandra Piccini, che in azienda
si occupa di amministrazione e contabilità. Camminando tra i vari
macchinari, vediamo Magonio, in divisa come gli altri lavoratori, non
in giacca e cravatta. Pensate, è stato lui in persona ad aprirci il cancello
dell’azienda. In quante altre realtà poteva succedere?
Sandra ci racconta che negli ultimi trent’anni le richieste dei clienti sono
cambiate, una volta la differenziazione per il loro prodotto era minima, ora
i marchi chiedono e propongono nuove lavorazioni, colorazioni, materiali,
accessori.
Chiediamo il segreto di questo successo. É chiaro che per essere un leader
mondiale nella produzione di suole e fondi, bisogna unire una ineccepibile
capacità artigianale ad una grande produttività e organizzazione aziendale.
Bisogna essere artigiani e manager, si direbbe in un convegno. Oppure,
come ci dicono Magonio e figli: il segreto è fare bene la cosa meno
artistica.
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75. MONTI
Lasciamo troppo presto le belle terre toscane per dirigerci verso gli
Appennini e la sempre accogliente regione Emilia Romagna.
Ci fermiamo in un luogo importante per la memoria, Marzabotto, dove
conosceremo la storia del Tacchificio Monti. Monti produce la totalità
del mondo del tacco, componenti, accessori, zeppe, suole e plateau. Che
partono da un piccolo paesino stretto in una valle e arrivano fino alle
passerelle più importanti della moda. Ci accoglie, è proprio il caso di
dirlo, Gabriele Monti. Ci racconta con passione la storia del tacchificio,
del rapporto con il territorio e del profondo legame con tutto quello che
ha permesso la creazione della loro realtà: la famiglia. Detto così suona
male ma Gabriele ci dice una cosa che riassume meeting su meeting di
time management: bisogna ritornare a rispettare i tempi. In che senso,
chiediamo. Bisogna ricordare che esiste la notte, il giorno festivo, che
ci sono le famiglie a casa. Per chi vede quest’attenzione come un punto
debole nel processo di produzione, possiamo assicurare invece che è la
ricetta giusta: il tacchificio Monti si trova a dover dire di no ai clienti,
perché le richieste sono molte e sempre più diversificate. Gabriele Monti
ci racconta infatti che non si può dire di no ai clienti anche se produrre
cinque tacchi è un processo più complesso che produrne duemila. E
nonostante tutto ci riescono grazie all’avanguardia delle tecniche e dei
macchinari impiegati che vengono mostrati anche ai concorrenti. Ci
pare di non aver capito. Chiediamo spiegazioni. “Siamo troppo chiusi
come settore, è importante condividere il know-how. Noi siamo aperti ai
concorrenti e se conosco la realtà di qualcun altro cresco anche io”, ci dice
Gabriele.
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81. BALDININI
Oggi #calzarevalore si sposta a San Mauro Pascoli, per conoscere la grande
azienda Baldinini. Baldinini è diventato sinonimo di made in Italy nei
mercati emergenti, come quello russo. É proprio in Russia che Gimmi
Baldinini trovò l’America, con un viaggio cominciato più di 30 anni fa, in
un paese dove non c’erano negozi, ma c’era ricchezza, bisogno di moda e
amore per la moda.
La strategia applicata nel mercato italiano e in quello russo è la stessa:
puntare sulla bellezza del prodotto italiano. Per questo, aggiunge
Gimmi Baldinini, serve un bel prodotto, un bel marchio e, cosa da non
sottovalutare, bisogna avere un bel campionario. A questo si aggiunge la
decisione di essere i registi della parte retail, puntando esclusivamente
sul monomarca, evitando la politica degli store multibrand. Un modo di
pensare diverso che ha portato all’apertura di più di 150 negozi diretti.
Chiediamo allora quale possa essere la prossima Russia per il brand
Baldinini. “Serve un mercato in crescita innanzitutto”. Per esempio la
Cina, un mercato appetibile ma che esige una presenza continua sul
campo, una profonda conoscenza del luogo e deve confrontarsi con un
gusto molto difficile. Inoltre, la difficoltà principale per conquistare un
mercato simile è che il popolo cinese è molto condizionato dall’amore dei
marchi. Parlando di altri mercati, per vincere bisogna cercare quello più
vicino al proprio prodotto e avere costanza nella penetrazione dello stesso:
cambiare continuamente piazza non è una scelta utile all’azienda.
Gimmi Baldinini ci lascia con una provocazione, che ci piace e
condividiamo con chi legge: “viviamo nel paese più bello del mondo, con i
prodotti fatti meglio. Com’è possibile che si continui a dare un’immagine
così negativa? Perché esprimiamo sempre il peggio e mai il meglio?
L’immagine alta della moda purtroppo si deve confrontare con quella data
da politica ed economia”. Le cose devono cambiare.
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87. GIGLIOLI
Anche oggi #calzarevalore è a San Mauro Pascoli. La storia di oggi è
quella di Giglioli Production, affermata realtà a livello locale, nazionale ed
internazionale.
Il segreto del successo della Giglioli Production è il prodotto, tanto
semplice da dire quanto complesso da realizzare: è necessario unire
prodotto, qualità e servizi. Il mercato apprezza l’eccellenza nella semplicità
dei task richiesti: alti standard qualitativi, quantitativi, puntualità nella
consegna, tutti step del processo che Massimo Pazzaglia chiama la qualità
assoluta.
Per un produttore di suole e fondi le materie prime sono fondamentali e
ci si deve interfacciare con le difficoltà date dall’aumento dei listini prezzi,
soprattutto quando si è parte integrante della filiera. Con l’avvento di
grosse compagnie che entrano nel campo da gioco vi è stato un grande
cambiamento di modi e metodi di produzione: la programmazione
è cambiata, il dialogo e i rapporti tra i vari attori della filiera sono la
differenza e la garanzia del successo. Ad esempio anche le concerie con
cui Giglioli Production lavora e collabora da anni hanno cambiato gli
standard per garantire l’alta qualità di ogni singola componente della
calzatura perché diventano portavoce del rapporto con cliente e fornitore.
Produrre calzature e produrre valore per Massimo Pazzaglia parte
dall’orgoglio per il proprio lavoro, per la propria parte svolta all’interno
della filiera produttiva. Un orgoglio per un prodotto che è frutto di sudore,
amore per lo stesso, lavoro quotidiano ma soprattutto l’orgoglio di fare
parte assieme a tutto il mondo della produzione dell’universo della
calzatura.
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93. TWI..
#calzarevalore lascia la calda Emilia Romagna e arriva in Veneto. Il
tour riparte dalla riviera del Brenta, il distretto che i più grandi marchi
del lusso hanno scelto per la produzione delle calzature più eleganti
ed esclusive del mondo della moda. Ci accoglie Daniele Salmaso che
rappresenta la nuova generazione nello stabilimento Original Salmaso,
produttori di marchio proprio, Twi.. e in licenza.
Chiediamo a Daniele Salmaso se essere produttori e licenziatari di
marchio sia possibile, quali siano le complessità del processo. Ci viene
risposto che non è difficile, anzi, i ritmi serrati del fashion system sono di
supporto alla produzione del marchio proprio. Questo infatti, consente di
ottimizzare i tempi dell’azienda: il marchio proprio al momento propone
due stagioni per anni, le grandi griffe invece arrivano ad avere fino a sei
stagioni all’anno. Così facendo l’impianto produttivo è sempre ai massimi
regimi e l’abbiamo notato mentre giravamo le scene dell’intervista: i ritmi
di lavoro sono molto serrati!
Verrebbe da dire che la storia del Made in Italy più che scritta va
camminata. Daniele Salmaso ci racconta infatti che in questo distretto si
è cominciata l’avventura delle calzature ai tempi dei dogi veneziani, ed è
fondamentale non perdere la storia che ha creato, in una zona così piccola,
il punto di riferimento per la produzione dei più grandi marchi del lusso
mondiali.
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99. FRANCO
BALLIN
Il tour di Assocalzaturifici ricomincia dalla bellezza assoluta di Villa
Pisani, a Stra. Villa Pisani ha avuto molti ospiti di rilievo, come Napoleone
Bonaparte, la famiglia Asburgo, Carlo IV di Spagna, lo Zar Alessandro I e
Ferdinando II di Borbone Re di Napoli. Rischiamo di perderci tra il parco,
abbiamo una nuova storia da raccontare: quella di Franco Ballin.
Con Franco Ballin conosciamo due importanti ingranaggi della filiera:
la progettazione e la distribuzione. Veniamo così a scoprire che il
laborioso veneto è al top anche nell’innovazione di prodotto, vediamo uno
stabilimento che, grazie alle nuove tecnologie, riesce a inventare un’intera
calzatura interamente al computer. Anche il prototipo. Finalmente
vediamo come funziona una stampante tridimensionale, ma soprattutto
pensiamo a come possa essere sfruttato tutto questo per la produzione:
così facendo per i dipartimenti di progettazione e stile, sarà possibile in
tempi brevissimi inviare l’idea del prodotto dall’altra parte del mondo.
In questo modo i tempi di comunicazione si accorciano e si può puntare
maggiormente sulla qualità dei prodotti, come avviene per le calzature di
Franco Ballin.
Il secondo ingranaggio che andiamo a conoscere oggi è quello della
distribuzione. Su questo Franco Ballin è molto agguerrito. Ci spiega
infatti che gli standard di produzione ormai sono molto alti in generale ed
è il pezzo finale della filiera ad essere il più delicato. Per fare questo serve
che i produttori facciano aggregazione.
Lo spazio in cui giriamo la nostra intervista è uno show room che infatti
racchiude quattro marchi, e per fare capire quanto sia fondamentale anche
il discorso del chilometro zero nella produzione Ballin ci racconta che in
questo luogo, illuminato con lo stesso impianto di luci delle Olimpiadi di
Tokyo, prima c’erano uffici.
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105. STF
Il tour #calzarevalore di Assocalzaturifici riprende varcando il fiume
Brenta. Arriviamo a Stra, al formificio STF. Ci accoglie a braccia aperte
Andrea Tripodi che rappresenta il ricambio generazionale affiancando il
padre da qualche anno e ora, new entry, l’azienda conta sul grande lavoro
anche della sorella.
Il mercato del formificio è internazionale e lavora a stretto contatto con
aziende locali e straniere. I mercati emergenti, invece sono ancora molto
distanti dal prodotto STF in quanto le forme rimangono un prodotto
pesante e non facile da spedire. La costanza del contatto col cliente è una
complessità rilevante quando si parla di mercati lontani perché proprio la
realtà non è abituata agli alti standard qualitativi del prodotto. Il mercato
di STF è cambiato perché i tempi sono più brevi e i lotti più piccoli ma
è importante stare al passo, essere produttivi, veloci, precisi. I clienti
sono costretti, per primi, a reinventarsi ogni stagione, ogni sei mesi e
di conseguenza il formificio deve continuare con gli stessi standard di
qualità.
La filiera italiana funziona perché il mercato di riferimento finale è quello
mondiale. L’esportazione, aggiunge Andrea Tripodi, aiuta il tutto ma
frena le aziende che invece lavorano sul mercato interno, perché ci sono
evidenti problemi di pagamenti e ordinativi che si ripercuotono in tutto il
processo. La soluzione non è la delocalizzazione per ricreare il gigantesco
tessuto di esperienze, vissuti e dettagli che è il Made in Italy, tantomeno
per le aziende italiane che di base sono medio piccole e familiari: serve
tempo e risorse per questo tipo di progetti.
Il segreto di STF? Il miglioramento costante, porsi sempre un nuovo
obiettivo. Per avere un prodotto di qualità bisogna che la modelleria
sia eccellente, e che tutto il resto del processo non stravolga o cambi il
progetto iniziale: bisogna essere il braccio della mente del cliente. Per fare
questo servono esperienza, insegnamento ai giovani e investimenti in
tecnologia.
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111. BALLIN
Oggi siamo da Ballin, un tiepido sole riscalda il verde veneto, con i canali
della riviera del Brenta che ci accompagnano nel viaggio di #calzarevalore.
Azienda storica del distretto, nata nel 1945 da Giorgio e Guido Ballin.
Ci accoglie nel grandissimo stabile tutto vetro e storia la figlia Gabriella.
Facciamo un rapido giro negli spazi: c’è da perdersi. É tutto molto
luminoso, ampio, frenetico. Oltre ai nostri occhi, il nostro naso rimane
ammaliato: non sentiamo odore di colla o vernice, solo il profumo dei
pellami. Pellami che saranno la carrozzeria delle fuoriserie che Ballin
produce a marchio proprio e per le più importanti maison del lusso.
Nel nostro giro, accompagnati dalla gentilissima Gabriella Ballin,
scoviamo l’heritage del marchio: un museo dell’artigianalità del marchio,
che vede esposti i primi modelli e le prime scatole prodotte. É bellissimo
vedere come gli ambienti anni ’60 siano così ben conservati e soprattutto
fusi nel concept minimal e moderno dello stabilimento che vi è nato
intorno.
Gabriella Ballin ci spiega come sia possibile produrre per il proprio
marchio e per un grande marchio del lusso. Il segreto? Nessuno. La
stessa cura, scelta, artigianalità è presente in entrambi i prodotti. L’altra
arma vincente è avere la coscienza che ormai chi produce calzature è
parte della filiera e al tempo stesso è filiera internamente per se stesso.
Dallo stabilimento non esce solo un determinato numero di pezzi ma si è
fornitore di servizi.
E il vero fiore all’occhiello dell’azienda Ballin, quale è? “Da noi non ci sono
persone che spiegano come fare un prodotto, ma ci sono artigiani che
tramandano ai giovani l’arte della calzatura”. Giovani che sono il futuro
dell’azienda che abbiamo visto lavorare realmente fianco a fianco con le
persone che hanno fatto la storia, la vita, il successo di Ballin.
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117. STONEFLY
#calzarevalore prosegue il viaggio in Veneto, spostandosi verso le zone di
Montebelluna. Oggi ci ospita Stonefly, azienda giovane e già leader del
settore calzature comode e innovative. Ci accoglie Adriano Sartor, che
iniziò questa avventura con Andrea Tomat nel 1993.
“Il successo del marchio Stonefly è stato veloce, come veloci sono
i cambiamenti del mercato in questo momento” spiega Sartor. La
distribuzione infatti sta cambiando soprattutto nei mercati vicini al nostro
che in questo momento non attraversa uno dei momenti migliori. Se il
mercato e la distribuzione cambiano, tutto parte dal cliente: è più attento
al prezzo, più informato sulla qualità e abituato ad effettuare gli acquisti in
maniera alternativa all’ingresso nel punto vendita, che rimane ad un livello
esperienziale nell’intero processo di acquisto. “Un cambiamento epocale
che porterà di sicuro ad un accorciamento della filiera e alla relativa
diminuzione di prezzo che il consumatore vuole vedere” spiega Sartor.
Le aziende cominciano allora ad adeguare la loro struttura a queste
esigenze, sarà necessaria una maggior flessibilità produttiva, accorciando
i tempi di produzione, usando internet come strumento di vendita ma
anche di diagnosi di gusti e richieste. L’azienda poi si trova a lavorare su
nuove competenze, come dimostra il fatto dello sviluppo dei punti vendita
diretti, non più su licenza o tramite multibrand.
Questo avviene anche all’estero e nei mercati emergenti. La cultura e la
distribuzione sono completamente diversi, non esistono piccoli punti
vendita a gestione familiare a cui vendere una calzatura e raccontare una
storia. Per questo tutto il processo va pensato e vissuto con la coscienza
che si sta operando a dodicimila chilometri dalla casa madre, a livello di
vendita ma soprattutto sociale e culturale.
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123. GRISPORT
Continua il viaggio per il grande Veneto. Oggi siamo da Grisport,
immensa azienda del Made in Italy che notiamo subito essere ricoperta
di pannelli fotovoltaici, estesi praticamente come quasi quattro campi da
calcio che in vent’anni risparmieranno all’ambiente diecimila tonnellate
di CO2 e 24 tonnellate di polveri sottili.
Parliamo subito di mercato italiano, Gianni Grigolato ci spiega che senza
dubbio c’è stata una forte tendenza a privilegiare alcuni marchi rispetto ad
altri. Nonostante questo la percentuale di Grisport è rimasta invariata per
i più fidelizzati, grazie al mix di qualità e prezzo competitivo dei prodotti.
Nel mercato europeo invece l’azienda è cresciuta e continua a crescere in
Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca. Ora la sfida è la Cina,
interessante per le grandi potenzialità di acquisto sebbene non sia facile:
serve ricerca e il partner giusto.
L’arma vincente per un buon rapporto qualità prezzo si basa soprattutto
sul fatto di avere un’ottima squadra che lavora in tutta l’azienda e una
grande stabilità economica anche per affrontare un periodo di crisi
come quello che attraversa il nostro paese. Inoltre, dice Grigolato, è
fondamentale avere una filiera che segua e supporti l’azienda in termini
di rapidità e attenzione al mercato, cosa non facile viste le frequenti
chiusure di parti della stessa dovute a crisi di risorse come nel caso di
componentisti o concerie che lasciano un vuoto non facilmente colmabile.
Per Grisport l’importante per un’azienda non è essere uno strumento
finanziario, ma avere un’anima. Un’anima che è fatta da tutte le persone
che ci lavorano quotidianamente con entusiasmo e passione, l’ingrediente
fondamentale per il successo e la creazione di valore.
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129. DE ROBERT
#calzarevalore si rimette in viaggio, oggi la tappa è Saonara e saremo
ospiti di De Robert, azienda storica nella Riviera del Brenta con 50 anni di
esperienza.
Il mercato italiano è cambiato ridimensionandosi e per questo De Robert
si è spostato verso l’esterno anche con l’aiuto delle fiere all’estero come
quelle organizzate da Assocalzaturifici in Cina e Russia per il MICAM.
Siro Badon ci illustra una situazione complessa per quanto avviene sui
mercati esteri. In Europa, le direttive della Comunità Europea non sono
chiare nel sostegno al Made in Italy. Per la nostra produzione, soprattutto
nei paesi BRICS, il problema è la non reciprocità nei dazi con i paesi
stranieri ed è difficile per le aziende affrontare le forti barriere che si
trovano nelle zone più lontane ed emergenti.
Ma come si fa a portare un prodotto di nicchia all’estero? Come anni fa,
quando si partiva con la valigia e si andava alla scoperta della propria
America. Non è facile, gli aiuti sono pochi e vengono maggiormente dalle
associazioni. Non basta avere un buon prodotto, non serve essere solo
forieri del made in Italy: bisogna creare una struttura, un’organizzazione
e non fermarsi. Facciamo allora una domanda provocatoria. I rapporti con
le banche. Badon ci risponde prontamente che l’attuale condizione del
rapporto tra aziende e banche non dipende dal settore calzaturiero. Anzi.
“É proprio la piccola media impresa ad aver sostenuto gli istituti di credito,
perché quando un delegato della banca entra in un’azienda come quelle
del nostro settore, non incontra l’amministratore delegato ma il titolare, i
figli e persone disposte a mettere in gioco tutto quello che hanno costruito
per far fronte ai propri impegni” dice Badon. Il problema nasce quando
tutto questo alle banche non basta più, mancnao di visione d’insieme: non
si guardano più i progetti, le storie, ma il rating. E l’errore principale è non
guardare quelli storici. Dimenticando che soprattutto che le aziende medio
piccole creano ricchezza, creano occupazione e pagano le tasse.
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135. MONTEBELLO
Per la conceria Montebello il mercato italiano è in un momento
complicato. Per l’azienda rappresenta solo il 30% delle vendite e i
fabbricanti italiani, brand e terzisti loro clienti, sono diventati molto
sensibili al prezzo. Inoltre, dal punto di vista finanziario, è sempre più
difficile la trattativa, nonché ottenere assicurazioni sui crediti, i pagamenti
sono sempre più lunghi e bisogna imparare a contrattare anche coi marchi
più alti del settore calzaturiero.
Il mercato europeo invece è stabile, i clienti sono fidelizzati da anni
grazie ad una forte relazione con le persone e i designer che sviluppano
le collezioni dal disegno al prodotto finito, alimentata da continue
visite, eventi, fiere. A queste va aggiunto un servizio costante ed essere
pronti a fare uno sforzo in più, a sviluppare un prodotto in più a
seconda delle esigenze dei clienti, del loro mercato. Qualche nome?
Germania, specializzata in automotive, Spagna, Francia per calzature e
abbigliamento. I mercati emergenti per la conceria Montebello sono in
aumento e i rapporti si vanno intensificando, perché i grandi marchi del
lusso si appoggiano nella produzione sempre più verso l’Oriente.
Vogliamo capire bene le ragioni di un successo così forte per un
componente della filiera della produzione. É fondamentale il rapporto che
si crea a monte con i fornitori per ottenere un prodotto di altissima qualità:
serve un continuo confronto con chi vende il grezzo, i prodotti chimici per
migliorare prodotto e processi. A valle della filiera, invece, è importante
avere uno scambio coi produttori di calzature e accessori in quanto
rappresentano il feedback più vicino al mercato finale: le loro indicazioni
servono alla conceria per costruire l’articolo corretto, prodotti innovativi a
livello qualitativo e che rispecchino le richieste del brand.
Così il primo tour di #calzarevalore termina proprio li dove tutto inizia,
nella conceria. Una delle tre più importanti al mondo. Segno che il valore
e l’unicità della calzatura Made In Italy non nascono nel prodotto finito ma
sono sempre emergenti in ogni luogo della filiera.
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140. www.calzarevalore.com
tutto il tour #calzarevalore su
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141. una produzione
ideazione e realizzazione
photo:
Giulia Manelli
www.giuliamanelli.com
testi:
Andrea Bellomo e Patrizia Grandicelli
editing: Marianne Kaufmann
www.bee-free.it
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