Dal Libro della Genesi
Il peccato
Catechesi guidata da don Sandro Panizzolo.
Testi di commento liberamente tratti dalla Catechesi adulti della diocesi di Como. Redazione del power point: signora Rita Veronese.
2. Il serpente era
il più astuto
di tutti gli animali
selvatici
che Dio aveva
fatto (Genesi, 3,1)
Per troppo tempo la tradizione cristiana,
insistendo sul tema del «peccato
originale», ha trascurato il fatto che il
testo genesiaco (Gen1 e Gen2) presenta il
progetto positivo di Dio sull'uomo e sulla
coppia, progetto che nessun peccato
dell'uomo è capace di frantumare.
I capitoli 2 e 3 della Genesi devono essere
letti come un tutto compatto.
II capitolo 3 si apre presentandoci la
figura del serpente, descritto come "la più
astuta delle bestie selvatiche create dal
Signore Dio". Il testo gioca sul termine
ebraico 'arùm, "astuto", che significa
anche "nudo". Lungo la storia
dell’interpretazione biblica, la figura del
“serpente” andrà via via delineandosi
come forza ostile a Dio e al suo piano, fino
ad essere identificato con “Satana” e
“diavolo”.
IL SERPENTE
Il linguaggio
simbolico del mito
esprime una verità
profonda sull'essere
umano e risponde
alla domanda:
perché il male?
3. …e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto:
“Non dovete mangiare di alcun albero
del giardino”?». (Genesi, 3,1)
L'identificazione tra il serpente di Gen 3 e il diavolo è tardiva e si trova soltanto nel
libro della Sapienza (Sap 2,24) scritto alla fine del I sec. a.C., e nel capitolo 12
dell'Apocalisse. Nel testo genesiaco non c'è alcun cenno diretto al fatto che il serpente
sia il diavolo. Nella cultura cananea il serpente è simbolo connesso ai culti di fertilità,
ed ha a che fare con la magia. Ad ogni modo il serpente rappresenta una tentazione,
una deriva, un pericolo per la fedeltà di Israele al Signore.
Il metodo del serpente è insinuare. Nel dialogo tra il
serpente e la donna scompare il nome proprio di Dio, si
parla di una divinità senza nome. L’assenza di Dio come
interlocutore, ma presente come argomento, è molto
suggestiva … il serpente presume di sapere qualcosa e lo
riferisce in modo scorretto … il suo obiettivo è insinuare,
coinvolgere la donna in un ragionamento perverso.
INIZIA IL DIALOGO
4. Rispose la donna al serpente:
«Dei frutti degli alberi del
giardino noi possiamo mangiare,
ma del frutto dell’albero che sta
in mezzo al giardino Dio ha detto:
Non dovete mangiarne
e non lo dovete toccare,
altrimenti morirete». (Genesi, 3,2-3)
La donna cade nella trappola proprio nel
momento in cui si illude di poter
difendere Dio: anche lei non lo chiama
più per nome e si permette di
modificarne le parole. Infatti scopriamo
come non sia affatto vero che Dio abbia
posto un divieto sull'albero che sta "in
mezzo al giardino".
Alla luce di Gen 2,8-9 quest'albero "in
mezzo al giardino" è in realtà l'albero
della vita e di quest'albero l'uomo può
mangiare!
La donna sta confondendo i due alberi e
pone "in mezzo al giardino" l'albero della
conoscenza del bene e del male; inoltre,
Dio non ha detto che quest'albero non
può essere "toccato", ma soltanto che
non è possibile mangiarne i frutti.
La donna è in realtà caduta nella trappola
del serpente e inizia a vedere Dio come
un ostacolo alla propria libertà.
Quale ALBERO?
Mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto
5. Ma il serpente disse alla
donna: «Non morirete
affatto! anzi, Dio sa che
il giorno in cui voi ne
mangiaste si
aprirebbero i vostri
occhi e sareste come
Dio, conoscendo il bene
e il male». (Gen 3,4-5)
Il serpente torna alla carica: Dio mente, "voi non morirete affatto". Nelle parole del
serpente appaiono i desideri più grandi che l'uomo si è sempre illuso di realizzare:
la vita per sempre ("non morirete affatto!"), il mettersi al posto di Dio ("sarete come
Dio"), il sapere tutto ("i vostri occhi si apriranno"), decidendo da soli della propria
felicità ("conoscerete il bene e il male").
SARETE COME DIO
Qui sta la vera radice di
ogni peccato dell'uomo: il
desiderio di realizzare se
stesso al di fuori di Dio,
sentito come un limite
alla propria libertà.
Alla luce di Gen 1,26, il
testo è persino ironico:
l'uomo, infatti, è già
come Dio, è creato a sua
immagine e a sua
somiglianza. In realtà,
l'uomo vuole sbarazzarsi
di un Dio ritenuto
scomodo e persino
geloso.Masolino da Panicale, Adamo ed Eva. chiesa
del Carmine, Firenze, Cappella Brancacci, XV
sec.
6. Allora la donna vide che
l’albero era buono da
mangiare,
gradevole agli occhi
e desiderabile
per acquistare saggezza.
(Gen 3,4-5)
II serpente è riuscito nel suo intento e la donna mangia così il frutto proibito,
offrendolo poi all'uomo, che neppure pensa di discutere con lei. Il v. 6 osserva come
l'albero fosse appetibile, bello e desiderabile per acquistare saggezza.
Sono le tre tentazioni che Gesù avrà nel deserto (Mt 4,1-11) e alle quali accenna la
prima lettera di Giovanni (IGv 2,16). Gli antichi vi trovano i tre appetiti su cui siamo
sempre tentati: avere (buono da mangiare), valere (gradito alla vista) e potere
(desiderabile per acquistare saggezza). L'uomo stravolge il senso della creazione;
invece di ammirarla e ringraziare il Signore, se ne appropria e la riduce a un oggetto.
Eva – architrave dalla Cattedrale di Autun – XII secolo
LE TENTAZIONI
7. Prese del suo frutto e
ne mangiò,
poi ne diede anche al marito,
che era con lei,
e anch’egli ne mangiò.
(Gen 3, 6)
Adamo sembra assente, ma poi si scopre
che è presente e ascolta la donna: quindi è
complice. Compiuto il gesto si scopre la
sproporzione tra quello che era promesso e
quello che si ottiene.
Aver ascoltato il serpente è stato
certamente un modo per presumere di
essere sapienti senza Dio, in modo
autonomo. Ma dietro il peccato c’è sempre
un carico di promessa sproporzionato …
L’uomo, col suo peccato “originale”,
radice e sorgente di ogni altro peccato,
vuole decidere lui quale sia il bene e
quale sia il male, vuole diventare lui
l’arbitro della morale, rifiutando il
disegno divino.
IL PECCATO
8. Allora si aprirono gli occhi di tutti e
due e conobbero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne
fecero cinture. (Gen 3,7)
La prima conseguenza del peccato è la scoperta
della propria nudità. Eppure l'uomo e la donna
erano già nudi (Gen 2,24). Ciò di cui essi si
accorgono è che adesso, dopo aver distrutto il
rapporto con Dio, non sono più in grado di
accettare la propria verità (nudità). La stessa
sessualità assume un volto negativo e l'uomo
cerca di nascondersi usando la propria abilità
tecnica, intrecciando foglie di fico.
Il peccato segna una svolta radicale. Alle armonie che interessavano tutta la prima
pagina del racconto Jhawista subentrano ora le disarmonie: la relazione con la donna
diventerà aspra e segnata dalla violenza, quella con la natura diventerà faticosa e
quella con Dio sarà infranta.
SI APRIRONO i loro OCCHI
Wiligelmo, il peccato originale.
Cattedrale di Modena, 1099.
9. Poi udirono il rumore dei passi
del Signore Dio che passeggiava nel
giardino alla brezza del giorno,
e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla
presenza del Signore Dio,
in mezzo agli alberi del giardino. (Gen 3,8)
Dio ora ritorna in scena. Il Signore è una
presenza familiare, che cammina nel giardino alla
brezza della sera. Ancora non parla, si ode solo il
rumore dei suoi passi.
Ma il giardino non è più un luogo di incontro;
è adesso un luogo che incute paura, dal
momento in cui l'uomo ha preteso di sfruttarlo.
La stessa persona di Dio appare adesso un
guardiano temibile, dal quale nascondersi.
L’INCHIESTA DIVINA
10. DOVE SEI?
Luisa: perché «dove sei» al singolare e non «dove siete»?
Giovanni: forse Dio si rivolge ad Adamo perché a lui solo
aveva dato l’ordine di custodire il giardino, quando la
donna non era ancora stata creata …
Don Sandro: bisogna andare alla traduzione dall’ebraico,
che dice: «dove tu?» S. Girolamo traduce: «ubi es?»
Effettivamente Dio rivolge la domanda al singolare.
Adriana: è una domanda retorica, Dio cerca
Adamo per fagli prendere coscienza delle
proprie responsabilità.
Rolando: Dio cerca l’uomo per dargli la
punizione, è un Dio severo, che castiga.
Giorgio: la domanda retorica denuncia il
distacco a causa del peccato. Dio vuole far
capire la gravità della colpa e preparare la
punizione.
Giuseppe: si è rotta l’armonia perché l’uomo
si è separato da Dio e Dio, come un principe
severo prepara la punizione.
Giovanni: comincia l’istruttoria del
processo, ma Dio non accusa, la domanda
esprime la carica d’amore che Dio ha nel
cercare l’uomo.
Giorgia: proprio nel momento in cui la
creatura si vuole staccare da Lui, il Creatore
la cerca… cerca la pecorella smarrita
Luciano: l’uomo ha disobbedito e rotto il
rapporto, Dio riallaccia il rapporto, lo cerca
per questo, per farlo avvicinare.
Luigino: è solo una semplice domanda per
iniziare il dialogo.
Il nostro gruppo si divide in
due principali opzioni di
fondo: Dio cerca l’uomo
per:
LA SALVEZZA LA PUNIZIONE
Riflessioni e commenti
11. Ma il Signore Dio
chiamò l’uomo e gli disse:
«Dove sei?». (Gen 3,9)
Di fronte alla fuga dell'uomo, Dio non lancia
accuse, ma cerca di porre l'essere umano di
fronte alle proprie responsabilità: "Dove
sei?". Ora, è evidente che Dio non ha
bisogno di porre una tale domanda, come
del resto Dio non passeggia realmente nel
giardino. La domanda è per l'uomo e
significa: "dove sei arrivato? Che cosa
vorresti fare, adesso?". Dio offre
all'uomo la possibilità di riconoscersi
colpevole, ma l'uomo riesce a confessare
soltanto la propria paura.
Siamo di fronte alla prima
«chiamata» fatta con la domanda:
«Adamo, dove sei?»
Dopo il peccato dell'uomo Dio si
presenta di nuovo come il Dio del
dialogo e della parola di alleanza
riproposta, il Dio che cammina nel
giardino vicino a noi.
IL DIO DEL DIALOGO
12. Rispose: «Ho udito la tua voce nel
giardino: ho avuto paura, perché
sono nudo, e mi sono nascosto».
(Gen 3, 10)
Prima del peccato la nudità era vissuta serenamente perché l’uomo e la donna accettavano
di essere creature di fronte al creatore; dopo il loro tentativo di “diventare come Dio”, la
nudità è avvertita come disonore e deve essere nascosta.
Dalla caduta in poi l’uomo ha bisogno di essere chiamato, ha bisogno di qualcuno che lo tiri
fuori dalle tenebre in cui si getta spesso ingenuamente.
Da questo momento in avanti, il racconto
si trasforma in un processo. Si comincia
con un’istruttoria e un interrogatorio serrato
in cui il Signore si rivela il Giudice
giusto che riesce a demolire le false
difese dell’uomo.
SONO NUDO
Mosaico della Cappella Palatina, Palermo
13. Riprese: «Chi ti ha fatto sapere
che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero
di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai
posto accanto mi ha dato
dell’albero e io ne ho mangiato».
(Gen 3, 11-12)
Dio continua a venire incontro all'uomo: "Che hai
fatto?", ma l'uomo non raccoglie questo
ulteriore invito e risponde contrattaccando: è
stata "la donna che tu mi hai posto accanto!"
In altre parole: io non ne ho colpa e, in fondo, è
tutta colpa tua, perché questa donna io proprio
non te l'avevo chiesta. Qui sta la vera gravità del
peccato dell'uomo: il rifiuto di riconoscersi
colpevole, di assumere le proprie responsabilità.
LA COLPA È DI DIO?
14. Il Signore Dio disse alla donna:
«Che hai fatto?».
Rispose la donna: «Il serpente mi ha
ingannata e io ho mangiato».
(Gen 3,13)
La donna, scarica la sua colpa sul serpente, ma
quest'ultimo non viene interrogato da Dio. La
responsabilità è tutta dell'uomo e della donna;
ancora una volta Dio punta sulla libertà dell’uomo,
ma l'uomo si rivela incapace di usarla.
Si assiste, infatti, da parte della coppia umana, a un curioso tentativo di sottrarsi
alla propria responsabilità. In successione, l’uomo accusa la donna, la donna
accusa il serpente.
È necessario ristabilire la verità, per cui il gesto dell’uomo e della donna
avranno le loro conseguenze.
CHE HAI FATTO?
La condanna. Cupoletta dell’atrio di S. Marco, Venezia
15. La prima sentenza di Dio è
diretta contro il serpente e
appare come una maledizione.
"Maledire" è il contrario di
"benedire", significa pronunciare
una parola efficace per separare
qualcosa o qualcuno dal mondo
di Dio, cioè dalla vita.
L'effetto della maledizione serve, tra
l'altro, a spiegare in modo popolare il
motivo per cui i serpenti non hanno
le zampe. Il testo genesiaco cerca
anche di trovare risposte per noi
ormai ingenue; questo è uno dei
punti in cui cogliamo come la Parola
di Dio passi necessariamente
attraverso la mentalità del tempo nel
quale è stata scritta.
MALEDETTO TUAllora il Signore Dio
disse al serpente:
«Poiché hai fatto
questo,
maledetto tu fra
tutto il bestiame
e fra tutti gli animali
selvatici!
Sul tuo ventre
camminerai
e polvere mangerai per
tutti i giorni
della tua vita.
(Gen 3, 14)
16. Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
(Gen 3, 15)
Caravaggio,
Madonna e Bambino con Sant'Anna, 1605-1606
II v. 15, secondo il testo ebraico, annuncia che
l'umanità (ossia la stirpe della donna) sarà
sempre in lotta con il serpente; mentre
quest'ultimo cercherà di addentare il calcagno
degli uomini, questi cercheranno di
schiacciargli la testa.
"Tutta la storia umana è infatti pervasa da
una lotta tremenda contro le potenze delle
tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del
mondo, che durerà, come dice il Signore, fino
all'ultimo giorno". (Gaudium et Spes, 37)
LA SUA STIRPE
17. La nuova Volgata restituisce il significato originario, traducendo l’ebraico con un
pronome neutro riferito a stirpe. In definitiva, si tratta di sfumature letterarie in
quanto il senso è sempre lo stesso, come ben mette in risalto
S. Giovanni Paolo II: «L'esegesi cristiana (...) vede questo testo come 'protoevangelo'
che preannunzia la vittoria su Satana riportata da Gesù Cristo». (Giovanni Paolo II)
Il versetto Gen 3,15, ha avuto una lunga storia:
letteralmente, in ebraico, il pronome che regge il verbo
«ti schiaccerà» si riferisce al «seme», (zarʿāh in ebraico,
sperma in greco). La traduzione greca dei LXX ha
tradotto il pronome ebraico con autós, maschile,
alludendo al Messia, in ciò seguendo l’interpretazione
degli antichi midrashim. La traduzione latina di
Gerolamo (la Volgata), invece, mette un pronome al
femminile, riferendo così il verbo alla donna.
La tradizione cristiana ha riletto il versetto 15
applicandolo alla Madonna, nuova Eva, che schiaccia il
serpente sotto i suoi piedi.
IL PROTOVANGELO
18. Alla donna disse:
«Moltiplicherò i tuoi dolori
e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ed egli ti dominerà».
(Gen 3, 16)
II v. 16 contiene la sentenza contro la
donna, colpita nel suo essere moglie e
madre: l’uomo domina la donna
nell’ambito domestico e sociale; il parto
è doloroso.
Tutto ciò è visto come un frutto negativo del
peccato, non esisteva nel progetto
originario di Dio.
CON DOLORE
PARTORIRAI FIGLI
19. All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la
voce di tua moglie e hai mangiato
dell’albero di cui ti avevo comandato:
“Non devi mangiarne”,
maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi».
(Gen 3, 17-18)
Dio non cancella la benedizione radicale che rendeva vivo e fecondo l’uomo. Infatti
ora a essere maledetto è il suolo che ritorna simile alla steppa dell’inizio della
Creazione. La terra diventa avara di prodotti; da essa spuntano spine, cardi ed erbe,
per cui il lavoro dell’uomo è duro, fonte di sudore e fatica.
Si vuole così mostrare la frattura dell’armonia tra la terra e l’uomo, tra la materia e
colui che aveva ricevuto l’incarico di "coltivare e custodire" il giardino (Gen 2,15).
MALEDETTO IL SUOLO
20. II v. 19 "polvere sei e polvere ritornerai" è stato spesso travisato; l'uomo sarebbe stato
condannato a morte da Dio in castigo del peccato. In realtà, ciò che cambierà, sarà
il suo rapporto con la morte, che d'ora in poi assumerà un aspetto
tragico e diverrà il segno del suo limite di creatura.
Su questa linea è fondamentale la lettura che di Gen 2-3 farà il libro della Sapienza
(Sap 1,13-14).
«Con il sudore del tuo
volto mangerai il pane,
finché non ritornerai alla
terra, perché da essa
sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere
ritornerai!». (Gen 3, 19)
IN POLVERE RITORNERAI
La condanna. Mosaico della Cupoletta della Genesi
dell’atrio di S. Marco,Venezia
21. L’uomo chiamò sua moglie Eva,
perché ella fu la madre di tutti i
viventi.
Il Signore Dio fece all’uomo e a sua
moglie tuniche di pelli e li vestì.
(Gen 3, 20-21)
La scena della condanna si chiude con due
piccole note di speranza: in primo luogo, il
nome dato alla donna, in ebraico hawwah,
Eva, dal verbo ebraico hayah, "vivere".
Chiamare la donna "Vita", a questo punto
della storia, è segno che non tutto è
perduto.
In Oriente preparare le vesti, segno di
protezione e di dignità, era proprio del padre
di famiglia. Il Signore si preoccupa delle sue
creature che si vergognano della propria
nudità, cioè della propria realtà di creature,
e le riveste come un padre, dando loro una
difesa e un segno di dignità.
LA MADRE DI TUTTI I
VIVENTI
22. Poi il Signore Dio disse:
«Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi
quanto alla conoscenza del bene e del
male. Che ora egli non stenda la mano e
non prenda anche dell’albero della vita, ne
mangi e viva per sempre!».
Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di
Eden, perché lavorasse il suolo da cui era
stato tratto.
(Gen 3, 22-23)
L'uomo ha preteso di essere uguale a Dio.
Ora non dovrà più avere accesso neppure all'albero della vita, perché si
è allontanato da Dio; la morte sarà d'ora in poi sperimentata come una rottura, un
dramma che separa l'uomo dal suo Creatore.
Con il peccato la storia iniziata non si chiude: il Signore è disposto ad andare
avanti in questa relazione, anche se ora in un modo nuovo.
LA CACCIATA DAL GIARDINO
Masaccio: Cacciata di Adamo ed Eva.
Cappella Brancacci, chiesa del Carmine,
Firenze. XV sec.
23. Scacciò l’uomo e pose a oriente del
giardino di Eden i cherubini e la
fiamma della spada guizzante, per
custodire la via all’albero della vita.
(Gen 3, 24)
L’intimità divina è ormai infranta, Dio è ora
un estraneo, isolato nel suo mondo, il
“giardino“ è tutelato dai “Cherubini”, esseri
venerati anche nell’antico Oriente come
spiriti protettori di templi e palazzi reali.
L’immagine fu fatta propria dagli Ebrei (Es.
37, 7-9; Ezechiele 1,10), per esprimere la loro
fede nei sacri ministri di Jawhè.
La spada fiammeggiante, altra figura mitologica, probabilmente immaginata come un lampo che
guizza avanti e indietro, simboleggia l’ira divina, la lontananza dell’uomo da Dio.
Ma, come già si è detto, la via verso l'albero della vita non è chiusa del tutto. L'albero della vita
lo ritroveremo infatti nelle ultime pagine dell'Apocalisse (Ap 22,2.14.19), donato da Dio agli
uomini nella Gerusalemme celeste. Il giardino dell'Eden, dunque, non è perduto per sempre!
I CHERUBINI
24. QUAL È IL MESSAGGIO DI GENESI 1-3?
Giovanni: Dio crea l’uomo come centro del
creato e lo tiene vicino a sé. Quando l’uomo
pecca, Dio lo allontana ma continua a
preoccuparsi di lui, lo veste, ecc. Il male è
l’assenza di Dio, ma non viene da Dio, e non
è l‘ultima parola.
Vera: nonostante il peccato Dio non
allontana l’uomo e lo cerca per salvarlo.
Adriana: mi ha colpito il trattamento diverso
riservato al serpente, che non viene
interrogato ma riceve la punizione maggiore.
Il non dialogo da parte di Dio è un
annientamento del serpente, (del male), ma
fa anche pensare al «misterium iniquitatis»,
che rimane nel mondo.
Risponde Don Sandro: la Chiesa vede nel
serpente il demonio, che è, vedi l’Apocalisse,
(S. Michele Arcangelo: «chi come Dio?»), un
angelo caduto per la superbia. Il demonio
era già stato castigato come angelo ribelle.
Luigino: secondo me, il male ha due origini,
bisogna distinguere tra il male morale e quello
fisico o naturale come le malattie, i cataclismi,
ecc. Quello morale dipende dal libero arbitrio
dell’uomo, il resto è il risultato dell’evolversi
della natura e non è un castigo mandato da Dio.
Rolando: perché un trattamento così diverso tra
angeli e uomini?
Risponde Don Sandro: la risposta è nel CCC al
numero 393: a far sì che il peccato degli angeli
non possa essere perdonato è il
carattere irrevocabile della loro scelta, e non un
difetto dell'infinita misericordia divina. Non c'è
possibilità di pentimento per loro dopo la
caduta, come non c'è possibilità di pentimento
per gli uomini dopo la morte »
Luciano: l’uomo è stato creato buono: perché
non considerare il suo desiderio di conoscere il
bene e il male come una esigenza positiva di
miglioramento di sé?
Risponde Don Sandro: la disobbedienza lo pone
nel peccato di superbia che vuole sorpassare il
limite di creatura per porsi allo stesso livello di
Dio.
RIFLESSIONI E COMMENTI
25. La conclusione di Don Sandro
La Genesi è stata scritta nel post-esilio, quando Israele era disperato per
tutte le vicissitudini negative che aveva dovuto subire. Allora Dio
attraverso lo scrittore sacro fa comprendere al suo popolo che:
L’uomo è stato creato buono, amico di Dio, a sua immagine e
somiglianza, centro della Creazione.
Il male non viene da Dio, non è assoluto, deve essere
demitizzato. Il serpente, personificazione del male, non è una
divinità, è solo una creatura destinata a strisciare e mangiare la
polvere della sconfitta.
Il peccato dipende dalla libertà dell’uomo, dalla sua capacità
di autodeterminarsi, radice del peccato è la superbia.
Dio non si dà per vinto, lo annuncia nel protovangelo, con la
vestizione dell’uomo da Lui compiuta e con la custodia del giardino
affidata ai cherubini per la nuova Creazione.
26. IL DOGMA
DEL PECCATO ORIGINALE
L’analisi si sviluppa in tre punti:
Il punto di partenza attuale: l’insegnamento catechetico, la teologia, la crisi
della presentazione classica del dogma.
I dati della fede: il fondamento biblico, la dottrina dei Padri della Chiesa, il
Concilio di Trento.
I nuclei fermi della dottrina della Chiesa.
DEFINIZIONE DEL PECCATO ORIGINALE
Originante: Un peccato particolare
commesso all’inizio della storia umana
che ha un influsso paragonabile a quello
dell’obbedienza di Cristo in ordine alla
salvezza. Questo peccato ha fatto sì che
tutti gli uomini nascano privi della Grazia e
siano quindi incapaci di dialogare con Dio,
finché non sono inseriti in Cristo mediante
il Battesimo o un atto di carità.
Originato: incapacità di amare Dio sopra
tutte le cose e conseguentemente di
evitare i peccati personali.
M. Buonarroti: il peccato originale. Cappella Sistina
27. IL PUNTO DI PARTENZA
L’insegnamento catechetico
1 Il peccato originale è spiegato nel contesto della
Storia della Salvezza, tra Creazione e Incarnazione.
• Il peccato di Adamo è messo in primo piano.
• Il passaggio da Adamo a tutta l’umanità è spiegato
con le categorie dell’eredità e della trasmissione per
nascita, generazione, ecc.
2 Il peccato originale consiste nella privazione della
Grazia santificante.
Cat. Di S. Pio X: “ Il peccato originale è volontario e
quindi colpa per noi solo perché volontariamente lo
commise Adamo, quale capo dell’umanità.”
3 Conseguenze: la morte e i travagli della vita.
Masaccio: Cacciata di Adamo ed Eva. Cappella
Brancacci, chiesa del Carmine, Firenze. XV sec.
28. LA TEOLOGIA
I catechismi riecheggiano in gran
parte la presentazione del
dogma del peccato originale
fatto dalla Teologia classica della
1^ metà del XX secolo.
Il racconto di Genesi 3 sul peccato originale originante è ritenuto un fatto
storico avvenuto per opera della prima coppia umana da cui tutto il genere
umano discende.
Il testo di Paolo ai Romani fonda il peccato originale originante in quanto
Paolo, riflettendo sulla solidarietà dei redenti in Cristo avrebbe compreso che
la solidarietà della pena deve implicare anche una solidarietà nella colpa. La
rivelazione esplicita del peccato originale originato si troverebbe quindi in
Rm 5, 12-21(19):
“Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché
tutti hanno peccato” …
1
2
A. Durer, 1507: Adamo ed Eva
29. Il riferimento principale della sessione V^ del Concilio di Trento, anno1546
(DS 1510-16), definisce:
a) La realtà del peccato originale originante intesa come un fatto unico,
peccato commesso in un determinato momento del tempo dal primo padre
dell’umanità;
b) L’esistenza del peccato originale originato in tutti gli uomini, inteso come
uno stato che implica sia la privazione dello stato di santità e giustizia in cui
l’umanità era stata costituita prima del peccato, sia il bisogno di un vero e
proprio perdono da ottenersi per mezzo di Cristo nel Battesimo;
c) La completa soppressione di questo peccato nel Battesimo.
4
LA TEOLOGIA (2)
3
Si riconosce che nell’esplicitazione del
dogma Agostino segna una svolta
decisiva. Nella controversia antipelagiana,
infatti, la dottrina del peccato originale
diventa per la prima volta oggetto di
affermazioni conciliari:
Concilio di Cartagine 418 (DS 222-224);
Concilio di Orange 529 (DS 471-472.)
30. il monofiletismo (origine degli uomini da animali della stessa specie), o
il polifiletismo (origine da vari animali di specie diverse).
Anche il magistero ecclesiastico ha riconosciuto in questo la piena libertà
di ricerca agli scienziati.
LA CRISI DELLA PRESENTAZIONE CLASSICA DEL DOGMA
Le difficoltà sollevate dal personalismo
La considerazione della dignità e dell’autonomia della persona umana: non si
ammette più che un singolo possa essere punito per un delitto altrui e
tantomeno che una persona possa essere messa in stato di peccato da una colpa
altrui. Non rifiuto del dogma ma formulazione più corrispondente.
Le difficoltà sollevate dall’evoluzionismo
Oramai è universalmente accettata la teoria
scientifica dell’evoluzione della specie umana.
Quanto all’origine dell’uomo, la discussione
degli scienziati oggi non riguarda più il
Monogenismo (origine di tutti gli uomini da
una sola coppia umana), ma:
31. A Genesi 1-3
L’esegesi ha messo in evidenza
che scopo di Genesi non era di
raccontare con esattezza
protocollare la creazione e che il
racconto non è stato una
rivelazione immediata: si tratta
di un racconto che appartiene al
genere sapienziale ed
eziologico.
Il testo ispirato arriva alla
conclusione che la miseria
attuale dell’umanità ha avuto
origine dal peccato presente
nell’umanità fin dagli inizi, ma
ugualmente fin dagli inizi
superato dalla misericordia
divina che perdona.
IL FONDAMENTO BIBLICO,
LA DOTTRINA DEI PADRI,
IL CONCILIO DI TRENTO
B Rm 5, 12-21
Afferma direttamente
che tutti siamo stati
salvati dal potere della
morte e del peccato
per il tramite di Cristo.
C Il fondamento biblico adeguato.
Il dogma del peccato originale non
è dunque formalmente contenuto
in qualche testo biblico. La scrittura
costituisce il fondamento del
dogma:
•In quanto presenta l’umanità sotto
il dominio del peccato da cui può
liberarsi solo per l’aiuto di Dio.
•Se l’uomo soggiace a tanta miseria,
ciò non è voluto da Dio.
•La peccaminosità universale
dipende da un’inclusione al male
insita nell’uomo.
I DATI DELLA FEDE
IL FONDAMENTO
BIBLICO
32. Afferma che ogni uomo che entra nel mondo
ha bisogno di perdono.
Nelle formulazioni conciliari dobbiamo distinguere tra
intenzione didattica e rivestimento culturale.
Il P.O. originante
1. Se qualcuno afferma che il primo uomo,
Adamo, quando trasgredì il comando di Dio
nel paradiso, non ha perduto
immediatamente la santità e la giustizia,
nella quale era stato costituito e che non è
incorso, per l’offesa della prevaricazione,
nell’ira e nello sdegno di Dio, e perciò nella
morte, che prima gli era stata minacciata da
Dio, e, con la morte, nella schiavitù sotto la
potestà di colui che «della morte ebbe il
dominio» (Eb 2,14), cioè il diavolo, e che
«tutto Adamo per quell’offesa della
prevaricazione non è stato mutato in peggio
secondo il corpo e l’anima» (cfr. Concilio di
Orange):
sia scomunicato.
Il P.O. originato
2. Se qualcuno afferma che «la prevaricazione di
Adamo ha nociuto a lui solo e non alla sua
discendenza», che la santità e la giustizia ricevuta
da Dio, che perdette, egli l’ha perduta per sé
solo e non anche per noi, e che egli, rovinato per il
peccato di disobbedienza, «ha trasfuso in
tutto il genere umano soltanto la morte e le pene
del corpo non invece anche il peccato che è la
morte dell’anima»:
sia scomunicato,
«perché contraddice l’Apostolo che dice: "Per
mezzo di un solo uomo il peccato entrò nel mondo
e attraverso il peccato la morte, e così passò in
tutti gli uomini,in cui tutti peccarono" (Rom 5,12)»
(cfr. Concilio di Orange, can. 2).
IL CONCILIO
DI TRENTO
Riafferma, contro l’insegnamento dei protestanti, che l’uomo,
mediante il battesimo è liberato da ogni peccato esistente in lui.
Descrive geneticamente questo peccato ripetendo il racconto del dramma
di Genesi 2, 3 (che allora non era posto in discussione da nessuno).
Non pochi
teologi pensano
che sia possibile
cercare una
interpretazione
più larga
del racconto
genesiaco,
rimanendo fedeli
all’insegnamento
infallibile.
(Rahner, Grelot e
altri)
33. 3 L’origine del cuore cattivo
La miseria attuale dell’uomo ha origine dal peccato,
mediante il quale egli si è messo in opposizione con i
piani di Dio.
PRINCIPI DI UNA TEOLOGIA
DEL PECCATO ORIGINALE
1 La giusta prospettiva della spiegazione:
non dal peccato originale originante a quello
originato,
ma da Cristo, Salvatore universale. In questa
prospettiva la realtà del peccato è sullo sfondo
CRISTO
è IL REDENTORE NECESSARIO
DI TUTTI I MEMBRI
DELLA NOSTRA UMANITA’,
SENZA IL QUALE NESSUNO
TROVA LA SALVEZZA.
2 La necessità di Cristo Redentore
Esiste una dimensione profonda dei peccati
personali, un male radicale che da Paolo è
chiamato il male dimorante in noi, che ci trascina
irresistibilmente a violare la legge morale
teoricamente giudicata buona (Rm 7,7-25). Da
questa forza di peccato siamo liberi soltanto se
accettiamo di rinascere spiritualmente in Cristo
con la fede e il Battesimo.
G. De’ Menabuoi: la cacciata. Padova,
battistero del duomo. XIV sec.
DATO FONDAMENTALE:
34. Il capitolo quarto contiene tre episodi:
Caino e Abele (vv 1-16);
i discendenti di Caino (vv. 17-24);
la nascita del terzo figlio di Adamo, Set (vv. 25-26).
Il contesto di questi brani presenta una civiltà ben
sviluppata, con l’istituzione del sacrificio come culto a
Dio (vv. 3-4ss.) e l’esistenza di altri popoli (vv. 14-l5ss.).
I tre episodi iniziano tutti allo stesso modo:
Gen 4,1: "Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale
concepì e partorì un figlio... "
Gen 4,17: "Caino conobbe sua moglie la quale concepì e
partorì un figlio..."
Gen 4,25: "Adamo conobbe di nuovo sua moglie, la
quale concepì e partorì un figlio“.
In tutti e tre gli episodi abbiamo un riferimento a una
nascita; in tutti e tre, inoltre, abbiamo un riferimento
alla morte violenta (Gen 4,8.23.25). Il capitolo, perciò,
va letto in stretto rapporto con il capitolo precedente,
del quale richiama temi e vocabolario.
Il capitolo IV
35. Il capitolo quarto della Genesi è noto soprattutto
per l'episodio di Caino e Abele; anche questo
racconto serve a rispondere a una domanda molto
grave: perché nel mondo c'è tanta violenza, tanto
che il fratello diviene capace di uccidere il fratello?
Non è questo l'unico fratricidio narrato nella Bibbia
ma certamente, inserito all'interno della storia
delle origini, diviene un episodio esemplare,
prototipo di tutti gli atti di violenza che l'uomo è
capace di commettere.
CAINO E ABELE
Il capitolo quarto è stato scritto dalla stessa mano dell'autore di Gen 2 e 3. La scena
della tentazione ricorda quella di Gen 3,1-5; il peccato di Caino richiama quello degli
uomini nel giardino (Gen 3,6-7); la domanda di Dio è la stessa: "Dove sei?" (Gen 3,9)
e "Dov'è Abele tuo fratello"? (Gen 4,9) e ancora, in entrambi i casi, "Che hai fatto?"
(Gen 3,11; 4,10). Inoltre, entrambi i capitoli contengono una scena di condanna
sull’uomo; in entrambi i casi il racconto termina con una cacciata (Gen 3,24 e 4,14).
M. Chagall, Caino e Abele
36. Adamo conobbe Eva sua moglie,
che concepì e partorì Caino e disse:
«Ho acquistato un uomo grazie al
Signore». (Gen 4, 1)
Nei primi due versetti vengono presentati i protagonisti
della storia, Caino e Abele. Il nome Qayn, dal significato
incerto, è posto nel testo in relazione con il verbo
ebraico «qanahù», «acquistare». Il grido di gioia di Eva,
alla nascita del primo figlio è, infatti: «Ho acquistato un
uomo dal Signore».
Tuttavia è quasi certo che il nome Caino voglia far
riferimento anche a una tribù ostile a Israele, che
razziava l’area meridionale della terra promessa.
Si trattava dei Keniti, il cui nome è ricondotto appunto a
Caino, come loro progenitore.
Giordano Luca, Adamo ed Eva
con Caino
37. Nessun grido di gioia, invece, quando nasce Abele,
Hebel, il cui nome significa in ebraico "soffio".
È questo un termine che ritorna spesso nei Salmi:
ogni uomo non è che un soffio (cf. Sal 39,7; 62,10;
144,4); hebel è poi il termine che apre il libro del
Qohelet, "Tutto è un soffio (vanità)" (Qo 1,2 ).
Di fronte a Caino, Abele, oltre ad essere il minore,
sembra non valere niente.
I due fratelli sembrano vivere in pace, dividendosi
i compiti che Dio aveva affidato all'uomo nel
giardino, coltivare e custodire (Gen 2,15).
Poi partorì ancora Abele, suo
fratello. Ora Abele era pastore di
greggi, mentre Caino era
lavoratore del suolo.
(Gen 4, 2)
Così Caino è coltivatore, mentre
Abele è pastore, custode di
greggi. Secondo alcuni esegeti
questo racconto può anche
essere stato un’esaltazione della
vita seminomade (Abele), in
contrasto alla vita sedentaria
(Caino prima del delitto) e a
quella strettamente nomade
(Caino dopo Il delitto).
Giordano Luca, Eva con Abele
38. Trascorso del tempo, Caino presentò frutti
del suolo come offerta al Signore,
mentre Abele presentò a sua volta
primogeniti del suo gregge e il loro grasso.
Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma
non gradì Caino e la sua offerta. (Gen 4, 3-4)
La storia prosegue, presentandoci i due fratelli
uniti nel culto rivolto a Dio.
Ma, improvvisamente, scopriamo che il sacrificio
di Abele è gradito a Dio, come ancora ci ricorda
la liturgia cattolica nel Canone romano, mentre
quello di Caino, invece, non lo è.
Molti esegeti si sono adoperati per spiegare questa elezione di Dio: la tradizione
ebraica, seguita da quella cristiana, ha motivato la decisione divina sulla base del
fatto che Caino era cattivo (Eb 11,4; 1 Gv 3,11 -15). Ma è una spiegazione
sufficiente? Il testo non lascia pensare che Caino fosse cattivo e Abele buono.
Traspare qui un tema caro alla Bibbia, quello delle libere scelte di Dio.
L’OFFERTA
Wiligelmo, l’offerta.
Cattedrale di Modena, 1099.
39. Riflessioni e commenti
Giuseppe: si manifesta qui lo scontro tra due culture, quella nomade e quella
stanziale e sembra che Dio preferisca quella del nomadismo pastorale.
Giovanni: Dio sembra preferire il più debole, come
molte altre volte è descritto nella Bibbia.
Rolando: ognuno dei due fratelli ha dato quello che aveva. Forse
Dio stesso, preferendo Abele, ha innescato la gelosia di Caino …
Luigino: forse Dio preferisce il sacrificio di Abele perché, essendo cruento,
è un vero sacrificio. Ma, nel testo, non c’è un vero motivo per cui Dio
preferisca uno dei due: Dio, come dicono i protestanti, salva chi vuole?
Albino: Abele ha presentato le primizie e il grasso, ha dato il
meglio che aveva, l’altro no ….
Cesare: bisogna guardare alla conclusione del
capitolo, dove Dio perdona il peccato …
IL SIGNORE GRADÌ ABELE
40. Il Signore gradì Abele e la
sua offerta, ma non gradì
Caino e la sua offerta.
(Gen 4, 3-4)
Il nucleo del racconto presenta il gradimento
di Dio per il sacrificio di Abele rispetto a
quello di Caino. Nella nota della Bibbia di
Gerusalemme, si legge che la spiegazione
risiede nel significato dei nomi: Caino,
l'acquistato, è scartato di fronte ad Abele, il
soffio.
Siamo di fronte alla libera scelta di Dio, il
Creatore e Signore di tutti i viventi, che entra
nella storia umana “eleggendo” ciò che in
essa appare secondario, “minore” e
insignificante.
È il mistero della scelta divina che
privilegia sempre il minore, Isacco invece di
Ismaele (Gen 21,12-13), Giacobbe invece di
Esaù (Gen 27) e si mette apertamente
dalla parte del più debole.
Mosaico della Cappella Palatina, Palermo. Sec. XIII
41. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era
abbattuto. Il Signore disse allora a Caino:
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il
tuo volto? Se agisci bene, non dovresti
forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene,
il peccato è accovacciato alla tua porta;
verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai
(traduzione più fedele all’ebraico: e tu, dominalo)». (Gen 4, 5-7)
L’elezione non è esclusione, ma lo diventa nel momento in cui Caino dà credito ai
sentimenti di invidia. Ormai il peccato è sulla soglia, e sembra sul punto di aggredire
Caino, ma Caino è di nuovo circondato di attenzione, Dio spende una parola per lui.
Notiamo che è con Caino che il Signore dialoga, non con Abele. Ma Caino non
accoglie l'invito a dominare il peccato, che il v. 7 descrive "accovacciato alla porta",
come fosse un animale feroce pronto a sbranare l'uomo (cfr. Sir 27,10: "Il leone sta
in agguato della preda; così il peccato di coloro che praticano l'ingiustizia“).
Il peccato non è tuttavia invincibile; Dio richiama l'uomo al dominio di se stesso.
IL PECCATO È ACCOVACCIATO
ALLA TUA PORTA
42. La narrazione dell’episodio dell'uccisione di Abele da parte di Caino, si sviluppa su quattro
scene, nelle quali è utile vedere la successione dei personaggi; tra parentesi è indicato
quante volte ricorre il nome del personaggio in quella determinata scena:
Prima scena: 4,1-5 Caino (5x) Abele (4x) Dio (3x)
Fraternità
Seconda scena: 4,6-7 Caino (1x) Dio (1x)
Tentazione (invidia)
Terza scena: 4,8 Caino (2x) Abele (2x)
Rottura (omicidio)
Quarta scena: 4,9-16 Caino (5x) Abele (1x) Dio (4x)
Giudizio
Da questo quadro è possibile trarre alcune conclusioni interessanti: la prima, che Caino è
l'unico personaggio sempre presente sulla scena. Anche Dio sembra essere sempre
presente; nell'unico momento, però, in cui egli scompare (v. 8), Caino uccide suo fratello.
Si osservi ancora come il narratore ci faccia ascoltare il nome "Caino" per ben 14 volte (la
14a in Gen 4,17), mentre il nome di Abele ricorre la metà, sette volte (la 7a al v. 9). Chi vale
dunque di più? Apparentemente Caino sembra valere il doppio di Abele.
L’UCCISIONE DI ABELE (Gen 4,1-16)
43. Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano
in campagna, Caino alzò la mano contro
il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore
disse a Caino: «Dov’è Abele,tuo fratello?».
Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il
custode di mio fratello?». (Gen 4, 8-9)
La quarta ricorrenza del termine "fratello"
coincide con l'ultima ricorrenza del nome
Abele, al v. 9, quando Dio chiede a Caino:
"Dov'è Abele tuo fratello?". Questa domanda
costituisce così la chiave di volta di tutto il
testo; che Caino non accetti di riconoscersi
responsabile del proprio fratello è cosa quasi
più grave dell'omicidio stesso, o, meglio, ne è
la causa scatenante.
CAINO ALZÒ LA MANO
Gen 4 costituisce un ampliamento
del peccato di Gen 3; abbandonato
Dio e distrutto il rapporto di
comunione all'interno della coppia
e con la natura, l'uomo distrugge
anche il rapporto di fraternità e
vede l'altro come un ostacolo da
eliminare.
44. Riprese: «Che hai fatto?
La voce del sangue di tuo
fratello grida a me dal
suolo!»
(Gen 4, 10)
La storia del primo assassinio, emblema di tutta quella catena di sangue che
attraversa nei secoli l’umanità, è modellata sullo schema della narrazione del
peccato di Adamo.
Alla domanda incalzante di Dio l’uomo cerca di sottrarsi, mentendo e rifiutando ogni
legame col fratello. Ma, secondo una vigorosa immagine cara alla Bibbia, il sangue
versato “grida a Dio dal suolo”, esigendo giustizia (per evitare questo “grido” si usava
coprire con sabbia o terra il sangue degli uccisi).
Il tema del sangue dell'innocente che dalla terra grida a Dio per avere giustizia è
frequente nella Bibbia (Mt 23,33-36; Eb 12,24); la voce dell'innocente è ascoltata dal
Signore (Es 2,23-25). Abele diviene così il simbolo di ogni vita spenta a causa della
violenza e dell'odio, ma della quale Dio si prende cura.
Avorio salernitano, sec XI. Louvre, Parigi
45. «Ora sii maledetto, lontano dal
suolo che ha aperto la bocca
per ricevere il sangue di tuo
fratello dalla tua mano.
Quando lavorerai il suolo, esso
non ti darà più i suoi
prodotti: ramingo e
fuggiasco sarai sulla terra».
(Gen 4, 11-12)
La conseguenza per Caino è in una triplice condanna: prima di tutto la maledizione,
cioè la lontananza da Dio e dal mondo della vita; poi la rottura del rapporto positivo
con la terra, già peraltro anticipata nella condanna di Gen 3,17-18. Inoltre, la
condizione di esule e fuggiasco che caratterizzerà Caino, "esule" (in ebraico nòd) nella
terra di Nod (v. 16).
La punizione dell'omicida sono il rimorso e la solitudine che lo accompagneranno
per tutta la vita: "il malvagio fugge anche se nessuno lo insegue" (Pr 28,1).
SII MALEDETTO
G. Doré, morte di Abele
46. Disse Caino al Signore:
«Troppo grande è la mia colpa per ottenere
perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo
e dovrò nascondermi lontano da te;
io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra
e chiunque mi incontrerà mi ucciderà».
Ma il Signore gli disse:
«Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà
la vendetta sette volte!». (Gen 4, 13-15)
Caino non viene abbandonato da Dio, che lo protegge dalla vendetta: nessuno potrà
uccidere Caino (cfr. Mt 5,21-26). Anzi, l‘uccisione arbitraria dell'omicida è,
paradossalmente, considerata più grave: questo è il senso della vendetta divina che
colpirà sette volte tanto chi oserà attentare alla vita di Caino (cfr. Sal 79,12).
Dopo aver condannato il peccatore, Dio non lo abbandona al suo destino ma lo tutela
accogliendolo sotto la sua suprema giurisdizione a cui appartengono tutte le vite,
anche quelle dei criminali. Secondo i Midrash ebraici, sette volte significa fino alla
settima generazione.
Wiligelmo, Caino uccide Abele e la punizione di Dio.
Cattedrale di Modena, 1099.
TROPPO GRANDE È LA MIA COLPA
47. Targûm: traduzione aramaica dei
testi ebraici della Bibbia.
Cesare: c’è molta differenza di significato tra traduzioni
diverse, ad esempio tra «Troppo grande è la mia colpa
per ottenere perdono» (CEI 2008) e «Troppo grande è
la mia colpa per meritare il perdono» (Ed. S. Paolo,
2010). In ogni caso, sembra che Caino riconosca il
proprio peccato e che per questo possa essere
perdonato da Dio.
Riflessioni e commenti
Don Sandro: se confrontiamo le traduzioni con il testo
ebraico, troviamo che Caino dice semplicemente:
«Troppo grande è la mia colpa da portare».
Luciano: perché uccidere Caino è più grave e più
punibile del peccato di Caino?
Don Sandro: Dio non vuole la vendetta, ogni vita
appartiene a Lui e nessuno può mettersi al suo posto,
solo a Lui spetta fare giustizia.
Giovanni: Dio vuole dissuadere l’uomo dalla violenza,
fermare il ciclo degli omicidi per vendetta.
48. Il Signore impose a Caino un segno, perché
nessuno, incontrandolo, lo colpisse.
Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a
oriente di Eden.
Il "segno" posto su Caino è il segno della misericordia divina che protegge anche
l'omicida, senza giustificarne l'azione e senza escluderne la punizione.
È un segno che sfugge alla logica umana; solo Dio è capace di perdonare, senza con
questo legittimare il male.
Caino “erra” nel paese di Nod, un vocabolo che in ebraico
allude appunto al “vagare” qua e là senza meta.
A questo punto si accendono in Caino il pentimento e la
paura. Egli si sente solo e indifeso, emarginato e senza la
protezione della famiglia o della tribù.
Ecco allora che Dio, come aveva rivestito di pelli Adamo ed
Eva, dona a Caino un segno di protezione, “affinché
chiunque lo incontrasse non lo uccidesse”.
49. Riflessioni e commenti Il Signore impose a Caino un SEGNO
Don Sandro: il vocabolo ebraico è tradotto con il greco semèion e il latino signum.
Anche nel Vangelo di Giovanni i miracoli di Gesù sono chiamati segni. Invece il marchio
della bestia in Apocalisse è reso con la parola kàragma (mentre il sigillo dello Spirito è
sfraghìs). Dunque il segno che Dio mette a Caino è un elemento positivo.
Annamaria: il segno non è un marchio di infamia, ma indice della misericordia di Dio.
Luigino: Dio ha posto su Caino un segno perché gli altri lo rispettassero …
Giovanni: ho trovato una versione che suppone che il segno sia un
tatuaggio, come era d’uso presso i popoli keniti; esegeti ebraici lo
immaginano come un corno che fa assimilare Caino ad un animale. Altre
versioni pensano il segno come indice di un’appartenenza ad una tribù, ecc.
Cesare: ho trovato una Bibbia a fumetti per bambini che interpreta il segno
di Caino con una mezzaluna, alludendo ai musulmani.
Albino: alcune tradizioni dicono che il segno erano le sopracciglia unite …
Don Sandro: è plausibile che il segno faccia riferimento ai tatuaggi (o acconciature dei
capelli o delle vesti) dei popoli keniti; qualcuno ipotizza che sia avere la pelle nera, ma
è un’ipotesi razzista da rifiutare. Un Targum immagina il segno come l’impressione di
una delle lettere del Nome di Dio, Jawé. Non sembra che ci siano appigli sufficienti per
scegliere in modo certo un’ipotesi piuttosto che un’altra.
50. Ora Caino conobbe sua moglie,
che concepì e partorì Enoc; poi
divenne costruttore di una città, che
chiamò Enoc, dal nome del figlio.
A Enoc nacque Irad; Irad generò
Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl
e Metusaèl generò Lamec.
Lamec si prese due mogli: una
chiamata Ada e l’altra chiamata Silla.
(Gen 4, 17-19)
La lista dei discendenti di Caino, è in realtà un tentativo popolare di spiegare
l'origine della civiltà urbana e dei mestieri. L'uomo arriva alla civiltà non grazie
all'operato di qualche dio, come nei racconti del Vicino Oriente Antico, ma grazie
alle proprie capacità. Nasce così la prima città, con Enoc, il cui nipote Mecuiaèl
significa "Dio è distrutto"; la città, come vedremo a proposito di Babele, è spesso
segno di un potere politico che si contrappone a Dio.
Lo ziqqurat di Uruk (3000 a c?)
LA DISCENDENZA DI CAINO
51. Ada partorì Iabal: egli fu il padre
di quanti abitano sotto le tende
presso il bestiame.
Il fratello di questi si chiamava
Iubal: egli fu il padre di tutti i
suonatori di cetra e di flauto.
Silla a sua volta partorì Tubal-Kain,
il fabbro, padre di quanti lavorano
il bronzo e il ferro.
La sorella di Tubal-Kain fu Naamà.
Gen 4, 20-22
Nei vv. 20-22, vengono evidenziate le origini
delle arti e dei mestieri, che vengono
ricondotte al clan di Caino.
* IUBAL (il cui nome in ebraico rimanda alla
tromba o al corno), è il padre della musica.
* TUBALKAIN (il cui nome rimanda a un
popolo sito in una regione mineraria) è il
padre dei fabbri.
* IABAL, sembra essere l’iniziatore dei
grossi proprietari di bestiame.
* NAAMA (sorella di Tubalkain) , la “bella”,
l’“affascinante”, potrebbe discretamente
alludere alle donne di piacere.
Semiti in Egitto, Beni Hasan, Egitto
NASCE LA CIVILTÀ
52. Lamech disse alle mogli:
«Ada e Silla, ascoltate la mia voce;
mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire.
Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura
e un ragazzo per un mio livido.
Sette volte sarà vendicato Caino,
ma Lamech settantasette».
(Gen 4, 23-24)
Questo canto della violenza fa risaltare
l’equilibrio della legge del taglione che regolava
in parità le tensioni (“occhio per occhio, dente
per dente”). Ma, soprattutto, fa brillare il detto
di Cristo che allude proprio a questo passo.
Pietro è pronto a perdonare fino a sette volte;
Gesù replica: “Non ti dico fino a sette volte, ma
fino a settanta volte sette” (Mt. 18, 21-22).
La vendetta e la poligamia sono
incarnati in LAMECH, un eroe del
deserto. La vendetta non deve
conoscere limiti. Dio puniva
l’ingiustizia contro Caino “sette
volte”, cioè in modo perfetto
(secondo il simbolismo dei numeri),
Lamech, invece, si vendica senza
limiti, andando oltre ogni confine: Il
“settantasette” volte indica un
numero infinito.
Lamech con le due
mogli. Cappella
Palatina, Palermo
LA VENDETTA di LAMECH
53. Adamo di nuovo conobbe sua moglie,
che partorì un figlio e lo chiamò Set.
«Perché – disse – Dio mi ha concesso un’altra discendenza
al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso».
Anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. A quel tempo si
cominciò a invocare il nome del Signore. (Gen 4, 25-26)
A QUEL TEMPO SI COMINCIÒ A INVOCARE
IL NOME DEL SIGNORE
Adamo ed Eva diventano genitori di un nuovo figlio, SET, il cui nome
è spiegato liberamente nell’invocazione successiva: Dio ha dato (in
ebraico Shet (Set) e shat “dare”, “accordare”). Set, “dono di Dio”,
sostituisce la perdita di Abele. Set genererà Enos, che in ebraico è un
altro termine per designare un “uomo fragile e debole”.
Il racconto si chiude con la descrizione delle origini del culto: il nome di Jahwè
(Signore) fu rivelato solamente più tardi (Esodo, 3,14 e 6,2) ma l’autore della tradizione
Jahwista usa questo nome fin da principio identificando così, esplicitamente, il Dio di
Israele con il Creatore.
Forse l’autore sacro Jahwista vuole dirci (v. 26b) che l’uomo era in grado di adorare
l’unico Dio fin da principio.
54. Questo è il libro della discendenza di Adamo.
Nel giorno in cui Dio creò l’uomo, lo fece a
somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò,
li benedisse e diede loro il nome di uomo
nel giorno in cui furono creati.
Adamo aveva centotrenta anni quando generò
un figlio a sua immagine, secondo la sua
somiglianza, e lo chiamò Set.
(Gen 5,1-3)
Il testo ricorda Gen 1, 26-28.
Notiamo come il testo si esprime:
“Dio li chiamò adam, esseri umani
quando furono creati”; di nuovo si
ricorda come Dio crei l’umanità
come coppia, e la crei a sua
immagine e a sua somiglianza. La
stessa cosa è detta di Adamo, che
genera un figlio a sua immagine e
a sua somiglianza.
Ciò significa che l’essere immagine
e somiglianza di Dio non si perde
con il peccato e che la storia
dell’uomo continua sotto il segno
della vita e in obbedienza
all’invito di Dio in Gen 1, 28.
Questo ci dice, tra l’altro, che Gen
5, 1-3 appartiene alla stessa mano
di chi ha scritto Gen 1, 1-2, cioè
alla tradizione sacerdotale.
DIO CREÒ L’UOMO
Antelami, creazione della donna. Duomo di Orvieto
55. 15Maalalèl aveva sessantacinque anni quando generò Iered;
16Maalalèl, dopo aver generato Iered, visse ancora ottocentotrenta
anni e generò figli e figlie. 17L’intera vita di Maalalèl fu di
ottocentonovantacinque anni; poi morì.
3Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua
immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set. 4Dopo aver
generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e
figlie. 5L’intera vita di Adamo fu di novecentotrenta anni; poi morì.
6Set aveva centocinque anni quando generò Enos; 7dopo aver
generato Enos, Set visse ancora ottocentosette anni e generò figli e
figlie. 8L’intera vita di Set fu di novecentododici anni; poi morì.
9Enos aveva novanta anni quando generò Kenan; 10Enos, dopo aver
generato Kenan, visse ancora ottocentoquindici anni e generò figli e
figlie. 11L’intera vita di Enos fu di novecentocinque anni; poi morì.
12Kenan aveva settanta anni quando generò Maalalèl; 13Kenan,
dopo aver generato Maalalèl, visse ancora ottocentoquaranta anni e
generò figli e figlie. 14L’intera vita di Kenan fu di novecentodieci
anni; poi morì.
LA GENEALOGIA DA ADAMO A NOÈ
56. 25Matusalemme aveva centoottantasette anni quando generò Lamec;
26Matusalemme, dopo aver generato Lamec, visse ancora
settecentoottantadue anni e generò figli e figlie. 27L’intera vita di
Matusalemme fu di novecentosessantanove anni; poi morì.
28Lamec aveva centottantadue anni quando generò un figlio 29e lo chiamò
Noè, dicendo: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre
mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto». 30Lamec, dopo aver
generato Noè, visse ancora cinquecentonovantacinque anni e generò figli e
figlie. 31L’intera vita di Lamec fu di settecentosettantasette anni; poi morì.
18Iered aveva centosessantadue anni quando generò Enoc; 19Iered,
dopo aver generato Enoc, visse ancora ottocento anni e generò figli e
figlie. 20L’intera vita di Iered fu di novecentosessantadue anni; poi morì.
21Enoc aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. 22Enoc
camminò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse ancora per
trecento anni e generò figli e figlie. 23L’intera vita di Enoc fu di
trecentosessantacinque anni. 24Enoc camminò con Dio, poi scomparve
perché Dio l’aveva preso.
32Noè aveva cinquecento anni quando generò Sem, Cam e Iafet.
57. Queste genealogie non
hanno valore storico:
basti pensare che Lamec,
in Gen 4,18 è
discendente di Caino, in
Gen 5,26, invece, di Set;
la stessa cosa vale per
Enoc (Gen 4,17 e 5,18);
le diverse genealogie
presenti in Gen 1-11
(Gen 4,17-23; 5; 10;
11,10ss) provengono da
fonti e tradizioni diverse
ed è impossibile metterle
d'accordo tra loro.
Nelle letterature antiche è
frequentissimo il ricorso a
questo tipo di testi, non
rari neppure nel Nuovo
Testamento (si pensi alla
genealogia di Gesù
contenuta in Mt 1,1-17
e Lc, 3).
Nel mondo sumerico, ad
esempio, la storia del
popolo si basava su
genealogie di re mitici di
un'epoca lontana,
considerati semidei, vissuti
anche 30.000 anni di età
per ciascuno.
Gen 5 contiene una lista di 10
nomi, da Adamo a Noè,
narrati con uno schema fisso:
di ogni patriarca si dice
a che età ha generato un
figlio,
quanti anni ha vissuto
dopo,
quanto è vissuto in totale.
Dieci nomi in tutto, come li
troviamo nelle liste
sumeriche dei re di un
lontano passato.
Di tutti i figli generati ci si
ferma solo su quello dal
quale nascerà, alla fine, Noè.
IL SENSO DELLE
GENEALOGIE GENESIACHE
Wiligelmo: Lamec uccide Caino.
Cattedrale di Modena, 1033
58. Queste liste hanno tre scopi:
1 - creare una cornice cronologica nella quale situare il racconto,
agganciandolo a un quadro ritmato dalla nascita e dalla morte di uomini
concreti (anche se tali uomini non sono realmente esistiti);
2 - creare un senso di continuità storica: è un tentativo di
ritrovare le proprie radici. La genealogia mostra i legami con gli antenati,
sottolineando così l'esistenza di una continuità tra le generazioni;
3 - scopo teologico: fine di queste liste, infatti, è quello di concen-
trarsi su un solo ramo della discendenza; da Adamo a Noè (cap. 5) e da
Noè ad Abram (capp. 10-11).
La storia della salvezza passa attraverso le persone e
il progetto di Dio si concentra alla fine su Israele.
LO SCOPO DELLE GENEALOGIE
59. Un particolare interessante nelle genealogie genesiache è il ricorso al
simbolismo numerico; nella genealogia del capitolo 5, da Adamo a Noè, l'età
degli uomini è compresa, infatti, tra i 700 e i 969 anni; nessuno arriva alla
pienezza della vita, a mille anni (cfr. Sal 90,4).
Da Noè ad Abramo (Gen 11,10ss) l'età è comparata tra i 600 e i 200 anni circa,
per poi abbassarsi ancora con Abramo, Isacco e Giacobbe a 120 anni: (cfr. Gen
6,3), e infine attestarsi sugli attuali 70-80 anni (Sal 90,10).
È chiaro che non si tratta di numeri reali; la diminuzione progressiva
dell'età dell'uomo coincide, in realtà, con il progressivo allontanarsi
da Dio, fonte della vita.
Così il padre di Noè, Lamec (Gen 5,31) vive 777 anni, tre sette,
segno di perfezione, e Enoc, uomo di fede, vive "solo" 365 anni, ma
in realtà vive un anno per ogni giorno dell'anno, una vita piena e
perfetta.
IL SIMBOLISMO NUMERICO
60. ENOC CAMMINÒ CON DIO
ENOCH occupa un posto di rilievo nella
tradizione biblica. I suoi anni (365)
corrispondono al numero dei giorni del
calendario solare; la sua vita è caratterizzata
da uno speciale rapporto con Dio (“camminò
con Dio”); la sua morte non fu come quella
degli altri uomini: (“Dio lo aveva preso”).
Il verbo ebraico qui tradotto con l’ ”essere
preso” implica l’ “assunzione” in Dio, ed è
diventato segno dell’immortalità beata in Dio.
La sua vicenda è ricordata in Siracide 44,16
(“Enoch piacque al Signore e fu portato in
cielo”) e Sir. 49,14 (“Nessuno fu creato sulla
terra uguale ad Enoch, perciò fu fatto
ascendere dalla terra”), nel Libro della
Sapienza 4, 10-11 (“Divenuto gradito a Dio, fu
da lui amato…”) e nella Lettera agli Ebrei
11,3 (“per la fede Enoch fu trasportato in
modo da non vedere la morte”).
Lo stesso verbo verrà usato per
l’assunzione al cielo del profeta Elia
(II Re 2,11-12). Nel “Libro di Enoch”
(testo giudaico apocrifo del II sec.
a.C.) viene descritto il suo
“rapimento” in cielo e presentate le
rivelazioni che egli ebbe sul futuro di
Israele e dell’umanità.
61. Adamo 930 anni
Set 912 anni
Enos 905 anni
Kenan 910 anni
Malaalalel 810 anni
Iered 962 anni
Enoc 365 anni
Matusalemme 969 anni
Lamec 777 anni
Noè
Sem, Cam, Jafet
anni 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800
Comparazione degli ANNI DEI PATRIARCHI ANTIDILUVIANI
62. Riflessioni e commenti
COME INTERPRETARE I NUMERI DEI PATRIARCHI?
Adriana: possibili spiegazioni:
Il redattore voleva istituire un paragone con la storia dei monarchi mesopotamici che vivevano
decine di migliaia di anni, perché considerati dei semidei; ciò contribuisce a creare l’idea
dell’esistenza di un’età dell’oro. Inoltre se si considera che Adamo visse fino alla nascita di
Lamech, questo implica che la storia delle origini è basata quasi fino all’ultimo su una
testimonianza diretta.
I numeri non sono casuali: il sistema di calcolo è quello sessagesimale (su base 60) che era
allora utilizzato dai babilonesi e che sopravvive ancora, ad esempio, nel calcolo del tempo e dei
gradi di un angolo.
I patriarchi sono 10: il numero è significativo ed è tra l’altro uguale a quello dei re babilonesi. Il
5°, Maalaleel, muore nel 1290, 366 anni prima del diluvio, avvenuto nel l’anno 1656 da Adamo.
Confrontando poi questa genealogia da Adamo-Set con quella da Adamo-Caino, colpisce che il
7°discendente sia in questa il malvagio Lameck, in quella il giusto Enoch, che ‘camminò con Dio’,
come il 7° re antidiluviano della tradizione babilonese.
Giuseppe: Genesi, nel periodo che stiamo esaminando, è senz’altro un documento
“metastorico” per cui ritengo poco utile dilungarsi nella ricerca del significato delle età; con i
numeri si possono trovare numerosissime combinazioni che però a nulla ci potranno portare. La
tradizione mesopotamica ci mostra come sia uso comune all’epoca esaltare in maniera
iperbolica l’età dei grandi personaggi quasi fossero vissuti in una mitica età dell’oro. Una ipotesi
di tipo antropologico potrebbe essere che questi 10 nomi sono capostipiti di tribù e quindi nella
loro vita riassumono in qualche modo tutti gli eventi della stessa.
63. Albino: probabilmente, secondo alcuni autori, si
riferivano alle fasi lunari, più lunghe dell’anno solare …
Giovanni: La genealogia riportata dall'autore sacro, che va da Adamo a Noè, non ha tanto
lo scopo di gettare un ponte tra la creazione e il diluvio, ma di creare una transizione tra la
creazione degli uomini (5,1-2) e la storia dell'umanità. L'uomo è la creatura che si estende
nel tempo in forza della benedizione del suo creatore (siate fecondi e moltiplicatevi...).
Nel descrivere la vita di ciascun patriarca, l'autore, usa frasi costanti all'interno delle quali
troviamo delle variabili (ritmo di concepimento e nascita, durata della vita e morte).
Sembra voglia dire che la storia è fatta dalle creature (sempre uguali) e dal mutare dei loro
comportamenti. La longevità dei patriarchi dà la sensazione che il genere umano sia molto
più antico di quanto normalmente lasciano intendere le genealogie.
Riflessioni e commenti
Don Sandro: l’interpretazione del conteggio degli anni secondo le fasi lunari e quello
sessagesimale non sono attendibili, perché il genere letterario dei primi undici capitoli della
Genesi è quello dell’eziologia metastorica. I personaggi non sono reali, tantomeno la loro
età. La tecnica raffinata dei numeri serve a dare significato al racconto, significato che
sfugge a noi ma che era ben noto all’epoca del post esilio, quando la Genesi fu scritta
fondendo insieme varie fonti, quella jawista e quella sacerdotale ma anche altre. Il
messaggio è sapienziale: la differenza di contenuto tra genealogie, negativo in Adamo via
Caino e positivo in Adamo via Set porta a comprendere che Dio non si stanca di riprendere
il dialogo con l’uomo.
64. Quando gli uomini cominciarono
a moltiplicarsi sulla terra
e nacquero loro delle figlie,
i figli di Dio videro che le figlie degli
uomini erano belle e ne presero
per mogli a loro scelta.
(Gen. 6, 1-2)
I primi quattro versetti del
capitolo sesto costituiscono il
preludio al racconto del diluvio.
Il tema generale è quello della
progressiva corruzione
dell'umanità, dopo:
il peccato,
l'uccisione di Abele,
il canto di vendetta di Lamec.
I FIGLI DI DIO
Questi versetti, più degli altri testi sinora letti,
utilizzano il linguaggio del mito e costituiscono
una piccola unità a se stante in cui l'autore
sacro continua a mostrare il progressivo
irrompere del disordine e della violenza nel
triplice rapporto dell'uomo con Dio, con l’altro
uomo e con la natura.
A questo si aggiunge un tentativo nuovo di
mescolare il divino con l'umano, un
tentativo di essere simile a Dio.
65. Allora il Signore disse:
«Il mio spirito non resterà sempre
nell’uomo, perché egli è carne
e la sua vita sarà di centoventi
anni».
(Gen. 6, 3)
La Bibbia annota che l’uomo resta “carne”,
legato al tempo. Infatti ai 969 anni di
Matusalemme e alle centinaia di anni dei
personaggi citati nel cap. 5, si oppongono ora
i 120 anni, una durata della vita ben più
realistica, mentre il Salmo 90,10 affermerà
che: “gli anni della nostra vita sono 70 e 80
per i più robusti”.
I racconti mitologici sono usati
dall’autore biblico (Gen. 6, 1-4) per
indicare un comportamento
prepotente, che mira a scavalcare i
limiti delle regole armoniche del
creato fissate da Dio.
Limitando la vita dell'uomo a 120
anni (Gen 6,3) Dio pone gli esseri
umani di fronte alla loro
condizione di creature mortali.
GLI ANNI DELL’UOMO
66. C’erano sulla terra i giganti
a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle
figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi
gli eroi dell’antichità, uomini famosi. (Gen. 6, 4)
Due miti, in particolare, stanno alla base di Gen 6,1-4.
Il primo è quello sulla caduta dei "figli di Dio", esseri semidivini che, nelle tradizioni
orientali, irrompono sulla terra spinti dal desiderio sessuale e divengono così
demoni.
Il secondo è il mito sui giganti, esseri a metà tra l'umano e il divino, come i Titani
della mitologia greca, che sono il frutto di unioni tra gli esseri celesti e le donne.
Chiesa del Tau, Pistoia: I Giganti sposano le “figlie” degli uomini.
I FIGLI DI DIO
SI UNIVANO
ALLE FIGLIE
DEGLI
UOMINI.
67. Riflessioni e commenti
CHI SONO I FIGLI DI DIO?
Luigino: ho trovato molte risposte, nessuna mi ha convinto. Alcuni
dicono che fossero Angeli decaduti, altri, uomini malvagi, predoni,
giganti…
Giovanni: nephilim, cioè giganti intesi anche come figli di Dio, angeli
caduti ( o discesi, da iarad = scendere giù). Il significato cambia
notevolmente se si usa l’uno o l’altro verbo.
Porta dei leoni a Micene.
Sec. XVI a. C.
Emanuela: dobbiamo pensare che siamo nel mito; le civiltà
circostanti, nella stessa epoca, avevano miti simili, in cui c’è il
rapporto stretto tra dei e uomini. Gli ebrei hanno mutuato le loro
credenze …
Don Sandro: bisogna distinguere: i figli di Dio,
nell’interpretazione più seguita, sarebbero angeli decaduti che
si uniscono a donne. I figli di queste unioni sono i giganti. Ad essi
sono attribuite le mura ciclopiche e altri monumenti megalitici.
Ma dobbiamo chiederci: perché, nel V° secolo, quando c’era la
coscienza dell’unico Dio, l’autore sacro usa questi miti?
Che cosa vuole dirci, quale verità vuole veicolare con questi
racconti? Vuole dimostrare la corruzione dell’umanità ma anche
della corte celeste.
68. La Bibbia non parla di “dei” ma dei “figli di Dio” che, nel
linguaggio biblico, sono i membri del consiglio della
corona di Dio, cioè gli “angeli”. E’ per questo che alcune
tradizioni posteriori hanno interpretato il brano come il
racconto della “caduta” degli angeli e della conseguente
origine dei demoni.
E chi sono i misteriosi “Giganti”?
Nella Bibbia vengono chiamati con il termine “Nephilim”
tradotta in “giganti” dall’aramaico “naphil”; essi
rimangono una delle figure più enigmatiche della Bibbia.
GLI ANGELI DECADUTI
e i NEPHILIM
Caduta degli angeli, 1340
Parigi, Louvre
Giganti ed eroi, come nei miti di Gilgamesh e di Atra-
ḫasis, il molto saggio, appaiono spesso come il prodotto
dell'unione di divinità con la specie umana. La mitologia
classica racconta le scappatelle delle divinità che
assumendo forme umane riuscivano a sedurre belle
donne.
69. Il testo biblico non nega totalmente questi
racconti mitici, ma sottolinea la distanza della
fede di Israele in YHWH rispetto a quelle
credenze. L’autore sacro li vede come un fatto
negativo; è per questo che Dio sottrae la sua
ruah dall'uomo.
La tradizione neotestamentaria ha visto nel passo
di Gen 6, 1-4 un possibile accenno agli angeli
decaduti, che avrebbero commesso un peccato
carnale e per questo sarebbero stati estromessi
dalla presenza di Dio (Giuda 6, 2^ Pietro 2,4).
SONO QUESTI
GLI EROI DELL’ANTICHITÀ,
UOMINI FAMOSI.
Pur ammettendo l'esistenza di
"giganti" (cfr. anche Nm 13,33),
il testo genesiaco li considera al
rango di creature.
Questi quattro versetti
stigmatizzano due atteggiamenti
tipici dell'umanità di tutti i
tempi:
la tentazione di ridurre la
donna a oggetto
la tentazione di credersi
superuomini, di mettersi al
posto di Dio.
70. Il Signore vide che la malvagità
degli uomini era grande sulla terra e che ogni
intimo intento del loro cuore
non era altro che male, sempre.
E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra
e se ne addolorò in cuor suo. (Gen. 6, 5-6)
Con questi versetti il narratore ritorna al
comportamento degli uomini, alla
descrizione del loro peccato, che è la vera
causa del diluvio. La malvagità è ormai
diffusa e interiorizzata dall'uomo ("Ogni
loro progetto non è che male” Sal 14,1-3).
L’illusione dell’uomo di “essere come
Dio” ancora una volta è frustrata, eppure
l’uomo continua nella sua perversione in
modo così ostinato che “il Signore si
pentì di aver fatto l’uomo e se ne
addolorò”.
In Gen. 6,6 e in 1 Sam. 15,11 si parla del
“pentirsi di Dio”: è una reazione davanti
al peccato dell’uomo e comporta per Dio
un “dolore” profondo.
IL SIGNORE SI PENTÌ
DI AVER FATTO L’UOMO
71. Riflessioni e commenti
Don Sandro: i nephilim sono presenti anche in altri
testi dopo il diluvio, ad es. in Genesi 14,5, in Numeri,
13,28-33, in Deuteronomio, 1, 28-30, 3, 10-11.
Come si spiega che CON IL DILUVIO non FURONO
DISTRUTTI TUTTI I GIGANTI?
Giovanni: può essere stata una malattia
ghiandolare che fa sviluppare il corpo in
maniera esagerata, il gigantismo, come
dice uno studioso americano. Faccio
presente anche il racconto di Davide e
Golia …
72. Il Signore disse:
«Cancellerò dalla faccia della
terra l’uomo che ho creato
e, con l’uomo, anche il bestiame
e i rettili e gli uccelli del cielo,
perché sono pentito
di averli fatti».
Ma Noè trovò grazia agli occhi
del Signore. (Gen. 6, 7-8)
Nel nostro testo il peccato è talmente grande che pare mettere in discussione la
bontà della decisione di Dio di creare il mondo.
Il racconto del diluvio si collega così a quello della creazione per riaffermare alla fine
la relazione profonda che esiste tra Dio, l’uomo e il mondo.
Questo “pentimento” di Dio è un modo vigoroso per esprimere i sentimenti divini
modellati su quelli umani: è “antropomorfismo”, cioè una rappresentazione di Dio
in forme e modi umani.
Il Signore, allora, lascia libero corso alla sua giustizia, che comprende il giudizio
dell’empio e la salvezza del giusto (“Noè trovò grazia agli occhi del Signore”).
NOÈ TROVÒ GRAZIA