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Cass. Civ., sez. II, sentenza 15 giugno 2012 n. 9875



                                      (Pres. Oddo, rel. Piccialli)



                                     Svolgimento del processo

Il Condominio (OMISSIS) ed alcuni condomini, con citazione notificata il 26.9.91, convennero al

giudizio del locale tribunale la società Edili<omissis> s.r.l., proprietaria esclusiva di un immobile

confinante, lamentando che la stessa aveva illegittimamente realizzato un'area di parcheggio

nell’area cortilizia interposta tra le due proprietà e modificato la destinazione dell'androne comune

di accesso, da passaggio pedonale a carrabile, e pertanto chiesero i conseguenti provvedimenti

inibitori, restitutori e risarcitori. Nella resistenza della convenuta, che aveva sostenuto la legittimità

delle opere, peraltro realizzate d'intesa con il condominio medesimo, proponendo una domanda

riconvenzionale di rilascio di una parte dell'area di sua esclusiva proprietà, l'adito tribunale, dopo

l'espletamento di una prima consulenza tecnica, con sentenza non definitiva del 25.11.96 (non

fatta oggetto di impugnazione o relativa riserva ), respingeva le domande attrici, con riferimento

alle opere che la convenuta aveva realizzato nella parte di area cortilizia di sua esclusiva proprietà,

nonché la domanda riconvenzionale3e disponeva ulteriore istruttoria, espletata la quale (con prove

testimoniali e consulenza tecnica integrativa), con sentenza definitiva del 6.7.01 rigettava le

domande attrici anche nella parte relativa all'utilizzazione dell'androne comune, ritenuta

compatibile con la sua destinazione. Ma a seguito ed in accoglimento dell'appello degli attori,

resistito dalla società appellata, la Corte di Bologna, con sentenza del 24.3.05, in riforma di quella

impugnata, dichiarava illegittima l'utilizzazione, da parte della convenuta, dell'androne e della parte

comune dell'area cortilizia A per il transito anche di veicoli ed ordinava la rimozione delle opere a

tal fine realizzate, in quanto in contrasto con il principio di cui all'art. 1102 c.c., concretando una

modalità d'uso, in precedenza insussistente, tale da limitare i concorrenti diritti di pari utilizzazione

da parte dei rimanenti condomini e da instaurare di fatto una servitù a carico del condominio ed

favore dell'immobile di proprietà esclusiva della società; disattesa, peraltro, la richiesta risarcitoria,

tenuto conto in particolare dell'esito del giudizio di primo grado, con riferimento alla non impugnata

sentenza non definitiva, la corte dichiarava interamente compensate le relative spese, salvo quelle
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di consulenza tecnica di ufficio, poste a carico della convenuta, condannando invece quest'ultima,

per la soccombenza, a quelle di secondo grado.

Avverso tale sentenza la società Edilizia Moderna s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per

cassazione affidato a quattro motivi.

Hanno resistito il Condominio XXXXXXX ed i condomini in epigrafe indicati (in luogo di M..S. , nelle

more defunto, gli eredi S.C. e Ma. ), con comune controricorso, contenente ricorso incidentale.

Ha replicato a quest'ultima impugnazione la ricorrente principale, con controricorso ex art. 371 co.

4 c.p.c., depositando infine una memoria illustrativa.

                                        Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei reciproci ricorsici sensi dell'art. 335 c.p.c.

Con il primo motivo la ricorrente principale deduce "omessa e contraddittoria motivazione" su

punto decisivo, nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., con riferimento specifico

all'assunto secondo cui essa avrebbe eseguito nuove opere nell'androne comune, oltre a quelle

legittime nella sua proprietà esclusiva, al riguardo sostenendo che si sarebbe limitata a "sfruttare al

meglio potenzialità già perfettamente e compiutamente insiste nella comune proprietà". Con il

secondo motivo vengono dedotti analoghi vizi di motivazione ed errata applicazione della

medesima norma sopra citata, sostenendosi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte

territoriale, non sarebbero state mutate la destinazione del

bene comune, già costituente, per le sue originarie caratteristiche, un ingresso per il transito

veicolare, né apportate modificazioni di sorta allo stesso o arrecati pregiudizi all'utilizzo da parte

dei condomini, trattandosi nella specie soltanto di un uso più intenso, con lo stesso compatibile,

da parte della convenuta condomina. Ulteriori vizi di motivazione e di violazione di legge, ancora

con riferimento all'art. 1102 convengono dedotti con il terzo motivo, nel quale si censura

l'argomento, secondo cui dall'operato della convenuta sarebbe derivato il rischio della costituzione

di una servitù di passaggio a carico dell'androne comune, per non aver considerato che l'utilizzo

dell'ingresso comune da parte della società era funzionale al collegamento della corte di proprietà

esclusiva della medesima e non già ad altro immobile di piena proprietà delle stessa, esterno al

condominio, bensì alla pubblica via, integrando soltanto un uso più intenso della cosa comune, non

contrario alla sua destinazione.
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Con il quarto motivo, infine, vengono dedotte omessa e contraddittoria motivazione su punto

decisivo per errata valutazione delle risultanze istruttorie, in particolare della consulenza tecnica da

cui sarebbe emersa l'attitudine funzionale dell'androne, anche in considerazione della relativa

tipologia comune ad analoghi caseggiati del centro storico cittadino, a consentire l'ingresso sia

pedonale, sia carrabile, nonché omessa considerazione del precedente giudicato, costituito dalla

non impugnata sentenza non definitiva, che avrebbe va accertato che i lavori effettuati dalla

società convenuta riguardavano soltanto la parte in proprietà esclusiva della stessa, edificio ed

area scoperta, e non anche quelle in comune con il condominio.

Il ricorso, i cui motivi per l'intima connessione vanno esaminati congiuntamente, è fondato e va

accolto nei termini di seguito precisati. È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte

quello secondo cui, in tema di comunione, non costituisce violazione della fondamentale regola

paritaria dettata dall'art. 1102 c.c. un uso più intenso della cosa da parte del partecipante, che non

ne alteri la destinazione, nei casi in cui il relativo esercizio non si traduca in una limitazione delle

facoltà di godimento esercitate dagli altri condomini, tali dovendo intendersi non solo quelle di fatto

esercitate, ma anche quelle cui la cosa comune per le sue oggettive caratteristiche potenzialmente

si presti (v. tra le tante nn. 22341/09, 5753/07, 2308/06, 13572/06). Per quanto attiene, in

particolare, ai cortili è stato più volte precisato che, ove le caratteristiche e le dimensioni lo

consentano ed i titoli non vi ostino, l'uso degli stessi per l'accesso e la sosta di veicoli, non è

incompatibile con la funzione primaria e tipica di tali beni, quella di dare aria e luce alle unità

immobiliari circostanti, aggiungendosi alla stessa quale destinazione accessoria o secondaria (v.,

in particolare, Cass. n. 13879/10). Nel caso di specie la corte territoriale nel ritenere, in difformità

dal primo giudice, che la destinazione propria dell'androne e del cortile comune fosse limitata al

solo passaggio pedonale, benché l'ampiezza del primo fosse risultata tale da consentire anche

l'accesso di autoveicoli (destinazione normalmente propria di tali beni comuni, secondo Cass.

11204/08), non ha dato adeguato conto del proprio convincimento, che al riguardo avrebbe dovuto

essere corredato dall'indicazione degli elementi da cui fosse stato desunta una oggettiva e

concreta destinazione di tali beni più limitata rispetto a quella astrattamente desumibile dalle

adeguate dimensioni degli stessi. La corte felsinea, limitandosi ad ipotizzare impropriamente la

costituzione di una servitù prediale, inconfigurabile, per il principio nemini res sua servit,

allorquando la controversa estensione delle modalità di uso si verifichi nell'ambito di una
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comunione (nella quale trova invece applicazione la disciplina dettata dall'art. 1102 c.c., v. Cass. n.

4286/07, salvi in casi in cui si verifichi un nuovo asservimento ad un immobile del tutto estraneo al

contesto, v. Cass. n. 3035/09), in una fattispecie in cui i beni comuni erano già funzionalmente

destinati a consentire l'accesso anche a quello di proprietà esclusiva della convenuta, neppure ha

indicato quali fossero le specifiche opere di trasformazione, di cui ha ordinato la rimozione, in

quanto ritenute finalizzate all'esercizio del censurato uso dell'androne e del cortile. Tale

precisazione sarebbe stata particolarmente necessaria, in un contesto processuale, caratterizzato

dall'intervenuto passaggio in giudicato, per mancanza di appello, della sentenza non definitiva del

tribunale forlivese, che aveva accertato la legittimità delle opere modificative dello stato dei luoghi

eseguite nell'area scoperta, contigua al cortile comune, di proprietà esclusiva della convenuta

(comportanti la trasformazione del preesistente giardino in area di parcheggio per alcuni veicoli e

la eliminazione di un muretto di recinzione), mentre era stato disposto il prosieguo dell'istruttoria

per accertare la consistenza e la legittimità di quelle interessanti le parti comuni; l’evidenziata

omissione non solo si traduce in un difetto di motivazione, su un punto decisivo ai fini ai fini dell'art.

1102 c.c., vale a dire del riscontro della ritenuta alterazione della destinazione dei beni comuni, ma

comporta anche l'oggetti va indeterminatezza della statuizione di condanna. All'accoglimento del

ricorso principale, comportante l'assorbimento di quello incidentale (con il quale si lamenta omessa

pronunzia sulla richiesta di risarcimento dei danni cagionati ai condomini dal controverso uso

dell'androne e del cortile), conclusivamente consegue la cassazione della sentenza impugnata con

rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il

regolamento delle spese del presente giudizio.

                                                 P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale, dichiara assorbito l’incidentale, cassa la

sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte

d'Appello di Bologna.

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  • 1. https://www.facebook.com/FocusLegale Cass. Civ., sez. II, sentenza 15 giugno 2012 n. 9875 (Pres. Oddo, rel. Piccialli) Svolgimento del processo Il Condominio (OMISSIS) ed alcuni condomini, con citazione notificata il 26.9.91, convennero al giudizio del locale tribunale la società Edili<omissis> s.r.l., proprietaria esclusiva di un immobile confinante, lamentando che la stessa aveva illegittimamente realizzato un'area di parcheggio nell’area cortilizia interposta tra le due proprietà e modificato la destinazione dell'androne comune di accesso, da passaggio pedonale a carrabile, e pertanto chiesero i conseguenti provvedimenti inibitori, restitutori e risarcitori. Nella resistenza della convenuta, che aveva sostenuto la legittimità delle opere, peraltro realizzate d'intesa con il condominio medesimo, proponendo una domanda riconvenzionale di rilascio di una parte dell'area di sua esclusiva proprietà, l'adito tribunale, dopo l'espletamento di una prima consulenza tecnica, con sentenza non definitiva del 25.11.96 (non fatta oggetto di impugnazione o relativa riserva ), respingeva le domande attrici, con riferimento alle opere che la convenuta aveva realizzato nella parte di area cortilizia di sua esclusiva proprietà, nonché la domanda riconvenzionale3e disponeva ulteriore istruttoria, espletata la quale (con prove testimoniali e consulenza tecnica integrativa), con sentenza definitiva del 6.7.01 rigettava le domande attrici anche nella parte relativa all'utilizzazione dell'androne comune, ritenuta compatibile con la sua destinazione. Ma a seguito ed in accoglimento dell'appello degli attori, resistito dalla società appellata, la Corte di Bologna, con sentenza del 24.3.05, in riforma di quella impugnata, dichiarava illegittima l'utilizzazione, da parte della convenuta, dell'androne e della parte comune dell'area cortilizia A per il transito anche di veicoli ed ordinava la rimozione delle opere a tal fine realizzate, in quanto in contrasto con il principio di cui all'art. 1102 c.c., concretando una modalità d'uso, in precedenza insussistente, tale da limitare i concorrenti diritti di pari utilizzazione da parte dei rimanenti condomini e da instaurare di fatto una servitù a carico del condominio ed favore dell'immobile di proprietà esclusiva della società; disattesa, peraltro, la richiesta risarcitoria, tenuto conto in particolare dell'esito del giudizio di primo grado, con riferimento alla non impugnata sentenza non definitiva, la corte dichiarava interamente compensate le relative spese, salvo quelle
  • 2. https://www.facebook.com/FocusLegale di consulenza tecnica di ufficio, poste a carico della convenuta, condannando invece quest'ultima, per la soccombenza, a quelle di secondo grado. Avverso tale sentenza la società Edilizia Moderna s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Hanno resistito il Condominio XXXXXXX ed i condomini in epigrafe indicati (in luogo di M..S. , nelle more defunto, gli eredi S.C. e Ma. ), con comune controricorso, contenente ricorso incidentale. Ha replicato a quest'ultima impugnazione la ricorrente principale, con controricorso ex art. 371 co. 4 c.p.c., depositando infine una memoria illustrativa. Motivi della decisione Va preliminarmente disposta la riunione dei reciproci ricorsici sensi dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo la ricorrente principale deduce "omessa e contraddittoria motivazione" su punto decisivo, nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., con riferimento specifico all'assunto secondo cui essa avrebbe eseguito nuove opere nell'androne comune, oltre a quelle legittime nella sua proprietà esclusiva, al riguardo sostenendo che si sarebbe limitata a "sfruttare al meglio potenzialità già perfettamente e compiutamente insiste nella comune proprietà". Con il secondo motivo vengono dedotti analoghi vizi di motivazione ed errata applicazione della medesima norma sopra citata, sostenendosi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, non sarebbero state mutate la destinazione del bene comune, già costituente, per le sue originarie caratteristiche, un ingresso per il transito veicolare, né apportate modificazioni di sorta allo stesso o arrecati pregiudizi all'utilizzo da parte dei condomini, trattandosi nella specie soltanto di un uso più intenso, con lo stesso compatibile, da parte della convenuta condomina. Ulteriori vizi di motivazione e di violazione di legge, ancora con riferimento all'art. 1102 convengono dedotti con il terzo motivo, nel quale si censura l'argomento, secondo cui dall'operato della convenuta sarebbe derivato il rischio della costituzione di una servitù di passaggio a carico dell'androne comune, per non aver considerato che l'utilizzo dell'ingresso comune da parte della società era funzionale al collegamento della corte di proprietà esclusiva della medesima e non già ad altro immobile di piena proprietà delle stessa, esterno al condominio, bensì alla pubblica via, integrando soltanto un uso più intenso della cosa comune, non contrario alla sua destinazione.
  • 3. https://www.facebook.com/FocusLegale Con il quarto motivo, infine, vengono dedotte omessa e contraddittoria motivazione su punto decisivo per errata valutazione delle risultanze istruttorie, in particolare della consulenza tecnica da cui sarebbe emersa l'attitudine funzionale dell'androne, anche in considerazione della relativa tipologia comune ad analoghi caseggiati del centro storico cittadino, a consentire l'ingresso sia pedonale, sia carrabile, nonché omessa considerazione del precedente giudicato, costituito dalla non impugnata sentenza non definitiva, che avrebbe va accertato che i lavori effettuati dalla società convenuta riguardavano soltanto la parte in proprietà esclusiva della stessa, edificio ed area scoperta, e non anche quelle in comune con il condominio. Il ricorso, i cui motivi per l'intima connessione vanno esaminati congiuntamente, è fondato e va accolto nei termini di seguito precisati. È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in tema di comunione, non costituisce violazione della fondamentale regola paritaria dettata dall'art. 1102 c.c. un uso più intenso della cosa da parte del partecipante, che non ne alteri la destinazione, nei casi in cui il relativo esercizio non si traduca in una limitazione delle facoltà di godimento esercitate dagli altri condomini, tali dovendo intendersi non solo quelle di fatto esercitate, ma anche quelle cui la cosa comune per le sue oggettive caratteristiche potenzialmente si presti (v. tra le tante nn. 22341/09, 5753/07, 2308/06, 13572/06). Per quanto attiene, in particolare, ai cortili è stato più volte precisato che, ove le caratteristiche e le dimensioni lo consentano ed i titoli non vi ostino, l'uso degli stessi per l'accesso e la sosta di veicoli, non è incompatibile con la funzione primaria e tipica di tali beni, quella di dare aria e luce alle unità immobiliari circostanti, aggiungendosi alla stessa quale destinazione accessoria o secondaria (v., in particolare, Cass. n. 13879/10). Nel caso di specie la corte territoriale nel ritenere, in difformità dal primo giudice, che la destinazione propria dell'androne e del cortile comune fosse limitata al solo passaggio pedonale, benché l'ampiezza del primo fosse risultata tale da consentire anche l'accesso di autoveicoli (destinazione normalmente propria di tali beni comuni, secondo Cass. 11204/08), non ha dato adeguato conto del proprio convincimento, che al riguardo avrebbe dovuto essere corredato dall'indicazione degli elementi da cui fosse stato desunta una oggettiva e concreta destinazione di tali beni più limitata rispetto a quella astrattamente desumibile dalle adeguate dimensioni degli stessi. La corte felsinea, limitandosi ad ipotizzare impropriamente la costituzione di una servitù prediale, inconfigurabile, per il principio nemini res sua servit, allorquando la controversa estensione delle modalità di uso si verifichi nell'ambito di una
  • 4. https://www.facebook.com/FocusLegale comunione (nella quale trova invece applicazione la disciplina dettata dall'art. 1102 c.c., v. Cass. n. 4286/07, salvi in casi in cui si verifichi un nuovo asservimento ad un immobile del tutto estraneo al contesto, v. Cass. n. 3035/09), in una fattispecie in cui i beni comuni erano già funzionalmente destinati a consentire l'accesso anche a quello di proprietà esclusiva della convenuta, neppure ha indicato quali fossero le specifiche opere di trasformazione, di cui ha ordinato la rimozione, in quanto ritenute finalizzate all'esercizio del censurato uso dell'androne e del cortile. Tale precisazione sarebbe stata particolarmente necessaria, in un contesto processuale, caratterizzato dall'intervenuto passaggio in giudicato, per mancanza di appello, della sentenza non definitiva del tribunale forlivese, che aveva accertato la legittimità delle opere modificative dello stato dei luoghi eseguite nell'area scoperta, contigua al cortile comune, di proprietà esclusiva della convenuta (comportanti la trasformazione del preesistente giardino in area di parcheggio per alcuni veicoli e la eliminazione di un muretto di recinzione), mentre era stato disposto il prosieguo dell'istruttoria per accertare la consistenza e la legittimità di quelle interessanti le parti comuni; l’evidenziata omissione non solo si traduce in un difetto di motivazione, su un punto decisivo ai fini ai fini dell'art. 1102 c.c., vale a dire del riscontro della ritenuta alterazione della destinazione dei beni comuni, ma comporta anche l'oggetti va indeterminatezza della statuizione di condanna. All'accoglimento del ricorso principale, comportante l'assorbimento di quello incidentale (con il quale si lamenta omessa pronunzia sulla richiesta di risarcimento dei danni cagionati ai condomini dal controverso uso dell'androne e del cortile), conclusivamente consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale, dichiara assorbito l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Bologna.