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Attivare ed animare le comunità: casi ed esperienze a confronto

                                       Maurizio Mesenzani1
Scopo del paper è ragionare su casi di attivazione ed animazione di comunità di pratiche
in organizzazioni complesse, mettendo a confronto realtà tra loro differenti. Il paper si
fonda su tre ipotesi di base, di seguito argomentate e discusse.
In primo luogo, si ipotizza che le comunità di pratica siano una chiave di sviluppo
dell’impresa: in quest’ottica occorre mettere il tema delle comunità nelle agende del top
management di linea e di staff. Una delle sfide dei manager di linea e dei responsabili del
personale è far lavorare insieme le persone in modo tale che si attivino processi di
circolazione spontanea di informazioni, scambio di buone pratiche, condivisione di obiettivi
e compiti, cicli di miglioramento continuo. Tutto questo per massimizzare il raggiungimento
di obiettivi e risultati per le aziende (risultati di business operativi e strategici) e per le
persone (crescita, sviluppo delle competenze, visibilità e status).
Le comunità sono il luogo in cui avviene quanto sopra descritto, sono il contesto in cui
nascono le idee di innovazione, si generano e si scambiano le conoscenze, si sviluppano
quei processi di apprendimento spontanei e non formalizzati, che fanno la differenza tra
l’organizzazione performante e l’organizzazione eccellente, di successo, l’azienda “built to
last”2. Le comunità sono, infatti, aggregazioni informali di persone che condividono stesse
pratiche di lavoro. Nello scambio i partecipanti costruiscono uno stesso modo di vedere la
propria organizzazione: tale visione orienta l’azione e la definizione di scopi da
raggiungere. Le aziende risultano infatti essere sempre più un insieme di comunità di
pratiche e non di atomi individuali. Le comunità sono anche il luogo dove si sviluppano e
consolidano le pratiche di lavoro quotidiano; nelle comunità le persone condividono
esperienze e conoscenze, apprendono nuove competenze, e ancora, le comunità sono il
luogo dell’innovazione organizzativa dove nascono, si diffondono e consolidano “nuovi
modi di fare le cose”, nuovi prodotti, nuove idee.
La seconda ipotesi riguarda il ciclo di vita delle comunità: le comunità sono strutture
latenti mutevoli nel tempo. Wenger, nei suoi studi dedicati alle comunità3, avverte che la
comunità è un organismo vivente, come tale è caratterizzata da trasformazioni che
avvengono attraverso diverse fasi di sviluppo:
    - Potenziale: la comunità è allo stato nascente, e si crea un network debole tra i
        membri che iniziano a raccogliersi attorno ad un tema/argomento
    - Crescita: la comunità è all’avvio, al lancio delle proprie attività, i membri scoprono il
        valore e i benefici dell’appartenenza
        Maturità: la comunità è giunta alla sua maturazione, le attività iniziano a muoversi
        secondo uno standard, la crescita è ancora ampia
    - Attività: la comunità opera ed è attiva, produce output significativi, ha sviluppato le
        sue regole, i suoi usi e costumi, il suo linguaggio
    - Dispersione: la comunità inizia un processo di disgregazione, i membri si
        allontanano, la loro multi-appartenenza li porta ad investire maggiormente verso
        altre comunità.

1
  Maurizio Mesenzani è partner e responsabile dell’area CRM-KM di Butera e Partners. Lavora nel gruppo
Tesi-Butera e Partners come consulente di direzione e management. Principali clienti seguiti: Vodafone,
H3G, Borsa Italiana-Monte Titoli Spa, ING DIRECT Italia, Comune di Parma, Ecipar Emilia Romagna.
In precedenza, dal 1997 al 2000, ha lavorato in Andersen Consulting. Dal 2000 collabora come docente con
l’Università Bicocca di Milano e dal 2004 è professore a contratto presso il dipartimento di sociologia.
2
  Per il concetto di “Built To Last” si veda Collins, J.C; Porras, J.I. Built to Last, Harper Business, 1994.
3
  Si veda anche Wenger, E. Communities of practice; Learning, Meaning and Identity, Cambridge University
Press, 1998.
Ciascuna di queste fasi richiede specifiche linee d’analisi, progettazione ed intervento, da
modulare e realizzare in modo coerente con il contesto.
La terza ipotesi parte proprio dalla considerazione che, sebbene le comunità siano dei
fenomeni spontanei, sia possibile per il management dell’impresa facilitarne la nascita, la
crescita e lo sviluppo, attraverso specifiche azioni mirate: in altre parole, è possibile
progettare le comunità di pratica alla stregua dei processi, delle strutture dell’impresa e
dei sistemi gestionali? È possibile ingegnerizzare un percorso di sviluppo di organismi
caratterizzati da partecipazione spontanea, volontarismo, latenza di struttura, bassa
formalizzazione?
La risposta a questi interrogativi diventa fondamentale nella misura in cui le comunità
producono benefici concreti per l’impresa e per le sue persone: in quest’ottica esse
diventano un tema chiave per il management.
Il primo caso analizzato riguarda una software house tedesca, sessanta persone operanti
in tre sedi4. Il core business è lo sviluppo e l’assistenza software, attività svolte da diverse
comunità professionali, tra cui emergono progettisti, commerciali, project manager e
tecnici. Si tratta di un’azienda che lavora per progetto (per “commessa”) in cui operano
diverse figure professionali distribuite su diverse sedi, ciascun progetto/commessa è
gestito autonomamente in logica customer-driven e ciascun team di progetto risulta essere
una microstruttura quasi indipendente. In questo caso il valore delle comunità è
rappresentato dalla possibilità di attivare processi di circolazione di conoscenze in modo
trasversale rispetto ai progetti, per “famiglia professionale” (i tecnici, ad es., o i
commerciali), per “sede locale” (ad es. l’ufficio di Hannover), per tipologia di cliente (es. la
industry). Solo in questo modo diventa possibile patrimonializzare le conoscenze generate
nei singoli progetti e attivare processi di innovazione comuni a tutta l’impresa e non solo
alle singole micro-strutture (il team di progetto, ad esempio, o la sede).
E’ stato quindi svolto un intervento di analisi delle pratiche di lavoro5 e delle modalità
attraverso le quali le persone svolgono i loro compiti, come interagiscono tra loro, come
comunicano, come si scambiano documenti ed informazioni. Sono state impiegate
tecniche di social network analysis per andare a mappare i flussi di relazione, avendo
cura di considerare la famiglia professionale, la sede, il ruolo/livello, il team o i team di
progetto di appartenenza, la industry dei clienti, ecc. Tale analisi ha permesso di definire lo
stato attuale delle comunità e delle reti sociali presenti in azienda: una comunità di tecnici
molto attiva e sviluppata (per usare le categorie di Wenger si potrebbe dire allo stadio di
maturità); una comunità dei commerciali da sviluppare (allo stato potenziale), in modo da
poter condividere le pratiche commerciali di successo, abilitare i venditori a scambiarsi
informazioni su potenziali rischi, errori commessi, occasioni di cross-selling; è emerso
inoltre un forte bisogno di attivare processi di community building in modo trasversale
rispetto alle sedi (fino ad allora vissute come nodi indipendenti con poche connessioni con
il resto della rete6), è emerso un forte bisogno di condivisione di tutta la documentazione e
dei materiali di lavoro (files e documenti), non solo all’interno dei progetti ma in modo
trasversale rispetto all’azienda. Sulla base di questi requirements è stato avviato un
percorso di realizzazione di una soluzione di supporto alle comunità: un ambiente in grado
di utilizzare i diversi strumenti di lavoro e canali di comunicazione attivi tra le persone (il
4
  Per maggiori informazioni sul caso si veda anche Agostini, A.; Albolino, S.; De Paoli, F.; Grasso, A.;
Hinrichs, E. “Supporting Communities by Providing Multiple Views”, in van den Besselaar, P.; De Michelis, G.
Communities and Technologies 2005, Springer, 2005.
5
  L’analisi delle pratiche di lavoro è stata svolta attraverso una tecnica di analisi etnografica basata su
interviste, osservazioni e affiancamenti in operativo nelle reali situazioni lavorative, successivamente
documentate con report, foto e filmati.
6
  Per l’analisi delle imprese a rete si fa riferimento a Butera, F. Il castello e la rete, Franco Angeli, Milano,
1990.
computer, il telefonino, il contatto dal vivo). E’ in corso di sperimentazione un prototipo di
soluzione di KM integrata, denominato MILK7 (acronimo di “Multimedia Interaction for
Learning and Knowing”) che permette alle comunità di accedere a “contenuti” (files, forum
di discussione, chat, video, immagini…) tramite il PC, il telefono portatile e tramite
larghi schermi posti in ambienti di lavoro specificatamente definiti “gli spazi per le
comunità” (corridoi, sale stampanti e fotocopiatrici, angoli caffè, cucine…). Sui larghi
schermi è possibile tenere sempre attiva una sessione di videoconferenza tra le diverse
sedi, in modo da ridurre le barriere geografiche e avere sempre aperta una “finestra” su
tutte le sedi dell’azienda, facilitando così i contatti spontanei ed informali.
Dei tre ambienti di sviluppo (PC, mobile devices e larghi schermi), i larghi schermi sono
l’ambiente che ha maggiormente stimolato un’azione specifica sulle comunità. La
progettazione dei larghi schermi ha portato alla definizione di diversi canali tematici,
proiettati nel corso della giornata grazie ad un palinsesto, in parte gestito centralmente e
in grado di consentire interventi dagli utenti che si trovano di volta in volta di fronte allo
schermo: un canale tematico, grazie al quale sono presentati i contenuti organizzati per
area tematica e per progetto, la cui finalità è rendere disponibili i contenuti in modo
trasversale rispetto ai progetti; un canale “persone” grazie al quale è possibile prendere
visione dei profili dei colleghi, per sede, per progetto, per area tematica, visualizzando il
curriculum, il canale di contatto preferito, la foto; finalità di questo canale è creare le
condizioni di base di conoscenza reciproca per stimolare il contatto iniziale alla base della
nascita di una comunità, e facilitare i contatti tra le persone che operano in diverse sedi e
in diversi progetti; un canale “news” (con contenuti speculari a quelli già presenti nel
portale) che permette la circolazione di tutte le notizie utili a prendere decisioni, svolgere i
propri compiti, approfondire aree di sviluppo. In questo modo i larghi schermi fanno un
utilizzo esteso della serendipity, integrando l’ambiente on line (il portale, la intranet, il
sistema di gestione documentale…) con l’ambiente fisico (lo spazio di lavoro arricchito di
larghi schermi interattivi a parete).
La sperimentazione in corso mostra come l’ambiente creato abbia ancora ampi margini di
miglioramento dal punto di vista del funzionamento tecnico (in termini di usabilità dei
sistemi, reale integrazione tra ambiente PC, mobile devices, larghi schermi), e soprattutto
dal punto di vista del funzionamento organizzativo (presidio dei processi di gestione e
pubblicazione dei contenuti, gestione tecnica ed amministrativa degli ambienti, gestione
dei palinsesti…)8. In termini di sviluppo delle comunità, gli schermi hanno permesso
l’attivazione di flussi di comunicazione più estesi tra le persone che operano nelle diverse
sedi, estendendo quindi i confini delle comunità locali.
Un caso di sviluppo di una comunità attraverso le fasi di sviluppo identificate da Wenger è
rappresentato dall’esperienza di knowledge management nel customer care di
Vodafone Italia. Si partiva dalla considerazione che l’operatore bravo non è colui che sa
tutto ma piuttosto è colui che conosce chi sa le cose che gli occorrono e dove reperire le
informazioni che gli servono. Con questa frase il management delle Customer Operations
di Vodafone Omnitel9 ha avviato nel 2000 uno dei progetti più significativi di community
building nel customer care. Il progetto, partito su un gruppo limitato di operatori, si è ora
diffuso a tutta la struttura delle Customer Operations di Vodafone Italia, ed è diventato una

7
  Il progetto MILK (Multimedia Interaction for Learning and Knowing IST Project - IST 2001-33165) è un
progetto europeo diretto da Irso – Butera e Partners al quale partecipano Xerox Research, Domus Academy,
pictureSafe, Fraunhofer Institute, Orbiteam, Università di Milano Bicocca, Xerox Global Services. Per
maggiori informazioni si veda www.usemilk.com
8
  Una sperimentazione dello stesso prototipo MILK è in corso anche presso gli uffici di Milano e Roma di
Butera e Partners
9
  Il progetto KM nel Customer Care dell’allora Omnitel-Vodafone era stato avviato e gestito da Antonio
Morawetz e Manlio Costantini, top manager delle Customer Operations dell’azienda.
best practice internazionale a livello di gruppo, oltre a rappresentare un modello replicabile
in altre aziende e in altri settori.
In questo caso è stato svolto un lavoro preliminare di analisi, mirato ad identificare le
comunità esistenti e sviluppare attorno ad esse un tessuto organizzativo e un set di
strumenti per favorirne la crescita verso la maturità ed operatività: per esempio si era
scoperta l’esistenza di un gruppo ristretto di portatori di conoscenze tecnico-specialistiche
in area GPRS e UMTS, che stava iniziando ad operare come una comunità, così come
erano rilevabili dei network di relazioni deboli e spontanee attorno ad alcuni
prodotti/servizi, all’analisi di alcuni sistemi, alla rielaborazione di alcuni processi e
procedure. Si è quindi ipotizzato di mettere a disposizione degli operatori di customer care
un ambiente di forum, nel quale potessero sviluppare (a fondo, in modo esplicito e
coordinato) relazioni più consolidate attorno ai temi di interesse principale per l’azienda
(prodotti/servizi, tecnologie, sistemi, processi e procedure, modelli di telefoni…). Tale
ambiente è stato testato su un gruppo ristretto di operatori, rilasciato al resto delle
customer operations e poi all’azienda, parallelamente ad una integrazione con il motore di
ricerca e gli applicativi di CRM utilizzati nei processi di gestione del cliente (care e claim
management, order management, credit management…).
La vita delle comunità nei forum ha permesso la condivisione di pratiche di lavoro,
informazioni e conoscenze, in primo luogo attraverso le diverse sedi di contact center, poi
attraverso i mercati e le “funzioni aziendali”, arrivando a rappresentare un modello di
“organizzazione latente” integrata con l’organizzazione formale e con le strutture macro e
micro esistenti in azienda. Si tratta del luogo in cui vengono riscritte le procedure, ripensati
i processi, in cui la “voce del cliente” si trasforma in idee di nuovi prodotti e servizi, in cui si
fanno analisi e confronti con le offerte dei competitor, in cui si condividono analisi di
sistema. Si tratta di un luogo in cui le persone interagiscono tra di loro, si parlano, si
scambiano le proprie impressioni ed esperienze, in un contesto come il contact center, a
metà tra la fabbrica e l’ambiente professionale, caratterizzato da molti momenti di lavoro
individuale in linea con il cliente, nel quale non è facile conoscersi, parlarsi, riflettere
insieme ai colleghi su ciò che si sta facendo. I risultati e la diffusione della community sono
stati sin da subito incoraggianti: produzione di nuove conoscenze e nuovi contenuti,
esternalizzazione delle pratiche di lavoro, oltre a questi anche risultati operativi tangibili,
connessi alla qualità della risposta, all’efficacia, all’omogeneità e ai tempi di gestione
delle chiamate e di reperimento delle informazioni richieste o di modifica di pagine intranet,
processi, sistemi e procedure.
Un elemento di successo di questa esperienza, a parte l’ambiente tecnologico realizzato,
è stato il modello di progettazione organizzativa del KM, che ha visto la nascita di ruoli di
presidio dei processi di conoscenza, dalla pubblicazione di contenuti alla moderazione dei
forum, e che ha visto una forte integrazione con i sistemi vigenti di assegnazione degli
incarichi (scheduling), con i sistemi professionali e con le modalità gestionali complessive
della struttura di customer operations. Sono state identificate le figure chiave della vita
delle community10, tra questi i lurker (chi partecipa solo guardando i contributi degli altri),
gli apprendisti (new comers, in cerca della propria posizione nella comunità), gli alfieri (i
frequentatori abituali, stimolo alla partecipazione e allo sviluppo), i leader (esperti di
contenuto e di metodo, comunicatori, rappresentanti formali della comunità, decisori e
moderatori), gli antagonisti (polemici, contrari ad ogni posizione..). Sulle figure più rilevanti
per l’animazione e la vita delle community è stato svolto un intervento di rafforzamento
mirato, sul piano individuale ed organizzativo. Sono state definite inoltre delle procedure
formali, per regolare l’appartenenza e la partecipazione alla vita della comunità
(discussioni moderate, validazione dei contenuti prodotti…), in modo da massimizzare la
10
  Si veda anche Wenger, E. Supporting Communities of Practice, Etienne Wenger Research and
Consulting, internet draft, Marzo 2001.
possibilità di utilizzare gli output della community per finalità operative e di business
(nuove procedure, idee di prodotto/servizio, nuovi processi e ruoli, specifiche IT…). Ciò
dimostra che un approccio sistemico al tema della community, una chiara visione
dell’obiettivo di business che le comunità aiutano a raggiungere e un governo puntuale ed
approfondito di tutti gli interventi sul tema, permettono di presidiare il processo di sviluppo
e consolidamento della comunità, lasciando i membri liberi di aderire spontaneamente e di
utilizzare un ambiente strutturato e abilitante11.
Un altro caso riguarda la comunità dei professionisti di ECIPAR Emilia Romagna12. In
questo caso si tratta di un’azienda che fornisce servizi di formazione e consulenza
prevalentemente ad imprese di piccole e medie dimensioni in Emilia Romagna, un network
di dipendenti e collaboratori esterni connesso al mondo della CNA, che coinvolge
centinaia di persone, operanti su diverse sedi nelle province emiliane-romagnole, con
varie figure professionali (progettisti, docenti, commerciali, amministrativi, informatici,
gestionali…) portatrici di diverse competenze, dalle competenze di contenuto sulle
tematiche di formazione ed intervento agli skill di gestione, progettazione, amministrazione
e promozione/vendita di servizi. Una comunità allo stato di crescita, che ha già esplorato la
fase potenziale, e che presenta necessità di identificare le pratiche di comunicazione e
scambio già in essere e di consolidare e strutturare i processi di sviluppo, anche
introducendo un ambiente operativo per la condivisione di contenuti, primo problema di
una comunità così articolata e dispersa geograficamente. Una comunità caratterizzata da
una bassa propensione all’uso delle tecnologie, un contesto quindi dove la leva
tecnologica non poteva essere giocata come elemento di partenza; una comunità
caratterizzata da una diffusa multi-appartenenza dei suoi membri, anche per la varietà dei
contratti di lavoro applicati, e un luogo dove, di conseguenza, le leve gerarchiche risultano
essere molto deboli. Inoltre si tratta di una comunità molto spinta dall’innovazione,
generata nel rapporto con i clienti imprese e persone (destinatari e/o compratori dei servizi
offerti) e nel rapporto con gli enti pubblici (programmatori e finanziatori delle attività di
sviluppo di settore e territori). Un’innovazione di prodotto/servizio, processo, relazioni e
modalità di interazione all’interno nella rete ECIPAR e all’esterno con i diversi attori
istituzionali ed aziendali.
Vista la situazione, si è scelto di puntare sulla valorizzazione del patrimonio conoscitivo
esistente, andando ad osservare le tipologie di conoscenze strategiche per le diverse
comunità esistenti, e si è proceduto a ricostruire il quadro della comunità e delle sotto-
comunità, comunità trasversale, identificate su due livelli: il livello geografico (nodi locali
della rete ECIPAR ER) e il livello professionale (famiglie e ruoli professionali). E’ stato così
possibile definire un ambiente operativo di supporto, un gestore di contenuti web-based
organizzato per processo e per area geografica. La vista per processo permette ai membri
della comunità l’ingresso, l’inserimento contenuti e la navigazione nel sistema attraverso
una chiave interpretativa comune, indipendente dall’appartenenza geografica, dal ruolo
professionale e dalle specificità di linguaggio.
Ciò che infatti accomuna tutti i membri delle diverse comunità esistenti in ECIPAR ER è il
processo di lavoro, le principali fasi e attività svolte, ecco quindi che si generano dei
sottoinsiemi di comunità tra persone che svolgono le stesse mansioni, pur appartenendo a
sedi diverse e utilizzando spesso codici di linguaggio non omogenei. In simili situazioni, la
disponibilità on line di contenuti già sviluppati da altri o la stessa indicazione dei nomi dei
colleghi che hanno simili mansioni e task, permette ai membri della comunità l’attivazione

11
   Per un approfondimento sul caso si veda anche Mesenzani, M., Bugatti, R. “Il Knowledge Management
come leva strategica per il Customer Care: un caso nel settore TLC”, in Butera, F. Tecnologie per l’uomo e
per l’organizzazione, Franco Angeli, 2002.
12
   Il progetto di Knowledge Management in ECIPAR Emilia Romagna è diretto da Lauro Borsato, Roberto
Centazzo e Otello Zanzini, membri della Direzione dell’azienda.
di un processo di knowledge management relazionale, che va ben oltre la gestione e la
condivisione dei files13.
In questo caso la sfida è riuscire a portare questa comunità oltre le prime fasi di crescita e
abilitarla a diventare matura ed attiva, in grado cioè di auto-definirsi e gestirsi le pratiche di
funzionamento quotidiano, facendo in modo che tutte le singole persone appartenenti al
sistema ECIPAR ER possano entrare in contatto reciproco, sapendo ad esempio chi sta
facendo cosa e chi ha prodotto i contenuti condivisi nel sistema di KM, in modo che sia
possibile creare “occasioni di contatto sui contenuti” (contatti people to knowledge,
people to people): la scelta organizzativa di avviare un gruppo pilota per il caricamento di
contenuti nel sistema ha lo scopo di attivare in modalità top-down un processo che nelle
comunità mature è prevalentemente spontaneo, la scelta è dovuta alla considerazione che
la comunità porti benefici all’azienda e ai suoi membri. L’obiettivo è quindi aumentare la
connettività tra le persone che operano nel sistema ECIPAR ER, fare in modo che
aumentino le occasioni e i canali di contatto, attraverso un ambiente con un livello di
formalizzazione molto basso e pensato per essere esteso oltre i confini formali
dell’azienda. E’ quindi in corso un ampio programma di formazione sull’uso degli
strumenti, sensibilizzazione e comunicazione sui vantaggi della comunità ECIPAR ER
quando sarà matura, un impegno del top-management dell’azienda a rendere esplicita la
visione di un sistema in cui funzionano i processi di conoscenza: su questa linea si sta
procedendo a correlare le azioni della comunità ai risultati operativi e di business, in
termini di replicabilità delle buone pratiche (progetti, templates, procedure…), aumento
della capacità di innovazione, riduzione dei tempi di attraversamento di alcune fasi di
lavoro, aumento della qualità dell’offerta, omogeneizzazione di linguaggi e standard
operativi, aumento delle opportunità di formazione e sviluppo delle persone attraverso
l’utilizzo dell’ambiente di community per l’auto-formazione e l’aggiornamento.
In sintesi, il confronto tra i diversi casi presentati ci mostra come le comunità di pratiche
siano sempre più strategiche per il business e contribuiscano concretamente alla capacità
dell’azienda di produrre risultati, e ci mostra come siano possibili azioni di supporto e
sviluppo, purché partano dell’analisi dello stadio di sviluppo e tengano in considerazione
alcuni elementi attorno ai quali analizzare e progettare le comunità:
     - scopo della comunità
     - tipologia di appartenenza
     - livello di formalizzazione
     - composizione sociale
     - connettività
     - identità
     - confini intra-inter-organizzativi
     - dimensioni
     - processi di comunicazione/knowledge sharing
     - strumenti di supporto
     - tipo di interazioni/canali
     - integrazione con altre comunità/multiappartenenza dei suoi membri

Utilizzando queste categorie, è possibile quindi attivare specifiche azioni di sviluppo delle
comunità, o specifici progetti di intervento.
Un progetto di sviluppo delle comunità parte da uno specifico obiettivo operativo o di
business e contiene una fase iniziale di analisi, seguita da un momento di
concettualizzazione e vision, in cui ci si chiede qual è il funzionamento ideale della
comunità, cosa accade quando la comunità è allo stadio di maturità piena. Segue poi una
13
    Sul knowledge management relazionale si veda anche Astrologo, D. “Knowledge Management
relazionale”, E-Learning, Maggio-Giugno 2005.
fase di progettazione sul campo dei processi di comunicazione e scambio di informazioni,
cui si associa una fase di progettazione degli strumenti di supporto. In parallelo, occorre
identificare le diverse figure e tipologie di leadership che animano la vita delle comunità,
rafforzarle attraverso specifici programmi integrati di sviluppo individuale ed
organizzativo e definire un modello di comunicazione dei risultati e delle attività svolte
dalla comunità, in modo che siano chiari sia agli stessi membri della comunità (talvolta
inconsapevoli) sia al resto dell’organizzazione. Occorre inoltre un attento monitoraggio “nel
merito” dei risultati operativi e di business prodotti dalla comunità, che abbia il primario
obiettivo di mantenere focalizzate le energie e di evitare dispersione, anche per prevenire
la fase calante, attivando nuove iniziative per mantenere elevati i livelli di coinvolgimento e
motivazione a partecipare.

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  • 1. Attivare ed animare le comunità: casi ed esperienze a confronto Maurizio Mesenzani1 Scopo del paper è ragionare su casi di attivazione ed animazione di comunità di pratiche in organizzazioni complesse, mettendo a confronto realtà tra loro differenti. Il paper si fonda su tre ipotesi di base, di seguito argomentate e discusse. In primo luogo, si ipotizza che le comunità di pratica siano una chiave di sviluppo dell’impresa: in quest’ottica occorre mettere il tema delle comunità nelle agende del top management di linea e di staff. Una delle sfide dei manager di linea e dei responsabili del personale è far lavorare insieme le persone in modo tale che si attivino processi di circolazione spontanea di informazioni, scambio di buone pratiche, condivisione di obiettivi e compiti, cicli di miglioramento continuo. Tutto questo per massimizzare il raggiungimento di obiettivi e risultati per le aziende (risultati di business operativi e strategici) e per le persone (crescita, sviluppo delle competenze, visibilità e status). Le comunità sono il luogo in cui avviene quanto sopra descritto, sono il contesto in cui nascono le idee di innovazione, si generano e si scambiano le conoscenze, si sviluppano quei processi di apprendimento spontanei e non formalizzati, che fanno la differenza tra l’organizzazione performante e l’organizzazione eccellente, di successo, l’azienda “built to last”2. Le comunità sono, infatti, aggregazioni informali di persone che condividono stesse pratiche di lavoro. Nello scambio i partecipanti costruiscono uno stesso modo di vedere la propria organizzazione: tale visione orienta l’azione e la definizione di scopi da raggiungere. Le aziende risultano infatti essere sempre più un insieme di comunità di pratiche e non di atomi individuali. Le comunità sono anche il luogo dove si sviluppano e consolidano le pratiche di lavoro quotidiano; nelle comunità le persone condividono esperienze e conoscenze, apprendono nuove competenze, e ancora, le comunità sono il luogo dell’innovazione organizzativa dove nascono, si diffondono e consolidano “nuovi modi di fare le cose”, nuovi prodotti, nuove idee. La seconda ipotesi riguarda il ciclo di vita delle comunità: le comunità sono strutture latenti mutevoli nel tempo. Wenger, nei suoi studi dedicati alle comunità3, avverte che la comunità è un organismo vivente, come tale è caratterizzata da trasformazioni che avvengono attraverso diverse fasi di sviluppo: - Potenziale: la comunità è allo stato nascente, e si crea un network debole tra i membri che iniziano a raccogliersi attorno ad un tema/argomento - Crescita: la comunità è all’avvio, al lancio delle proprie attività, i membri scoprono il valore e i benefici dell’appartenenza Maturità: la comunità è giunta alla sua maturazione, le attività iniziano a muoversi secondo uno standard, la crescita è ancora ampia - Attività: la comunità opera ed è attiva, produce output significativi, ha sviluppato le sue regole, i suoi usi e costumi, il suo linguaggio - Dispersione: la comunità inizia un processo di disgregazione, i membri si allontanano, la loro multi-appartenenza li porta ad investire maggiormente verso altre comunità. 1 Maurizio Mesenzani è partner e responsabile dell’area CRM-KM di Butera e Partners. Lavora nel gruppo Tesi-Butera e Partners come consulente di direzione e management. Principali clienti seguiti: Vodafone, H3G, Borsa Italiana-Monte Titoli Spa, ING DIRECT Italia, Comune di Parma, Ecipar Emilia Romagna. In precedenza, dal 1997 al 2000, ha lavorato in Andersen Consulting. Dal 2000 collabora come docente con l’Università Bicocca di Milano e dal 2004 è professore a contratto presso il dipartimento di sociologia. 2 Per il concetto di “Built To Last” si veda Collins, J.C; Porras, J.I. Built to Last, Harper Business, 1994. 3 Si veda anche Wenger, E. Communities of practice; Learning, Meaning and Identity, Cambridge University Press, 1998.
  • 2. Ciascuna di queste fasi richiede specifiche linee d’analisi, progettazione ed intervento, da modulare e realizzare in modo coerente con il contesto. La terza ipotesi parte proprio dalla considerazione che, sebbene le comunità siano dei fenomeni spontanei, sia possibile per il management dell’impresa facilitarne la nascita, la crescita e lo sviluppo, attraverso specifiche azioni mirate: in altre parole, è possibile progettare le comunità di pratica alla stregua dei processi, delle strutture dell’impresa e dei sistemi gestionali? È possibile ingegnerizzare un percorso di sviluppo di organismi caratterizzati da partecipazione spontanea, volontarismo, latenza di struttura, bassa formalizzazione? La risposta a questi interrogativi diventa fondamentale nella misura in cui le comunità producono benefici concreti per l’impresa e per le sue persone: in quest’ottica esse diventano un tema chiave per il management. Il primo caso analizzato riguarda una software house tedesca, sessanta persone operanti in tre sedi4. Il core business è lo sviluppo e l’assistenza software, attività svolte da diverse comunità professionali, tra cui emergono progettisti, commerciali, project manager e tecnici. Si tratta di un’azienda che lavora per progetto (per “commessa”) in cui operano diverse figure professionali distribuite su diverse sedi, ciascun progetto/commessa è gestito autonomamente in logica customer-driven e ciascun team di progetto risulta essere una microstruttura quasi indipendente. In questo caso il valore delle comunità è rappresentato dalla possibilità di attivare processi di circolazione di conoscenze in modo trasversale rispetto ai progetti, per “famiglia professionale” (i tecnici, ad es., o i commerciali), per “sede locale” (ad es. l’ufficio di Hannover), per tipologia di cliente (es. la industry). Solo in questo modo diventa possibile patrimonializzare le conoscenze generate nei singoli progetti e attivare processi di innovazione comuni a tutta l’impresa e non solo alle singole micro-strutture (il team di progetto, ad esempio, o la sede). E’ stato quindi svolto un intervento di analisi delle pratiche di lavoro5 e delle modalità attraverso le quali le persone svolgono i loro compiti, come interagiscono tra loro, come comunicano, come si scambiano documenti ed informazioni. Sono state impiegate tecniche di social network analysis per andare a mappare i flussi di relazione, avendo cura di considerare la famiglia professionale, la sede, il ruolo/livello, il team o i team di progetto di appartenenza, la industry dei clienti, ecc. Tale analisi ha permesso di definire lo stato attuale delle comunità e delle reti sociali presenti in azienda: una comunità di tecnici molto attiva e sviluppata (per usare le categorie di Wenger si potrebbe dire allo stadio di maturità); una comunità dei commerciali da sviluppare (allo stato potenziale), in modo da poter condividere le pratiche commerciali di successo, abilitare i venditori a scambiarsi informazioni su potenziali rischi, errori commessi, occasioni di cross-selling; è emerso inoltre un forte bisogno di attivare processi di community building in modo trasversale rispetto alle sedi (fino ad allora vissute come nodi indipendenti con poche connessioni con il resto della rete6), è emerso un forte bisogno di condivisione di tutta la documentazione e dei materiali di lavoro (files e documenti), non solo all’interno dei progetti ma in modo trasversale rispetto all’azienda. Sulla base di questi requirements è stato avviato un percorso di realizzazione di una soluzione di supporto alle comunità: un ambiente in grado di utilizzare i diversi strumenti di lavoro e canali di comunicazione attivi tra le persone (il 4 Per maggiori informazioni sul caso si veda anche Agostini, A.; Albolino, S.; De Paoli, F.; Grasso, A.; Hinrichs, E. “Supporting Communities by Providing Multiple Views”, in van den Besselaar, P.; De Michelis, G. Communities and Technologies 2005, Springer, 2005. 5 L’analisi delle pratiche di lavoro è stata svolta attraverso una tecnica di analisi etnografica basata su interviste, osservazioni e affiancamenti in operativo nelle reali situazioni lavorative, successivamente documentate con report, foto e filmati. 6 Per l’analisi delle imprese a rete si fa riferimento a Butera, F. Il castello e la rete, Franco Angeli, Milano, 1990.
  • 3. computer, il telefonino, il contatto dal vivo). E’ in corso di sperimentazione un prototipo di soluzione di KM integrata, denominato MILK7 (acronimo di “Multimedia Interaction for Learning and Knowing”) che permette alle comunità di accedere a “contenuti” (files, forum di discussione, chat, video, immagini…) tramite il PC, il telefono portatile e tramite larghi schermi posti in ambienti di lavoro specificatamente definiti “gli spazi per le comunità” (corridoi, sale stampanti e fotocopiatrici, angoli caffè, cucine…). Sui larghi schermi è possibile tenere sempre attiva una sessione di videoconferenza tra le diverse sedi, in modo da ridurre le barriere geografiche e avere sempre aperta una “finestra” su tutte le sedi dell’azienda, facilitando così i contatti spontanei ed informali. Dei tre ambienti di sviluppo (PC, mobile devices e larghi schermi), i larghi schermi sono l’ambiente che ha maggiormente stimolato un’azione specifica sulle comunità. La progettazione dei larghi schermi ha portato alla definizione di diversi canali tematici, proiettati nel corso della giornata grazie ad un palinsesto, in parte gestito centralmente e in grado di consentire interventi dagli utenti che si trovano di volta in volta di fronte allo schermo: un canale tematico, grazie al quale sono presentati i contenuti organizzati per area tematica e per progetto, la cui finalità è rendere disponibili i contenuti in modo trasversale rispetto ai progetti; un canale “persone” grazie al quale è possibile prendere visione dei profili dei colleghi, per sede, per progetto, per area tematica, visualizzando il curriculum, il canale di contatto preferito, la foto; finalità di questo canale è creare le condizioni di base di conoscenza reciproca per stimolare il contatto iniziale alla base della nascita di una comunità, e facilitare i contatti tra le persone che operano in diverse sedi e in diversi progetti; un canale “news” (con contenuti speculari a quelli già presenti nel portale) che permette la circolazione di tutte le notizie utili a prendere decisioni, svolgere i propri compiti, approfondire aree di sviluppo. In questo modo i larghi schermi fanno un utilizzo esteso della serendipity, integrando l’ambiente on line (il portale, la intranet, il sistema di gestione documentale…) con l’ambiente fisico (lo spazio di lavoro arricchito di larghi schermi interattivi a parete). La sperimentazione in corso mostra come l’ambiente creato abbia ancora ampi margini di miglioramento dal punto di vista del funzionamento tecnico (in termini di usabilità dei sistemi, reale integrazione tra ambiente PC, mobile devices, larghi schermi), e soprattutto dal punto di vista del funzionamento organizzativo (presidio dei processi di gestione e pubblicazione dei contenuti, gestione tecnica ed amministrativa degli ambienti, gestione dei palinsesti…)8. In termini di sviluppo delle comunità, gli schermi hanno permesso l’attivazione di flussi di comunicazione più estesi tra le persone che operano nelle diverse sedi, estendendo quindi i confini delle comunità locali. Un caso di sviluppo di una comunità attraverso le fasi di sviluppo identificate da Wenger è rappresentato dall’esperienza di knowledge management nel customer care di Vodafone Italia. Si partiva dalla considerazione che l’operatore bravo non è colui che sa tutto ma piuttosto è colui che conosce chi sa le cose che gli occorrono e dove reperire le informazioni che gli servono. Con questa frase il management delle Customer Operations di Vodafone Omnitel9 ha avviato nel 2000 uno dei progetti più significativi di community building nel customer care. Il progetto, partito su un gruppo limitato di operatori, si è ora diffuso a tutta la struttura delle Customer Operations di Vodafone Italia, ed è diventato una 7 Il progetto MILK (Multimedia Interaction for Learning and Knowing IST Project - IST 2001-33165) è un progetto europeo diretto da Irso – Butera e Partners al quale partecipano Xerox Research, Domus Academy, pictureSafe, Fraunhofer Institute, Orbiteam, Università di Milano Bicocca, Xerox Global Services. Per maggiori informazioni si veda www.usemilk.com 8 Una sperimentazione dello stesso prototipo MILK è in corso anche presso gli uffici di Milano e Roma di Butera e Partners 9 Il progetto KM nel Customer Care dell’allora Omnitel-Vodafone era stato avviato e gestito da Antonio Morawetz e Manlio Costantini, top manager delle Customer Operations dell’azienda.
  • 4. best practice internazionale a livello di gruppo, oltre a rappresentare un modello replicabile in altre aziende e in altri settori. In questo caso è stato svolto un lavoro preliminare di analisi, mirato ad identificare le comunità esistenti e sviluppare attorno ad esse un tessuto organizzativo e un set di strumenti per favorirne la crescita verso la maturità ed operatività: per esempio si era scoperta l’esistenza di un gruppo ristretto di portatori di conoscenze tecnico-specialistiche in area GPRS e UMTS, che stava iniziando ad operare come una comunità, così come erano rilevabili dei network di relazioni deboli e spontanee attorno ad alcuni prodotti/servizi, all’analisi di alcuni sistemi, alla rielaborazione di alcuni processi e procedure. Si è quindi ipotizzato di mettere a disposizione degli operatori di customer care un ambiente di forum, nel quale potessero sviluppare (a fondo, in modo esplicito e coordinato) relazioni più consolidate attorno ai temi di interesse principale per l’azienda (prodotti/servizi, tecnologie, sistemi, processi e procedure, modelli di telefoni…). Tale ambiente è stato testato su un gruppo ristretto di operatori, rilasciato al resto delle customer operations e poi all’azienda, parallelamente ad una integrazione con il motore di ricerca e gli applicativi di CRM utilizzati nei processi di gestione del cliente (care e claim management, order management, credit management…). La vita delle comunità nei forum ha permesso la condivisione di pratiche di lavoro, informazioni e conoscenze, in primo luogo attraverso le diverse sedi di contact center, poi attraverso i mercati e le “funzioni aziendali”, arrivando a rappresentare un modello di “organizzazione latente” integrata con l’organizzazione formale e con le strutture macro e micro esistenti in azienda. Si tratta del luogo in cui vengono riscritte le procedure, ripensati i processi, in cui la “voce del cliente” si trasforma in idee di nuovi prodotti e servizi, in cui si fanno analisi e confronti con le offerte dei competitor, in cui si condividono analisi di sistema. Si tratta di un luogo in cui le persone interagiscono tra di loro, si parlano, si scambiano le proprie impressioni ed esperienze, in un contesto come il contact center, a metà tra la fabbrica e l’ambiente professionale, caratterizzato da molti momenti di lavoro individuale in linea con il cliente, nel quale non è facile conoscersi, parlarsi, riflettere insieme ai colleghi su ciò che si sta facendo. I risultati e la diffusione della community sono stati sin da subito incoraggianti: produzione di nuove conoscenze e nuovi contenuti, esternalizzazione delle pratiche di lavoro, oltre a questi anche risultati operativi tangibili, connessi alla qualità della risposta, all’efficacia, all’omogeneità e ai tempi di gestione delle chiamate e di reperimento delle informazioni richieste o di modifica di pagine intranet, processi, sistemi e procedure. Un elemento di successo di questa esperienza, a parte l’ambiente tecnologico realizzato, è stato il modello di progettazione organizzativa del KM, che ha visto la nascita di ruoli di presidio dei processi di conoscenza, dalla pubblicazione di contenuti alla moderazione dei forum, e che ha visto una forte integrazione con i sistemi vigenti di assegnazione degli incarichi (scheduling), con i sistemi professionali e con le modalità gestionali complessive della struttura di customer operations. Sono state identificate le figure chiave della vita delle community10, tra questi i lurker (chi partecipa solo guardando i contributi degli altri), gli apprendisti (new comers, in cerca della propria posizione nella comunità), gli alfieri (i frequentatori abituali, stimolo alla partecipazione e allo sviluppo), i leader (esperti di contenuto e di metodo, comunicatori, rappresentanti formali della comunità, decisori e moderatori), gli antagonisti (polemici, contrari ad ogni posizione..). Sulle figure più rilevanti per l’animazione e la vita delle community è stato svolto un intervento di rafforzamento mirato, sul piano individuale ed organizzativo. Sono state definite inoltre delle procedure formali, per regolare l’appartenenza e la partecipazione alla vita della comunità (discussioni moderate, validazione dei contenuti prodotti…), in modo da massimizzare la 10 Si veda anche Wenger, E. Supporting Communities of Practice, Etienne Wenger Research and Consulting, internet draft, Marzo 2001.
  • 5. possibilità di utilizzare gli output della community per finalità operative e di business (nuove procedure, idee di prodotto/servizio, nuovi processi e ruoli, specifiche IT…). Ciò dimostra che un approccio sistemico al tema della community, una chiara visione dell’obiettivo di business che le comunità aiutano a raggiungere e un governo puntuale ed approfondito di tutti gli interventi sul tema, permettono di presidiare il processo di sviluppo e consolidamento della comunità, lasciando i membri liberi di aderire spontaneamente e di utilizzare un ambiente strutturato e abilitante11. Un altro caso riguarda la comunità dei professionisti di ECIPAR Emilia Romagna12. In questo caso si tratta di un’azienda che fornisce servizi di formazione e consulenza prevalentemente ad imprese di piccole e medie dimensioni in Emilia Romagna, un network di dipendenti e collaboratori esterni connesso al mondo della CNA, che coinvolge centinaia di persone, operanti su diverse sedi nelle province emiliane-romagnole, con varie figure professionali (progettisti, docenti, commerciali, amministrativi, informatici, gestionali…) portatrici di diverse competenze, dalle competenze di contenuto sulle tematiche di formazione ed intervento agli skill di gestione, progettazione, amministrazione e promozione/vendita di servizi. Una comunità allo stato di crescita, che ha già esplorato la fase potenziale, e che presenta necessità di identificare le pratiche di comunicazione e scambio già in essere e di consolidare e strutturare i processi di sviluppo, anche introducendo un ambiente operativo per la condivisione di contenuti, primo problema di una comunità così articolata e dispersa geograficamente. Una comunità caratterizzata da una bassa propensione all’uso delle tecnologie, un contesto quindi dove la leva tecnologica non poteva essere giocata come elemento di partenza; una comunità caratterizzata da una diffusa multi-appartenenza dei suoi membri, anche per la varietà dei contratti di lavoro applicati, e un luogo dove, di conseguenza, le leve gerarchiche risultano essere molto deboli. Inoltre si tratta di una comunità molto spinta dall’innovazione, generata nel rapporto con i clienti imprese e persone (destinatari e/o compratori dei servizi offerti) e nel rapporto con gli enti pubblici (programmatori e finanziatori delle attività di sviluppo di settore e territori). Un’innovazione di prodotto/servizio, processo, relazioni e modalità di interazione all’interno nella rete ECIPAR e all’esterno con i diversi attori istituzionali ed aziendali. Vista la situazione, si è scelto di puntare sulla valorizzazione del patrimonio conoscitivo esistente, andando ad osservare le tipologie di conoscenze strategiche per le diverse comunità esistenti, e si è proceduto a ricostruire il quadro della comunità e delle sotto- comunità, comunità trasversale, identificate su due livelli: il livello geografico (nodi locali della rete ECIPAR ER) e il livello professionale (famiglie e ruoli professionali). E’ stato così possibile definire un ambiente operativo di supporto, un gestore di contenuti web-based organizzato per processo e per area geografica. La vista per processo permette ai membri della comunità l’ingresso, l’inserimento contenuti e la navigazione nel sistema attraverso una chiave interpretativa comune, indipendente dall’appartenenza geografica, dal ruolo professionale e dalle specificità di linguaggio. Ciò che infatti accomuna tutti i membri delle diverse comunità esistenti in ECIPAR ER è il processo di lavoro, le principali fasi e attività svolte, ecco quindi che si generano dei sottoinsiemi di comunità tra persone che svolgono le stesse mansioni, pur appartenendo a sedi diverse e utilizzando spesso codici di linguaggio non omogenei. In simili situazioni, la disponibilità on line di contenuti già sviluppati da altri o la stessa indicazione dei nomi dei colleghi che hanno simili mansioni e task, permette ai membri della comunità l’attivazione 11 Per un approfondimento sul caso si veda anche Mesenzani, M., Bugatti, R. “Il Knowledge Management come leva strategica per il Customer Care: un caso nel settore TLC”, in Butera, F. Tecnologie per l’uomo e per l’organizzazione, Franco Angeli, 2002. 12 Il progetto di Knowledge Management in ECIPAR Emilia Romagna è diretto da Lauro Borsato, Roberto Centazzo e Otello Zanzini, membri della Direzione dell’azienda.
  • 6. di un processo di knowledge management relazionale, che va ben oltre la gestione e la condivisione dei files13. In questo caso la sfida è riuscire a portare questa comunità oltre le prime fasi di crescita e abilitarla a diventare matura ed attiva, in grado cioè di auto-definirsi e gestirsi le pratiche di funzionamento quotidiano, facendo in modo che tutte le singole persone appartenenti al sistema ECIPAR ER possano entrare in contatto reciproco, sapendo ad esempio chi sta facendo cosa e chi ha prodotto i contenuti condivisi nel sistema di KM, in modo che sia possibile creare “occasioni di contatto sui contenuti” (contatti people to knowledge, people to people): la scelta organizzativa di avviare un gruppo pilota per il caricamento di contenuti nel sistema ha lo scopo di attivare in modalità top-down un processo che nelle comunità mature è prevalentemente spontaneo, la scelta è dovuta alla considerazione che la comunità porti benefici all’azienda e ai suoi membri. L’obiettivo è quindi aumentare la connettività tra le persone che operano nel sistema ECIPAR ER, fare in modo che aumentino le occasioni e i canali di contatto, attraverso un ambiente con un livello di formalizzazione molto basso e pensato per essere esteso oltre i confini formali dell’azienda. E’ quindi in corso un ampio programma di formazione sull’uso degli strumenti, sensibilizzazione e comunicazione sui vantaggi della comunità ECIPAR ER quando sarà matura, un impegno del top-management dell’azienda a rendere esplicita la visione di un sistema in cui funzionano i processi di conoscenza: su questa linea si sta procedendo a correlare le azioni della comunità ai risultati operativi e di business, in termini di replicabilità delle buone pratiche (progetti, templates, procedure…), aumento della capacità di innovazione, riduzione dei tempi di attraversamento di alcune fasi di lavoro, aumento della qualità dell’offerta, omogeneizzazione di linguaggi e standard operativi, aumento delle opportunità di formazione e sviluppo delle persone attraverso l’utilizzo dell’ambiente di community per l’auto-formazione e l’aggiornamento. In sintesi, il confronto tra i diversi casi presentati ci mostra come le comunità di pratiche siano sempre più strategiche per il business e contribuiscano concretamente alla capacità dell’azienda di produrre risultati, e ci mostra come siano possibili azioni di supporto e sviluppo, purché partano dell’analisi dello stadio di sviluppo e tengano in considerazione alcuni elementi attorno ai quali analizzare e progettare le comunità: - scopo della comunità - tipologia di appartenenza - livello di formalizzazione - composizione sociale - connettività - identità - confini intra-inter-organizzativi - dimensioni - processi di comunicazione/knowledge sharing - strumenti di supporto - tipo di interazioni/canali - integrazione con altre comunità/multiappartenenza dei suoi membri Utilizzando queste categorie, è possibile quindi attivare specifiche azioni di sviluppo delle comunità, o specifici progetti di intervento. Un progetto di sviluppo delle comunità parte da uno specifico obiettivo operativo o di business e contiene una fase iniziale di analisi, seguita da un momento di concettualizzazione e vision, in cui ci si chiede qual è il funzionamento ideale della comunità, cosa accade quando la comunità è allo stadio di maturità piena. Segue poi una 13 Sul knowledge management relazionale si veda anche Astrologo, D. “Knowledge Management relazionale”, E-Learning, Maggio-Giugno 2005.
  • 7. fase di progettazione sul campo dei processi di comunicazione e scambio di informazioni, cui si associa una fase di progettazione degli strumenti di supporto. In parallelo, occorre identificare le diverse figure e tipologie di leadership che animano la vita delle comunità, rafforzarle attraverso specifici programmi integrati di sviluppo individuale ed organizzativo e definire un modello di comunicazione dei risultati e delle attività svolte dalla comunità, in modo che siano chiari sia agli stessi membri della comunità (talvolta inconsapevoli) sia al resto dell’organizzazione. Occorre inoltre un attento monitoraggio “nel merito” dei risultati operativi e di business prodotti dalla comunità, che abbia il primario obiettivo di mantenere focalizzate le energie e di evitare dispersione, anche per prevenire la fase calante, attivando nuove iniziative per mantenere elevati i livelli di coinvolgimento e motivazione a partecipare.