1. MECCANISMI MOLECOLARI
DELLA DEPRESSIONE
Prof. Nicoletta BrunelloProf. Nicoletta Brunello
Dip. Scienze FarmaceuticheDip. Scienze Farmaceutiche
Università di Modena e Reggio EmiliaUniversità di Modena e Reggio Emilia
2. Profilo clinico della depressione
La definizione dei limiti tra normalità e patologia di una condizione depressiva ai fini di un intervento
terapeutico apre innanzitutto il problema dell’inquadramento clinico. Il problema diagnostico è ulteriormente
complicato dall’uso molteplice che viene fatto del termine depressione (sintomo, sindrome, particolare modello
di malattia) e dai molti aggettivi utilizzati per descriverla. Attualmente il termine depressione è diventato
estremamente confusivo, a dispetto della sua illusoria chiarezza e semplicità. Questa confusione semantica
crea problemi di comunicazione fra psichiatri di diversa estrazione culturale e difficoltà di comunicazione e di
riproducibilità dei risultati provenienti dalla ricerca scientifica. E’ un’esperienza comune il dolore causato da un
avvenimento avverso o dall’accorgersi della discrepanza tra la vita com’è e come potrebbe essere; meno
comune, ma abbastanza frequente come problema psichiatrico, il dolore che non si attenua con il passare del
tempo, che sembra esagerato in rapporto al presunto evento scatenante, o inappropriato o non collegato ad
alcuna causa evidente. Quando la gente parla di depressione ha spesso in mente la prima condizione, meglio
definibile come “demoralizzazione o tristezza”; invece gli psichiatri quando si rivolgono alla gente parlando
della frequenza enorme e crescente della depressione devono chiarire che non stanno parlando della pura e
semplice demoralizzazione, che interessa la totalità degli esseri umani in qualche fase della loro esistenza,
ma di una condizione patologica cui va incontro, nell’arco della sua vita, tra il 7 ed il 15% degli uomini e tra il
13 ed il 28% delle donne. Si tratta comunque di una condizione frequente, ma non ubiquitaria, l’unica che può
rispondere al trattamento con farmaci antidepressivi mentre l’infelicità che è parte integrante dell’esistenza
umana non può essere curata farmacologicamente.
Alternativamente a ciò, il termine depressione può essere utilizzato nella connotazione della sindrome
depressiva ove certamente il nucleo portante del quadro clinico resta l’umore deflesso nell’accezione
precedentemente delineata. Ad esso si accompagna una costellazione di sintomi che investono l’area
emotivo-affettiva (sentimenti di colpa, inadeguatezza e/o rovina), quella neurovegetativa (alterazione del ritmo
sonno-veglia, dell’alimentazione, del peso corporeo), l’attività psicomotoria (rallentamento/agitazione, senso di
vuoto mentale, difficoltà nell’espressione verbale e alterazione della mimica) ed infine la cognitività
(alterazione dell’attenzione, della capacità di concentrazione della memoria). Il quadro psicopatologico che
nell’insieme si profila è caratterizzato da una globale perdita che si manifesta in ogni ambito della vita del
soggetto, ed è osservabile oggettivamente. Tale quadro può comparire secondariamente a molti e diversi
stimoli (eventi di vita, malattie mediche, assunzione di farmaci o sostanze ad attività psicotropa) oppure
costituire una fase della malattia dell’umore, terzo concetto a cui il termine depressione può essere riferito.
3. Sintomi controllati dai sistemi monoaminergiciSintomi controllati dai sistemi monoaminergici
AnsiaAnsia
IrritabilitàIrritabilitàAttenzioneAttenzione ImpulsivitàImpulsività
Ideazione suicidariaIdeazione suicidaria
Umore, EmotivitàUmore, Emotività
FunzioniFunzioni
CognitiveCognitive Sonno, AppetitoSonno, Appetito
Funzioni sessualiFunzioni sessuali
AggressivitàAggressività
Attività psicomotoriaAttività psicomotoria
EuforiaEuforia
MotivazioneMotivazione
EnergiaEnergia
NoradrenalinaNoradrenalina
DopaminaDopamina
SerotoninaSerotonina
4. Neurobiologia della depressione
La depressione è una malattia eterogenea derivante da una disfunzione di diversi sistemi
neurotrasmettitoriali o metabolici in presenza di concomitanti eventi psicosociali. La maggior parte delle
teorie biologiche sulla depressione si focalizza su anomalie in uno o più sistemi neurochimici cerebrali. Sono
state condotte considerevoli ricerche al fine di chiarire i ruoli dei vari neurotrasmettitori del SNC, tra cui la
noradrenalina (NA), la serotonina (5HT) e la dopamina (DA). Ciascuno di questi neurotrasmettitori è stato
localizzato nei tratti e nei nuclei cerebrali coinvolti nella regolazione del sonno, della ricompensa,
dell’appetito e dell’espressione delle emozioni. Studi clinici e di base hanno portato ad una serie di ipotesi
riguardanti il meccanismo d’azione dei farmaci antidepressivi e la patofisiologia della depressione che
puntano su alterazioni nei livelli di queste amine e dei loro recettori. Nonostante questi modelli abbiano
guidato la ricerca negli ultimi trent’anni, non hanno tuttavia ancora permesso di arrivare a definire
chiaramente il meccanismo d’azione degli antidepressivi e la patofisiologia della depressione. Anche gli studi
più recenti non sono riusciti ad identificare un’azione comune del trattamento antidepressivo sui livelli delle
monoamine o sui loro recettori. Ciò non deve sorprendere dal momento che i vari tipi di trattamento
antidepressivo producono effetti diversi sul sistema serotoninergico e noradrenergico ed è inoltre possibile
che i farmaci antidepressivi esercitino il loro effetto terapeutico attraverso più di un meccanismo. I primi studi
avevano indicato che composti come la reserpina, che depletano il contenuto di catecolamine a livello
centrale e periferico, potevano indurre la comparsa di una sintomatologia depressiva in una percentuale di
pazienti. Questa osservazione ha portato alla formulazione dell'ipotesi aminergica della depressione in base
alla quale si ritiene che la patologia depressiva sia caratterizzata da una alterazione dei sistemi
monoaminergici coinvolti nell'elaborazione affettiva e nelle risposte vegetative e comportamentali
conseguenti a stimolazioni ambientali o interne. Tale ipotesi trova una parziale conferma nei cosiddetti studi
di deplezione in cui è stato osservato che la riduzione del contenuto di 5HT cerebrale ottenuta mediante
un’alimentazione priva di triptofano produce sintomi depressivi in pazienti con storia pregressa di
depressione, ma non in volontari sani, e annulla la risposta antidepressiva a farmaci che potenziano il
sistema serotoninergico. Inoltre la deplezione di NA a seguito del trattamento con alfa-metil-p-tirosina,
inibitore della tirosina idrossilasi, annulla la risposta terapeutica alla desmetilimipramina, farmaco che
potenzia la trasmissione noradrenergica.
6. I farmaci antidepressivi: gli IMAO e i TCA
In base al meccanismo d'azione è possibile individuare diverse classi di farmaci antidepressivi: inibitori delle
monoamino ossidasi (IMAO), antidepressivi triciclici (TCA), detti anche tipici o della prima generazione,
antidepressivi non triciclici, detti anche atipici o della seconda generazione. I farmaci antidepressivi di
maggior impiego clinico inducono un aumento nella disponibilità sinaptica di NA e/o 5-HT sia bloccandone la
ricaptazione neuronale, sia riducendo il catabolismo attraverso l'inibizione delle MAO, sia rimuovendo il tono
inibitorio sul rilascio o sull'attività neuronale. I primi farmaci antidepressivi ad essere stati introdotti in terapia
sono stati gli inibitori delle MAO. Il loro meccanismo d’azione consiste nel blocco dell’attività delle MAO,
enzimi che catalizzano la deaminazione ossidativa dei neurotrasmettitori monoaminergici. In conseguenza di
tale blocco si verifica un accumulo di neurotrasmettitori disponibili ad essere rilasciati nello spazio sinaptico.
L’uso degli IMAO si è progressivamente ridotto a causa dei loro effetti collaterali (epatotossicità, ipertensione
e pericolose interazioni con farmaci e alimenti) dovuti alla irreversibilità dell’attività inibitoria. Alla fine degli
anni ’60 si è assistito ad un rinnovato interesse per gli IMAO, infatti studi approfonditi condotti sulle MAO
hanno dimostrato l’esistenza di almeno due isoforme, le MAO-A e MAO-B, che agiscono selettivamente sui
diversi neurotrasmettitori. Lo sviluppo di inibitori reversibili e specifici delle MAO-A, come la moclobemide, ha
permesso di migliorare l’efficacia terapeutica di questi composti e di ridurre i gravi effetti collaterali che
accompagnavano l’uso dei primi inibitori.
Agli inizi degli anni ’60 veniva introdotta in terapia un’altra classe di farmaci, quella degli antidepressivi
triciclici così definiti in base alla loro struttura chimica contenente tre anelli. Il meccanismo d’azione con cui
agiscono acutamente i triciclici consiste in un blocco della ricaptazione neuronale delle amine biogene NA, 5-
HT e DA, con un conseguente aumento della loro concentrazione nello spazio sinaptico. Oltre alla attività
inibitoria sulla ricaptazione delle monoamine i TCA possiedono tre caratteristiche, quella di bloccare i recettori
istaminergici H1, i recettori colinergici muscarinici e i recettori α1-adrenergici. Mentre si ritiene che il blocco
della ricaptazione della NA e della 5-HT sia correlato alla azione terapeutica di questi farmaci, le altre
proprietà farmacologiche sono alla base degli effetti collaterali. L’attività anticolinergica causa problemi alla
vista, secchezza delle fauci, stipsi e ritenzione urinaria; l’azione antiistaminergica provoca sedazione ed
aumento di peso mentre il blocco dei recettori α-1 adrenergici è responsabile dell’ipotensione ortostatica;
inoltre ad alte dosi i TCA sono cardiotossici e talvolta letali in sovradosaggio. La frequenza e gli effetti
collaterali degli antidepressivi della prima generazione, con la conseguente scarsa compliance del paziente,
ha portato allo sviluppo di antidepressivi detti di seconda generazione.
8. I farmaci antidepressivi: gli SSRI
Negli ultimi 20 anni sono entrati in terapia numerosi farmaci, strutturalmente e biochimicamente molto diversi,
che rappresentano la più efficace e moderna risposta alla depressione. L'importanza e la centralità del sistema
serotoninergico nella modulazione fisiologica della trasmissione neuronale hanno sostenuto la ricerca verso
farmaci sempre più selettivi e specifici per i neuroni serotoninergici. A circa 20 anni di distanza dall’introduzione
dei TCA e dallo sviluppo dei loro derivati è stato introdotto un nuovo gruppo di antidepressivi, gli inibitori selettivi
della ricaptazione della serotonina (SSRI), con la stessa efficacia dei TCA, ma con minori effetti secondari e
collaterali di quest’ultimi. Queste molecole sono sprovviste dell’attività bloccante sui recettori colinergici,
istaminergici H-1 e α1-adrenergici e quindi non presentano gli effetti collaterali dei TCA dovuti alla loro affinità
per questi recettori. Gli effetti collaterali caratteristici di questa classe di farmaci consistono nei disturbi della
sfera gastrointestinale (nausea, vomito, gastralgia) e in disfunzioni sessuali (riduzione della libido, impotenza,
anorgasmia) e sono la conseguenza dell’aumentata attività serotoninergica a livello dei recettori 5HT2 e 5HT3.
Gli SSRI bloccano il reuptake della 5HT con diversa potenza e, soprattutto, con differente selettività.
Recentemente sono emerse altre differenze nel profilo farmacodinamico e farmacocinetico di queste molecole.
Il citalopram è il più selettivo tra gli SSRI, non interagisce con altri trasportatori, possiede una debole affinità per
i recettori H-1 dell’istamina, base neurochimica del leggero effetto sedativo, non inibisce l’attività del CYP 450 e
pertanto non dà luogo a pericolose interazioni con altri farmaci. La sertralina blocca anche il trasportatore della
DA e questo effetto spiegherebbe le sue proprietà disinibenti e attivanti rilevabili a livello cognitivo soprattutto
nei pazienti anziani, ma potrebbe portare ad una eccessiva stimolazione del paziente, con manifestazioni
d’ansia. La paroxetina inibisce anche l’uptake della NA, inibisce la nitrossido sintasi, effetto che può portare a
disfunzioni erettili, e risulta essere la molecola con maggiore azione anticolinergica soprattutto per un’azione a
livello dei recettori muscarinici M3. Tale effetto, oltre alla potente inibizione del CYP 2D6, richiede una
particolare attenzione nel paziente anziano con problemi cognitivi e nelle polifarmacoterapie con altri farmaci
metabolizzati dallo stesso isoenzima. La fluvoxamina, fra gli SSRI, risulta sicuramente la molecola con
caratteristiche maggiormente sedative; è un potente inibitore delle isoforme 1A2 e 3A4 del CYP450 e pertanto
può dar luogo ad interazioni con altri farmaci che seguono la stessa via metabolica. La fluoxetina inibisce anche
l’uptake della NA e questo effetto associato ad una specifica azione a livello dei recettori 5HT2c rende conto
dell’azione attivante, contestualmente ad una riduzione nell’assunzione del cibo e ad una riduzione della fame
soggettiva, con conseguente perdita di peso. Sertralina e fluvoxamina interagiscono inoltre con il recettore
sigma, azione che ne suggerisce l’uso, in associazione ai farmaci antipsicotici, per i sintomi negativi della
schizofrenia.
10. I farmaci antidepressivi: SNRI, NRI, NaSSA
Agli SSRI, più recentemente, si sono aggiunti farmaci caratterizzati da un meccanismo d'azione molteplice
in grado di influenzare più di un sistema neurotrasmettitoriale: la venlafaxina, inibitore della ricaptazione
della 5-HT e della NA (SNRI) la mirtazapina, antagonista selettivo degli auto- e eterorecettori alfa-2
noradrenergici presinaptici e di alcuni recettori serotonergici (NaSSA); il nefazodone, inibitore della
ricaptazione della 5-HT e antagonista di alcuni sottotipi di recettori serotonergici e la reboxetina, inibitore
selettivo della ricaptazione della NA. Attualmente sono pertanto disponibili diversi farmaci antidepressivi
che permettono un trattamento adeguato dei disturbi dell'umore; occorre però ricordare che alcune
categorie di antidepressivi comportano scarsa maneggevolezza, se non reali pericoli, nei pazienti anziani:
la cardiotossicità dei triciclici ne controindica l'impiego nella patologia cerebrovascolare; i farmaci ad
azione serotoninergica richiedono cautela in corso di patologie gastriche in atto; tutti i farmaci ad azione
anticolinergica comportano rischi di aggravamento dei disturbi cognitivi, ecc. In tal senso, negli ultimi anni,
gli studi psicofarmacologici si sono orientati sulla ricerca di molecole che potessero dimostrare una
adeguata efficacia, contestualmente alla sicurezza di impiego.
11. Dinamica temporale degli effetti degliDinamica temporale degli effetti degli
antidepressiviantidepressivi
Settimane diSettimane di
trattamento contrattamento con
antidepressiviantidepressivi
00
22
44
66
88
Effetti sinapticiEffetti sinaptici
ore - giorniore - giorni
Effetti collateraliEffetti collaterali
ore - giorniore - giorni
Effetti terapeuticiEffetti terapeutici
4 - 6 settimane4 - 6 settimane
12. Dall’ipotesi aminergica all’ipotesi neurotrofica della depressione
Numerose evidenze suggeriscono che la teoria monoaminergica della depressione é troppo semplicistica
per spiegare una sindrome così complessa che include cambiamenti a livello di umore, sonno, attività
sessuale, appetito, temperatura corporea, attività locomotoria, funzioni cognitive e altro ancora. Va infatti
sottolineata la discrepanza fra la rapida modificazione dei livelli sinaptici di amine biogene dopo
somministrazione di farmaci antidepressivi e l'effetto terapeutico di questi ultimi che si osserva dopo
almeno 3-4 settimane di continua somministrazione. Al fine di superare tale discrepanza, più recentemente
gli studi si sono focalizzati sugli effetti molecolari prodotti dal trattamento cronico con farmaci
antidepressivi. Questi studi hanno portato a nuove scoperte fra cui le più importanti sono sicuramente la
diminuita espressione della tirosina idrossilasi e dei recettori β-adrenergici e serotoninergici, un’alterata
attività funzionale di specifiche subunità delle proteine G e dell’adenilato ciclasi, effetti osservati dopo
somministrazione ripetuta di tali farmaci. Questi risultati dimostrano che i farmaci antidepressivi
interferiscono non solamente con la produzione e il rilascio di catecolamine, ma anche con i meccanismi di
trasduzione del segnale di quei neurotrasmettitori che sono stati implicati nella patogenesi e nel trattamento
della depressione. E’ quindi possibile ipotizzare che l’intervallo terapeutico necessario affinché i farmaci
antidepressivi siano efficaci sia determinato dalla necessità per queste molecole di indurre cambiamenti
adattativi nei meccanismi di trasduzione del segnale.
Nel corso degli anni è diventato sempre più chiaro che il meccanismo d’azione degli antidepressivi è
notevolmente più vario e complesso di quanto creduto inizialmente. Infatti, mentre l’azione primaria dei
farmaci sui trasportatori o sui recettori si verifica rapidamente, l’efficacia terapeutica si manifesta solo a
partire dalle tre-quattro settimane circa di trattamento. Questa discrepanza ha suggerito che l’effetto
terapeutico dei farmaci non sia dovuto principalmente alla loro azione primaria, ma piuttosto ad una serie di
fenomeni che si manifestano successivamente e che sono attivati dalla azione primaria. Uno di questi
fenomeni è rappresentato dal cambiamento nell’efficacia dei recettori che avviene durante il trattamento
prolungato, chiamato “up-regulation” (sensitizzazione) o “down regulation” (desensitizzazione) a seconda
che l’efficacia aumenti o diminuisca. I recettori che vanno incontro ad una down-regulation (riduzione di
sensibilità e numero) in risposta al trattamento prolungato con gli antidepressivi sono i recettori β e α1 nella
sinapsi noradrenergica e i recettori 5-HT2A/2C nella sinapsi serotoninergica.
13. Ruolo dei recettori 5HTRuolo dei recettori 5HT1A1A
nella trasmissione serotoninergicanella trasmissione serotoninergica
Risposte
cellulari
5HT-25HT4
Nuclei del
raphe
Aree di
proiezione
5HT
5HT
5HT1B/D
5HT1A
5HT1A
5H
T1A
5HT
MAO
CaMKII
Ca2+
*
PKC
PKAcAMP
1P3
+ DAG
Ca2+
PLC
AC
AC
G
G
G
–
+
5HT
Fosfoproteine
SSRISSRI
-
Funzioni
cellulari
5HT
14. Ruolo dei recettori 5HT1A nel meccanismo d’azione dei farmaci antidepressivi
Tutti i farmaci antidepressivi potenziano la neurotrasmissione nelle vie serotoninergiche che originano nei
nuclei mesencefalici del rafe e proiettano a varie aree corticali e del sistema limbico (corteccia frontale,
ipotalamo, ippocampo). Gli SSRI potenziano la neurotrasmissione serotoninergica non solo bloccando la
ricaptazione della serotonina, ma anche attraverso una progressiva desensibilizzazione dei recettori 5HT-
1A presinaptici. Tali recettori, localizzati sul soma e sui dendriti dei neuroni serotoninergici, svolgono un
ruolo inibitorio sul “firing” degli stessi neuroni. Il trattamento con SSRI determina un aumento della
concentrazione di serotonina non solo a livello delle terminazioni , ma anche a livello dei corpi cellulari
localizzati nei nuclei del rafe. Ad una iniziale attivazione dei recettori 5HT-1A, che riduce l’attività dei
neuroni serotoninergici, segue una progressiva desensibilizzazione dei recettori somatodendritici e la
conseguente disinibizione della trasmissione serotoninergica. La ritardata comparsa dell'effetto terapeutico
degli SSRI potrebbe derivare proprio dal tempo necessario all'instaurarsi della desensibilizzazione dei
recettori 5HT-1A somatodendritici.
Un altro effetto della somministrazione prolungata degli SSRI è la desensibilizzazione di autorecettori
presenti sui terminali di neuroni serotoninergici Questi recettori (5HT-1B nel ratto, 5HT-1D nell'uomo)
svolgono normalmente la funzione di inibire il rilascio di serotonina, limitando così la quantità di
neurotrasmettitore liberato in presenza di una stimolazione sostenuta. Dopo il trattamento con SSRI la loro
desensibilizzazione provoca una facilitazione del rilascio, che contribuisce all'aumento dell'efficacia della
trasmissione serotoninergica.
Tali evidenze derivano da studi preclinici sugli animali, ma cominciano ad accumularsi prove che anche nei
pazienti in trattamento con antidepressivi si verifica una modificazione dei recettori serotoninergici e che
essa possa essere direttamente correlata alla risposta terapeutica. La comprensione del meccanismo
attraverso cui le azioni iniziali del farmaco portano ad azioni durature può chiarire i normali processi che
regolano la neurotrasmissione e può spiegare perché alcuni pazienti non rispondono agli antidepressivi,
essendo possibile che in tali pazienti le iniziali azioni farmacologiche non vengano tradotte nelle necessarie
azioni farmacologiche a lungo termine.
15. Effetti degli antidepressivi dopoEffetti degli antidepressivi dopo
somministrazione cronicasomministrazione cronica
RecettoreRecettore
ProteinProtein
chinasichinasi
nucleonucleo
effettoreeffettore
RegolazioneRegolazione
espressioneespressione
dei recettoridei recettori
Controllo dell’espressioneControllo dell’espressione
genicagenica
Regolazione deiRegolazione dei
meccanismi dimeccanismi di
trasduzione a livellotrasduzione a livello
citoplasmaticocitoplasmatico
16. Effetto del trattamento cronico con farmaci antidepressivi
Le alterazioni osservate dopo trattamento con antidepressivi indicano inequivocabilmente un effetto
regolatorio sui sistemi serotoninergici e adrenergici, che comprendono, oltre alle azioni sui recettori, anche
un aumento della quantità del secondo messaggero cAMP, pur in presenza di un ridotto numero di
recettori beta-adrenergici, e la conseguente attivazione di sistemi enzimatici che possono regolare la
funzione cellulare attraverso la fosforilazione di specifiche proteine. Grazie anche all’affinarsi delle tecniche
di indagine neurochimica, è stato osservato che un trattamento prolungato con farmaci antidepressivi è in
grado di potenziare il processo della fosforilazione proteica mediata dalla proteino-kinasi cAMP dipendente
di tipo II (PKA). Una delle proteine fosforilate dalla PK cAMP-dipendente è il fattore di trascrizione CREB
(cAMP response element-binding protein) che media molte azioni intracellulari del cAMP a livello
dell’espressione genica. Il fattore di trascrizione nucleare CREB è stato proposto come target
postrecettoriale candidato a mediare le risposte adattative che si verificherebbero in seguito a trattamento
prolungato con diverse classi di farmaci antidepressivi. Questo anche sulla base del fatto che CREB risulta
essere regolato sia da 5-HT che da NA, neurotrasmettitori sicuramente coinvolti nella fisiopatologia e
terapia della depressione.
Studi preclinici dimostrano che l’induzione dell’espressione dei geni che codificano per CREB
nell’ippocampo è specificatamente indotta dalla somministrazione cronica di diverse classi di
antidepressivi, ma non da sostanze psicotrope non antidepressive (es. cocaina, morfina e aloperidolo).
Studi clinici infine hanno dimostrato che pazienti depressi presentano una ridotta concentrazione di CREB
a livello della corteccia temporale rispetto al gruppo di controllo, mentre pazienti depressi in corso di
trattamento presentano valori comparabili a quelli del gruppo di controllo. Tra i geni che sarebbero coinvolti
nella risposta clinica al trattamento antidepressivo sembrano giocare un ruolo importante quelli che
codificano per il fattore trofico BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) e per il suo recettore tirosino-
chinasico trkB. La somministrazione cronica di diversi tipi di farmaci antidepressivi aumenta l'espressione
di BDNF e TrkB a livello dell’ippocampo. Diverse osservazioni suggeriscono che l’aumentata espressione
del BDNF e TrkB sia la conseguenza della up-regulation della via del cAMP e del fattore CREB.
17. Normale Stress Antidepressivi
Glucocorticoidi Serotonina e NA
BDNF
GlucocorticoidiBDNF
Aumentata sopravvivenza
e crescita
Normale sopravvivenza
e crescita
Fattori Genetici
Atrofia/morte
neuronale
•Altri danni neuronali:
• Ipossia - Ischemia
• Ipoglicemia
• Neurotossine
• Virus
18. Ipotesi neurotrofica della depressione
E’ stato osservato che una situazione di stress produce una drammatica riduzione dei livelli di BDNF e
conseguente atrofia o addirittura morte di neuroni in particolari aree cerebrali come l’ippocampo; inoltre è
stato osservato che in alcuni pazienti depressi si verifica una piccola diminuzione nel volume dell’area
ippocampale. Una ridotta espressione del BDNF potrebbe contribuire all’atrofia dei neuroni ippocampali in
risposta allo stress.
La depressione, e in particolare nei casi associati allo stress, potrebbe derivare dall’atrofia o dalla morte di
cellule dell’ippocampo e questo potrebbe essere una conseguenza, almeno in parte, della ridotta
disponibilità di BDNF. É noto che anche livelli elevati di glucocorticoidi giocano un ruolo molto importante
nel danno indotto dallo stress nei neuroni dell’area CA3. Il trattamento con farmaci antidepressivi potrebbe
revertire questa atrofia potenziando l’espressione e la funzione del BDNF; infatti è stato dimostrato che un
trattamento a lungo termine con antidepressivi blocca la riduzione del BDNF prodotta dallo stress. Anche
la normalizzazione dei livelli di glucocorticoidi prodotta da un trattamento con farmaci antidepressivi
potrebbe rappresentare in alcuni individui un meccanismo aggiuntivo per prevenire un ulteriore danno
neuronale. Studi preliminari hanno suggerito che un trattamento con farmaci antidepressivi produce un
diretto effetto neuroprotettivo o neurotrofico sui neuroni dell’ippocampo.
L’osservazione che gli antidepressivi inducono nell’ippocampo, un’area del cervello importante per il
controllo delle funzioni cognitive e delle emozioni, un aumento della sintesi di fattori neurotrofici, proteine
che migliorano la funzionalità dei neuroni ha portato alla formulazione di una “ipotesi neurotrofica” relativa
al modo di azione degli antidepressivi. Questa ipotesi rappresenta il superamento di quella aminergica e di
quella recettoriale e sostiene che la base neurochimica della depressione, pur esistendo una
compromissione della funzionalità dei sistemi monoaminergici, potrebbe essere un’alterazione nella
cascata degli eventi molecolari che modulano l’espressione genica di proteine fondamentali per
l’omeostasi neuronale.
19. ConclusioniConclusioni
• Esiste una compromissione della funzionalità dei sistemiEsiste una compromissione della funzionalità dei sistemi
monoaminergici associata ai disturbi dell’umoremonoaminergici associata ai disturbi dell’umore
• Le monoamine non condizionerebbero direttamente il tonoLe monoamine non condizionerebbero direttamente il tono
dell’umore, ma potrebbero modulare altri sistemi coinvolti neldell’umore, ma potrebbero modulare altri sistemi coinvolti nel
recupero dalla depressionerecupero dalla depressione
ipotesi monoaminergicaipotesi monoaminergica
ipotesi recettorialeipotesi recettoriale
alterazione nella cascata degli eventi molecolarialterazione nella cascata degli eventi molecolari
che modulano l’espressione genicache modulano l’espressione genica