4. [ 4]
REPORTAGE DALLA 73.MOSTRA DEL CINEMA
SIMONE MASSI DISEGNA IL MANIFESTO DELLA MOSTRA
È l’immagine di una curiosa situazione di attesa, e insieme un invito alla
visione imminente dei film, il manifesto ufficiale della 73. Mostra del
Cinema di Venezia, ideato e realizzato per il quinto anno da Simone Massi.
In primo piano, una figura maschile non riconoscibile, che potrebbe essere
lo stesso autore Simone Massi, ma anche un qualsiasi spettatore, afferra
dall’alto un manifesto/sipario e inizia a svelare ciò che potrebbe essere lo
schermo dove verranno proiettati, per undici giorni, i film della Mostra.
Viene così evocata la curiosità che alimenta, nel pubblico degli
appassionati, l’attesa di ogni proiezione d’autore in un festival
cinematografico.
L'identità visiva e l'immagine coordinata della Mostra di Venezia sono state
curate anche quest'anno dallo Studio Graph.X di Milano, sulla base dei
disegni di Simone Massi.
Simone Massi, premiato col David di Donatello 2012 per il miglior cortometraggio, è l’autore della
sigla che dal 2012 introduce le proiezioni ufficiali della Mostra di Venezia. La sigla ha una durata di
trenta secondi, ottenuti da 300 disegni realizzati a mano che citano Fellini, Anghelopulos,
Wenders, Olmi, Tarkovskij, Dovženko, Truffaut. Massi ha ideato la sigla con il contributo di Fabrizio
Tassi. La musica è stata scritta ed eseguita da Francesca Badalini, mentre il sound design è di
Stefano Sasso. Julia Gromskaya ha realizzato le riprese e Lola Capote-Ortiz si è occupata della post-
produzione.
Massi, nato a Pergola nel 1970, è fra gli ultimi pionieri dell'animazione “a passo uno” e ha
all'attivo oltre 200 premi vinti nei principali festival nazionali e stranieri, oltre a essere ritenuto uno
dei più importanti autori di cortometraggi di animazione a livello internazionale. Animatore
indipendente, ha studiato Cinema di animazione alla Scuola d’arte di Urbino. In diciannove anni ha
ideato e realizzato (da solo e interamente a mano) 19 film di animazione che sono stati mostrati in
sessanta Paesi e che sono stati proposti alla sessantanove. Mostra di Venezia 2012, insieme a un
inedito, Animo resistente. Per i suoi lavori Massi non si serve dell'uso del computer, ma realizza
tutto a mano su carta, attraverso l'uso di matite, carboncini, gessetti, pastelli, grafite e china. La
tecnica dei “graffi” adottata nelle ultimissime opere – che gli consente di completare 6-7 disegni al
massimo in una giornata - lavorando senza sosta dalla mattina alla sera – fa sì che per un film di 8
minuti siano necessari anche due anni e mezzo di lavoro.
A SONIA BERGAMASCO IL RUOLO DI MADRINA
L’attrice Sonia Bergamasco sarà la madrina delle serate di apertura e di chiusura della 73. Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016. Sonia Bergamasco è una delle attrici
italiane più versatili. È nata a Milano, dove si è diplomata in pianoforte presso il Conservatorio
Giuseppe Verdi, e in recitazione presso la Scuola del Piccolo Teatro.
5. [ 5]
Debutta nell’Arlecchino servitore di due padroni di Giorgio Strehler, ed
è la Fatina dell’ultima edizione teatrale e televisiva del Pinocchio di
Carmelo Bene. A teatro ha lavorato anche con Theodoros Terzopoulos,
Massimo Castri e Glauco Mauri.
Dal 2001 è interprete e regista di spettacoli in cui l’esperienza musicale
si intreccia più profondamente con il teatro. Premio Duse 2014 per il
suo lavoro d’attrice, nel 2015 è regista e interprete dello spettacolo Il
ballo (tratto dal racconto di Irène Némirovsky).
Al cinema debutta nel 2001 con L’amore probabilmente di Giuseppe
Bertolucci presentato alla Mostra di Venezia. Nastro d'argento 2004
come attrice protagonista in La meglio gioventù di Marco Tullio
Giordana, lavora anche con Bernardo Bertolucci in Io e te (2012),
Giuseppe Piccioni in Giulia non esce la sera (2009), Silvio Soldini nel
cortometraggio D’estate (1994), con Franco Battiato in Musikanten
(2006). Ottiene il Premio Flaiano come miglior interprete nel film tv De
Gasperi, l’uomo della speranza (2005) di Liliana Cavani e sempre per la
televisione riscuote grande successo nelle fortunate serie Tutti pazzi per amore (2008-2010) e Una
grande famiglia (2012-2015) di Riccardo Milani.
I suoi successi più recenti sono il film Quo vado? con Checco Zalone, diretto da Gennaro
Nunziante, per il quale ha ottenuto il Premio Alida Valli al Bari Film Festival, e le nuove puntate del
Commissario Montalbano, con Luca Zingaretti.
CINEMA NEL GIARDINO
SOLO OPERE IN PRIMA MONDIALE
Nel nuovo Regolamento della 73. Mostra del Cinema viene
confermata e formalizzata l’introduzione della sezione
“Cinema nel Giardino”. Si tratta di una sezione, non
competitiva, che prevede una selezione di opere, anche di
diverso genere e durata, che potranno essere precedute o
accompagnate da incontri e approfondimenti con autori, interpreti e personalità del mondo
dell'arte e della cultura. Sono ammessi alla selezione solo film presentati in prima mondiale alla
Mostra. La sezione è aperta a tutti: spettatori occasionali e frequentatori non accreditati, oltre,
naturalmente, alle migliaia di cinefili che affollano abitualmente le sale. Offrendo a ciascuno
(abitanti del Lido e di Venezia, curiosi venuti ad “annusare” l’aria del festival, giovani in cerca di
emozioni cinematografiche) l’occasione di vivere la Mostra del Cinema anche la sera, all’insegna di
un intrattenimento che si propone di coniugare l’incontro con uno o più personaggi e la proiezione
di un film. Un luogo dove potessero svolgersi attività varie: discussioni e incontri con il mondo del
cinema e dello spettacolo, proiezioni e rassegne. Il tutto per animare la vita della Mostra nella
direzione di un festival partecipato dal pubblico e non solo dagli accreditati.
Il sito predisposto è l'arena nel giardino del Casinò, dov’era il famoso “buco” fortunatamente
interrato (lì doveva sorgere il nuovo palazzo del Cinema a duemila posti ma fu bloccato perché i
sottostante terreno era inquinato da quintali di tettoie in eraclit …all’amianto interrate dal
consorzio degli alberghi lidensi o dal Comune (?). La nuova sala conterrà ben 450 posti a sedere.
6. [ 6]
JEAN-PAUL BELMONDO E JERZY SKOLIMOWSKI
Leoni d’oro alla carriera
Da quest’anno due Leoni d’Oro alla carriera: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo
della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo
dell’interpretazione.
Jean-Paul Belmondo, icona del cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio
l'afflato di modernità tipico della Nouvelle Vagueattraverso gli straniati personaggi di A doppia
mandata (À double tour, 1959) di Claude Chabrol, Fino all'ultimo respiro (1960) e Il bandito delle
11(1965, in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (1969)
di François Truffaut. In particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino all'ultimo
respiro, Belmondo ha imposto la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli
stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. Questo suo carattere gli ha consentito
di interpretare alcuni dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in Asfalto che
scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi (1972) di
José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con i molti film successivi, da L'uomo di
Rio (1964) di Philippe de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di Henri Verneuil, da Joss il
professionista (1981) di Georges Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch.
“Jerzy Skolimowski è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno
alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, con Roman Polanski, il regista che ha contribuito al
rinnovamento del cinema polacco del periodo” (Barbera). Lo stesso Polanski (che lo volle accanto
come sceneggiatore nel suo film d’esordio Il coltello nell’acqua), affermò: “Skolimowski sovrasterà la
sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà, la carriera del “boxeur poeta” (secondo Andrzej
Munk, suo mentore), durata ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è stata
faticosa, segnata da continui traslochi – dalla Polonia al Belgio, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti,
prima del definitivo ritorno in Patria di dieci anni fa – che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide
in apparenza, perché assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente diseguali,
in realtà personalissima e originale in ciascuna delle sue opere. La trilogia realizzata in Polonia ai
suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965) e Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi
film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i capolavori successivi – Il vergine (1967,
Orso d’oro a Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970), L’australiano (1978, Grand Prix
Cannes), Mani in alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore
sceneggiatura a Cannes) – sono tra i film più rappresentativi di
un cinema moderno, anticonformista e audace. I film più recenti
realizzati dopo il ritorno in patria – Quattro notti con
Anna (2008), Essential Killing (2010, Premio Speciale della Giuria
a Venezia) e 11 minuti (2015, in concorso a Venezia) –
manifestano infine un’inesauribile e sorprendente capacità di
rinnovamento, che lo collocano di diritto tra gli autori più
combattivi e originali del cinema contemporaneo.
8. [ 8]
ELENCO DI TUTTI I SERVIZI PUBBLICATI
rogetto Droni by Art / I Droni che documentano l'Arte 2014-2015.
Questa sezione è l’unica che sia stata sperimentata, usando uno smartphone e dei
droni gestiti da studenti del primo o secondo anno dell’Ipsia Galilei.
Battezzata per l’occasione “Droni by Art, il giornalismo tascabile”, è servito per partecipare
alle conferenze stampa di eventi culturali o politici.
Fare del giornalismo con “i normali” strumenti di comunicazione e la gratuità della
divulgazione della notizia (siti web, youtube e altri social network) non è ancora considerata
materia di studio e pratica nella scuola. Noi per la prima volta abbiamo collezionato tanti
servizi che ne attestano la qualità e l’originalità delle flying-news (notizie volanti).
Ma il fatto da non trascurare è senz’altro la potenzialità nel migliorare la comunicazione e
il contextus del nostro racconto.
MINERVA DEL VERONESE CASA MUSEO GIORGIONE,
CASTELFRANCO VENETO 2015
https://fpa2000.wordpress.com/2015/02/17/381/
VILLA MANIN RASSEGNA AVANGUARDIA RUSSA , CODROPIO 2015
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/03/09/dal-drone-al-web-con-lavanguardia-russa-
una-pacifica-intrusione/
https://fpa2000.wordpress.com/2015/03/06/villa-manin-alla-riscoperta-dellavanguardia-
russa-con-i-droni-del-galilei/
Expo 2015 The Literary Gazette and Journal of Arts about Expo
https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/08/un-video-drone-per-lavanguardia-russa-a-
villa-manin
INTERVISTE: LE MERAVIGLIE DI VENEZIA
https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/15/le-meraviglie-di-venezia-liberamente-e-
gratuitamente-con-tablet-smartphone-e-da-casa//
VENETO EXPO 2015
https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/25/expo-2015-destinazione-veneto-con-
deboli-infrastrutture/
JOURNALISM DRONE: “VENETO FOR EXPO"
https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/24/journalism-drone-gasparin-lancia-il-
programma-veneto-for-expo/
PADIGLIONE VENEZIA BIENNALE DI VENEZIA
https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/21/guardando-avanti-levoluzione-dellarte-del-fare-
9-storie-dal-veneto-digitale-non-solo-digitale/
SLIP OF THE TONGUE , PALAZZO PUNTA DELLA DOGANA VENEZIA
https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/24/slip-of-the-tongue-un-lapsus-di-passione-e-
amore/
P
9. [ 9]
LA PRIMA VOLTA DI UN “DRONE” AL MUSEO ARCHEOLOGICO
NAZIONALE DI VENEZIA
https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/01/la-prima-volta-di-un-drone-al-museo-
archeologico-nazionale-di-venezia/
https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/02/lincursione-pacifica-del-drone-by-art-nelle-sale-
del-museo-archeologico-nazionale-di-venezia/
“…ACQUA IMMUTABILE ED ANTICA…”: UN NUOVO PERCORSO AL MAN DI
VENEZIA
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/04/30/acqua-immutabile-ed-antica-un-nuovo-
percorso-al-museo-archeologico-nazionale-di-venezia
DRONI BY ART
http://www.artspecialday.com/2015/05/09/droni-by-art-la-tecnologia-al-servizio-dellarte/
https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/04/comunicare-con-i-droni-by-art-luovo-di-
colombo-bortolon-malvestio-pauletto-e-miatello-lanciano-il-giornalismo-tascabile/
CINEMA TASCABILE: TRE REGISTI
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/04/26/il-cinema-tascabile-e-di-scena-al-liceo-
giorgione-mazzariol-zaccaria-pauletto-tre-registi-a-confronto/
56. BIENNALE ARTE VENEZIA 2015
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/08/the-key-in-the-hand-le-chiavi-in-mano-di-
chiharu-shiota-che-uniscono-il-mondo/
https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/09/il-canadissimo-di-jasmin-bilodeau-sebastien-
giguere-e-nicolas-laverdiere-ovvero-il-consumismo-universale
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/06/in-compagnia-di-federico-tra-i-padiglioni-
della-biennale/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/09/bgl-canadissimo-come-divertirsi-in-mezzo-
ai-potenti-della-terra/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/10/56-biennale-padiglione-usa-il-curatore-paul-
c-ha-e-intervistato-da-droni-by-art/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/12/la-ricerca-archeologica-della-civilta-umana-
di-moon-kyungwon-jeon-joonho/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/09/bgl-canadissimo-come-divertirsi-in-mezzo-
ai-potenti-della-terra/
PADOVA: I DRONI IPSIA OSPITI D’ONORE PER LA MOSTRA DI JEAN
DUBUFFET AL GIARDINO DELLA BIODIVERSITÀ
https://fpa2000.wordpress.com/2015/06/26/padova-i-droni-ipsia-ospiti-donore-per-la-
mostra-di-jean-dubuffet-al-giardino-della-biodiversita/
Giardino della biodiversità all’Orto botanico: Omaggio a Jean Dubuffet
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/06/27/giardino-della-biodiversita-allorto-botanico-
omaggio-a-jean-dubuffet-ce-lo-spiega-nicola-galvan/
In visita all’Orto Botanico di Padova con droni e smartphone
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/06/28/in-visita-allorto-botanico-di-padova-in-
compagnia-di-baniele-pauletto-federico-calzavara-e-claudio-malvestio/
DRONI BY ART ALLA 72.MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
10. [ 10]
https://fpa2000.wordpress.com/2015/08/22/le-journalisme-de-poche-e-di-scena-allhotel-
excelsior-eccellenze-della-castellana-alla-72-mostra-del-cinema/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/08/24/1340/
MOSTRA JOAN MIRÒ A VILLA MANIN 2015
https://naturarti.wordpress.com/2015/10/16/joan-miro-negli-ultimi-trentanni-da-realista-a-
sognatore-villa-manin-tinta-di-rosso-e-nero/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/10/17/ennio-pouchard-miro-e-inconfondibile-lho-
conosciuto-a-roma/
DRONIFESTIVAL (2015-2016)
https://fpa2000.wordpress.com/2015/10/20/dronifestival-entra-nella-cronaca-lopinione-
pubblica-e-avvisata/
PROGETTO DRONEFILM FESTIVAL
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2015/10/18/news/cortometraggi-girati-con-i-
droni-un-festival-in-citta-1.12291635?ref=search
I DRONI TRA ARTE CINEMA E AUDIOVISIVO.IL PRIMO LIBRO SU QUESTO
TEMA 2015
https://aidanewsxl.wordpress.com/page/2/
GIORNALISMO INTEGRATO TASCABILE. DRONI BY ART
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/02/16/salvatronda-prima-conferenza-pubblica-di-
droni-by-art-cinema-e-audiovisivo/
15. BIENNALE ARCHITETTURA VENEZIA 2016 (Reporting from the Front)
“THE EVIDENCE ROOM”. PADIGLIONE CENTRALE – GIARDINI
https://fpa2000.wordpress.com/2016/06/02/biennale-2016-olocausto-quando-anche-
larchitetto-e-malvagio/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/04/the-evidence-room-la-prova-delle-camere-a-
gas-ad-auschwitz/
https://paceguerra.wordpress.com/2016/06/01/la-malarchitettura-testimone-dellolocausto/
THE ISRAEL PAVILION’S LIFEOBJECT EXHIBITION
https://naturarti.wordpress.com/2016/06/01/the-israel-pavilions-lifeobject-exhibition-
relationship-between-biology-and-architecture/
PADIGLIONE ISRAELE ALLA BIENNALE
https://fpa2000.wordpress.com/2016/06/02/padiglione-israele-alla-biennale-quando-
larchitettura-prende-spunto-dalla-biologia/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/01/2920/
PADIGLIONE OLANDA
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/03/olanda-larchitettura-delle-missioni-di-pace-
dei-caschi-blu/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/14/canadian-extraction-9000-progetti-minerari-
in-tutto-il-mondo-pauletto-e-miatello-incontrano-pierre-belanger/
https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/14/extraction-il-canada-vuole-liberrarsi-dal-
colonialismo-britannico/
11. [ 11]
LA SCUOLA DEI DRONI
racciare il percorso svolto da Daniele Pauletto all’interno di un istituto
professionale che in pochissimo tempo ha raggiunto livelli di notorietà tale
non è così immediato. Tutto inizia dal settembre 2013 con un esperimento a
cielo aperto. I droni sono acquistati sul mercato internazionale on line, di
fabbricazione straniera, approfittando delle decine di offerte che si rinnovano giorno
dopo giorno. L’idea è di smontare, capire come funziona, integrarlo ad un sistema
che possa servire ad obiettivi o servizi personalizzati.
Le curiosità sono tante, soprattutto con la massificazione dei cellulari e dei social
network.
Difficoltà e derisioni,ostacoli di vario tipo non sono mancati. La tenacia di uno
sparuto gruppo di studenti autofinanziati e guidati da un intraprendente e
appassionato docente, riescono a contagiare anche il vicepreside. Anzi le loro
sperimentazioni dentro e fuori il laboratorio, diventano un filone su cui sviluppare
prototipi e servizi “personalizzati”.
L’onore va al prof. Daniele Pauletto e al vicepreside prof. Nazzareno Bolzon che
hanno contribuito a far diventare l’Ipsia quale primo Istituto professionale del
Nordest che si avvia su questo (per noi) avveniristico settore robotizzato, “viaggiando
ad una velocità performativa che nessun’altra scuola aveva fino ad ora realizzato …
partecipando a fiere nazionali e internazionali …” e perfino sfidando i c.d. “gufi”.
“Il team messo in piedi dai due docenti castellani si cimenta con l’uso del drone in
varie occasioni: nel soccorso umanitario, sanitario, civile, nella tutela e conservazione
del paesaggio, dell’ambiente naturalistico e persino come mediatore turistico e nella
comunicazione”. É un’escalation di prove che la cronaca riprende con puntualità
estrema, anzi per un certo periodo i droni Ipsia tengono banco con articoli a pagina
intera con le tv locali che ne mettono in risalto le novità tecnologiche dei robot
volanti “a scopo civile”. Il paradigma è rovesciato. La Scuola si integra nella società.
Il drone è un robot volante e dovrà fare quello che l’uomo gli saprà insegnare.
Partire dal presupposto che è un oggetto pericoloso (anche il coltello da cucina lo è)
significa arrestare ormai un processo evolutivo di sviluppo economico. “Usare l’aria
per trasferire merci su piccola scala o controllare lo stato di salute di tetti, alberi o
piantagioni potrebbe essere una scorciatoia per risparmiare tempo e denaro senza
dover attendere infrastrutture pesanti più convenzionali, l’equivalente della vecchia
linea telefonica paragonata al cellulare. I droni che consegnano, cibo, medicine, un
pezzo di ricambio di un’automobile o di un mulino ad acqua possono essere definiti
come una sorta di infrastruttura ‘cellulare’ – si legge in un’intervista a Lord
Norman Foster (vedi nostro servizio in questo libretto, cap. Biennale).
T
12. [ 12]
Qui è il punto sul quale la scuola ancora non è in possesso di quei requisiti che la
rendono libera per avanzare esperimenti che possono avere ricadute economiche
molto positive. Siamo in un’era di nativi digitali e li teniamo incapsulati..
Sfogliando youtube e google ci si accorge che nel mondo la varietà dell’offerta dei
droni, di piccola o media grandezza, cioè che soddisfi un folto pubblico (“il drone
sarà come un cellulare”) è quasi tutta proveniente da privati (singoli o piccole società
cosiddette start-up) o da centri R&S universitari, dove appunto si possono
“brevettare” complicati sistemi integrati con fondi sostanziosi: il drone che sappia
monitorare specifici inquinanti atmosferici, i fumi e le diossine di un incendio, il
controllo dello stato degli argini di fiumi che esondano, per il trasporto di un
defibrillatore, per monitorare piantagioni vitivinicole, per la salute delle piante ad alto
fusto, e nel campo della cinematografia, cioè della fotografia aerea (“ripresa
volante”, "flying-movie").
Tutti i videoclip e gli articoli passati in rassegna, che qui diamo un elenco non
completo, ci confermano quello che abbiamo sempre sostenuto: la straordinaria
esibizione che proviene da un Istituto professionale del Nordest con modestissimi
mezzi a disposizione. Anzi, spesso contribuendo di tasca propria per ore svolte a
testare assieme ai ragazzi il buon uso del robot volante.
Sarà occasione nei prossimi mesi di de-costruire quello che si sa o non si voleva
sapere attorno ai vantaggi reali e futuri del drone: “Cosa abbiamo fatto? Cosa c’è che
bolle in pentola? Dove stiamo andando?”
I droni, fino a prova contraria, sono nati e stati usati solo per scopi militari. Un mezzo
di guerra che è codificato dalle Convenzioni di Ginevra (guerra aerea). Da qualche
anno invece stanno conquistando il mondo intero per un uso civile, persino artistico e
cinematografico.
La veduta ruotante dall’alto in basso a 180 gradi, “guidata” da terra e controllata in
tempo reale sullo schermo del cellulare o di un portatile rivoluziona totalmente il
nostro rapporto “occhio-oggetto”, ”occhio-ambiente”, facendo risaltare sia il
controcampo (contextus) che inquadrature di primi piani (close-up).Si apre uno
scenario rivoluzionario per il kinèma-atos-graphie, in cui registi | attori | ambiente |
persone si mescolano in live-streaming continuo. L’uso del selfie ne è una prova,
sebbene siamo consapevoli che questo dilagare di autoriprendersi sconfina
nell’imbecillità.
LUGLIO DICEMBRE 2013
PRIMI APPROCCI CON MODELLISMO ELICOTTERINI COMANDATI DA
SMARTPHONE
SETTEMBRE - DICEMBRE 2013
13. [ 13]
2013 Settembre Coinvolgimenti di studenti classi quinte. Sperimentazioni con trasporto
farmaci e libri con elicotterini ed elicotteri (autofinanziati studenti e docente)
2013 Novembre Laboratorio droni Dronilab a scuola e apertura blog
2013 Dicembre Sperimentazioni trasporto farmaci con elicotterini Farmacia sotto la Torre
http://dronilab.blogspot.it/2013/12/blog-post.html
http://www.trevisotoday.it/cronaca/test-droni-ipsia-galilei-castelfranco.html
GENNAIO 2014
AUTOFINANZIAMENTO PER ACQUISTO PRIMO DRONE
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/01/14/news/gli-studenti-dell-ipsia-
galilei-vanno-a-lezione-di-volo-1.8470349
DRONI GUIDA TURISTICA
http://www.oggitreviso.it/drone-che-fa-da-guida-turistica-78873
FEBBRAIO 2014
TEST: DRONI PER LA SICUREZZA SORVEGLIANZA IPER
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2014/20-febbraio-2014/-
sicurezza-drone-poliziotto-sorvegliera-parcheggio-iper-2224102908390.shtml
http://www.trevisotoday.it/cronaca/prova-droni-iper-castelfranco-veneto.html
http://www.oggitreviso.it/droni-dell%E2%80%99ipsia-fanno-da-security-ai-
%E2%80%9Cgiardini-del-sole%E2%80%9D-81356
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/16/news/i-droni-dell-ipsia-vegliano-
sullo-shopping-1.8684697
MARZO 2014
DRONI MULTIUSO
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/03/06/news/droni-dell-ipsia-sulla-
fracarro-radioindustrie-1.8802691
http://www.ilgazzettino.it/PAY/VICENZA_PAY/i_droni_dell_ipsia_in_volo_a_sfidare_gli_
ALLARMI_FRACARRO/NOTIZIE/557814.SHTML
DRONI SFILATE DI MODA
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/23/news/i-droni-del-galilei-ai-
giardini-del-sole-1.8729472
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/20/news/i-robottini-dell-ipsia-
filmano-la-sfilata-di-moda-ai-giardini-1.8709771
GUIDA SICURA
http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id_old=545613
DRONI ISPEZIONE TETTI EDIFICI
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/03/13/news/i-robottini-dell-ipsia-sulla-
loggia-danneggiata-dalle-piogge-1.8846744
http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id_old=570849
14. [ 14]
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/01/25/news/un-drone-in-sopralluogo-
sul-tetto-dell-ipsia-galilei-1.8541349
COME TI INVENTO UN DRONE
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/drone-a-scuola-Ipsia-castelfranco.aspx
LE IMPRESE STUDIANO I DRONI
https://www.youtube.com/watch?v=14uO6Jpfx1w
https://www.youtube.com/watch?v=VUIDRNo1PPU
http://barbaraganz.blog.ilsole24ore.com/2014/07/31/un-drone-in-regalo-agli-studenti-gli-
artigiani-mettono-le-ali-alle-nuove-generazioni/
APRILE 2014
I DRONI TRASPORTANO I GIORNALI
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/studenti-veneti-creano-droni-e-fanno-concorrenza-
ad-amazon-0273b871-a424-4d5b-a9c5-9fb038d467d6.html
DRONE ASSISTANT COACH
è stato poi utilizato dalle squadre di calcio nel
https://www.youtube.com/watch?v=EDPr9cXvLZg
DRONELAB
https://www.youtube.com/watch?v=Z3EqNIIaAHg
PROVE CADUTA FARMACI
https://www.youtube.com/watch?v=Bn9TliWtRoY
http://www.lavitadelpopolo.it/Paesi-Citta/Castellana/I-droni-volano-a-Castelfranco-grazie-
ai-ragazzi-dell-Ipsia/(language)/ita-IT
LA MASERATI
http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/04/09/news/i-robottini-dell-ipsia-
chiamati-per-le-maserati-1.9017853
https://www.youtube.com/watch?v=dj-PGmAcaM8
DA SOMMELIER A
GUIDA TIRISTICA
http://www.ansa.it/sito/no
tizie/cronaca/2014/05/17/
da-sommelier-a-guida-
turistica-la-nuova-vita-
dei-droni_14ec47f4-30f2-
4693-b56e-
5404d97bf0b5.html
1 maggio 2015, il drone
Ipsia entra per la prima
volta nel Museo
Archeologico Nazionale
di Venezia
17. [ 17]
Reportage dalla Biennale di Architettura Venezia
INTERVISTA AD ALEJANDRO ARAVENA
Curatore della 15. Biennale di Architettura
Bruce Chatwin, Maria Reiche, le linee di Nazca, la scala, i droni
ALEJANDRO ARAVENA,
CURATORE DELLA 15.BIENNALE
DI ARCHITETTURA, PERCHÉ
QUESTA FOTO CURIOSA?
“Ho scelto come icona una
donna che scruta dall’alto di una
scala una distesa desertica per
cogliere precisi scenari
archeologici sta a significare
quanto sia importante saper
adattarsi a situazioni difficili
nell’esser creativi senza dover
sprecare in abbondanza e saper
usare la pertinenza.
“Durante un suo viaggio in
America del Sud, Bruce Chatwin
incontrò un’anziana signora che
camminava nel deserto
trasportando una scala di
alluminio sulle spalle. Era
l’archeologa tedesca Maria
Reiche, che studiava le linee di
Nazca. A guardarle stando con i
piedi appoggiati al suolo, le
pietre non avevano alcun senso,
sembravano solo banali sassi.
Ma dall’alto della scala, le pietre
si trasformavano in uccelli,
giaguari, alberi o fiori.
Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le
linee dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul
deserto del Sud America. Ma l’archeologa tedesca era abbastanza creativa da
trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la
prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare
l’incapacità di fare il nostro lavoro.
Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva.
18. [ 18]
D’altra parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere
un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della vettura e
guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta spostare con
maggiore rapidità. Ma questa scelta avrebbe distrutto l’oggetto del suo studio. Quindi in
questo caso, si è arrivati a una valutazione intelligente della realtà grazie all’intuizione dei
mezzi con cui prendersene cura.
Contro l’abbondanza: la pertinenza.
E così conclude l’architetto cileno: “Le forze in gioco non intervengono necessariamente a
favore (di un risultato di qualità): l’avidità e la frenesia del capitale, o l’ottusità e il
conservatorismo del sistema burocratico, tendono a produrre luoghi banali, mediocri,
noiosi”
Quali soluzioni?
“Migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti,
standard di vita pratici e concreti; interpretare desideri umani, rispettare il singolo
individuo a prendersi cura del bene comune; favorire l’espansione delle frontiere della
civilizzazione”
Reporting from the Front è per la condivisione di un pubblico ampio ed eterogeneo, non
si rivolge solo agli addetti ai lavori, che saprà cogliere l’opera delle persone che scrutano
l’orizzonte alla ricerca di nuovi campi di azione, integrando il pragmatico con l’esistenziale,
la pertinenza con l’audacia, la creatività con il buonsenso.
- Bruce Chatwin/Trevillion Images: Immagine scelta per la Graphic Identity della 15. Mostra
Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia
20. [ 20]
OLANDA BLUE: ARCHITETTURA DELLE MISSIONI DI PACE
IL DESIGN COME QUARTO CRITERIO DELLE BASI MILITARI DEI CASCHI BLU.
Una proposta di Malkit Shoshan
LUE, come i Caschi Blu dell'ONU. è un'dea originale attorno all'emergenza
migrazione che gli Olandesi hanno trasformato il loro padiglione per la
15.Biennale di Architettura, quasi come un'anticamera del Padiglione
centrale in cui si sommano progetti e risposte su temi di carattere "universale" (vedi
il caso di The Evidence Room).
Droni by Art è stato il primo e forse
l'ultimo a sviluppare un servizio
giornalistico "tascabile" (journalisme
de poche/pocket jounalism) mettendo
in pratica
l'integrazione tra l'uso dei droni ed uno
smartphone, correlato dalla fotografia
istantanea digitale. Il team Droni by
Art è formato da Angelo Miatello
(script), Daniele Pauletto
(videomaker), Nazzareno Bolzon
(coordinator), Claudio Malvestio
(photographer), Federico Calzavara e
Dobrica Raunig (dronemen) ed è alla
sua seconda esperienza alla Biennale
(l'anno scorso con Biannale Arte, passò
in rassegna Canada, USA, Svizzera,
Italia, Giappone, Corea, Paesi Nordici).
Rimarrà nella storia dell'IPSIA Galilei di
Castelfranco Veneto, l'unica scuola
B
21. [ 21]
professionale che sia stata in grado di
cogliere le sfide della comunicazione
digitale, di cui il merito va
essenzialmente al prof. Daniele
Pauletto e al vicepreside prof.
Nazzareno Bolzon che hanno
sostenuto questo progetto. L'anno
scorso sono state effettuate ben 52
uscite usando smartphone e mini droni
per sviluppare brevissimi videoclip di
mostre, allestimenti, prese di posizione
e anteprime attorno al pianeta arte.
Raccolte le interviste (dai minuti 1.80
ai 4.50) in un Dvd è stato presentato
alla 72.Mostra del Cinema di Venezia.
IL CASE STUDY DI CAMP CASTOR A
GAO, IN MALI (BLUE)
La proposta del Padiglione Olandese è
costruita intorno al case study di Camp
Castor a Gao, in Mali, dove le Nazioni
Unite sono impegnate in una missione
di pace. Il colore blu è inteso come
metafora del conflitto, e unisce
architettura e diritti umani. Le
operazioni di pace si svolgono nella
zona desertica dei Tuareg, chiamati
anche “uomini blu” per le loro vesti
color indaco, e vengono effettuate da
caschi blu ONU. In questo territorio
nomade i confini sono fluidi e si
spostano a ogni stagione. A causa di
guerra, cambiamenti climatici, malattie
e fame, vi regna una crisi permanente.
Il confronto fra diversi sistemi –
straniero e locale, militare e civile,
base e deserto, caschi blu e uomini
blu, la crisi e la risposta olandese –
offre lo spunto per nuove condizioni
spaziali. Collegando la ricerca culturale
a quella architettonica.
E' una sfida quella olandese che vuole
comunque cogliere per dare nuove
opportunità da questa complessa
situazione. Milioni di persone sono
oggi in un certo qual modo a diretto
contatto con le "basi" dei caschi blu in
aree di conflitto. Come si può
migliorare la loro vita?
"Queste narrazioni nascono sulla base
di conversazioni con ingegneri militari
e architetti, antropologi ed economisti,
attivisti e politici".
L'OBIETTIVO DELLA CURATRICE MALKIT
SHOSHAN
Nella scelta della curatrice Malkit Shoshan
vi è alla base una rappresentazione dal
collegamento effettivo tra il tema della
Biennale (Reporting from the Front) e le
linee programmatiche di Het Nieuwe
Instituut. L’opportunità durante la
Biennale di far conoscere a un vasto
pubblico internazionale le potenzialità
dell’architettura, tanto critiche quanto
innovative, è fondamentale ai fini di una
politica di internazionalizzazione.
L’eredità delle missioni di pace ONU
Le missioni di pace ONU sono centinaia
nel Mondo. Le basi militari sono delle
enclavi autosufficienti, isolate dalle
immediate vicinanze. Il design estremo di
questi “compound” riflette strutture e
sistemi di potere delle forze di pace, e
non contribuisce a migliorare la vita degli
abitanti di quelle zone. Gli Olandesi si
pongono un problema sostanziale e
formale, cioè di poter dare nuove
soluzioni spaziali che possano avere un
significato anche per le comunità locali.
Un architettura rivolta al sociale,
all'emergenza che diventa una costante di
vita.
Malkit Shoshan si è focalizzata sulla
modalità innovativa in cui i Paesi Bassi
contribuiscono alle missioni di pace
22. [ 22]
ONU. Le Nazioni Unite parlano addirittura
in termini di “Linee guida per l’approccio
integrato” e con ciò si riferiscono a difesa,
diplomazia e sviluppo. Shoshan propone
di aggiungere a questi un quarto criterio:
il design. L’ambizione è quella di vedere le
basi ONU non esclusivamente come
fortezze chiuse, ma come catalizzatori per
lo sviluppo locale.
23. [ 23]
ISRAELE LIFEOBJECT:
COME UNIRE BIOLOGIA E ARCHITETTURA.
LA CAPACITÀ DI RESISTERE AI TRAUMI
Intervista a Ben Bauer
i sono punti in comune tra la biologia e l’architettura? Qual è il fil rouge di questa
mostra avveniristica? Ce lo spiega l’arch. Ben Bauer, co-curatore di LifeObject
“Il padiglione israeliano alla 15.Biennale di Architettura cerca di dare risposte
tridimensionalmente, nonostante sia ancora a livello di prototipo un progetto che si
concretizzi nello spazio e nel tempo ravvicinato. Le distinzioni dualistiche tra natura e
cultura sono sorpassate. Noi preferiamo un approccio interdisciplinare tra scienza e
architettura. Esperienze biomediche con biocostruzioni e biologia sintetica verso nuovi
scenari architettonici.”
Che cos’è LifeObject?
“LifeObject è un’installazione che integra materiali compositi, intelligenti e biologici
formando una struttura biovivente che risponde all’ambiente circostante. Ibridazione tra
tecnologia avanzata e abilità produttiva”.
Un modo per affrontare gli stati di crisi con cui si deve fare i conti tutti i giorni oppure
una “normale evoluzione dell’intelligenza artificiale” usata anche in architettura?
C
24. [ 24]
“Le risposte - simulazioni, plastici e grafici - sembrano plausibili anche se solo una piccola
parte per ora sono attuabili.”
Una cosa è certa: Israele vuole dimostrare che nel campo della ricerca scientifica è
all’avanguardia ed è il primo in assoluto fra tutti i paesi del Medio Oriente.
Situato ai Giardini della Biennale tra i padiglioni dei principali paesi europei e accanto agli
Stati Unti d’America, gli ingegnosi israeliani scelgono una nuova disciplina: la “biometria”,
cioè bios “vita” e métron “conteggio o misura”.
In altre parole, ci spiega Bauer, “è quella disciplina che studia le grandezze biofisiche allo
scopo di identificarne i meccanismi di funzionamento, di misurarne il valore e di indurre un
comportamento desiderato in specifici sistemi tecnologici. La base teorica affonda le sue
radici sulla “capacità di recupero”, un elemento essenziale dei sistemi biologici che fa
riferimento alla capacità di affrontare un evento traumatico”.
Qual è il filo rosso della mostra?
E’ la resilienza, cioè prendere spunto da una proprietà essenziale dei sistemi biologici che
dimostrano la loro capacità di resistere ai traumi. Un concetto non solo scientificamente
provato ma che acquista ancor più significativa valenza nel contesto geopolitico di Israele,
sottoposto allo scoppio di continue crisi che vanno ad intaccare la qualità della vita e la
progettazione degli spazi.
Israele sa resistere in un ambiente geopolitico che lo vede spesso coinvolto in situazioni di
crisi e drammi che si ripercuotono sul modus vivendi e sulla qualità della vita dei suoi
cittadini.
Israele si interroga sui materiali e installa un grande nido d’uccello sintesi di biologia e
architettura.
Siamo oltre la bio-edilizia, pur meravigliosa, di terra e paglia e bambù. Qui l’ibrido tra
25. [ 25]
tecnologia e biologia, in nome della “resilienza” (la capacità di resistere ai traumi) è il
futuro qui e ora.
L’arte quindi nasce ed esiste in funzione delle biomimesi e resilienza.
La realizzazione di certi “scenari” è eloquente. Siamo di fronte ad un duplice
interrogativo: bellezza estetica e funzionalità vanno d’accordo o sono solo delle
speculazioni laboratoriali?
“Una nuova forma di arte architettonica, introducendo in scenari urbani e metropolitani
ordinari concetti come la funzionalità, il comfort, la protezione e la sicurezza. Questa
tendenza è legata alla contemporaneità, a una comunicazione sempre più evoluta,
proposta nelle forme geometriche attraversate dalla luce che enfatizza i colori e le
sfumature.”
In conclusione, il vostro progetto propone l’architettura come parte di un più ampio
ecosistema.
http://www.lifeobject.net /
Foto di
Claudio Malvestio
Daniele Pauletto
(video maker)
LifeObject is an exhibition at The Israeli Pavillion at the 15th Annual Venice Biennale of
Architecture, curated by Dr. Ido Bachelet, Ben Bauer, Arielle Blonder, Dr. Yael Eylat Van
Essen, and Noy Lazarovitch.
27. [ 27]
EXTRACTION – CANADA
La mappa geologica del mondo rivela la vastità delle operazioni estrattive
del più grande paese minerario del pianeta. Un nuovo impero?
PIERRE BÉLANGER DETTA IL MANIFESTO IMPERIALISTA
l ground zero (l’installazione canadese) si trova all’intersezione degli assi d’accesso dei
padiglioni vicini, (Inghilterra e Francia, ex paesi colonialisti), parafrasando le intenzioni
della mostra che, con il titolo “Extraction”, vuole esplorare la storia del settore minerario
canadese, conteso con le suddette potenze internazionali.
Droni by Art ha incontrato il curatore arch. Pierre Bélanger e seguito alcune fasi della
performance in presenza dell’ambasciatore del Canada in Italia Peter McGovern e
dell’arch. Phyllis Barbara Lambert, Leone d’oro 2014 e Wolf Prize in Arts 2016.
Il 28 maggio scorso, di fronte ad un pubblico numeroso si è svolta una performance
inaugurale che testimoniava "delle rimostranze d’indipendenza dalla Corona che questa
esibizione scopertamente reclama". Mentre si ascoltavano i discorsi d’introduzione, tra cui
quello di Pierre Bélanger, incisivo ed appassionato, l’esposizione rimaneva segreta e
coperta da un manto di pelli di castoro, quale ricordo della merce di scambio più preziosa
che il Canada possedeva prima della comparsa dell’industria dell’oro. A seguire,
naturalmente tra gli scatti di fotografi e spettatori, l’ostensione per mano del curatore del
“caposaldo aureo” (dischetto), principio di annullamento del potere della Corona sul
sottosuolo canadese, che, una volta terminata la Biennale sarà consegnato alla Regina
d’Inghilterra come ironico ringraziamento e reso, per la dominazione del sottosuolo fino ad
oggi. Ancora sull’installazione velata da pelli di castoro è intervenuta la performance
dell’artista canadese Eriel Déranger (del Athabasca Chipewyan First Nation) con un atto
unico “sulla necessità di ricucire la frattura storica della colonizzazione”. Quindi un coro di
mani ha liberato la superficie circolare in corian (250 cm di diametro), epifenomeno di
questa installazione interrata, al centro della quale è stato installato il caposaldo aureo
(dischetto) sul cui oculo i visitatori sono costretti ad inchinarsi per sbirciare il video
riassuntivo di questi ultimi 800 anni di dominio britannico in vista di una sua prossima,
auspicata liberazione. Per vederlo si è inchinato prima l’ambasciatore canadese in Italia,
poi un bambino, quindi la celebre Phyllis Lambert, fondatrice del Canadian Center for
Architecture e la giovane artista Déranger e poi via via, uno alla volta dei presenti raccolti a
cerchio.
L’autonomia o meglio l’indipendenza canadese dalla Corona viene portata sulla scena della
Biennale, in terra veneta, oggi teatro di una crescente volontà a staccarsi dalle fauci della
Lupa. Un progetto, assai complesso e ben articolato da Pierre Bélanger (coordinatore),
Christopher Alton, e Zannah Matson (OPSYS), in collaborazione con Geoffrey Thün, Kathy
Velikov and Colin Ripley (RVTR), Nina-Marie Lister (Ecological Design Lab, Ryerson
University), Kelsey Blackwell (Studio Blackwell), Catherine Crowston (Art Gallery of
Alberta), Troels Bruun & Luca Delise (M+B Studio), Alessandra Lai (Sardegna), Jane Zhang,
Hamed Bukhamseen, Foad Vahidi, Olga Semenovych, Lindsay Fischer, Dan Tish, Jen Ng,
Andrew Wald, Ya Suo, e Martin Pavlinic.
l
28. [ 28]
IL MANIFESTO
L’estrazione è la sintesi che definisce il
Canada nel paese e all’estero. Dall’Africa
all’Asia, passando per l’America Latina, più
della metà dei quasi 20.000 progetti
minerari nel mondo sono gestiti da società
canadesi. L’economia dell’estrazione non
solo impiega circa 400.000 persone nella
nazione, ma nel 2012, da sola, ha apportato
52.6 $ miliardi al Prodotto Interno Lordo.
Oltre il 75 per cento delle industrie
minerarie del mondo hanno sede in
Canada. Anche se apparentemente
impossibile da concepire, la scala di queste
statistiche estende la logica del patrimonio
storico del Canada come stato, nazione, e
ora, come “impero di risorsa globale”.
“Le potenze imperiali coloniali non si limitano
a ridefinire i territori” - sostiene la storica
della scienza Suzanne Zeller - “portano anche
alla nascita di nuovi imperi, ripetendo più e
più volte i loro cicli di espansione e di
dominio”.
In altre parole, ci spiega Bélanger, professore
ad Harvard, “il Canada è diventato un
preponderante serbatoio di risorse e una
piattaforma operativa per l’industria
mineraria nel mondo. Se poi, come scriveva
Harold Innis nel 1930, Il Canada ha sostenuto
le economie Britannica e Americana
sfruttando le sue considerevoli risorse, ora
dunque è diventato un impero per diritto,
sede di una legione di imprese minerarie
operanti sulla sua superficie le cui pratiche
riflettono la potenza e la presenza
canadese ovunque sulla superficie del
pianeta. Mentre questa cultura estrattiva
cresce, la rappresentazione di questa
complessa ecologia di estrazione deve
essere pienamente presa in
considerazione, esaminata ed esibita
attraverso nuovi linguaggi, discorsi e
forme di immaginazione, mentre ci
muoviamo verso il XXII secolo”.
Ecco che in apparenza un coperchio
sistemato per terra sul quale viene
appoggiato un dischetto di ottone, c’è la
possibilità di allargare l’obiettivo sulle culture
di estrazione, per sviluppare un discorso più
profondo sulle complesse ecologie di
estrazione delle risorse. Dalla ghiaia all’oro,
dalle autostrade ai circuiti digitali, ogni
singolo aspetto della vita urbana
contemporanea oggi è mediato da risorse
minerarie. Attraverso il linguaggio
multimediale di cinema, stampa e mostre, il
paesaggio dell’estrazione di risorse
dall’esplorazione all’estrazione, alla
lavorazione, alla costruzione, al recupero,
può essere esplorato e rivelato come il
fondamento della vita urbana
contemporanea.
Un dato di fatto: multinazionali canadesi
operano circa 9.000 progetti minerari in tutto
il mondo, in quasi ogni paese e continente
del pianeta. Con la multimedialità si
esplorano l'eredità attuale e storica dei
processi estrattivi minerari da un punto di
vista canadese, attraverso un filmato e un
libro che raccoglie opinioni, dati, studi e
ricerche di autori e studiosi di paesaggio,
urbanistica, geografia, arte, ecologia, i media,
la letteratura, l'architettura, l'ingegneria, la
scienza, l'industria, il commercio e la cultura.
Dopo la Biennale, l’installazione sarà in tour
attraverso diverse regioni minerarie in tutto il
Canada per celebrare il 150 ° anniversario
della Confederazione nel 2017.
29. [ 29]
Veduta della performance ripresa dal drone Ipsia
L’arch.Phyllis Lambert, Leone d’oro alla carriera 2014, testimonedell’inaugurazione
30. [ 30]
Pierre Bélanger legge il Manisfesto
L’ambasciatore del Canada scruta per primo attraverso l’oculo del Groun Zero
32. [ 32]
Papa
Francesco
The Queen
Elizabeth
The Prima
Minister
Trudeau
scrutano
attraverso
l’oculo
del Counter-
Monument
Pellem pro
pelle
“a skin for a
skin“
(Old
Testament
Book of Job
2:4)
6th Century
BCE
33. [ 33]
DRONEPORTI IN AFRICA
LA PROPOSTA DI LORD NORMAN FOSTER
Mostra 15.Biennale Architettura Arsenale - Esterno
e infrastrutture sono necessarie per lo sviluppo sociale ed economico per
trasferire beni, servizi e persone - si legge nel catalogo della 15.Biennale
Architettura, l’Africa è un continente che presenta molti luoghi che mancano
di infrastrutture adeguate e colmare questa lacuna richiederebbe molto tempo”.
Per risolvere un tale problema, abbastanza comune per molti paesi, ci ha pensato la
Fondazione Lord Norman Foster che ha sviluppato assieme ad altri enti un progetto
ambizioso di aeroporto per droni civili, iniziando dal Rwanda.
In Veneto abbiamo una scuola d’eccellenza dove si sperimentano l’uso di droni civili
per svariate soluzioni, ma quest’idea di un aeroporto per droni civili non s’era mai
sentita. Infatti, Daniele Pauletto con il suo team IPSIA Galilei ha sperimentato con
successo nel 2013 il trasporto di medicinali in luoghi impervi, il soccorso alpino o lo
stato di salute di piante e coltivazioni. Potrebbe essere un ulteriore input per
sviluppare know-how e sottoporre sia il mondo scuola che la comunità esterna ad
un salto di qualità.
Per l’Africa (si legge nel comunicato
stampa), usare l’aria per trasferire merci
su piccola scala potrebbe essere una
scorciatoia per risparmiare tempo e
denaro senza dover ricorrere a
infrastrutture pesanti più
convenzionali, è l’equivalente della
vecchia linea telefonica paragonata al
cellulare.
La novità progettuale della Fondazione
di Lord Norman Foster, già lanciata un
anno fa che coinvolge lo studio di
architettura Foster + Partner,
l’università svizzera École
Polytechnique Fédérale de Lausanne
(EPFL) e l’associata Afrotech, prevede
la realizzazione nei prossimi 4 anni di 3
droneporti, ognuno dei quali gestirà
due reti parallele di droni. Dunque, il
prototipo esposto all’Arsenale ne è
un’anticipazione.
Così Lord Norman Foster: “I droni che
consegnano medicine, cibo, il pezzo di
ricambio di un’automobile o di un
mulino ad acqua possono essere
definiti una sorta di infrastruttura
‘cellulare’. Una rete di questo genere
deve contare dei porti. Per questo,
abbiamo studiato l’idea di architettura
modulare (con un numero di aree
variabile a seconda della necessità),
flessibile (in grado di crescere in base
alla richiesta), realizzata con materiali
locali (mattoni di argilla o fango)
eventualmente riutilizzata in altri
progetti (mercati, centri sociali,piazze
coperte).”
Entro il 2050 in Africa vivranno oltre 2
miliardi di persone, come possono le
loro attuali infrastrutture pensare di
tenere il passo di questa espansione
demografica?
“L
34. [ 34]
“In Africa non esistono strade
continentali, quasi non ci sono gallerie
e il numero di ponti è insufficiente a
collegare le tante persone che vivono
nelle aree più remote del paese.
L’ammodernamento delle
infrastrutture richiederebbe troppo
tempo e troppi soldi, per questo è nata
l’idea risolutiva dei droneporti e dei
droni cargo, che trasporteranno
oggetti di prima necessità da una parte
all’altra del paese”.
I DRONI REDLINE avranno un’apertura
alare di 3 metri e saranno in grado di
consegnare forniture mediche e di
emergenza (ad esempio farmaci e
sacche di sangue per le trasfusioni)
fino a 10 chili di peso.
I BLUELINE, invece, possono
trasportare oggetti più pesanti, come
ad esempio prodotti elettronici, fino a
100 chili.
Ma non stiamo parlando di
elettrodomestici, bensì di
componenti elettroniche di prima
necessità, come ad esempio un nuovo
motore per la pompa idraulica che
permette a un villaggio di avere acqua
a disposizione. “Un drone può
effettuare la consegna in circa
1/12esimo del tempo richiesto dal
trasporto con il fuoristrada“.
36. [ 36]
Non solo dei centri di smistamento. Ma i droneporti non saranno solo uno snodo di
prodotti necessari, perché queste strutture, che avranno la forma di volte di mattoni in fila,
ospiteranno anche una clinica, un punto di produzione digital per fabbricare parti dei
droni, una sala postale, e un centro di scambio e-commerce.
In Ruanda il primo droneporto civile del
mondo. Secondo le stime mostrate nel
progetto, i 3 droneporti permetteranno di
coprire il 44 per cento del territorio del
Ruanda, il cui scenario geografico
rappresenta un ottimo test in vista di
simili progetti che Lord Foster è sicuro
che saranno realizzati in futuro.
Questo è il contributo che la giusta scelta
architettonica può offrire per far sì che
l’edilizia sia effettivamente al servizio
della comunità.
Foster fa uso delle tecniche di ingegneria
più avanzate in grado di essere utilizzate
pressoché da tutti. “La sua scelta di
coinvolgere alcuni studenti nella
realizzazione del progetto non ha fini
pedagogici o accademici, ma risponde
all’esigenza di collaudare la trasferibilità
della proposta
In ultimo, ogni modulo sarà compresso in
un kit di materiali e tecniche di
costruzione, sarà spedito in luoghi remoti,
che dovrà poi essere implementato dalla
forza lavoro locale, a volte non
qualificata.” (vedi catalogo, p. 194)
L’esposizione durante la Biennale,
illustrata e diffusa, è una specie di “future
tutorial”: il prototipo non rappresenta
solo un oggetto, ma anche una
procedura.
“The Droneport’s construction process
was filmed and will be used to instruct
local communities in Africa. Foster +
Partners also says that the building
could be installed in other areas, such
37. [ 37]
as South
America and
parts of Asia,
for example. In
addition,
besides
drones, the
firm posits that
its vaulted
building also
serve as a
market, school,
or medical
facility”.
Partecipants: Norman Foster Foundation con Future Africa EPFL e con Ochsendorf,
Dejong & Block e con Block Research Group, ETH Zurich
Titolo: PROTOTYPE DRONEPORT SHELL
(Fonti: 15.Biennale Architettura; Il miodrone.it: Lord Norman Foster Foundation)
43. [ 43]
THE EVIDENCE ROOM
University of Waterloo
LA PROVA CERTA DELLE CAMERE A GAS
AD AUSCHWITZ-BIRKENAU
el 2000, una causa per diffamazione portata avanti presso la Royal Courts of Justice
di Londra, Inghilterra, ha messo in crisi la falsa asserzione presentata da uno storico
revisionista e negazionista dell'Olocausto, il quale sosteneva che non ci fossero
state camere a gas ad Auschwitz e che, pertanto, l'Olocausto non fosse accaduto.
Punto focale in questo procedimento furono le interpretazioni forensi delle prove
architettoniche di Auschwitz e la precisa testimonianza di Robert Jan van Pelt, professore
di architettura presso l'Università di Waterloo in Canada. La sua interpretazione e
testimonianza circa la progettazione ed il funzionamento di questi edifici come uno
strumento di sterminio è stato il contributo principale per vincere la causa ed affermare la
verità sull’Olocausto – il crimine che definisce il ventesimo secolo.
La relazione di van Pelt – pubblicata come The Case for Auschwitz – ha avuto nel tempo
uno sviluppo didattico favorendo una nuova disciplina situata nell’intersezione tra
architettura, tecnologia, storia, legge, e diritti umani che prende il nome di “architettura
forense”.
N
44. [ 44]
Su invito di Alejandro Aravena, van Pelt ha lavorato insieme ai professori Anne Bordeleau e
Donald McKay, al produttore artistico Sascha Hastings e a un team di studenti e consulenti
della Università di Waterloo - School of Architecture per presentare questo materiale
nell’installazione che prende il nome di The Evidence Room.
The Evidence Room è costituita da riproduzioni a grandezza naturale e modelli degli
elementi architettonici (una colonna per il gas e uno sportello a tenuta stagna – entrambi
per l'introduzione dello Zyklon-B nelle camere a gas – una porta a tenuta stagna, copie dei
progetti, lettere degli architetti, fatture delle imprese e fotografie). Nel loro insieme,
queste prove concrete confermano le testimonianze del dopoguerra da parte sia dei
sopravvissuti che dei carnefici e dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che
Auschwitz era una fabbrica volutamente progettata per la morte, dotata di camere a gas di
grandi dimensioni e inceneritori di massa, nelle quali oltre un milione di persone, il 90 per
cento dei quali erano ebrei, sono stati assassinati.
The Evidence Room offre una sintesi concreta di un corpo esaustivo di lavoro: essa
richiama l'attenzione verso il più grande crimine mai commesso dagli architetti.
L’installazione sarà visitabile fino al 27 Novembre 2016 nel Padiglione Centrale ai Giardini
della Biennale.
“Le testimonianze riprodotte in gesso e fissate sulle pareti della stanza del Padiglione
Centrale sono una parte del voluminoso dossier preparato dal prof. Robert Jan van Pelt,
incaricato dalla difesa nel processo per diffamazione intentato dal negazionista britannico
David Irving contro la scrittrice Deborah Lipstadt e il suo editore Penguin Books, riporta alla
luce il ruolo dell’architetto nella pratica del genocidio”.
[Fonte: Robert Jan van Pelt and others, The The Evidence Room, New Jewish Press,
Toronto, 2016, pp. 174]
L’ATTUALITÀ LEGISLATIVA
8 giugno 2016: la proposta di legge n. 2874-b
passa alla Camera dei Deputati
Contenuto del provvedimento: da 2 a 6 anni di carcere
L’articolo unico della proposta di legge modifica la c.d. legge Mancino (legge n. 654 del
1975) che, all’articolo 3, punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato: “con la
reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee
fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. a);
con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o
commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi (lett. b).
Il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 654 vieta, inoltre, ogni organizzazione, associazione,
movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla
violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la
partecipazione (da sei mesi a quattro anni) e la promozione o direzione (da uno a sei anni).
Il provvedimento approvato dal Parlamento, all’esito di un iter complesso che ha visto
Senato e Camera esaminare la proposta due volte ciascuno e dibattere soprattutto
45. [ 45]
sull’eventuale natura pubblica delle condotte, inserisce nell’articolo 3 della legge 654 un
comma aggiuntivo 3-bis. Tale disposizione prevede la reclusione da 2 a 6 anni nei casi in
cui la propaganda, l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto
pericolo di diffusione, si fondino “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei
crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra” come definiti dallo
Statuto della Corte penale internazionale (art. 6, crimine di genocidio; art. 7, crimini
contro l’umanità; art. 8, crimini di guerra), ratificato dall’Italia con la legge n. 232 del
1989.
“Con l’approvazione di questo provvedimento, il Parlamento intende contrastare una
delle forme più sottili e striscianti della diffamazione razziale, della xenofobia a sfondo
antisemita e non solo, e in genere dell’incitazione all’odio”. Lo ha detto Chiara
Gribaudo, vice-presidente del Gruppo Pd della Camera, nella dichiarazione di voto
sulla legge sul negazionismo, spiegando che “la via scelta per stabilire una sanzione
penale all’odioso comportamento negazionista non è stata quella di introdurre –
come, in passato, era anche stato proposto – una nuova tipologia di reato per il
negazionismo (esistente in Francia, Germania, Austria, Belgio, Svezia, Svizzera,
Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, fino al Canada e all’Australia)”.
“Abbiamo scelto, invece -spiega- di modificare l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975
che ha recepito la Convenzione di New York del 7 marzo 1966 sulle discriminazioni
razziali introducendo il contrasto di quelle azioni discriminatorie che trovano origine
nella negazione o minimizzazione del genocidio degli ebrei e di quello di altre
minoranze che costituiscono uno degli aspetti più odiosi delle pratiche razziste”.
46. [ 46]
– See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/shoah-negazionismo-diventa-reato-fino-
a-6-anni-di-carcere-5b92e30b-ee7f-49b3-ac74-27063d20a098.html
49. [ 49]
I FATTI CHE HANNO RIVOLUZIONATO LA STORIA
Negazionismo, Inving, Zyklon-B, Genocidio
David John Cawdell Irving (Hutton, 24 marzo
1938) è un saggista britannico, specializzato
nella storia militare della seconda guerra
mondiale. È l’autore di una trentina di libri,
tra cui Apocalisse a Dresda (1963), La guerra
di Hitler (1977), La guerra di Churchill (1987).
La reputazione di Irving come storico è stata
ampiamente screditata dopo lo scoppio di
una violenta polemica con la storica
statunitense Deborah Lipstadt, cui seguì una
causa per diffamazione intentata nel 1996 da
Irving stesso contro la Lipstadt e l’editore
Penguin Books. Nella successiva sentenza –
che rigettò la causa, dando torto a Irving – la
Corte britannica osservò che Irving stesso era
un “attivo negatore dell’Olocausto”,
antisemita e razzista, nonché “associato con
degli estremisti di destra che promuovono il
neonazismo”. Il giudice affermò anche che
Irving aveva “per le sue ragioni ideologiche
continuativamente e deliberatamente
manipolato e alterato l’evidenza storica”.
(Fonte Wikipedia)
Il processo per diffamazione. Tra l’11 gennaio e l’11 aprile del 2000, alla Royal Court of
Justice di Londra, si svolse un processo per diffamazione intentato da David Irving alla
scrittrice Deborah Lipstadt e alla casa editrice Penguin Books Ltd, che si concluse con la
sconfitta dello scrittore britannico.
Robert Jan van Pelt, professore di storia dell’architettura all’University Waterloo,
Cambridge-Ontario), fu assunto dal collegio difensivo della Lipstadt per redigere una
“perizia” che egli terminò nel 1999. Si tratta del famoso “The van Pelt Report”.
Successivamente van Pelt lo rielaborò e nel 2002 lo pubblicò in forma di libro, “The Case
for Auschwitz”, che divenne la nuova opera di riferimento della storiografia olocaustica su
questo campo… Nei suoi studi su Auschwitz nessun documento riportava la parola
“camere a gas” ma “gaskammer” per spiegare che erano camere per lo
spidocchiamento….”delle docce…” (vedi anche nel film di Spielberg del 1993, antecedente
al processo di Londra e alla scoperta di Van Pelt, ndr.). Da indagini, rilievi fotografici,
disegni di prigionieri, testimonianze, disegni tecnici, contratti edilizi, il prof. Jan van Pelt è
riuscito a dimostrare l’esatta intenzione delle SS di sterminare migliaia di prigionieri civili
ingannandoli che sarebbero stati “lavati” dai pidocchi (“bath houses for special
actions…Bunkers 1 e 2, were peasant cottages that had been modified into gas chambers,
vedi fig. 11, p. 154 del libro)”
Ad esempio gli obitori furono trasformati in stanze per uccidere a centinaia le persone
svestite (donne, uomini e bambini), creando un apposito buco sul soffitto da dove
scendeva il cestino con lo Zyklon-B dentro la colonna a gas …. Reinstallando le porte degli
obitori con l’apertura dall’esterno con lo spioncino protetto da una griglia per evitare che
venisse rotto dai prigionieri nudi (“spyhole of double 8 mm glass with a rubber seal and a
metal fitting. This order must be considered as very urgent”, note 12, fig. 12)
Come mai un obitorio con un buco sul
soffitto? Di solito sono stanze chiuse. Infatti
ci volevano più 24 ore per sgombrare le
camere, non per la morte che avveniva nel
giro di dieci-quindici minuti, a causa
dell’esalazione del gas provocato dal Zyklon-
B. Le SS dovevano aspettare 24 ore prima di
dare inizio allo sgombero delle camere,
sebbene, lo ripeto, le vittime perivano dopo
15 minuti. “Questa pratica divenne un grosso
50. [ 50]
“problema” per le SS perchè l’arrivo dei treni
era cadenzato ogni 24 ore e le difficoltà di
sgombero provocarono disguidi alla
logistica”.
Il geniale (malefico) architetto progettò “la
colonna di gas saldata con doppie reti
metalliche (e quindi il buco nel soffitto), per
calare ed estrarre il cestello con il Ciclone-B
(Zyklon-B) dopo 15 minuti, invertì il portone
dell’entrata della gaskammer con i battenti
verso l’esterno, risolvendo il problema dei
cadaveri che si
ammassavano a
ridosso, che
aprendolo
questi cadevano
sull’uscio
(“prima era
molto faticoso
spingere la
porta”). La
pratica
ricominciava
qualche ora dopo …” – ci precisa Sascha
Hastings. “…prima ci volevano 24 ore per
sgomberare le camere dai cadaveri, uno
sopra l’altro, poi ….con la genialità
dell’architetto la catena della morte andò più
spedita … Nella stanza potevano entrarci
anche più di cento persone. Si dovevano
spogliare nell’anticamera (seminterrato),
piegare per benino le loro divise, appenderle
sui chiodi che avevano dei numeretti “veniva
loro raccomandato di ricordarseli perché le
avrebbero riprese dopo la doccia”. I deportati
venivano ingannati con la promessa che si
trattava di una disinfestazione. Molte donne
si rifiutarono per pudore di rimanere nude in
mezzo ad altri uomini con la conseguenza
però di essere bastonate o persino uccise
(come appare
da alcune
vignette di
sopravvissuti).
Da qui il nome
“Niente buco
Niente
Olocausto!”
come
sottotitolo della
scheda del
catalogo della
15.Biennale di Architettura, un’installazione
pressappoco uguale a quella inaugurata al
Centre Canadien d’Architecture (CCA) di
Montréal che però ha preferito “La prova con
l’architettura”.
La ricostruzione esatta degli elementi
architettonici. Una colonna quadrata fatta di
reti intrecciate “per far scorrere al suo
interno il cestello con i granuli Zyklon-B, uno
sportello a tenuta stagna, una porta a tenuta
stagna con uno spioncino coperto da una
rete, copie dei progetti, lettere degli
architetti, fatture delle imprese e fotografie,
sono delle prove inconfutabili che
confermano le testimonianze del dopoguerra
“dei sopravvissuti” chiamati come test al
Processo di Norimberga. La capacità dei
crematori fu triplicata dai carnefici “4.756
corpi al giorno” (Letter from Karl Bischoff to
Hans Kammler, Jume 29, 1943, fig. 27).
Incenerire quasi cinquemila corpi al giorno
corrispondeva al fabbisogno di smaltimento
di un enorme via vai di cadaveri e
contemporaneamente di persone che
venivano convogliate verso le camere a gas.
Il libro The Evidence Room pubblica due foto
che evidenziano un fabbricato posto a sud
dei crematori con quattro comignoli “The top
of the gas chamber can be seen just to the
right of the locomotive’s chimney. The
concrete roof is not yet covered with dirt and
therefore the tops of the four gas columns
can be seen.” (fig. 37) Auschwitz-Birkenau fu
una fabbrica volutamente progettata per la
morte, dotata di camere a gas di medie
dimensioni (30 mq) e di crematori di massa,
in cui oltre un milione di persone, il 90 per
cento di ebrei, furono assassinate. “The
Evidence Room – spiega Anne Bordeleau
espone la ricostruzione di tre “monumenti”
della Stanza Q (Room Q): una colonna a gas
51. [ 51]
(column gas), il portone dell’entrata (gas-
tight door) e il portello (coperchio) a tenuta
stagna (gas-tight hatch)…, non è solo una
revisione della storia e di quanto
autorevolmente deciso dalla Corte britannica
(con testimonianze e perizie) è molto di più,
perchè è necessario ricordare che cosa sia
“undeniable and yet stands beyond
comprehension. To remember what many
would rather forget, il not deny. For this,
scientific proofs and architectural
forensics – and, of course, rhetoric – can be
necessary in a courtroom to convince twelve
jurors or a judge hound by the letter of the
law, but not to the same extent for the
human heart and the “cause” of memory”.
(Anne Bordeleau, pag. 113 libro).
Nuova disciplina forense. La relazione del
prof. van Pelt – “The van Pelt Report”
pubblicata come “The Case for Auschwitz” –
è diventata una delle fonti di ispirazione per
una nuova corrente interdisciplinare che
comprende architettura, tecnologia, storia,
legge e diritti umani a servizio
dell’architettura forense. Infatti, con questa
dimostrazione viene alla luce una nuova
disciplina nel campo della pratica forense. Un
work in progress collettivo (esperti, studenti,
operatori - ci spiega Sascha Hastings - è una
sintesi concreta di una lunga e complessa
ricerca iniziata dal prof. Robert Jan van Pelt,
alla quale hanno contribuito i colleghi Donald
McKay, Anne Bordeleau e un folto team di
studenti e consulenti della Università di
Waterloo – School of Architecture (Canada).
____________________________
CyklonB, Zyklon B era il nome commerciale di un agente fumigante a base di acido cianidrico (o
acido prussico) utilizzato come agente tossico nelle camere a gas di alcuni campi di sterminio
nazisti.
Anche se utilizzato solo in un numero limitato di lager, principalmente ad Auschwitz e Majdanek,
lo Zyklon B è oggi ricordato come uno dei simboli della Shoah. L’uso della parola Zyklon (ciclone in
tedesco) ha spinto varie comunità ebraiche a chiedere nel 2002 alla Bosch Siemens Hausgeräte e
alla Umbro di ritirare i loro tentativi di usare o registrare tale termine per loro prodotti.
L’acido cianidrico a 200 mg/m³ uccide un uomo in circa 10 minuti[8]. Da cinque a sette chili di
Zyklon B erano fatti cadere nella camera della morte attraverso un’apertura nel soffitto per
uccidere da 1.000 a 2.000 persone in pochi minuti. L’azione tossica si deve allo ione CN−, il quale si
lega agli enzimi ossidanti preposti alla respirazione cellulare, in particolar modo all’enzima
citocromo-ossidasi, provocando l’anossia. I sintomi da intossicazione erano la perdita di coscienza
e le convulsioni e dopo circa 15
minuti sopraggiungeva la morte.
L’architetto (Walter Dejaco*), al
servizio delle SS rivoluziona la
catena di montaggio della morte
nei campi di concentramento”.
Oltre ai forni crematori, alle
fucilazioni, al programma
eutanasia, alle sperimentazioni
(vedi ad esempio su ufficiali russi)
si aggiungevano gli obitori
trasformati in camere a gas…
usando semplicemente dei
barattoli di ZyKlon B (“Ciclone B”)
52. [ 52]
della Bayer. Con “piccoli” accorgimenti
tecnico-edili e di falegnameria, la mente
perversa riuscì a far risparmiare tempo ed
energia. In quindici minuti morivano asfissiati
e ammassati nella stanza buia di circa mq30,
donne, uomini, bambini nudi! Altro che
spidocchiamento, come si difesero di fronte
ai giudici o taluni persistono ancora
“reclamare la verità”.
*W.D. 19. Juni 1909 in Mühlau (Innsbruck); †
1978) war ein österreichischer Architekt, der
im KZ Auschwitz als Bauleiter bei der
Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei
Auschwitz tätig war.
(Fonte Corriere della Sera)
NEL 1996 LO STORICO INGLESE DAVID
IRVING AVEVA CITATO PER DIFFAMAZIONE,
DI FRONTE ALLA ROYAL COURT OFJUSTICE
DI LONDRA, LA STUDIOSA AMERICANA
DEBORAH LIPSTADT, la quale, nel
polemizzare contro la sua interpretazione
assai riduttiva delle responsabilità naziste del
genocidio degli ebrei, lo aveva definito “uno
dei più pericolosi portavoce del
negazionismo”.
Nel 1996 lo storico inglese David Irving aveva
citato per diffamazione, di fronte alla Royal
Court ofJustice di Londra, la studiosa
americana Deborah Lipstadt, la quale, nel
polemizzare contro la sua interpretazione
assai riduttiva delle responsabilità naziste del
genocidio degli ebrei, lo aveva definito “uno
dei più pericolosi portavoce del
negazionismo”
II processo si concluse con una sentenza
molto severa nei confronti di Irving, che non
solo fu condannato a rifondere le spese alla
controparte, ma venne bollato nella sentenza
come ‘antisemita’ e come ‘razzista’, avendo
egli ‘deliberatamente falsificato e distorto
qualsiasi evidenza storica. Come ha scritto il
Corriere nel 2001: ‘Il processo ‘Irving contro
Lipstadt’ era destinato a trasformarsi in un
processo volto ad accertare se davvero vi fu
l’Olocausto, se davvero furono impiantati e
utilizzati i campi di sterminio degli ebrei. E
infatti proprio questi accertamenti
costituiscono il cuore della sentenza, nella
quale si legge tra l’altro — in chiave di
evidente condanna delle tesi negazioniste di
Irving — che ‘nessuno storico obiettivo ed
equanime avrebbe seri motivi per dubitare
che ad Auschwitz vi fossero camere a gas e
che siano state fatte funzionare su vasta scala
allo scopo di uccidere centinaia di migliaia di
ebrei’. II processo si concluse con una
sentenza molto severa nei confronti di Irving,
che non solo fu condannato a rifondere le
spese alla controparte, ma venne bollato
nella sentenza come ‘antisemita’ e come
‘razzista’, avendo egli ‘deliberatamente
falsificato e distorto qualsiasi evidenza
storica. Come ha scritto il Corriere nel 2001:
‘Il processo ‘Irving contro Lipstadt’ era
destinato a trasformarsi in un processo volto
ad accertare se davvero vi fu l’Olocausto, se
davvero furono impiantati e utilizzati i campi
di sterminio degli ebrei. E infatti proprio
questi accertamenti costituiscono il cuore
della sentenza, nella quale si legge tra l’altro
— in chiave di evidente condanna delle tesi
negazioniste di Irving — che ‘nessuno storico
obiettivo ed equanime avrebbe seri motivi
per dubitare che ad Auschwitz vi fossero
camere a gas e che siano state fatte
funzionare su vasta scala allo scopo di
uccidere centinaia di migliaia di ebrei’.
Droni by Art. “Il giornalismo tascabile / Le journalisme de poche”
di Angelo Miatello, Daniele Pauletto e Nazzareno Bolzon
Intervistati: Anne Bordeleau, Sascha Hastings, Robert Jan van Pelt, Donald McKay
Servizio webTv: Daniele Pauletto
Fotografia: Claudio Malvestio e altri
54. [ 54]
Roma, Circolo stampa internazionale
REPORTAGE DA ROMA AL PALAZZO DUCALE
VENEZIA, I 500 ANNI DEL GHETTO
“UNA LEZIONE DI AMORE PER LA VITA”
oglio rispondere a una domanda prima ancora che qualcuno la faccia: gli
ebrei non hanno alcuna nostalgia del ghetto”.
Sgombra il campo da ogni equivoco Renzo Gattegna, presidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, nel dare avvio alla conferenza stampa di presentazione
delle iniziative per il Cinquecentenario del Ghetto di Venezia svoltasi questa mattina nella
sede romana dell’Associazione della Stampa Estera.
Nella casa dei giornalisti stranieri, accolti dal loro presidente Tobias Piller, prendono forma
i diversi appuntamenti e le diverse sfide di un calendario di eventi che abbraccerà l’intero
anno solare.
L’atteso concerto inaugurale al Teatro La Fenice (29 marzo). La mostra “Venezia, gli Ebrei e
l’Europa. 1516- 2016” ospitata a Palazzo Ducale. La settimana dedicata al Mercante di
Venezia in Ghetto Nuovo. E ancora convegni, seminari, giornate di studio.
“Gli ebrei veneziani hanno subito molte vessazioni, ma non ne sono usciti né umiliati né
sconfitti. La loro storia, la loro vitalità, la loro forza sono un esempio altissimo di amore per
la vita. Più forte di qualsiasi ostacolo” sottolinea il presidente dell’Unione.
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della Comunità ebraica veneziana Paolo
Gnignati, che ricorda come la memoria del passato, delle sofferenze subite, ma anche degli
straordinari slanci culturali e ideali che non mancarono, delle pagine di storia che furono
scritte in quel contesto così difficile, debbano costituire un punto di riferimento
imprescindibile. Anche perché, avverte, l’intenzione della Comunità è di lavorare ogni
giorno “anche per il futuro”. E di costituire un “esempio di integrazione” anche per nuove e
vecchie minoranze.
“V
55. [ 55]
Donatella Calabi, curatrice della mostra “Venezia, gli Ebrei, l’Europa”, ricorda la “pluralità
di nazioni e religioni” di quel contesto storico. E spiega come l’esposizione non si fermerà
all’epoca del ghetto ma approfondirà anche cosa accadde dopo l’apertura delle sue porte.
“Sarà una mostra multimediale, pronta a viaggiare anche lontano da Venezia se vi sarà la
possibilità” dice Calabi. Conferma questo impegno Mariacristina Gribaudi, presidente della
Fondazione Musei Civici, che si augura che la stessa possa parlare “ai giovani, a tutti i
giovani del mondo”.
Una proiezione internazionale che si basa anche sul fondamentale sostegno (finanziario e
non solo) della fondazione Venetian Heritage, partner strategico della Comunità ebraica da
oltre tre anni. A fare il punto sulle progettualità avviate è Toto Bergamo Rossi.
“Questo Cinquecentenario deve parlare al nostro presente, costituire uno spunto di
riflessione. Perché le nuove manifestazioni di antisemitismo e di negazionismo cui
assistiamo ancora oggi sono un fatto inaccettabile” dice il governatore regionale Luca
Zaia.
Concorda il sindaco Luigi Brugnaro, che loda la grande capacità di integrazione degli ebrei
veneziani e il loro ruolo sociale. “Questa Comunità ha scritto e continua a scrivere la storia
di Venezia. E continua a costituire uno straordinario esempio per tutti” sottolinea il primo
cittadino. Conclusi gli interventi, una sfilza di domande dalla platea. La dimostrazione
evidente di un interesse sempre più vivo. (Roma 6 marzo 2016)
Blatas, Synagogues,
Venice Ghetto
IL NOVECENTO
Gli ebrei veneziani sono tra i protagonisti dei
processi di modernizzazione economica,
politica, culturale e anche urbanistica della
città e del territorio circostante. Alcuni di essi
sono saliti ai vertici dell’amministrazione
cittadina e della politica nazionale, o sono
alla testa di circoli intellettuali e di istituzioni
scientifiche. Dalla fine degli anni trenta sarà
segnata tragicamente – anche se in modo
non definitivo – dalla cesura della Shoah.
Nella mostra tali percorsi sono esemplificati
in particolare attraverso i profili della famiglia
Musatti, di Margherita Grassini Sarfatti, di
Angelo Fano e di Gino Luzzatto.
56. [ 56]
VENEZIA, GLI EBREI E L’EUROPA
INTERVISTA ALLA CURATRICE DONATELLA CALABI
a mostra al Ducale vuole insegnare che cosa?
La mostra vuole far riflettere sulla storia del termine ghetto (originariamente non ha nulla a
che fare con la segregazione, né con gli ebrei), eppure ha avuto un’incredibile fortuna
terminologica. Ma pensare al “ghetto” solo come isolamento fisico e morale è riduttivo: le
contraddizioni del Ghetto di Venezia (il primo al mondo), le ‘permeabilità, gli scambi culturali che
ne hanno consentito la sopravvivenza, che anzi sono stati spinti anche dalla situazione particolare
di cui gli ebrei hanno ‘goduto’ all’interno della Repubblica Veneta. Oggi in un momento di muri e di
fili spinati dappertutto nel mondo, riflettere su questa particolare vicenda ci può forse aiutare a
pensare in termini di convivenza di popolazioni aventi diverse abitudini, lingue differenti.
Dal Colophon sono dodici le sezioni che ha individuato come tappe di questo lungo
viaggio da raccontare. Ci può dare qualche sua particolare annotazione, dove puntare
per avere un’idea generale della straordinaria ricchezza che possediamo?
Le sezioni sulle quali insistere di più sono quelle chiamate la Venezia cosmopolita e il
Ghetto cosmopolita per riflettere sulle questioni poste sopra. Contemporaneamente credo
che sia abbastanza poco conosciuta la fase della assimilazione degli ebrei nell’Ottocento e
del loro ruolo nel processo di modernizzazione della società civile (Camera di Commercio,
Accademia di Belle Arti, Porto Franco, ferrovia Venezia-Padova, collezionismo: la galleria
dei ritratti e alcuni dipinti (Hayez) sono di particolare importanza per questo.
La mostra è al positivo, come lei ha sottolineato alla vernice, ci vuole ripetere qui
brevemente come e perchè?
L
57. [ 57]
La mostra è da vedere in positivo perché vuole mettere in luce fino a che punto gli ebrei,
senza mai rinunciare alla loro identità etnica, nazionale, o religiosa, hanno fatto parte, nei
secoli, della società europea. In questo senso essa vuole essere ancora una volta un invito
a guardare al futuro come situazione di ‘convivenza’ di popoli con le loro anime differenti,
e non alla supremazia degli uni sugli altri.
Alla Biennale di Architettura vi è un’installazione dedicata all’Olocausto (Niente Buco,
Niente Olocausto), realizzata dal team dell’Università di Waterloo – Canada (di cui le ho
presentato ieri la d.ssa Sascha Hastings). La stessa installazione è stata inaugurata due
giorni fa a Montreal presso il CCA con i proff. van Pelt e Bordeleau. E’ già sui giornali
canadesi.
La cronaca politica non si è accorta che l’8 giugno scorso il Parlamento italiano ha
approvato (finalmente) il ddl che punisce il negazionismo come aggravante…
Solo la stampa on line ha fatto brevi commenti.
Che ne pensa?
Infatti, la sua mostra può essere un'ottima occasione per educare al rispetto della
comunità ebraica nel Veneto (mi riferisco alle escursioni scolastiche giornaliere) che per
essere programmate hanno bisogno di tempi più lunghi. C'è da lavorare parecchio.
Educare al rispetto della comunità ebraica nel Veneto, come al rispetto di altre comunità
presenti nella nostra Regione (e non solo) è un dovere civile. Lo scopo della mostra di
palazzo Ducale è anche quello di far riflettere sull'esistenza di muri e di fili spinati che si
continuano a realizzare in Europa e nel mondo e sulla necessità di abolirli. Le scuole sono
in questo senso da considerare fra i primi destinatari di messaggi di questo tipo. L'utilizzo
dei dispositivi multimediali è stato spinto da me proprio per rivolgersi in primis ad un
pubblico di giovani e anche di bambini.
Sono d’accordo sull’impostazione della mostra della Biennale Architettura, anche se nella
mostra di Palazzo Ducale ho voluto rappresentare la storia delle persecuzioni in modo
sintetico e simbolico, da un lato con il ritorno della Comunità Ebraica in Ghetto, dall’altro
con l’istallazione che abbiamo chiamato “il dono del ricordo”.
Non sono invece d’accordo sull’entusiasmo per il ddl sul negazionismo. Io credo –
d’accordo con un folto gruppo di storici – che questi orribili atteggiamenti non possano
essere limitati per legge, ma solo con l’educazione.
A me pare che lo Stato Italiano dovrebbe profondere maggiori finanziamenti per una
scuola pubblica e laica e per l’insegnamento (anche con le moderne tecnologie) di episodi
della nostra storia recente. Un buon insegnamento della storia della Seconda guerra
mondiale e della seconda metà del XX secolo sarebbero più utili contro il negazionismo di
una legge del Parlamento.
*Donatella Calabi è professore di “Storia della città” all’Università IUAV di Venezia; è
stata visiting professor all’EHESS e all’EPHE di Parigi e presso le Università di Lovanio, di
Leicester, di San Paolo del Brasile, di Tokyo.
Direttore della collana “Storia della città” edita da Laterza e della collana di Architettura
edita da Officina Edizioni, membro del Comitato Scientifico di “Planning
58. [ 58]
Perspectives” e di “Città e storia”, ha scritto sulla storia della città europea in età moderna
e sulle origini dell’urbanistica fra Otto e Novecento. Suoi scritti sono
pubblicati in inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco, olandese, ebraico e giapponese.
Da Paolo Gnignati*: “…il terreno di elezione dell’impegno civile per una minoranza con la
storia di quella ebraica non può che concretizzarsi nel mettere a servizio delle nuove
minoranze, e della società che con esse è chiamata a interagire, la propria esperienza, tutta
giocata sul filo di quella che, a prima vista, pare una contraddizione: una caparbia e
incondizionata volontà di mantenere una propria identità di gruppo e una volontà di
integrazione.
Si tratta, tuttavia, di una contraddizione solo apparente, che si scioglie sul piano della pluralità
delle appartenenze che caratterizza non solo noi ebrei ma tutti noi, come veneziani, italiani ed
europei; appartenenze che devono intendersi non in opposizione tra loro, ma come fonte di
ricchezza e completamento della persona, e quindi della società nel suo complesso. Facendo
propria quest’impostazione si disegna un utile e aperto metodo di confronto con le nuove
minoranze, alle quali deve essere data la possibilità di un’integrazione che non imponga una
rinuncia all’identità, ma che al tempo stesso sia capace di fare propri alcuni principi che si sono
affermati a costo di esperienze molto spesso tragiche e costituiscono l’asse portante di un
condiviso orizzonte culturale che possiamo oggi definire come “europeo”.
In questa prospettiva la mostra, che ripercorre la storia del Ghetto, luogo di segregazione ma
da sempre cosmopolita e culturalmente vivo, nonché la storia dell’integrazione ebraica dopo
l’abbattimento delle porte del Ghetto, svolge un’importante opera di approfondimento e
divulgazione che ben si inserisce nella prospettiva civile di cui si è detto e che ci chiama a
un’opera di approfondimento e impegno ulteriori. Desidero, da ultimo, ringraziare anzitutto
Donatella Calabi alla cui intelligenza e tenacia dobbiamo il risultato che abbiamo sotto gli
occhi, e la sensibilità con cui la Fondazione Musei Civici e il Comune di Venezia hanno da
subito compreso l’importanza della mostra nel quadro del cinquecentenario, assumendo
l’onere di
organizzazione e
traino della stessa.
(*Presidente della
Comunità Ebraica di
Venezia. Presidente
del Comitato “I 500
anni del Ghetto di
Venezia”)
Francesco Hayez, La
distruzione del
Tempio di
Gerusalemme,Ve-
Gal. Accademia
61. [ 61]
Vittore Carpaccio,
Predica di Santo
Stefano, Venezia
Gallerie Accademia;
Vittore Carpaccio
Presentazione della
Vergine al Tempio,
1502-1505, Milano
Brera Milano