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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
                    FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
            CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
                        EDITORIA E GIORNALISMO




                            TESI DI LAUREA

                      La Bella Scontrosa

JACQUES RIVETTE TRA CINEMA E PITTURA




Relatore:
DOTT. ALBERTO SCANDOLA
                                                        Laureando:
                                                 MARCO BORTOLI




                    ANNO ACCADEMICO 2005/2006
1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA..........................................................3

1.1 SINOSSI .......................................................................................................................................3
1.2 IL GENERE..................................................................................................................................4
1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO ...................................................................................6

2. IL REGISTA E IL MODELLO..................................................................................................11

2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI.......................................................................11
2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE. ....................................15

3. CORPI E FORME........................................................................................................................19

3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA DEL NUDO...................19
GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE......................................20
PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE...................................................................22
 SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA .......................................23
TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI MARIANNE...........................27
QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA..........................................................................30

4. CONSIDERAZIONI FINALI.....................................................................................................32

BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................................35




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1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA


1.1 SINOSSI

Il celebre pittore Frenhofer vive ritirato con la moglie Lise in un castello lontano dalla città e da
ogni turbamento al loro equilibrio. Le tele che in gioventù gli procurarono la fama avevano
come soggetto il corpo nudo delle sue modelle, ciclo di ritratti conclusosi dopo l’incontro con
la donna che ora tanto ama. Da molti anni in quell’eremo, Frenhofer si è limitato ad autoritratti
del proprio viso arrivando a esaurire la vena creativa, ma l’eco delle trascorse tele attira al
castello Nicolas, un giovane collega suo grande ammiratore, condotto dal loro comune
gallerista Porbus. Accompagna i due forestieri Marianne fidanzata del promettente Nicolas.
Marianne sembra risvegliare Frenhofer da un lungo sonno.
Il mercante, vedendo Frenhofer rinvigorito dall’avere accanto una fanciulla, propone che la
ragazza posi per il vecchio risvegliandone il genio e permettendogli di terminare il progetto
della “Bella Scontrosa”. “Scontrosa”, in francese “Noiseuse”, era stato il soprannome di
Catherine Lescaut, una leggendaria cortigiana del diciassettesimo secolo, della quale Frenhofer
in passato aveva già provato a fissare eternamente sulla tela lo spirito attraverso un’epigona
della Scontrosa. Il primo tentativo di superare la Natura nel limite della mortalità dei corpi era
però fallito con Lise. Ora tocca a Marianne, assoldata dal vecchio pittore come musa ispiratrice
per soddisfare il capriccio di Nicolas e del gallerista, scoprire i motivi della prima rinuncia e
l’effetto di essere rapite sulla tela. La ragazza trascorre sei giorni a stretto contatto con il pittore
durante i quali la ricerca di quale posto spetti al “singolo” e quale alla “coppia” e dove l’“arte”
trovi delle limitazioni per rispetto dell’“amore” costringe tutti a delle profonde riflessioni su se
stessi e sui rapporti di coppia. Molte difficoltà si susseguono nei quattro giorni di pose
estenuanti da cui esce un quadro che esprime la vera natura di Marianne. Ella infatti nel vedere
l’opera completa prende coscienza della propria interiorità e se ne vergogna proprio come
Adamo ed Eva si sentirono nudi solo dopo aver morso la mela. Le due donne del pittore
visionano il capolavoro che questi decide di murare, proprio per rispetto a loro, che mettendosi
a nudo corpo ed anima, ne sono state le ispiratrici.
Al critico e al giovane collega, che volevano trarre vantaggio materiale dall’opera conclusa
(economico o di insegnamento), ne propone un’altra più accessibile, nella quale il mercante
non nota nemmeno la mancanza dell’anima che avrebbe dovuto fare dell’opera un “non plus
ultra”. La scelta di Frenhofer permette alla sua storia con la devota Lise di proseguire rafforzata
dall’esperienza. Dal canto suo Marianne impara a conoscersi tramite il quadro che la riassume
e prende la propria via lasciando il fidanzato che aveva anteposto all’amore per lei l’amore per
l’arte. Prova di tale scala di valori viene dal fatto che il ragazzo, resosi conto che quello non è il

                                                                                                           3
quadro risultato dal lavoro sulla sua compagna, critica Frenhofer per aver scelto di sacrificare il
       genio sull’altare dell’amore.
       Il critico infine acquista la tela convinto di avere il massimo dell’espressività, quando invece si
       tratta di una copia sbiadita e edulcorata del soggetto.




       1.2 IL GENERE

       Antonio Costa, lo studioso che più si è occupato del rapporto Cinema-Pittura, cita “la Bella
       Scontrosa” come esempio di film con valore “anagogico”.1 Rivette cioè tiene un discorso sulla
       filosofia pittorica e sui pittori che a partire da una realtà imperfetta mirano a riscoprirne una
       superiore. Il regista segue passo passo i movimenti che portano alla creazione di un capolavoro
       che risulta, appunto perché troppo significativo, non mostrabile ad occhi profani.
       Ogni artista s’ispira a un modello vicino o lontano al quale però l’opera conclusa potrebbe non
       assomigliare almeno a uno sguardo superficiale. Il fine di Frenhofer non è l’imitazione ma
       l’espressione: l’esaltazione della musa che si sottrae alla riproduzione ma ne influenza il
       risultato. Il quadro che completa sembrerebbe essere riuscito perchè non riproduce una realtà
       già evidente ma spiega gli aspetti che a prima vista non si possono cogliere.
       Rivette autore molto impegnato anche sul versante della critica d’arte si sofferma inoltre sul
       rapporto autore-fruitore analizzando le responsabilità che entrambi hanno nei confronti
       dell’opera e delle persone coinvolte.
       Nel momento in cui viene fissata un’immagine su pellicola (o una qualsiasi rappresentazione
       visiva) tutti i fruitori colgono lo stesso dato sensibile: dei molti possibili sguardi uno diviene la
       sintesi diffusa. Nel cinema il regista e i diversi autori guidano la visione più che in altre forme
       d’arte. Da questa considerazione muove il film di Rivette che indaga prima quali siano le
       aspirazioni dell’artista e le difficoltà nella rappresentazione, poi gli effetti che la sua opera
       avrebbe per coloro che ne fruiscono. Per realizzare un’idea l’artista ricerca un modello che di
       quell’idea possieda almeno qualche tratto per supportarlo nel difficile trasferimento tra il
       “mondo delle Idee” e il “mondo delle Cose”. La modella che posa appare agli occhi dell’artista
       come una copia del Modello Ideale. Porta l’originale dentro di sé.
       Rivette non ci mostra mai il quadro così come Frenhofer non lo condivide con nessuno al di
       fuori della compagna, della modella, e della piccola Magaline.2
1
  Cfr. Antonio COSTA, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002, p. 49.
 p. 65 parla di “film teorici sulla pittura” e in questa lista include “La Belle Noiseuse” che riprende poi singolarmente da
p. 67.
2
  Sul diverso finale del film rispetto al racconto di Honorè de Balzac e sui motivi stilistici di tale scelta si vedano:
Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, tesi di laurea Storia e critica del cinema, a.a.
2004-2005, Università degli studi di Padova, §6, La Belle Noiseuse 1991, p. 10-12 .
Pascal BONITZER, Peinture et cinéma. Décadrages, in Cahiers du cinéma-Editions de l’ etoile, Parigi, 1985,
pp.81-82.

                                                                                                                          4
La visione che esprime Frenhofer del modello originale, attraverso lo studio di Marianne,
      permette a ella di riconoscersi in esso ma, sentendosi denudata, di rimanerne sconvolta.
      Lise, che è legata all’artista empaticamente, capisce da sé che il quadro è completo e vi
      imprime sul retro un emblematico sigillo: una croce. In seguito manifesta al marito
      l’apprezzamento per il risultato del suo lavoro e ancor di più per la decisione di sostituire
      l’opera sensazionale con una senza particolare significato. Rimane molto colpita, si capisce,
      dalla decisione presa da Frenhofer di mettere la pittura dopo il rispetto dei sentimenti di tutte le
      persone coinvolte.
      Magaline, la servetta tuttofare che aiuta Frenhofer a sbarazzarsi del capolavoro, per ultima
      ammira la tela e sentenzia: “E’ la signorina? Com’ è bella”.
      La sua affermazione è un probabile saggio di come avrebbero reagito gli spettatori alla vera
      “Bella Scontrosa”: ammirati ma disorientati al punto da informasi se si tratti davvero di una
      rappresentazione della modella (evidentemente l’associazione non scatta immediatamente).
      Può essere la modella come no, se si tratta di lei, Magaline ammette di non essere riuscita a
      scorgerla in quel modo prima. Quindi Frenhofer raggiunge l’obiettivo prepostosi mostrando a
      Marianne qualcosa in più di quanto non riuscisse a comprendere di se stessa prima del loro
      incontro.
      Solo Frenhofer aveva presentito che Marianne possedeva in sé quello spirito che egli aveva
      cercato senza successo di estrarre da Lise e che ritrovato in Marianne, questa volta più
      coraggiosamente, era riuscito a rappresentare. Folgorato dalla lettura dalle gesta di Catherine
      Lescaut il pittore aveva riconosciuto in Lise lo stesso spirito ed ella aveva spinto perché questo
      modello, attraverso la mediazione visiva del suo corpo e di quella recettiva di Frenhofer,
      apparisse sulla tela. Ma i due mondi non possono convivere, questo sembra dire Rivette nel suo
      film, o la copia o il modello3.




3
 Cfr. Carlo TESTA, Alla ricerca del modello perduto: Rivette, Balzac e le imprudenze dell’ arte, in Leonardo DE
FRANCESCHI (a cura di),in Cinema/pittura Dinamiche di scambio, Lindau, Torino, 2003 pp. 165-178.

                                                                                                                  5
1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO




      FRENHOFER CREATURA IBRIDA A CUI BERNARD DUFOUR PRESTA LE MANI, MICHEL
      PICCOLI IL RESTO DEL CORPO.


      Ingenuamente, dopo aver visto il film “La Bella Scontrosa” senza conoscere il pretesto
      Balzachiano, uno spettatore potrebbe mettersi alla ricerca di informazioni su Frenhofer per
      capirne meglio la figura e la poetica. Il film infatti è costellato di nebulose riflessioni sull’arte,
      (intesa come viaggio verso una dimensione assoluta) che non permettono una fruizione passiva
      allo spettatore che voglia capire il significato teoretico proposto e criptato. Vediamo sullo
      schermo un vecchio pittore che per lo stile potrebbe essere inserito nel sistema dell’arte
      contemporanea da cui tenta però di fuggire ritirandosi lontano dal mercato e continuando a
      produrre teorie. Il personaggio accenna ma non spiega le sue elucubrazioni e le sue “creature
      ibride4” sulla tela lasciano inquieto lo spettatore.
      Numerosi sono i segnali che connotano la vicenda come ambientata ai nostri tempi: dall’uso
      del telefono e dell’automobile al modo di parlare e vestire, tutto è davvero verosimile. Tuttavia
      il film non è la biografia di un artista reale, quindi, questi spettatori ricercatori che amano
      approfondire la conoscenza delle opere inserite nei film saranno stupiti nel trovare il nome
      Frenhofer solo in relazione ad Honoré de Balzac e a Jacques Rivette, intuendo solo a quel
      punto che Frenhofer è un personaggio della finzione. Infatti, Frenhofer è il protagonista di un
      racconto Balzachiano, considerato premonitore dell’informale nell’arte, resuscitato da Jacques
      Rivette per un film sulla creazione pittorica.
      Dell’originale il pittore presentato da Rivette mantiene senza dubbio l’ossessione di “portare il
      sangue sulla tela” (cioè di non essere dei “vili copisti della natura5”) e la propensione a
      scendere nel profondo, al di là delle apparenze visive.
4
  Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Intervista rilasciata a Marie-Anne Guérin, in Cahiers du Cinéma n° 447,
settembre 1991, pp. 25-29.
5
  Cfr. Honorè DE BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, Bur, Milano, 2002

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Rivette con il consenso dei suoi due sceneggiatori-dialoghisti Pascal Bonitzer e Cristine
      Laurent ritiene che la poetica del pittore Balzachiano trovi, trasportata ai nostri giorni, “Una
      nuova incarnazione nella pittura di Willem De Cooning, di Jean Fautrie o di Francis Bacon,
      ma, meglio che in tutti questi noti autori, nelle creazioni del meno conosciuto Bernard
      Dufour”6, pittore contemporaneo dallo stile raffigurativo attento alla forma e in particolare a
      quella dei corpi femminili. “Avevo avuto modo di vedere negli anni ’60 - ha dichiarato Rivette-
      molte pitture di Bernard Dufour che mi avevano colpito specialmente perché le figure che
      emergevano sulla tela avevano degli schemi gestuali non totalmente figurativi. In seguito non
      avevo più sentito parlare della sua produzione e mi sono quindi messo alla ricerca delle sue
      tele più recenti per vedere di cosa trattassero e come. Scoprii che erano quasi tutti corpi
      femminili, grandi figure nude senza testa, in cui non vi è differenza tra l’alto e il basso. Mi
      risultò chiaro che Bernard avrebbe dovuto partecipare al film”.7
      Bernard Dufour, nei suoi disegni precedenti alla collaborazione con Rivette, si era soffermato
      maggiormente sulla sensualità delle modelle, andando a frugare senza esitazione nella loro
      intimità, a tal punto che spesso, Dufour, preso dalle sue esplorazioni, non rappresenta il viso
      delle modelle imprigionando l’occhio dello spettatore tra ventre e cosce. I corpi sono l’unica
      parte di realtà che emerge sulla tela; l’ambiente è un sacco amniotico. Si forma una visione
      “tattile” in cui niente si intromette tra mano e il corpo che essa tocca. Nessun altro senso ne
      disturba il piacere.
      I contorni sono sfuocati, le donne sembrano immerse in acqua torbida. Di tutti i colori della
      realtà uno solo resiste, un unico colore che si mescola al bianco e nero. Quest’unico colore
      simboleggia il sentimento motore della singola creazione: un quadro che nasce dalla noia, uno
      che nasce dalla passione etc…
      Per il film Rivette chiede al pittore di continuare a mantenere un colore dominante in ogni tela,
      quindi, sia negli schizzi preparatori a lungo indagati nel loro formarsi, che per quel poco che
      riusciamo a scorgere furtivamente della versione murata del quadro “La Belle Noiseuse”, lo
      stile di Bernard Dufour non è snaturato dalle esigenze di narrazione. Ad esempio, di rosso sono
      sporchi i bordi laterali e la parte bassa della tela segreta (mostrataci per un istante dalla mano
      distratta di Magaline che scosta il velo che la occulta) altri colori non sono percepibili.
      Bernard Dufour è un autore in carne ed ossa che lavora sotto l’occhio della macchina da presa
      per portare avanti la parte “documentaristica” del film. Del suo corpo all’opera appaiono però
      solo le mani, le quali, secondo la finzione cinematografica, appartengono al corpo di Michel
      Piccoli che impersona Frenhofer.
      Rivette, infatti, non ritiene interessante esclusivamente la vicenda dei personaggi interpretati
      dagli attori ma anche l’evolversi della visione che il pittore ha della modella: ed il mezzo meno

6
  Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Parla di una lettera scritta da Jacques Rivette e Pascal Bonitzer allegata al
copione del film che riceve assieme all’ offerta di partecipare al progetto.
7
  Jacques RIVETTE, Conférence de presse (extraits) Jacques Rivette Cannes 1991 ,in Cahiers du Cinema, n° 445, 1991.

                                                                                                                   7
mediato per presentarla è proprio la proiezione di tale immagine sulla tela tramite il lavoro del
pittore. Il regista riprende perciò tutte le fasi di produzione pittorica, esitazioni comprese, e le
monta con le scene girate con gli attori professionisti.
Il semianonimato al grande pubblico della produzione di Bernard Dufour risulta come un
pregio per Rivette e i suoi sceneggiatori, in quanto, l’utilizzo di uno stile poco noto gioca a
favore della finzione drammatica. Lo stile di Dufour per gli spettatori è, e genera allo stesso
tempo, lo stile del personaggio Frenhofer. La mediazione c’è ma non è percepita.
Arruolato Dufour nel progetto cinematografico, il regista si preoccupa di costituire un “fondo”
che renda testimonianza della produzione artistica di Frenhofer precedente a “quel giorno, un
lunedì pomeriggio d’inizio luglio fra le tre e le quattro”, in cui dei nuovi soggetti arrivano ad
Essas per vederne i lavori. Rivette si reca nell’atelier di Dufour a scegliere qualche quadro tra
quelli lì conservati e ne commissiona di nuovi che riproducano i tratti del Frenhofer-Piccoli e di
Lise-Birkin. Per questi ritratti gli attori si sono preventivamente prestati a delle sessioni di
posa, in quanto queste immagini costituiscono nella storia la memoria di un passato su cui
s’innestano le novità mostrate. Il regista chiede a Dufour di produrre opere in tre stadi diversi:
“Opere ambiente”, materiale plastico che testimonia nel film il passato, “Opere aperte
collettive” che in scena sono completate da Piccoli nel presente della storia, e “Opere
performance” iniziate e terminate (solo da Dufour) sul set per il documentario sulla tecnica
pittorica.
Alle pareti delle stanze del castello sono quindi appese le “Opere ambiente” (che hanno per
soggetto il pittore o la moglie) tutte senza cornice, secondo una logica non casuale: in primo
luogo perché i disegni appaiono come opere non concluse. C’è ad esempio nel soggiorno un
ritratto di Lise nel quale alla donna mancano le mani, mentre altri sono autoritratti del pittore
ancora molto nebulosi ai quali, in ogni momento, il pittore potrebbe decidere di apportare dei
cambiamenti. Ampie superfici non inquadrate ricordano uno schermo cinematografico su cui
viene proiettato una pellicola sbiadita. La mancanza di cornice inoltre non le separa nettamente
dalla realtà suggerendo che l’arte e la vita sono fuse assieme e che l’ispirazione, in quel luogo,
non si sottomette al consenso sociale.
Il suddetto ritratto di Lise privata di mani, viene di notte insolitamente rischiarato
dall’illuminazione diffusa della stanza e da un faretto molto vicino. Questo proietta un cono di
luce che, rischiarando solo il viso, decapita la figura.
Un altro esempio di “Opere ambiente” che non segue le abituali norme d’esposizione è
l’autoritratto di Frenhofer esposto nella camera di Lise. La parete a cui è appeso è troppo stretta
e perpendicolare alla finestra: il viso enorme invade l’intera superficie della tela a tal punto che
il muro sembra schiacciarlo. Durante un confronto tra Frenhofer e la moglie quest’autoritratto
rientra nel “campo” di Lise e allude ad un Frenhofer impacciato che si sente immobilizzato
dalle accuse della moglie e allo stesso tempo incombe su di lei pesantemente. Il chiarimento tra


                                                                                                       8
i due avviene solo nel momento in cui entrambi muovono verso un’altra stanza e il quadro
         scompare dal campo visivo .
         Altre tele invece sono prodotte per essere delle “Opere aperte collettive” sulle quali agisce in
         maniera naif il corpo di Michel Piccoli mostrando il work in progress di alcuni cartoni
         preparatori al ritratto di Marianne. Su queste tele lavora in scena solo l’attore e non più il
         pittore professionista.
         Infine per “Opere performance” intendo quelle prodotte dall’artista sul set, mentre un
         operatore lo riprende. Naturalmente per mantenere una coerenza narrativa è inquadrato di
         Bernard Dufour solo il braccio (sul quale è arrotolata la manica della camicia di jeans che
         indossa anche Michel Piccoli per tutte le giornate di posa). Rivette ricerca uno stile pittorico
         che conferisca personalità al protagonista e sicuramente trova le tele di Dufour adeguate al
         Frenhofer che vuole proporre. Lascia dunque abbastanza libertà al pittore ma gli commissiona
         dei ritratti di Emanuelle Béart in pose boule a globo, a sfera, tutta accovacciata di spalle.
         Dufour è ripreso mentre disegna, non sta recitando, esattamente come Rivette filma, non finge
         di filmare. Il primo è nell’inquadratura, l’altro fuori. Rivette afferma a proposito del rapporto
         col pittore professionista: “Ho orrore delle prove, le faccio solo se necessario, quindi non ho
         mai chiesto a Bernard di ricominciare un disegno né di preparare dei bozzetti”.
         In fase di preparazione alle riprese Piccoli studia il comportamento di Dufour per coglierne dei
         tratti da imitare; al pittore tale atteggiamento ricorda il proprio davanti alle “inconnue8”, le neo
         modelle.
         Il primo giorno di posa, in cui il pittore studia a tu per tu la nudità, è per Dufour caratterizzato
         da desiderio e repulsione mescolate. Il pittore deve dare precise indicazioni alla modella perché
         lui rimane lì vestito e lei se ne sta nuda a sua disposizione (svolge la modella un ruolo passivo,
         quindi si aspetta solitamente delle regole a cui attenersi).
         Frenhofer si dimostra stupito che Marianne non sappia come posare. Come può la fidanzata di
         un pittore non essere abituata a posare? Significa che non è mai stata il soggetto del fidanzato,
         che, infatti, dichiara di lavorare con delle fotografie anziché sessioni dal vivo.
         Emanuelle Béart si presta come modella per la prima volta in questo film. L’esperto a
         disposizione è Bernard Dufour che consiglia i dialoghi che hanno come soggetto la tecnica
         pittorica: è sua ad esempio la direttiva preliminare: «regardez-moi de face, mais détournez
         légèrment le regard» perchè tra due sguardi che s’incontrano si stabilisce un canale di
         conversazione, troppo affollato in questo caso, senza fine, che grava sul pittore non più libero
         di fissare la modella come e per quanto tempo gli pare. Lo sguardo della modella deve
         rimanere fisso, ma non sul viso del pittore, per lasciare a questo la possibilità di prendersi i suoi
         tempi senza sentirsi chiamato in causa: “Levare gli occhi dalla tela e trovarsi qualcuno che ti
         fissa è sempre una scossa9”.

8
    Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 24.
9
    Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 27

                                                                                                                 9
Il nudo che Rivette chiede ad Emanuelle Béart di interpretare, è la totale nudità10. Il regista
       cerca in tutti i modi di evitare l’ostentazione del nudo che il mezzo cinematografico, per sua
       natura poco mediato, tende a caricare. La scelta è quella di non soffermarsi mai su singoli
       particolari del corpo ma di mantenere una visione generale11. La capacità dell’attrice e del
       regista permettono, secondo il mio parere, di presentare una nudità non morbosa né feticista.




10
   Cfr. Adriano PICCARDI, in Cineforum, 1992, n°5, pp. 42-47
Si riferisce in queste pagine alla rappresentazione del nudo nella “Bella Scontrosa” con queste parole: “Nudità senza
falsi estetismi” e ancora “il nudo è la condizione bruta”.
11
   La scelta di privilegiare piani più allargati e di stringere meno sui dettagli e sui visi viene evidenziata in due contesti.
Antoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, in Cahiers du Cinéma, n° 447, 1991 pp. 22-23.
A proposito della profondità di campo: Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, p. 53 e seguenti.

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2. IL REGISTA E IL MODELLO.
       2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI.




       I RE DEI GATTI: BALTHUS IN UNA FOTO E PI CCOLI-FRENHOFER IN UN FOTOGRAMMA.


       Rivette, per formazione e gusto, nelle sue ricerche si muove attraverso tutte le arti: teatro,
       balletto, pittura e letteratura. I suoi più stretti collaboratori al “Cahiers du cinéma” parlano
       inoltre della sua dedizione al cinema come di un sacerdozio.
       Risulta davvero difficile rintracciare le citazioni nei suoi film tanto possiede la capacità di
       assimilare le produzioni che ama: ciò di cui fa esperienza diviene parte di sé e
       conseguentemente passa nelle opere prendendo nuove forme e omaggiando i modelli
       silenziosamente.
       Si può estendere a Rivette, e al suo modo di stare in contatto con i modelli, quanto ha scritto
       Federico Fellini a proposito del pittore Balthus: “Si fa custode di un patrimonio simbolico in
       cui il tempo ha sedimentato la cultura dell’arte”. Fellini aggiunge riguardo allo stile delle
       citazioni pittoriche: “Vive sotto l’influsso dei padri spirituali le cui opere non diventano mai
       per lui ricordi o testimonianze oggettivate ma forme che si rinnovano in un tempo che è
       soltanto quello della sua coscienza.12”
       Talvolta i modelli sono espliciti come nel caso di “Hurlevent”, dove il regista ammette di
       essere stato profondamente influenzato proprio dai disegni di Balthus prodotti per illustrare
       un’edizione del romanzo “Cime tempestose” di Emily Brönte.
       Ancora più evidenti sono le citazioni di Piero della Francesca, l’artista moderno a cui più
       s’ispira ancora una volta Balthus, in “Jeanne la pucelle” in cui l’aspetto del marito di Jeanne è
       sovrapponibile al ritratto del “Duca d’Urbino13” così come illustrato dal pittore quattrocentesco
       di Borgo San Sepolcro.

12
  Federico FELLINI, Balthus, in Catalogo generale Biennale, 1980, Venezia, 1980, cit.
13
  Il quadro di Piero della Francesca che ritrae “Federico da Montefeltro, Duca di Urbino”, datato 1465-1466, è
conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze.

                                                                                                                 11
Considerati i precedenti prestiti e allusioni di Rivette a Balthus e ai modelli di questo, ci si
       sente legittimati a proporre un parallelismo costruttivo tra i due per capire un po’ meglio chi sta
       dietro alla “Bella Scontrosa”.
       Ad esempio può spiegare la vicinanza e i prestiti simbolici tra le diverse arti questo passo
       estratto dalle memorie di Balthus (in cui l’artista si riferisce alla propria pittura e al cinema di
       Federico Fellini): “Eravamo mossi dalla stessa ricerca, dallo stesso desiderio, lui con le
       immagini in movimento, io con la pittura la cui fissità voleva essere in definitiva inquietante e
       sconvolgente e finiva con l’essere anch’essa mobile proprio come il fluire fin eccessivo delle
       immagini del regista, che voleva riuscire a cogliere la parte più segreta degli uomini.14”
       Alcuni critici hanno letto “La Belle Noiseuse” come una sorta di prematuro testamento del
       regista in cui deciderebbe di indagare il rapporto tra un artista che sta invecchiando, la sua
       opera e il modello, quindi non possono sfuggire i riferimenti alla vita del pittore reale che nel
       1991, anno di uscita del film, potrebbe essere coetaneo del pittore visto sullo schermo. Tali
       allusioni sono supportate da una scena del film in cui Lise chiama Porbus con il nome d’arte
       che ha da anni abbandonato: “Balthus”. Subito l’uomo la riprende: “Non mi chiamare con quel
       nome, Balthus non esiste più”.
       Balthus entra ne “La Belle Noiseuse” attraverso un gioco di rimandi tra vite di autori e opere
       alquanto intricato ad esempio nelle sue “Memorie” si legge: “L’abitudine che ho preso negli
       anni 1925-26 di trascorrere intere giornate al Louvre a copiare Poussin mi ha trascinato
       nell’avventura della pittura15”. Poussin a sua volta, oltre ad essere un grande maestro della
       pittura del ‘Cinque-‘Seicento, è uno dei tre personaggi del “Capolavoro Sconosciuto” e nel film
       di Rivette perde il cognome conservando il nome: Nicolas.
       Non si può affermare che Frenhofer stia per Balthus ma si può considerare uno degli
       “ingredienti” umani del personaggio. Un modello che il regista sfrutta per rappresentare il
       pittore. Leggendo le “Memorie” ci si rende conto di quanto di Balthus sia stato ripreso nel film
       di Rivette. Tali riferimenti sono supportati anche dalla passione del regista per gli scritti di
       Pierre Klossowski de Rola fratello di Balthus, il cui vero nome è appunto Balthazar Klossowski
       de Rola.


       “Dopo il lavoro d’atelier ritorno al Grand-Chalet. Setsuko (la moglie) fa preparare il
       tradizionale tea che ci vede riuniti nella sala da pranzo […] queste pause nella lenta vita del
       Grand-Chalet fanno ancora parte della pittura16.” Il passo ricorda l’atmosfera di due scene in
       cui Frenhofer e Lise si trovano da soli a confrontarsi dopo la giornata di lavoro assecondando
       un rituale pacificatore della coppia. La scelta di Balthus di vivere per lo più ritirato è viene
       emblematicamente ripresa nel film andando ad enfatizzare la separazione dal mondo proprio

14
   Cfr. BALTHUS, Memorie, Longanesi e C., Milano, 2001.
15
   BALTHUS, Ibidem, cit., p. 53.
16
   Cfr. volume XLI BALT 140, Biblioteca di Castel Vecchio, Il gatto e lo specchio, § Balthus à Chassy.

                                                                                                              12
attraverso le alte mura del castello situato nel sud della Francia. Balthus stesso nel 1953 si
      trasferì a vivere nel castello di Chassy in Provenza dopo venti anni dal giorno in cui, in viaggio
      da quelle parti, era rimasto affascinato dalla cittadella in stato d’assedio per le riprese di un
      film17.
      Inoltre Balthus sceglie spesso, come modelle, giovani donne che celano dei misteri “Il mio
      scopo non è solamente il corpo delle mie giovani modelle o la somiglianza dei tratti ma ciò che
      era nella loro notte o nel loro silenzio18.” Sono parole che potrebbero uscire ancora una volta
      dalla bocca di Frenhofer come l’ha raffigurato Rivette. Inoltre Marianne impersonata da
      Emanuelle Béart è giovane e senza dubbio piena di tenebre ben celate dietro ad una facciata di
      quiete.
      Altra vicinanza tra la poetica che sta dietro i ritratti di Balthus e i nudi filmati da Rivette viene
      sempre dalle “Memorie”: “La matita a carboncino può rendere questa grazia intravista. Ecco
      perché insorgo contro le interpretazioni stupide che sostengono che le mie fanciulle
      provengano da un’immagine erotica19.” Il carboncino è la prima tecnica che Frenhofer utilizza
      sulle grandi tele dopo aver preso confidenza con la fisionomia della modella sul quaderno degli
      schizzi. Il carboncino è il primo strumento semplice e immediato che supporta Frenhofer nella
      cattura dello spirito di Marianne. Ma ciò che più interessa notare di questo passo è il desiderio
      di Balthus di chiarire che certi ritratti non siano prodotti per soddisfare degli istinti sessuali,
      quanto piuttosto per restituire ai corpi rappresentati il loro stato di purezza. Anche Rivette
      presenta il corpo nudo di Emanuelle Béart per quasi l’intero girato nell’atelier (significa per
      circa due ore in cui la ragazza non indossa alcun vestito), ma non tende in alcun modo a
      erotizzarla.
      Come esempio di critto-citazione Rivettiana di un quadro precedente si può prendere in analisi
      “La Falena”, uno dei dipinti più famosi di Balthus, dipinto tra il 1959 e il 1960 e conservato al
      Musée National d’Art Moderne presso le Centre Georges Pompidou. Nel quadro una ragazza
      nuda accanto al letto gioca con una falena, forse spingendola, forse trattenendola dal bruciare
      contro una lampada ad olio accesa. La lampada a olio è presente nel film in due scene
      successive: la vediamo dapprima spenta al centro del tavolo durante una sequenza in cui il sole
      tramonta, poi sul finire della cena la ritroviamo accesa a rischiarare i visi dei personaggi sulle
      cui spalle incombono le tenebre. I commensali siedono a tre lati del tavolo e la lampada funge
      da perno dell’azione nel campo controcampo. Marianne e Frenhofer da un lato, Lise e Nicolas
      dall’altro, Porbus solo.
      La lampada rappresenta la verità, la guida, l’obbiettivo ma allo stesso tempo un pericolo per
      alcuni: non a caso Porbus si sente improvvisamente male proprio in questa scena.



17
   BALTHUS, ibidem, cit., pp. 66-67.
18
   BALTHUS, ibidem, cit., p. 79.
19
   BALTHUS, ibidem, cit., p. 75.

                                                                                                              13
Per quanto riguarda Marianne, da poco entrata nel castello, non si è ancora parlato della
possibilità di farla posare per un ritratto ma la sua presenza ha già destato l’interesse di
Frenhofer. In questa scena Frenhofer le chiede come si ponga di fronte alla questione della
realizzazione personale e della soddisfazione del partner. Il contenuto di questa domanda
rimane uno dei temi centrali del film: l’arte deve venire per un pittore prima o dopo l’amore per
la propria compagna?
Marianne è bersaglio della domanda ma allo stesso tempo è lei a suscitarla e a rimbalzarla al
pittore che dovrà fare i conti con la ragazza, la quale lo spinge ad avvicinarsi alla luce del
capolavoro ma allo stesso tempo lo trattiene.
Marianne quindi rapisce l’attenzione di Frenhofer e quando questo vorrebbe darsi per vinto è
lei ad insistere per continuare nel volo. Lo implora di non lasciarla nel vuoto in cui si sono
spinti.




DUE IMMAGINI CON LAMPADA AD OLIO: BALTHUS “LA FALENA”-E RIVETTE MARIANNE
CON FRENHOFER.




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2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE.

         La fisicità è evidenziata dal fatto che vediamo i personaggi mangiare, bere, coricarsi e
         risvegliarsi, svenire, spalancare e sbattere porte, accendere alternatamene interruttori,
         sanguinare e tremare tutto all’interno del Castello d’Essas. Siamo invitati silenziosi delle loro
         vicende.
         Proprio come avviene per i caratteri di Balzac, di cui il narratore ci dice tutto un po’ alla volta, i
         personaggi vengono attirati dall’intima struttura psichica del protagonista verso di sé ed
         iniziano ad orbitarvi attorno. La forza delle idee e dei desideri di Frenhofer costringono gli altri
         a rimanere sospesi immobili o a passare con differenti frequenze a seconda della ampiezza
         dell’orbita. Il nucleo centrale del pianeta Frenhofer è certamente l’atelier in cui per cinque
         giorni ritrae Marianne. A dispetto della crisi dei rispettivi compagni i due continuano il lavoro
         in un habitat assoluto.
         Una descrizione efficace dell’atelier di Frenhofer si può estrarre dal racconto Balzachiano da
         cui Rivette è rimasto affascinato e ripropone fedelmente. Le parole suggeriscono al lettore
         l’idea che quel luogo sia una zona privata al cui interno ci si muove senza causare danni solo
         chi lo conosce bene.
         Nel film tutte le volte che la moglie del pittore entra nell’atelier lascia delle tracce della sua
         invasione nella stanza del marito: dimentica di riportare via il gatto, macchia col piede un
         dipinto steso a terra, segna con una croce il retro della tela conclusa20.
         Altrettanto marcato è l’alternarsi del giorno e della notte, per cui il pittore dipinge solo
         quando il fascio di luce naturale si proietta sullo spazio di posa della modella. “Una vetrata
         aperta sulla volta illuminava l’atelier del maestro Porbus […] scatole di colori, bottiglie di
         olio ed acquaragia, sgabelli rovesciati lasciavano a fatica un angusto passaggio, che
         conduceva sotto l’aura proiettata dall’alta vetrata, i cui raggi cadevano a piombo sul pallido
         viso di Porbus e sul cranio eburneo di quell’uomo singolare21.”
         Lo studio della figura e l’indagine psicologica di Frenhofer su Marianne si svolge nell’arco di
         sei giorni a partire da quel lunedì in cui Marianne viene promessa a Frenhofer senza essere
         consultata. Mentre si accostano al castello per la prima volta Marianne dichiara di non sapere
         niente di quell’idolo che Nicolas adora: “Non ho trovato nessun libro che parli di Frenhofer” e
         Porbus le risponde che l’ultima mostra dedicatogli risale a prima della nascita della giovane. È
         sempre lei che manifesta i suoi dubbi entrando, per prima della comitiva, nell’atelier che il
         fidanzato e il critico smaniano di visitare: “Sembra una chiesa” afferma.

20
     Cfr. §1. p. 3
21
     Honorè de BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, p.105

                                                                                                                  15
Una volta dentro, mentre gli uomini commentano le tele accatastate, Lise da padrona di casa,
         propone a Marianne di salire nel soppalco “Di sopra è più carino, vuole venire?” e salgono
         così in un luogo, mai ripreso, che sovrasta la zona laboratorio. Luogo che diventa lo spogliatoio
         di Marianne a cui Lise passa il testimone. Ed è sempre nell’atelier che la disquisizione
         filosofico - artistica viene portata sul tema della bella scontrosa: la disputa. Marianne interviene
         dalla scala col viso nascosto dall’ombra.
         Il nucleo spaziale in cui si lavora creativamente può essere scisso dal resto ed esistere
         comunque. Il dispositivo che mette in atto la vicenda consiste nell’intromissione in un atomo
         chiuso di nuovi elettroni che agiscono sulla struttura preesistente sfasandola. Allontanandosi da
         questo calderone artistico in ebollizione si incontrano man mano le altre zone del castello:
         stanze comuni collegate, attraverso corridoi spettrali, ai privati rifugi notturni, poi il giardino
         aperto sul mondo della campagna d’Assas e infine la scalinata d’ingresso del portone che
         incontra chi viene dal mondo cittadino. Le scene sono ambientate prevalentemente all’interno
         del Castello d’Assas o nell’albergo dove risiedono Marianne e Nicolas su cui incombe la solida
         struttura del primo, verso cui questi salgono a piedi.
         Le stanze in cui sono appesi ritratti di Lise e autoritratti di Frenhofer sembrano buie caverne
         scavate nella roccia, i balconi promontori massicci, le finestre accecano quando ci si volge
         verso l’esterno ma non illuminano mai completamente l’interno. Si costituisce un forte
         contrasto fotocromatico interno-esterno che collide con l’illuminazione artificiale. Alcune
         sequenze di collegamento sono girate sui torrioni del castello ma Rivette ci tiene concentrati
         verso il nucleo. Lise ricorda la morte dell’idea di mettere un cannocchiale sulla torre per
         guardare in lontananza: si capisce subito che le focali corte sono quelle peculiari a questo film,
         l’esterno giunge al castello d’Essas attraverso telefonate, viaggi22. E’ indirettamente collegato -
         almeno umanamente-. I protagonisti rimangono sempre lì, mentre gli altri vanno e vengono.
         L’esposizione della “pseudo-belle noiseuse” è l’occasione che vede nuovamente tutti i riuniti
         dopo la cena del primo giorno. La scena si apre con una carrellata sull’atelier deserto, in cui
         tutti i quadri sono girati verso la parete: il rumore della porta annuncia l’ingresso del gruppo.
         Marianne titubante entra per prima e rimane sullo sfondo nei pressi dell’uscio appoggiandosi
         poi agli infissi, gli altri invece più curiosi penetrano all’interno più vicino alla tela. È un
         momento carico di tensione per tutti i personaggi, sia per chi ha già visto l’opera finita e ne
         conosce la potenza sia per chi è pieno di speranze e vuole essere ammesso alla visione. I corpi
         sembrano non poter stare in equilibrio solo sulle proprie gambe: infatti tutti cercano un
         appoggio nell’arredo dell’atelier ad eccezione di Frenhofer. Marianne titubante entra per prima
         e rimane nei pressi dell’uscio appoggiandosi poi agli infissi, mentre gli altri scorrono più vicino
         alla tela. Frenhofer introduce il quadro, poi gira il supporto e lo mostra. Il quadro sostitutivo
         eseguito all’ultimo momento è rassicurante e occupa in larghezza quasi tutta l’inquadratura.
         Frenhofer rientrando si affianca alla figura e afferma che quello è il suo primo quadro postumo,
22
     Cfr. Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, §6, p. 15

                                                                                                                16
gli risponde venalmente Porbus: “Sarà ancora più caro”. Il pittore amareggiato gira attorno al
         cavalletto e torna a nascondersi all’ombra della tela che cela tutti i segreti di Marianne.
         Il quadro trova evidentemente dei modelli in nudi femminili accovacciati eseguiti da Pablo
         Picasso e Jean Fautrier:




         1 B. DUFOUR “pseudo-belle noiseuse” 2 P. PICASSO “nudo blu”          3 J.FAUTRIER“nudo”


         Nella versione breve vengono amputati dal corpo del film gli spostamenti dei personaggi tra le
         varie aree del castello che nell’originale sono seguiti da fluide carrellate. Movimenti che non
         vanno intesi come divagazioni o esercizi di ripresa ma espressivi del tempo che corre a misura
         d’uomo.
         Ogni personaggio marca una stanza a cui appartiene e anche ogni rapporto tra i personaggi
         segue una simbologia e regolarità. Il movimento di avvicinamento agli ambienti-persona rende
         palese l’abbinamento, si creano infatti delle consuetudini che passano efficacemente allo
         spettatore: Frenhofer ha il suo atelier, Lise il laboratorio da imbalsamatrice dove riceve Porbus
         e Nicolas, Lise e Marianne si incontrano ripetutamente nel salone delle Chimere, Frenhofer e
         Marianne naturalmente si relazionano nell’atelier, mentre i gruppi stanno sempre all’aperto.
         Nel divertimento viene quindi a mancare questa mappatura del castello che si crea
         spontaneamente quando si seguono i passi dei personaggi all’interno dell’edificio e che
         rendono familiari certi corpi in determinate stanze e intrusi gli altri23. Rivette sembra suggerirlo
         quando Lise, dopo il primo giorno di posa, intuendo che ci saranno degli ostacoli al lavoro,
         indica a Marianne una porta secondaria per accedere più velocemente all’atelier ma questa via
         non è altro che un modo per tenere la giovane sotto controllo e fermarla in caso di bisogno.
         Nell’arco del film i signori del castello occupano tutti gli spazi con le loro figure e con i loro
         ritratti appesi senza cornice alle pareti. Il corridoio che separa la zona giorno e zona notte è
         caratterizzato da una pavimentazione bianca e nera a fitta scacchiera che conduce a tante
         camere da letto diverse. Lise e Frenhofer infatti non dividono nemmeno lo stesso letto.


23
     Cfr. Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, pp. 58-59.

                                                                                                                17
Il taglio in “Divertimento” di tutte le carrellate per i corridoi ad eccezione di una in cui Lise e
Frenhofer camminano verso le rispettive stanze da letto conferisce ai loro passi in
quell’occasione una gran solennità.
Nei momenti in cui Lise e Frenhofer sono assieme difficilmente rimangono fermi: il loro modo
di relazionarsi è dinamico e contrasta con la scena tagliata della “Vecchiaia” in cui i due
giacciono in un letto come se fossero morti.




                                                                                                      18
3. CORPI E FORME


      3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA
      DEL NUDO

      Goffredo de Pascale afferma riguardo allo stile di Rivette: “L’ inquadratura viene impostata
      solo quando lo esige il movimento stesso del pensiero guida24.” Rivette si comporta come uno
      scienziato che analizza cosa succede nella dinamica artistica in determinate situazioni. Il suo
      occhio è neutrale ed oggettivo. A tratti il testo sembra più un documentario che film.
      La durata del film è inferiore a quella dell’esperienza “vissuta”, ma essendo una ricostruzione
      che deve avvicinarsi quanto più possibile al vero, Rivette innesta la dilatazione. Sono quattro le
      giornate di posa e che vengono incorniciate tra una di presentazione e una di scioglimento. Il
      tempo all’interno dell’atelier è però incontrollabile.
      Rivette sceglie delle lunghe scene senza tagli di montaggio, quando il gruppo di personaggi è
      riunito, rendendo le situazioni più accostabili ai ritmi di reali visite, dialoghi, incontri e sedute
      di posa ma al tempo stesso mostrando una situazione alquanto problematica. Nel rapporto tra
      pittore e modella, durante la preparazione del quadro, sono invece frequenti gli stacchi:
      soprattutto i campi controcampi tra gli occhi di lei e di lui ma ancora più spesso si alternano il
      corpo nudo di Marianne alle linee di colore sulle tele.
      Emanuelle, a proposito, afferma che talvolta avrebbe desiderato aspirare la m.d.p. verso di sé
      piuttosto che essere totalmente ripresa nella sua nudità, per mostrare esclusivamente il suo
      viso25. Rivette, del resto, ricorda la volontà che la macchina fosse un mezzo assolutamente
      neutrale e vi fosse profondità di campo senza soffermarsi su primi piani e particolari scabrosi.
      Sono due stadi di protezione della privacy diversi: Emanuelle vorrebbe fingere che il suo corpo
      non è nudo limitando l’inquadratura al solo viso, Jacques mostrare la nudità per intero ma
      senza fare del feticismo o primi piani imbarazzanti. Effettivamente le scelte di regia non
      oltraggiano in alcun modo la persona di Emanuelle Béart.
      Suggerisce De Pascale sull’atteggiamento di Rivette: “Lui ha questo modo di vedere, vedere e
      rivedere ancora, per andare fino in fondo, a voler cogliere l’essenza delle cose ma lasciando
      altresì allo spettatore il ruolo di interprete con potere discrezionale e gli riconosce così
      capacità e facoltà analitiche. Grazie alla profondità di campo scene intere sono girate senza
      interruzioni a volte anche con la macchina da presa immobile. Gli effetti drammatici anziché
      essere affidati    al   montaggio, nascono        dalla spontaneità degli        attori   all’interno
      dell’inquadratura26”.

24
   Goffredo DE PASCALE, ibidem, p. 51
25
   Cfr. Anotoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p.22
26
   Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, cit., p. 53.

                                                                                                              19
I collaboratori del regista evidenziano il suo modo di procedere ad “esplosioni” durante le
         riprese, assecondando con una sceneggiatura agile e flessibile un ispirazione mutevole, che
         trova continui spunti nell’interazione degli attori o, ancora meglio delle attrici27. Tuttavia in
         questo film specifico preferisce lasciare meno elementi al caso riducendo l’improvvisazione e
         il numero di persone che si aggirano sul set per venire incontro al bisogno di privacy che la
         nudità di Emanuelle impone. Emanuelle sostiene che un nudo senza sapere cosa fare sarebbe
         stato insostenibile. Imbarazzante. Sceneggiatori e attori occupano quindi posizioni più
         classiche cinematograficamente e addirittura vivono esistenze separate (entrambe però
         supervisionate da Rivette)28.




         GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE

         Per la visita al vecchio pittore Marianne decide di indossare un vestito rosso, con le spalle
         scoperte, e un paio di scarpe col tacco alto che rendono appariscente e rumoroso ogni suo
         spostamento sulla scena. Rivette rimarca la scelta delle scarpe facendogliele sfilare mentre
         cammina per le strade impervie e indossare nuovamente una volta giunta al castello.
         Il forte vento mediterraneo le agita la gonna, e la costringe a tenere gli occhi socchiusi per
         evitare che la polvere sollevata le finisca negli occhi, il sole è accecante e la salita al castello si
         rivela un’impresa.
         Rivette punta da subito ad avvicinare i corpi di Emanuelle Béart e di Michel Piccoli
         evidenziando il momentaneo allontanamento di lui dalla moglie per l’arrivo della nuova
         modella. Frenhofer fa la sua entrata in scena in profondità sul confine del giardino dove gli
         ospiti siedono attorno ad un tavolo posto in primo piano. Il vecchio si avvicina, gira attorno al
         tavolo da destra e tra tutti i posti liberi siede istintivamente accanto a Marianne. Nell’arretrare
         per seguire gli spostamenti di Frenhofer la m.d.p. perde Marianne oscurata dalla figura di Lise,
         che troneggia seduta sul tavolo, quindi con un carrello laterale a destra la riconquista
         accomodata con le mani in grembo vicina al protagonista. Il movimento di macchina gioca con
         il posizionamento alternato di figure femminili accanto a Frenhofer. Prima Frenhofer e Lise,
         poi Marianne interposta a loro.
         È già il secondo caso in cui Marianne e Lise vengono affiancate e messe a confronto:
         precedentemente infatti le due donne nella biblioteca si erano trovate a parlare vicine ma
         separate da una creazione artistica: sulla libreria a cui si appoggiano è posizionata una statua
         femminile per la cui esecuzione sicuramente una donna indietro nel tempo aveva posato.



27
     Cfr. Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, Cahiers du Cinéma, Parigi, 2001, p.167.
28
     Cfr. Anntoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p. 23.

                                                                                                                   20
Rivette infatti ama comporre le inquadrature con oggetti che alludono simbolicamente alle
relazioni tra i personaggi.
Ad esempio, nel corso della cena del primo giorno, una panoramica a scoprire trova alle spalle
dei mezzi busti di Marianne e Frenhofer, nuovamente seduti accanto, un abito bianco appeso ad
un filo ad asciugare. La sagoma del vestito è ben evidente per intero e pende a colmare sullo
sfondo il vuoto tra i due visi. È difficile trovare una lettura univoca a questa sorta di fantasma
svolazzante: è simbolo di una tela ancora bianca, delle vesti che verranno strappate a Marianne
oppure ricorda che tra loro rimane Lise a cui sicuramente appartiene l’oggetto? In ogni caso
l’inserimento criptato non è casuale come del resto non lo è la bottiglia di vino, che tanta parte
ha nel processo creativo in questa storia, e nemmeno la lampada ad olio che riempiono la stessa
inquadratura.




SIMBOLI TRA I CORPI:          LA VESTE                   LA TERZA MODELLA


Il primo evidente segno d’intesa tra Marianne e Fenhofer emerge nell’atelier del pittore nel
corso di una discussione tra artisti da cui le donne si sono estraniate essendo salite sul soppalco
che sovrasta la zona laboratorio. La voce di Marianne fuori campo completa inaspettatamente
la spiegazione che il pittore ha iniziato sul significato del titolo di una sua opera incompiuta
“Noiseuse”. Il regista restituisce alla voce che udiamo il suo corpo: Marianne appare ora in
piedi su una scala con il viso nascosto dall’ombra del soppalco a cui la scala conduce. La figura
è frammentata dalla scarsa illuminazione ma, man mano che completa il pensiero di Frenhofer,
Marianne scende i gradini e la persona riappare interamente in luce.
Capiamo che Frenhofer non rimane indifferente all’intervento perché ci viene presentato qui il
primo primo piano del pittore sorridente: il tema lo interessa e la ragazza l’ha sorpreso capendo
subito cosa lui cerchi di rappresentare. A questo primo piano viene fatta seguire un’altra
inquadratura del suo viso che si volta e si riempie di delusione per l’eccessiva curiosità
manifestata dal suo giovane collega. Le due inquadrature danno l’effetto di un rimbalzo: una
sorta di eco visiva.




                                                                                                      21
MARIANNE DIVENTA LA NUOVA SCONTROSA




       PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE

       Vediamo il viso della nuova coppia di lavoro attraverso i vetri della porta che varcano per la
       prima volta da soli. La porta si spalanca e, mentre Frenhofer si sofferma a guardare il soffitto
       cercando conferma della sensazione che la ragazza aveva avuto il giorno precedente (cioè che
       l’altezza del tetto fa assomigliare l’atelier ad una chiesa), Marianne penetra decisa
       nell’ambiente ed esce così dall’inquadratura.
       Michel Piccoli fa respirare Frenhofer con corti respiri rumorosi, il suo alito sa di vino e di
       caffè. Sotto sforzo emette dei gemiti, grugnisce29.
       Le sue azioni sono dettate più dall’abitudine che da un reale interesse. I gesti sono meccanici e
       poco convinti. Cerca gli strumenti, riempie le bottiglie per diluire i colori e prepara il tavolo da
       lavoro. Quello a cui si appresta è un tentativo in precedenza fallito su cui non ripone nel
       presente grandi speranze. Percorre il perimetro dello studio voltando tutte le tele dipinte contro
       il muro. Alla fine si siede davanti al tavolo riordinato su cui spicca un grosso quaderno nero
       che Frenhofer apre e sfoglia. L’uomo è assorto a studiare gli schizzi del passato dall’inizio fino
       a raggiungere i fogli bianchi. Il tempo viene rallentato assecondando l’umore del pittore. La
       m.d.p. gli gira attorno lentamente e si pone infine frontale fermandosi nell’istante in cui egli
       alza lo sguardo verso la modella e le impartisce le prime direttive per i due primi disegni in cui
       Marianne rimane completamente vestita.
       Infine afferra un pennino e, piegate le pagine del quaderno che oppongono resistenza, l’esperta
       mano di Bernard Dufour inizia a disegnare. Qui Rivette riprende senza interruzioni le
       sequenze del lavoro del pittore reale. Sequenze che nella versione “Divertimento” decide di
       cestinare venendo meno il tempo necessario per uno dei due filoni presenti nell’originale:
       quello documentaristico.



29
  Enciclopedia del Cinema, vol. IV mar-sh, Treccani, Catanzaro, 2004.
“Piccoli mantiene uno stile austero e distaccato, anche se attraversato da un sottile compiacimento e da una vena di
follia […] abbandona man mano i tratti cinici per quelli più morbidi e meno inquietanti che sarebbero sfociati, nel
decennio successivo, nel disegno di figure sagge e nostalgiche a volte svampite e spesso venate di profonda solitudine”.

                                                                                                                     22
Nella “Belle Noiseuse” di quattro ore sono contenuti un film e un documentario allo stesso
          tempo, quindi, non sorprende che per una decina di minuti Marianne sparisca dall’inquadratura
          lasciando il campo al dettaglio delle mani del pittore che segna la carta con gesti crudeli.
          Il quaderno posto obliquamente lascia aria nella direzione in cui sappiamo si trova la modella
          direzione da cui proviene anche la luce. La punta stride contro la carta ruvida e il suono
          prodotto finisce con essere l’unico rumore percepibile.
          Per due brevi intervalli viene presentata la figura intera di Piccoli seduto al tavolo da disegno:
          quando poi invita Marianne a salire la scala per prepararsi al nudo il piano si fa più ampio a
          riprendere l’ambiente su cui il corpo di Frenhofer e la scala proiettano delle ombre
          espressioniste.
          La modella torna nell’atelier con una vestaglia, si posiziona di fronte al pittore la slaccia e la
          lascia cadere. E’ un sipario che si spalanca, l’operatore accompagna il gesto passando da un
          primo piano del viso ad una figura intera completamente illuminata. Nel momento in cui la
          ragazza si spoglia il pittore inizia a ritrarla rimanendo in piedi (preme contro il piano
          d’appoggio con la mano libera per sorreggersi) si nota il tremore degli arti.
          Alla figura intera del pittore Rivette alterna dei primi piani di Marianne che mostrano il
          disagio della ragazza nel posare senza vestiti: deglutisce e respira forzatamente ma
          sempre senza fare rumore.
          Una volta finito il terzo disegno Frenhofer lascia libera la ragazza che torna nel soppalco a
          riprendere i suoi vestiti. Questa volta le ombre spigolose attraverso cui era passata nel
          precedente salire scale non sono presenti, la tensione sembra essere finita, infatti la ragazza è
          convinta che non dovrà più posare per Frenhofer. Invece il pittore la saluta prenotando la sua
          collaborazione per il giorno seguente, nuovamente Marianne è schiava del volere altrui.




           SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA

          La seconda giornata è estenuante per i personaggi quanto lo è per gli spettatori.
          La scena si apre con la modella che discende scalza la scala del soppalco.Sembra che quella
          scala conduca al regno dei morti e che Marianne si sia ormai rassegnata al suo compito di
          traghettatice d’idee.
          Frenhofer le offre un caffè, poi, trascinando i piedi rumorosamente si muove nello studio per
          sistemare una gran tela in verticale su cui lavora in questa sessione con il carboncino. La
          modella lo osserva in ombra finendo il caffè.
          Il pittore a questo punto pone la modella di spalle sempre con movimenti “ciabattanti”. Le dice
          che quella posa viene utilizzata solitamente dai principianti per evitare l’imbarazzo di avere lo
          sguardo della musa fisso su di loro che dipingono per la prima volta dei nudi dal vero30.
30
     Cfr., §1. p.8

                                                                                                               23
Rivette, per mantenere in video il viso di Marianne, opta per un primo piano frontale di lei che
va ad occupare il terzo di destra e alle sue spalle in un piano americano il pittore nella parte
sinistra che lavora sulla tela che si trova in parte fuori campo ancora più a sinistra.
Il primo piano di Marianne interrotto per mostrare la sua immagine prendere forma sotto le
mani di Bernard Dufour, viene poi ripreso ma questa volta il volto occupa centralmente
l’inquadratura e Frenhofer viene tagliato per metà fuori. E’ difficile trovare al cinema dei visi
che occupino il centro dell’inquadratura mentre è solito nei ritratti fotografici e pittorici. La
scelta di Rivette è probabilmente omaggio a quelle arti.
Tra una posa e l’altra Marianne si riposa su un divano e solitamente accende una sigaretta che
difficilmente riesce finire data l’insofferenza di Fenhofer ad aspettare i ritmi di lei. Più di una
volta la solleva e la sistema a suo piacimento.
Per questa sequenza la situazione è capovolta: il primo piano della mano che dipinge è a destra
e la modella rimane più lontana a sinistra. Questa ennesima posa vede Marianne in piedi
piegata in avanti appoggiata con le braccia tese su uno sgabello. Sembra un animale col capo
chino a terra. Non appena il pittore inizia a tracciarne i tratti sulla tela la ragazza sente un forte
crampo prenderle il palmo della mano, si alza quindi sulle gambe massaggiandosi la mano e
lascia la posa ma Frenhofer le impone di tornare nella stessa posizione senza ribellarsi.
Marianne è abbastanza infastidita del rimprovero e sbuffa come un animale nel rimettersi a
quattro zampe. Ancora una volta Marianne è sottomessa al volere di un uomo che le dice cosa
fare senza prestare attenzione alle sue necessità.




1991 MARIANNE IN POSA                         1950-1960 KATIA CHE LEGGE DI BALTHUS


Il rapporto tra pittore e modella sembra equilibrato poi visivamente da un serie di campo-
controcampo che segue ordinato l’alternarsi del dialogo. Naturalmente Marianne è sempre nuda
mentre Frenhofer indossa comodi abiti da pittore. Viene prediletto un piano americano che va
allargandosi quando Frenhofer sconfina nel campo di Marianne per risistemarne la posa

                                                                                                         24
sfalsata, e quando egli esce Marianne viene risucchiata con un’inquadratura che evidenzia il
          suo stato sottomesso: la figura è scura, piena di ombre, il viso nascosto.
          Il pittore inquieto lavora in piedi, la ragazza rimane quasi sempre sdraiata in posizioni di resa,
          con gli arti incrociati come legata dal racconto del vecchio. Fuma tantissimo. La luce, sempre
          laterale, produce lunghissime ombre.
          La mano del pittore che la posiziona si fa sempre più autoritaria, al punto che Marianne finisce
          col sembrare una bambola bistrattata. Le posizioni diventano più disarticolate, gli arti
          compressi, stretti, il respiro si fa difficile. La ragazza accartocciata spremuta fino all’ultimo. Il
          pittore sbraita, si inalbera, la ragazza quindi sotto stress scoppia in una risata nervosa
          irrefrenabile che spinge il pittore ad uscire dallo studio e riprendere contatto con il mondo.
          Marianne all’interno si aggira tra le sue forme riprodotte sulla carta e testa la loro consistenza
          seguendone le linee passando la mano sulla tela31. Dopo un giro dell’atelier si distende sul
          divano e si abbandona finalmente sola.




          IL SOGNO DI MARIANNE.




          1975 MICHELINA ADDORMENTATA DI BALTHUS                   1991 MARIANNE DORME


          Rivette divide il film in due parti: la seconda inizia con l’atelier avvolto nel silenzio, nel quale
          si sente solo il rumore dei piedi del pittore che strisciano sul pavimento. In video appare un
          primo piano di Marianne che giace profondamente addormentata con il viso rivolto verso lo
          schienale del divano.
          La pelle chiara contrasta con il tessuto del divano e l’ambiente. La mano di Frenhofer le sfiora
          il viso, l’inquadratura si allarga a comprenderli entrambi, Marianne spalanca gli occhi e si
          rannicchia nell’angolo sinistro, Frenhofer si siede all’altra estremità.
          I due corpi di profilo in un restaurato equilibrio, una tregua almeno. Marianne per la prima
          volta confessa qualcosa di sé raccontando del sogno che ha fatto in quei pochi minuti di sonno.
          Sussurra: “Un grosso gatto mi mordeva la mano e non voleva staccarsi.” Frenhofer la ascolta

31
     Cfr §1, p. 8 “visione tattile”

                                                                                                                  25
poi l’aiuta ad alzarsi e la accompagna in fondo alla stanza dove lei riprende la posa mantenendo
un silenzio assoluto.
Marianne si sistema e infine gira il viso verso la m.d.p.
Improvvisamente, assieme ad un piano più ravvicinato del viso, esplode il rumore delle cicale
che accompagna costantemente le scene diurne in esterno.
Marianne sbarra gli occhi. Scopriamo quindi in una soggettiva della ragazza che Lise se ne sta
all’altro lato dell’atelier appollaiata sulla scala. Ciò che abbiamo visto dal risveglio di
Marianne è appunto una soggettiva di Lise che assiste, trattenendo il respiro, al racconto del
sogno. Marianne sembra svegliarsi per la seconda volta nella stessa scena: la realtà penetra
violentemente nell’atelier attraverso i suoi occhi ed orecchie (Gli occhi rivelano la presenza
dell’altra donna, le orecchie il mondo fuori che entra attraverso la porta aperta). La voce le si
spezza in gola quando manifesta la sorpresa di trovare la moglie del pittore nell’atelier. Luogo
che fin dal suo primo istante di posa era stato luogo esclusivamente dedicato alla neo coppia di
lavoro. Lise si scusa dicendo: “È stato Edouard a dirmi di venire”, Il vecchio pittore infatti,
sentendosi minacciato dalla giovane, ha chiesto alla moglie di assisterlo.
Si creano due poli con al centro il pittore che sta creando una base su cui iniziare una
nuova tela.




CAMPO, SOGGETTIVA DI LISE


Da una parte la ragazza, dall’altra la donna. La modella del passato e quella del presente. Tra le
due si costruisce una tensione dello sguardo che il regista evidenzia incanalandola in un
corridoio architettonico costituito da due grandi tele poggiate, frontali tra loro, su cavalletti.
Quindi Lise dopo aver scambiato qualche battuta con Frenhofer, con una scusa, si allontana e
richiude la porta alle sue spalle. Nuovamente cala il silenzio nell’ambiente.
Marianne mossa dall’intrusione della precedente “Belle Noiseuse” indaga sul motivo
dell’abbandono del precedente tentativo, il suo viso è determinato e le domande precise. Il
primo piano la rende vincente nella conversazione, Frenhofer infatti gira a vuoto col corpo nel
rispondere, i gesti sono inutili e sconnessi.
Poi, per la prima volta, una tela occupa l’intero schermo. La mente di Frenhofer è annullata,
stato d’animo che viene espresso attraverso un’infinita superficie bianca senza intrusioni



                                                                                                     26
dall’esterno su cui il pennello naviga tracciando dei segni poco convinti. Quindi Frenhofer
deluso si versa da bere, Marianne si accende l’ennesima sigaretta.
Alla fine della seconda giornata Frenhofer vuole abbandonare il tentativo, questa volta è
Marianne a spronarlo a continuare e per la prima volta fissa lei l’appuntamento per il giorno
successivo, nello studio. Sicura di sé si dirige nuovamente verso la scala, la luce è benevola e
non crea angoli bui, un fascio rende la sua salita al piano superiore molto rassicurante.




CONTROCAMPO, SOGGETTIVA DI MARIANNE


Frenhofer, nella notte tra il secondo e il terzo giorno di posa, sfoglia il quaderno che contiene i
suoi schizzi: prima le pagine con sopra Lise e poi le nuove con Marianne. Si capisce la
differenza, oltre che dalle differenti figure, dalle pagine lasciate libere nel mezzo a separare i
due periodi. La scena anticipa un nuovo colloquio tra le due donne che appartiene alla terza
giornata di posa.



TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI
MARIANNE

In questo piano sequenza Marianne si avvicina percorrendo il corridoio che porta al salone
delle Chimere (quello che lei e Lise dicono di ritenere il posto più bello della casa).
La m.d.p. rimane ad aspettarla nella sala. Quando Marianne vi entra Lise la saluta, la macchina
indietreggia sempre assecondando il camminare di Marianne e allarga la porzione di campo
visibile consentendoci di vedere anche Lise.
Ancora una volta la sua presenza nella stanza è inaspettata. La donna siede su una panca
coccolando il gatto, trattiene con le parole la giovane e la mette in guardia sul pericolo che
corre a essere così coinvolta nella pittura del marito.
Marianne tenta di proseguire verso l’atelier ed esce addirittura dall’inquadratura ma
un’ulteriore richiamo di Lise la attira verso di sé. La donna nuovamente le dice di stare attenta
e di rifiutare nel caso il pittore le chiedesse di ritrarla in viso. Marianne sempre in piedi,
determinata a dare tutta se stessa per il lavoro, articola un “NO” che viene sovrastato da un
esplosione all’esterno dell’edificio.



                                                                                                      27
LISE E MARIANNE NEL SALONE DELLE CHIMERE




          OMBRE E CORPI OMBRA.


          Marianne attende l’arrivo del pittore appoggiata alla parete d’entrata dell’atelier. La
          vestaglia scura e i capelli rendono la sua presenza addossata al muro simile ad un
          ombra. Il pittore entra e la sua ombra “collide” col corpo ombra della giovane. Si muove
          preparando la colazione e la sua ombra si staglia sulla parete dove rimane appoggiata Marianne
          che rifiuta il cibo. Il pittore spegne la fiamma del gas capendo che la ragazza è smaniosa di
          iniziare a lavorare. Il suo soffio è affaticato e rumoroso. Il respiro e il passo sono i segnali più
          evidenti dell’età del pittore.




          OMBRE E CORPI OMBRA, MARIANNE E FRENHOFER




          Marianne prende le redini del gioco, prepara un materasso a terra che le permetta di mostrarsi
          al pittore come meglio crede. Inizia a raccontare di sé e si muove liberamente. Le pose auto-
          dirette durano pochi secondi (come quando ci si distende a letto inquieti e si cerca la posizione
          più comoda per dormire). Si accovaccia di lato, poi si chiude a riccio e sentiamo il flusso della
          voce cambiare e giungere altalenante a seconda che la posizione le consenta di articolare le
          parole. Preme sulla mandibola e sul capo.
          Frenhofer gira attorno alla ragazza sdraiata “come un gatto col topo” secondo la stessa
          espressione di Marianne, e cerca di cogliere i tratti della figura in libertà. Ma Marianne,
          sentendosi violata nell’intimo, scatta seduta, il suo movimento è repentino e viene proposto per
          intero due volte da angolature differenti32. Una moviola in cui Frenhofer ripropone lo stesso
32
     Cfr. §3, p.18 echi visivi

                                                                                                                 28
“nooo” ululato di disaccordo che aveva opposto a Nicolas nella visita d’arrivo all’atelier.
         Frenhofer è inebetito e Marianne senza parole. Nuda.
         Viene lasciato passare del tempo in cui Porbus viene in visita a Lise e la sorella di Nicolas
         giunge al castello a cercarlo.
         Di nuovo nello studio, la giovane cammina fumando tra le tele su cui si trova la sua immagine
         che ormai copre tutte le pareti. Si muove morbida senza guardare avanti infatti finisce contro il
         pittore. Si capisce che entrambi sono ubriachi33. Marianne è di umore instabile: prima
         giocosamente propone un’indovinello (a cui Frenhofer non sa che dare come risposta: “siete
         voi” o “sono io” che ci fa capire a quale livello di chiusura verso l’ esterno siano arrivati), poi
         si fa cupa e manifesta il suo sentirsi fuori dal tempo (forse bambina forse anziana, totalmente
         astratta non capisce più se sia giorno o notte, non sente più né caldo né freddo). Sfila il
         lenzuolo dal materasso su cui giace e si ricopre tutta come un fantasma. Parla con un filo di
         voce appena, Frenhofer si distrae guardandosi attorno in cerca di altro liquore. Un primo piano
         ci mostra il suo viso con l’espressione di un ragazzino che in classe fa tutto tranne che ascoltare
         l’insegnante e dissimula facendo una faccia interessata ma il resto del corpo lo inganna. Infatti
         allungando un braccio per raccogliere una bottiglia da terra perde l’equilibrio e precipita, la
         ragazza scatta verso di lui come a evitargli la caduta che è già avvenuta. Frenhofer l’accusa di
         essersi mossa. Lei naturalmente scoppia a ridere dandogli del matto. I due mettono in atto
         una piccola parodia del rapporto pittore-modella cercando di stabilire se sia la modella a
         dover star ferma o il pittore. La figura di Marianne viene ripresa mentre a distanza con dei
         gesti direziona il corpo di Frenhofer in modo da ricostruire la sua posa/punto di vista
         precedente. Sentiamo il pittore che commenta i propri movimenti ma è lo spensierato ridere di
         Marianne ad essere inquadrato.
         Scherzano per qualche istante in cui il pittore dimostra un corpo giovane che gli permette di
         assecondare gli ordini di Marianne. Prima si mette in equilibrio a quattro zampe sopra lo
         sgabello quindi salta “alla cavallina” la ragazza che sta distesa sul materasso.




33
     Cfr. §3, p. 24. Il vino era stato annunciato metaforicamente come uno delle componenti di unione dei due personaggi.

                                                                                                                      29
PARODIA DEL RAPPORTO PITTORE-MODELLA.


          Da sotto la scala Frenhofer estrae un dipinto incompiuto di Lise che trasporta vicino a
          Marianne che rimane annichilita da quella visione.
          Il pittore, disposta la tela già dipinta sul cavalletto, sovrappone al corpo precedentemente
          disegnato quello della nuova modella (che tiene come ispirazione a cui alternatamene guarda
          ma che il regista non mostra).
          Il lavoro è lungo, la prima figura si oppone ad essere cancellata, ma, strato su strato scompare.
          La nuova modella viene sulla tela attorniata da una nebbia azzurra. Alla fine della sostituzione
          la luce nello studio è blu per la prima volta34. Si è fatta sera. Il pittore si allontana dalla tela e
          accende una lampada che decreta il termine della sessione di posa. Quella notte Lise penetra
          nuovamente nell’atelier col favore del sonno di chi vi è già dentro: il marito si è infatti assopito
          sul divano. La donna si guarda attorno sconvolta dal trovare un suo vecchio ritratto
          contaminato dalla figura della nuova modella. Fugge poi dallo studio lasciando
          inconsapevolmente l’impronta di un piede su un disegno gettato a terra. Il pittore viene
          svegliato dal gatto che si è intrufolato nello studio durante l’incursione di Lise. Si instaura un
          parallelismo con la sequenza del sogno del gatto di Marianne.




          QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA.

          Il quarto giorno non impiega molto tempo come i precedenti.
34
     Cfr. § 2, p. 21, vedi i nudi blu, in primis la “pseudo-belle noiseuse”.

                                                                                                                   30
Non si può dire veramente che il film parli della pittura, ma inizia un percorso in quella
         direzione: quando la pittura va a iniziare veramente non viene più mostrato il lavoro. Più che la
         storia di un quadro sono le operazioni propedeutiche ad essere interessanti secondo Rivette. E’
         il giorno decisivo ma la tela non viene mostrata nel suo compiersi. Possiamo da alcuni elementi
         intuire che la posa della modella ripresa nel capolavoro sia quella mostrata nei pochi
         fotogrammi che li vedono al lavoro per l’ultima volta insieme. Marianne è in piedi su un
         lenzuolo rosso, dà le spalle al pittore, tiene un braccio alzato con la mano all’altezza del viso
         che ruota verso il pittore. Il regista insiste su questo voltarsi della modella indietro in più
         inquadrature35. Gli occhi di Marianne in tale gesto sono spalancati e invasi dalla disperazione,
         la sua espressione non sembra giustificata dalla situazione. Piccoli dipinge frontalmente su una
         tela di cui vediamo solo lo spessore. Emanuelle ripete la torsione del collo più volte e trema.




                                  Marianne nell’ultima posa per la tela che verrà murata.




              Frenhofer, aiutato da Maialine, nasconde il quadro di cui vediamo di sfuggita la parte inferiore.




35
     Vedi nota n°37 2eco visivi

                                                                                                                  31
4. CONSIDERAZIONI FINALI.

      Rivette sostiene che i migliori risultati vengano lavorando su dei soggetti semplici e comunque
      su materie che si conoscono bene36.
      Più di uno studio ha evidenziato la centralità delle arti -la musica, la danza, la letteratura e il
      teatro- nella filmografia Rivettiana, che diventano soggetti semplici se si considera la vita di
      sacerdote dell’arte cui sembra essere votato il regista.
      Il regista ammette che i suoi film che mostrano il lavoro di altri artisti all’opera finiscono col
      parlare del cinema che tra le arti è la più giovane e che delle altre è in qualche modo la figlia
      rivoluzionaria.
      In occasione della conferenza stampa per la presentazione a Cannes nel 1991 della “Belle
      Noiseuse”37 dichiara che la metafora del cinema appare a lui stesso evidente solo in fase di
      montaggio e che non è premeditata.
      Nei film in cui si prepara uno spettacolo o un’opera d’arte l’attenzione viene convogliata verso
      l’artista e le altre persone coinvolte, sui loro incontri e scontri.
      Rapporti che riflettono le dinamiche che Rivette riscontra durante la direzione dei suoi film:
      William Lubchansky, capo operatore di molti suoi film, dichiara che il regista cerca di
      coinvolgere più che può i collaboratori e, in genere, non lavora su una sceneggiatura scritta
      nero su bianco ma su di un canovaccio38. Questo avviene per lasciare più possibilità alla
      creazione e interventi di attori e cineasti. “Non è insolito” - rivela Pascal Bonitzer, co-
      dialoghista del film - “che gli attori si trovassero a concordare con noi sul set le battute pochi
      minuti prima di girare le scene. Dialoghi che venivano scritti giorno per giorno perché Jacques
      voleva mantenere la possibilità di cambiare ogni scena in base a quelli che erano stati i risultati
      della precedente39”.
      Solitamente il regista preferisce girare le scene secondo l’ordine cronologico anche perché non
      essendoci una sceneggiatura completa risulta difficile girare una scena se non è stata girata la
      precedente. Durante le riprese de “La Belle Noiseuse”, ad esempio, la troupe si installa prima
      nell’Hotel dove alberga Marianne per girare il prologo, poi si sposta all’interno dell’atelier per
      tornare pochi giorni dopo all’Hotel per una nuova scena.
      Più che al risultato finale l’indagine di Rivette si rivolge al processo produttivo dal quale
      solitamente il fruitore viene escluso.




36
   Helene FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, cit., p. 84.
37
   Cfr. Jacques RIVETTE, Conférence de presse.
38
   Cfr. William LUBCHANSKY, Il ne veut pas savoir…, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 170.
W. Lubchansky è il capo operatore de “la Belle Noiseuse”.
39
   Pascal BONITZER, Un methode de non-travail, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 169.
P. Bonitzer è co-sceneggiatore e dialogista con Cristiane Laurent de “La Belle Noiseuse”.

                                                                                                            32
Il cinema possiede gli strumenti per rendere conto della durata della pittura mostrando l’onda
creativa dell’artista nelle varie fasi, che per Rivette sono tutte interessanti comprese quelle di
crisi.
Il cinema probabilmente è tra le arti quella che prevede il maggior numero di figure
professionali nella realizzazione, la più complessa ed eterogenea, quindi, la scelta di usare il
pretesto teatrale o il lavoro di un pittore significa focalizzarsi su delle figure o dinamiche che
intervengono comunque anche nel cinema. Tutta questa produzione è di conseguenza in
qualche modo autobiografica. “La belle noiseuse” si inserisce appieno in questa serie di film
che indagano sul procedimento artistico e rappresenta lo stadio di massimo avvicinamento allo
studio dell’artista all’opera.
Nel racconto Balzachiano a cui Rivette fa riferimento non viene lasciato spazio al lavoro
fisico e psicologico del pittore con la modella che invece qui diventa il centro
dell’interesse, il tema del film.
 Le sequenze dedicate alle sedute di posa nell’atelier occupano molto del girato e comunque
tutto quello che avviene a contorno è conseguenza della produzione del capolavoro. Tensioni e
gelosie dipendono dalla scelta di eseguire un capolavoro, non un semplice ritratto ma un
progetto incompiuto che deve tra tutti essere il non plus ultra. Il lavoro assorbe tutte le energie
dell’artista e della modella che finiscono col mettere momentaneamente in secondo piano le
loro storie d’amore con poca pace dei rispettivi compagni. Il processo ancora una volta è più
importante del risultato dell’opera d’arte tanto che alla fine il quadro viene murato.
Il ritratto colpisce Marianne che vi si riconosce nel profondo. Il soggetto non guarda al ritratto
come se si guardasse allo specchio ma la sua essenza viene filtrata dall’occhio di un mediatore.
Sembra invece che la vita l’abbia portata a fingere a sé stessa e solo nell’incontro con la
sensibilità di Frenhofer capisce qual’è la propria condizione e in base a quella prendere una più
cosciente direzione.
Non bisogna pensare che Frenhofer sia l’analista di Marianne perché infatti si aiutano
reciprocamente a rimuovere gli ostacoli, che posti nel passato, ancora impediscono il fluire
naturale nei rispettivi presenti. Ciò avviene a giorni alterni, si abbandonano reciprocamente e si
impediscono vicendevolmente una fuga che annullerebbe gli sforzi profusi.
Il risultato della collaborazione è quello tanto atteso dall’autore che preferisce però a quel
punto rinunciare alla gloria per rispettare la persona che con la stessa forza si è dedicata
all’opera.
Il soggetto del quadro la Belle Noiseuse non è né Marianne, né Lise, né Catherine Lescaut. Le
modelle sono molte e così pure le tecniche pittoriche utilizzate. “Il soggetto siete voi e non
siete voi, se sarà voi sarà più di voi” annuncia Frenhofer quando Marianne lo pressa per sapere
perché non abbia finito il lavoro con Lise e abbia ora scelto lei.
Si giunge quindi alla conclusione che il soggetto è il quadro, la tensione creativa, la fatica e il
piacere: non questa donna né la fedeltà ai tratti della sua rappresentazione, né questo colore, né
                                                                                                      33
questo pittore, ma il loro incontro-scontro, il riempimento del vuoto. “Non mi puoi lasciare nel
vuoto”, dice appunto Marianne a Frenhofer, quando lui vuole abbandonare il lavoro. Gli occhi
di Marianne hanno seguito il lavoro di Frenhofer passando dal terrore e dalla tristezza più cupa
alla più convinta ostinazione e sostegno.
Egli non si ritiene l’autore unico e quindi non si arroga il diritto di decidere da solo sul destino
del quadro. Decide dunque, assecondando il volere inconfessato dell’altro, di rispettarne la
dignità.
Rivette rende omaggio a tutti i suoi collaboratori in maniera elegante e magistrale. La scelta di
mostrare il lavoro congiunto del pittore e della modella svuota in parte il mito della “nascita
delle immagini” ridistribuisce i meriti tra le parti e non suggerisce più l‘idea che il pittore sia
un essere dotato di poteri speciali.




                                                                                                       34
BIBLIOGRAFIA
TESTI DI CARATTERE GENERALE
AUMONT JACQUES, L’occhio interminabile: Cinema e pittura, Marsilio, Venezia,
1991.
AUMONT JACQUES, Entretien avec Jacques Rivette: Le temps déborde, in Cahiers
du Cinéma, Parigi, 1968.
BALZAC HONORE’ DE, Il capolavoro sconosciuto, Bur, Milano, 2002
BONITZER PASCAL, Peinture et cinéma. Décadrages, Cahiers du cinéma-Éditions
de l’Étoile, Parigi 1985.
CALVINO ITALO, Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio,
Mondatori, Milano, 1995
CHABROL CLAUDE, La Nouvelle Vague, petite bibliothèque des Cahiers du cinéma,
Parigi, 1999.
COSTA ANTONIO, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002.
DE FRANCESCHI LEONARDO (a cura di), Cinema/pittura. Dinamiche di scambio,
Lindau, Torino, 2003.
DE PASCALE GOFFREDO, Jacques Rivette, il Castoro cinema, Milano, 2002.
LAVARONE GIULIA, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, tesi di laurea
in Storia e critica del cinema, Università degli studi di Padova, a.a. 2004-2005.
MARIE MICHEL, La Nouvelle Vague, Lindau, Torino, 1998.
MORANDINI MORANDO, Il dizionario dei film 2005, Zanichelli, Padova, 2004.
QUENEAU RAYMOND, Suburbio e fuga, Einaudi, Torino 1970.


TESTI SU «LA BELLE NOISEUSE»
DE BAECQUE ANOTOINE, Entretien avec Emmanuelle Béart, in « Cahiers du
cinéma » n.447, Parigi, settembre 1991.
DUFOUR BERNARD, Questions au peintre, in «Cahiers du cinéma» n.447, Parigi,
settembre 1991.
FRAPPAT HELENE, Jacques Rivette, secret compris, Cahiers du cinéma, Parigi,
2001.
RIVETTE JACQUES, Conférence de presse (extraits). Cannes 1991, in «Cahiers du
cinéma» n.445, Parigi, luglio 1991.
PICCARDI ADRIANO, La belle noiseuse di Jacques Rivette, in Cineforum, n° 314,
Bergamo,1992.
TESTA CARLO, Alla ricerca del modello perduto. Rivette, Balzac e le imprudenze
dell’arte, in LEONARDO DE FRANCESCHI, Cinema/pittura. Dinamiche di scambio,
Lindau, Torino 2003.


SCRITTI E ARTICOLI DI JACQUES RIVETTE
RIVETTE JACQUES, Nous ne sommes plus innocents, in «La Gazette du cinéma» n.1,
maggio 1950.
RIVETTE JACQUES, Lettera su Rossellini (su Viaggio in Italia), in «Cahiers du
cinéma» n.46, Parigi, aprile 1955.




                                                                                    35
TESTI SU BALTHUS
BALTHUS, Memorie, Longanesi e C., Milano, 2001.
FELLINI FEDERICO, Balthus, in Catalogo generale Biennale, 1980, Venezia, 1980.
SGARBI VITTORIO, Balthus, art e dossier, Firenze, 2001.




                                                                                 36

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"La Belle Noiseuse"

  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE EDITORIA E GIORNALISMO TESI DI LAUREA La Bella Scontrosa JACQUES RIVETTE TRA CINEMA E PITTURA Relatore: DOTT. ALBERTO SCANDOLA Laureando: MARCO BORTOLI ANNO ACCADEMICO 2005/2006
  • 2. 1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA..........................................................3 1.1 SINOSSI .......................................................................................................................................3 1.2 IL GENERE..................................................................................................................................4 1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO ...................................................................................6 2. IL REGISTA E IL MODELLO..................................................................................................11 2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI.......................................................................11 2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE. ....................................15 3. CORPI E FORME........................................................................................................................19 3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA DEL NUDO...................19 GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE......................................20 PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE...................................................................22 SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA .......................................23 TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI MARIANNE...........................27 QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA..........................................................................30 4. CONSIDERAZIONI FINALI.....................................................................................................32 BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................................35 2
  • 3. 1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA 1.1 SINOSSI Il celebre pittore Frenhofer vive ritirato con la moglie Lise in un castello lontano dalla città e da ogni turbamento al loro equilibrio. Le tele che in gioventù gli procurarono la fama avevano come soggetto il corpo nudo delle sue modelle, ciclo di ritratti conclusosi dopo l’incontro con la donna che ora tanto ama. Da molti anni in quell’eremo, Frenhofer si è limitato ad autoritratti del proprio viso arrivando a esaurire la vena creativa, ma l’eco delle trascorse tele attira al castello Nicolas, un giovane collega suo grande ammiratore, condotto dal loro comune gallerista Porbus. Accompagna i due forestieri Marianne fidanzata del promettente Nicolas. Marianne sembra risvegliare Frenhofer da un lungo sonno. Il mercante, vedendo Frenhofer rinvigorito dall’avere accanto una fanciulla, propone che la ragazza posi per il vecchio risvegliandone il genio e permettendogli di terminare il progetto della “Bella Scontrosa”. “Scontrosa”, in francese “Noiseuse”, era stato il soprannome di Catherine Lescaut, una leggendaria cortigiana del diciassettesimo secolo, della quale Frenhofer in passato aveva già provato a fissare eternamente sulla tela lo spirito attraverso un’epigona della Scontrosa. Il primo tentativo di superare la Natura nel limite della mortalità dei corpi era però fallito con Lise. Ora tocca a Marianne, assoldata dal vecchio pittore come musa ispiratrice per soddisfare il capriccio di Nicolas e del gallerista, scoprire i motivi della prima rinuncia e l’effetto di essere rapite sulla tela. La ragazza trascorre sei giorni a stretto contatto con il pittore durante i quali la ricerca di quale posto spetti al “singolo” e quale alla “coppia” e dove l’“arte” trovi delle limitazioni per rispetto dell’“amore” costringe tutti a delle profonde riflessioni su se stessi e sui rapporti di coppia. Molte difficoltà si susseguono nei quattro giorni di pose estenuanti da cui esce un quadro che esprime la vera natura di Marianne. Ella infatti nel vedere l’opera completa prende coscienza della propria interiorità e se ne vergogna proprio come Adamo ed Eva si sentirono nudi solo dopo aver morso la mela. Le due donne del pittore visionano il capolavoro che questi decide di murare, proprio per rispetto a loro, che mettendosi a nudo corpo ed anima, ne sono state le ispiratrici. Al critico e al giovane collega, che volevano trarre vantaggio materiale dall’opera conclusa (economico o di insegnamento), ne propone un’altra più accessibile, nella quale il mercante non nota nemmeno la mancanza dell’anima che avrebbe dovuto fare dell’opera un “non plus ultra”. La scelta di Frenhofer permette alla sua storia con la devota Lise di proseguire rafforzata dall’esperienza. Dal canto suo Marianne impara a conoscersi tramite il quadro che la riassume e prende la propria via lasciando il fidanzato che aveva anteposto all’amore per lei l’amore per l’arte. Prova di tale scala di valori viene dal fatto che il ragazzo, resosi conto che quello non è il 3
  • 4. quadro risultato dal lavoro sulla sua compagna, critica Frenhofer per aver scelto di sacrificare il genio sull’altare dell’amore. Il critico infine acquista la tela convinto di avere il massimo dell’espressività, quando invece si tratta di una copia sbiadita e edulcorata del soggetto. 1.2 IL GENERE Antonio Costa, lo studioso che più si è occupato del rapporto Cinema-Pittura, cita “la Bella Scontrosa” come esempio di film con valore “anagogico”.1 Rivette cioè tiene un discorso sulla filosofia pittorica e sui pittori che a partire da una realtà imperfetta mirano a riscoprirne una superiore. Il regista segue passo passo i movimenti che portano alla creazione di un capolavoro che risulta, appunto perché troppo significativo, non mostrabile ad occhi profani. Ogni artista s’ispira a un modello vicino o lontano al quale però l’opera conclusa potrebbe non assomigliare almeno a uno sguardo superficiale. Il fine di Frenhofer non è l’imitazione ma l’espressione: l’esaltazione della musa che si sottrae alla riproduzione ma ne influenza il risultato. Il quadro che completa sembrerebbe essere riuscito perchè non riproduce una realtà già evidente ma spiega gli aspetti che a prima vista non si possono cogliere. Rivette autore molto impegnato anche sul versante della critica d’arte si sofferma inoltre sul rapporto autore-fruitore analizzando le responsabilità che entrambi hanno nei confronti dell’opera e delle persone coinvolte. Nel momento in cui viene fissata un’immagine su pellicola (o una qualsiasi rappresentazione visiva) tutti i fruitori colgono lo stesso dato sensibile: dei molti possibili sguardi uno diviene la sintesi diffusa. Nel cinema il regista e i diversi autori guidano la visione più che in altre forme d’arte. Da questa considerazione muove il film di Rivette che indaga prima quali siano le aspirazioni dell’artista e le difficoltà nella rappresentazione, poi gli effetti che la sua opera avrebbe per coloro che ne fruiscono. Per realizzare un’idea l’artista ricerca un modello che di quell’idea possieda almeno qualche tratto per supportarlo nel difficile trasferimento tra il “mondo delle Idee” e il “mondo delle Cose”. La modella che posa appare agli occhi dell’artista come una copia del Modello Ideale. Porta l’originale dentro di sé. Rivette non ci mostra mai il quadro così come Frenhofer non lo condivide con nessuno al di fuori della compagna, della modella, e della piccola Magaline.2 1 Cfr. Antonio COSTA, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002, p. 49. p. 65 parla di “film teorici sulla pittura” e in questa lista include “La Belle Noiseuse” che riprende poi singolarmente da p. 67. 2 Sul diverso finale del film rispetto al racconto di Honorè de Balzac e sui motivi stilistici di tale scelta si vedano: Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, tesi di laurea Storia e critica del cinema, a.a. 2004-2005, Università degli studi di Padova, §6, La Belle Noiseuse 1991, p. 10-12 . Pascal BONITZER, Peinture et cinéma. Décadrages, in Cahiers du cinéma-Editions de l’ etoile, Parigi, 1985, pp.81-82. 4
  • 5. La visione che esprime Frenhofer del modello originale, attraverso lo studio di Marianne, permette a ella di riconoscersi in esso ma, sentendosi denudata, di rimanerne sconvolta. Lise, che è legata all’artista empaticamente, capisce da sé che il quadro è completo e vi imprime sul retro un emblematico sigillo: una croce. In seguito manifesta al marito l’apprezzamento per il risultato del suo lavoro e ancor di più per la decisione di sostituire l’opera sensazionale con una senza particolare significato. Rimane molto colpita, si capisce, dalla decisione presa da Frenhofer di mettere la pittura dopo il rispetto dei sentimenti di tutte le persone coinvolte. Magaline, la servetta tuttofare che aiuta Frenhofer a sbarazzarsi del capolavoro, per ultima ammira la tela e sentenzia: “E’ la signorina? Com’ è bella”. La sua affermazione è un probabile saggio di come avrebbero reagito gli spettatori alla vera “Bella Scontrosa”: ammirati ma disorientati al punto da informasi se si tratti davvero di una rappresentazione della modella (evidentemente l’associazione non scatta immediatamente). Può essere la modella come no, se si tratta di lei, Magaline ammette di non essere riuscita a scorgerla in quel modo prima. Quindi Frenhofer raggiunge l’obiettivo prepostosi mostrando a Marianne qualcosa in più di quanto non riuscisse a comprendere di se stessa prima del loro incontro. Solo Frenhofer aveva presentito che Marianne possedeva in sé quello spirito che egli aveva cercato senza successo di estrarre da Lise e che ritrovato in Marianne, questa volta più coraggiosamente, era riuscito a rappresentare. Folgorato dalla lettura dalle gesta di Catherine Lescaut il pittore aveva riconosciuto in Lise lo stesso spirito ed ella aveva spinto perché questo modello, attraverso la mediazione visiva del suo corpo e di quella recettiva di Frenhofer, apparisse sulla tela. Ma i due mondi non possono convivere, questo sembra dire Rivette nel suo film, o la copia o il modello3. 3 Cfr. Carlo TESTA, Alla ricerca del modello perduto: Rivette, Balzac e le imprudenze dell’ arte, in Leonardo DE FRANCESCHI (a cura di),in Cinema/pittura Dinamiche di scambio, Lindau, Torino, 2003 pp. 165-178. 5
  • 6. 1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO FRENHOFER CREATURA IBRIDA A CUI BERNARD DUFOUR PRESTA LE MANI, MICHEL PICCOLI IL RESTO DEL CORPO. Ingenuamente, dopo aver visto il film “La Bella Scontrosa” senza conoscere il pretesto Balzachiano, uno spettatore potrebbe mettersi alla ricerca di informazioni su Frenhofer per capirne meglio la figura e la poetica. Il film infatti è costellato di nebulose riflessioni sull’arte, (intesa come viaggio verso una dimensione assoluta) che non permettono una fruizione passiva allo spettatore che voglia capire il significato teoretico proposto e criptato. Vediamo sullo schermo un vecchio pittore che per lo stile potrebbe essere inserito nel sistema dell’arte contemporanea da cui tenta però di fuggire ritirandosi lontano dal mercato e continuando a produrre teorie. Il personaggio accenna ma non spiega le sue elucubrazioni e le sue “creature ibride4” sulla tela lasciano inquieto lo spettatore. Numerosi sono i segnali che connotano la vicenda come ambientata ai nostri tempi: dall’uso del telefono e dell’automobile al modo di parlare e vestire, tutto è davvero verosimile. Tuttavia il film non è la biografia di un artista reale, quindi, questi spettatori ricercatori che amano approfondire la conoscenza delle opere inserite nei film saranno stupiti nel trovare il nome Frenhofer solo in relazione ad Honoré de Balzac e a Jacques Rivette, intuendo solo a quel punto che Frenhofer è un personaggio della finzione. Infatti, Frenhofer è il protagonista di un racconto Balzachiano, considerato premonitore dell’informale nell’arte, resuscitato da Jacques Rivette per un film sulla creazione pittorica. Dell’originale il pittore presentato da Rivette mantiene senza dubbio l’ossessione di “portare il sangue sulla tela” (cioè di non essere dei “vili copisti della natura5”) e la propensione a scendere nel profondo, al di là delle apparenze visive. 4 Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Intervista rilasciata a Marie-Anne Guérin, in Cahiers du Cinéma n° 447, settembre 1991, pp. 25-29. 5 Cfr. Honorè DE BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, Bur, Milano, 2002 6
  • 7. Rivette con il consenso dei suoi due sceneggiatori-dialoghisti Pascal Bonitzer e Cristine Laurent ritiene che la poetica del pittore Balzachiano trovi, trasportata ai nostri giorni, “Una nuova incarnazione nella pittura di Willem De Cooning, di Jean Fautrie o di Francis Bacon, ma, meglio che in tutti questi noti autori, nelle creazioni del meno conosciuto Bernard Dufour”6, pittore contemporaneo dallo stile raffigurativo attento alla forma e in particolare a quella dei corpi femminili. “Avevo avuto modo di vedere negli anni ’60 - ha dichiarato Rivette- molte pitture di Bernard Dufour che mi avevano colpito specialmente perché le figure che emergevano sulla tela avevano degli schemi gestuali non totalmente figurativi. In seguito non avevo più sentito parlare della sua produzione e mi sono quindi messo alla ricerca delle sue tele più recenti per vedere di cosa trattassero e come. Scoprii che erano quasi tutti corpi femminili, grandi figure nude senza testa, in cui non vi è differenza tra l’alto e il basso. Mi risultò chiaro che Bernard avrebbe dovuto partecipare al film”.7 Bernard Dufour, nei suoi disegni precedenti alla collaborazione con Rivette, si era soffermato maggiormente sulla sensualità delle modelle, andando a frugare senza esitazione nella loro intimità, a tal punto che spesso, Dufour, preso dalle sue esplorazioni, non rappresenta il viso delle modelle imprigionando l’occhio dello spettatore tra ventre e cosce. I corpi sono l’unica parte di realtà che emerge sulla tela; l’ambiente è un sacco amniotico. Si forma una visione “tattile” in cui niente si intromette tra mano e il corpo che essa tocca. Nessun altro senso ne disturba il piacere. I contorni sono sfuocati, le donne sembrano immerse in acqua torbida. Di tutti i colori della realtà uno solo resiste, un unico colore che si mescola al bianco e nero. Quest’unico colore simboleggia il sentimento motore della singola creazione: un quadro che nasce dalla noia, uno che nasce dalla passione etc… Per il film Rivette chiede al pittore di continuare a mantenere un colore dominante in ogni tela, quindi, sia negli schizzi preparatori a lungo indagati nel loro formarsi, che per quel poco che riusciamo a scorgere furtivamente della versione murata del quadro “La Belle Noiseuse”, lo stile di Bernard Dufour non è snaturato dalle esigenze di narrazione. Ad esempio, di rosso sono sporchi i bordi laterali e la parte bassa della tela segreta (mostrataci per un istante dalla mano distratta di Magaline che scosta il velo che la occulta) altri colori non sono percepibili. Bernard Dufour è un autore in carne ed ossa che lavora sotto l’occhio della macchina da presa per portare avanti la parte “documentaristica” del film. Del suo corpo all’opera appaiono però solo le mani, le quali, secondo la finzione cinematografica, appartengono al corpo di Michel Piccoli che impersona Frenhofer. Rivette, infatti, non ritiene interessante esclusivamente la vicenda dei personaggi interpretati dagli attori ma anche l’evolversi della visione che il pittore ha della modella: ed il mezzo meno 6 Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Parla di una lettera scritta da Jacques Rivette e Pascal Bonitzer allegata al copione del film che riceve assieme all’ offerta di partecipare al progetto. 7 Jacques RIVETTE, Conférence de presse (extraits) Jacques Rivette Cannes 1991 ,in Cahiers du Cinema, n° 445, 1991. 7
  • 8. mediato per presentarla è proprio la proiezione di tale immagine sulla tela tramite il lavoro del pittore. Il regista riprende perciò tutte le fasi di produzione pittorica, esitazioni comprese, e le monta con le scene girate con gli attori professionisti. Il semianonimato al grande pubblico della produzione di Bernard Dufour risulta come un pregio per Rivette e i suoi sceneggiatori, in quanto, l’utilizzo di uno stile poco noto gioca a favore della finzione drammatica. Lo stile di Dufour per gli spettatori è, e genera allo stesso tempo, lo stile del personaggio Frenhofer. La mediazione c’è ma non è percepita. Arruolato Dufour nel progetto cinematografico, il regista si preoccupa di costituire un “fondo” che renda testimonianza della produzione artistica di Frenhofer precedente a “quel giorno, un lunedì pomeriggio d’inizio luglio fra le tre e le quattro”, in cui dei nuovi soggetti arrivano ad Essas per vederne i lavori. Rivette si reca nell’atelier di Dufour a scegliere qualche quadro tra quelli lì conservati e ne commissiona di nuovi che riproducano i tratti del Frenhofer-Piccoli e di Lise-Birkin. Per questi ritratti gli attori si sono preventivamente prestati a delle sessioni di posa, in quanto queste immagini costituiscono nella storia la memoria di un passato su cui s’innestano le novità mostrate. Il regista chiede a Dufour di produrre opere in tre stadi diversi: “Opere ambiente”, materiale plastico che testimonia nel film il passato, “Opere aperte collettive” che in scena sono completate da Piccoli nel presente della storia, e “Opere performance” iniziate e terminate (solo da Dufour) sul set per il documentario sulla tecnica pittorica. Alle pareti delle stanze del castello sono quindi appese le “Opere ambiente” (che hanno per soggetto il pittore o la moglie) tutte senza cornice, secondo una logica non casuale: in primo luogo perché i disegni appaiono come opere non concluse. C’è ad esempio nel soggiorno un ritratto di Lise nel quale alla donna mancano le mani, mentre altri sono autoritratti del pittore ancora molto nebulosi ai quali, in ogni momento, il pittore potrebbe decidere di apportare dei cambiamenti. Ampie superfici non inquadrate ricordano uno schermo cinematografico su cui viene proiettato una pellicola sbiadita. La mancanza di cornice inoltre non le separa nettamente dalla realtà suggerendo che l’arte e la vita sono fuse assieme e che l’ispirazione, in quel luogo, non si sottomette al consenso sociale. Il suddetto ritratto di Lise privata di mani, viene di notte insolitamente rischiarato dall’illuminazione diffusa della stanza e da un faretto molto vicino. Questo proietta un cono di luce che, rischiarando solo il viso, decapita la figura. Un altro esempio di “Opere ambiente” che non segue le abituali norme d’esposizione è l’autoritratto di Frenhofer esposto nella camera di Lise. La parete a cui è appeso è troppo stretta e perpendicolare alla finestra: il viso enorme invade l’intera superficie della tela a tal punto che il muro sembra schiacciarlo. Durante un confronto tra Frenhofer e la moglie quest’autoritratto rientra nel “campo” di Lise e allude ad un Frenhofer impacciato che si sente immobilizzato dalle accuse della moglie e allo stesso tempo incombe su di lei pesantemente. Il chiarimento tra 8
  • 9. i due avviene solo nel momento in cui entrambi muovono verso un’altra stanza e il quadro scompare dal campo visivo . Altre tele invece sono prodotte per essere delle “Opere aperte collettive” sulle quali agisce in maniera naif il corpo di Michel Piccoli mostrando il work in progress di alcuni cartoni preparatori al ritratto di Marianne. Su queste tele lavora in scena solo l’attore e non più il pittore professionista. Infine per “Opere performance” intendo quelle prodotte dall’artista sul set, mentre un operatore lo riprende. Naturalmente per mantenere una coerenza narrativa è inquadrato di Bernard Dufour solo il braccio (sul quale è arrotolata la manica della camicia di jeans che indossa anche Michel Piccoli per tutte le giornate di posa). Rivette ricerca uno stile pittorico che conferisca personalità al protagonista e sicuramente trova le tele di Dufour adeguate al Frenhofer che vuole proporre. Lascia dunque abbastanza libertà al pittore ma gli commissiona dei ritratti di Emanuelle Béart in pose boule a globo, a sfera, tutta accovacciata di spalle. Dufour è ripreso mentre disegna, non sta recitando, esattamente come Rivette filma, non finge di filmare. Il primo è nell’inquadratura, l’altro fuori. Rivette afferma a proposito del rapporto col pittore professionista: “Ho orrore delle prove, le faccio solo se necessario, quindi non ho mai chiesto a Bernard di ricominciare un disegno né di preparare dei bozzetti”. In fase di preparazione alle riprese Piccoli studia il comportamento di Dufour per coglierne dei tratti da imitare; al pittore tale atteggiamento ricorda il proprio davanti alle “inconnue8”, le neo modelle. Il primo giorno di posa, in cui il pittore studia a tu per tu la nudità, è per Dufour caratterizzato da desiderio e repulsione mescolate. Il pittore deve dare precise indicazioni alla modella perché lui rimane lì vestito e lei se ne sta nuda a sua disposizione (svolge la modella un ruolo passivo, quindi si aspetta solitamente delle regole a cui attenersi). Frenhofer si dimostra stupito che Marianne non sappia come posare. Come può la fidanzata di un pittore non essere abituata a posare? Significa che non è mai stata il soggetto del fidanzato, che, infatti, dichiara di lavorare con delle fotografie anziché sessioni dal vivo. Emanuelle Béart si presta come modella per la prima volta in questo film. L’esperto a disposizione è Bernard Dufour che consiglia i dialoghi che hanno come soggetto la tecnica pittorica: è sua ad esempio la direttiva preliminare: «regardez-moi de face, mais détournez légèrment le regard» perchè tra due sguardi che s’incontrano si stabilisce un canale di conversazione, troppo affollato in questo caso, senza fine, che grava sul pittore non più libero di fissare la modella come e per quanto tempo gli pare. Lo sguardo della modella deve rimanere fisso, ma non sul viso del pittore, per lasciare a questo la possibilità di prendersi i suoi tempi senza sentirsi chiamato in causa: “Levare gli occhi dalla tela e trovarsi qualcuno che ti fissa è sempre una scossa9”. 8 Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 24. 9 Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 27 9
  • 10. Il nudo che Rivette chiede ad Emanuelle Béart di interpretare, è la totale nudità10. Il regista cerca in tutti i modi di evitare l’ostentazione del nudo che il mezzo cinematografico, per sua natura poco mediato, tende a caricare. La scelta è quella di non soffermarsi mai su singoli particolari del corpo ma di mantenere una visione generale11. La capacità dell’attrice e del regista permettono, secondo il mio parere, di presentare una nudità non morbosa né feticista. 10 Cfr. Adriano PICCARDI, in Cineforum, 1992, n°5, pp. 42-47 Si riferisce in queste pagine alla rappresentazione del nudo nella “Bella Scontrosa” con queste parole: “Nudità senza falsi estetismi” e ancora “il nudo è la condizione bruta”. 11 La scelta di privilegiare piani più allargati e di stringere meno sui dettagli e sui visi viene evidenziata in due contesti. Antoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, in Cahiers du Cinéma, n° 447, 1991 pp. 22-23. A proposito della profondità di campo: Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, p. 53 e seguenti. 10
  • 11. 2. IL REGISTA E IL MODELLO. 2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI. I RE DEI GATTI: BALTHUS IN UNA FOTO E PI CCOLI-FRENHOFER IN UN FOTOGRAMMA. Rivette, per formazione e gusto, nelle sue ricerche si muove attraverso tutte le arti: teatro, balletto, pittura e letteratura. I suoi più stretti collaboratori al “Cahiers du cinéma” parlano inoltre della sua dedizione al cinema come di un sacerdozio. Risulta davvero difficile rintracciare le citazioni nei suoi film tanto possiede la capacità di assimilare le produzioni che ama: ciò di cui fa esperienza diviene parte di sé e conseguentemente passa nelle opere prendendo nuove forme e omaggiando i modelli silenziosamente. Si può estendere a Rivette, e al suo modo di stare in contatto con i modelli, quanto ha scritto Federico Fellini a proposito del pittore Balthus: “Si fa custode di un patrimonio simbolico in cui il tempo ha sedimentato la cultura dell’arte”. Fellini aggiunge riguardo allo stile delle citazioni pittoriche: “Vive sotto l’influsso dei padri spirituali le cui opere non diventano mai per lui ricordi o testimonianze oggettivate ma forme che si rinnovano in un tempo che è soltanto quello della sua coscienza.12” Talvolta i modelli sono espliciti come nel caso di “Hurlevent”, dove il regista ammette di essere stato profondamente influenzato proprio dai disegni di Balthus prodotti per illustrare un’edizione del romanzo “Cime tempestose” di Emily Brönte. Ancora più evidenti sono le citazioni di Piero della Francesca, l’artista moderno a cui più s’ispira ancora una volta Balthus, in “Jeanne la pucelle” in cui l’aspetto del marito di Jeanne è sovrapponibile al ritratto del “Duca d’Urbino13” così come illustrato dal pittore quattrocentesco di Borgo San Sepolcro. 12 Federico FELLINI, Balthus, in Catalogo generale Biennale, 1980, Venezia, 1980, cit. 13 Il quadro di Piero della Francesca che ritrae “Federico da Montefeltro, Duca di Urbino”, datato 1465-1466, è conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze. 11
  • 12. Considerati i precedenti prestiti e allusioni di Rivette a Balthus e ai modelli di questo, ci si sente legittimati a proporre un parallelismo costruttivo tra i due per capire un po’ meglio chi sta dietro alla “Bella Scontrosa”. Ad esempio può spiegare la vicinanza e i prestiti simbolici tra le diverse arti questo passo estratto dalle memorie di Balthus (in cui l’artista si riferisce alla propria pittura e al cinema di Federico Fellini): “Eravamo mossi dalla stessa ricerca, dallo stesso desiderio, lui con le immagini in movimento, io con la pittura la cui fissità voleva essere in definitiva inquietante e sconvolgente e finiva con l’essere anch’essa mobile proprio come il fluire fin eccessivo delle immagini del regista, che voleva riuscire a cogliere la parte più segreta degli uomini.14” Alcuni critici hanno letto “La Belle Noiseuse” come una sorta di prematuro testamento del regista in cui deciderebbe di indagare il rapporto tra un artista che sta invecchiando, la sua opera e il modello, quindi non possono sfuggire i riferimenti alla vita del pittore reale che nel 1991, anno di uscita del film, potrebbe essere coetaneo del pittore visto sullo schermo. Tali allusioni sono supportate da una scena del film in cui Lise chiama Porbus con il nome d’arte che ha da anni abbandonato: “Balthus”. Subito l’uomo la riprende: “Non mi chiamare con quel nome, Balthus non esiste più”. Balthus entra ne “La Belle Noiseuse” attraverso un gioco di rimandi tra vite di autori e opere alquanto intricato ad esempio nelle sue “Memorie” si legge: “L’abitudine che ho preso negli anni 1925-26 di trascorrere intere giornate al Louvre a copiare Poussin mi ha trascinato nell’avventura della pittura15”. Poussin a sua volta, oltre ad essere un grande maestro della pittura del ‘Cinque-‘Seicento, è uno dei tre personaggi del “Capolavoro Sconosciuto” e nel film di Rivette perde il cognome conservando il nome: Nicolas. Non si può affermare che Frenhofer stia per Balthus ma si può considerare uno degli “ingredienti” umani del personaggio. Un modello che il regista sfrutta per rappresentare il pittore. Leggendo le “Memorie” ci si rende conto di quanto di Balthus sia stato ripreso nel film di Rivette. Tali riferimenti sono supportati anche dalla passione del regista per gli scritti di Pierre Klossowski de Rola fratello di Balthus, il cui vero nome è appunto Balthazar Klossowski de Rola. “Dopo il lavoro d’atelier ritorno al Grand-Chalet. Setsuko (la moglie) fa preparare il tradizionale tea che ci vede riuniti nella sala da pranzo […] queste pause nella lenta vita del Grand-Chalet fanno ancora parte della pittura16.” Il passo ricorda l’atmosfera di due scene in cui Frenhofer e Lise si trovano da soli a confrontarsi dopo la giornata di lavoro assecondando un rituale pacificatore della coppia. La scelta di Balthus di vivere per lo più ritirato è viene emblematicamente ripresa nel film andando ad enfatizzare la separazione dal mondo proprio 14 Cfr. BALTHUS, Memorie, Longanesi e C., Milano, 2001. 15 BALTHUS, Ibidem, cit., p. 53. 16 Cfr. volume XLI BALT 140, Biblioteca di Castel Vecchio, Il gatto e lo specchio, § Balthus à Chassy. 12
  • 13. attraverso le alte mura del castello situato nel sud della Francia. Balthus stesso nel 1953 si trasferì a vivere nel castello di Chassy in Provenza dopo venti anni dal giorno in cui, in viaggio da quelle parti, era rimasto affascinato dalla cittadella in stato d’assedio per le riprese di un film17. Inoltre Balthus sceglie spesso, come modelle, giovani donne che celano dei misteri “Il mio scopo non è solamente il corpo delle mie giovani modelle o la somiglianza dei tratti ma ciò che era nella loro notte o nel loro silenzio18.” Sono parole che potrebbero uscire ancora una volta dalla bocca di Frenhofer come l’ha raffigurato Rivette. Inoltre Marianne impersonata da Emanuelle Béart è giovane e senza dubbio piena di tenebre ben celate dietro ad una facciata di quiete. Altra vicinanza tra la poetica che sta dietro i ritratti di Balthus e i nudi filmati da Rivette viene sempre dalle “Memorie”: “La matita a carboncino può rendere questa grazia intravista. Ecco perché insorgo contro le interpretazioni stupide che sostengono che le mie fanciulle provengano da un’immagine erotica19.” Il carboncino è la prima tecnica che Frenhofer utilizza sulle grandi tele dopo aver preso confidenza con la fisionomia della modella sul quaderno degli schizzi. Il carboncino è il primo strumento semplice e immediato che supporta Frenhofer nella cattura dello spirito di Marianne. Ma ciò che più interessa notare di questo passo è il desiderio di Balthus di chiarire che certi ritratti non siano prodotti per soddisfare degli istinti sessuali, quanto piuttosto per restituire ai corpi rappresentati il loro stato di purezza. Anche Rivette presenta il corpo nudo di Emanuelle Béart per quasi l’intero girato nell’atelier (significa per circa due ore in cui la ragazza non indossa alcun vestito), ma non tende in alcun modo a erotizzarla. Come esempio di critto-citazione Rivettiana di un quadro precedente si può prendere in analisi “La Falena”, uno dei dipinti più famosi di Balthus, dipinto tra il 1959 e il 1960 e conservato al Musée National d’Art Moderne presso le Centre Georges Pompidou. Nel quadro una ragazza nuda accanto al letto gioca con una falena, forse spingendola, forse trattenendola dal bruciare contro una lampada ad olio accesa. La lampada a olio è presente nel film in due scene successive: la vediamo dapprima spenta al centro del tavolo durante una sequenza in cui il sole tramonta, poi sul finire della cena la ritroviamo accesa a rischiarare i visi dei personaggi sulle cui spalle incombono le tenebre. I commensali siedono a tre lati del tavolo e la lampada funge da perno dell’azione nel campo controcampo. Marianne e Frenhofer da un lato, Lise e Nicolas dall’altro, Porbus solo. La lampada rappresenta la verità, la guida, l’obbiettivo ma allo stesso tempo un pericolo per alcuni: non a caso Porbus si sente improvvisamente male proprio in questa scena. 17 BALTHUS, ibidem, cit., pp. 66-67. 18 BALTHUS, ibidem, cit., p. 79. 19 BALTHUS, ibidem, cit., p. 75. 13
  • 14. Per quanto riguarda Marianne, da poco entrata nel castello, non si è ancora parlato della possibilità di farla posare per un ritratto ma la sua presenza ha già destato l’interesse di Frenhofer. In questa scena Frenhofer le chiede come si ponga di fronte alla questione della realizzazione personale e della soddisfazione del partner. Il contenuto di questa domanda rimane uno dei temi centrali del film: l’arte deve venire per un pittore prima o dopo l’amore per la propria compagna? Marianne è bersaglio della domanda ma allo stesso tempo è lei a suscitarla e a rimbalzarla al pittore che dovrà fare i conti con la ragazza, la quale lo spinge ad avvicinarsi alla luce del capolavoro ma allo stesso tempo lo trattiene. Marianne quindi rapisce l’attenzione di Frenhofer e quando questo vorrebbe darsi per vinto è lei ad insistere per continuare nel volo. Lo implora di non lasciarla nel vuoto in cui si sono spinti. DUE IMMAGINI CON LAMPADA AD OLIO: BALTHUS “LA FALENA”-E RIVETTE MARIANNE CON FRENHOFER. 14
  • 15. 2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE. La fisicità è evidenziata dal fatto che vediamo i personaggi mangiare, bere, coricarsi e risvegliarsi, svenire, spalancare e sbattere porte, accendere alternatamene interruttori, sanguinare e tremare tutto all’interno del Castello d’Essas. Siamo invitati silenziosi delle loro vicende. Proprio come avviene per i caratteri di Balzac, di cui il narratore ci dice tutto un po’ alla volta, i personaggi vengono attirati dall’intima struttura psichica del protagonista verso di sé ed iniziano ad orbitarvi attorno. La forza delle idee e dei desideri di Frenhofer costringono gli altri a rimanere sospesi immobili o a passare con differenti frequenze a seconda della ampiezza dell’orbita. Il nucleo centrale del pianeta Frenhofer è certamente l’atelier in cui per cinque giorni ritrae Marianne. A dispetto della crisi dei rispettivi compagni i due continuano il lavoro in un habitat assoluto. Una descrizione efficace dell’atelier di Frenhofer si può estrarre dal racconto Balzachiano da cui Rivette è rimasto affascinato e ripropone fedelmente. Le parole suggeriscono al lettore l’idea che quel luogo sia una zona privata al cui interno ci si muove senza causare danni solo chi lo conosce bene. Nel film tutte le volte che la moglie del pittore entra nell’atelier lascia delle tracce della sua invasione nella stanza del marito: dimentica di riportare via il gatto, macchia col piede un dipinto steso a terra, segna con una croce il retro della tela conclusa20. Altrettanto marcato è l’alternarsi del giorno e della notte, per cui il pittore dipinge solo quando il fascio di luce naturale si proietta sullo spazio di posa della modella. “Una vetrata aperta sulla volta illuminava l’atelier del maestro Porbus […] scatole di colori, bottiglie di olio ed acquaragia, sgabelli rovesciati lasciavano a fatica un angusto passaggio, che conduceva sotto l’aura proiettata dall’alta vetrata, i cui raggi cadevano a piombo sul pallido viso di Porbus e sul cranio eburneo di quell’uomo singolare21.” Lo studio della figura e l’indagine psicologica di Frenhofer su Marianne si svolge nell’arco di sei giorni a partire da quel lunedì in cui Marianne viene promessa a Frenhofer senza essere consultata. Mentre si accostano al castello per la prima volta Marianne dichiara di non sapere niente di quell’idolo che Nicolas adora: “Non ho trovato nessun libro che parli di Frenhofer” e Porbus le risponde che l’ultima mostra dedicatogli risale a prima della nascita della giovane. È sempre lei che manifesta i suoi dubbi entrando, per prima della comitiva, nell’atelier che il fidanzato e il critico smaniano di visitare: “Sembra una chiesa” afferma. 20 Cfr. §1. p. 3 21 Honorè de BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, p.105 15
  • 16. Una volta dentro, mentre gli uomini commentano le tele accatastate, Lise da padrona di casa, propone a Marianne di salire nel soppalco “Di sopra è più carino, vuole venire?” e salgono così in un luogo, mai ripreso, che sovrasta la zona laboratorio. Luogo che diventa lo spogliatoio di Marianne a cui Lise passa il testimone. Ed è sempre nell’atelier che la disquisizione filosofico - artistica viene portata sul tema della bella scontrosa: la disputa. Marianne interviene dalla scala col viso nascosto dall’ombra. Il nucleo spaziale in cui si lavora creativamente può essere scisso dal resto ed esistere comunque. Il dispositivo che mette in atto la vicenda consiste nell’intromissione in un atomo chiuso di nuovi elettroni che agiscono sulla struttura preesistente sfasandola. Allontanandosi da questo calderone artistico in ebollizione si incontrano man mano le altre zone del castello: stanze comuni collegate, attraverso corridoi spettrali, ai privati rifugi notturni, poi il giardino aperto sul mondo della campagna d’Assas e infine la scalinata d’ingresso del portone che incontra chi viene dal mondo cittadino. Le scene sono ambientate prevalentemente all’interno del Castello d’Assas o nell’albergo dove risiedono Marianne e Nicolas su cui incombe la solida struttura del primo, verso cui questi salgono a piedi. Le stanze in cui sono appesi ritratti di Lise e autoritratti di Frenhofer sembrano buie caverne scavate nella roccia, i balconi promontori massicci, le finestre accecano quando ci si volge verso l’esterno ma non illuminano mai completamente l’interno. Si costituisce un forte contrasto fotocromatico interno-esterno che collide con l’illuminazione artificiale. Alcune sequenze di collegamento sono girate sui torrioni del castello ma Rivette ci tiene concentrati verso il nucleo. Lise ricorda la morte dell’idea di mettere un cannocchiale sulla torre per guardare in lontananza: si capisce subito che le focali corte sono quelle peculiari a questo film, l’esterno giunge al castello d’Essas attraverso telefonate, viaggi22. E’ indirettamente collegato - almeno umanamente-. I protagonisti rimangono sempre lì, mentre gli altri vanno e vengono. L’esposizione della “pseudo-belle noiseuse” è l’occasione che vede nuovamente tutti i riuniti dopo la cena del primo giorno. La scena si apre con una carrellata sull’atelier deserto, in cui tutti i quadri sono girati verso la parete: il rumore della porta annuncia l’ingresso del gruppo. Marianne titubante entra per prima e rimane sullo sfondo nei pressi dell’uscio appoggiandosi poi agli infissi, gli altri invece più curiosi penetrano all’interno più vicino alla tela. È un momento carico di tensione per tutti i personaggi, sia per chi ha già visto l’opera finita e ne conosce la potenza sia per chi è pieno di speranze e vuole essere ammesso alla visione. I corpi sembrano non poter stare in equilibrio solo sulle proprie gambe: infatti tutti cercano un appoggio nell’arredo dell’atelier ad eccezione di Frenhofer. Marianne titubante entra per prima e rimane nei pressi dell’uscio appoggiandosi poi agli infissi, mentre gli altri scorrono più vicino alla tela. Frenhofer introduce il quadro, poi gira il supporto e lo mostra. Il quadro sostitutivo eseguito all’ultimo momento è rassicurante e occupa in larghezza quasi tutta l’inquadratura. Frenhofer rientrando si affianca alla figura e afferma che quello è il suo primo quadro postumo, 22 Cfr. Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, §6, p. 15 16
  • 17. gli risponde venalmente Porbus: “Sarà ancora più caro”. Il pittore amareggiato gira attorno al cavalletto e torna a nascondersi all’ombra della tela che cela tutti i segreti di Marianne. Il quadro trova evidentemente dei modelli in nudi femminili accovacciati eseguiti da Pablo Picasso e Jean Fautrier: 1 B. DUFOUR “pseudo-belle noiseuse” 2 P. PICASSO “nudo blu” 3 J.FAUTRIER“nudo” Nella versione breve vengono amputati dal corpo del film gli spostamenti dei personaggi tra le varie aree del castello che nell’originale sono seguiti da fluide carrellate. Movimenti che non vanno intesi come divagazioni o esercizi di ripresa ma espressivi del tempo che corre a misura d’uomo. Ogni personaggio marca una stanza a cui appartiene e anche ogni rapporto tra i personaggi segue una simbologia e regolarità. Il movimento di avvicinamento agli ambienti-persona rende palese l’abbinamento, si creano infatti delle consuetudini che passano efficacemente allo spettatore: Frenhofer ha il suo atelier, Lise il laboratorio da imbalsamatrice dove riceve Porbus e Nicolas, Lise e Marianne si incontrano ripetutamente nel salone delle Chimere, Frenhofer e Marianne naturalmente si relazionano nell’atelier, mentre i gruppi stanno sempre all’aperto. Nel divertimento viene quindi a mancare questa mappatura del castello che si crea spontaneamente quando si seguono i passi dei personaggi all’interno dell’edificio e che rendono familiari certi corpi in determinate stanze e intrusi gli altri23. Rivette sembra suggerirlo quando Lise, dopo il primo giorno di posa, intuendo che ci saranno degli ostacoli al lavoro, indica a Marianne una porta secondaria per accedere più velocemente all’atelier ma questa via non è altro che un modo per tenere la giovane sotto controllo e fermarla in caso di bisogno. Nell’arco del film i signori del castello occupano tutti gli spazi con le loro figure e con i loro ritratti appesi senza cornice alle pareti. Il corridoio che separa la zona giorno e zona notte è caratterizzato da una pavimentazione bianca e nera a fitta scacchiera che conduce a tante camere da letto diverse. Lise e Frenhofer infatti non dividono nemmeno lo stesso letto. 23 Cfr. Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, pp. 58-59. 17
  • 18. Il taglio in “Divertimento” di tutte le carrellate per i corridoi ad eccezione di una in cui Lise e Frenhofer camminano verso le rispettive stanze da letto conferisce ai loro passi in quell’occasione una gran solennità. Nei momenti in cui Lise e Frenhofer sono assieme difficilmente rimangono fermi: il loro modo di relazionarsi è dinamico e contrasta con la scena tagliata della “Vecchiaia” in cui i due giacciono in un letto come se fossero morti. 18
  • 19. 3. CORPI E FORME 3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA DEL NUDO Goffredo de Pascale afferma riguardo allo stile di Rivette: “L’ inquadratura viene impostata solo quando lo esige il movimento stesso del pensiero guida24.” Rivette si comporta come uno scienziato che analizza cosa succede nella dinamica artistica in determinate situazioni. Il suo occhio è neutrale ed oggettivo. A tratti il testo sembra più un documentario che film. La durata del film è inferiore a quella dell’esperienza “vissuta”, ma essendo una ricostruzione che deve avvicinarsi quanto più possibile al vero, Rivette innesta la dilatazione. Sono quattro le giornate di posa e che vengono incorniciate tra una di presentazione e una di scioglimento. Il tempo all’interno dell’atelier è però incontrollabile. Rivette sceglie delle lunghe scene senza tagli di montaggio, quando il gruppo di personaggi è riunito, rendendo le situazioni più accostabili ai ritmi di reali visite, dialoghi, incontri e sedute di posa ma al tempo stesso mostrando una situazione alquanto problematica. Nel rapporto tra pittore e modella, durante la preparazione del quadro, sono invece frequenti gli stacchi: soprattutto i campi controcampi tra gli occhi di lei e di lui ma ancora più spesso si alternano il corpo nudo di Marianne alle linee di colore sulle tele. Emanuelle, a proposito, afferma che talvolta avrebbe desiderato aspirare la m.d.p. verso di sé piuttosto che essere totalmente ripresa nella sua nudità, per mostrare esclusivamente il suo viso25. Rivette, del resto, ricorda la volontà che la macchina fosse un mezzo assolutamente neutrale e vi fosse profondità di campo senza soffermarsi su primi piani e particolari scabrosi. Sono due stadi di protezione della privacy diversi: Emanuelle vorrebbe fingere che il suo corpo non è nudo limitando l’inquadratura al solo viso, Jacques mostrare la nudità per intero ma senza fare del feticismo o primi piani imbarazzanti. Effettivamente le scelte di regia non oltraggiano in alcun modo la persona di Emanuelle Béart. Suggerisce De Pascale sull’atteggiamento di Rivette: “Lui ha questo modo di vedere, vedere e rivedere ancora, per andare fino in fondo, a voler cogliere l’essenza delle cose ma lasciando altresì allo spettatore il ruolo di interprete con potere discrezionale e gli riconosce così capacità e facoltà analitiche. Grazie alla profondità di campo scene intere sono girate senza interruzioni a volte anche con la macchina da presa immobile. Gli effetti drammatici anziché essere affidati al montaggio, nascono dalla spontaneità degli attori all’interno dell’inquadratura26”. 24 Goffredo DE PASCALE, ibidem, p. 51 25 Cfr. Anotoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p.22 26 Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, cit., p. 53. 19
  • 20. I collaboratori del regista evidenziano il suo modo di procedere ad “esplosioni” durante le riprese, assecondando con una sceneggiatura agile e flessibile un ispirazione mutevole, che trova continui spunti nell’interazione degli attori o, ancora meglio delle attrici27. Tuttavia in questo film specifico preferisce lasciare meno elementi al caso riducendo l’improvvisazione e il numero di persone che si aggirano sul set per venire incontro al bisogno di privacy che la nudità di Emanuelle impone. Emanuelle sostiene che un nudo senza sapere cosa fare sarebbe stato insostenibile. Imbarazzante. Sceneggiatori e attori occupano quindi posizioni più classiche cinematograficamente e addirittura vivono esistenze separate (entrambe però supervisionate da Rivette)28. GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE Per la visita al vecchio pittore Marianne decide di indossare un vestito rosso, con le spalle scoperte, e un paio di scarpe col tacco alto che rendono appariscente e rumoroso ogni suo spostamento sulla scena. Rivette rimarca la scelta delle scarpe facendogliele sfilare mentre cammina per le strade impervie e indossare nuovamente una volta giunta al castello. Il forte vento mediterraneo le agita la gonna, e la costringe a tenere gli occhi socchiusi per evitare che la polvere sollevata le finisca negli occhi, il sole è accecante e la salita al castello si rivela un’impresa. Rivette punta da subito ad avvicinare i corpi di Emanuelle Béart e di Michel Piccoli evidenziando il momentaneo allontanamento di lui dalla moglie per l’arrivo della nuova modella. Frenhofer fa la sua entrata in scena in profondità sul confine del giardino dove gli ospiti siedono attorno ad un tavolo posto in primo piano. Il vecchio si avvicina, gira attorno al tavolo da destra e tra tutti i posti liberi siede istintivamente accanto a Marianne. Nell’arretrare per seguire gli spostamenti di Frenhofer la m.d.p. perde Marianne oscurata dalla figura di Lise, che troneggia seduta sul tavolo, quindi con un carrello laterale a destra la riconquista accomodata con le mani in grembo vicina al protagonista. Il movimento di macchina gioca con il posizionamento alternato di figure femminili accanto a Frenhofer. Prima Frenhofer e Lise, poi Marianne interposta a loro. È già il secondo caso in cui Marianne e Lise vengono affiancate e messe a confronto: precedentemente infatti le due donne nella biblioteca si erano trovate a parlare vicine ma separate da una creazione artistica: sulla libreria a cui si appoggiano è posizionata una statua femminile per la cui esecuzione sicuramente una donna indietro nel tempo aveva posato. 27 Cfr. Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, Cahiers du Cinéma, Parigi, 2001, p.167. 28 Cfr. Anntoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p. 23. 20
  • 21. Rivette infatti ama comporre le inquadrature con oggetti che alludono simbolicamente alle relazioni tra i personaggi. Ad esempio, nel corso della cena del primo giorno, una panoramica a scoprire trova alle spalle dei mezzi busti di Marianne e Frenhofer, nuovamente seduti accanto, un abito bianco appeso ad un filo ad asciugare. La sagoma del vestito è ben evidente per intero e pende a colmare sullo sfondo il vuoto tra i due visi. È difficile trovare una lettura univoca a questa sorta di fantasma svolazzante: è simbolo di una tela ancora bianca, delle vesti che verranno strappate a Marianne oppure ricorda che tra loro rimane Lise a cui sicuramente appartiene l’oggetto? In ogni caso l’inserimento criptato non è casuale come del resto non lo è la bottiglia di vino, che tanta parte ha nel processo creativo in questa storia, e nemmeno la lampada ad olio che riempiono la stessa inquadratura. SIMBOLI TRA I CORPI: LA VESTE LA TERZA MODELLA Il primo evidente segno d’intesa tra Marianne e Fenhofer emerge nell’atelier del pittore nel corso di una discussione tra artisti da cui le donne si sono estraniate essendo salite sul soppalco che sovrasta la zona laboratorio. La voce di Marianne fuori campo completa inaspettatamente la spiegazione che il pittore ha iniziato sul significato del titolo di una sua opera incompiuta “Noiseuse”. Il regista restituisce alla voce che udiamo il suo corpo: Marianne appare ora in piedi su una scala con il viso nascosto dall’ombra del soppalco a cui la scala conduce. La figura è frammentata dalla scarsa illuminazione ma, man mano che completa il pensiero di Frenhofer, Marianne scende i gradini e la persona riappare interamente in luce. Capiamo che Frenhofer non rimane indifferente all’intervento perché ci viene presentato qui il primo primo piano del pittore sorridente: il tema lo interessa e la ragazza l’ha sorpreso capendo subito cosa lui cerchi di rappresentare. A questo primo piano viene fatta seguire un’altra inquadratura del suo viso che si volta e si riempie di delusione per l’eccessiva curiosità manifestata dal suo giovane collega. Le due inquadrature danno l’effetto di un rimbalzo: una sorta di eco visiva. 21
  • 22. MARIANNE DIVENTA LA NUOVA SCONTROSA PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE Vediamo il viso della nuova coppia di lavoro attraverso i vetri della porta che varcano per la prima volta da soli. La porta si spalanca e, mentre Frenhofer si sofferma a guardare il soffitto cercando conferma della sensazione che la ragazza aveva avuto il giorno precedente (cioè che l’altezza del tetto fa assomigliare l’atelier ad una chiesa), Marianne penetra decisa nell’ambiente ed esce così dall’inquadratura. Michel Piccoli fa respirare Frenhofer con corti respiri rumorosi, il suo alito sa di vino e di caffè. Sotto sforzo emette dei gemiti, grugnisce29. Le sue azioni sono dettate più dall’abitudine che da un reale interesse. I gesti sono meccanici e poco convinti. Cerca gli strumenti, riempie le bottiglie per diluire i colori e prepara il tavolo da lavoro. Quello a cui si appresta è un tentativo in precedenza fallito su cui non ripone nel presente grandi speranze. Percorre il perimetro dello studio voltando tutte le tele dipinte contro il muro. Alla fine si siede davanti al tavolo riordinato su cui spicca un grosso quaderno nero che Frenhofer apre e sfoglia. L’uomo è assorto a studiare gli schizzi del passato dall’inizio fino a raggiungere i fogli bianchi. Il tempo viene rallentato assecondando l’umore del pittore. La m.d.p. gli gira attorno lentamente e si pone infine frontale fermandosi nell’istante in cui egli alza lo sguardo verso la modella e le impartisce le prime direttive per i due primi disegni in cui Marianne rimane completamente vestita. Infine afferra un pennino e, piegate le pagine del quaderno che oppongono resistenza, l’esperta mano di Bernard Dufour inizia a disegnare. Qui Rivette riprende senza interruzioni le sequenze del lavoro del pittore reale. Sequenze che nella versione “Divertimento” decide di cestinare venendo meno il tempo necessario per uno dei due filoni presenti nell’originale: quello documentaristico. 29 Enciclopedia del Cinema, vol. IV mar-sh, Treccani, Catanzaro, 2004. “Piccoli mantiene uno stile austero e distaccato, anche se attraversato da un sottile compiacimento e da una vena di follia […] abbandona man mano i tratti cinici per quelli più morbidi e meno inquietanti che sarebbero sfociati, nel decennio successivo, nel disegno di figure sagge e nostalgiche a volte svampite e spesso venate di profonda solitudine”. 22
  • 23. Nella “Belle Noiseuse” di quattro ore sono contenuti un film e un documentario allo stesso tempo, quindi, non sorprende che per una decina di minuti Marianne sparisca dall’inquadratura lasciando il campo al dettaglio delle mani del pittore che segna la carta con gesti crudeli. Il quaderno posto obliquamente lascia aria nella direzione in cui sappiamo si trova la modella direzione da cui proviene anche la luce. La punta stride contro la carta ruvida e il suono prodotto finisce con essere l’unico rumore percepibile. Per due brevi intervalli viene presentata la figura intera di Piccoli seduto al tavolo da disegno: quando poi invita Marianne a salire la scala per prepararsi al nudo il piano si fa più ampio a riprendere l’ambiente su cui il corpo di Frenhofer e la scala proiettano delle ombre espressioniste. La modella torna nell’atelier con una vestaglia, si posiziona di fronte al pittore la slaccia e la lascia cadere. E’ un sipario che si spalanca, l’operatore accompagna il gesto passando da un primo piano del viso ad una figura intera completamente illuminata. Nel momento in cui la ragazza si spoglia il pittore inizia a ritrarla rimanendo in piedi (preme contro il piano d’appoggio con la mano libera per sorreggersi) si nota il tremore degli arti. Alla figura intera del pittore Rivette alterna dei primi piani di Marianne che mostrano il disagio della ragazza nel posare senza vestiti: deglutisce e respira forzatamente ma sempre senza fare rumore. Una volta finito il terzo disegno Frenhofer lascia libera la ragazza che torna nel soppalco a riprendere i suoi vestiti. Questa volta le ombre spigolose attraverso cui era passata nel precedente salire scale non sono presenti, la tensione sembra essere finita, infatti la ragazza è convinta che non dovrà più posare per Frenhofer. Invece il pittore la saluta prenotando la sua collaborazione per il giorno seguente, nuovamente Marianne è schiava del volere altrui. SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA La seconda giornata è estenuante per i personaggi quanto lo è per gli spettatori. La scena si apre con la modella che discende scalza la scala del soppalco.Sembra che quella scala conduca al regno dei morti e che Marianne si sia ormai rassegnata al suo compito di traghettatice d’idee. Frenhofer le offre un caffè, poi, trascinando i piedi rumorosamente si muove nello studio per sistemare una gran tela in verticale su cui lavora in questa sessione con il carboncino. La modella lo osserva in ombra finendo il caffè. Il pittore a questo punto pone la modella di spalle sempre con movimenti “ciabattanti”. Le dice che quella posa viene utilizzata solitamente dai principianti per evitare l’imbarazzo di avere lo sguardo della musa fisso su di loro che dipingono per la prima volta dei nudi dal vero30. 30 Cfr., §1. p.8 23
  • 24. Rivette, per mantenere in video il viso di Marianne, opta per un primo piano frontale di lei che va ad occupare il terzo di destra e alle sue spalle in un piano americano il pittore nella parte sinistra che lavora sulla tela che si trova in parte fuori campo ancora più a sinistra. Il primo piano di Marianne interrotto per mostrare la sua immagine prendere forma sotto le mani di Bernard Dufour, viene poi ripreso ma questa volta il volto occupa centralmente l’inquadratura e Frenhofer viene tagliato per metà fuori. E’ difficile trovare al cinema dei visi che occupino il centro dell’inquadratura mentre è solito nei ritratti fotografici e pittorici. La scelta di Rivette è probabilmente omaggio a quelle arti. Tra una posa e l’altra Marianne si riposa su un divano e solitamente accende una sigaretta che difficilmente riesce finire data l’insofferenza di Fenhofer ad aspettare i ritmi di lei. Più di una volta la solleva e la sistema a suo piacimento. Per questa sequenza la situazione è capovolta: il primo piano della mano che dipinge è a destra e la modella rimane più lontana a sinistra. Questa ennesima posa vede Marianne in piedi piegata in avanti appoggiata con le braccia tese su uno sgabello. Sembra un animale col capo chino a terra. Non appena il pittore inizia a tracciarne i tratti sulla tela la ragazza sente un forte crampo prenderle il palmo della mano, si alza quindi sulle gambe massaggiandosi la mano e lascia la posa ma Frenhofer le impone di tornare nella stessa posizione senza ribellarsi. Marianne è abbastanza infastidita del rimprovero e sbuffa come un animale nel rimettersi a quattro zampe. Ancora una volta Marianne è sottomessa al volere di un uomo che le dice cosa fare senza prestare attenzione alle sue necessità. 1991 MARIANNE IN POSA 1950-1960 KATIA CHE LEGGE DI BALTHUS Il rapporto tra pittore e modella sembra equilibrato poi visivamente da un serie di campo- controcampo che segue ordinato l’alternarsi del dialogo. Naturalmente Marianne è sempre nuda mentre Frenhofer indossa comodi abiti da pittore. Viene prediletto un piano americano che va allargandosi quando Frenhofer sconfina nel campo di Marianne per risistemarne la posa 24
  • 25. sfalsata, e quando egli esce Marianne viene risucchiata con un’inquadratura che evidenzia il suo stato sottomesso: la figura è scura, piena di ombre, il viso nascosto. Il pittore inquieto lavora in piedi, la ragazza rimane quasi sempre sdraiata in posizioni di resa, con gli arti incrociati come legata dal racconto del vecchio. Fuma tantissimo. La luce, sempre laterale, produce lunghissime ombre. La mano del pittore che la posiziona si fa sempre più autoritaria, al punto che Marianne finisce col sembrare una bambola bistrattata. Le posizioni diventano più disarticolate, gli arti compressi, stretti, il respiro si fa difficile. La ragazza accartocciata spremuta fino all’ultimo. Il pittore sbraita, si inalbera, la ragazza quindi sotto stress scoppia in una risata nervosa irrefrenabile che spinge il pittore ad uscire dallo studio e riprendere contatto con il mondo. Marianne all’interno si aggira tra le sue forme riprodotte sulla carta e testa la loro consistenza seguendone le linee passando la mano sulla tela31. Dopo un giro dell’atelier si distende sul divano e si abbandona finalmente sola. IL SOGNO DI MARIANNE. 1975 MICHELINA ADDORMENTATA DI BALTHUS 1991 MARIANNE DORME Rivette divide il film in due parti: la seconda inizia con l’atelier avvolto nel silenzio, nel quale si sente solo il rumore dei piedi del pittore che strisciano sul pavimento. In video appare un primo piano di Marianne che giace profondamente addormentata con il viso rivolto verso lo schienale del divano. La pelle chiara contrasta con il tessuto del divano e l’ambiente. La mano di Frenhofer le sfiora il viso, l’inquadratura si allarga a comprenderli entrambi, Marianne spalanca gli occhi e si rannicchia nell’angolo sinistro, Frenhofer si siede all’altra estremità. I due corpi di profilo in un restaurato equilibrio, una tregua almeno. Marianne per la prima volta confessa qualcosa di sé raccontando del sogno che ha fatto in quei pochi minuti di sonno. Sussurra: “Un grosso gatto mi mordeva la mano e non voleva staccarsi.” Frenhofer la ascolta 31 Cfr §1, p. 8 “visione tattile” 25
  • 26. poi l’aiuta ad alzarsi e la accompagna in fondo alla stanza dove lei riprende la posa mantenendo un silenzio assoluto. Marianne si sistema e infine gira il viso verso la m.d.p. Improvvisamente, assieme ad un piano più ravvicinato del viso, esplode il rumore delle cicale che accompagna costantemente le scene diurne in esterno. Marianne sbarra gli occhi. Scopriamo quindi in una soggettiva della ragazza che Lise se ne sta all’altro lato dell’atelier appollaiata sulla scala. Ciò che abbiamo visto dal risveglio di Marianne è appunto una soggettiva di Lise che assiste, trattenendo il respiro, al racconto del sogno. Marianne sembra svegliarsi per la seconda volta nella stessa scena: la realtà penetra violentemente nell’atelier attraverso i suoi occhi ed orecchie (Gli occhi rivelano la presenza dell’altra donna, le orecchie il mondo fuori che entra attraverso la porta aperta). La voce le si spezza in gola quando manifesta la sorpresa di trovare la moglie del pittore nell’atelier. Luogo che fin dal suo primo istante di posa era stato luogo esclusivamente dedicato alla neo coppia di lavoro. Lise si scusa dicendo: “È stato Edouard a dirmi di venire”, Il vecchio pittore infatti, sentendosi minacciato dalla giovane, ha chiesto alla moglie di assisterlo. Si creano due poli con al centro il pittore che sta creando una base su cui iniziare una nuova tela. CAMPO, SOGGETTIVA DI LISE Da una parte la ragazza, dall’altra la donna. La modella del passato e quella del presente. Tra le due si costruisce una tensione dello sguardo che il regista evidenzia incanalandola in un corridoio architettonico costituito da due grandi tele poggiate, frontali tra loro, su cavalletti. Quindi Lise dopo aver scambiato qualche battuta con Frenhofer, con una scusa, si allontana e richiude la porta alle sue spalle. Nuovamente cala il silenzio nell’ambiente. Marianne mossa dall’intrusione della precedente “Belle Noiseuse” indaga sul motivo dell’abbandono del precedente tentativo, il suo viso è determinato e le domande precise. Il primo piano la rende vincente nella conversazione, Frenhofer infatti gira a vuoto col corpo nel rispondere, i gesti sono inutili e sconnessi. Poi, per la prima volta, una tela occupa l’intero schermo. La mente di Frenhofer è annullata, stato d’animo che viene espresso attraverso un’infinita superficie bianca senza intrusioni 26
  • 27. dall’esterno su cui il pennello naviga tracciando dei segni poco convinti. Quindi Frenhofer deluso si versa da bere, Marianne si accende l’ennesima sigaretta. Alla fine della seconda giornata Frenhofer vuole abbandonare il tentativo, questa volta è Marianne a spronarlo a continuare e per la prima volta fissa lei l’appuntamento per il giorno successivo, nello studio. Sicura di sé si dirige nuovamente verso la scala, la luce è benevola e non crea angoli bui, un fascio rende la sua salita al piano superiore molto rassicurante. CONTROCAMPO, SOGGETTIVA DI MARIANNE Frenhofer, nella notte tra il secondo e il terzo giorno di posa, sfoglia il quaderno che contiene i suoi schizzi: prima le pagine con sopra Lise e poi le nuove con Marianne. Si capisce la differenza, oltre che dalle differenti figure, dalle pagine lasciate libere nel mezzo a separare i due periodi. La scena anticipa un nuovo colloquio tra le due donne che appartiene alla terza giornata di posa. TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI MARIANNE In questo piano sequenza Marianne si avvicina percorrendo il corridoio che porta al salone delle Chimere (quello che lei e Lise dicono di ritenere il posto più bello della casa). La m.d.p. rimane ad aspettarla nella sala. Quando Marianne vi entra Lise la saluta, la macchina indietreggia sempre assecondando il camminare di Marianne e allarga la porzione di campo visibile consentendoci di vedere anche Lise. Ancora una volta la sua presenza nella stanza è inaspettata. La donna siede su una panca coccolando il gatto, trattiene con le parole la giovane e la mette in guardia sul pericolo che corre a essere così coinvolta nella pittura del marito. Marianne tenta di proseguire verso l’atelier ed esce addirittura dall’inquadratura ma un’ulteriore richiamo di Lise la attira verso di sé. La donna nuovamente le dice di stare attenta e di rifiutare nel caso il pittore le chiedesse di ritrarla in viso. Marianne sempre in piedi, determinata a dare tutta se stessa per il lavoro, articola un “NO” che viene sovrastato da un esplosione all’esterno dell’edificio. 27
  • 28. LISE E MARIANNE NEL SALONE DELLE CHIMERE OMBRE E CORPI OMBRA. Marianne attende l’arrivo del pittore appoggiata alla parete d’entrata dell’atelier. La vestaglia scura e i capelli rendono la sua presenza addossata al muro simile ad un ombra. Il pittore entra e la sua ombra “collide” col corpo ombra della giovane. Si muove preparando la colazione e la sua ombra si staglia sulla parete dove rimane appoggiata Marianne che rifiuta il cibo. Il pittore spegne la fiamma del gas capendo che la ragazza è smaniosa di iniziare a lavorare. Il suo soffio è affaticato e rumoroso. Il respiro e il passo sono i segnali più evidenti dell’età del pittore. OMBRE E CORPI OMBRA, MARIANNE E FRENHOFER Marianne prende le redini del gioco, prepara un materasso a terra che le permetta di mostrarsi al pittore come meglio crede. Inizia a raccontare di sé e si muove liberamente. Le pose auto- dirette durano pochi secondi (come quando ci si distende a letto inquieti e si cerca la posizione più comoda per dormire). Si accovaccia di lato, poi si chiude a riccio e sentiamo il flusso della voce cambiare e giungere altalenante a seconda che la posizione le consenta di articolare le parole. Preme sulla mandibola e sul capo. Frenhofer gira attorno alla ragazza sdraiata “come un gatto col topo” secondo la stessa espressione di Marianne, e cerca di cogliere i tratti della figura in libertà. Ma Marianne, sentendosi violata nell’intimo, scatta seduta, il suo movimento è repentino e viene proposto per intero due volte da angolature differenti32. Una moviola in cui Frenhofer ripropone lo stesso 32 Cfr. §3, p.18 echi visivi 28
  • 29. “nooo” ululato di disaccordo che aveva opposto a Nicolas nella visita d’arrivo all’atelier. Frenhofer è inebetito e Marianne senza parole. Nuda. Viene lasciato passare del tempo in cui Porbus viene in visita a Lise e la sorella di Nicolas giunge al castello a cercarlo. Di nuovo nello studio, la giovane cammina fumando tra le tele su cui si trova la sua immagine che ormai copre tutte le pareti. Si muove morbida senza guardare avanti infatti finisce contro il pittore. Si capisce che entrambi sono ubriachi33. Marianne è di umore instabile: prima giocosamente propone un’indovinello (a cui Frenhofer non sa che dare come risposta: “siete voi” o “sono io” che ci fa capire a quale livello di chiusura verso l’ esterno siano arrivati), poi si fa cupa e manifesta il suo sentirsi fuori dal tempo (forse bambina forse anziana, totalmente astratta non capisce più se sia giorno o notte, non sente più né caldo né freddo). Sfila il lenzuolo dal materasso su cui giace e si ricopre tutta come un fantasma. Parla con un filo di voce appena, Frenhofer si distrae guardandosi attorno in cerca di altro liquore. Un primo piano ci mostra il suo viso con l’espressione di un ragazzino che in classe fa tutto tranne che ascoltare l’insegnante e dissimula facendo una faccia interessata ma il resto del corpo lo inganna. Infatti allungando un braccio per raccogliere una bottiglia da terra perde l’equilibrio e precipita, la ragazza scatta verso di lui come a evitargli la caduta che è già avvenuta. Frenhofer l’accusa di essersi mossa. Lei naturalmente scoppia a ridere dandogli del matto. I due mettono in atto una piccola parodia del rapporto pittore-modella cercando di stabilire se sia la modella a dover star ferma o il pittore. La figura di Marianne viene ripresa mentre a distanza con dei gesti direziona il corpo di Frenhofer in modo da ricostruire la sua posa/punto di vista precedente. Sentiamo il pittore che commenta i propri movimenti ma è lo spensierato ridere di Marianne ad essere inquadrato. Scherzano per qualche istante in cui il pittore dimostra un corpo giovane che gli permette di assecondare gli ordini di Marianne. Prima si mette in equilibrio a quattro zampe sopra lo sgabello quindi salta “alla cavallina” la ragazza che sta distesa sul materasso. 33 Cfr. §3, p. 24. Il vino era stato annunciato metaforicamente come uno delle componenti di unione dei due personaggi. 29
  • 30. PARODIA DEL RAPPORTO PITTORE-MODELLA. Da sotto la scala Frenhofer estrae un dipinto incompiuto di Lise che trasporta vicino a Marianne che rimane annichilita da quella visione. Il pittore, disposta la tela già dipinta sul cavalletto, sovrappone al corpo precedentemente disegnato quello della nuova modella (che tiene come ispirazione a cui alternatamene guarda ma che il regista non mostra). Il lavoro è lungo, la prima figura si oppone ad essere cancellata, ma, strato su strato scompare. La nuova modella viene sulla tela attorniata da una nebbia azzurra. Alla fine della sostituzione la luce nello studio è blu per la prima volta34. Si è fatta sera. Il pittore si allontana dalla tela e accende una lampada che decreta il termine della sessione di posa. Quella notte Lise penetra nuovamente nell’atelier col favore del sonno di chi vi è già dentro: il marito si è infatti assopito sul divano. La donna si guarda attorno sconvolta dal trovare un suo vecchio ritratto contaminato dalla figura della nuova modella. Fugge poi dallo studio lasciando inconsapevolmente l’impronta di un piede su un disegno gettato a terra. Il pittore viene svegliato dal gatto che si è intrufolato nello studio durante l’incursione di Lise. Si instaura un parallelismo con la sequenza del sogno del gatto di Marianne. QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA. Il quarto giorno non impiega molto tempo come i precedenti. 34 Cfr. § 2, p. 21, vedi i nudi blu, in primis la “pseudo-belle noiseuse”. 30
  • 31. Non si può dire veramente che il film parli della pittura, ma inizia un percorso in quella direzione: quando la pittura va a iniziare veramente non viene più mostrato il lavoro. Più che la storia di un quadro sono le operazioni propedeutiche ad essere interessanti secondo Rivette. E’ il giorno decisivo ma la tela non viene mostrata nel suo compiersi. Possiamo da alcuni elementi intuire che la posa della modella ripresa nel capolavoro sia quella mostrata nei pochi fotogrammi che li vedono al lavoro per l’ultima volta insieme. Marianne è in piedi su un lenzuolo rosso, dà le spalle al pittore, tiene un braccio alzato con la mano all’altezza del viso che ruota verso il pittore. Il regista insiste su questo voltarsi della modella indietro in più inquadrature35. Gli occhi di Marianne in tale gesto sono spalancati e invasi dalla disperazione, la sua espressione non sembra giustificata dalla situazione. Piccoli dipinge frontalmente su una tela di cui vediamo solo lo spessore. Emanuelle ripete la torsione del collo più volte e trema. Marianne nell’ultima posa per la tela che verrà murata. Frenhofer, aiutato da Maialine, nasconde il quadro di cui vediamo di sfuggita la parte inferiore. 35 Vedi nota n°37 2eco visivi 31
  • 32. 4. CONSIDERAZIONI FINALI. Rivette sostiene che i migliori risultati vengano lavorando su dei soggetti semplici e comunque su materie che si conoscono bene36. Più di uno studio ha evidenziato la centralità delle arti -la musica, la danza, la letteratura e il teatro- nella filmografia Rivettiana, che diventano soggetti semplici se si considera la vita di sacerdote dell’arte cui sembra essere votato il regista. Il regista ammette che i suoi film che mostrano il lavoro di altri artisti all’opera finiscono col parlare del cinema che tra le arti è la più giovane e che delle altre è in qualche modo la figlia rivoluzionaria. In occasione della conferenza stampa per la presentazione a Cannes nel 1991 della “Belle Noiseuse”37 dichiara che la metafora del cinema appare a lui stesso evidente solo in fase di montaggio e che non è premeditata. Nei film in cui si prepara uno spettacolo o un’opera d’arte l’attenzione viene convogliata verso l’artista e le altre persone coinvolte, sui loro incontri e scontri. Rapporti che riflettono le dinamiche che Rivette riscontra durante la direzione dei suoi film: William Lubchansky, capo operatore di molti suoi film, dichiara che il regista cerca di coinvolgere più che può i collaboratori e, in genere, non lavora su una sceneggiatura scritta nero su bianco ma su di un canovaccio38. Questo avviene per lasciare più possibilità alla creazione e interventi di attori e cineasti. “Non è insolito” - rivela Pascal Bonitzer, co- dialoghista del film - “che gli attori si trovassero a concordare con noi sul set le battute pochi minuti prima di girare le scene. Dialoghi che venivano scritti giorno per giorno perché Jacques voleva mantenere la possibilità di cambiare ogni scena in base a quelli che erano stati i risultati della precedente39”. Solitamente il regista preferisce girare le scene secondo l’ordine cronologico anche perché non essendoci una sceneggiatura completa risulta difficile girare una scena se non è stata girata la precedente. Durante le riprese de “La Belle Noiseuse”, ad esempio, la troupe si installa prima nell’Hotel dove alberga Marianne per girare il prologo, poi si sposta all’interno dell’atelier per tornare pochi giorni dopo all’Hotel per una nuova scena. Più che al risultato finale l’indagine di Rivette si rivolge al processo produttivo dal quale solitamente il fruitore viene escluso. 36 Helene FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, cit., p. 84. 37 Cfr. Jacques RIVETTE, Conférence de presse. 38 Cfr. William LUBCHANSKY, Il ne veut pas savoir…, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 170. W. Lubchansky è il capo operatore de “la Belle Noiseuse”. 39 Pascal BONITZER, Un methode de non-travail, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 169. P. Bonitzer è co-sceneggiatore e dialogista con Cristiane Laurent de “La Belle Noiseuse”. 32
  • 33. Il cinema possiede gli strumenti per rendere conto della durata della pittura mostrando l’onda creativa dell’artista nelle varie fasi, che per Rivette sono tutte interessanti comprese quelle di crisi. Il cinema probabilmente è tra le arti quella che prevede il maggior numero di figure professionali nella realizzazione, la più complessa ed eterogenea, quindi, la scelta di usare il pretesto teatrale o il lavoro di un pittore significa focalizzarsi su delle figure o dinamiche che intervengono comunque anche nel cinema. Tutta questa produzione è di conseguenza in qualche modo autobiografica. “La belle noiseuse” si inserisce appieno in questa serie di film che indagano sul procedimento artistico e rappresenta lo stadio di massimo avvicinamento allo studio dell’artista all’opera. Nel racconto Balzachiano a cui Rivette fa riferimento non viene lasciato spazio al lavoro fisico e psicologico del pittore con la modella che invece qui diventa il centro dell’interesse, il tema del film. Le sequenze dedicate alle sedute di posa nell’atelier occupano molto del girato e comunque tutto quello che avviene a contorno è conseguenza della produzione del capolavoro. Tensioni e gelosie dipendono dalla scelta di eseguire un capolavoro, non un semplice ritratto ma un progetto incompiuto che deve tra tutti essere il non plus ultra. Il lavoro assorbe tutte le energie dell’artista e della modella che finiscono col mettere momentaneamente in secondo piano le loro storie d’amore con poca pace dei rispettivi compagni. Il processo ancora una volta è più importante del risultato dell’opera d’arte tanto che alla fine il quadro viene murato. Il ritratto colpisce Marianne che vi si riconosce nel profondo. Il soggetto non guarda al ritratto come se si guardasse allo specchio ma la sua essenza viene filtrata dall’occhio di un mediatore. Sembra invece che la vita l’abbia portata a fingere a sé stessa e solo nell’incontro con la sensibilità di Frenhofer capisce qual’è la propria condizione e in base a quella prendere una più cosciente direzione. Non bisogna pensare che Frenhofer sia l’analista di Marianne perché infatti si aiutano reciprocamente a rimuovere gli ostacoli, che posti nel passato, ancora impediscono il fluire naturale nei rispettivi presenti. Ciò avviene a giorni alterni, si abbandonano reciprocamente e si impediscono vicendevolmente una fuga che annullerebbe gli sforzi profusi. Il risultato della collaborazione è quello tanto atteso dall’autore che preferisce però a quel punto rinunciare alla gloria per rispettare la persona che con la stessa forza si è dedicata all’opera. Il soggetto del quadro la Belle Noiseuse non è né Marianne, né Lise, né Catherine Lescaut. Le modelle sono molte e così pure le tecniche pittoriche utilizzate. “Il soggetto siete voi e non siete voi, se sarà voi sarà più di voi” annuncia Frenhofer quando Marianne lo pressa per sapere perché non abbia finito il lavoro con Lise e abbia ora scelto lei. Si giunge quindi alla conclusione che il soggetto è il quadro, la tensione creativa, la fatica e il piacere: non questa donna né la fedeltà ai tratti della sua rappresentazione, né questo colore, né 33
  • 34. questo pittore, ma il loro incontro-scontro, il riempimento del vuoto. “Non mi puoi lasciare nel vuoto”, dice appunto Marianne a Frenhofer, quando lui vuole abbandonare il lavoro. Gli occhi di Marianne hanno seguito il lavoro di Frenhofer passando dal terrore e dalla tristezza più cupa alla più convinta ostinazione e sostegno. Egli non si ritiene l’autore unico e quindi non si arroga il diritto di decidere da solo sul destino del quadro. Decide dunque, assecondando il volere inconfessato dell’altro, di rispettarne la dignità. Rivette rende omaggio a tutti i suoi collaboratori in maniera elegante e magistrale. La scelta di mostrare il lavoro congiunto del pittore e della modella svuota in parte il mito della “nascita delle immagini” ridistribuisce i meriti tra le parti e non suggerisce più l‘idea che il pittore sia un essere dotato di poteri speciali. 34
  • 35. BIBLIOGRAFIA TESTI DI CARATTERE GENERALE AUMONT JACQUES, L’occhio interminabile: Cinema e pittura, Marsilio, Venezia, 1991. AUMONT JACQUES, Entretien avec Jacques Rivette: Le temps déborde, in Cahiers du Cinéma, Parigi, 1968. BALZAC HONORE’ DE, Il capolavoro sconosciuto, Bur, Milano, 2002 BONITZER PASCAL, Peinture et cinéma. Décadrages, Cahiers du cinéma-Éditions de l’Étoile, Parigi 1985. CALVINO ITALO, Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio, Mondatori, Milano, 1995 CHABROL CLAUDE, La Nouvelle Vague, petite bibliothèque des Cahiers du cinéma, Parigi, 1999. COSTA ANTONIO, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002. DE FRANCESCHI LEONARDO (a cura di), Cinema/pittura. Dinamiche di scambio, Lindau, Torino, 2003. DE PASCALE GOFFREDO, Jacques Rivette, il Castoro cinema, Milano, 2002. LAVARONE GIULIA, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, tesi di laurea in Storia e critica del cinema, Università degli studi di Padova, a.a. 2004-2005. MARIE MICHEL, La Nouvelle Vague, Lindau, Torino, 1998. MORANDINI MORANDO, Il dizionario dei film 2005, Zanichelli, Padova, 2004. QUENEAU RAYMOND, Suburbio e fuga, Einaudi, Torino 1970. TESTI SU «LA BELLE NOISEUSE» DE BAECQUE ANOTOINE, Entretien avec Emmanuelle Béart, in « Cahiers du cinéma » n.447, Parigi, settembre 1991. DUFOUR BERNARD, Questions au peintre, in «Cahiers du cinéma» n.447, Parigi, settembre 1991. FRAPPAT HELENE, Jacques Rivette, secret compris, Cahiers du cinéma, Parigi, 2001. RIVETTE JACQUES, Conférence de presse (extraits). Cannes 1991, in «Cahiers du cinéma» n.445, Parigi, luglio 1991. PICCARDI ADRIANO, La belle noiseuse di Jacques Rivette, in Cineforum, n° 314, Bergamo,1992. TESTA CARLO, Alla ricerca del modello perduto. Rivette, Balzac e le imprudenze dell’arte, in LEONARDO DE FRANCESCHI, Cinema/pittura. Dinamiche di scambio, Lindau, Torino 2003. SCRITTI E ARTICOLI DI JACQUES RIVETTE RIVETTE JACQUES, Nous ne sommes plus innocents, in «La Gazette du cinéma» n.1, maggio 1950. RIVETTE JACQUES, Lettera su Rossellini (su Viaggio in Italia), in «Cahiers du cinéma» n.46, Parigi, aprile 1955. 35
  • 36. TESTI SU BALTHUS BALTHUS, Memorie, Longanesi e C., Milano, 2001. FELLINI FEDERICO, Balthus, in Catalogo generale Biennale, 1980, Venezia, 1980. SGARBI VITTORIO, Balthus, art e dossier, Firenze, 2001. 36