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Quando la società
non era ancora “liquida”
Cenni di storia del lavoro
e del tempo libero
nel quadro delle
tradizioni civiche
e della pastorale sociale
in Emilia-Romagna
PRIMA PUNTATA
Nella storia del complesso e articolato
quadro di relazioni tra Stato ed Enti Lo-
cali, un ruolo di particolare importanza
è unanimemente assegnato al fenome-
no della municipalizzazione dei servizi
pubblici. E’ dei primi anni del ‘900 l’e-
manazione della legge (presentata dal-
l’allora Ministro Giolitti) che legittima
gli Enti locali a produrre ed erogare di-
rettamente tali servizi. Quando, al ter-
mine del secondo conflitto mondiale, il
paese lacerato da profonde ferite del
tessuto politico-istituzionale ed econo-
mico-sociale avvierà le operazioni di ri-
costruzione, queste si legheranno ad
obiettivi di evidente contenuto sociale.
Anche la municipalizzazione dei servizi
non sarà legata soltanto al progressivo
ingrandirsi delle città, ma alla qualità
della vita urbana con la conseguente
evoluzione dei bisogni espressi da tali
importanti aggregazioni ed alla necessi-
tà di garantirne il soddisfacimento da
parte di tutte le fasce sociali.
A partire dall’immediato dopoguerra le
precarie condizioni abitative e la diffi-
coltà nello sgombero delle macerie au-
mentano un disagio aggravato dal pro-
blema dei senza tetto e reso drammatico
dal mancato rientro dei profughi nei
paesi di provenienza.
Ma il tessuto sociale ed economico dell’I-
talia stava cambiando rapidamente. Il
Piano Marshall, tra il 1948 e il 1951 aveva
emesso a favore dell’Italia autorizzazioni
di acquisto per ingenti somme, grazie alle
quali giunsero gratuitamente ai nostri
porti milioni di tonnellate di merci di pri-
ma necessità e macchinari [1].
In Emilia-Romagna buona parte di que-
sti fondi vennero impiegati per la rico-
struzione ferroviaria, per lavori pubblici
e per interventi di ricostruzione edilizia.
Il 6 luglio 1948 il Ministro del Lavoro
(Fanfani) presenta un disegno di legge –
approvato poi nel febbraio 1949 – che
prevede un piano per incrementare l’oc-
cupazione operaia, agevolando la co-
struzione di case per lavoratori. Il gran-
de flusso migratorio interno che aveva
spostato nelle fabbriche gran parte del-
la popolazione contadina, aveva dato
luogo ad una disordinata crescita urba-
nistica : nei nuovi quartieri che sorgeva-
no alla periferia mancavano adeguate
strutture assistenziali, luoghi di ritrovo,
impianti sportivi. Nella dilagante espan-
sione urbana che vede le periferie popo-
larsi di famiglie immigrate si avverte la
necessità di costituire “da dentro” una
ragione alla comune appartenenza. Es-
sendo il “disordine edilizio… un riflesso
del disordine economico, della mancan-
za di ideali sociali”, occorreva che “le
nuove aree insediative della città sentis-
sero la necessità della nascita di una
identità di luogo che servisse a dotare
gli abitanti di una coscienza umana e
abitativa; contribuisse a formare cioè
questi brandelli di abitato in parti di cit-
tà ed i “residenti” in comunità capaci di
autorigenerarsi come coscienza comuni-
taria. In questo senso diventa fonda-
mentale la relazione tra le istituzioni so-
ciali del territorio e quindi tra le forme
dell’agire politico : le associazioni, i par-
titi, i sindacati, le Aziende (in particolare
quelle di servizio pubblico).
In questo processo si presenta una pecu-
liare fusione tra istanze sociali di eman-
cipazione e progetti educativi/pedago-
gici delle culture politiche antagoniste
(democratica e socialista in particolare)
La "Società liquida"di Zigmunt Bauman
Secondo ZIGMUNT BAUMAN - uno dei più apprezzati sociologi a livello mon-
diale - la società di oggi è “liquida” . Ciò che è liquido non ha e non può avere
la stessa forma per lungo tempo, ed è soltanto il passaggio da un recipiente al-
l'altro che ne ridetermina la forma. Questo si applica ad ogni aspetto della forma
lavorativa, economica, politica, alle grandi questioni sociali, a quello che inte-
ressa alla gente, ma soprattutto alla "rete di connessioni personali", quella che
porti in giro in tasca nella memoria del tuo telefonino. Ti basta semplicemente
premere dei tasti per creare nuove connessioni o per romperne altre in maniera
irreparabile. Ecco il punto chiave: le relazioni possono nascere facilmente, ma
altrettanto facilmente possono rompersi. Ci si può connettere e disconnettere dal-
la rete di connessione personali senza obbligo di continuità. Tale dinamica non è
che un esempio di ciò che Bauman intende per società liquida.
GiovanniGiolitti
GiacomoLercaro
Lasocietàcivile
che ambiscono ad influenzare le forme
e i valori non solo della vita di relazione
ma anche degli strumenti istituzionali
di decentramento.
Le conseguenze non tardano a farsi sentire
anche in ambito ecclesiastico. I giovani
cattolici costretti ad abbandonare le par-
rocchie dove erano stati formati ed educa-
ti alla fede, arrivavano in città, provando
una sensazione di smarrimento e di sradi-
camento fortissima. E le condizioni in fab-
brica non erano certo delle migliori. La
realtà bolognese che il card. Lercaro (Arci-
vescovo di Bologna dal 1952 al 1968) in-
contrò nel corso del suo Magistero presen-
tava un carattere fortemente ideologico e
sicuramente “non molto aperto” nei con-
fronti del clero [2].
Nonostante l’impegno di sacerdoti illu-
minati che si dedicavano con energia al
mondo del lavoro, alla cooperazione, al
sindacato i tempi erano veramente diffi-
cili. Le aggressioni erano all’ordine del
giorno e l’accanimento fu contro sinda-
calisti e cooperatori, nonché contro i
primi accenni di dialogo tra imprendito-
ri e lavoratori.
L’uccisione di Giuseppe Fanin (giovane di-
rigente delle ACLI) nel 1948, l’invasione di
varie sedi delle organizzazioni cattoliche,
centinaia di
persone ferite
e aggredite te-
stimoniano
della dimensio-
ne storica as-
sunta da que-
sto problema. I
fatti di Bolo-
gna divennero
fra il ‘45 e il ‘50
un “caso nazionale”. In quel periodo (giu-
gno 1948) attraverso il riscatto dalla So-
cietà Nazionale Gasometri ed Acquedotti
nasce l’Azienda Municipalizzata Gas Acqua
di Bologna con la denominazione AMGA.
La rinascita delle tradizioni associative
represse dal regime fascista [3] diviene
una delle componenti della solida base
su cui fondare la tradizione civica regio-
nale. In Emilia-Romagna – ma con ruoli
invertiti rispetto al quadro nazionale,
dove il mondo cattolico e la DC guidano
la rinascita democratica e la ricostruzio-
ne economica – si assiste al confronto di
civiltà antagoniste, attraverso la denun-
cia di comportamenti indicati come
estranei a questa tradizione civica. In
realtà, contendendosi un medesimo spa-
zio associativo e simbolico, si finisce per
adattare le più efficaci forme di socializ-
lavoro. La disordinata crescita urbanisti-
ca coinvolgeva direttamente anche la
Chiesa. Da una parte c’era il centro sto-
rico, dentro la cerchia delle mura, con la
presenza di molte e capienti chiese, ma
sempre meno fedeli, perché la zona si
stava spopolando a favore della concen-
trazione di negozi e uffici; dall’altra sta-
va crescendo la periferia ma mancavano
gli edifici sacri. E’ in questo contesto che
si colloca una tra le iniziative di Lercaro
che fecero particolarmente discutere e
provocarono polemiche e reazioni con-
trastanti in città : la “Fraternitas”. Una
ventina di religiosi tra i vari ordini ven-
nero scelti e ricevettero il mandato di
andare tra la gente e portare il Vangelo.
La stampa ribattezzò l’iniziativa con il
termine “Volante” e “frati volanti” i suoi
membri. I “frati volanti” andavano per le
vie e le piazze a celebrare la Messa. Par-
tivano a bordo di un camion furgone
adibito permanentemente a cappella
con tutto l’occorrente: sul posto veniva-
no aperte le porte ed era una cappella
all’aperto.
Marco Malagoli
Gruppo animatori cristiani
ambiente di lavoro
zazione e di auto rappresen-
tazione dell’avversario [4].
E’ l’immagine trasmessa in
forme esemplificate nella
fortunata serie di film del
dopoguerra incentrati sulle
figure del sindaco comunista
Peppone e di Don Camillo.
E nella realtà delle aziende,
l’attacco contro la presenza
del sacerdote iniziava spesso
per ragioni in buona parte di
natura ideologica. Con il
proposito di avvicinare le
masse operaie, in gran parte
indifferenti se non ostili alla religione ed
alla Chiesa cattolica, venne costituita
(nei primi anni ’20, a Roma) l’Opera Na-
zionale Assistenza Religiosa e Morale
agli Operai (ONARMO).
Era in corso un acceso dibattito circa le
modalità dell’evangelizzazione del mon-
do del lavoro. In Francia si era comincia-
to a parlare di preti-operai quando la
massiccia deportazione di lavoratori in
Germania durante il secondo conflitto
mondiale, pose il problema dell’assisten-
za religiosa di questi esuli e a molti gio-
vani sacerdoti e seminaristi quello di
una doverosa solidarietà e partecipazio-
ne alla loro tragica esperienza. Numero-
si sacerdoti francesi divennero operai e
furono mandati a lavorare in Germania.
A Genova, nel 1955, per volontà del
Cardinale di quella città (Card. Siri) si
tenne un incontro tra i preti operai
francesi e i cappellani del lavoro che mi-
se in evidenza la grande diversità della
situazione italiana da quella d’oltralpe
anche in relazione alle modalità di pre-
senza dei sacerdoti nei luoghi di lavoro.
Il loro avvicinamento alle persone non
era un problema solo negli ambienti di
15
PER SAPERNE DI PIU’
[1] a cura di R.Balzani, A.Raggi
“Qualcosa è cambiato” Acqua, gas e igiene urbana a Forlì 1945-2000,
Ed. Franco Angeli
[2] A.M.Cremonini
“Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale”
Ed. Conquiste
[3] S.Rocca
“Se 60 anni vi sembran pochi 1934-1994”
Volume pubblicato dal Circolo Ricreativo Culturale A.Co.Se.R.
nel 60° della sua costituzione
[4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri
“Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi,
Editore Laterza
GiuseppeFanin
Lasocietàcivile
12
Nel periodo a cavallo tra anni ‘50 e ‘60 il
ruolo dello Stato come imprenditore era as-
sai forte e destinato a crescere nel tempo. La
nascita dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi),
che rilanciò l’impresa pubblica come stru-
mento di generale politica industriale accen-
tuò la tendenza che assegnava allo Stato la
funzione di determinare caratteristiche e
tempi dello sviluppo economico del paese. In
questo quadro, il biennio 1960-62 vide com-
piersi il processo che avrebbe condotto alla
collaborazione governativa tra DC e PSI non-
ostante il clima internazionale (scontro USA-
URSS a livelli preoccupanti, costruzione del
muro di Berlino, “crisi dei missili” provocata
dal tentativo sovietico di installare missili
nucleari a Cuba, etc..) non facilitasse le cose.
I socialisti considerarono punto ineludibile
dell’accordo la nazionalizzazione dell’indu-
stria elettrica (Legge del 1962) in quanto
strumento necessario per avviare, sotto il
controllo dello Stato, una politica energetica
nazionale a favore dello sviluppo delle aree
arretrate, altrimenti svantaggiate dalla logi-
ca del massimo profitto che difficilmente vi
avrebbe destinato investimenti privati per la
costruzione di nuovi impianti. Venne così
cancellato il forte potere dei monopoli priva-
ti dell’energia ma le modalità con le quali
venne condotta la nazionalizzazione porta-
rono all’assegnazione di un lauto indennizzo
direttamente nelle casse delle stesse aziende,
che continuarono ad operare godendo di
un’enorme disponibilità finanziaria. I gruppi
ex elettrici costituirono un nuovo monopolio
(quello della Montedison) nel settore petrol-
chimico, che si sarebbe rivelato un gigante
dai piedi di argilla, salvato solo grazie all’in-
tervento dello Stato attraverso l’ENI (fine
anni ‘60). Di quale potere avessero goduto le
società elettriche in Italia apparve tragica-
mente chiaro con il disastro del Vajont, avve-
nuto a nazionalizzazione appena conclusa.
Per certi versi tale disastro assume un valore
paradigmatico del “miracolo” italiano fatto
di sviluppo senza troppe regole con vittima
predestinata l’Italia contadina e montanara
spazzata via dall’onda del progresso. Tale
progresso aveva un chiaro modello di riferi-
mento. Nel mondo del lavoro si era imposto
quello americano cosiddetto fordista-taylo-
rista basato sulla produzione in grande scala
di prodotti standardizzati (fordismo) associa-
ta alla cosiddetta organizzazione scientifica
del lavoro (taylorismo) consistente nella rigi-
da divisione tra progettazione ed esecuzione,
nella scomposizione del lavoro in atti ele-
mentari e nella identificazione della “via mi-
gliore” relativa alla loro realizzazione.
L’imporsi ed il diffondersi di stili di vita con-
sumistici hanno poi costituito l’evoluzione
sociale complementare ed il presupposto
stesso per il successo su scala mondiale di ta-
le modello. In Italia, nel decennio 50-60,
non si ebbero perciò soltanto un progresso
economico senza precedenti e un’enorme ri-
dislocazione della popolazione sul territorio
ma si completarono le profonde trasforma-
zioni sociali e culturali, che ne ridisegnarono
identità, modi di vivere, consumi, linguaggi,
rapporti sociali, familiari e di genere. L’Italia
fece il suo ingresso nell’era della motorizza-
zione di massa. La conquistata mobilità
cambiò le abitudini di vita e il tempo libero
degli italiani, offrendo loro l’opportunità di
visitare luoghi sconosciuti e di uscire dal
mondo in cui erano sempre vissuti. L’auto-
mobile, insieme alla televisione ed agli elet-
trodomestici, può essere a ragione conside-
rata uno dei simboli più rappresentativi del
“miracolo” economico.
Tutti desideravano, progettavano e progres-
sivamente acquistavano l’automobile, dall’o-
peraio all’impiegato, dal settentrionale al-
l’immigrato, con l’oggetto del desiderio che
mutava, promettendo sempre di più a un
prezzo sempre più abbordabile, dalla FIAT
600 (1955) alla 500
(1957), fino ad arri-
vare con il 1960 a
vetture di media ci-
lindrata come la FIAT
1100 e la Giulietta
dell’Alfa Romeo.
Dietro quest’avvenu-
ta mutazione c’è l’I-
talia dei treni popo-
lari, delle escursioni
di massa, l’Italia degli
operai e degli impie-
gati che mandano i
figli nelle colonie
Quando la società
non era ancora “liquida”
Cenni di storia del lavoro
e del tempo libero
nel quadro delle
tradizioni civiche
e della pastorale sociale
in Emilia-Romagna
SECONDA PUNTATA
CANZONE
DEL MAGGIO
(F. De Andrè – G.Bentivoglio)
Anche se il nostro maggio ha fatto a
meno del vostro coraggio, se la paura
di guardare vi ha fatto chinare il men-
to, se il fuoco ha risparmiato le vostre
1100, anche se voi vi credete assolti,
siete lo stesso coinvolti. E se vi siete
detti non sta succedendo niente, le
fabbriche riapriranno, arresteranno
qualche studente, convinti che fosse
un gioco a cui avremmo giocato poco,
provate pure a credervi assolti, siete lo
stesso coinvolti. Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso la not-
te che le “pantere” ci mordevano il se-
dere, lasciandoci in buona fede massa-
crare sui marciapiedi, anche se ora ve
ne fregate, voi quella notte voi c’era-
vate. E se nei vostri quartieri tutto è
rimasto come ieri, senza le barricate,
senza feriti, senza granate, se avete
preso per buone le verità della televi-
sione, anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti. E se credete
ora che tutto sia come prima perché
avete votato ancora la sicurezza, la di-
sciplina, convinti di allontanare la
paura di cambiare verremo ancora al-
le vostre porte e grideremo ancora più
forte per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
(canzone tratta dal concept album “Storia
di un impiegato” ispirato agli avvenimenti
del Maggio francese con gli scontri tra po-
lizia e studenti sulle barricate di Parigi ed
alla contestazione giovanile del 68)
Lasocietàcivile
SEGUE A PAGINA 12 13
marine a spese del Dopolavoro.
Ed è sicuramente in questo ambito che si col-
loca la storia del Dopolavoro Officina del gas
di Bologna (nato nel lontano 1934). Ai tempi
del fascismo l’organizzazione dopolavoristica
era stata rigidamente determinata dall’Opera
Nazionale Dopolavoro (O.N.D.) ente diretta-
mente controllato dai vertici del regime e fi-
nalizzato ad indirizzare l’impiego delle ore li-
bere dei lavoratori nello spirito di incondizio-
nata adesione ideologica. Con la liberazione
dell´Italia dal nazifascismo rinasce la possibili-
tà per i cittadini di autoorganizzarsi in associa-
zioni politiche, culturali, sportive, ricreative. I
cittadini, i lavoratori sono impegnati al restau-
ro e alla ristrutturazione degli immobili usciti
fatiscenti dall´incuria e dalla guerra. Non-
ostante le cattive condizioni economiche, la
forte volontà di creare centri di vita democra-
tica si esprime attraverso una grande mobilita-
zione che comporta sottoscrizioni e lavoro vo-
lontario. I beni immobili del regime e delle as-
sociazioni create in quel periodo, erano passa-
ti allo Stato producendo una situazione di in-
certezza del diritto di proprietà che consentirà
allo Stato di avviare una azione multiforme
contro il movimento associativo. E´ in questo
contesto che, mentre le sinistre cercano di
conservare l´unitarietà del movimento circoli-
stico nell´ENAL (nuova denominazione dell’
OND) puntando alla sua democratizzazione, i
cattolici prima ed i repubblicani poi,
costituiscono proprie organizzazioni
del tempo libero fondando le ACLI e
l´ENDAS alle quali vennero ricono-
sciuti tutti i benefici di legge e con-
cesso l´utilizzo di impianti e attrezza-
ture. Nel 1955 il Ministro Scelba fir-
mando il nuovo statuto dell´ENAL,
che non accolse nessuna delle istanze
di democratizzazione, spinse i circoli,
le case del popolo e le Società di Mu-
tuo Soccorso verso la costituzione di
un’unica organizzazione nazionale
(Associazione Ricreativa Culturale Ita-
liana : ARCI).
La decisione di dar vita ad una orga-
nizzazione unitaria nel campo cul-
turale e ricreativo non fu solo le-
gata al desiderio di contrastare le
tendenze centralizzanti dell´ENAL e
di competere con la vasta azione
svolta dai circoli confessionali e con
le iniziative ricreative dei grandi
complessi aziendali, ma anche allo
sviluppo di nuove possibilità di uti-
lizzo del "tempo libero", che inter-
cettassero i segni del cambiamento sociale.
Negli anni 60 l‘ARCI comincia così il suo la-
voro di trasformazione da movimento di di-
fesa ad organizzazione culturale prefiggen-
dosi di contribuire al superamento della se-
parazione esistente nel paese fra "la cultura
dei semplici" e "la cultura degli intellettuali".
Siamo nel periodo in cui la censura imper-
versa sulla produzione culturale di massa (ci-
nema, musica, TV, ecc.).
“C’era un ragazzo che come me amava i
Beatles e i Rolling Stones”, scritto da Mi-
gliacci per Gianni Morandi, incappò nella
scure della censura televisiva per i versi “mi
han detto va nel Vietnam e spara ai Viet-
cong”, e un po’ per tutta l’atmosfera antia-
mericana che vi si leggeva. Su Morandi erano
state esercitate vere e proprie pressioni per-
ché abbracciasse il movimento beat e dices-
se “qualcosa di protesta”. Quella protesta che
ben riassume il copione di Hair (musical che
esordì nel 1968 a Broadway). Hair racconta
la storia di un gruppo politicamente attivo di
“capelloni”, “hippies dell’età dell’Aquario”,
che combattono la coscrizione alla guerra
del Vietnam e conducono insieme una vita
da bohemien a New York. La loro lotta ruota
intorno al tentativo di creare un equilibrio
tra l’armonia della vita comunitaria e i nuovi
valori promossi dalla rivoluzione sessuale, da
un lato, e la ribellione pacifica contro la
guerra e i valori conservatori dei genitori e
della società, dall’altro. Ed è proprio forse la
musica a chiarire il carattere ambivalente
dell’universo giovanile di quegli anni. In Ita-
lia questi caratteri di ambiguità si ravvisaro-
no nell’atteggiamento dei giovani di fronte
alla politica. Da una parte vi fu l’imporsi di
atteggiamenti individualistici che portarono
ad un crescente distacco dal “sistema dei
partiti” e al disinteresse per la partecipazione
politica, dall’altra nuove tensioni conflittua-
li soprattutto tra i giovani operai, che inizia-
rono a mobilitarsi autonomamente per otte-
nere non solo salari più alti ma anche carichi
di lavoro più sopportabili.
Furono proprio le nuove tensioni sviluppate-
si nel mondo giovanile, studentesco e ope-
raio, a scatenare la stagione dei movimenti
alla fine degli anni 60.
Il movimento studentesco raggiunse il suo
apice nella primavera del 1968 con l’occupa-
zione dell’Università di Roma. Fu un punto di
svolta nella parabola del movimento, che a
partire da quel momento si fece più politi-
cizzato e disposto allo scontro con l’estrema
destra e con la polizia. Dopo un mese di oc-
cupazione arrivò lo sgombero violento del-
l’università da parte delle forze dell’ordine e
in seguito lo scontro aperto con cariche del-
la polizia e reazione degli studenti che in-
cendiarono i mezzi della polizia e mandarono
all’ospedale decine di poliziotti. Inizia da qui
l’accettazione della violenza da parte di un
movimento che fino ad allora era stato so-
stanzialmente pacifico e che ora decideva di
contrastare lo Stato e il suo monopolio della
forza. Le istanze libertarie e dissacranti dei
primi mesi lasciarono spazio a un rapido pro-
cesso di iperpoliticizzazione che portò alla
frammentazione del movimento in tanti
gruppuscoli e partitini spesso in contrasto
l’uno con l’altro.
Il movimento si istituzionalizzava attraverso
formazioni che cercavano una propria strut-
turazione organizzativa in grado di consen-
tire quell’azione politica che prima era espli-
PREGHIERA
IN GENNAIO
(F. De Andrè)
Lascia che sia fiorito Signore il suo
sentiero quando a te la sua anima e al
mondo la sua pelle dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo là dove in
pieno giorno risplendono le stelle.
Quando attraverserà l’ultimo vecchio
ponte ai suicidi dirà baciandoli alla
fronte venite in Paradiso là dove vado
anch’io perché non c’è l’inferno nel
mondo del buon Dio. Fate che giunga
a voi con le sue ossa stanche seguito
da migliaia di quelle facce bianche, fa-
te che a voi ritorni tra i morti per ol-
traggio che al cielo ed alla terra mo-
strarono il coraggio. Signori benpen-
santi spero non vi dispiaccia se in cie-
lo, in mezzo ai santi, Dio fra le
sue braccia soffocherà il sin-
ghiozzo di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza pre-
ferirono la morte. Dio di miseri-
cordia il tuo bel Paradiso lo hai
fatto soprattutto per chi non ha
sorriso per quelli che han vissu-
to con la coscienza pura l’infer-
no esiste solo per chi ne ha pau-
ra. Meglio di lui nessuno mai ti
potrà indicare gli errori di noi
tutti che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce che ormai
canta nel vento. Dio di miseri-
cordia vedrai sarai contento.
(Canzone dedicata da
Fabrizio De Andrè a Luigi Tenco
subito dopo il suo suicidio)
Lasocietàcivile
citamente rifiutata. L’obiettivo era orientare
una classe operaia già in movimento, rilan-
ciarne la predisposizione rivoluzionaria e
mettersi alla testa di una alleanza sociale in
grado di affrontare lo scontro con lo stato e
di farsi motore di un profondo mutamento
sociale. Il riuscito e prolungato collegamento
tra movimento studentesco e lotte operaie è
un carattere distintivo del 68 italiano. Un’ al-
tra particolarità è rappresentata dalla pre-
senza significativa dei cattolici. Il movimento
studentesco aveva preso le mosse dagli am-
bienti cattolici della facoltà di sociologia
dell’Università di Trento e dalla Cattolica di
Milano e aveva poi trovato una delle sue
componenti essenziali nelle elaborazioni del
cosiddetto cattolicesimo del dissenso. Sono
anni in cui più alte diventano le defezioni
sacerdotali, soprattutto di giovani preti che
avvertono la crisi del ruolo del clero in una
società che si sta secolarizzando. (Per contro
si rafforza la presenza di preti operai, che
cercano di condividere l’esperienza di vita e
di lavoro dei soggetti più emarginati e affi-
dano alla testimonianza la loro missione.) A
partire dal 1966-67 nacquero aggregazioni
cattoliche che si ponevano in esplicito e ra-
dicale dissenso con le gerarchie ecclesiasti-
che, giudicate troppo timide e conservatrici.
Si costituirono delle “comunità di base” che
riunivano sacerdoti e laici intenzionati a
muoversi senza il vincolo di obbedienza alle
autorità ecclesiastiche. La contestazione ec-
clesiale tendeva a leggere lo stesso Concilio
Vaticano II (1962,1965) come una rivoluzio-
ne democratica della Chiesa, magari sotto
l’influsso del dialogo marxismo-cristianesimo
e con una forte attenzione al discorso elabo-
rato dalla teologia della liberazione. I feno-
meni rivoluzionari che andavano sviluppan-
dosi nel mondo, dall’America Latina all’Asia,
venivano interpretati come importanti mani-
festazioni di una rivoluzione che si stava tra-
sferendo nei paesi occidentali. Ecco allora il
successo dei guerriglieri sudamericani, dei
preti rivoluzionari dell’America Latina, di Fi-
del Castro, Che Guevara e dell’esperienza cu-
bana, dei combattenti vietnamiti e di Ho Chi
Minh impegnati contro il Golia americano, di
Mao Tsetung e della rivoluzione culturale in
Cina. Rispetto ai nemici “storici” e visibili
(come il comunismo o il liberalismo), la Chie-
sa scopre di avere di fronte il pericolo di una
nuova sensibilità popolare tendente a ridur-
re l’importanza dei valori religiosi. La grande
maggioranza degli italiani manteneva sì un
orientamento cristiano, ma tale radicamento
sembrava essere più di facciata che di so-
stanza. Il processo di modernizzazione del
paese, pur non sradicando i riferimenti reli-
giosi, li rendeva più deboli e incerti proprio
nel momento in cui si stavano diffondendo
altre forme e movimenti di spiritualità. Gli
ordini e le congregazioni religiose vennero
messi a dura prova dalle tensioni interne alla
Chiesa e da quelle esterne della contestazio-
ne studentesca. Le stesse attività conciliari
spingevano i religiosi a scoprire il fascino
dell’impegno pastorale e sociale sul territorio
e a interrogarsi sul modo più adeguato di in-
terpretare il carisma dell’ordine e della con-
gregazione di appartenenza. Il clima sociale
che attribuiva grande valore ad un impegno
sociale e politico tra la gente dei quartieri,
nelle periferie urbane, negli ambienti di la-
voro ha sicuramente pesato sulla crisi di ri-
conoscimento della vita consacrata, tant’è
che il difficile passaggio del post-Concilio e
della contestazione studentesca sembra aver
indebolito più gli istituti religiosi che la
Chiesa delle diocesi e delle parrocchie.
Il Concilio aveva richiamato la Chiesa ad una
presenza più spirituale e pastorale nella so-
cietà, meno coinvolta nelle specifiche scelte
politiche dei diversi contesti in cui operava.
L’inizio di questo nuovo corso avvenne sotto
il pontificato di Paolo VI che, con scelte co-
raggiose e sofferte, cercherà di tenere unita
una Chiesa sempre più divisa tra conservato-
ri e progressisti. La ripresa dei temi e dei di-
battiti spirituali segnò la fine dello stretto
collateralismo tra associazioni cattoliche e
DC. L’Azione Cattolica se ne distanziò pro-
gressivamente, fino a compiere la cosiddetta
“scelta religiosa” che portò ad un minore im-
pegno in politica a vantaggio di un aumen-
tato sforzo in ambito religioso, spirituale e
pastorale. Le ACLI, al decimo congresso
(1966) misero in discussione l’unità politica
dei cattolici, ponendo fine alla propria di-
pendenza dalle gerarchie ecclesiastiche e ac-
centuando la propria collocazione a sinistra.
Nel blocco cattolico settori sempre più ampi
guardavano apertamente a sinistra, in con-
sonanza con temi che erano stati
messi in rilievo dallo stesso Concilio,
come quello della “chiesa dei pove-
ri”. Il culmine della saldatura tra cul-
tura cattolica e nuova sinistra si toc-
cò con la diffusione del libro di Don
Milani “Lettera a una professoressa”
(1967). Anche grazie al contributo
che venne dalle analisi di Don Mila-
ni, alcuni Comitati e circoli dell´AR-
CI (in particolare a Firenze) speri-
mentarono forme di doposcuola e
la costruzione di occasioni e sedi di
iniziativa per e con i ragazzi, capaci
di fornire stimoli ed esperienze che
la scuola non poteva dare loro.
L´Istituzione Scolastica appariva, in-
fatti, del tutto impreparata a rendere effetti-
vo il diritto all’istruzione (la scuola media
obbligatoria, con estensione dell´obbligo
scolare fino ai 14 anni di età, diventa norma
di legge nel 1962) ed emarginava molti ra-
gazzi , quasi sempre, di estrazione operaia o
contadina.
Possiamo dire che ci sono stati molti ’68. C’è
ovviamente il 68 degli studenti e del movi-
mento operaio. Ma c’è anche il 68 della psi-
chiatria e della medicina alternativa, della
magistratura, del mondo della scuola, del
movimento femminista, del movimento con-
ciliare, perfino di un certo fermento demo-
cratico dentro la polizia. Tant’è vero che
quando si tirano le somme della repressione
giudiziaria del movimento complessivo del
1968-1969, si trovano accomunati in decine
di migliaia di denunce e processi studenti,
operai, preti e laici, insegnanti, psichiatri,
medici,etc.. La domanda che sorge è la se-
guente : c’è qualcosa che accomuna i molti
68, una spinta profonda, un orizzonte di
senso? Un orizzonte di senso sul quale, forse,
Luigi Tenco si era già interrogato l’anno pri-
ma (1967) quando il suo brano “Ciao amore
ciao” non fu ammesso alla serata finale del
Festival di San Remo (dodicesimo posto nel
voto popolare e fallito ripescaggio). Il suo
corpo venne trovato nella camera dell’alber-
go con un foro di proiettile alla testa. Un bi-
glietto vergato a mano riportava: « Io ho vo-
luto bene al pubblico italiano e gli ho dedi-
cato inutilmente cinque anni della mia vita.
Faccio questo non perché sono stanco della
vita (tutt'altro) ma come atto di protesta
contro un pubblico che manda "Io tu e le ro-
se" in finale e ad una commissione che sele-
ziona "La rivoluzione". Spero che serva a
chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »
Una significativa risposta della Chiesa alle
attese del mondo contemporaneo era stata
presentata nel 1966 con la “Gaudium et
spes” (1966), che affrontava organicamente i
temi della cultura, della vita economico-so-
ciale, del matrimonio e della famiglia, della
comunità politica, della pace e della comuni-
tà dei popoli, alla luce della visione antropo-
logica cristiana e della missione della Chiesa.
Tutto deve essere considerato a partire dalla
persona e in direzione della persona : “la sola
creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se
stessa”. Paolo VI, presentando lo sviluppo come
passaggio da condizioni di vita meno umane a
condizioni più umane affermerà che sviluppo è
il nuovo nome della pace (“Populorum Progres-
sio” - 1967) e implica, per ogni persona , l’ac-
quisizione della cultura, il rispetto della dignità
degli altri, il riconoscimento dei valori spirituali
e della loro sorgente. Nel 1967 Paolo VI istituirà
la Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” e, a
cominciare dal 1968, su sua iniziativa, la Chiesa
celebrerà, il primo giorno dell’anno, la Giornata
Mondiale della Pace. In quello stesso anno
(1968) a Bologna, tale giornata verrà celebrata
dal Cardinal Lercaro con una famosa e fermis-
sima condanna della guerra del Vietnam.
Marco Malagoli
Gruppo animatori cristiani ambiente di lavoro
14
PER SAPERNE DI PIU’
[1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)”
Ed. Garzanti
[2] Supplemento a MICROMEGA n.1/2008 “Sessantotto : Mito e realtà”
[3] Storia dell’ARCI : www-arci.it
[4] F. Garelli “La Chiesa in Italia” Il Mulino Farsi un’idea
Lasocietàcivile
L’8 maggio 1971 il Consiglio Permanente del-
la CEI, affermava in un comunicato che le
ACLI, per il loro impegno sociale e per le scel-
te operate, non si potevano più enumerare tra
le Associazioni raccomandate dalla Gerarchia
Ecclesiastica; questa dichiarazione fu ripresa
da Paolo VI con aggravata deplorazione; la
conseguenza fu il ritiro degli Assistenti Eccle-
siastici dall’Associazione. Il comunicato affer-
mava inoltre che la Chiesa Italiana assumeva
in proprio la pastorale del mondo del lavoro,
senza più deleghe ad altri; e si decideva di
istituire a livello nazionale, e in ogni diocesi, il
“Gruppo sacerdotale della pastorale del lavo-
ro”, con lo scopo di riunire in un unico organi-
smo quei sacerdoti che, a vario titolo e con di-
verse presenze, operavano in questo ambito
pastorale. I Gruppi avrebbero dovuto costitui-
re il coordinamento, con un sacerdote delega-
to diocesano, della pastorale del mondo del
lavoro ed essere i promotori del suo inseri-
mento all’interno della pastorale ordinaria
delle Chiese locali, a partire dalla parrocchia.
L’ONARMO, già da tempo aveva cominciato
ad “inventarsi” una presenza nelle fabbriche :
con fantasia e sensibilità, il suo direttore
Mons. Baldelli aveva cercato tutti gli stru-
menti più adatti per evangelizzare quel mon-
do. Promosse attività sociali e ricreative, orga-
nizzando mense aziendali, dormitori, scuole
serali ma, soprattutto, è a lui che si deve l’i-
dea dei cappellani del lavoro. In prima perso-
na girò l’Italia intera bussando alle porte dei
Vescovi per chiedere di mandare sacerdoti co-
me cappellani. Nacque in questo modo, a Bo-
logna una comunità costituita da un gruppet-
to di sacerdoti che dovevano assistere a tem-
po pieno i lavoratori e che vivevano insieme,
si aiutavano a vicenda, si confrontavano per
migliorare il loro apostolato. Nella città felsi-
nea, il Seminario dell’ONARMO (che aveva ac-
quistato la sua fisionomia e funzione già a
partire dal 1949) era aperto a tutti e i giova-
ni seminaristi arrivavano da tutte le diocesi
d’Italia per studiare materie quali : storia so-
ciale della Chiesa, diritto del lavoro, malattie
sociali, sociologia, economia politica, pedago-
gia e psicologia. Il card. Lercaro riteneva che
l’ONARMO dovesse svolgere essenzialmente
due servizi al mondo del lavoro : da una par-
te, dare ai lavoratori casa e pane; dall’altra,
offrire anche un sostegno di tipo spirituale. E’
significativa la testimonianza di Mons. Maga-
gnoli che racconta come il card. Nasalli Roc-
ca, predecessore del card. Lercaro, gli avesse
raccomandato di non stare né dalla parte de-
gli operai, né da quella dei padroni, perché il
suo compito era quello di fare il prete degli
uni e degli altri. Il Seminario chiuse nel 1975
per mancanza di vocazioni. Proprio in quegli
anni terminava il lungo ciclo di protesta ope-
raia iniziata con la grande fase di mobilitazio-
ne nazionale dell’autunno 1969 (il cosiddetto
“autunno caldo”) per il rinnovo del contratto
dei metalmeccanici conclusasi con importan-
ti conquiste dei lavoratori, sia sul fronte retri-
butivo sia su quello delle condizioni di lavoro.
Sulla spinta delle dure lotte operaie e studen-
tesche, era emersa violentemente l'esigenza di
una gestione diretta, in prima persona, dei
problemi della salute da parte dei lavoratori e
di un modo diverso di fare medicina nella so-
cietà. La difesa della salute sul lavoro divenne
a quel punto un nodo centrale dell'iniziativa
sindacale e politica, tanto che il Parlamento
stesso si trovò costretto a riconoscerne l'im-
portanza, approvando con la legge 300 del
1970 "Statuto dei Lavoratori" l'art. 9 che, ro-
vesciando la logica fino allora dominante, af-
fermava: "I lavoratori, mediante loro rappre-
sentanze, hanno diritto di controllare l'appli-
cazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionali e di
promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'atti-
vazione di tutte le misure idonee a tutelare la
loro salute e la loro integrità fisica". Il rappor-
to quindi, che prima avveniva quasi esclusiva-
mente tra mondo medico-scientifico e padro-
nato, cominciò ad avere un terzo interlocuto-
re, un terzo soggetto: il lavoratore. Ma il cam-
mino era ancora lungo ed impervio. Negli Sta-
ti Uniti le industrie e le loro associazioni di ca-
tegoria continuavano a sostenere che, quan-
do tra il Natale 1973 e il gennaio 1974 si era-
no accorte che gli operai del ciclo produttivo
CVM-PVC (“ciclo produttivo della plastica”)
morivano di tumore al fegato con troppa fre-
quenza, era stato per loro come essere colpiti
da un fulmine a ciel sereno. Non era proprio
così. E il problema non riguardava solamente
le aziende al di là dell’oceano. Nel corso degli
anni sessanta l’oncologo bolognese Cesare
Maltoni si era cimentato con la complessa
problematica legata alla nocività delle mate-
rie plastiche. Sapeva perfettamente dell’inesi-
stenza in natura di molecole composte di clo-
ro e di carbonio. E sapeva benissimo che , fino
ad allora, nessuno era ancora riuscito a verifi-
care il loro impatto sull’ambiente e sull’uomo.
Per le sue prime ricerche, aveva sfruttato le
ancora misere e inutilizzate strutture del ca-
stello di Bentivoglio, situato a meno di venti
chilometri da Bologna, sulla direttrice di Fer-
rara. Nelle ultime fasi della seconda guerra
mondiale questo grande castello era stato
adibito a ospedale militare britannico. Da
quell’epoca, però, era rimasto in stato di se-
miabbandono. Al suo recupero e a un suo più
adeguato utilizzo ci pensò il professore con la
sua grande vitalità e con la voglia di trovare
spazi sempre maggiori per le sue ricerche
scientifiche. Gli approfondimenti bolognesi in
materia di CVM portarono alla conferma del-
la sua cancerogenicità e contribuirono al rico-
noscimento di questo problema da parte del-
le multinazionali. Una storia che si ripeterà
per un’altra materia ampiamente diffusa ed
utilizzata nei cicli produttivi: l’amianto. Il te-
ma dell’informazione sulla pericolosità delle
sostanze utilizzate in ambito industriale non-
ché l’importanza di fornire a tutti una corret-
ta e trasparente informazione assunse parti-
colare rilevanza anche per l’attività legislativa
europea in occasione dell’ incidente del 10 lu-
glio 1976 alla ICMESA di Seveso. In Italia, l’o-
pinione pubblica non aveva ancora comincia-
to a rivolgersi con occhio critico ai grandi in-
sediamenti industriali e a valutare il danno
che questi possono comportare nei termini di
coinvolgimento del tessuto socio-produttivo,
delle attività preesistenti. Per quanto in ritar-
do rispetto agli analoghi movimenti presenti
negli Stati Uniti, si svilupparono velocemente
anche in Europa fenomeni di opposizione agli
insediamenti industriali, in particolare se nu-
cleari. In Italia questo avvenne in occasione
della costruzione della quinta centrale italiana
(Montalto di Castro, nel viterbese). Nella po-
polazione di Montalto l’opposizione divenne
consistente nel corso del 1976 e, soprattutto,
del 1977, con l’occupazione della stazione
ferroviaria di Capalbio e blocchi stradali. Pre-
se così vigore in quegli anni il movimento an-
tinucleare e le varie contestazioni a carattere
locale ed eterogeneo cominciarono a configu-
rarsi come un movimento nazionale contro
l’energia nucleare.
L’ENEL (che, a cavallo del processo di nazio-
nalizzazione delle imprese elettriche aveva
assorbito le Società che avevano costruito le12
Quando la società
non era ancora “liquida”
Terza puntata
Eppure soffia
(Pierangelo Bertoli,1977)
E l'acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi
uccelli che volano a stento malati di morte
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte
un'isola intera ha trovato nel mare una tomba
il falso progresso ha voluto provare una bomba
poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita
invece le porta la morte perché è radioattiva
Eppure il vento soffia ancora
spruzza l'acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie
bacia i fiori li bacia e non li coglie
Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale
ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale
ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario
e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario
e presto la chiave nascosta di nuovi segreti
così copriranno di fango persino i pianeti
vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli
i crimini contro la vita li chiamano errori
Eppure il vento soffia ancora
spruzza l'acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie
bacia i fiori li bacia e non li coglie
eppure sfiora le campagne
accarezza sui fianchi le montagne
e scompiglia le donne fra i capelli
corre a gara in volo con gli uccelli
Eppure il vento soffia ancora!!!
Cronacaesocietà
13
Cronacaesocietà
prime tre centrali nucleari italiane) alla fine
del 1969 aveva dato segnali di un rinnovato
interesse per il nucleare e – dopo una pausa
durata un decennio – deciso di avviare la co-
struzione (1971) a Caorso della quarta cen-
trale italiana. Il programma ENEL prevedeva,
per il quadriennio 1970-1974, l’ordinazione,
in media, di una unità nucleare da 800-1000
MWe all’anno, ma vennero poi negati all’E-
NEL, i necessari finanziamenti, con la conse-
guente sosta forzata fino al 1972, quando il
programma fu ripreso. A partire dagli anni
settanta la programmazione energetica a li-
vello governativo (CIPE) prese forma con i
Piani Energetici Nazionali. Il primo program-
ma energetico fu il PEN 1975 che si propone-
va il graduale superamento del formidabile
squilibrio dell’offerta, concentrata per oltre il
70% su prodotti petroliferi, aumentando –
nel breve periodo – l’utilizzo di fonti energe-
tiche alternative (metano e carbone), nel me-
dio-lungo periodo riprendendo la ricerca in
campo geotermico, completando gli investi-
menti sul settore idroelettrico e varando un
programma elettronucleare di notevoli di-
mensioni. Il nuovo interesse per il nucleare
era sicuramente legato all’enorme crescita
del prezzo del petrolio che causò una grave
crisi economica su tutti i paesi industrializ-
zati in particolare quelli, come l’Italia, più di-
pendenti dal petrolio come fonte principale
di energia per la produzione e i trasporti e
scarsamente dotati di proprie risorse energe-
tiche. Per la prima volta nell’economia mon-
diale stagnazione ed inflazione, due fenome-
ni ritenuti fino a quel momento incompatibi-
li, si presentano assieme. Le industrie sono
costrette a lavorare notevolmente al di sotto
delle loro possibilità e a licenziare il persona-
le in esubero. Inevitabilmente una grave on-
data di disoccupazione investe l’intero terri-
torio nazionale. E’ la fine degli anni del boom
economico. In Emilia- Romagna subiscono un
notevole ridimensionamento (e in parte ven-
gono venduti ad altre società) i grossi im-
pianti petrolchimici costruiti dalla Monteca-
tini e dall’ENI negli anni 50-60 tra Ferrara e
Ravenna (Si tratta degli unici grossi insedia-
menti provenienti da capitale e progettazio-
ne extra-regionale, che proprio per questo
non si sono mai ben integrati con il resto del
tessuto produttivo locale, pur divenendone
una parte non trascurabile). E con i primi il-
leciti per la realizzazione di opere pubbliche,
nel 1971, ebbe inizio la “stagione degli scan-
dali”. Il maggiore impatto sull’opinione pub-
blica lo ebbe però, nel 1974, lo scandalo dei
petroli, che vide accusati petrolieri ed espo-
nenti politici, tra i quali i segretari ammini-
strativi dei quattro partiti di governo. L’eco-
nomia pubblica, che in passato aveva svolto
– seppure in maniera discontinua e contrad-
ditoria – un innegabile ruolo positivo, risulta-
va ormai incapace di produrre profitti. Di-
venne possibile, e anche facile, che il ruolo di
supporto prestato dalle imprese pubbliche al-
le politiche governative degenerasse nel so-
stegno economico ai partiti politici, prevalen-
temente a quelli di governo. La collusione
che si creò in tal modo tra ceto politico e ce-
to dirigente d’impresa, proprio nella fase di
massimo successo e riconoscimento,
pose le premesse per la decadenza
dell’impresa pubblica. A partire da-
gli anni 70 il processo degenerativo
si sviluppò con un’intensità tale da
non poter più essere ignorato e da
suscitare una violenta reazione. In
quegli anni, la mobilitazione di
massa avviatasi con il ’68 iniziò a scemare.
Proprio la fine del coinvolgimento delle mas-
se nella protesta lasciò spazio a forme di ri-
bellione individuali e violente. Secondo alcu-
ni sociologi ogni “ciclo di protesta” conosce-
rebbe sempre nella sua fase terminale un
momento in cui la tendenza naturale alla
conclusione della mobilitazione verrebbe
contrastata dall’azione di una minoranza or-
ganizzata che, attraverso forme di violenza,
cerca di mantenere in vita l’onda della pro-
testa. E’ quanto avvenne in Italia, dove pro-
prio intorno al 1972-73, di fronte al declina-
re dell’azione collettiva, si assistette al mol-
tiplicarsi di episodi isolati di violenza esplici-
ta e mirata. Questa fase fu particolarmente
lunga e virulenta e vide la violenza organiz-
zata – che non fu un carattere proprio del
’68, ma piuttosto il prodotto del suo esauri-
mento – farsi brodo di coltura del terrorismo.
In quegli anni, il giornalista De Mauro e lo
scrittore Pasolini, probabilmente avevano in
mano le informazioni giuste per denunciare
la presenza, in Italia, di un volto oscuro del
potere. Il primo stava preparando la sceneg-
giatura del film di Francesco Rosi sulla mor-
te di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni che
osò sfidare le compagnie petrolifere interna-
zionali. Il secondo stava scrivendo il romanzo
Petrolio, una denuncia contro la destra eco-
nomica e la strategia della tensione. De
Mauro e Pasolini furono uccisi. Entrambi
avrebbero presentato una tesi piuttosto sco-
moda: e cioè che con l’uccisione di Mattei
avesse preso il via un'altra storia d'Italia, un
intreccio perverso e di fatto eversivo, sul cui
sfondo si intravedeva il ruolo della loggia P2
e del "sistema Cefis" (controllo dell’informa-
zione, corruzione dei partiti, rapporti con i
servizi segreti, primato del potere economi-
co su quello politico). L’attentato di Piazza
Fontana (1969) – che inaugurava il lungo
elenco di stragi (compiute fino al 1980 –
quella con il bilancio più alto di vittime, il 2
agosto, alla stazione di Bologna) contribuì in
maniera decisiva alla scelta, compiuta da
gruppi rivoluzionari di estrema sinistra, di at-
taccare lo Stato. Per circa quattro anni le
Brigate Rosse, costituitesi nell’ottobre 1970,
si erano dedicate a quella che essi stessi defi-
nirono “propaganda armata”, ovvero ad
azioni dimostrative come sabotaggi in fab-
brica, aggressioni ai danni di capireparto o
rapimenti di dirigenti industriali che si con-
cludevano con il “processo” e il successivo ri-
lascio. Si trattava di azioni che miravano a
colpire bersagli individuali all’interno degli
stabilimenti industriali e che ancora non si
concludevano con spargimenti di sangue. Ma
il momento culminante dell’attacco portato
dalle BR ai vertici delle Istituzioni fu il rapi-
mento di Aldo Moro, che rappresentava il
massimo obiettivo possibile: era il leader del
maggior partito italiano e l’artefice del coin-
volgimento del PCI nell’area di governo, che
aveva consentito il compatto arroccamento
del sistema politico in contrapposizione alla
contestazione sociale. Tra la fine del ’76 e l’i-
nizio del ’77 la ripresa terroristica – dopo
una fase di quasi smantellamento operata
dal Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa - trasse
sostegno da una nuova eruzione sociale, che
fece guadagnare centinaia di militanti e sim-
patizzanti, senza per questo riuscire a con-
quistare un consenso sufficientemente este-
so da rendere immaginabile la trasformazio-
ne del terrorismo in qualcosa che si avvici-
nasse all’idea di un movimento rivoluziona-
rio. Il movimento del ’77 praticò ampiamente
e teorizzò il ricorso alla violenza diffusa, che
si concretizzò nello scontro cercato e siste-
matico con le forze dell’ordine, nell’attacco
studiato a determinati obiettivi, sedi, edifici,
in episodi di vera e propria guerriglia urbana
con la distruzione di negozi, vetrine, auto, at-
traverso l’uso di molotov, spranghe, armi da
fuoco. A Bologna, la mattina dell'11 marzo
1977, alcuni appartenenti al movimento de-
gli studenti avevano cercato di partecipare ad
una assemblea di Comunione e Liberazione
che si teneva in un aula dell'istituto di anato-
mia in via Irnerio; questo aveva provocato dei
tafferugli ed erano state fatte intervenire le
forze dell'ordine. Incidenti si verificarono in
seguito all'intervento della polizia e, in via
Mascarella lontano dalla zona in cui vi erano
gli scontri, vennero sparati i colpi di arma da
fuoco che colpirono a morte lo studente e
militante di Lotta Continua Francesco Lorus-
so. Dopo questa uccisione gli scontri si fece-
ro sempre più duri, vennero erette barricate,
vennero causati gravi danni a locali pubblici.
La città venne posta in stato d'assedio con
l'arrivo di mezzi blindati e carri armati. Le
forze dell'ordine fecero irruzione a Radio Ali-
ce, una delle radio che aveva dato voce al
movimento e che trasmetteva in diretta gli
scontri; la radio venne chiusa e le persone
che conducevano le trasmissioni vennero ar-
restate. Simbolo del ’77 divenne presto una
foto scattata a Milano il 14 maggio, quando
da un corteo studentesco si staccarono alcu-
ne persone che fecero fuoco sulla polizia uc-
cidendone un sottufficiale. La foto ritraeva
un giovane in passamontagna, solo, in mezzo
alla strada che, gambe divaricate e braccia
tese, puntava la sua P38 contro la polizia.
Nelle parole di Umberto Eco : “quella foto
non assomigliava a nessuna delle immagini in
cui si era emblematizzata, per almeno quat-
tro generazioni, l’idea di rivoluzione. Manca-
va l’elemento collettivo, vi tornava in modo
traumatico la figura dell’eroe individuale…
Questa immagine evocava altri mondi, altre
tradizioni che non avevano nulla a che vede-
re con la tradizione proletaria, con l’idea di ri-
volta popolare, di lotta di massa.” Il nuovo
movimento aveva perso quasi completamen-
te il carattere irriverente e sarcastico del ’68
che inseguiva l’utopia di una società e di un
privato antiautoritari. Portava nelle piazze la
disperazione e la rabbia di giovani studenti e
disoccupati colpiti dalla grave crisi economi-
ca, marginalizzati nel degrado delle periferie
delle grandi città, che non vedevano alcuno
sbocco positivo alle proprie aspirazioni perso-
nali e politiche.
Marco Malagoli
Gruppo animatori cristiani
ambiente di lavoro
PER SAPERNE DI PIU’
[1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)” Ed. Garzanti
[2] A.M.Cremonini “Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale” Ed. ConquistE
[3] F. Casson “La fabbrica dei veleni” Sperling&Kupfer
[4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri “Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi, Ed. Laterza
[5] P.Fornaciari “Il petrolio, l’atomo e il metano” Edizioni 21°Secolo
La profondità del cambiamento vissuto dall’Italia nei
vent’anni a partire dall’inizio degli anni Settanta non
fu minore degli sconvolgimenti determinatisi nel
ventennio precedente a seguito della trasformazione
da paese agricolo a paese industriale: in quel perio-
do si determina il passaggio da società industriale a
società postindustriale, con la crescita del settore dei
servizi, del settore impiegatizio e delle professioni,
delle nuove attività legate agli enormi sviluppi delle
tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni.
Al lavoro manuale si sostituisce sempre più il lavoro
basato sulla conoscenza, all’operaio il tecnico quali-
ficato e la riorganizzazione del lavoro passa anche
attraverso la rideterminazione degli orari di lavoro,
con il massiccio utilizzo degli straordinari e dei turni.
A seguito di vari interventi legislativi, nei primi anni
80, diventa possibile applicare contratti e modalità
di lavoro più flessibili (contratti di formazione-lavo-
ro, contratti di solidarietà, assunzioni a tempo par-
ziale e determinato e chiamate nominative), dando
inizio a forme di lavoro “atipiche” se confrontate al
modello di impiego che aveva dominato il mercato
del lavoro all’epoca del “fordismo maturo”, ovvero il
contratto dipendente a tempo pieno e indetermina-
to. Su iniziativa degli imprenditori avviene anche il
progressivo abbandono dei principi organizzativi
taylor-fordisti e la diffusione di una minore gerar-
chizzazione interna, con ampliamento e rotazione
delle mansioni e l’introduzione di gruppi di lavoro
con ampia autonomia organizzativa. Nelle industrie
– specialmente in quelle piccole e medie - e nel va-
riegato settore dei servizi, non di rado si eludevano
gli obblighi contributivi ed assistenziali a favore dei
lavoratori [1], e nel terziario “tradizionale” si molti-
plicavano lavori precari e poco pagati. Le grandi
aziende, dal canto loro, proseguivano nelle strategie
di decentramento e nella fabbricazione del prodotto
finito mediante tante fasi differenti, ciascuna facil-
mente esportabile al di fuori dell’azienda. Non è un
caso che - novant’anni dopo la Rerum Novarum -
Giovanni Paolo II dedicasse al lavoro, bene fonda-
mentale per la persona, fattore primario dell’attività
economica e chiave di tutta la questione sociale,
l’enciclica Laborem Exercens. La Laborem Exercens
delinea una spiritualità e un’etica del lavoro, nel
contesto di una profonda riflessione teologica e filo-
sofica che intende il lavoro non solo in senso ogget-
tivo e materiale, ma anche nella sua dimensione
soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la
persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vi-
ta sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito
in cui deve trovare realizzazione la vocazione natu-
rale e soprannaturale della persona. Ma la ristruttu-
razione produttiva e la graduale assunzione da par-
te dell’Italia dei caratteri propri di una società po-
stindustriale determinarono una profonda trasfor-
mazione della stratificazione sociale. Se nei decenni
precedenti la maggior parte degli italiani si era rico-
nosciuta in una precisa classe sociale, nella quale
ciascuno vedeva rispecchiare i propri interessi, la
propria cultura, le proprie aspirazioni, a partire dagli
anni 80 diviene sempre più difficile segnare dei con-
fini precisi tra i diversi gruppi sociali. Alla “fine delle
classi” si accompagna il progressivo uniformarsi di
modelli di consumo, aspirazioni, stili di vita da parte
di aree sociali crescenti e via via maggioritarie nel
paese: quella degli anni 80 fu una seconda rivolu-
zione dei consumi dopo quella degli anni 60. Ma se il
“miracolo economico” aveva offerto consumi in gra-
do soprattutto di rispondere ai bisogni di ogni gior-
no, di alleviare le fatiche del lavoro quotidiano at-
traverso i nuovi elettrodomestici, i consumi dell’Ita-
lia postmoderna miravano a soddisfare aspirazioni di
altra natura, meno legate a necessità pratiche. La
ricchezza degli italiani era enormemente aumentata
e con essa le loro esigenze e i loro desideri. Era nato
il culto della vacanza, del week end da trascorrere ad
ogni costo fuori città, dei viaggi, della cena in risto-
rante o almeno in pizzeria. Si erano moltiplicate le
seconde case, le automobili, le roulottes, le moto di
grande cilindrata e cominciarono ad entrare nel fra-
sario televisivo e dei giornali espressioni come : in-
gorgo, coda chilometrica, l’esodo dei vacanzieri. L’o-
peraio Cipputi e l’impiegato Fantozzi, avviliti e fru-
strati per tutta la settimana cercavano il loro riscat-
to il sabato e la domenica. I modelli di comporta-
mento di massa instaurati nel periodo di boom eco-
nomico erano passati inalterati attraverso le ventate
della contestazione, i drammi crescenti della droga e
del terrorismo ma la crisi petrolifera li mise drastica-
mente in discussione. Alla fine del 1973, per fron-
teggiare la crisi energetica, il governo italiano prese
una serie di provvedimenti volti a diminuire i consu-
mi e destinati a imprimersi a lungo nel ricordo e nel-
l’immaginario collettivo degli italiani (sospensione
del traffico nei giorni festivi; riduzione dell’illumina-
zione pubblica ; conclusione degli spettacoli televisi-
vi, cinematografici e teatrali entro le ore 23; chiusu-
ra anticipata degli esercizi commerciali con obbligo
di spegnere le insegne). Per gli italiani le conseguen-
ze psicologiche di tali misure, quasi da economia di
guerra, furono pesanti e gli effetti della crisi si fece-
ro sentire più che altrove a causa della strutturale
debolezza dell’economia nazionale. A partire dagli
anni '70 un giovane cantante al culmine del succes-
so e della popolarità discografica e televisiva aveva
cominciato a sentire il disagio del suo ruolo, avver-
tendo il bisogno di un senso diverso e di un rappor-
to più diretto col pubblico, unito alla voglia di espri-
mere liberamente le sue idee senza i condiziona-
menti tipici del mercato discografico e i limiti del
mezzo televisivo. La sua scelta è difficile ma coeren-
te e coraggiosa. Inizia un capitolo completamente
nuovo della sua vita artistica: si allontana definiti-
vamente dalla televisione e dal circuito discografico
e dà vita al cosiddetto "Teatro Canzone", una formu-
la innovativa che alterna canzoni e monologhi. Sono
spettacoli, scritti a quattro mani con l'amico pittore
Sergio Luporini, che per 30 anni porta nei teatri di
tutta Italia con sale sempre esaurite [2]. Sul palco-
scenico Giorgio Gaber si presenta solo senza alcuna
scenografia cantando a volte con basi pre-registrate,
altre volte con i musicisti nascosti dietro al sipario.
Tutto ciò contribuisce a esaltarne il grandissimo ca-
risma scenico. Nei suoi spettacoli Gaber descrive l'e-
volversi della società italiana toccando i più svariati
argomenti: famiglia, amicizia, sessualità, solitudine,
amore, coscienza individuale, ma anche politica,
economia, istituzioni, religione, mass-media, ecc.
Ogni argomento viene affrontato con grande onestà
intellettuale e portato sul palco con un'energia co-
municativa non comune. Gaber e Luporini scavano
nella realtà quotidiana senza la presunzione di pro-
porre soluzioni ma con il semplice intento di insi-
nuare il "dubbio" in chi ascolta. Il loro bersaglio so-
no le frustrazioni e le contraddizioni del cosiddetto
uomo moderno: quelle politiche e quelle erotiche
degli anni di piombo, degli anni Settanta italiani. I
due spettacoli “Libertà obbligatoria” e “Polli di alle-
vamento” sono insieme il punto di arrivo e la con-
clusione, negativa, di un lungo viaggio fatto dai due
autori attraverso miti e realtà, sociali e politici, del-
l’arco di tempo che va dal ’68 agli anni Settanta, dal
sorgere di una speranza alla sua sconfitta. E infatti
tutte le canzoni dei due spettacoli sono scritte all’in-
segna della sconfitta epocale ed esistenziale, politica
e personale. Attraverso un’impietosa descrizione del
presente rivendicano anche, e rilanciano, la speran-
za di quegli anni, dal ’68 alle Brigate Rosse escluse, e
si oppongono con fermezza e sarcasmo alla meschi-
nità e alla follia che chiude questo arco di anni.
Questi spettacoli contengono una pedagogia che
educa attraverso la magia dell’arte a sentimenti in-
tensi. E dietro questa pedagogia c’è una visione an-
tropologica forte dell’uomo, che rifiuta meschinità,
compromessi e debolezze. Il tratto che dà unità al
Teatro canzone di Gaber e Luporini è quello del pen-
siero critico demistificante, l’irrisione polemica di
ogni falsa coscienza, di ogni meschinità ammantata
di ideali fasulli. Se la verità è il mito più alto dell’oc-
cidente, la verifica caustica di Gaber-Luporini evi-
denzia la forte carica d’illusione che ha questo mito:
la verità,invece, secondo gli autori è che siamo “pol-
li di allevamento” chiusi nelle gabbie di miti e ideali
fasulli, nelle nostre “libertà obbligatorie”. La causa
ultima di questa situazione, la radice di questo esse-
re “una razza già finita senza neanche cominciare” è
nel credere male. “No, non fa male credere / fa mol-
to male credere male”. Ma il problema deriva anche
dalla mancanza di lucidità politica e di coraggio,
dalla mancanza di “rigore e precisione”. Obiettivo
degli attacchi è il capitalismo, il dominio degli og-
getti : “Nel frattempo gli oggetti erano andati al po-
tere. La loro prima vittoria era stata il superamento
del concetto di utilità…” In questo contesto trovia-
mo l’accusa all’americanizzazione della nostra socie-
tà, contro una libertà che è costrizione, libertà che ti
impediscono di scegliere realmente. In un quadro di
crollo etico-civile non vengono risparmiati gli illusi-
confusi della “sinistra degli anni Settanta” dipinti
impietosamente nella canzone “quando è moda è
moda” che è un’ulteriore provocazione scientemen-
te costruita. L’ipocrisia, l’inganno, la “falsa coscien-
za” esistono anche sul piano privato e la decisa esor-
tazione a essere persona intera, individuo sociale, è
tema ricorrente. E’ da una rifondazione individuale
che bisogna ricominciare e questo, non solo è sem-
pre possibile ma è sempre doveroso. Il pubblico, co-
me il privato, per Gaber e Luporini (GL) sono cose
alte, progetti che devono andare sotto il segno della
moralità e forse anche dell’utopia (purchè sia “un’u-
topia concreta” ). A fianco di una assoluta e lucida
concretezza il richiamo aperto alla forza vivificante
dell’utopia : ossia un richiamo forte a vivere la real-
tà per quella che è, senza inutili ossequi al potere e
al conformismo sociale, ma anche un invito forte a
vivere la vita senza paura del mistero che ne è parte
integrante, senza paura dell’ambiguità che ne è al-
trettanto parte integrante. Nel richiamo a un agire
morale, concreto e responsabile, è inoltre la risposta
di GL ai dilemmi, agli aut-aut del presente : libertà o
uguaglianza, individuo o masse, vero o falso, destra
o sinistra, speranza o disperanza, impegno o qualun-
quismo….Contro la concezione cartesiana e fonolo-
gica di tanta filosofia moderna – “Penso dunque so-
no” – GL lanciano una battuta fulminante e polemi-
ca : “Io penso dunque sono…..un imbecille”, battuta 13
Quadolasocietànoneraancoraliquida
Quando la società non
era ancora “liquida”
Quarta e ultima puntata
14
Quadolasocietànoneraancoraliquida
segue da pag. 13
che sinteticamente afferma che la rifondazione del
pensiero non è solo un altro modo di pensare, ma un
altro modo di essere “cuore e pensiero aperto”. Fon-
damento di un corretto rapporto con la realtà è il
nostro essere Persona e insieme la percezione che, al
fondo di noi stessi, vi sono gli altri considerati an-
ch’essi Persona. L’intersoggetività, gli altri, sono co-
stitutivi della nostra persona. Dice Gaber che questa
è una nozione alta di individuo e che il deficit di
gran parte della sinistra novecentesca sia stato un
deficit antropologico, una visione ridotta dell’essere
umano. Gaber sostiene che la sua generazione ha
perso, ma l’ammissione di una sconfitta e la sua
analisi disincantata sono l’unica speranza, l’unico
reale contributo che possiamo ancora dare a chi vie-
ne dopo di noi : “Noi, con i nostri slanci, i nostri
ideali e le nostre utopie, siamo riusciti davvero a mi-
gliorare il mondo? Siamo stati padri migliori di quel-
li che ci hanno preceduto? Siamo stati un riferimen-
to attendibile, un esempio valido per i nostri figli?
Purtroppo la mia risposta non riesce ad essere posi-
tiva. La gente mi piace sempre meno e l’uomo mi
sembra arrivato al suo minimo storico di coscienza.
Alla dittatura del consumo non siamo stati in grado
di resistere: ne siamo stati forse complici inconsape-
voli. Per noi era più facile essere pacifisti, antiautori-
tari e democratici. I nostri padri avevano fatto la Re-
sistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi.. la
resistenza. E’ sempre tempo di resistenza.” Nel dis-
orientamento sociale e politico della seconda metà
anni 70, in un tempo in cui la Chiesa tenta di ridefi-
nire una nuova presenza nella società [3], emergono
i primi sintomi di ripresa di quell’associazionismo
cattolico ufficiale, soprattutto giovanile, che era sta-
to fortemente penalizzato dalla stagione della con-
testazione studentesca e delle lotte operaie. La fine
degli anni 70 è stata un periodo di rinnovato fer-
mento, soprattutto per due tipi di gruppi: quelli più
orientati all’azione sociale e quelli caratterizzati da
un maggior richiamo all’identità religiosa. La Chiesa
avverte la necessità di una nuova mediazione cultu-
rale (in termini di sana laicità) che renda intelligibile
e interessante il messaggio evangelico anche in una
società ormai pluralistica, che ha perso i riferimenti
religiosi del passato, aperta a istanze e orientamenti
diversi. Era ancora aperto il dibattito sulle elezioni
politiche del 1976 quando si ebbe la presenza di
candidati di matrice cattolica nelle liste dei partiti
della sinistra, anche comunista, nonostante i vesco-
vi italiani avessero richiamato i cattolici all’incompa-
tibilità tra la fede cristiana e l’appoggio a forze poli-
tiche di orientamento marxista. Tutto questo rende-
va evidente la necessità di un ripensamento del rap-
porto fede/cultura/politica evitando sia di far di-
scendere dalla fede un solo modello di comporta-
mento (di tipo confessionale), sia di separare la fede
dalla cultura e dalle scelte politiche. In Emilia-Ro-
magna, dai primi del 900, i comuni avevano indivi-
duato nello spazio municipale e nelle istituzioni po-
litico-amministrative le risorse prioritarie non solo
per l’organizzazione del consenso nel territorio ma
anche per vincere la sfida di una grande ed equili-
brata trasformazione industriale della società regio-
nale (il cosiddetto “modello emiliano”). Con la na-
scita delle Regioni come enti amministrativi (1970)
si ha per certi aspetti la sanzione del processo di mo-
dernizzazione del territorio e il terreno della sfida di-
viene il governo dello sviluppo economico e la co-
struzione di un’identità collettiva che si confronti
con le nuove culture politiche territoriali, nell’inedi-
to spazio compreso tra la comunità locale e l’oriz-
zonte europeo. Ma la società nel suo complesso co-
minciava a manifestare i primi segni di liquidità…..
Marco Malagoli
Gruppo Animatori Cristiani
Ambiente di lavoro
Non insegnate
ai bambini
(di Gaber – Luporini)
Non insegnate ai bambini / non
insegnate la vostra morale / è
così stanca e malata
potrebbe far male / forse una
grave imprudenza / è lasciarli
in balia di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero / che è
sempre più raro / non indicate
per loro / una via conosciuta
ma se proprio volete / insegna-
te soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mon-
do. / Non insegnate ai bambini
/ non divulgate illusioni sociali
/ non gli riempite il futuro / di
vecchi ideali / l'unica cosa sicu-
ra è tenerli lontano / dalla no-
stra cultura.
Non esaltate il talento / che è
sempre più spento / non li av-
viate al bel canto, al teatro alla
danza /
ma se proprio volete / raccon-
tategli il sogno di un'antica spe-
ranza./ Non insegnate ai bambi-
ni / ma coltivate voi stessi il
cuore e la mente /stategli sem-
pre vicini / date fiducia all'amo-
re il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mon-
do / Giro giro tondo cambia il
mondo.
“Non insegnate ai bambini” può esse-
re visto come il testamento spirituale di
Giorgio Gaber, e non è certo un caso che
sia stata scelta come accompagnamento
musicale al funerale del signor G.
Guardatemi bene
(di Gaber – Luporini,
Polli di allevamento, 1978)
Guardatemi bene / eccomi da-
vanti a voi / non per fare strani
mischia menti / non per stare
insieme /
non mi va la vostra scuola, la
vostra famiglia / e di rispettarvi
non ho nessuna voglia.
Guardatemi bene / non credo
più a niente / non voglio più la-
vorare / come un deficiente.
Non ho più speranze / mi sono
fregato / ma ormai me ne fotto.
/ Avete visto come sono ridotto.
Pa pappà-parà-parà pappà-parà-
parà / Pa pappà-parà-parà pap-
pà-parà-parà
Guardatemi bene / ora non ne
posso più /non ho più problemi
di coscienza /ne ho le palle pie-
ne.
Me ne frego dei partiti / me ne
frego dei gruppi / tentativi di-
sperati / ne ho fatto già troppi.
E ora andiamo a ballare / tanto
per consolarci / su quello che
rimane /sui circoli ARCI.
Arriva la febbre / del sabato se-
ra / e io mi ci butto. /Avete visto
come sono ridotto.
Pa pappà-parà-parà pappà-parà-
parà / Pa pappà-parà-parà pap-
pà-parà-parà
Guardatemi bene / eccomi da-
vanti a voi / con lo stile arguto
/ di un giullare gaio, originale /
eccomi che mi esibisco e vi rido
sul muso /fiero dei miei orec-
chini e degli spilli nel naso.
……….
Guardatemi bene/ ho gli occhi
nel vuoto /drogati e corrotti.
Avete visto come siete ridotti
/avete visto come siete ridotti.
Pa pappà-parà-parà pappà-parà-
parà
Per saperne di più:
[1] A. Di Michele
“Storia dell’Italia Repubblicana
(1948-2008)”
Ed. Garzanti
[2] P. Jachia
“Giorgio Gaber 1958-2003
Il teatro e le canzoni”
Ed. Riuniti
[3] F. Garelli “La Chiesa in Italia”
Serie Farsi un’idea
Ed. Il Mulino

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940 quando la società non era ancora liquida di malagoli

  • 1. 14 Quando la società non era ancora “liquida” Cenni di storia del lavoro e del tempo libero nel quadro delle tradizioni civiche e della pastorale sociale in Emilia-Romagna PRIMA PUNTATA Nella storia del complesso e articolato quadro di relazioni tra Stato ed Enti Lo- cali, un ruolo di particolare importanza è unanimemente assegnato al fenome- no della municipalizzazione dei servizi pubblici. E’ dei primi anni del ‘900 l’e- manazione della legge (presentata dal- l’allora Ministro Giolitti) che legittima gli Enti locali a produrre ed erogare di- rettamente tali servizi. Quando, al ter- mine del secondo conflitto mondiale, il paese lacerato da profonde ferite del tessuto politico-istituzionale ed econo- mico-sociale avvierà le operazioni di ri- costruzione, queste si legheranno ad obiettivi di evidente contenuto sociale. Anche la municipalizzazione dei servizi non sarà legata soltanto al progressivo ingrandirsi delle città, ma alla qualità della vita urbana con la conseguente evoluzione dei bisogni espressi da tali importanti aggregazioni ed alla necessi- tà di garantirne il soddisfacimento da parte di tutte le fasce sociali. A partire dall’immediato dopoguerra le precarie condizioni abitative e la diffi- coltà nello sgombero delle macerie au- mentano un disagio aggravato dal pro- blema dei senza tetto e reso drammatico dal mancato rientro dei profughi nei paesi di provenienza. Ma il tessuto sociale ed economico dell’I- talia stava cambiando rapidamente. Il Piano Marshall, tra il 1948 e il 1951 aveva emesso a favore dell’Italia autorizzazioni di acquisto per ingenti somme, grazie alle quali giunsero gratuitamente ai nostri porti milioni di tonnellate di merci di pri- ma necessità e macchinari [1]. In Emilia-Romagna buona parte di que- sti fondi vennero impiegati per la rico- struzione ferroviaria, per lavori pubblici e per interventi di ricostruzione edilizia. Il 6 luglio 1948 il Ministro del Lavoro (Fanfani) presenta un disegno di legge – approvato poi nel febbraio 1949 – che prevede un piano per incrementare l’oc- cupazione operaia, agevolando la co- struzione di case per lavoratori. Il gran- de flusso migratorio interno che aveva spostato nelle fabbriche gran parte del- la popolazione contadina, aveva dato luogo ad una disordinata crescita urba- nistica : nei nuovi quartieri che sorgeva- no alla periferia mancavano adeguate strutture assistenziali, luoghi di ritrovo, impianti sportivi. Nella dilagante espan- sione urbana che vede le periferie popo- larsi di famiglie immigrate si avverte la necessità di costituire “da dentro” una ragione alla comune appartenenza. Es- sendo il “disordine edilizio… un riflesso del disordine economico, della mancan- za di ideali sociali”, occorreva che “le nuove aree insediative della città sentis- sero la necessità della nascita di una identità di luogo che servisse a dotare gli abitanti di una coscienza umana e abitativa; contribuisse a formare cioè questi brandelli di abitato in parti di cit- tà ed i “residenti” in comunità capaci di autorigenerarsi come coscienza comuni- taria. In questo senso diventa fonda- mentale la relazione tra le istituzioni so- ciali del territorio e quindi tra le forme dell’agire politico : le associazioni, i par- titi, i sindacati, le Aziende (in particolare quelle di servizio pubblico). In questo processo si presenta una pecu- liare fusione tra istanze sociali di eman- cipazione e progetti educativi/pedago- gici delle culture politiche antagoniste (democratica e socialista in particolare) La "Società liquida"di Zigmunt Bauman Secondo ZIGMUNT BAUMAN - uno dei più apprezzati sociologi a livello mon- diale - la società di oggi è “liquida” . Ciò che è liquido non ha e non può avere la stessa forma per lungo tempo, ed è soltanto il passaggio da un recipiente al- l'altro che ne ridetermina la forma. Questo si applica ad ogni aspetto della forma lavorativa, economica, politica, alle grandi questioni sociali, a quello che inte- ressa alla gente, ma soprattutto alla "rete di connessioni personali", quella che porti in giro in tasca nella memoria del tuo telefonino. Ti basta semplicemente premere dei tasti per creare nuove connessioni o per romperne altre in maniera irreparabile. Ecco il punto chiave: le relazioni possono nascere facilmente, ma altrettanto facilmente possono rompersi. Ci si può connettere e disconnettere dal- la rete di connessione personali senza obbligo di continuità. Tale dinamica non è che un esempio di ciò che Bauman intende per società liquida. GiovanniGiolitti GiacomoLercaro Lasocietàcivile
  • 2. che ambiscono ad influenzare le forme e i valori non solo della vita di relazione ma anche degli strumenti istituzionali di decentramento. Le conseguenze non tardano a farsi sentire anche in ambito ecclesiastico. I giovani cattolici costretti ad abbandonare le par- rocchie dove erano stati formati ed educa- ti alla fede, arrivavano in città, provando una sensazione di smarrimento e di sradi- camento fortissima. E le condizioni in fab- brica non erano certo delle migliori. La realtà bolognese che il card. Lercaro (Arci- vescovo di Bologna dal 1952 al 1968) in- contrò nel corso del suo Magistero presen- tava un carattere fortemente ideologico e sicuramente “non molto aperto” nei con- fronti del clero [2]. Nonostante l’impegno di sacerdoti illu- minati che si dedicavano con energia al mondo del lavoro, alla cooperazione, al sindacato i tempi erano veramente diffi- cili. Le aggressioni erano all’ordine del giorno e l’accanimento fu contro sinda- calisti e cooperatori, nonché contro i primi accenni di dialogo tra imprendito- ri e lavoratori. L’uccisione di Giuseppe Fanin (giovane di- rigente delle ACLI) nel 1948, l’invasione di varie sedi delle organizzazioni cattoliche, centinaia di persone ferite e aggredite te- stimoniano della dimensio- ne storica as- sunta da que- sto problema. I fatti di Bolo- gna divennero fra il ‘45 e il ‘50 un “caso nazionale”. In quel periodo (giu- gno 1948) attraverso il riscatto dalla So- cietà Nazionale Gasometri ed Acquedotti nasce l’Azienda Municipalizzata Gas Acqua di Bologna con la denominazione AMGA. La rinascita delle tradizioni associative represse dal regime fascista [3] diviene una delle componenti della solida base su cui fondare la tradizione civica regio- nale. In Emilia-Romagna – ma con ruoli invertiti rispetto al quadro nazionale, dove il mondo cattolico e la DC guidano la rinascita democratica e la ricostruzio- ne economica – si assiste al confronto di civiltà antagoniste, attraverso la denun- cia di comportamenti indicati come estranei a questa tradizione civica. In realtà, contendendosi un medesimo spa- zio associativo e simbolico, si finisce per adattare le più efficaci forme di socializ- lavoro. La disordinata crescita urbanisti- ca coinvolgeva direttamente anche la Chiesa. Da una parte c’era il centro sto- rico, dentro la cerchia delle mura, con la presenza di molte e capienti chiese, ma sempre meno fedeli, perché la zona si stava spopolando a favore della concen- trazione di negozi e uffici; dall’altra sta- va crescendo la periferia ma mancavano gli edifici sacri. E’ in questo contesto che si colloca una tra le iniziative di Lercaro che fecero particolarmente discutere e provocarono polemiche e reazioni con- trastanti in città : la “Fraternitas”. Una ventina di religiosi tra i vari ordini ven- nero scelti e ricevettero il mandato di andare tra la gente e portare il Vangelo. La stampa ribattezzò l’iniziativa con il termine “Volante” e “frati volanti” i suoi membri. I “frati volanti” andavano per le vie e le piazze a celebrare la Messa. Par- tivano a bordo di un camion furgone adibito permanentemente a cappella con tutto l’occorrente: sul posto veniva- no aperte le porte ed era una cappella all’aperto. Marco Malagoli Gruppo animatori cristiani ambiente di lavoro zazione e di auto rappresen- tazione dell’avversario [4]. E’ l’immagine trasmessa in forme esemplificate nella fortunata serie di film del dopoguerra incentrati sulle figure del sindaco comunista Peppone e di Don Camillo. E nella realtà delle aziende, l’attacco contro la presenza del sacerdote iniziava spesso per ragioni in buona parte di natura ideologica. Con il proposito di avvicinare le masse operaie, in gran parte indifferenti se non ostili alla religione ed alla Chiesa cattolica, venne costituita (nei primi anni ’20, a Roma) l’Opera Na- zionale Assistenza Religiosa e Morale agli Operai (ONARMO). Era in corso un acceso dibattito circa le modalità dell’evangelizzazione del mon- do del lavoro. In Francia si era comincia- to a parlare di preti-operai quando la massiccia deportazione di lavoratori in Germania durante il secondo conflitto mondiale, pose il problema dell’assisten- za religiosa di questi esuli e a molti gio- vani sacerdoti e seminaristi quello di una doverosa solidarietà e partecipazio- ne alla loro tragica esperienza. Numero- si sacerdoti francesi divennero operai e furono mandati a lavorare in Germania. A Genova, nel 1955, per volontà del Cardinale di quella città (Card. Siri) si tenne un incontro tra i preti operai francesi e i cappellani del lavoro che mi- se in evidenza la grande diversità della situazione italiana da quella d’oltralpe anche in relazione alle modalità di pre- senza dei sacerdoti nei luoghi di lavoro. Il loro avvicinamento alle persone non era un problema solo negli ambienti di 15 PER SAPERNE DI PIU’ [1] a cura di R.Balzani, A.Raggi “Qualcosa è cambiato” Acqua, gas e igiene urbana a Forlì 1945-2000, Ed. Franco Angeli [2] A.M.Cremonini “Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale” Ed. Conquiste [3] S.Rocca “Se 60 anni vi sembran pochi 1934-1994” Volume pubblicato dal Circolo Ricreativo Culturale A.Co.Se.R. nel 60° della sua costituzione [4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri “Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi, Editore Laterza GiuseppeFanin Lasocietàcivile
  • 3. 12 Nel periodo a cavallo tra anni ‘50 e ‘60 il ruolo dello Stato come imprenditore era as- sai forte e destinato a crescere nel tempo. La nascita dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), che rilanciò l’impresa pubblica come stru- mento di generale politica industriale accen- tuò la tendenza che assegnava allo Stato la funzione di determinare caratteristiche e tempi dello sviluppo economico del paese. In questo quadro, il biennio 1960-62 vide com- piersi il processo che avrebbe condotto alla collaborazione governativa tra DC e PSI non- ostante il clima internazionale (scontro USA- URSS a livelli preoccupanti, costruzione del muro di Berlino, “crisi dei missili” provocata dal tentativo sovietico di installare missili nucleari a Cuba, etc..) non facilitasse le cose. I socialisti considerarono punto ineludibile dell’accordo la nazionalizzazione dell’indu- stria elettrica (Legge del 1962) in quanto strumento necessario per avviare, sotto il controllo dello Stato, una politica energetica nazionale a favore dello sviluppo delle aree arretrate, altrimenti svantaggiate dalla logi- ca del massimo profitto che difficilmente vi avrebbe destinato investimenti privati per la costruzione di nuovi impianti. Venne così cancellato il forte potere dei monopoli priva- ti dell’energia ma le modalità con le quali venne condotta la nazionalizzazione porta- rono all’assegnazione di un lauto indennizzo direttamente nelle casse delle stesse aziende, che continuarono ad operare godendo di un’enorme disponibilità finanziaria. I gruppi ex elettrici costituirono un nuovo monopolio (quello della Montedison) nel settore petrol- chimico, che si sarebbe rivelato un gigante dai piedi di argilla, salvato solo grazie all’in- tervento dello Stato attraverso l’ENI (fine anni ‘60). Di quale potere avessero goduto le società elettriche in Italia apparve tragica- mente chiaro con il disastro del Vajont, avve- nuto a nazionalizzazione appena conclusa. Per certi versi tale disastro assume un valore paradigmatico del “miracolo” italiano fatto di sviluppo senza troppe regole con vittima predestinata l’Italia contadina e montanara spazzata via dall’onda del progresso. Tale progresso aveva un chiaro modello di riferi- mento. Nel mondo del lavoro si era imposto quello americano cosiddetto fordista-taylo- rista basato sulla produzione in grande scala di prodotti standardizzati (fordismo) associa- ta alla cosiddetta organizzazione scientifica del lavoro (taylorismo) consistente nella rigi- da divisione tra progettazione ed esecuzione, nella scomposizione del lavoro in atti ele- mentari e nella identificazione della “via mi- gliore” relativa alla loro realizzazione. L’imporsi ed il diffondersi di stili di vita con- sumistici hanno poi costituito l’evoluzione sociale complementare ed il presupposto stesso per il successo su scala mondiale di ta- le modello. In Italia, nel decennio 50-60, non si ebbero perciò soltanto un progresso economico senza precedenti e un’enorme ri- dislocazione della popolazione sul territorio ma si completarono le profonde trasforma- zioni sociali e culturali, che ne ridisegnarono identità, modi di vivere, consumi, linguaggi, rapporti sociali, familiari e di genere. L’Italia fece il suo ingresso nell’era della motorizza- zione di massa. La conquistata mobilità cambiò le abitudini di vita e il tempo libero degli italiani, offrendo loro l’opportunità di visitare luoghi sconosciuti e di uscire dal mondo in cui erano sempre vissuti. L’auto- mobile, insieme alla televisione ed agli elet- trodomestici, può essere a ragione conside- rata uno dei simboli più rappresentativi del “miracolo” economico. Tutti desideravano, progettavano e progres- sivamente acquistavano l’automobile, dall’o- peraio all’impiegato, dal settentrionale al- l’immigrato, con l’oggetto del desiderio che mutava, promettendo sempre di più a un prezzo sempre più abbordabile, dalla FIAT 600 (1955) alla 500 (1957), fino ad arri- vare con il 1960 a vetture di media ci- lindrata come la FIAT 1100 e la Giulietta dell’Alfa Romeo. Dietro quest’avvenu- ta mutazione c’è l’I- talia dei treni popo- lari, delle escursioni di massa, l’Italia degli operai e degli impie- gati che mandano i figli nelle colonie Quando la società non era ancora “liquida” Cenni di storia del lavoro e del tempo libero nel quadro delle tradizioni civiche e della pastorale sociale in Emilia-Romagna SECONDA PUNTATA CANZONE DEL MAGGIO (F. De Andrè – G.Bentivoglio) Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio, se la paura di guardare vi ha fatto chinare il men- to, se il fuoco ha risparmiato le vostre 1100, anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti. E se vi siete detti non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente, convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco, provate pure a credervi assolti, siete lo stesso coinvolti. Anche se avete chiuso le vostre porte sul nostro muso la not- te che le “pantere” ci mordevano il se- dere, lasciandoci in buona fede massa- crare sui marciapiedi, anche se ora ve ne fregate, voi quella notte voi c’era- vate. E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri, senza le barricate, senza feriti, senza granate, se avete preso per buone le verità della televi- sione, anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti. E se credete ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la di- sciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora al- le vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. (canzone tratta dal concept album “Storia di un impiegato” ispirato agli avvenimenti del Maggio francese con gli scontri tra po- lizia e studenti sulle barricate di Parigi ed alla contestazione giovanile del 68) Lasocietàcivile
  • 4. SEGUE A PAGINA 12 13 marine a spese del Dopolavoro. Ed è sicuramente in questo ambito che si col- loca la storia del Dopolavoro Officina del gas di Bologna (nato nel lontano 1934). Ai tempi del fascismo l’organizzazione dopolavoristica era stata rigidamente determinata dall’Opera Nazionale Dopolavoro (O.N.D.) ente diretta- mente controllato dai vertici del regime e fi- nalizzato ad indirizzare l’impiego delle ore li- bere dei lavoratori nello spirito di incondizio- nata adesione ideologica. Con la liberazione dell´Italia dal nazifascismo rinasce la possibili- tà per i cittadini di autoorganizzarsi in associa- zioni politiche, culturali, sportive, ricreative. I cittadini, i lavoratori sono impegnati al restau- ro e alla ristrutturazione degli immobili usciti fatiscenti dall´incuria e dalla guerra. Non- ostante le cattive condizioni economiche, la forte volontà di creare centri di vita democra- tica si esprime attraverso una grande mobilita- zione che comporta sottoscrizioni e lavoro vo- lontario. I beni immobili del regime e delle as- sociazioni create in quel periodo, erano passa- ti allo Stato producendo una situazione di in- certezza del diritto di proprietà che consentirà allo Stato di avviare una azione multiforme contro il movimento associativo. E´ in questo contesto che, mentre le sinistre cercano di conservare l´unitarietà del movimento circoli- stico nell´ENAL (nuova denominazione dell’ OND) puntando alla sua democratizzazione, i cattolici prima ed i repubblicani poi, costituiscono proprie organizzazioni del tempo libero fondando le ACLI e l´ENDAS alle quali vennero ricono- sciuti tutti i benefici di legge e con- cesso l´utilizzo di impianti e attrezza- ture. Nel 1955 il Ministro Scelba fir- mando il nuovo statuto dell´ENAL, che non accolse nessuna delle istanze di democratizzazione, spinse i circoli, le case del popolo e le Società di Mu- tuo Soccorso verso la costituzione di un’unica organizzazione nazionale (Associazione Ricreativa Culturale Ita- liana : ARCI). La decisione di dar vita ad una orga- nizzazione unitaria nel campo cul- turale e ricreativo non fu solo le- gata al desiderio di contrastare le tendenze centralizzanti dell´ENAL e di competere con la vasta azione svolta dai circoli confessionali e con le iniziative ricreative dei grandi complessi aziendali, ma anche allo sviluppo di nuove possibilità di uti- lizzo del "tempo libero", che inter- cettassero i segni del cambiamento sociale. Negli anni 60 l‘ARCI comincia così il suo la- voro di trasformazione da movimento di di- fesa ad organizzazione culturale prefiggen- dosi di contribuire al superamento della se- parazione esistente nel paese fra "la cultura dei semplici" e "la cultura degli intellettuali". Siamo nel periodo in cui la censura imper- versa sulla produzione culturale di massa (ci- nema, musica, TV, ecc.). “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”, scritto da Mi- gliacci per Gianni Morandi, incappò nella scure della censura televisiva per i versi “mi han detto va nel Vietnam e spara ai Viet- cong”, e un po’ per tutta l’atmosfera antia- mericana che vi si leggeva. Su Morandi erano state esercitate vere e proprie pressioni per- ché abbracciasse il movimento beat e dices- se “qualcosa di protesta”. Quella protesta che ben riassume il copione di Hair (musical che esordì nel 1968 a Broadway). Hair racconta la storia di un gruppo politicamente attivo di “capelloni”, “hippies dell’età dell’Aquario”, che combattono la coscrizione alla guerra del Vietnam e conducono insieme una vita da bohemien a New York. La loro lotta ruota intorno al tentativo di creare un equilibrio tra l’armonia della vita comunitaria e i nuovi valori promossi dalla rivoluzione sessuale, da un lato, e la ribellione pacifica contro la guerra e i valori conservatori dei genitori e della società, dall’altro. Ed è proprio forse la musica a chiarire il carattere ambivalente dell’universo giovanile di quegli anni. In Ita- lia questi caratteri di ambiguità si ravvisaro- no nell’atteggiamento dei giovani di fronte alla politica. Da una parte vi fu l’imporsi di atteggiamenti individualistici che portarono ad un crescente distacco dal “sistema dei partiti” e al disinteresse per la partecipazione politica, dall’altra nuove tensioni conflittua- li soprattutto tra i giovani operai, che inizia- rono a mobilitarsi autonomamente per otte- nere non solo salari più alti ma anche carichi di lavoro più sopportabili. Furono proprio le nuove tensioni sviluppate- si nel mondo giovanile, studentesco e ope- raio, a scatenare la stagione dei movimenti alla fine degli anni 60. Il movimento studentesco raggiunse il suo apice nella primavera del 1968 con l’occupa- zione dell’Università di Roma. Fu un punto di svolta nella parabola del movimento, che a partire da quel momento si fece più politi- cizzato e disposto allo scontro con l’estrema destra e con la polizia. Dopo un mese di oc- cupazione arrivò lo sgombero violento del- l’università da parte delle forze dell’ordine e in seguito lo scontro aperto con cariche del- la polizia e reazione degli studenti che in- cendiarono i mezzi della polizia e mandarono all’ospedale decine di poliziotti. Inizia da qui l’accettazione della violenza da parte di un movimento che fino ad allora era stato so- stanzialmente pacifico e che ora decideva di contrastare lo Stato e il suo monopolio della forza. Le istanze libertarie e dissacranti dei primi mesi lasciarono spazio a un rapido pro- cesso di iperpoliticizzazione che portò alla frammentazione del movimento in tanti gruppuscoli e partitini spesso in contrasto l’uno con l’altro. Il movimento si istituzionalizzava attraverso formazioni che cercavano una propria strut- turazione organizzativa in grado di consen- tire quell’azione politica che prima era espli- PREGHIERA IN GENNAIO (F. De Andrè) Lascia che sia fiorito Signore il suo sentiero quando a te la sua anima e al mondo la sua pelle dovrà riconsegnare quando verrà al tuo cielo là dove in pieno giorno risplendono le stelle. Quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte ai suicidi dirà baciandoli alla fronte venite in Paradiso là dove vado anch’io perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio. Fate che giunga a voi con le sue ossa stanche seguito da migliaia di quelle facce bianche, fa- te che a voi ritorni tra i morti per ol- traggio che al cielo ed alla terra mo- strarono il coraggio. Signori benpen- santi spero non vi dispiaccia se in cie- lo, in mezzo ai santi, Dio fra le sue braccia soffocherà il sin- ghiozzo di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza pre- ferirono la morte. Dio di miseri- cordia il tuo bel Paradiso lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso per quelli che han vissu- to con la coscienza pura l’infer- no esiste solo per chi ne ha pau- ra. Meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare. Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento. Dio di miseri- cordia vedrai sarai contento. (Canzone dedicata da Fabrizio De Andrè a Luigi Tenco subito dopo il suo suicidio) Lasocietàcivile
  • 5. citamente rifiutata. L’obiettivo era orientare una classe operaia già in movimento, rilan- ciarne la predisposizione rivoluzionaria e mettersi alla testa di una alleanza sociale in grado di affrontare lo scontro con lo stato e di farsi motore di un profondo mutamento sociale. Il riuscito e prolungato collegamento tra movimento studentesco e lotte operaie è un carattere distintivo del 68 italiano. Un’ al- tra particolarità è rappresentata dalla pre- senza significativa dei cattolici. Il movimento studentesco aveva preso le mosse dagli am- bienti cattolici della facoltà di sociologia dell’Università di Trento e dalla Cattolica di Milano e aveva poi trovato una delle sue componenti essenziali nelle elaborazioni del cosiddetto cattolicesimo del dissenso. Sono anni in cui più alte diventano le defezioni sacerdotali, soprattutto di giovani preti che avvertono la crisi del ruolo del clero in una società che si sta secolarizzando. (Per contro si rafforza la presenza di preti operai, che cercano di condividere l’esperienza di vita e di lavoro dei soggetti più emarginati e affi- dano alla testimonianza la loro missione.) A partire dal 1966-67 nacquero aggregazioni cattoliche che si ponevano in esplicito e ra- dicale dissenso con le gerarchie ecclesiasti- che, giudicate troppo timide e conservatrici. Si costituirono delle “comunità di base” che riunivano sacerdoti e laici intenzionati a muoversi senza il vincolo di obbedienza alle autorità ecclesiastiche. La contestazione ec- clesiale tendeva a leggere lo stesso Concilio Vaticano II (1962,1965) come una rivoluzio- ne democratica della Chiesa, magari sotto l’influsso del dialogo marxismo-cristianesimo e con una forte attenzione al discorso elabo- rato dalla teologia della liberazione. I feno- meni rivoluzionari che andavano sviluppan- dosi nel mondo, dall’America Latina all’Asia, venivano interpretati come importanti mani- festazioni di una rivoluzione che si stava tra- sferendo nei paesi occidentali. Ecco allora il successo dei guerriglieri sudamericani, dei preti rivoluzionari dell’America Latina, di Fi- del Castro, Che Guevara e dell’esperienza cu- bana, dei combattenti vietnamiti e di Ho Chi Minh impegnati contro il Golia americano, di Mao Tsetung e della rivoluzione culturale in Cina. Rispetto ai nemici “storici” e visibili (come il comunismo o il liberalismo), la Chie- sa scopre di avere di fronte il pericolo di una nuova sensibilità popolare tendente a ridur- re l’importanza dei valori religiosi. La grande maggioranza degli italiani manteneva sì un orientamento cristiano, ma tale radicamento sembrava essere più di facciata che di so- stanza. Il processo di modernizzazione del paese, pur non sradicando i riferimenti reli- giosi, li rendeva più deboli e incerti proprio nel momento in cui si stavano diffondendo altre forme e movimenti di spiritualità. Gli ordini e le congregazioni religiose vennero messi a dura prova dalle tensioni interne alla Chiesa e da quelle esterne della contestazio- ne studentesca. Le stesse attività conciliari spingevano i religiosi a scoprire il fascino dell’impegno pastorale e sociale sul territorio e a interrogarsi sul modo più adeguato di in- terpretare il carisma dell’ordine e della con- gregazione di appartenenza. Il clima sociale che attribuiva grande valore ad un impegno sociale e politico tra la gente dei quartieri, nelle periferie urbane, negli ambienti di la- voro ha sicuramente pesato sulla crisi di ri- conoscimento della vita consacrata, tant’è che il difficile passaggio del post-Concilio e della contestazione studentesca sembra aver indebolito più gli istituti religiosi che la Chiesa delle diocesi e delle parrocchie. Il Concilio aveva richiamato la Chiesa ad una presenza più spirituale e pastorale nella so- cietà, meno coinvolta nelle specifiche scelte politiche dei diversi contesti in cui operava. L’inizio di questo nuovo corso avvenne sotto il pontificato di Paolo VI che, con scelte co- raggiose e sofferte, cercherà di tenere unita una Chiesa sempre più divisa tra conservato- ri e progressisti. La ripresa dei temi e dei di- battiti spirituali segnò la fine dello stretto collateralismo tra associazioni cattoliche e DC. L’Azione Cattolica se ne distanziò pro- gressivamente, fino a compiere la cosiddetta “scelta religiosa” che portò ad un minore im- pegno in politica a vantaggio di un aumen- tato sforzo in ambito religioso, spirituale e pastorale. Le ACLI, al decimo congresso (1966) misero in discussione l’unità politica dei cattolici, ponendo fine alla propria di- pendenza dalle gerarchie ecclesiastiche e ac- centuando la propria collocazione a sinistra. Nel blocco cattolico settori sempre più ampi guardavano apertamente a sinistra, in con- sonanza con temi che erano stati messi in rilievo dallo stesso Concilio, come quello della “chiesa dei pove- ri”. Il culmine della saldatura tra cul- tura cattolica e nuova sinistra si toc- cò con la diffusione del libro di Don Milani “Lettera a una professoressa” (1967). Anche grazie al contributo che venne dalle analisi di Don Mila- ni, alcuni Comitati e circoli dell´AR- CI (in particolare a Firenze) speri- mentarono forme di doposcuola e la costruzione di occasioni e sedi di iniziativa per e con i ragazzi, capaci di fornire stimoli ed esperienze che la scuola non poteva dare loro. L´Istituzione Scolastica appariva, in- fatti, del tutto impreparata a rendere effetti- vo il diritto all’istruzione (la scuola media obbligatoria, con estensione dell´obbligo scolare fino ai 14 anni di età, diventa norma di legge nel 1962) ed emarginava molti ra- gazzi , quasi sempre, di estrazione operaia o contadina. Possiamo dire che ci sono stati molti ’68. C’è ovviamente il 68 degli studenti e del movi- mento operaio. Ma c’è anche il 68 della psi- chiatria e della medicina alternativa, della magistratura, del mondo della scuola, del movimento femminista, del movimento con- ciliare, perfino di un certo fermento demo- cratico dentro la polizia. Tant’è vero che quando si tirano le somme della repressione giudiziaria del movimento complessivo del 1968-1969, si trovano accomunati in decine di migliaia di denunce e processi studenti, operai, preti e laici, insegnanti, psichiatri, medici,etc.. La domanda che sorge è la se- guente : c’è qualcosa che accomuna i molti 68, una spinta profonda, un orizzonte di senso? Un orizzonte di senso sul quale, forse, Luigi Tenco si era già interrogato l’anno pri- ma (1967) quando il suo brano “Ciao amore ciao” non fu ammesso alla serata finale del Festival di San Remo (dodicesimo posto nel voto popolare e fallito ripescaggio). Il suo corpo venne trovato nella camera dell’alber- go con un foro di proiettile alla testa. Un bi- glietto vergato a mano riportava: « Io ho vo- luto bene al pubblico italiano e gli ho dedi- cato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le ro- se" in finale e ad una commissione che sele- ziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. » Una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo era stata presentata nel 1966 con la “Gaudium et spes” (1966), che affrontava organicamente i temi della cultura, della vita economico-so- ciale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comuni- tà dei popoli, alla luce della visione antropo- logica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto deve essere considerato a partire dalla persona e in direzione della persona : “la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa”. Paolo VI, presentando lo sviluppo come passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane affermerà che sviluppo è il nuovo nome della pace (“Populorum Progres- sio” - 1967) e implica, per ogni persona , l’ac- quisizione della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento dei valori spirituali e della loro sorgente. Nel 1967 Paolo VI istituirà la Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” e, a cominciare dal 1968, su sua iniziativa, la Chiesa celebrerà, il primo giorno dell’anno, la Giornata Mondiale della Pace. In quello stesso anno (1968) a Bologna, tale giornata verrà celebrata dal Cardinal Lercaro con una famosa e fermis- sima condanna della guerra del Vietnam. Marco Malagoli Gruppo animatori cristiani ambiente di lavoro 14 PER SAPERNE DI PIU’ [1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)” Ed. Garzanti [2] Supplemento a MICROMEGA n.1/2008 “Sessantotto : Mito e realtà” [3] Storia dell’ARCI : www-arci.it [4] F. Garelli “La Chiesa in Italia” Il Mulino Farsi un’idea Lasocietàcivile
  • 6. L’8 maggio 1971 il Consiglio Permanente del- la CEI, affermava in un comunicato che le ACLI, per il loro impegno sociale e per le scel- te operate, non si potevano più enumerare tra le Associazioni raccomandate dalla Gerarchia Ecclesiastica; questa dichiarazione fu ripresa da Paolo VI con aggravata deplorazione; la conseguenza fu il ritiro degli Assistenti Eccle- siastici dall’Associazione. Il comunicato affer- mava inoltre che la Chiesa Italiana assumeva in proprio la pastorale del mondo del lavoro, senza più deleghe ad altri; e si decideva di istituire a livello nazionale, e in ogni diocesi, il “Gruppo sacerdotale della pastorale del lavo- ro”, con lo scopo di riunire in un unico organi- smo quei sacerdoti che, a vario titolo e con di- verse presenze, operavano in questo ambito pastorale. I Gruppi avrebbero dovuto costitui- re il coordinamento, con un sacerdote delega- to diocesano, della pastorale del mondo del lavoro ed essere i promotori del suo inseri- mento all’interno della pastorale ordinaria delle Chiese locali, a partire dalla parrocchia. L’ONARMO, già da tempo aveva cominciato ad “inventarsi” una presenza nelle fabbriche : con fantasia e sensibilità, il suo direttore Mons. Baldelli aveva cercato tutti gli stru- menti più adatti per evangelizzare quel mon- do. Promosse attività sociali e ricreative, orga- nizzando mense aziendali, dormitori, scuole serali ma, soprattutto, è a lui che si deve l’i- dea dei cappellani del lavoro. In prima perso- na girò l’Italia intera bussando alle porte dei Vescovi per chiedere di mandare sacerdoti co- me cappellani. Nacque in questo modo, a Bo- logna una comunità costituita da un gruppet- to di sacerdoti che dovevano assistere a tem- po pieno i lavoratori e che vivevano insieme, si aiutavano a vicenda, si confrontavano per migliorare il loro apostolato. Nella città felsi- nea, il Seminario dell’ONARMO (che aveva ac- quistato la sua fisionomia e funzione già a partire dal 1949) era aperto a tutti e i giova- ni seminaristi arrivavano da tutte le diocesi d’Italia per studiare materie quali : storia so- ciale della Chiesa, diritto del lavoro, malattie sociali, sociologia, economia politica, pedago- gia e psicologia. Il card. Lercaro riteneva che l’ONARMO dovesse svolgere essenzialmente due servizi al mondo del lavoro : da una par- te, dare ai lavoratori casa e pane; dall’altra, offrire anche un sostegno di tipo spirituale. E’ significativa la testimonianza di Mons. Maga- gnoli che racconta come il card. Nasalli Roc- ca, predecessore del card. Lercaro, gli avesse raccomandato di non stare né dalla parte de- gli operai, né da quella dei padroni, perché il suo compito era quello di fare il prete degli uni e degli altri. Il Seminario chiuse nel 1975 per mancanza di vocazioni. Proprio in quegli anni terminava il lungo ciclo di protesta ope- raia iniziata con la grande fase di mobilitazio- ne nazionale dell’autunno 1969 (il cosiddetto “autunno caldo”) per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici conclusasi con importan- ti conquiste dei lavoratori, sia sul fronte retri- butivo sia su quello delle condizioni di lavoro. Sulla spinta delle dure lotte operaie e studen- tesche, era emersa violentemente l'esigenza di una gestione diretta, in prima persona, dei problemi della salute da parte dei lavoratori e di un modo diverso di fare medicina nella so- cietà. La difesa della salute sul lavoro divenne a quel punto un nodo centrale dell'iniziativa sindacale e politica, tanto che il Parlamento stesso si trovò costretto a riconoscerne l'im- portanza, approvando con la legge 300 del 1970 "Statuto dei Lavoratori" l'art. 9 che, ro- vesciando la logica fino allora dominante, af- fermava: "I lavoratori, mediante loro rappre- sentanze, hanno diritto di controllare l'appli- cazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'atti- vazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica". Il rappor- to quindi, che prima avveniva quasi esclusiva- mente tra mondo medico-scientifico e padro- nato, cominciò ad avere un terzo interlocuto- re, un terzo soggetto: il lavoratore. Ma il cam- mino era ancora lungo ed impervio. Negli Sta- ti Uniti le industrie e le loro associazioni di ca- tegoria continuavano a sostenere che, quan- do tra il Natale 1973 e il gennaio 1974 si era- no accorte che gli operai del ciclo produttivo CVM-PVC (“ciclo produttivo della plastica”) morivano di tumore al fegato con troppa fre- quenza, era stato per loro come essere colpiti da un fulmine a ciel sereno. Non era proprio così. E il problema non riguardava solamente le aziende al di là dell’oceano. Nel corso degli anni sessanta l’oncologo bolognese Cesare Maltoni si era cimentato con la complessa problematica legata alla nocività delle mate- rie plastiche. Sapeva perfettamente dell’inesi- stenza in natura di molecole composte di clo- ro e di carbonio. E sapeva benissimo che , fino ad allora, nessuno era ancora riuscito a verifi- care il loro impatto sull’ambiente e sull’uomo. Per le sue prime ricerche, aveva sfruttato le ancora misere e inutilizzate strutture del ca- stello di Bentivoglio, situato a meno di venti chilometri da Bologna, sulla direttrice di Fer- rara. Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale questo grande castello era stato adibito a ospedale militare britannico. Da quell’epoca, però, era rimasto in stato di se- miabbandono. Al suo recupero e a un suo più adeguato utilizzo ci pensò il professore con la sua grande vitalità e con la voglia di trovare spazi sempre maggiori per le sue ricerche scientifiche. Gli approfondimenti bolognesi in materia di CVM portarono alla conferma del- la sua cancerogenicità e contribuirono al rico- noscimento di questo problema da parte del- le multinazionali. Una storia che si ripeterà per un’altra materia ampiamente diffusa ed utilizzata nei cicli produttivi: l’amianto. Il te- ma dell’informazione sulla pericolosità delle sostanze utilizzate in ambito industriale non- ché l’importanza di fornire a tutti una corret- ta e trasparente informazione assunse parti- colare rilevanza anche per l’attività legislativa europea in occasione dell’ incidente del 10 lu- glio 1976 alla ICMESA di Seveso. In Italia, l’o- pinione pubblica non aveva ancora comincia- to a rivolgersi con occhio critico ai grandi in- sediamenti industriali e a valutare il danno che questi possono comportare nei termini di coinvolgimento del tessuto socio-produttivo, delle attività preesistenti. Per quanto in ritar- do rispetto agli analoghi movimenti presenti negli Stati Uniti, si svilupparono velocemente anche in Europa fenomeni di opposizione agli insediamenti industriali, in particolare se nu- cleari. In Italia questo avvenne in occasione della costruzione della quinta centrale italiana (Montalto di Castro, nel viterbese). Nella po- polazione di Montalto l’opposizione divenne consistente nel corso del 1976 e, soprattutto, del 1977, con l’occupazione della stazione ferroviaria di Capalbio e blocchi stradali. Pre- se così vigore in quegli anni il movimento an- tinucleare e le varie contestazioni a carattere locale ed eterogeneo cominciarono a configu- rarsi come un movimento nazionale contro l’energia nucleare. L’ENEL (che, a cavallo del processo di nazio- nalizzazione delle imprese elettriche aveva assorbito le Società che avevano costruito le12 Quando la società non era ancora “liquida” Terza puntata Eppure soffia (Pierangelo Bertoli,1977) E l'acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi uccelli che volano a stento malati di morte il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte un'isola intera ha trovato nel mare una tomba il falso progresso ha voluto provare una bomba poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita invece le porta la morte perché è radioattiva Eppure il vento soffia ancora spruzza l'acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le foglie bacia i fiori li bacia e non li coglie Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario e presto la chiave nascosta di nuovi segreti così copriranno di fango persino i pianeti vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli i crimini contro la vita li chiamano errori Eppure il vento soffia ancora spruzza l'acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le foglie bacia i fiori li bacia e non li coglie eppure sfiora le campagne accarezza sui fianchi le montagne e scompiglia le donne fra i capelli corre a gara in volo con gli uccelli Eppure il vento soffia ancora!!! Cronacaesocietà
  • 7. 13 Cronacaesocietà prime tre centrali nucleari italiane) alla fine del 1969 aveva dato segnali di un rinnovato interesse per il nucleare e – dopo una pausa durata un decennio – deciso di avviare la co- struzione (1971) a Caorso della quarta cen- trale italiana. Il programma ENEL prevedeva, per il quadriennio 1970-1974, l’ordinazione, in media, di una unità nucleare da 800-1000 MWe all’anno, ma vennero poi negati all’E- NEL, i necessari finanziamenti, con la conse- guente sosta forzata fino al 1972, quando il programma fu ripreso. A partire dagli anni settanta la programmazione energetica a li- vello governativo (CIPE) prese forma con i Piani Energetici Nazionali. Il primo program- ma energetico fu il PEN 1975 che si propone- va il graduale superamento del formidabile squilibrio dell’offerta, concentrata per oltre il 70% su prodotti petroliferi, aumentando – nel breve periodo – l’utilizzo di fonti energe- tiche alternative (metano e carbone), nel me- dio-lungo periodo riprendendo la ricerca in campo geotermico, completando gli investi- menti sul settore idroelettrico e varando un programma elettronucleare di notevoli di- mensioni. Il nuovo interesse per il nucleare era sicuramente legato all’enorme crescita del prezzo del petrolio che causò una grave crisi economica su tutti i paesi industrializ- zati in particolare quelli, come l’Italia, più di- pendenti dal petrolio come fonte principale di energia per la produzione e i trasporti e scarsamente dotati di proprie risorse energe- tiche. Per la prima volta nell’economia mon- diale stagnazione ed inflazione, due fenome- ni ritenuti fino a quel momento incompatibi- li, si presentano assieme. Le industrie sono costrette a lavorare notevolmente al di sotto delle loro possibilità e a licenziare il persona- le in esubero. Inevitabilmente una grave on- data di disoccupazione investe l’intero terri- torio nazionale. E’ la fine degli anni del boom economico. In Emilia- Romagna subiscono un notevole ridimensionamento (e in parte ven- gono venduti ad altre società) i grossi im- pianti petrolchimici costruiti dalla Monteca- tini e dall’ENI negli anni 50-60 tra Ferrara e Ravenna (Si tratta degli unici grossi insedia- menti provenienti da capitale e progettazio- ne extra-regionale, che proprio per questo non si sono mai ben integrati con il resto del tessuto produttivo locale, pur divenendone una parte non trascurabile). E con i primi il- leciti per la realizzazione di opere pubbliche, nel 1971, ebbe inizio la “stagione degli scan- dali”. Il maggiore impatto sull’opinione pub- blica lo ebbe però, nel 1974, lo scandalo dei petroli, che vide accusati petrolieri ed espo- nenti politici, tra i quali i segretari ammini- strativi dei quattro partiti di governo. L’eco- nomia pubblica, che in passato aveva svolto – seppure in maniera discontinua e contrad- ditoria – un innegabile ruolo positivo, risulta- va ormai incapace di produrre profitti. Di- venne possibile, e anche facile, che il ruolo di supporto prestato dalle imprese pubbliche al- le politiche governative degenerasse nel so- stegno economico ai partiti politici, prevalen- temente a quelli di governo. La collusione che si creò in tal modo tra ceto politico e ce- to dirigente d’impresa, proprio nella fase di massimo successo e riconoscimento, pose le premesse per la decadenza dell’impresa pubblica. A partire da- gli anni 70 il processo degenerativo si sviluppò con un’intensità tale da non poter più essere ignorato e da suscitare una violenta reazione. In quegli anni, la mobilitazione di massa avviatasi con il ’68 iniziò a scemare. Proprio la fine del coinvolgimento delle mas- se nella protesta lasciò spazio a forme di ri- bellione individuali e violente. Secondo alcu- ni sociologi ogni “ciclo di protesta” conosce- rebbe sempre nella sua fase terminale un momento in cui la tendenza naturale alla conclusione della mobilitazione verrebbe contrastata dall’azione di una minoranza or- ganizzata che, attraverso forme di violenza, cerca di mantenere in vita l’onda della pro- testa. E’ quanto avvenne in Italia, dove pro- prio intorno al 1972-73, di fronte al declina- re dell’azione collettiva, si assistette al mol- tiplicarsi di episodi isolati di violenza esplici- ta e mirata. Questa fase fu particolarmente lunga e virulenta e vide la violenza organiz- zata – che non fu un carattere proprio del ’68, ma piuttosto il prodotto del suo esauri- mento – farsi brodo di coltura del terrorismo. In quegli anni, il giornalista De Mauro e lo scrittore Pasolini, probabilmente avevano in mano le informazioni giuste per denunciare la presenza, in Italia, di un volto oscuro del potere. Il primo stava preparando la sceneg- giatura del film di Francesco Rosi sulla mor- te di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni che osò sfidare le compagnie petrolifere interna- zionali. Il secondo stava scrivendo il romanzo Petrolio, una denuncia contro la destra eco- nomica e la strategia della tensione. De Mauro e Pasolini furono uccisi. Entrambi avrebbero presentato una tesi piuttosto sco- moda: e cioè che con l’uccisione di Mattei avesse preso il via un'altra storia d'Italia, un intreccio perverso e di fatto eversivo, sul cui sfondo si intravedeva il ruolo della loggia P2 e del "sistema Cefis" (controllo dell’informa- zione, corruzione dei partiti, rapporti con i servizi segreti, primato del potere economi- co su quello politico). L’attentato di Piazza Fontana (1969) – che inaugurava il lungo elenco di stragi (compiute fino al 1980 – quella con il bilancio più alto di vittime, il 2 agosto, alla stazione di Bologna) contribuì in maniera decisiva alla scelta, compiuta da gruppi rivoluzionari di estrema sinistra, di at- taccare lo Stato. Per circa quattro anni le Brigate Rosse, costituitesi nell’ottobre 1970, si erano dedicate a quella che essi stessi defi- nirono “propaganda armata”, ovvero ad azioni dimostrative come sabotaggi in fab- brica, aggressioni ai danni di capireparto o rapimenti di dirigenti industriali che si con- cludevano con il “processo” e il successivo ri- lascio. Si trattava di azioni che miravano a colpire bersagli individuali all’interno degli stabilimenti industriali e che ancora non si concludevano con spargimenti di sangue. Ma il momento culminante dell’attacco portato dalle BR ai vertici delle Istituzioni fu il rapi- mento di Aldo Moro, che rappresentava il massimo obiettivo possibile: era il leader del maggior partito italiano e l’artefice del coin- volgimento del PCI nell’area di governo, che aveva consentito il compatto arroccamento del sistema politico in contrapposizione alla contestazione sociale. Tra la fine del ’76 e l’i- nizio del ’77 la ripresa terroristica – dopo una fase di quasi smantellamento operata dal Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa - trasse sostegno da una nuova eruzione sociale, che fece guadagnare centinaia di militanti e sim- patizzanti, senza per questo riuscire a con- quistare un consenso sufficientemente este- so da rendere immaginabile la trasformazio- ne del terrorismo in qualcosa che si avvici- nasse all’idea di un movimento rivoluziona- rio. Il movimento del ’77 praticò ampiamente e teorizzò il ricorso alla violenza diffusa, che si concretizzò nello scontro cercato e siste- matico con le forze dell’ordine, nell’attacco studiato a determinati obiettivi, sedi, edifici, in episodi di vera e propria guerriglia urbana con la distruzione di negozi, vetrine, auto, at- traverso l’uso di molotov, spranghe, armi da fuoco. A Bologna, la mattina dell'11 marzo 1977, alcuni appartenenti al movimento de- gli studenti avevano cercato di partecipare ad una assemblea di Comunione e Liberazione che si teneva in un aula dell'istituto di anato- mia in via Irnerio; questo aveva provocato dei tafferugli ed erano state fatte intervenire le forze dell'ordine. Incidenti si verificarono in seguito all'intervento della polizia e, in via Mascarella lontano dalla zona in cui vi erano gli scontri, vennero sparati i colpi di arma da fuoco che colpirono a morte lo studente e militante di Lotta Continua Francesco Lorus- so. Dopo questa uccisione gli scontri si fece- ro sempre più duri, vennero erette barricate, vennero causati gravi danni a locali pubblici. La città venne posta in stato d'assedio con l'arrivo di mezzi blindati e carri armati. Le forze dell'ordine fecero irruzione a Radio Ali- ce, una delle radio che aveva dato voce al movimento e che trasmetteva in diretta gli scontri; la radio venne chiusa e le persone che conducevano le trasmissioni vennero ar- restate. Simbolo del ’77 divenne presto una foto scattata a Milano il 14 maggio, quando da un corteo studentesco si staccarono alcu- ne persone che fecero fuoco sulla polizia uc- cidendone un sottufficiale. La foto ritraeva un giovane in passamontagna, solo, in mezzo alla strada che, gambe divaricate e braccia tese, puntava la sua P38 contro la polizia. Nelle parole di Umberto Eco : “quella foto non assomigliava a nessuna delle immagini in cui si era emblematizzata, per almeno quat- tro generazioni, l’idea di rivoluzione. Manca- va l’elemento collettivo, vi tornava in modo traumatico la figura dell’eroe individuale… Questa immagine evocava altri mondi, altre tradizioni che non avevano nulla a che vede- re con la tradizione proletaria, con l’idea di ri- volta popolare, di lotta di massa.” Il nuovo movimento aveva perso quasi completamen- te il carattere irriverente e sarcastico del ’68 che inseguiva l’utopia di una società e di un privato antiautoritari. Portava nelle piazze la disperazione e la rabbia di giovani studenti e disoccupati colpiti dalla grave crisi economi- ca, marginalizzati nel degrado delle periferie delle grandi città, che non vedevano alcuno sbocco positivo alle proprie aspirazioni perso- nali e politiche. Marco Malagoli Gruppo animatori cristiani ambiente di lavoro PER SAPERNE DI PIU’ [1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)” Ed. Garzanti [2] A.M.Cremonini “Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale” Ed. ConquistE [3] F. Casson “La fabbrica dei veleni” Sperling&Kupfer [4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri “Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi, Ed. Laterza [5] P.Fornaciari “Il petrolio, l’atomo e il metano” Edizioni 21°Secolo
  • 8. La profondità del cambiamento vissuto dall’Italia nei vent’anni a partire dall’inizio degli anni Settanta non fu minore degli sconvolgimenti determinatisi nel ventennio precedente a seguito della trasformazione da paese agricolo a paese industriale: in quel perio- do si determina il passaggio da società industriale a società postindustriale, con la crescita del settore dei servizi, del settore impiegatizio e delle professioni, delle nuove attività legate agli enormi sviluppi delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni. Al lavoro manuale si sostituisce sempre più il lavoro basato sulla conoscenza, all’operaio il tecnico quali- ficato e la riorganizzazione del lavoro passa anche attraverso la rideterminazione degli orari di lavoro, con il massiccio utilizzo degli straordinari e dei turni. A seguito di vari interventi legislativi, nei primi anni 80, diventa possibile applicare contratti e modalità di lavoro più flessibili (contratti di formazione-lavo- ro, contratti di solidarietà, assunzioni a tempo par- ziale e determinato e chiamate nominative), dando inizio a forme di lavoro “atipiche” se confrontate al modello di impiego che aveva dominato il mercato del lavoro all’epoca del “fordismo maturo”, ovvero il contratto dipendente a tempo pieno e indetermina- to. Su iniziativa degli imprenditori avviene anche il progressivo abbandono dei principi organizzativi taylor-fordisti e la diffusione di una minore gerar- chizzazione interna, con ampliamento e rotazione delle mansioni e l’introduzione di gruppi di lavoro con ampia autonomia organizzativa. Nelle industrie – specialmente in quelle piccole e medie - e nel va- riegato settore dei servizi, non di rado si eludevano gli obblighi contributivi ed assistenziali a favore dei lavoratori [1], e nel terziario “tradizionale” si molti- plicavano lavori precari e poco pagati. Le grandi aziende, dal canto loro, proseguivano nelle strategie di decentramento e nella fabbricazione del prodotto finito mediante tante fasi differenti, ciascuna facil- mente esportabile al di fuori dell’azienda. Non è un caso che - novant’anni dopo la Rerum Novarum - Giovanni Paolo II dedicasse al lavoro, bene fonda- mentale per la persona, fattore primario dell’attività economica e chiave di tutta la questione sociale, l’enciclica Laborem Exercens. La Laborem Exercens delinea una spiritualità e un’etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filo- sofica che intende il lavoro non solo in senso ogget- tivo e materiale, ma anche nella sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vi- ta sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione natu- rale e soprannaturale della persona. Ma la ristruttu- razione produttiva e la graduale assunzione da par- te dell’Italia dei caratteri propri di una società po- stindustriale determinarono una profonda trasfor- mazione della stratificazione sociale. Se nei decenni precedenti la maggior parte degli italiani si era rico- nosciuta in una precisa classe sociale, nella quale ciascuno vedeva rispecchiare i propri interessi, la propria cultura, le proprie aspirazioni, a partire dagli anni 80 diviene sempre più difficile segnare dei con- fini precisi tra i diversi gruppi sociali. Alla “fine delle classi” si accompagna il progressivo uniformarsi di modelli di consumo, aspirazioni, stili di vita da parte di aree sociali crescenti e via via maggioritarie nel paese: quella degli anni 80 fu una seconda rivolu- zione dei consumi dopo quella degli anni 60. Ma se il “miracolo economico” aveva offerto consumi in gra- do soprattutto di rispondere ai bisogni di ogni gior- no, di alleviare le fatiche del lavoro quotidiano at- traverso i nuovi elettrodomestici, i consumi dell’Ita- lia postmoderna miravano a soddisfare aspirazioni di altra natura, meno legate a necessità pratiche. La ricchezza degli italiani era enormemente aumentata e con essa le loro esigenze e i loro desideri. Era nato il culto della vacanza, del week end da trascorrere ad ogni costo fuori città, dei viaggi, della cena in risto- rante o almeno in pizzeria. Si erano moltiplicate le seconde case, le automobili, le roulottes, le moto di grande cilindrata e cominciarono ad entrare nel fra- sario televisivo e dei giornali espressioni come : in- gorgo, coda chilometrica, l’esodo dei vacanzieri. L’o- peraio Cipputi e l’impiegato Fantozzi, avviliti e fru- strati per tutta la settimana cercavano il loro riscat- to il sabato e la domenica. I modelli di comporta- mento di massa instaurati nel periodo di boom eco- nomico erano passati inalterati attraverso le ventate della contestazione, i drammi crescenti della droga e del terrorismo ma la crisi petrolifera li mise drastica- mente in discussione. Alla fine del 1973, per fron- teggiare la crisi energetica, il governo italiano prese una serie di provvedimenti volti a diminuire i consu- mi e destinati a imprimersi a lungo nel ricordo e nel- l’immaginario collettivo degli italiani (sospensione del traffico nei giorni festivi; riduzione dell’illumina- zione pubblica ; conclusione degli spettacoli televisi- vi, cinematografici e teatrali entro le ore 23; chiusu- ra anticipata degli esercizi commerciali con obbligo di spegnere le insegne). Per gli italiani le conseguen- ze psicologiche di tali misure, quasi da economia di guerra, furono pesanti e gli effetti della crisi si fece- ro sentire più che altrove a causa della strutturale debolezza dell’economia nazionale. A partire dagli anni '70 un giovane cantante al culmine del succes- so e della popolarità discografica e televisiva aveva cominciato a sentire il disagio del suo ruolo, avver- tendo il bisogno di un senso diverso e di un rappor- to più diretto col pubblico, unito alla voglia di espri- mere liberamente le sue idee senza i condiziona- menti tipici del mercato discografico e i limiti del mezzo televisivo. La sua scelta è difficile ma coeren- te e coraggiosa. Inizia un capitolo completamente nuovo della sua vita artistica: si allontana definiti- vamente dalla televisione e dal circuito discografico e dà vita al cosiddetto "Teatro Canzone", una formu- la innovativa che alterna canzoni e monologhi. Sono spettacoli, scritti a quattro mani con l'amico pittore Sergio Luporini, che per 30 anni porta nei teatri di tutta Italia con sale sempre esaurite [2]. Sul palco- scenico Giorgio Gaber si presenta solo senza alcuna scenografia cantando a volte con basi pre-registrate, altre volte con i musicisti nascosti dietro al sipario. Tutto ciò contribuisce a esaltarne il grandissimo ca- risma scenico. Nei suoi spettacoli Gaber descrive l'e- volversi della società italiana toccando i più svariati argomenti: famiglia, amicizia, sessualità, solitudine, amore, coscienza individuale, ma anche politica, economia, istituzioni, religione, mass-media, ecc. Ogni argomento viene affrontato con grande onestà intellettuale e portato sul palco con un'energia co- municativa non comune. Gaber e Luporini scavano nella realtà quotidiana senza la presunzione di pro- porre soluzioni ma con il semplice intento di insi- nuare il "dubbio" in chi ascolta. Il loro bersaglio so- no le frustrazioni e le contraddizioni del cosiddetto uomo moderno: quelle politiche e quelle erotiche degli anni di piombo, degli anni Settanta italiani. I due spettacoli “Libertà obbligatoria” e “Polli di alle- vamento” sono insieme il punto di arrivo e la con- clusione, negativa, di un lungo viaggio fatto dai due autori attraverso miti e realtà, sociali e politici, del- l’arco di tempo che va dal ’68 agli anni Settanta, dal sorgere di una speranza alla sua sconfitta. E infatti tutte le canzoni dei due spettacoli sono scritte all’in- segna della sconfitta epocale ed esistenziale, politica e personale. Attraverso un’impietosa descrizione del presente rivendicano anche, e rilanciano, la speran- za di quegli anni, dal ’68 alle Brigate Rosse escluse, e si oppongono con fermezza e sarcasmo alla meschi- nità e alla follia che chiude questo arco di anni. Questi spettacoli contengono una pedagogia che educa attraverso la magia dell’arte a sentimenti in- tensi. E dietro questa pedagogia c’è una visione an- tropologica forte dell’uomo, che rifiuta meschinità, compromessi e debolezze. Il tratto che dà unità al Teatro canzone di Gaber e Luporini è quello del pen- siero critico demistificante, l’irrisione polemica di ogni falsa coscienza, di ogni meschinità ammantata di ideali fasulli. Se la verità è il mito più alto dell’oc- cidente, la verifica caustica di Gaber-Luporini evi- denzia la forte carica d’illusione che ha questo mito: la verità,invece, secondo gli autori è che siamo “pol- li di allevamento” chiusi nelle gabbie di miti e ideali fasulli, nelle nostre “libertà obbligatorie”. La causa ultima di questa situazione, la radice di questo esse- re “una razza già finita senza neanche cominciare” è nel credere male. “No, non fa male credere / fa mol- to male credere male”. Ma il problema deriva anche dalla mancanza di lucidità politica e di coraggio, dalla mancanza di “rigore e precisione”. Obiettivo degli attacchi è il capitalismo, il dominio degli og- getti : “Nel frattempo gli oggetti erano andati al po- tere. La loro prima vittoria era stata il superamento del concetto di utilità…” In questo contesto trovia- mo l’accusa all’americanizzazione della nostra socie- tà, contro una libertà che è costrizione, libertà che ti impediscono di scegliere realmente. In un quadro di crollo etico-civile non vengono risparmiati gli illusi- confusi della “sinistra degli anni Settanta” dipinti impietosamente nella canzone “quando è moda è moda” che è un’ulteriore provocazione scientemen- te costruita. L’ipocrisia, l’inganno, la “falsa coscien- za” esistono anche sul piano privato e la decisa esor- tazione a essere persona intera, individuo sociale, è tema ricorrente. E’ da una rifondazione individuale che bisogna ricominciare e questo, non solo è sem- pre possibile ma è sempre doveroso. Il pubblico, co- me il privato, per Gaber e Luporini (GL) sono cose alte, progetti che devono andare sotto il segno della moralità e forse anche dell’utopia (purchè sia “un’u- topia concreta” ). A fianco di una assoluta e lucida concretezza il richiamo aperto alla forza vivificante dell’utopia : ossia un richiamo forte a vivere la real- tà per quella che è, senza inutili ossequi al potere e al conformismo sociale, ma anche un invito forte a vivere la vita senza paura del mistero che ne è parte integrante, senza paura dell’ambiguità che ne è al- trettanto parte integrante. Nel richiamo a un agire morale, concreto e responsabile, è inoltre la risposta di GL ai dilemmi, agli aut-aut del presente : libertà o uguaglianza, individuo o masse, vero o falso, destra o sinistra, speranza o disperanza, impegno o qualun- quismo….Contro la concezione cartesiana e fonolo- gica di tanta filosofia moderna – “Penso dunque so- no” – GL lanciano una battuta fulminante e polemi- ca : “Io penso dunque sono…..un imbecille”, battuta 13 Quadolasocietànoneraancoraliquida Quando la società non era ancora “liquida” Quarta e ultima puntata
  • 9. 14 Quadolasocietànoneraancoraliquida segue da pag. 13 che sinteticamente afferma che la rifondazione del pensiero non è solo un altro modo di pensare, ma un altro modo di essere “cuore e pensiero aperto”. Fon- damento di un corretto rapporto con la realtà è il nostro essere Persona e insieme la percezione che, al fondo di noi stessi, vi sono gli altri considerati an- ch’essi Persona. L’intersoggetività, gli altri, sono co- stitutivi della nostra persona. Dice Gaber che questa è una nozione alta di individuo e che il deficit di gran parte della sinistra novecentesca sia stato un deficit antropologico, una visione ridotta dell’essere umano. Gaber sostiene che la sua generazione ha perso, ma l’ammissione di una sconfitta e la sua analisi disincantata sono l’unica speranza, l’unico reale contributo che possiamo ancora dare a chi vie- ne dopo di noi : “Noi, con i nostri slanci, i nostri ideali e le nostre utopie, siamo riusciti davvero a mi- gliorare il mondo? Siamo stati padri migliori di quel- li che ci hanno preceduto? Siamo stati un riferimen- to attendibile, un esempio valido per i nostri figli? Purtroppo la mia risposta non riesce ad essere posi- tiva. La gente mi piace sempre meno e l’uomo mi sembra arrivato al suo minimo storico di coscienza. Alla dittatura del consumo non siamo stati in grado di resistere: ne siamo stati forse complici inconsape- voli. Per noi era più facile essere pacifisti, antiautori- tari e democratici. I nostri padri avevano fatto la Re- sistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi.. la resistenza. E’ sempre tempo di resistenza.” Nel dis- orientamento sociale e politico della seconda metà anni 70, in un tempo in cui la Chiesa tenta di ridefi- nire una nuova presenza nella società [3], emergono i primi sintomi di ripresa di quell’associazionismo cattolico ufficiale, soprattutto giovanile, che era sta- to fortemente penalizzato dalla stagione della con- testazione studentesca e delle lotte operaie. La fine degli anni 70 è stata un periodo di rinnovato fer- mento, soprattutto per due tipi di gruppi: quelli più orientati all’azione sociale e quelli caratterizzati da un maggior richiamo all’identità religiosa. La Chiesa avverte la necessità di una nuova mediazione cultu- rale (in termini di sana laicità) che renda intelligibile e interessante il messaggio evangelico anche in una società ormai pluralistica, che ha perso i riferimenti religiosi del passato, aperta a istanze e orientamenti diversi. Era ancora aperto il dibattito sulle elezioni politiche del 1976 quando si ebbe la presenza di candidati di matrice cattolica nelle liste dei partiti della sinistra, anche comunista, nonostante i vesco- vi italiani avessero richiamato i cattolici all’incompa- tibilità tra la fede cristiana e l’appoggio a forze poli- tiche di orientamento marxista. Tutto questo rende- va evidente la necessità di un ripensamento del rap- porto fede/cultura/politica evitando sia di far di- scendere dalla fede un solo modello di comporta- mento (di tipo confessionale), sia di separare la fede dalla cultura e dalle scelte politiche. In Emilia-Ro- magna, dai primi del 900, i comuni avevano indivi- duato nello spazio municipale e nelle istituzioni po- litico-amministrative le risorse prioritarie non solo per l’organizzazione del consenso nel territorio ma anche per vincere la sfida di una grande ed equili- brata trasformazione industriale della società regio- nale (il cosiddetto “modello emiliano”). Con la na- scita delle Regioni come enti amministrativi (1970) si ha per certi aspetti la sanzione del processo di mo- dernizzazione del territorio e il terreno della sfida di- viene il governo dello sviluppo economico e la co- struzione di un’identità collettiva che si confronti con le nuove culture politiche territoriali, nell’inedi- to spazio compreso tra la comunità locale e l’oriz- zonte europeo. Ma la società nel suo complesso co- minciava a manifestare i primi segni di liquidità….. Marco Malagoli Gruppo Animatori Cristiani Ambiente di lavoro Non insegnate ai bambini (di Gaber – Luporini) Non insegnate ai bambini / non insegnate la vostra morale / è così stanca e malata potrebbe far male / forse una grave imprudenza / è lasciarli in balia di una falsa coscienza. Non elogiate il pensiero / che è sempre più raro / non indicate per loro / una via conosciuta ma se proprio volete / insegna- te soltanto la magia della vita. Giro giro tondo cambia il mon- do. / Non insegnate ai bambini / non divulgate illusioni sociali / non gli riempite il futuro / di vecchi ideali / l'unica cosa sicu- ra è tenerli lontano / dalla no- stra cultura. Non esaltate il talento / che è sempre più spento / non li av- viate al bel canto, al teatro alla danza / ma se proprio volete / raccon- tategli il sogno di un'antica spe- ranza./ Non insegnate ai bambi- ni / ma coltivate voi stessi il cuore e la mente /stategli sem- pre vicini / date fiducia all'amo- re il resto è niente. Giro giro tondo cambia il mon- do / Giro giro tondo cambia il mondo. “Non insegnate ai bambini” può esse- re visto come il testamento spirituale di Giorgio Gaber, e non è certo un caso che sia stata scelta come accompagnamento musicale al funerale del signor G. Guardatemi bene (di Gaber – Luporini, Polli di allevamento, 1978) Guardatemi bene / eccomi da- vanti a voi / non per fare strani mischia menti / non per stare insieme / non mi va la vostra scuola, la vostra famiglia / e di rispettarvi non ho nessuna voglia. Guardatemi bene / non credo più a niente / non voglio più la- vorare / come un deficiente. Non ho più speranze / mi sono fregato / ma ormai me ne fotto. / Avete visto come sono ridotto. Pa pappà-parà-parà pappà-parà- parà / Pa pappà-parà-parà pap- pà-parà-parà Guardatemi bene / ora non ne posso più /non ho più problemi di coscienza /ne ho le palle pie- ne. Me ne frego dei partiti / me ne frego dei gruppi / tentativi di- sperati / ne ho fatto già troppi. E ora andiamo a ballare / tanto per consolarci / su quello che rimane /sui circoli ARCI. Arriva la febbre / del sabato se- ra / e io mi ci butto. /Avete visto come sono ridotto. Pa pappà-parà-parà pappà-parà- parà / Pa pappà-parà-parà pap- pà-parà-parà Guardatemi bene / eccomi da- vanti a voi / con lo stile arguto / di un giullare gaio, originale / eccomi che mi esibisco e vi rido sul muso /fiero dei miei orec- chini e degli spilli nel naso. ………. Guardatemi bene/ ho gli occhi nel vuoto /drogati e corrotti. Avete visto come siete ridotti /avete visto come siete ridotti. Pa pappà-parà-parà pappà-parà- parà Per saperne di più: [1] A. Di Michele “Storia dell’Italia Repubblicana (1948-2008)” Ed. Garzanti [2] P. Jachia “Giorgio Gaber 1958-2003 Il teatro e le canzoni” Ed. Riuniti [3] F. Garelli “La Chiesa in Italia” Serie Farsi un’idea Ed. Il Mulino