1. Numero 7 del 3 giugno 2013 Marcello Agnello
Prodotti o servizio ?
Tutti noi sappiamo bene come esistano gestori, e quindi prodotti, migliori di altri; non servono doti
interpretative particolari per riconoscere capacità e qualità superiori a Edouard Carmignac, Didier Le
Menestrel, Michael Hasenstab, Mark Mobius e altri ancora.
Oltre a questi storici asset manager, ogni tanto ne spunta fuori qualcun altro, o qualche società che merita di
essere segnalata perché, al momento, meno nota al grande pubblico. Parlo ad esempio di Zest Asset
Management, di Ethenea Indipendent Investors, e di Bantleon Invest, relativamente piccole e indipendenti
boutique di investimento destinate, nei prossimi anni, a ottenere gli stessi riconoscimenti dei loro più blasonati
predecessori.
Compito del bravo promotore finanziario (che tanto mi rimanda al bravo presentatore Nino Frassica di Indietro
tutta !) è scovarli, approfondirli, parlarne al proprio cliente e, lui d’accordo, farglieli comprare.
Non c’è gara tra Carmignac Patrimoine, e un bilanciato di Eurizon ad esempio; tra FDE Agressor e un azionario
europeo di Pioneer; tra Templeton Asian Growth, e un azionario asiatico di Arca SGR (sempre che esista).
Il grafico sotto (linea verde) indica l’andamento di un portafoglio investito in cinque comparti di sicav pesati
equamente (Carmignac Patrimoine, Financiere de l’Echiquier Agressor, Templeton Asian Growth, Templeton
Global Bond e Morgan Stanley Global Brands, presi nelle classi A e nella valuta di riferimento del fondo; l’analisi
parte dal 1° maggio 2006, data di nascita del comparto più giovane tra questi, per avere dati uniformi).
Questo portafoglio ideale, che racchiude il meglio del mercato internazionale, pur avendo attraversato la crisi
del 2008, evidenzia ad oggi un rendimento complessivo del 59,95%, e dell’8,45% annualizzato. Quindi 100.000
euro investiti il 1° maggio 2006, e mantenuti fino ad oggi (31 maggio 2013) sarebbero diventati 159.950 euro.
Chapeau !
E cosa rappresenta invece la linea nera ? Con una battuta mi verrebbe da dire … ciò che tutti i promotori hanno
sempre desiderato avere !!
Da anni esistono sul mercato “strumenti” che, senza scendere in tecnicismi adesso inutili, gestiscono i portafogli
non solo dal punto di vista strategico (su quali asset class investire) ma anche e soprattutto dal punto di vista
tattico (dove e quanto investire, e soprattutto quando uscire dal mercato). Anticipo la facile obiezione …
nessuno ha la sfera di cristallo…: sono d’accordo, ma negare l’evidenza dei fatti sarebbe stupido almeno quanto
credere alle capacità divinatorie.
2. Numero 7 del 3 giugno 2013 Marcello Agnello
La linea nera quindi identifica lo stesso portafoglio scelto, quello dei migliori che conosciamo, semplicemente
“ottimizzato” in base a strategie tattiche e, soprattutto, di controllo del rischio che permettono di tagliare le
perdite senza rinunciare ai rendimenti. Se quindi gli stessi comparti, invece di essere acquistati e mantenuti
fino ad oggi, secondo la classica abitudine del compra e tieni (o per dirla come quelli che parlano bene, del “buy
and hold”) si fossero gestiti tatticamente nel durante, il rendimento complessivo del portafoglio sarebbe stato
dell’84,83% (contro il 59,95%) con un rendimento annualizzato pari all’11,96% (contro l’8,45%).
Ma il rendimento maggiore, per quanto mi riguarda, non è nemmeno il vero valore aggiunto di questo modello.
Prima, molto prima di questo, ci sta il fatto che la volatilità annualizzata del portafoglio si sarebbe ridotta molto,
dal 9,73% al 6,81%, ed ancor più la perdita massima del portafoglio (sempre per dirla bene, il Max Draw Down),
coincidente col periodo nero della crisi finanziaria, sarebbe crollata dal -32,77% al -10,37%.
Quali gli evidenti vantaggi, rendimento aggiuntivo a parte ? In primis il cliente farebbe sonni molto più
tranquilli dovendo sopportare molto poco le montagne russe dei mercati azionari. Ma soprattutto, nel momento
più acuto della crisi avrebbe perso solo il 10%, contro il 32%, con l’evidente vantaggio (coronarie salve a parte)
che per recuperare da un -10% è sufficiente una crescita del mercato di poco superiore a quella stessa
percentuale, mentre per risalire dal burrone del -32% serve un rendimento quasi pari al 50%.
In ultimo, come aspetti commerciali per nulla trascurabili, ne evidenzio quattro. Un cliente soddisfatto è spesso
disposto a investire di più con noi; ugualmente, oltre a maggiori disponibilità, è probabile che aumentino le
referenze da lui segnalate; lato promotore, il management fee complessivo non subisce perdite del 30% ma, se
son vere le prime due cose, “rischia” di aumentare in virtù di nuove masse e clienti; infine, offre al cliente
qualcosa che altrove non trova.
Nella newsletter precedente accennavo al fatto che, oggi, il multibrand (almeno nelle reti di promotori) sta
diventando una commodity; insieme ai migliori prodotti, al cliente va fornito un “servizio” diverso, se non
vorremo continuare a raccogliere quanto i mercati salgono (ultimamente, molto poco) e a patire quando
scendono (ultimamente, sempre di più).
Chi ha qualche anno di sano marciapiede alle spalle sa bene come più del guadagno ai clienti interessi non
perdere soldi, o perderne il meno possibile. A parole spesso affermano altro, ma i comportamenti irrazionali
successivi li smentiscono.
Decidere col nostro cliente su quali strumenti investire, possibilmente i migliori, è cosa buona e giusta;
decidere con lui quale rischio massimo correre, evitando i rovesci dei mercati, è cosa saggia e profittevole.
Per tutti.