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AL RICATTO DI ABI DICIAMO NO
Dall’ ABI un atteggiamento irresponsabile che genera gravi conseguenze in categoria
Con lettera del 16 settembre, ABI ha comunicato ai nostri Segretari Generali la disdetta
anticipata ed unilaterale dei CCNL Aree Professionali, Quadri Direttivi e Dirigenti,
manifestando in tal modo la volontà di non prorogare gli stessi oltre la data di scadenza del
30 giugno 2014, al fine di minare la sussistenza delle parti normative ed economiche, con
riflessi anche sui contratti aziendali.
E’ un atto grave ed arrogante, nei modi e nei contenuti, che rompe una tradizione che ha
sempre trovato nel dialogo le risposte ai problemi complessi affrontati nel tempo e che ci
ha permesso di gestire situazioni di crisi anche con soluzioni innovative. Risulta palese la
volontà di demolire un sistema e di volerlo ricostruire su diverse basi di forza, scaricando
sui lavoratori i guasti di un sistema ove i banchieri hanno le maggiori responsabilità.
Il nostro Paese fatica a ripartire e anche il sistema creditizio attraversa una situazione
critica, ma ABI intende approfittare di questo difficile momento per imporre le sue
soluzioni: scaricare i costi sulla fiscalità generale (cioè sui contribuenti italiani) e sui
lavoratori (cioè su salari e occupazione). In una fase in cui occorrono coesione sociale e
senso di responsabilità, i banchieri non accettano di fare la loro parte e si disimpegnano,
svincolandosi dal loro ruolo e dalla loro funzione.
Noi ribadiamo che occorre una banca al servizio del Paese e non della finanza senza
regole, una banca che ritorni ad essere stimolo allo sviluppo ed all’occupazione, favorisca il
rilancio degli investimenti e riapra il rubinetto del credito alle imprese e alle famiglie.
Con la disdetta ABI distrugge un patrimonio consolidato di positive relazioni sindacali
Risulta evidente ed esplicita l’intenzione delle banche di arrivare ad una completa
deregolamentazione del settore, attraverso la cancellazione dell’attuale modello
contrattuale, del Contratto Nazionale e del Fondo di Solidarietà, declassando la
contrattazione di secondo livello a mera contrattazione di carattere derogatorio e
funzionale esclusivamente alla necessità di flessibilità e riduzione dei costi delle imprese.
A titolo di esempio, non certo esaustivo:
• libertà di modificare ed estendere unilateralmente gli orari di lavoro e di sportello;
• libertà nel richiedere più flessibilità e nell’accrescere la mobilità territoriale senza
regole;
• libertà di spostare le persone senza limitazioni;
• abolizione dei percorsi professionali contrattati, compresi quelli in essere;
• cancellazione degli scatti di anzianità e degli automatismi residui;
• cancellazione delle ex-festività e delle ferie eccedenti la dotazione ex lege.
Ma non basta: ABI muove un attacco direttamente al salario della categoria
ABI richiede una “moderazione salariale VISTOSA”, di fatto una riduzione del potere
d’acquisto dei salari, non riconoscendo gli adeguamenti legati all’inflazione e lasciando alla
discrezionalità l’erogazione del salario variabile. La contrattazione dovrebbe svolgere la sola
funzione di adeguare i livelli salariali all’andamento economico dell’azienda, rendendoli
variabili e comprimibili sulla base delle sole esigenze di redditività aziendale.
Noi invece chiediamo il mantenimento del ruolo del CCNL, la salvaguardia del potere
d’acquisto delle retribuzioni e la tutela dell’occupazione!
ABI ricatta e mette in discussione la sopravvivenza del Fondo di Solidarietà
Uno strumento che nel corso del tempo è servito a gestire quasi 50.000 uscite dal settore,
dimostrandosi efficace per governare le ristrutturazioni.
La riforma Fornero impone una revisione del Fondo, ma non il suo stravolgimento:
prestazioni e diritti devono restare inalterati. Vanno invece potenziati gli strumenti di
gestione solidaristica come le riduzioni di orario/sospensioni dell’attività lavorativa e
introdotti i contratti di solidarietà espansiva (in un’ottica di ricambio generazionale e di
accompagnamento alla pensione).
La scomparsa del Fondo di Solidarietà potrebbe essere una inaccettabile conseguenza
derivante dalla decisione di ABI di rifiutare il negoziato. In questo modo andrebbero
dispersi anni di sacrifici dei bancari, che hanno garantito alla categoria un ammortizzatore
sociale ben più efficiente di quelli pubblici.
Il Fondo di Solidarietà non è una elargizione aziendale! È stato pensato, finanziato e
gestito attraverso la contrattazione di settore e non ha pesato sulla collettività essendo
interamente pagato da aziende e lavoratori della categoria.
Abi sferra un attacco pesantissimo ai lavoratori del settore: troppi e inadeguati
Insieme alla lettera di disdetta, Abi ha consegnato un documento, offensivo nei contenuti
ed arrogante nei toni, in cui illustra quella che è a suo avviso la situazione del settore e gli
interventi necessari.
I lavoratori del settore vengono etichettati come troppo vecchi, scarsamente motivati,
culturalmente distanti dalle nuove esigenze delle banche, marcatamente resistenti o
comunque poco disponibili al cambiamento, alla riconversione e riqualificazione
professionale; inoltre, il lavoro è considerato troppo stabile e poco flessibile.
Si tratta di offese ed accuse immotivate che respingiamo al mittente, ma che però
descrivono chiaramente quale sia il miope atteggiamento della nostra controparte:
quello di svalorizzare i lavoratori, attribuendo loro colpe che non hanno e
disconoscendone il ruolo primario che oggi viene loro giustamente attribuito come
fattore di successo dell’impresa.
Il personale sarebbe ”culturalmente distante dalle nuove esigenze” e “resistente al
cambiamento”? Si dimenticano che questo è uno dei settori che negli ultimi anni ha subito
le trasformazioni più radicali: lavoratrici e lavoratori si sono resi disponibili a continue
riconversioni, passando da attività di Back Office a Front Office o ad attività commerciali.
Senza questa disponibilità e il sacrificio conseguente, nessuna riorganizzazione progettata
avrebbe avuto buon esito!
Siamo troppo stabili? Qui si rovesciano i valori: il contratto a tempo indeterminato è la
forma più diffusa nel settore e tale deve rimanere. È una garanzia di solidità e continuità
professionale: non è un disvalore, o vogliamo cedere alla retorica montiana del “posto fisso
noioso”?
La retribuzione dei top manager è un serio problema per il settore e per il Paese
Siamo troppi e troppo pagati? Si dimenticano che sul costo del lavoro pesano gli
innumerevoli contratti di consulenza, a volte dettati semplicemente da logiche clientelari,
nonché gli stipendi e le “buone uscite” milionarie dei top manager, di cui sono piene le
cronache. E’ scandaloso che la liquidazione di un banchiere valga 35.000 giornate di
solidarietà di un bancario!
Ecco l’ingiustizia: in pochi giorni di lavoro percepiscono lo stipendio che un lavoratore
medio ottiene in un anno intero. E con quali risalutati! E’ un divario inaccettabile, che
persiste nonostante i richiami, anche europei, alla sobrietà e alla moralità.
Lo stato del settore, fra crisi aziendali e manager inadeguati
Giudichiamo inadeguata l’attuale top management delle banche.
Basta osservare la situazione dei bilanci bancari, zavorrati da sofferenze e accantonamenti,
per operazioni verticistiche, rivelatesi errate; si fa poco credito, lo si fa male e lo si concede
a soggetti di dubbia affidabilità!
Sono manager che non hanno saputo rinnovarsi (sono sempre gli stessi) palesemente in
ritardo rispetto alle necessità e alle scelte da compiere, senza una chiara visione o proposta
di quello che dovrà essere il settore dopo la crisi e di quale contributo il settore può e deve
dare al Paese per favorire l’uscita dalla crisi.
Sono manager che si sono preoccupati solo di generare profitti più che di avere attenzione
alle ricadute economiche e sociali sul territorio e dei processi d’impresa.
Sono manager irresponsabili che, mentre chiedono l’intervento del Governo a sostegno
dei bilanci delle banche, non si preoccupano di dedicare attenzione all’economia reale, alle
imprese, alle famiglie, ai temi dello sviluppo sostenibile, della crescita e dell’occupazione.
Sono manager inadeguati, e in alcuni casi in malafede e truffaldini, di cui le cronache
giudiziarie ci illustrano gesta e malefatte o che la stessa Banca d’Italia sanziona
pesantemente: ispezioni e commissariamenti a catena, che interessano banche ad ogni
latitudine.
Succede, quando si usano le banche come case da gioco!
ABI intende scaricare i problemi del settore, frutto di errate scelte manageriali,
interamente sui lavoratori
Emblematica è la questione degli sportelli: si afferma, senza un minimo accenno di
autocritica, che sono da rivedere “numero, localizzazione e organizzazione”, anche a fronte
di un aumento dell’operatività delle reti telematiche. In altre parole: ridurli e rimpicciolirli.
Tuttavia, la strategia di apertura eccessiva degli sportelli e della loro diffusione capillare è
stata perseguita a seguito di precisi errori di valutazione manageriali: mentre in Europa se ne
riduceva la presenza, in Italia si faceva l’esatto contrario! Ci domandiamo se ora non si
voglia compiere l’errore opposto e ci preoccupiamo che la riduzione della presenza fisica
delle banche sul territorio possa produrre "scopertura" in termini di servizio fornito a
imprese e famiglie. Qual è il senso di paragonarci a stati europei dalla differente densità di
popolazione, in un territorio geograficamente non paragonabile all’Italia e con una
circolazione del contante alle volte anche dimezzata rispetto al nostro Paese? Non sarebbe
invece più opportuno ragionare in altro modo? Cioè domandarci se invece non sia il caso di
qualificare ancora meglio la presenza della banche con una proposta più avanzata in termini
di contenuto tecnologico e di valore aggiunto fornito dal servizio?
La sfida vera è sui contenuti
Dunque ABI intende cambiare il modo di fare banca nel Paese giudicando gli attuali CCNL
troppo onerosi e non corrispondenti alla banca di oggi. Ci sorge spontanea una domanda:
quali comportamenti credibili intende attuare per modificare un sistema che da troppi anni
impoverisce le famiglie, non sostiene le imprese, il territorio e che, contemporaneamente,
arricchisce personaggi di dubbia eticità, generando crediti inesigibili che, in troppi casi,
stanno affondando nelle sofferenze gli stessi istituti di credito?
Il sindacato non teme il confronto, il sindacato pretende il rispetto degli accordi
sottoscritti e contrasta chi pensa di poter rinnovare un contratto partendo da zero
attraverso lo smantellamento di quanto esistente, con un unico fine: mantenere i
propri privilegi e le proprie faraoniche retribuzioni.
Tutta la categoria è impegnata e pronta a sostenere una mobilitazione che si prospetta
lunga e difficile e il cui primo obbiettivo è il ritiro della disdetta anticipata dei CCNL
ed il rinvio della scadenza del Fondo esuberi.
E’ necessario quindi una risposta forte ed inequivocabile, a partire dallo

SCIOPERO GENERALE
DEL 31 OTTOBRE

e da tutte quelle forme di lotta e di protesta che saranno necessarie per costringere ABI
ad un repentino cambio di rotta.
•
•
•
•

Contro la disdetta unilaterale ed anticipata dei CCNL decisa da ABI
Per il mantenimento del Fondo di Solidarietà
Contro le minacce di ulteriori tagli all’occupazione e alle retribuzioni nel settore
In difesa del modello contrattuale fondato sul CCNL e sulla contrattazione
aziendale
• In risposta al disprezzo verso le lavoratrici ed i lavoratori del credito mostrato dai
banchieri
• Per un modello di banca che contribuisca al rilancio economico e produttivo del
Paese
• Per porre fine agli sprechi e agli stipendi faraonici dei top manager nelle banche
Milano, 14 ottobre 2013

Le Segreterie Regionali della Lombardia
DIRCREDITO – FABI – FIBA/CISL – FISAC/CGIL – SINFUB – ULG Credito – UILCA

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AL RICATTO DELL' ABI DICIAMO NO! SCIOPERO DEI BANCARI 31 OTTOBRE 2013

  • 1. AL RICATTO DI ABI DICIAMO NO Dall’ ABI un atteggiamento irresponsabile che genera gravi conseguenze in categoria Con lettera del 16 settembre, ABI ha comunicato ai nostri Segretari Generali la disdetta anticipata ed unilaterale dei CCNL Aree Professionali, Quadri Direttivi e Dirigenti, manifestando in tal modo la volontà di non prorogare gli stessi oltre la data di scadenza del 30 giugno 2014, al fine di minare la sussistenza delle parti normative ed economiche, con riflessi anche sui contratti aziendali. E’ un atto grave ed arrogante, nei modi e nei contenuti, che rompe una tradizione che ha sempre trovato nel dialogo le risposte ai problemi complessi affrontati nel tempo e che ci ha permesso di gestire situazioni di crisi anche con soluzioni innovative. Risulta palese la volontà di demolire un sistema e di volerlo ricostruire su diverse basi di forza, scaricando sui lavoratori i guasti di un sistema ove i banchieri hanno le maggiori responsabilità. Il nostro Paese fatica a ripartire e anche il sistema creditizio attraversa una situazione critica, ma ABI intende approfittare di questo difficile momento per imporre le sue soluzioni: scaricare i costi sulla fiscalità generale (cioè sui contribuenti italiani) e sui lavoratori (cioè su salari e occupazione). In una fase in cui occorrono coesione sociale e senso di responsabilità, i banchieri non accettano di fare la loro parte e si disimpegnano, svincolandosi dal loro ruolo e dalla loro funzione. Noi ribadiamo che occorre una banca al servizio del Paese e non della finanza senza regole, una banca che ritorni ad essere stimolo allo sviluppo ed all’occupazione, favorisca il rilancio degli investimenti e riapra il rubinetto del credito alle imprese e alle famiglie. Con la disdetta ABI distrugge un patrimonio consolidato di positive relazioni sindacali Risulta evidente ed esplicita l’intenzione delle banche di arrivare ad una completa deregolamentazione del settore, attraverso la cancellazione dell’attuale modello contrattuale, del Contratto Nazionale e del Fondo di Solidarietà, declassando la contrattazione di secondo livello a mera contrattazione di carattere derogatorio e funzionale esclusivamente alla necessità di flessibilità e riduzione dei costi delle imprese. A titolo di esempio, non certo esaustivo: • libertà di modificare ed estendere unilateralmente gli orari di lavoro e di sportello; • libertà nel richiedere più flessibilità e nell’accrescere la mobilità territoriale senza regole; • libertà di spostare le persone senza limitazioni; • abolizione dei percorsi professionali contrattati, compresi quelli in essere; • cancellazione degli scatti di anzianità e degli automatismi residui; • cancellazione delle ex-festività e delle ferie eccedenti la dotazione ex lege.
  • 2. Ma non basta: ABI muove un attacco direttamente al salario della categoria ABI richiede una “moderazione salariale VISTOSA”, di fatto una riduzione del potere d’acquisto dei salari, non riconoscendo gli adeguamenti legati all’inflazione e lasciando alla discrezionalità l’erogazione del salario variabile. La contrattazione dovrebbe svolgere la sola funzione di adeguare i livelli salariali all’andamento economico dell’azienda, rendendoli variabili e comprimibili sulla base delle sole esigenze di redditività aziendale. Noi invece chiediamo il mantenimento del ruolo del CCNL, la salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni e la tutela dell’occupazione! ABI ricatta e mette in discussione la sopravvivenza del Fondo di Solidarietà Uno strumento che nel corso del tempo è servito a gestire quasi 50.000 uscite dal settore, dimostrandosi efficace per governare le ristrutturazioni. La riforma Fornero impone una revisione del Fondo, ma non il suo stravolgimento: prestazioni e diritti devono restare inalterati. Vanno invece potenziati gli strumenti di gestione solidaristica come le riduzioni di orario/sospensioni dell’attività lavorativa e introdotti i contratti di solidarietà espansiva (in un’ottica di ricambio generazionale e di accompagnamento alla pensione). La scomparsa del Fondo di Solidarietà potrebbe essere una inaccettabile conseguenza derivante dalla decisione di ABI di rifiutare il negoziato. In questo modo andrebbero dispersi anni di sacrifici dei bancari, che hanno garantito alla categoria un ammortizzatore sociale ben più efficiente di quelli pubblici. Il Fondo di Solidarietà non è una elargizione aziendale! È stato pensato, finanziato e gestito attraverso la contrattazione di settore e non ha pesato sulla collettività essendo interamente pagato da aziende e lavoratori della categoria. Abi sferra un attacco pesantissimo ai lavoratori del settore: troppi e inadeguati Insieme alla lettera di disdetta, Abi ha consegnato un documento, offensivo nei contenuti ed arrogante nei toni, in cui illustra quella che è a suo avviso la situazione del settore e gli interventi necessari. I lavoratori del settore vengono etichettati come troppo vecchi, scarsamente motivati, culturalmente distanti dalle nuove esigenze delle banche, marcatamente resistenti o comunque poco disponibili al cambiamento, alla riconversione e riqualificazione professionale; inoltre, il lavoro è considerato troppo stabile e poco flessibile. Si tratta di offese ed accuse immotivate che respingiamo al mittente, ma che però descrivono chiaramente quale sia il miope atteggiamento della nostra controparte: quello di svalorizzare i lavoratori, attribuendo loro colpe che non hanno e disconoscendone il ruolo primario che oggi viene loro giustamente attribuito come fattore di successo dell’impresa. Il personale sarebbe ”culturalmente distante dalle nuove esigenze” e “resistente al cambiamento”? Si dimenticano che questo è uno dei settori che negli ultimi anni ha subito le trasformazioni più radicali: lavoratrici e lavoratori si sono resi disponibili a continue riconversioni, passando da attività di Back Office a Front Office o ad attività commerciali. Senza questa disponibilità e il sacrificio conseguente, nessuna riorganizzazione progettata avrebbe avuto buon esito!
  • 3. Siamo troppo stabili? Qui si rovesciano i valori: il contratto a tempo indeterminato è la forma più diffusa nel settore e tale deve rimanere. È una garanzia di solidità e continuità professionale: non è un disvalore, o vogliamo cedere alla retorica montiana del “posto fisso noioso”? La retribuzione dei top manager è un serio problema per il settore e per il Paese Siamo troppi e troppo pagati? Si dimenticano che sul costo del lavoro pesano gli innumerevoli contratti di consulenza, a volte dettati semplicemente da logiche clientelari, nonché gli stipendi e le “buone uscite” milionarie dei top manager, di cui sono piene le cronache. E’ scandaloso che la liquidazione di un banchiere valga 35.000 giornate di solidarietà di un bancario! Ecco l’ingiustizia: in pochi giorni di lavoro percepiscono lo stipendio che un lavoratore medio ottiene in un anno intero. E con quali risalutati! E’ un divario inaccettabile, che persiste nonostante i richiami, anche europei, alla sobrietà e alla moralità. Lo stato del settore, fra crisi aziendali e manager inadeguati Giudichiamo inadeguata l’attuale top management delle banche. Basta osservare la situazione dei bilanci bancari, zavorrati da sofferenze e accantonamenti, per operazioni verticistiche, rivelatesi errate; si fa poco credito, lo si fa male e lo si concede a soggetti di dubbia affidabilità! Sono manager che non hanno saputo rinnovarsi (sono sempre gli stessi) palesemente in ritardo rispetto alle necessità e alle scelte da compiere, senza una chiara visione o proposta di quello che dovrà essere il settore dopo la crisi e di quale contributo il settore può e deve dare al Paese per favorire l’uscita dalla crisi. Sono manager che si sono preoccupati solo di generare profitti più che di avere attenzione alle ricadute economiche e sociali sul territorio e dei processi d’impresa. Sono manager irresponsabili che, mentre chiedono l’intervento del Governo a sostegno dei bilanci delle banche, non si preoccupano di dedicare attenzione all’economia reale, alle imprese, alle famiglie, ai temi dello sviluppo sostenibile, della crescita e dell’occupazione. Sono manager inadeguati, e in alcuni casi in malafede e truffaldini, di cui le cronache giudiziarie ci illustrano gesta e malefatte o che la stessa Banca d’Italia sanziona pesantemente: ispezioni e commissariamenti a catena, che interessano banche ad ogni latitudine. Succede, quando si usano le banche come case da gioco! ABI intende scaricare i problemi del settore, frutto di errate scelte manageriali, interamente sui lavoratori Emblematica è la questione degli sportelli: si afferma, senza un minimo accenno di autocritica, che sono da rivedere “numero, localizzazione e organizzazione”, anche a fronte di un aumento dell’operatività delle reti telematiche. In altre parole: ridurli e rimpicciolirli. Tuttavia, la strategia di apertura eccessiva degli sportelli e della loro diffusione capillare è stata perseguita a seguito di precisi errori di valutazione manageriali: mentre in Europa se ne riduceva la presenza, in Italia si faceva l’esatto contrario! Ci domandiamo se ora non si voglia compiere l’errore opposto e ci preoccupiamo che la riduzione della presenza fisica delle banche sul territorio possa produrre "scopertura" in termini di servizio fornito a
  • 4. imprese e famiglie. Qual è il senso di paragonarci a stati europei dalla differente densità di popolazione, in un territorio geograficamente non paragonabile all’Italia e con una circolazione del contante alle volte anche dimezzata rispetto al nostro Paese? Non sarebbe invece più opportuno ragionare in altro modo? Cioè domandarci se invece non sia il caso di qualificare ancora meglio la presenza della banche con una proposta più avanzata in termini di contenuto tecnologico e di valore aggiunto fornito dal servizio? La sfida vera è sui contenuti Dunque ABI intende cambiare il modo di fare banca nel Paese giudicando gli attuali CCNL troppo onerosi e non corrispondenti alla banca di oggi. Ci sorge spontanea una domanda: quali comportamenti credibili intende attuare per modificare un sistema che da troppi anni impoverisce le famiglie, non sostiene le imprese, il territorio e che, contemporaneamente, arricchisce personaggi di dubbia eticità, generando crediti inesigibili che, in troppi casi, stanno affondando nelle sofferenze gli stessi istituti di credito? Il sindacato non teme il confronto, il sindacato pretende il rispetto degli accordi sottoscritti e contrasta chi pensa di poter rinnovare un contratto partendo da zero attraverso lo smantellamento di quanto esistente, con un unico fine: mantenere i propri privilegi e le proprie faraoniche retribuzioni. Tutta la categoria è impegnata e pronta a sostenere una mobilitazione che si prospetta lunga e difficile e il cui primo obbiettivo è il ritiro della disdetta anticipata dei CCNL ed il rinvio della scadenza del Fondo esuberi. E’ necessario quindi una risposta forte ed inequivocabile, a partire dallo SCIOPERO GENERALE DEL 31 OTTOBRE e da tutte quelle forme di lotta e di protesta che saranno necessarie per costringere ABI ad un repentino cambio di rotta. • • • • Contro la disdetta unilaterale ed anticipata dei CCNL decisa da ABI Per il mantenimento del Fondo di Solidarietà Contro le minacce di ulteriori tagli all’occupazione e alle retribuzioni nel settore In difesa del modello contrattuale fondato sul CCNL e sulla contrattazione aziendale • In risposta al disprezzo verso le lavoratrici ed i lavoratori del credito mostrato dai banchieri • Per un modello di banca che contribuisca al rilancio economico e produttivo del Paese • Per porre fine agli sprechi e agli stipendi faraonici dei top manager nelle banche Milano, 14 ottobre 2013 Le Segreterie Regionali della Lombardia DIRCREDITO – FABI – FIBA/CISL – FISAC/CGIL – SINFUB – ULG Credito – UILCA