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Il Jazz fra due mondi – intervista a Lucio Ferrara
15 aprile 2011
tags: Casa del Jazz, It's all right with me, Live Music, Luca Mannutza, Lucio Ferrara, Nicola Angelucci, Roma Jazz
by Carlo Cammarella
E’ un progetto dal chiaro sapore internazionale quello che abbiamo avuto modo di ascoltare ieri alla Casa del Jazz, un
disco che racchiude anni di viaggi e di lavoro ricchi di entusiasmo. Parliamo dell’ultimo lavoro del chitarrista Lucio
Ferrara, “It’s all right with me”, presentato ieri in una delle location più belle della capitale. Insieme a lui c’erano
Nicola Angelucci (batteria) e Luca Mannutza (hammond) due musicisti che Lucio conosce bene, con i quali ha
condiviso molte esperienze e che hanno preso parte ad un progetto cominciato dall’altra parte del mondo, negli Stati
2. Uniti. Dunque, un disco a cui hanno partecipato, oltre ai nomi appena citati, artisti come Lee Konitz, Antonio Ciacca,
Ulysses Owens, Kengo Nakamura e Yasushi Nakamura. Lucio Ferrara ci ha raccontato in prima persona questa
esperienza.
Lucio, per cominciare volevo parlare dalla genesi di questo progetto: “It’s All Roght with me”. Come mai è stato
registrato luoghi diversi, tra Sorrento, Roma e lo stato del New Jersey?
“Diciamo che non c’è un motivo preciso. Quello che ho scelto sono state le formazioni con cui preferisco sonare come il
quartetto con pianoforte, il trio con lo hammond e il quintetto con il sassofono. La scelta vera e propria è stata l’idea di
registrare un disco a New York, ma alla fine ho preferito aggiungere due brani con due musicisti, Nicola Angelucci e
Luca Mannutza, con cui sono tutto l’anno. Con loro c’è un vero e proprio rapporto di amicizia perché ci vediamo
continuamente, mentre le esperienze con i musicisti americani sono momenti occasionali in cui ci si incontra una volta
all’anno a New York”.
Quindi, potremmo dire che in questo progetto c’è un’anima internazionale?
Esattamente, diciamo che in questo progetto viene fuori questa mia internazionalità legata ai rapporti di lavoro e ai viaggi
continui. E’ un aspetto che effettivamente rappresenta gli ultimi anni della mia carriera.
E il titolo di questo tuo
progetto è forse legato ad un tuo stato d’animo particolare?
“Sicuramente è legato a quella positività che incontro quando lavoro con gli american negli Stati Uniti e a
quell’incoraggiamento che loro hanno verso la vita. Questo progetto rappresenta tutta quella positività che sento quando
vado in questo paese. E’ un momento in cui sento un’altra aria e in cui respiro in un altro ambiente. Con questo titolo ho
cercato di descrivere apertamente questo stato d’animo”.
Il fatto di non avere una formazione stabile è forse legato al fatto di considerare la musica come qualcosa in
continuo cambiamento?
“Si, sicuramente c’è il vantaggio di suonare con diversi musicisti e di scoprire come la musica viene fuori in maniera
sempre differente. Ovviamente la cosa ideale sarebbe quella di suonare con una band fissa con cui lavorare per tutta la
vita perché soltanto in questo modo raggiungi un Interplay unico, però ci sono anche gli aspetti legati alle novità.
Suonando con diverse persone Impari da tutti e collezioni esperienze che ti aiutano a crescere”.
Quindi, potremmo dire che l’approccio con i musicisti con cui suoni è legato proprio al concetto di Interplay?
“Credo di si, io lo vivo così. Il mio modo di suonare dipende anche dagli altri musicisti, dagli imput continui che mi
trasmettono e dal continuo sviluppo del l’idea di Interplay”.
E il fatto di aver viaggiato tanto quanto può avere influito sulla tua musica?
“Sicuramente ha influito tantissimo. Viaggiare è fondamentale perché a un certo punto, quando pensi di sapere tutto,
scopri che ci sono delle novità. Per crescere hai bisogno di cercare sempre nuove esperienze”.