Ldb key management 2014 05-17 nardini- gestione ottimale del tempo articolo time management
1. LA DIFFICILE ARTE DI GESTIRE IL TEMPO
Qualche considerazione iniziale.
“Presto, ch’è tardi!”.
Quest’ossimoro coniato dal comico Ezio Greggio sembra ben sintetizzare una sensazione
assai diffusa di corsa affannosa, quasi fossimo catturati da un vortice che non lascia spazi
neanche per respirare; un arrancar per salite, di quelle perfide che, quando credi d’aver
guadagnato la cima, scopri che il punto d’arrivo è solo l’inizio di un’erta ancor più ripida.
Sensazioni spiacevoli che spesso finiamo per attribuire allo stress della vita moderna,
vagheggiando, nel contempo, un passato più a misura di ritmi naturali.
Si tratta, credo, di tempi in realtà mai esistiti.
Dice Seneca:
Parte del tempo ce lo strappano di mano, parte ce lo sottraggono
e parte scivola via senza che ce ne accorgiamo!
e nel sentirlo, si rinforza il dubbio: i tempi d’oggi sono davvero così speciali?
Le nostre difficoltà, son frutto tipico dei nostri tempi, o sono manifestazioni di logiche
proprie di qualsiasi sistema sociale, evoluto o primitivo che sia?
Un famoso apologo di Thomas Jefferson
1
propone una risposta che pare convincente:
Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia;
sa che dovrà correre più veloce del leone, o verrà divorata.
Ogni mattina, in Africa, un leone si sveglia;
sa che dovrà correre più veloce della gazzella o morirà di fame.
Quando sorge il sole, quindi, non importa se sei leone o sei gazzella:
è comunque meglio che cominci a correre.
Ma se queste tensioni altro non sono che caratteristiche della vita stessa, allora
idealizzare e rimpiangere il passato
2
, rassegnarsi
3
o attendere provvidenziali miglioramenti
futuri
4
, sono tutte perdite di tempo, particolarmente gravi quando“devi correre più forte che
puoi se vuoi restare nello stesso posto. Se invece vuoi andare altrove, devi correre
almeno il doppio”
5
.
Utile, invece, è l’agire con intelligenza: se è vero che, come recita l’antico testamento “Chi
osserva il vento non semina, chi guarda le nuvole non miete” è anche vero che mietere
senza conoscere le previsioni meteo, è un rischio da non correre.
1
Terzo presidente USA
2
Sul tema, lo scrittore contemporaneo Ugo Ojetti dice: “Il rimpianto è il passatempo degli incapaci”.
3
“Mentre rimandiamo, la vita passa” ci ricorda ancora Seneca e “È meglio fare e pentere che starsi e
pentirsi” afferma Giovanni Boccaccio.
4
Ancora Seneca ammonisce: “Si volge ad attendere il futuro solo chi non sa vivere il presente”
5
Lo afferma Lewis Carroll, l’autore di Alice nel paese delle meraviglie (1832-1898).
1
2. Vale, in proposito, l’ammonimento di Alexander Mackenzie
6
: “Nulla è più facile che essere
indaffarati, ma nulla è più difficile che essere efficaci” .
Ma per gestire il tempo con intelligenza ci vuol metodo, ed ogni metodo è fatto di logiche,
di tecniche e di strumenti.
Sulle tecniche non ci soffermiamo: molte son già note; noti anche molti strumenti, dai più
semplici, come l’agenda, ai più complessi, come gli organizer elettronici
7
.
Faremo invece qualche considerazione sulle logiche della gestione del tempo, memori
dell’aforisma di Karl Kraus
8
: “A che serve guadagnare tempo, se il cervello si è spappolato
per strada?”
Le logiche della gestione del tempo
Il generale Eisenhower
9
usava, un metodo semplice ed efficace. Quando la scrivania era
invasa da lettere, richieste, progetti e da tutte quelle cose che impegnano tempo, non si
buttava a capofitto nell’attivismo, né si afflosciava sotto il peso di quella montagna
d’impegni. Eisenhower tracciava sul piano della scrivania due linee ideali: una
rappresentava diversi livelli d’urgenza, l’altra livelli d’importanza; poi contrassegnava i
quattro quadranti risultanti con
verbi d’azione (figura 1);
distribuiva fisicamente i materiali
nei quattro quadranti e, infine,
agiva: annotava in agenda le
cose da pianificare, spiegava ed
assegnava ai suoi collaboratori i
compiti da delegare, cestinava le
cose non urgenti né importanti e,
finalmente, si concentrava sulle
cose da fare subito.
Il metodo, dicevamo, è semplice
e efficace, ma, soprattutto, ed è
questo che qui ci interessa, può
dare spunti per riflessioni più approfondite.
Proviamo a ragionare sul significato dei due assi portanti dello schema.
Il primo, quello dell’urgenza, è frutto delle richieste dei nostri interlocutori. Se, per esempio,
ci riferiamo a un ruolo aziendale, l’urgenza sarà determinata da richieste di clienti, di enti
6
Esploratore scozzese del 1700
7
Da usare con cautela: qualche volta sono così complicati da diventare un problema nel problema: degli
autentici mangiatempo.
8
Scrittore satirico boemo degli inizi del ‘900.
9
Stratega dello sbarco in Normandia e trentaquattresimo presidente USA.
2
urgenza
importanza
Cose importanti
e urgenti
Cose importanti
ma non urgenti
Cose urgenti
ma non importanti
Cose non urgenti
né importanti
FARE PI ANI FI CARE
DELEGARE CESTI NARE
Figura 1
3. esterni all’organizzazione (organismi di vigilanza, autorità pubbliche etc.), d’interlocutori
interni (capi, collaboratori, clienti interni etc.).
Non esiste ruolo senza interlocutori, e gli interlocutori, lo dice la parola stessa,
interloquiscono: richiedono, sollecitano e protestano se si sentono trascurati.
È evidente però che l’urgenza, essendo espressa dagli altri, tutti focalizzati sui loro
obiettivi, tenderà sempre ad essere elevata: ognuno, infatti, prospetterà il suo problema
con enfasi pressante, quasi fosse il più importante ed urgente di tutti.
Per questa ragione
10
tenderà a prodursi un affollamento di richieste sulle urgenze
massime, mentre solo
poche richieste si
posizioneranno su urgenze
medie e minime.
Che questa distribuzione,
per l’effetto sopra
menzionato, sia distorta, è
evidente. Essa, infatti, è in
contrasto con la
distribuzione normale
(espressa dalla curva a
campana di Gauss), che
rappresenta le distribuzioni
statisticamente più probabili
e che dovrebbe, quindi, ben
indicare le urgenze reali
(figura 2).
Ne deriva che, se gestire il
tempo volesse dire solo rispondere diligentemente alle richieste provenienti dal contesto,
non faremmo molta strada: ci troveremmo schiacciati sotto la pressione continua e
insostenibile dell’emergenza.
Per fortuna, però, può venirci in aiuto l’altra dimensione: la valutazione dell’importanza ci
consente di assegnare priorità e adeguare le richieste (tendenzialmente illimitate), alle
nostre risorse (necessariamente limitate), assicurando così la valorizzazione del nostro
tempo.
La dimensione dell’importanza è però sfuggente: mentre le urgenze ce le dicono gli altri,
nessuno può venirci a dire che cosa è importante per la realizzazione del nostro ruolo
11
;
10
Che ricorda l’universo relativistico di Einstein, nel quale ogni soggetto vede l’universo dal suo punto
d’osservazione, tende a percepirsi al centro, anche se un centro, in realtà, non c’è, e vede gli altri muoversi a
tempi rallentati.
3
Urgenza massima:
“I mmediatamente!!”
Urgenza minima:
“Quando hai tempo, potresti..?”
Quantitàdellerichieste
Qualità delle richieste
Figura 2
Distribuzione normale
Distribuzione di fatto
4. solo noi possiamo dirlo: gli altri, attraverso il canale dell’urgenza, ci possono dire solo cosa
è importante per loro, non per noi.
Per individuare i criteri d’importanza, dobbiamo sforzarci nel rispondere a due domande:
1. Qual è la missione fondamentale del nostro ruolo?
2. Tenuto conto della risposta alla domanda 1, delle risorse di cui disponiamo, dei
supporti e degli ostacoli che possiamo intravvedere e dell’interpretazione che vogliamo
dare al nostro ruolo, cosa possiamo e vogliamo realizzare, in un arco di tempo
ragionevolmente lungo?
Se non troviamo una risposta a queste domande, la gestione del tempo diviene
problematica: non disponendo di criteri per le priorità, restiamo abbandonati alle forze
dell’urgenza, guidate da altri e, spesso, tra loro contraddittorie.
In proposito, Seneca ci ricorda che “Se un uomo non sa verso quale porto è diretto,
nessun vento è quello giusto” e Mark Twain ribadisce il concetto con una battuta
fulminante: “Avendo perso completamente di vista la meta, raddoppiammo i nostri sforzi!”.
Focalizzata la dimensione dell’importanza, il tempo assume la struttura illustrata nella
figura 4
12
. Proviamo a vedere i significati delle varie aree.
P, è l’area della produzione e comprende le attività che per gli altri e per noi sono
importanti. Si tratta, quindi, di impegni volti a realizzare le finalità fondamentali che danno
valore al nostro ruolo. Un basso livello quali/quantitativo di P è grave: significa che stiamo
fallendo nel nostro ruolo. La riflessione sul tempo, ha quindi come scopo primario il
rinforzo dell’area P.
CP, è l’area della capacità
produttiva. Essa è data da quelle
attività (poco urgenti ma molto
importanti) da programmare per
migliorare l’organizzazione e i
metodi di lavoro, sviluppare le
competenze proprie e dei propri
collaboratori, rinforzare il
funzionamento del team e curarne
la motivazione. Tralasciare il CP e
concentrarsi solo ed
esclusivamente sul P di oggi è
miope: significa penalizzare il P di
domani e ripercorrere l’errore del
11
Che poi, nelle organizzazioni vi siano molte persone che, trascurando magari il proprio ruolo, s’impegnano
a dispensare critiche e consigli sui ruoli altrui, è vero, ma è consigliabile non prenderli troppo sul serio.
12
Che, come spero risulterà a tutti evidente, ha un significato che va al di là dell’approccio di breve termine
di Eisenhower.
4
Area 4:
Mangiatempo
Area 3
R
-importante
Area 2
CP
Area 1
P
+importante
- urgente+ urgente
Figura 3
5. mitico possessore della gallina dalle uova d’oro che, nell’ansia di aver tutto subito, finì per
distruggere quel meraviglioso e lucroso meccanismo. È importante notare che nessun
interlocutore si preoccuperà della nostra area CP; anzi, i nostri interlocutori saranno ben
lieti se la trascuriamo: avranno più risorse per soddisfare le loro esigenze immediate,
mentre i problemi futuri che ne deriveranno saranno solo nostri.
Insomma, è raro che, se investiamo in CP, qualcuno ci dica grazie: se proprio ci teniamo,
impariamo a dircelo da soli: gestire professionalmente il proprio ruolo è, in primis,
autogratificante.
R, è l’area della rifocalizzazione. È l’area in cui ricadono quei compiti per i quali dobbiamo
chiederci “ma perché proprio io?”
Si tratta di un’area di cose per noi poco importanti, ma che per altri invece lo sono:
diversamente non le avrebbero chieste.
In quest’area è necessario capire se proprio quell’attività non ci compete; dopodiché, se la
risposta è affermativa, si aprono due strade: o quella della delega o quella di spiegare (con
modalità appropriate) al nostro interlocutore, che l’attività non ci compete.
Si tratta, è evidente, di un’area delicata, da maneggiare con cura, ma quanto più
riusciremo nel limarla, tanto più troveremo spazi per incrementare CP senza penalizzare
P (che è, e resta, il fine principale, su cui si misura il nostro successo).
L’ultima area, infine, è quella dei mangiatempo.
Ce sono di due tipi: endogeni e esogeni.
Quelli endogeni ce li creiamo noi con le nostre cattive abitudini come il rimandare,
l’accettare passivamente indebite interruzioni, non fare piani (così come fare piani troppo
rigidi e dettagliati), comunicare in modo approssimativo creando premesse per errori e
rifacimenti, etc.
Quelli esogeni derivano dagli altri: sono attività a basso valore, per le quali dovremmo
chiederci “ma cosa succederebbe se non le facessimo?”, per poi procedere, se la risposta
è “niente!”, ad eliminarle senza esitazione. In quest’area rientrano sia attività che si
continuano a fare per tradizione
13
, sia quelle nate a fronte di precise esigenze che poi,
entrate in routine, si continuano a fare anche se quelle esigenze non ci sono più. In
particolare, i terreni in cui più spesso allignano i mangiatempo esogeni sono le attività
amministrative, gli input e gli output delle procedure e la reportistica ai manager. Possiamo
citare, per portare un esempio, un capo area di una banca che chiedeva report dettagliati
giornalieri alle filiali, quando gli stessi report potevano essere ottenuti facilmente,
tempestivamente e senza dispendio di tempo, interrogando un data base. Moltiplicando il
tempo necessario alla redazione del report per i giorni lavorativi di un anno e per il numero
delle filiali veniva fuori un mangiatempo complessivo di qualche migliaio di ore all’anno.
Tra i mangiatempo, vale la pena di citare anche quella malattia organizzativa che va sotto
il nome di riunionite, che si manifesta quando, in un’organizzazione le riunioni si
13
“Abbiamo sempre fatto così” è la frase dietro la quale spesso si celano i mangiatempo più voraci.
5
6. moltiplicano a dismisura e, nel contempo, perdono di qualità (obiettivi vaghi, tempi non
rispettati, mancanza di piani d’azione finali, partecipazioni mal programmate etc.)
Qualche conclusione.
Le aziende, in un mondo fortemente concorrenziale, e quindi sempre più simile a quello
delineato dall’apologo di Jefferson, sentono fortemente la pressione sul tempo, nella
ricerca del risultato immediato.
Proprio per questo hanno sempre più bisogno di persone che sappiano interpretare
proattivamente il proprio ruolo e, in questa prospettiva, gestire intelligentemente il proprio
tempo; persone capaci di concentrarsi su P senza trascurare CP, di dare giuste priorità
alle crescenti e pressanti domande d’azione, e in grado, quando necessario, di assumersi
la responsabilità di dire qualche no ben motivato, anche quando risulta scomodo.
Sempre meno ci sarà invece bisogno di persone che, pur spinte dal generoso desiderio di
compiacere i loro interlocutori, finiscono per spendere il tempo loro (e dell’azienda) senza
un’adeguata analisi critica delle priorità. In particolare, sempre più negativa risulterà
l’azione di quelle persone che, pur consapevoli della necessità di definire delle priorità,
confondono l’importanza reale, data dal contenuto dell’attività, con l’importanza formale,
che scaturisce invece dal livello gerarchico del richiedente.
Per chiudere, un’ultima citazione, ancora di Seneca: “Il vento è sempre
favorevole per chi sa dove va”.
Mi pare un bello spunto di riflessione da lasciare ai lettori.
Ezio Nardini
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7. moltiplicano a dismisura e, nel contempo, perdono di qualità (obiettivi vaghi, tempi non
rispettati, mancanza di piani d’azione finali, partecipazioni mal programmate etc.)
Qualche conclusione.
Le aziende, in un mondo fortemente concorrenziale, e quindi sempre più simile a quello
delineato dall’apologo di Jefferson, sentono fortemente la pressione sul tempo, nella
ricerca del risultato immediato.
Proprio per questo hanno sempre più bisogno di persone che sappiano interpretare
proattivamente il proprio ruolo e, in questa prospettiva, gestire intelligentemente il proprio
tempo; persone capaci di concentrarsi su P senza trascurare CP, di dare giuste priorità
alle crescenti e pressanti domande d’azione, e in grado, quando necessario, di assumersi
la responsabilità di dire qualche no ben motivato, anche quando risulta scomodo.
Sempre meno ci sarà invece bisogno di persone che, pur spinte dal generoso desiderio di
compiacere i loro interlocutori, finiscono per spendere il tempo loro (e dell’azienda) senza
un’adeguata analisi critica delle priorità. In particolare, sempre più negativa risulterà
l’azione di quelle persone che, pur consapevoli della necessità di definire delle priorità,
confondono l’importanza reale, data dal contenuto dell’attività, con l’importanza formale,
che scaturisce invece dal livello gerarchico del richiedente.
Per chiudere, un’ultima citazione, ancora di Seneca: “Il vento è sempre
favorevole per chi sa dove va”.
Mi pare un bello spunto di riflessione da lasciare ai lettori.
Ezio Nardini
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