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“Liberare l’avvenire”
Una novena per il welfare
“ La crisi del welfare, se ben interpretata, è un’opportunità di crescita civile, se male
interpretata, può provocare molti danni.
Ma per “uscire dalla crisi” occorrono una pluralità di esperienze che siano in grado insieme
di immaginarsi una possibilità di vita migliore. Frammenti che diano e si diano fiducia,
capaci di una visione comune. Si può vivere meglio di così? Io credo di sì.
Forse è questo il compito di una generazione, la nostra, che non consegnerà
complessivamente una condizione di vita materiale quantitativamente superiore ai propri
figli. E’ il caso allora che si impegni a formulare e fare esperienza già da ora di percorsi di
vita qualitativamente diversi. Anche questa potrebbe essere una buona eredità da
lasciare. Fosse anche per riconoscenza verso le generazioni che ci hanno preceduto e per
responsabilità verso quelle che verranno, abbiamo il dovere di provarci.”
Questa era la conclusione di una lunga riflessione sul welfare confluita in un articolo della
rivista “communitas” e in un capitolo di un libro dedicato alla solidarietà. In questo articolo
riprenderò la sintesi delle tesi principali articolandole però diversamente. Eravamo alla fine
del 2008. Quasi due anni fa. Poco prima della crisi economica che ci ha travolto e in cui
siamo tuttora immersi, più o meno consapevolmente. Una grande confusione regna sotto il
sole. Il welfare si presenta sempre più come un intricato nodo che raccoglie in sè molti
temi irrisolti del nostro paese ( e potremmo dire anche dell’Europa), tra gli altri possiamo
citare : insostenibilità ed immoralità del debito pubblico, irrisolta forma dello Stato,
annunciata ed incompiuta sussidiarietà, rilevanti interessi corporativi,epocali cambiamenti
demografici ed etnografici della popolazione, aumento delle disuguaglianze, mobilità
sociale bloccata,spaccatura tra nord e sud del paese,mutismo e marginalità del terzo
settore.
Al di là delle retoriche sul Paese e sul “made in Italy” quella del welfare, della sua forma e
del suo contenuto, è un possibile campo di prova concreto di una via italiana alla
modernità, una verifica se abbiamo qualcosa da dire nella globalizzazione,un possibile
punto di incontro tra l’Italia e gli Italiani ma anche tra l’Europa ed i suoi cittadini. Tra le
istituzioni e le esperienze delle persone. Uno dei campi principali in cui si gioca oggi la
partita della democrazia. Il welfare ha bisogno di una nuova stagione istituente, perché il
rinnovamento di teoria e prassi in questo campo, valorizzando tutto ciò che si è acquisito
ma non dandolo per scontato, può avere influenza in molti altri campi della vita civile ed
economica del paese. Ma soprattutto può essere un campo concreto per rinnovare quelle
energie e risorse morali di cui abbiamo urgente bisogno, senza le quali siamo destinati ad
un inesorabile declino.
Così vista l’importanza e l’urgenza dell’argomento e dei tempi che viviamo, con
l’intenzione di non creare ulteriore confusione ma altresì con la consapevolezza della
necessità di un “parlar chiaro e onesto” scelgo la forma della novena . Prendendo spunto
dalla tradizione e riproponendo una orazione laica. Perché la forma è anche sostanza e il
medium a volte è il contenuto.
Come ricordo faceva buona parte del popolo ai tempi di mia nonna, ed oggi fanno piccole
minoranze, nel corso dell’anno per nove giorni consecutivi ci si preparava insieme ad una
ricorrenza solenne o per richiedere particolari grazie. Questo sarà anche il nostro
simbolico percorso di riflessione.
Vorrei richiamare così, attraverso questa forma laicamente orante, alla mia coscienza e in
quella di chi legge il senso della nostra inadeguatezza rispetto al compito ma anche della
nostra fiducia nel suo compimento; il senso della necessità di vegliare ed essere pronti ma
anche quello del farsi sorprendere da ciò che si incontra. Il senso che la trasformazione
del welfare richiede un di più di speranza e di desiderio che ci eccede, ma che non può
non vederci coinvolti.
Una novena a cui innanzi tutto mi sento convocato e che vuole esprimere auspicio e
fiducia ma anche accettazione e sollecitudine verso i compiti, non certo facili, che ci
attendono. La trasformazione richiede che ci sia sintonia ed armonia tra forma e sostanza
, ancor più se si vuole addivenire ad un cambiamento collettivo, quale è quello di cui qui si
tratta.
Ogni novena era accompagnata da qualche santo di riferimento. Laicamente scelgo due
spiriti protettori e ispiratori. Ne scelgo la vita, la testimonianza, il pensiero, l’obbedienza
profonda alla propria coscienza, la libertà di spirito. Perché ci accompagnino in questa
attraversata e ci aiutino a guardare avanti e nel profondo. Luigi Sturzo e Ivan Illich.
Tra i tanti loro scritti particolarmente attinenti al tema ho trovato alcuni pensieri contenuti in
due brevi testi che di seguito riporto: “La convivialità”di Illich e “La regione nella nazione” di
Sturzo.
“E’ necessario liberare l’avvenire aprirlo alla sorpresa delle azioni personali”…
“L’uomo è un essere fragile. Nasce nel linguaggio,vive nel diritto e muore nel mito.
Sottoposto ad un cambiamento smisurato, perde la sua dignità di uomo”…
”Una società stagnante sarebbe altrettanto insopportabile per l’uomo quanto la società
dell’accellerazione: tra le due si colloca la società d’innovazione conviviale”…
I.Illich- La convivialità 1974
“Mentre io sono contrario agli enti di diritto pubblico che fanno i commercianti, gli
industriali, gli agricoltori, gli impresari e simili, non solo non ho obiezioni ma sarei pronto a
favorire i consorzi di privati o di associazioni, banche e istituti finanziari, che a loro rischio
e pericolo, con qualche favore pubblico assai limitato, prendano iniziative utili alle
popolazioni locali e alle stese regioni, col patto, che se riescono siano loro i vantaggi, e se
non riescono siano pure loro le perdite. Nessun ente pubblico deve garantire al privato i
rischi che corre; solo così può rinascere il nostro paese. E’ vero che ancora esistono leggi
fiscali di favore per enti di diritto pubblico. E’ da sperare che il ministero delle finanze
abolisca questi privilegi e conservi solo quelli che potranno anche concedersi ai consorzi e
società che non abbiano scopo di lucro. Purtroppo, queste verità lapalissiane cadono in un
ambiente morfinizzato, che non da segni di ripresa”…
Luigi Sturzo – La regione nella nazione 1949.
Molti dei pensieri che seguiranno provengono dall’amicizia dialogante di questi anni con
Claudia Fiaschi,Giacomo Libardi e Mauro Magatti. Non avendo potuto visionare il testo
sono però sollevati da qualsiasi responsabilità.
Ogni giorno della nostra novena ha un tema che si compone di tre brevi momenti
evocativi.
Il primo dei tre momenti si riferisce ai bagliori che nella notte possono illuminare per alcuni
momenti la scena, il paesaggio, l’orizzonte in cui scorgere un possibile percorso.
Il secondo momento narra dei riferimenti che una volta che siamo partiti indicano la
direzione del cammino.
Il terzo individua alcune tracce concrete’, contingenti e sintetiche che segnano già oggi se
stiamo andando o no nella giusta direzione confermandoci nel cammino.
Le riflessioni della nona giornata sono stralci di una lunga intervista a Zygmunt Bauman,
apparsa sulla rivista “micromega” nell’estate del 2009. Ho ritenuto opportuno riportarli nella
conclusione del percorso perché contengono, in positivo ed in negativo, gli elementi che
rendono complessa ma necessaria una trasformazione virtuosa del welfare.
Perché, in fondo, ripensare il welfare è contribuire al rinnovamento del bene comune e del
legame sociale.
1° Giorno. La tensione universalistica
-Bagliori
Parlare oggi di welfare, tenendolo connesso alla solidarietà, ha senso solo se ci riferiamo
ad un welfare che mantiene una tensione universalista, cioè disponibile ed accessibile a
tutti i cittadini.
Come si può fare in tempi di forte individualismo ?Oggi il welfare rischia di essere un
fattore di regressione e non di tutela dei più deboli, paradossalmente proprio perche ha
perso l’orizzonte universalista.
Per affrontare i tempi nuovi, è necessario un modo nuovo per rendere fattibile
l’universalismo che stava alla base della positiva intuizione del welfare state.
Per avverare l’affermazione è necessario porsi il problema di cosa sia oggi il “bene
comune”, forse prima ancora dare una dignità culturale, sociale, economica, a questa
espressione. E’ la visione universalistica del welfare state il valore che va preservato,
chiedendo allo Stato di promuoverla e verificarla, non certo - come si incaponisce a fare -
di amministrarla e gestirla (non riuscendoci).
-Riferimenti
Due azioni di fondo possono costituire una architettura di un azione politica che ci traghetti
in una nuova dimensione del welfare e che sia in grado di mobilitare nuove energie
morali e materiali: destatalizzare socializzando e innovare responsabilizzando.
L’ Italia e l’Europa di fronte alla crisi hanno in realtà una grande opportunità di rilancio se
riusciremo a capire come destatalizzare il welfare ed in generale i beni comuni.
Uscire dallo statalismo (da entrambe le due tensioni stataliste: quella contro e quella pro)
aggredendolo dal punto di vista opposto a quello che ci è stato proposto, ossia non
privatizzando, ma socializzandolo. Non facendoci prendere dalle logiche di potenza e del
profitto, ma intercettando, generando e spostando risorse a favore dei soggetti sociali.
In questo campo gli spazi di costruzione e sperimentazione sono enormi.
Il cuore culturale di questo cambiamento storico è il tema della libertà. Dobbiamo oggi
chiederci: siamo davvero in un mondo libero? E che cos’è la libertà oggi? La sfida è
quella di assumersi la responsabilità di decidere cosa si fa esistere nella propria vita.
-Tracce
Ripristinare un servizio civile obbligatorio. Un tempo di servizio agli altri coincidente con la
maggiore età, che può avere molteplici significati ma innanzi tutto vuol dire ricostruire uno
spazio ed un tempo comunitario ( un rito) che segni l’entrata nel mondo adulto per i
giovani. I contenuti ed i processi adeguati a gestirlo, sei mesi in Italia e sei mesi all’estero,
sono una responsabilità del terzo settore che deve inventarsi anche forme per sostenerlo
e finanziarlo. Nessun trasferimento statale.
2° Giorno. Il valore della persona
-Bagliori
Non è possibile recuperare il tema del bene comune in una società fortemente
individualista, se non si recupera il valore della persona, intesa come nodo di relazioni. La
persona non è l’individuo, l’individuo (io) è un sesto della persona che è l’intreccio di sei
pronomi. Intendiamo come persona il nodo reale in una rete di relazioni. Il nodo sarebbe
l’individuo, ma il nodo senza i fili che lo costituiscono cesserebbe di esistere, di essere
nodo. Non c’è un solo nodo, cosi’ come non può esistere una sola persona.
La libertà nella cultura personalista è sempre connessa alla creazione di legami che hanno
un significato. Non è semplicemente la libertà di scegliere. È anche una liberazione da uno
stato dell’essere, anche attraverso dei legami, interiori ed esteriori. In altri termini la libertà
è la scelta dei legami che mi liberano. Qualcosa di molto diverso dalla sola scelta come
arbitrio o come opzione da mettere in pratica ad esempio in un’esperienza di consumo.
Aggiungo che le relazioni – tanto più nella società liquida – non sono solo scambio
individuale fra domanda e offerta. Sono relazioni di senso, rigenerabili soprattutto
attraverso il capitale sociale. Va specificato che il benessere della persona, la sua felicità,
è quindi solo per un sesto un problema individuale.
-Riferimenti
Il cambiamento massiccio del welfare avverrà sul versante della domanda, c’è ampio
spazio per nuove forme di aggregazione della domanda, che riformulino anche il rapporto
tra domanda ed offerta. Sul lungo periodo bisogna educare le persone a condividere i loro
bisogni con altri portatori di bisogni (progetto di comunità!). La finalità del mutualismo
delle origini. Che è oggi mutualizzazione tra diversi. Forme che sarebbero più efficienti ed
efficaci sul lungo periodo perché generatrici di capitale sociale.
Dando per acquisita la necessità di un sistema d’offerta che richiede una rivisitazione in
ordine ad alcune questioni centrali (vicinanza al bisogno, accreditamento, efficacia ed
efficienza) è necessario concentrarsi quindi sulle questioni riconducibili ala cosiddetta
aggregazione della domanda. Altrimenti continueremo a scaricare su un’idea
completamente distorta di Stato, cioè di Stato paternalista, tutte le frustrazioni dei nostri
bisogni individuali. Con bisogni che si allargano all’infinito virtualmente servirebbe uno
Stato infinito.
-Tracce
In Italia si può positivamente metter mano ai fondi sanitari che sono ora in una fase
intermedia, nel senso che non si sono completamente dispiegati (ad oggi sono circa 150
quelli presenti in Italia) e sopravvivono a fianco di vecchi fondi come le società di mutuo
soccorso. Questo processo partito nel 1992 sta avendo una fortissima accellerazzione e di
fatto ha messo in moto una serie di meccanismi da parte delle aziende che lentamente si
sono ri-orientate su questo tema. Si tratta di assumere la sfida della declinazione
dell’universalismo nel mondo dei fondi sanitari (che invece affonda le radici in un pensiero
che é fondamentalmente quello individuale-assicurativo). Le questioni importanti che tale
situazione ci pone sono:la possibilità che i fondi abbiano un modello di trasferimento non
solo per finanziamento ma anche per servizi e la loro declinazione e differenziazione
territoriale. Attualmente il meccanismo che si è costruito si sposta prevalentemente sulle
persone lavoratrici o in quiescenza; questo fa si che per la prima volta vengano escluse
dall’accesso ai servizi universalistici, o da servizi sanitari e assistenziali con caratteristiche
universalistiche, fasce crescenti della popolazione. L’arrivo dei fondi così come sono
modifica quindi il modello perché inserisce una forte verticalità esclusiva. La centralità non
è più legata alla cittadinanza ma alla condizione professionale. Questa situazione apre per
inciso una condizione drammatica al sud, dove si coniugano in un mix potenzialmente
esplosivo il taglio delle risorse pubbliche e il livello alto di disoccupazione, che esclude o
comunque riduce di molto l’accesso ad interventi e servizi.
3° Giorno. Come uscire dallo spaesamento.
-Bagliori
Nella diaspora della modernità, non esistono super-sistemi, tanto meno sistemi
tecnologici, che ti garantiscano la vita, tanto meno una buona-vita.
Ci siamo incatenati in questa ossessione, continuamente alimentata dai media, per la
sicurezza che è la versione sociologica dell’ossessione cognitiva per la certezza.
Ma la sicurezza, anche quella individuale, si coniuga con la qualità delle relazioni e con la
responsabilità delle proprie azioni. Non si coniuga nè con le telecamere nè con le barriere
corporative. La certezza tecnologica e l’affidamento al gruppo di simili, sono strumenti e
metodi che restano aleatori e superficialmente rassicuranti se non ci si applica con
costanza e cura al territorio, all’abitare il territorio, al renderlo abitabile. Così se si vuole
parlare seriamente di welfare, c’è da ripensare anche ad un nuovo stile dell’abitare,;alla
costruzione e ricostruzione di spazi abitativi che abbiano un significato. Di spazi che
abbiano “qualcosa da dire” a chi li abita. Questo riguarda sia le abitazioni singole che gli
spazi comuni e pubblici. La bellezza non è semplice estetica superficiale, è armonia di
spazi , di tempi, é riconoscimento. E’ armonia di relazioni. Un nuovo welfare richiede
anche una nuova urbanistica ed una nuova architettura.
-Riferimenti
Per riattivare la dimensione sociale e la forma socievole della vita siamo chiamati a creare
forme economiche di ‘terzo settore’ o, meglio, di comunità, in cui si producano delle forme
istituzionali che consentano il fatto che il prendersi cura di sé, del mondo circostante,
dell’educazione, della sanità, deve essere rimesso concretamente nelle mani dei gruppi
intermedi e dei territori. Siamo chiamati a riorganizzare pezzi di welfare, concretamente e
nell’immediato, per caratterizzare questo momento storico con capacità di pensiero e di
immaginazione, creando le condizioni affinché nascano prospettive differenti rispetto a
quelle del passato. Ad esempio bisogna consolidare l’alleanza tra terzo settore e i comuni,
che rappresentano la rete profonda di questo paese, anche alla luce dei tagli dell’attuale
finanziaria che li costringerà ad essere più creativi e a costruire nuove forme istituzionali.
Da una parte si tratta di generare delle nuove istituzioni di comunità ( che seguono ad
esperienze di relazione comunitaria), dall’altra verificare la possibilità di orientare alcuni
flussi globali al bene comune, anche qui c’è un grosso spazio istituzionale.
–Tracce
E’ importante che nasca un rapporto di fiducia tra vecchie e nuove istituzioni per generare
un tessuto di legame sociale, creando le condizioni per superare il corporativismo. Molte
organizzazioni di terzo settore sono ancora adolescenziali, non sono adulte,
diventeranno adulte solo nel confronto, con le vecchie istituzioni (economiche,
politiche,formative, sociali, religiose) . C’è bisogno che le vecchie istituzioni abbiano un
atteggiamento non paternalista ma un atteggiamento da fratello maggiore. C’è bisogno
che le nuove istituzioni, non abbiano un atteggiamento solo trasgressivo ,contro-
dipendente od opportunista, ma abbiano un atteggiamento, da fratello minore (che non
vuol dire minorato), vuol solo dire più giovane. Per creare nuove forme di alleanza.
Chiedere alle “vecchie” istituzioni che non inneschino solo atteggiamenti difensivi, auto
conservativi o predatori, ma si ricordino dello statuto profondo che nelle diverse epoche le
ha generate e su questa base ritrovino finalità perdute e soprattutto siano disponibili ad
accompagnare nuove esperienze.
4° Giorno Non c’è libertà senza responsabilità
-Bagliori
Non può esistere oggi un welfare erogato. Il welfare va continuamente rigenerato, direi
anzi rianimato. Personalizzato. Si fonda tendenzialmente sulla capacità di auto
organizzazione, figlia della libertà ma generatrice di responsabilità.
C’è da recuperare il gusto della responsabilità per alimentare la libertà.
In una fase in cui strutturalmente la nostra nazione vive contemporaneamente una crisi
demografica, una crisi dei redditi ed una crisi fiscale, che si iscrivono oggi strutturalmente
nella crisi finanziaria ed economica che investe l’intero mondo. Queste situazioni
richiedono una nuova capacità di immaginare e di agire politiche di creazione e
distribuzione del valore, che è anche valore sociale. Come si genera capitale sociale oggi?
Come stimolare e accompagnare la nascita di nuove combinazioni sociali che includano
le persone, in un tempo in cui tutto si frantuma ? Come non disgiungere libertà e desiderio
da responsabilità e bisogni da capacità?
Una possibile chiave di lettura e di proposta risiede nel rigenerare relazioni, costruire
legami, tessere reti, rinnovare significati. Sostenendo il processo di costruzione di nuove
istituzioni di comunità, che non possono essere la fotocopia di quelle passate, e che
ricordiamolo nascono prima come esperienze e solo in un secondo momento diventano
istituzioni.
-Riferimenti
Serve una reale autonomia economica del terzo settore agganciata ad una robusta
responsabilità civile. In tal senso se da una parte dovremmo assistere ad un impegno di
“modico uso” da parte del terzo settore dei soldi dell’amministrazione pubblica, dall’altro si
devono liberare energie finanziarie delle persone oggi compresse nella fiscalità generale.
Da una parte bisogna “disintossicare “ il terzo settore e dall’altra permettergli di crescere
davvero; ripensando e riqualificando anche il suo rapporto con lo Stato.
-Tracce
Se non si vogliono avere degli adulti dipendenti è buona cosa investire su un educazione
che ci introduca ad un sano rapporto con la realtà. Il lavoro va reinserito nel processo
educativo. Fare le prime esperienze di lavoro a 24, 25, 30 anni, come succede oggi è una
follia. E’ una follia educativa perché il principio di realtà non si può generare solo
all’interno delle aule scolastiche. Si fonda solo sul rapporto concreto e complesso con il
mondo che costringe a fare i conti con i limiti ed i talenti personali. Come ci siamo
impegnati in una gigantesca opera di alfabetizzazione scolastica, dovremmo oggi
impegnarci in un opera di “alfabetizzazione lavorativa”. Senza principio di realtà non esiste
solidarietà, esiste solo il principio del piacere. Esistono emotività fragili e la moltiplicazione
di bisogni infiniti.
5° Giorno. Tutti abbiamo bisogno degli altri
-Bagliori
Il welfare non è un tema da specialisti per una fascia specifica di bisognosi, rigidamente
precostituita. Tutti prima o poi - di questi tempi e in questa vita - hanno bisogno degli altri.
Anche per questo il welfare è un problema di tutti, una questione d’interesse generale.
E’ paradossale ma facilmente sperimentabile il fatto che mentre si allarga la forbice dei
redditi si restringe e si fa sempre più urgente il bisogno per ciascuno di poter contare sugli
altri. I soldi quindi non bastano. La percezione e l’esperienza della povertà è radicalmente
cambiata, così come la percezione e l’esperienza della precarietà esistenziale.
Il problema è riconoscere la dimensione pubblica della felicità . Cioè se si ha intenzione di
pensare a sé stessi pensando anche agli altri, consapevoli che pensare agli altri non è
un’attività filantropica donativa sui-generis ma ha che fare con l’intelligenza e con il nostro
inter-esse.
-Riferimenti
Riconnettere ciò che abbiamo separato. Rimettere mano alle forme che soffocano la vita.
Teoria e prassi, salute e socialità, abitare e comunità, bisogni e risposte. In tal senso la
grande dote che il terzo settore porta con sé e che non ha esaurito è di essere nella
forma e nella sostanza un connettore. Questo è il suo evidente punto di forza.
-Tracce
Chi sta dentro le diverse comunità territoriali conosce bene il travaglio che persone,
famiglie, gruppi ed istituzioni stanno vivendo.
Non si tratta semplicemente di trovare soluzioni e risposte efficientiste. Quando parliamo
di “politiche abitative pubbliche” non si tratta di costruire degli involucri fisici e di infilarci le
persone al più basso costo possibile per loro e per la collettività. Ciò che nel breve periodo
sembra essere una risposta efficiente , la storia degli ultimi anni dimostra costituire un
costo,( sociale , esistenziale ed economico) ben superiore dell’apparente vantaggio
iniziale. Non è possibile oggi, ed in particolare nei casi che presentano già lo stigma
dell’emarginazione o che stanno lentamente scivolando in quella dimensione sociale
scollegare la parola abitare dalla responsabilità, dalla creatività, dalla relazionalità. Sono
queste le dimensioni che garantiscono la cura materiale ed immateriale sul lungo periodo.
Mai come oggi in un tempo di diaspora sociale, abitare è vivere. C’è insomma la sfida a
rivedere , accompagnandoli da dentro, i tempi , i modi e gli spazi dell’abitare, non
fermandosi agli stereotipi che identificano famiglia con appartamento, edilizia pubblica con
Aler, case popolari con formicai. Ogni tempo storico ha determinato le ragioni delle sue
opere, crediamo che oggi ci sia un tempo per ripensare buone ragioni prima di procedere
nell’appiattire ogni significato con le consuetudini che gli sono attribuite.
6° Giorno. Il valore del “pubblico”
-Bagliori
Il welfare, se è un problema di tutti, va declinato con la parola pubblico, che però non va
più confusa e identificata esclusivamente con le parole statale/amministrazione pubblica.
La dimensione pubblica è la componente plurale dell’essere persona, propria dell’uomo.
Ciò che è statale non è vero che esaurisce il tema dell’ “essere pubblico”, c’è bisogno di
nuova soggettività pubblica e di qualcuno che incarni questa soggettività. In termini italiani,
abbiamo bisogno in particolare di nuove istituzioni di comunità. Chi fa oggi il parroco, il
sindaco, il farmacista, il medico, il carabiniere ? Erano queste le istituzioni di comunità
fino all’altro ieri nell’Italia vera. Oggi stentano o “non ci sono più”; la funzione iper-
specialistica ha schiacciato il loro significato. Chi sono oggi le istituzioni comunità che
mediano i problemi? Dove sono? E’ questa una delle questioni urgenti da affrontare.
Mentre ci dibattiamo ormai da due decenni abbondanti tra una spinta antistatalista, che ha
mirato a far crescere le rendite (si pensi alle retoriche sulle privatizzazioni, sulla libera
concorrenza, ecc. che spesso hanno in realtà solo prodotto –soprattutto in Italia -
liberalizzazioni mascherate e incremento delle rendite per pochi oligopolisti) ed una
richiesta continua di “più Stato” come forma di protezione, come soggetto in grado di
garantire la quota di libertà / benessere / diritti dei soggetti più deboli. Con l’effetto
congiunto di allargare a dismisura il debito pubblico. Non certo di generare più
partecipazione delle persone comuni alla costruzione della loro sorte collettiva. Mentre
viviamo in una res-pubblica. Lo Stato può e deve avere un ruolo da protagonista nel
promuovere e regolare questo welfare,ma lo stato sta alla dimensione pubblica come
l’apparato scheletrico sta al corpo. C’è bisogno anche di una buona burocrazia, di elementi
di rigidità e di durevolezza che funzionino. Si tratta però di ritrovare la capacità di mettere
in movimento e di investire su ciò che funziona ed ha contemporaneamente un senso.
-Riferimenti
Va premiata ogni forma di cooperazione e intrapresa personale con chiare finalità e
pratiche pubbliche. Un grande ruolo qui spetterebbe alle “istituzioni del sapere”, università
in primis. Per ricercare, valorizzare, diffondere la pluralità delle conoscenze necessarie
per sostenere nuove forme di legame sociale, sia tra gli uomini che con il contesto. Ciò
nella modernità significa anche individuare e studiare nuove forme di legame economico.
Oggi c’è un grandissimo depauperamento culturale di ciò che è pubblico e c’è un enfasi
astratta sul valore di ciò che è privato. Il pendolo delle questioni legate ad esempio ai beni
comuni continua ad oscillare tra privatizzazioni a favore di aziende profit e proprietà di
amministrazioni “pubbliche”in enti di ogni tipo. Confondendo costantemente i mezzi con i
fini. Non avendo quasi mai il coraggio di disegnare finalità chiaramente riconoscibili,
trovando poi, di volta in volta, i metodi, i mezzi e gli strumenti necessari e congruenti
(efficienza ed efficacia) per perseguirli e quindi verificarli. Non credo sia solo un
malcostume penso sia vera e propria ignoranza. Penso emblematicamente allo
stucchevole dibattito sull’acqua (un bene comune).
-Tracce
Una fiscalità, locale-regionale-nazionale adeguata e coordinata sia sul versante dell’offerta
e che sul versante della domanda
7° Giorno. Rendere plurale l’economia
-Bagliori
Trattare dell’economia in modo trasparente rendendo l’economia accessibile a tutti, non
vivendosi come semplici consumatori , accanto ad una costante cura dei processi
partecipativi e democratici ( che rappresenta evidentemente un costo nel breve periodo), è
il modo di dare un contributo alla creazione di imprese (sociali ) sane e soprattutto in
grado di pensare e di agire. Non c’è solo un economia di scambio mercantile, c’è anche un
economia di reciprocità e di dono. A costo di sembrare banale mai come oggi è necessario
ricordare che l’economia non è accumulare denaro. L’economia infatti è innanzitutto e nel
profondo, nel rispetto della parola, la scienza dell’ordine delle cose.
C’è bisogno di dare Il proprio contributo alla diversificazione della economia, c’è bisogno
di un economia plurale. Che riscopra il valore dell’armonia, che sappia individuare nuove
gerarchie nel produrre e distribuire valore.
La questione dell’economia la pongo come una questione dirimente per tutti. Volenti o
nolenti siamo immersi in un “tempo economico”. Anche il welfare fa i conti con questa
dimensione. Sappiamo dire e praticare qualcosa di diverso in tal senso,sappiamo stando
dentro i sistemi proporre qualcosa di alternativo? Sapendo comunque che la pluralità è un
valore, anche in economia.
-Riferimenti
C’è da riflettere sulla dimensione artigianale e su quella industriale nelle forme del welfare
( locale –Nazionale). La questione dell’impianto generale: produttivo, giuridico, economico,
societario andrebbe studiata a fondo dagli attori del terzo settore. Non data per scontata
seguendo le solite abitudini. E’ necessario mischiare con sapienza “artigianato (il piccolo)”
e “industrializzaizone” (il grande)” a seconda dei casi (a seconda cioè di cosa dobbiamo
produrre). Piccolo e grande, artigianale e industriale convergono (devono convergere)
infatti sulla finalità: trovare la forma più adatta per il bene della comunità.
La diffusa responsabilità che viene dalle forme di artigianato va curata e preservata è un
grande valore ma si devono trovare connessioni strutturali con metodi e processi che sono
in grado di affrontare anche grandi problemi su ampia scala.
Questo è un punto di innovazione che ha bisogno di imprenditori che abbiano il gran gusto
della loro terra ma anche la grande nostalgia del mondo.
-Tracce
Generare fondi d’investimento privati per l’impresa sociale. Condensare ed Indirizzare
capitali ,che cerchino una resa equa, al rafforzamento patrimoniale delle imprese sociali e
delle loro reti. Sostenendole in particolare nei processi di innovazione e consolidamento.
Accanto all’accesso al credito, che in buona parte è ormai diffuso e garantito da un
sistema bancario che si è reso sempre più sensibile a questi temi ed a queste nuove
forme d’intrapresa è necessario che nascano nuovi attori finanziari non solo per poter
disporre di risorse finanziarie aggiuntive ma per poter arricchire le relazioni e indirizzare un
po’ di flussi a finalità non speculative.
8° Giorno. Contro ogni miseria
-Bagliori
Prima viene la miseria di senso, poi quella relazionale ed infine quella economica. Questo
crea un circolo vizioso deprimente per le persone e le società. Quando scompare il
significato il richiamo ai diritti è un inutile perdita di tempo. Oggi non c’è solo un
impoverimento materiale delle famiglie, c’è un impoverimento relazionale sia quantitativo
che qualitativo. Ed i due fenomeni sono strettamente collegati. Il tutto in un contesto di forti
rimescolamenti culturali generati da massicci flussi migratori. Combattere quindi la miseria
delle persone, significa metterle nella condizione di farlo ed accompagnarle in questo
compito, non sostituendosi a loro. In tempi post-ideologici le persone comuni non hanno
perso il senso dei beni comuni ed è indispensabile che se ne sentano responsabili.
-Riferimenti
Il rapporto tra beni comuni e diritti individuali avrebbe bisogno di una pacata riflessione,
anche alla luce di ciò che abbiamo visto accadere negli ultimi venticinque anni. Un
aumento spropositato di bisogni individuali che non trova mai fine e che alla fine diventa
soffocante per le persone. Probabilmente da questa riflessione può nascere un ampio
spazio di ideazione di nuove forme di governance economica e politica: abbiamo capito
che non tutto ciò che si può fare è lecito (ritorno dall’onnipotenza del liberismo all’etica) e
che dobbiamo ricominciare a decidere che qualcuno debba poter dire ciò che si può e ciò
che non si può fare. Per riattivare la dimensione sociale della vita dobbiamo trovare forme
che rimettano il prendersi cura degli altri nelle mani di gruppi sociali, perché solo
attraverso questi canali si riattivano le risorse morali necessarie.
-Tracce
Fare di questi temi un asse portante delle politiche europee,perché questo può essere un
contributo dell’Italia alla costruzione dell’Europa dei cittadini. Alla loro vita personale. Il
welfare come scommessa responsabile sul futuro e non solo come assicurazione sul
futuro. Questo è indirettamente un contributo alla rigenerazione della democrazia.
Avrà capacità di rinnovarsi la democrazia? Che ormai da una decina di anni rincorre
riforme ingegneristiche (pur importanti) ma non si interroga sostanzialmente sul suo
significato e sulle sue finalità in questi tempi, correndo sovente il rischio di essere un
feticcio consumato. Le diverse realtà che fanno della partecipazione, della responsabilità,
della passione e dell’altruismo i loro cardini hanno ampi spazi, innanzi tutto di elaborazione
interna,per dire la loro.
Come se dovessimo entrare in un altro tempo della solidarietà, più consapevole, più
adulto, più libero.
9° Giorno. (Welfare come legame sociale)
“[….] Più di qualsiasi altro, il welfare state (che io peferisco chiamare social state, una
definizione che sposta l’enfasi dalla mera distribuzione di risorse materiali alla motivazione
condivisa e al loro scopo) fu un patto di solidarietà umana stretto per prevenire la
tendenza di oggi ad abbattere la rete di legami umani a minare le fondamenta sociali della
solidarietà. Tale tendenza è stata scatenata, potenziata ed esacerbata dalla corsa alla
privatizzazione, che ambisce alla riduzione del welfare state in cambio della promozione di
modelli essenzialmente anticomunitari, individualistici e fondati sullo stile consumatore –
mercato – modelli che pongono gli individui in competizione tra loro. La “privatizzazione”
scarica sulle spalle dei singoli individui il compito di reagire e risolvere i problemi prodotti
dalla società. Ma, nella maggior parte dei casi, uomini e donne sono troppo deboli per un
simile scopo e hanno capacità e risorse scarse e inadeguate. Lo Stato sociale, al
contrario, tendeva a unire i suoi membri nello sforzo di proteggere ciascuno di essi dalla
guerra moralmente devastante del tutti contro tutti.
Uno Stato può definirsi sociale quando promuove il principio del sostegno comune e
dell’assicurazione collettiva contro la cattiva sorte individuale e le sue conseguenze. E’
questo principio – dichiarato e reso operativo – che innalza la società “immaginata” al
livello di una comunità “reale” [….] Sempre lo stesso principio di Stato sociale eleva i
membri di una società allo status di cittadini: vale a dire, che li rende stakeholders, oltre
che stockholders – beneficiari, ma anche attori responsabili per la creazione e la
ripartizione adeguata dei benefici. I cittadini sono così mossi da uno spiccato interesse per
la loro proprietà comune e resi responsabili all’interno della rete di istituzioni pubbliche
sulla quale possono fare affidamento per assicurarsi solidità e fiducia nella “politica
dell’assicurazione collettiva […]”. La libertà di scelta ha in sé un implicito rischio di
fallimento, più o meno prevedibile, che moltissimi individui troveranno insopportabile,
temendo che questo superi la loro personale abilità nel fronteggiarlo[...]
Se la libertà di scelta fosse concessa sul piano teorico ma irraggiungibile in pratica, la
sofferenza causata dalla disperazione sarebbe certamente superata dall’umiliazione di
essere impotenti; le capacità, quotidianamente messe alla prova, di affrontare le sfide
della vita sono dopotutto il vero banco di prova su cui si misurano la fiducia che gli
individui hanno in loro stessi e la loro autostima. Da uno Stato che non è, e rifiuta di
essere, uno Stato sociale, non ci si deve aspettare alcun soccorso all’indolenza o
all’impotenza individuali. Senza diritti sociali per tutti, un gran numero di persone, destinato
in tutta probabilità ad aumentare, troverà di scarsa utilità e dunque non meritevoli di
attenzione, i propri diritti politici. Se i diritti politici sono stati necessari affinchè i diritti
sociali potessero affermarsi, questi ultimi sono indispensabili per rendere “reali” e
mantenere operativi i diritti politici. Le due categorie di diritti hanno bisogno l’una dell’altra
per garantire la reciproca sopravvivenza, che può essere raggiunta solo come conquista
comune. [….]”. Attualmente, noi (principalmente “noi” dei paesi “sviluppati”, ma sotto la
pressione dei mercati globali, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale
il fenomeno interessa tutto il mondo) abbiamo imboccato la strada opposta allo Stato
sociale: le dimensioni collettive - società e comunità, reali o anche solo immaginate –
sono sempre più assenti. L’autonomia individuale sta espandendo velocemente il suo
raggio d’azione, sotto il quale ricadono responsabilità sempre nuove, che un tempo erano
sotto il dominio dello Sato e che ora sono state cedute (“sussidiarizzate”) alla cura
individuale.
Lasciati sempre più in balia delle proprie risorse e iniziative, le persone devono inventare
soluzioni individuali a problemi che hanno avuto origine nella società nel suo complesso,
devono far ciò in completa solitudine, potendo contare soltanto sulle proprie capacità e sui
propri beni. Tale prospettiva pone gli individui in reciproca competizione e fa apparire la
solidarietà sociale (ad eccezione delle allenaze temporanee in nome di una comune
convenienza, vale a dire di legami umani che si allacciano e si slacciano su domanda e
che non comportano vincoli a lungo termine) largamente irrilevante, se non addirittura
controproducente. Questa assegnazione delle parti (se non viene riequilibrata da un
deciso intervento istituzionale) rende ineluttabile la differenziazione e la polarizzazione
degli individui, perché rende autoesplosivo e autoaccelerato il processo di polarizzazione
delle prospettive e delle opportunità […] «Deregolamentazione» è diventata rapidamente
una parola sporca, mentre le parole sporche di ieri – come spesa pubblica, azienda di
Stato, regolamentazione obbligatoria, nazionalizzazione – sono state ripulite in tutta fretta
della sporcizia accumulata in trent’anni di cosiddetta emancipazione. Per il momento
nessuno è in grado di dire quali effetti produrrà questa sorprendente svolta, ma
attualmente il pendolo sta oscillando nella direzione opposta alla logica della
deregolamentazione. Come sappiamo, nel corso di ogni oscillazione l’energia cinetica che
consente il movimento del pendolo, tende a diminuire, mentre l’energia potenziale
aumenta. La legge è universalmente applicabile a tutti i pendoli, anche per quello che
oscilla tra regolamentazione e deregolamentazione o tra sicurezza e libertà.”
Z.Bauman intervista pubblicata da “Micromega” Luglio 2009
L’amen (così sia) finale lo affidiamo alle quattro virtù cardinali che la tradizione ci
consegna permettendoci di accompagnarle a semplici aggettivi.
In tempi di nichilismo individualista per chi si inoltra in questo percorso è buona cosa
armarsi delle virtù cardinali, poiché in fin dei conti sono le persone che incarnano le visioni
i desideri e le idee e a queste danno forma. Il percorso è lungo e chi lo auspica forse non
lo vedrà, ma questo non può far perdere intensità e contingenza al discorso. La tradizione
ci consegna queste quattro virtù che qui riproponiamo come bussola interiore, perché
rendano solido e costante il nostro viaggio. La vulnerabile fortezza,la simpatica
temperanza,la coraggiosa prudenza,la compassionevole giustizia. A loro affidiamo la
nostra speranza.

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Ldb 98 17.01.2015 Dotti welfare 4

  • 1. “Liberare l’avvenire” Una novena per il welfare “ La crisi del welfare, se ben interpretata, è un’opportunità di crescita civile, se male interpretata, può provocare molti danni. Ma per “uscire dalla crisi” occorrono una pluralità di esperienze che siano in grado insieme di immaginarsi una possibilità di vita migliore. Frammenti che diano e si diano fiducia, capaci di una visione comune. Si può vivere meglio di così? Io credo di sì. Forse è questo il compito di una generazione, la nostra, che non consegnerà complessivamente una condizione di vita materiale quantitativamente superiore ai propri figli. E’ il caso allora che si impegni a formulare e fare esperienza già da ora di percorsi di vita qualitativamente diversi. Anche questa potrebbe essere una buona eredità da lasciare. Fosse anche per riconoscenza verso le generazioni che ci hanno preceduto e per responsabilità verso quelle che verranno, abbiamo il dovere di provarci.” Questa era la conclusione di una lunga riflessione sul welfare confluita in un articolo della rivista “communitas” e in un capitolo di un libro dedicato alla solidarietà. In questo articolo riprenderò la sintesi delle tesi principali articolandole però diversamente. Eravamo alla fine del 2008. Quasi due anni fa. Poco prima della crisi economica che ci ha travolto e in cui siamo tuttora immersi, più o meno consapevolmente. Una grande confusione regna sotto il sole. Il welfare si presenta sempre più come un intricato nodo che raccoglie in sè molti temi irrisolti del nostro paese ( e potremmo dire anche dell’Europa), tra gli altri possiamo citare : insostenibilità ed immoralità del debito pubblico, irrisolta forma dello Stato, annunciata ed incompiuta sussidiarietà, rilevanti interessi corporativi,epocali cambiamenti demografici ed etnografici della popolazione, aumento delle disuguaglianze, mobilità sociale bloccata,spaccatura tra nord e sud del paese,mutismo e marginalità del terzo settore. Al di là delle retoriche sul Paese e sul “made in Italy” quella del welfare, della sua forma e del suo contenuto, è un possibile campo di prova concreto di una via italiana alla modernità, una verifica se abbiamo qualcosa da dire nella globalizzazione,un possibile punto di incontro tra l’Italia e gli Italiani ma anche tra l’Europa ed i suoi cittadini. Tra le istituzioni e le esperienze delle persone. Uno dei campi principali in cui si gioca oggi la partita della democrazia. Il welfare ha bisogno di una nuova stagione istituente, perché il rinnovamento di teoria e prassi in questo campo, valorizzando tutto ciò che si è acquisito ma non dandolo per scontato, può avere influenza in molti altri campi della vita civile ed economica del paese. Ma soprattutto può essere un campo concreto per rinnovare quelle
  • 2. energie e risorse morali di cui abbiamo urgente bisogno, senza le quali siamo destinati ad un inesorabile declino. Così vista l’importanza e l’urgenza dell’argomento e dei tempi che viviamo, con l’intenzione di non creare ulteriore confusione ma altresì con la consapevolezza della necessità di un “parlar chiaro e onesto” scelgo la forma della novena . Prendendo spunto dalla tradizione e riproponendo una orazione laica. Perché la forma è anche sostanza e il medium a volte è il contenuto. Come ricordo faceva buona parte del popolo ai tempi di mia nonna, ed oggi fanno piccole minoranze, nel corso dell’anno per nove giorni consecutivi ci si preparava insieme ad una ricorrenza solenne o per richiedere particolari grazie. Questo sarà anche il nostro simbolico percorso di riflessione. Vorrei richiamare così, attraverso questa forma laicamente orante, alla mia coscienza e in quella di chi legge il senso della nostra inadeguatezza rispetto al compito ma anche della nostra fiducia nel suo compimento; il senso della necessità di vegliare ed essere pronti ma anche quello del farsi sorprendere da ciò che si incontra. Il senso che la trasformazione del welfare richiede un di più di speranza e di desiderio che ci eccede, ma che non può non vederci coinvolti. Una novena a cui innanzi tutto mi sento convocato e che vuole esprimere auspicio e fiducia ma anche accettazione e sollecitudine verso i compiti, non certo facili, che ci attendono. La trasformazione richiede che ci sia sintonia ed armonia tra forma e sostanza , ancor più se si vuole addivenire ad un cambiamento collettivo, quale è quello di cui qui si tratta. Ogni novena era accompagnata da qualche santo di riferimento. Laicamente scelgo due spiriti protettori e ispiratori. Ne scelgo la vita, la testimonianza, il pensiero, l’obbedienza profonda alla propria coscienza, la libertà di spirito. Perché ci accompagnino in questa attraversata e ci aiutino a guardare avanti e nel profondo. Luigi Sturzo e Ivan Illich. Tra i tanti loro scritti particolarmente attinenti al tema ho trovato alcuni pensieri contenuti in due brevi testi che di seguito riporto: “La convivialità”di Illich e “La regione nella nazione” di Sturzo. “E’ necessario liberare l’avvenire aprirlo alla sorpresa delle azioni personali”… “L’uomo è un essere fragile. Nasce nel linguaggio,vive nel diritto e muore nel mito. Sottoposto ad un cambiamento smisurato, perde la sua dignità di uomo”… ”Una società stagnante sarebbe altrettanto insopportabile per l’uomo quanto la società dell’accellerazione: tra le due si colloca la società d’innovazione conviviale”…
  • 3. I.Illich- La convivialità 1974 “Mentre io sono contrario agli enti di diritto pubblico che fanno i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, gli impresari e simili, non solo non ho obiezioni ma sarei pronto a favorire i consorzi di privati o di associazioni, banche e istituti finanziari, che a loro rischio e pericolo, con qualche favore pubblico assai limitato, prendano iniziative utili alle popolazioni locali e alle stese regioni, col patto, che se riescono siano loro i vantaggi, e se non riescono siano pure loro le perdite. Nessun ente pubblico deve garantire al privato i rischi che corre; solo così può rinascere il nostro paese. E’ vero che ancora esistono leggi fiscali di favore per enti di diritto pubblico. E’ da sperare che il ministero delle finanze abolisca questi privilegi e conservi solo quelli che potranno anche concedersi ai consorzi e società che non abbiano scopo di lucro. Purtroppo, queste verità lapalissiane cadono in un ambiente morfinizzato, che non da segni di ripresa”… Luigi Sturzo – La regione nella nazione 1949. Molti dei pensieri che seguiranno provengono dall’amicizia dialogante di questi anni con Claudia Fiaschi,Giacomo Libardi e Mauro Magatti. Non avendo potuto visionare il testo sono però sollevati da qualsiasi responsabilità. Ogni giorno della nostra novena ha un tema che si compone di tre brevi momenti evocativi. Il primo dei tre momenti si riferisce ai bagliori che nella notte possono illuminare per alcuni momenti la scena, il paesaggio, l’orizzonte in cui scorgere un possibile percorso. Il secondo momento narra dei riferimenti che una volta che siamo partiti indicano la direzione del cammino. Il terzo individua alcune tracce concrete’, contingenti e sintetiche che segnano già oggi se stiamo andando o no nella giusta direzione confermandoci nel cammino. Le riflessioni della nona giornata sono stralci di una lunga intervista a Zygmunt Bauman, apparsa sulla rivista “micromega” nell’estate del 2009. Ho ritenuto opportuno riportarli nella conclusione del percorso perché contengono, in positivo ed in negativo, gli elementi che rendono complessa ma necessaria una trasformazione virtuosa del welfare. Perché, in fondo, ripensare il welfare è contribuire al rinnovamento del bene comune e del legame sociale.
  • 4. 1° Giorno. La tensione universalistica -Bagliori Parlare oggi di welfare, tenendolo connesso alla solidarietà, ha senso solo se ci riferiamo ad un welfare che mantiene una tensione universalista, cioè disponibile ed accessibile a tutti i cittadini. Come si può fare in tempi di forte individualismo ?Oggi il welfare rischia di essere un fattore di regressione e non di tutela dei più deboli, paradossalmente proprio perche ha perso l’orizzonte universalista. Per affrontare i tempi nuovi, è necessario un modo nuovo per rendere fattibile l’universalismo che stava alla base della positiva intuizione del welfare state. Per avverare l’affermazione è necessario porsi il problema di cosa sia oggi il “bene comune”, forse prima ancora dare una dignità culturale, sociale, economica, a questa espressione. E’ la visione universalistica del welfare state il valore che va preservato, chiedendo allo Stato di promuoverla e verificarla, non certo - come si incaponisce a fare - di amministrarla e gestirla (non riuscendoci). -Riferimenti Due azioni di fondo possono costituire una architettura di un azione politica che ci traghetti in una nuova dimensione del welfare e che sia in grado di mobilitare nuove energie morali e materiali: destatalizzare socializzando e innovare responsabilizzando. L’ Italia e l’Europa di fronte alla crisi hanno in realtà una grande opportunità di rilancio se riusciremo a capire come destatalizzare il welfare ed in generale i beni comuni. Uscire dallo statalismo (da entrambe le due tensioni stataliste: quella contro e quella pro) aggredendolo dal punto di vista opposto a quello che ci è stato proposto, ossia non privatizzando, ma socializzandolo. Non facendoci prendere dalle logiche di potenza e del profitto, ma intercettando, generando e spostando risorse a favore dei soggetti sociali. In questo campo gli spazi di costruzione e sperimentazione sono enormi. Il cuore culturale di questo cambiamento storico è il tema della libertà. Dobbiamo oggi chiederci: siamo davvero in un mondo libero? E che cos’è la libertà oggi? La sfida è quella di assumersi la responsabilità di decidere cosa si fa esistere nella propria vita. -Tracce Ripristinare un servizio civile obbligatorio. Un tempo di servizio agli altri coincidente con la maggiore età, che può avere molteplici significati ma innanzi tutto vuol dire ricostruire uno spazio ed un tempo comunitario ( un rito) che segni l’entrata nel mondo adulto per i giovani. I contenuti ed i processi adeguati a gestirlo, sei mesi in Italia e sei mesi all’estero,
  • 5. sono una responsabilità del terzo settore che deve inventarsi anche forme per sostenerlo e finanziarlo. Nessun trasferimento statale. 2° Giorno. Il valore della persona -Bagliori Non è possibile recuperare il tema del bene comune in una società fortemente individualista, se non si recupera il valore della persona, intesa come nodo di relazioni. La persona non è l’individuo, l’individuo (io) è un sesto della persona che è l’intreccio di sei pronomi. Intendiamo come persona il nodo reale in una rete di relazioni. Il nodo sarebbe l’individuo, ma il nodo senza i fili che lo costituiscono cesserebbe di esistere, di essere nodo. Non c’è un solo nodo, cosi’ come non può esistere una sola persona. La libertà nella cultura personalista è sempre connessa alla creazione di legami che hanno un significato. Non è semplicemente la libertà di scegliere. È anche una liberazione da uno stato dell’essere, anche attraverso dei legami, interiori ed esteriori. In altri termini la libertà è la scelta dei legami che mi liberano. Qualcosa di molto diverso dalla sola scelta come arbitrio o come opzione da mettere in pratica ad esempio in un’esperienza di consumo. Aggiungo che le relazioni – tanto più nella società liquida – non sono solo scambio individuale fra domanda e offerta. Sono relazioni di senso, rigenerabili soprattutto attraverso il capitale sociale. Va specificato che il benessere della persona, la sua felicità, è quindi solo per un sesto un problema individuale. -Riferimenti Il cambiamento massiccio del welfare avverrà sul versante della domanda, c’è ampio spazio per nuove forme di aggregazione della domanda, che riformulino anche il rapporto tra domanda ed offerta. Sul lungo periodo bisogna educare le persone a condividere i loro bisogni con altri portatori di bisogni (progetto di comunità!). La finalità del mutualismo delle origini. Che è oggi mutualizzazione tra diversi. Forme che sarebbero più efficienti ed efficaci sul lungo periodo perché generatrici di capitale sociale. Dando per acquisita la necessità di un sistema d’offerta che richiede una rivisitazione in ordine ad alcune questioni centrali (vicinanza al bisogno, accreditamento, efficacia ed efficienza) è necessario concentrarsi quindi sulle questioni riconducibili ala cosiddetta aggregazione della domanda. Altrimenti continueremo a scaricare su un’idea completamente distorta di Stato, cioè di Stato paternalista, tutte le frustrazioni dei nostri bisogni individuali. Con bisogni che si allargano all’infinito virtualmente servirebbe uno Stato infinito.
  • 6. -Tracce In Italia si può positivamente metter mano ai fondi sanitari che sono ora in una fase intermedia, nel senso che non si sono completamente dispiegati (ad oggi sono circa 150 quelli presenti in Italia) e sopravvivono a fianco di vecchi fondi come le società di mutuo soccorso. Questo processo partito nel 1992 sta avendo una fortissima accellerazzione e di fatto ha messo in moto una serie di meccanismi da parte delle aziende che lentamente si sono ri-orientate su questo tema. Si tratta di assumere la sfida della declinazione dell’universalismo nel mondo dei fondi sanitari (che invece affonda le radici in un pensiero che é fondamentalmente quello individuale-assicurativo). Le questioni importanti che tale situazione ci pone sono:la possibilità che i fondi abbiano un modello di trasferimento non solo per finanziamento ma anche per servizi e la loro declinazione e differenziazione territoriale. Attualmente il meccanismo che si è costruito si sposta prevalentemente sulle persone lavoratrici o in quiescenza; questo fa si che per la prima volta vengano escluse dall’accesso ai servizi universalistici, o da servizi sanitari e assistenziali con caratteristiche universalistiche, fasce crescenti della popolazione. L’arrivo dei fondi così come sono modifica quindi il modello perché inserisce una forte verticalità esclusiva. La centralità non è più legata alla cittadinanza ma alla condizione professionale. Questa situazione apre per inciso una condizione drammatica al sud, dove si coniugano in un mix potenzialmente esplosivo il taglio delle risorse pubbliche e il livello alto di disoccupazione, che esclude o comunque riduce di molto l’accesso ad interventi e servizi. 3° Giorno. Come uscire dallo spaesamento. -Bagliori Nella diaspora della modernità, non esistono super-sistemi, tanto meno sistemi tecnologici, che ti garantiscano la vita, tanto meno una buona-vita. Ci siamo incatenati in questa ossessione, continuamente alimentata dai media, per la sicurezza che è la versione sociologica dell’ossessione cognitiva per la certezza. Ma la sicurezza, anche quella individuale, si coniuga con la qualità delle relazioni e con la responsabilità delle proprie azioni. Non si coniuga nè con le telecamere nè con le barriere corporative. La certezza tecnologica e l’affidamento al gruppo di simili, sono strumenti e metodi che restano aleatori e superficialmente rassicuranti se non ci si applica con costanza e cura al territorio, all’abitare il territorio, al renderlo abitabile. Così se si vuole parlare seriamente di welfare, c’è da ripensare anche ad un nuovo stile dell’abitare,;alla costruzione e ricostruzione di spazi abitativi che abbiano un significato. Di spazi che
  • 7. abbiano “qualcosa da dire” a chi li abita. Questo riguarda sia le abitazioni singole che gli spazi comuni e pubblici. La bellezza non è semplice estetica superficiale, è armonia di spazi , di tempi, é riconoscimento. E’ armonia di relazioni. Un nuovo welfare richiede anche una nuova urbanistica ed una nuova architettura. -Riferimenti Per riattivare la dimensione sociale e la forma socievole della vita siamo chiamati a creare forme economiche di ‘terzo settore’ o, meglio, di comunità, in cui si producano delle forme istituzionali che consentano il fatto che il prendersi cura di sé, del mondo circostante, dell’educazione, della sanità, deve essere rimesso concretamente nelle mani dei gruppi intermedi e dei territori. Siamo chiamati a riorganizzare pezzi di welfare, concretamente e nell’immediato, per caratterizzare questo momento storico con capacità di pensiero e di immaginazione, creando le condizioni affinché nascano prospettive differenti rispetto a quelle del passato. Ad esempio bisogna consolidare l’alleanza tra terzo settore e i comuni, che rappresentano la rete profonda di questo paese, anche alla luce dei tagli dell’attuale finanziaria che li costringerà ad essere più creativi e a costruire nuove forme istituzionali. Da una parte si tratta di generare delle nuove istituzioni di comunità ( che seguono ad esperienze di relazione comunitaria), dall’altra verificare la possibilità di orientare alcuni flussi globali al bene comune, anche qui c’è un grosso spazio istituzionale. –Tracce E’ importante che nasca un rapporto di fiducia tra vecchie e nuove istituzioni per generare un tessuto di legame sociale, creando le condizioni per superare il corporativismo. Molte organizzazioni di terzo settore sono ancora adolescenziali, non sono adulte, diventeranno adulte solo nel confronto, con le vecchie istituzioni (economiche, politiche,formative, sociali, religiose) . C’è bisogno che le vecchie istituzioni abbiano un atteggiamento non paternalista ma un atteggiamento da fratello maggiore. C’è bisogno che le nuove istituzioni, non abbiano un atteggiamento solo trasgressivo ,contro- dipendente od opportunista, ma abbiano un atteggiamento, da fratello minore (che non vuol dire minorato), vuol solo dire più giovane. Per creare nuove forme di alleanza. Chiedere alle “vecchie” istituzioni che non inneschino solo atteggiamenti difensivi, auto conservativi o predatori, ma si ricordino dello statuto profondo che nelle diverse epoche le ha generate e su questa base ritrovino finalità perdute e soprattutto siano disponibili ad accompagnare nuove esperienze.
  • 8. 4° Giorno Non c’è libertà senza responsabilità -Bagliori Non può esistere oggi un welfare erogato. Il welfare va continuamente rigenerato, direi anzi rianimato. Personalizzato. Si fonda tendenzialmente sulla capacità di auto organizzazione, figlia della libertà ma generatrice di responsabilità. C’è da recuperare il gusto della responsabilità per alimentare la libertà. In una fase in cui strutturalmente la nostra nazione vive contemporaneamente una crisi demografica, una crisi dei redditi ed una crisi fiscale, che si iscrivono oggi strutturalmente nella crisi finanziaria ed economica che investe l’intero mondo. Queste situazioni richiedono una nuova capacità di immaginare e di agire politiche di creazione e distribuzione del valore, che è anche valore sociale. Come si genera capitale sociale oggi? Come stimolare e accompagnare la nascita di nuove combinazioni sociali che includano le persone, in un tempo in cui tutto si frantuma ? Come non disgiungere libertà e desiderio da responsabilità e bisogni da capacità? Una possibile chiave di lettura e di proposta risiede nel rigenerare relazioni, costruire legami, tessere reti, rinnovare significati. Sostenendo il processo di costruzione di nuove istituzioni di comunità, che non possono essere la fotocopia di quelle passate, e che ricordiamolo nascono prima come esperienze e solo in un secondo momento diventano istituzioni. -Riferimenti Serve una reale autonomia economica del terzo settore agganciata ad una robusta responsabilità civile. In tal senso se da una parte dovremmo assistere ad un impegno di “modico uso” da parte del terzo settore dei soldi dell’amministrazione pubblica, dall’altro si devono liberare energie finanziarie delle persone oggi compresse nella fiscalità generale. Da una parte bisogna “disintossicare “ il terzo settore e dall’altra permettergli di crescere davvero; ripensando e riqualificando anche il suo rapporto con lo Stato. -Tracce Se non si vogliono avere degli adulti dipendenti è buona cosa investire su un educazione che ci introduca ad un sano rapporto con la realtà. Il lavoro va reinserito nel processo educativo. Fare le prime esperienze di lavoro a 24, 25, 30 anni, come succede oggi è una follia. E’ una follia educativa perché il principio di realtà non si può generare solo all’interno delle aule scolastiche. Si fonda solo sul rapporto concreto e complesso con il mondo che costringe a fare i conti con i limiti ed i talenti personali. Come ci siamo impegnati in una gigantesca opera di alfabetizzazione scolastica, dovremmo oggi
  • 9. impegnarci in un opera di “alfabetizzazione lavorativa”. Senza principio di realtà non esiste solidarietà, esiste solo il principio del piacere. Esistono emotività fragili e la moltiplicazione di bisogni infiniti. 5° Giorno. Tutti abbiamo bisogno degli altri -Bagliori Il welfare non è un tema da specialisti per una fascia specifica di bisognosi, rigidamente precostituita. Tutti prima o poi - di questi tempi e in questa vita - hanno bisogno degli altri. Anche per questo il welfare è un problema di tutti, una questione d’interesse generale. E’ paradossale ma facilmente sperimentabile il fatto che mentre si allarga la forbice dei redditi si restringe e si fa sempre più urgente il bisogno per ciascuno di poter contare sugli altri. I soldi quindi non bastano. La percezione e l’esperienza della povertà è radicalmente cambiata, così come la percezione e l’esperienza della precarietà esistenziale. Il problema è riconoscere la dimensione pubblica della felicità . Cioè se si ha intenzione di pensare a sé stessi pensando anche agli altri, consapevoli che pensare agli altri non è un’attività filantropica donativa sui-generis ma ha che fare con l’intelligenza e con il nostro inter-esse. -Riferimenti Riconnettere ciò che abbiamo separato. Rimettere mano alle forme che soffocano la vita. Teoria e prassi, salute e socialità, abitare e comunità, bisogni e risposte. In tal senso la grande dote che il terzo settore porta con sé e che non ha esaurito è di essere nella forma e nella sostanza un connettore. Questo è il suo evidente punto di forza. -Tracce Chi sta dentro le diverse comunità territoriali conosce bene il travaglio che persone, famiglie, gruppi ed istituzioni stanno vivendo. Non si tratta semplicemente di trovare soluzioni e risposte efficientiste. Quando parliamo di “politiche abitative pubbliche” non si tratta di costruire degli involucri fisici e di infilarci le persone al più basso costo possibile per loro e per la collettività. Ciò che nel breve periodo sembra essere una risposta efficiente , la storia degli ultimi anni dimostra costituire un costo,( sociale , esistenziale ed economico) ben superiore dell’apparente vantaggio iniziale. Non è possibile oggi, ed in particolare nei casi che presentano già lo stigma dell’emarginazione o che stanno lentamente scivolando in quella dimensione sociale scollegare la parola abitare dalla responsabilità, dalla creatività, dalla relazionalità. Sono queste le dimensioni che garantiscono la cura materiale ed immateriale sul lungo periodo.
  • 10. Mai come oggi in un tempo di diaspora sociale, abitare è vivere. C’è insomma la sfida a rivedere , accompagnandoli da dentro, i tempi , i modi e gli spazi dell’abitare, non fermandosi agli stereotipi che identificano famiglia con appartamento, edilizia pubblica con Aler, case popolari con formicai. Ogni tempo storico ha determinato le ragioni delle sue opere, crediamo che oggi ci sia un tempo per ripensare buone ragioni prima di procedere nell’appiattire ogni significato con le consuetudini che gli sono attribuite. 6° Giorno. Il valore del “pubblico” -Bagliori Il welfare, se è un problema di tutti, va declinato con la parola pubblico, che però non va più confusa e identificata esclusivamente con le parole statale/amministrazione pubblica. La dimensione pubblica è la componente plurale dell’essere persona, propria dell’uomo. Ciò che è statale non è vero che esaurisce il tema dell’ “essere pubblico”, c’è bisogno di nuova soggettività pubblica e di qualcuno che incarni questa soggettività. In termini italiani, abbiamo bisogno in particolare di nuove istituzioni di comunità. Chi fa oggi il parroco, il sindaco, il farmacista, il medico, il carabiniere ? Erano queste le istituzioni di comunità fino all’altro ieri nell’Italia vera. Oggi stentano o “non ci sono più”; la funzione iper- specialistica ha schiacciato il loro significato. Chi sono oggi le istituzioni comunità che mediano i problemi? Dove sono? E’ questa una delle questioni urgenti da affrontare. Mentre ci dibattiamo ormai da due decenni abbondanti tra una spinta antistatalista, che ha mirato a far crescere le rendite (si pensi alle retoriche sulle privatizzazioni, sulla libera concorrenza, ecc. che spesso hanno in realtà solo prodotto –soprattutto in Italia - liberalizzazioni mascherate e incremento delle rendite per pochi oligopolisti) ed una richiesta continua di “più Stato” come forma di protezione, come soggetto in grado di garantire la quota di libertà / benessere / diritti dei soggetti più deboli. Con l’effetto congiunto di allargare a dismisura il debito pubblico. Non certo di generare più partecipazione delle persone comuni alla costruzione della loro sorte collettiva. Mentre viviamo in una res-pubblica. Lo Stato può e deve avere un ruolo da protagonista nel promuovere e regolare questo welfare,ma lo stato sta alla dimensione pubblica come l’apparato scheletrico sta al corpo. C’è bisogno anche di una buona burocrazia, di elementi di rigidità e di durevolezza che funzionino. Si tratta però di ritrovare la capacità di mettere in movimento e di investire su ciò che funziona ed ha contemporaneamente un senso. -Riferimenti
  • 11. Va premiata ogni forma di cooperazione e intrapresa personale con chiare finalità e pratiche pubbliche. Un grande ruolo qui spetterebbe alle “istituzioni del sapere”, università in primis. Per ricercare, valorizzare, diffondere la pluralità delle conoscenze necessarie per sostenere nuove forme di legame sociale, sia tra gli uomini che con il contesto. Ciò nella modernità significa anche individuare e studiare nuove forme di legame economico. Oggi c’è un grandissimo depauperamento culturale di ciò che è pubblico e c’è un enfasi astratta sul valore di ciò che è privato. Il pendolo delle questioni legate ad esempio ai beni comuni continua ad oscillare tra privatizzazioni a favore di aziende profit e proprietà di amministrazioni “pubbliche”in enti di ogni tipo. Confondendo costantemente i mezzi con i fini. Non avendo quasi mai il coraggio di disegnare finalità chiaramente riconoscibili, trovando poi, di volta in volta, i metodi, i mezzi e gli strumenti necessari e congruenti (efficienza ed efficacia) per perseguirli e quindi verificarli. Non credo sia solo un malcostume penso sia vera e propria ignoranza. Penso emblematicamente allo stucchevole dibattito sull’acqua (un bene comune). -Tracce Una fiscalità, locale-regionale-nazionale adeguata e coordinata sia sul versante dell’offerta e che sul versante della domanda 7° Giorno. Rendere plurale l’economia -Bagliori Trattare dell’economia in modo trasparente rendendo l’economia accessibile a tutti, non vivendosi come semplici consumatori , accanto ad una costante cura dei processi partecipativi e democratici ( che rappresenta evidentemente un costo nel breve periodo), è il modo di dare un contributo alla creazione di imprese (sociali ) sane e soprattutto in grado di pensare e di agire. Non c’è solo un economia di scambio mercantile, c’è anche un economia di reciprocità e di dono. A costo di sembrare banale mai come oggi è necessario ricordare che l’economia non è accumulare denaro. L’economia infatti è innanzitutto e nel profondo, nel rispetto della parola, la scienza dell’ordine delle cose. C’è bisogno di dare Il proprio contributo alla diversificazione della economia, c’è bisogno di un economia plurale. Che riscopra il valore dell’armonia, che sappia individuare nuove gerarchie nel produrre e distribuire valore. La questione dell’economia la pongo come una questione dirimente per tutti. Volenti o nolenti siamo immersi in un “tempo economico”. Anche il welfare fa i conti con questa dimensione. Sappiamo dire e praticare qualcosa di diverso in tal senso,sappiamo stando
  • 12. dentro i sistemi proporre qualcosa di alternativo? Sapendo comunque che la pluralità è un valore, anche in economia. -Riferimenti C’è da riflettere sulla dimensione artigianale e su quella industriale nelle forme del welfare ( locale –Nazionale). La questione dell’impianto generale: produttivo, giuridico, economico, societario andrebbe studiata a fondo dagli attori del terzo settore. Non data per scontata seguendo le solite abitudini. E’ necessario mischiare con sapienza “artigianato (il piccolo)” e “industrializzaizone” (il grande)” a seconda dei casi (a seconda cioè di cosa dobbiamo produrre). Piccolo e grande, artigianale e industriale convergono (devono convergere) infatti sulla finalità: trovare la forma più adatta per il bene della comunità. La diffusa responsabilità che viene dalle forme di artigianato va curata e preservata è un grande valore ma si devono trovare connessioni strutturali con metodi e processi che sono in grado di affrontare anche grandi problemi su ampia scala. Questo è un punto di innovazione che ha bisogno di imprenditori che abbiano il gran gusto della loro terra ma anche la grande nostalgia del mondo. -Tracce Generare fondi d’investimento privati per l’impresa sociale. Condensare ed Indirizzare capitali ,che cerchino una resa equa, al rafforzamento patrimoniale delle imprese sociali e delle loro reti. Sostenendole in particolare nei processi di innovazione e consolidamento. Accanto all’accesso al credito, che in buona parte è ormai diffuso e garantito da un sistema bancario che si è reso sempre più sensibile a questi temi ed a queste nuove forme d’intrapresa è necessario che nascano nuovi attori finanziari non solo per poter disporre di risorse finanziarie aggiuntive ma per poter arricchire le relazioni e indirizzare un po’ di flussi a finalità non speculative. 8° Giorno. Contro ogni miseria -Bagliori Prima viene la miseria di senso, poi quella relazionale ed infine quella economica. Questo crea un circolo vizioso deprimente per le persone e le società. Quando scompare il significato il richiamo ai diritti è un inutile perdita di tempo. Oggi non c’è solo un impoverimento materiale delle famiglie, c’è un impoverimento relazionale sia quantitativo che qualitativo. Ed i due fenomeni sono strettamente collegati. Il tutto in un contesto di forti rimescolamenti culturali generati da massicci flussi migratori. Combattere quindi la miseria delle persone, significa metterle nella condizione di farlo ed accompagnarle in questo
  • 13. compito, non sostituendosi a loro. In tempi post-ideologici le persone comuni non hanno perso il senso dei beni comuni ed è indispensabile che se ne sentano responsabili. -Riferimenti Il rapporto tra beni comuni e diritti individuali avrebbe bisogno di una pacata riflessione, anche alla luce di ciò che abbiamo visto accadere negli ultimi venticinque anni. Un aumento spropositato di bisogni individuali che non trova mai fine e che alla fine diventa soffocante per le persone. Probabilmente da questa riflessione può nascere un ampio spazio di ideazione di nuove forme di governance economica e politica: abbiamo capito che non tutto ciò che si può fare è lecito (ritorno dall’onnipotenza del liberismo all’etica) e che dobbiamo ricominciare a decidere che qualcuno debba poter dire ciò che si può e ciò che non si può fare. Per riattivare la dimensione sociale della vita dobbiamo trovare forme che rimettano il prendersi cura degli altri nelle mani di gruppi sociali, perché solo attraverso questi canali si riattivano le risorse morali necessarie. -Tracce Fare di questi temi un asse portante delle politiche europee,perché questo può essere un contributo dell’Italia alla costruzione dell’Europa dei cittadini. Alla loro vita personale. Il welfare come scommessa responsabile sul futuro e non solo come assicurazione sul futuro. Questo è indirettamente un contributo alla rigenerazione della democrazia. Avrà capacità di rinnovarsi la democrazia? Che ormai da una decina di anni rincorre riforme ingegneristiche (pur importanti) ma non si interroga sostanzialmente sul suo significato e sulle sue finalità in questi tempi, correndo sovente il rischio di essere un feticcio consumato. Le diverse realtà che fanno della partecipazione, della responsabilità, della passione e dell’altruismo i loro cardini hanno ampi spazi, innanzi tutto di elaborazione interna,per dire la loro. Come se dovessimo entrare in un altro tempo della solidarietà, più consapevole, più adulto, più libero. 9° Giorno. (Welfare come legame sociale) “[….] Più di qualsiasi altro, il welfare state (che io peferisco chiamare social state, una definizione che sposta l’enfasi dalla mera distribuzione di risorse materiali alla motivazione condivisa e al loro scopo) fu un patto di solidarietà umana stretto per prevenire la tendenza di oggi ad abbattere la rete di legami umani a minare le fondamenta sociali della solidarietà. Tale tendenza è stata scatenata, potenziata ed esacerbata dalla corsa alla
  • 14. privatizzazione, che ambisce alla riduzione del welfare state in cambio della promozione di modelli essenzialmente anticomunitari, individualistici e fondati sullo stile consumatore – mercato – modelli che pongono gli individui in competizione tra loro. La “privatizzazione” scarica sulle spalle dei singoli individui il compito di reagire e risolvere i problemi prodotti dalla società. Ma, nella maggior parte dei casi, uomini e donne sono troppo deboli per un simile scopo e hanno capacità e risorse scarse e inadeguate. Lo Stato sociale, al contrario, tendeva a unire i suoi membri nello sforzo di proteggere ciascuno di essi dalla guerra moralmente devastante del tutti contro tutti. Uno Stato può definirsi sociale quando promuove il principio del sostegno comune e dell’assicurazione collettiva contro la cattiva sorte individuale e le sue conseguenze. E’ questo principio – dichiarato e reso operativo – che innalza la società “immaginata” al livello di una comunità “reale” [….] Sempre lo stesso principio di Stato sociale eleva i membri di una società allo status di cittadini: vale a dire, che li rende stakeholders, oltre che stockholders – beneficiari, ma anche attori responsabili per la creazione e la ripartizione adeguata dei benefici. I cittadini sono così mossi da uno spiccato interesse per la loro proprietà comune e resi responsabili all’interno della rete di istituzioni pubbliche sulla quale possono fare affidamento per assicurarsi solidità e fiducia nella “politica dell’assicurazione collettiva […]”. La libertà di scelta ha in sé un implicito rischio di fallimento, più o meno prevedibile, che moltissimi individui troveranno insopportabile, temendo che questo superi la loro personale abilità nel fronteggiarlo[...] Se la libertà di scelta fosse concessa sul piano teorico ma irraggiungibile in pratica, la sofferenza causata dalla disperazione sarebbe certamente superata dall’umiliazione di essere impotenti; le capacità, quotidianamente messe alla prova, di affrontare le sfide della vita sono dopotutto il vero banco di prova su cui si misurano la fiducia che gli individui hanno in loro stessi e la loro autostima. Da uno Stato che non è, e rifiuta di essere, uno Stato sociale, non ci si deve aspettare alcun soccorso all’indolenza o all’impotenza individuali. Senza diritti sociali per tutti, un gran numero di persone, destinato in tutta probabilità ad aumentare, troverà di scarsa utilità e dunque non meritevoli di attenzione, i propri diritti politici. Se i diritti politici sono stati necessari affinchè i diritti sociali potessero affermarsi, questi ultimi sono indispensabili per rendere “reali” e mantenere operativi i diritti politici. Le due categorie di diritti hanno bisogno l’una dell’altra per garantire la reciproca sopravvivenza, che può essere raggiunta solo come conquista comune. [….]”. Attualmente, noi (principalmente “noi” dei paesi “sviluppati”, ma sotto la pressione dei mercati globali, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale
  • 15. il fenomeno interessa tutto il mondo) abbiamo imboccato la strada opposta allo Stato sociale: le dimensioni collettive - società e comunità, reali o anche solo immaginate – sono sempre più assenti. L’autonomia individuale sta espandendo velocemente il suo raggio d’azione, sotto il quale ricadono responsabilità sempre nuove, che un tempo erano sotto il dominio dello Sato e che ora sono state cedute (“sussidiarizzate”) alla cura individuale. Lasciati sempre più in balia delle proprie risorse e iniziative, le persone devono inventare soluzioni individuali a problemi che hanno avuto origine nella società nel suo complesso, devono far ciò in completa solitudine, potendo contare soltanto sulle proprie capacità e sui propri beni. Tale prospettiva pone gli individui in reciproca competizione e fa apparire la solidarietà sociale (ad eccezione delle allenaze temporanee in nome di una comune convenienza, vale a dire di legami umani che si allacciano e si slacciano su domanda e che non comportano vincoli a lungo termine) largamente irrilevante, se non addirittura controproducente. Questa assegnazione delle parti (se non viene riequilibrata da un deciso intervento istituzionale) rende ineluttabile la differenziazione e la polarizzazione degli individui, perché rende autoesplosivo e autoaccelerato il processo di polarizzazione delle prospettive e delle opportunità […] «Deregolamentazione» è diventata rapidamente una parola sporca, mentre le parole sporche di ieri – come spesa pubblica, azienda di Stato, regolamentazione obbligatoria, nazionalizzazione – sono state ripulite in tutta fretta della sporcizia accumulata in trent’anni di cosiddetta emancipazione. Per il momento nessuno è in grado di dire quali effetti produrrà questa sorprendente svolta, ma attualmente il pendolo sta oscillando nella direzione opposta alla logica della deregolamentazione. Come sappiamo, nel corso di ogni oscillazione l’energia cinetica che consente il movimento del pendolo, tende a diminuire, mentre l’energia potenziale aumenta. La legge è universalmente applicabile a tutti i pendoli, anche per quello che oscilla tra regolamentazione e deregolamentazione o tra sicurezza e libertà.” Z.Bauman intervista pubblicata da “Micromega” Luglio 2009 L’amen (così sia) finale lo affidiamo alle quattro virtù cardinali che la tradizione ci consegna permettendoci di accompagnarle a semplici aggettivi. In tempi di nichilismo individualista per chi si inoltra in questo percorso è buona cosa armarsi delle virtù cardinali, poiché in fin dei conti sono le persone che incarnano le visioni i desideri e le idee e a queste danno forma. Il percorso è lungo e chi lo auspica forse non lo vedrà, ma questo non può far perdere intensità e contingenza al discorso. La tradizione
  • 16. ci consegna queste quattro virtù che qui riproponiamo come bussola interiore, perché rendano solido e costante il nostro viaggio. La vulnerabile fortezza,la simpatica temperanza,la coraggiosa prudenza,la compassionevole giustizia. A loro affidiamo la nostra speranza.