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Libro di Falabella:
       CAPITOLO I : CRITERI GENERALI PER ORIENTARSI NELLA DIAGNOSI
I disturbi possono essere classificati attraverso due modalità.
PER ASSI SECONDO IL DSM IV                         PSICOLOGIA TRADIZIONALE CHE
                                               DISTINGUE TRA DITURBI COLLOCABILI
                                                               IN TRE AREE:
                                              • AREA NEVROTICA
                                              • AREA PSICOTICA
                                              • BORDER LINE


                       CLASSIFICAZIONE PER ASSI SECONDO IL DSM IV
Il sistema multiassiale è utile per la valutazione non solo dei vari disturbi della mente e delle
condizioni mediche generali, ma anche per comprendere i problemi di adattamento ambientale e di
funzionamento psicosociale.
Gli assi sono cinque e sono così ripartiti.
• Asse I: descrive i vari disturbi cinici e le diverse situazioni patologiche degne di un eventuale
esame clinico.
• Asse Il: tratta specificatamente i disturbi di personalità e ciò che concerne il ritardo mentale.
• Asse III: offre i criteri per individuare le condizioni mediche generali.
•Asse IV: elenca i problemi relativi al contesto sociale e ambientale che possono contribuire alla
diagnosi, prognosi e cura dei disturbi mentali (Asse I e Asse Il).
• Asse V: riguarda la valutazione globale del funzionamento che è essenziale per stabilire un piano
di intervento e prevederne i risultati.
Da questo quadro emerge una visione olistica dell’uomo inteso come unità bio-psico-sociale.
Dagli assi si ricavano spaccati dei vari settori della realtà umana che permettono non solo una
visione particolare dei singoli campi di informazione, ma anche indicazioni per l’inquadramento
globale del disagio.


  CLASSIFICAZIONE CHE SEGUE LA METODICA PSICOLOGICA TRADIZIONALE:
I criteri per orientarsi nella diagnosi sono i seguenti.
a. Funzionamento dell’Io.
b. Relazione con la realtà.
c. Stili difensivi.
d. Aree di funzionamento globale della persona.

                                                                                                      1
FUNZIONAMENTO                   RELAZIONE CON           STILI DIFENSIVI                 AREE DI
        DELL’IO.                     LA REALTÀ                                     FUNZIONAMENTO
                                                                                   GLOBALE DELLA
                                                                                        PERSONA.
Un Io funzionante è in La relazione con la              Gli stili difensivi        Un modo per
grado di svolgere le              realtà è una          esprimono il livello di    conoscere il livello di
seguenti funzioni di base:        conseguenza del       gravità della              strutturazione dell’Io
- mediare efficacemente           funzionamento         patologia, il livello di   e la conseguente
tra le istanze interne;           dell’Io. Perciò       strutturazione e di        relazione con la realtà
- mediare tra le istanze l’alterata relazione           integrazione dell’Io.      consiste
interne e la realtà e quindi con la realtà è indice     Sono evoluti nel           nell’individuare la
stabilire un collegamento di un Io                      nevrotico, primitivi       aree di
con l’esterno;                    disfunzionante.       nello psicotico,           funzionamento
- favorire l’esame di                                   evoluti e primitivi        globale della persona,
  realtà;                                               (solitamente con           che riguardano, per
- rimandare un’immagine                                 prevalenza di questi       esempio, l’area
  congruente di sé.                                     ultimi) negli stati        affettiva, l’area
Perciò l’Io è responsabile                              limite.                    professionale, la cura
di diversi compiti come                                                            di sé, ecc. A questo
l’orientamento spazio-                                                             proposito il DSM-IV
temporale, il giudizio, la                                                         propone una scala
canalizzazione delle                                                               per la valutazione del
pulsioni, la tolleranza                                                            funzionamento
delle       frustrazioni,    la                                                    globale della persona
percezione della gravità                                                           presente nell’Asse V e
del     sintomo        e     la                                                    una scala di
percezione in generale                                                             funzionamento
                                                                                   sociolavorativo.


Inizialmente si inquadra il livello di gravità della situazione nei vari ambiti: nevrotico, psicotico e
stato limite. Attraverso l’»intervista strutturale» di Kernberg si riesce a diagnosticare uno stato
nevrotico, psicotico o borderline (la patologia borderline è uno stato limite) già dal primo colloquio.
Tale procedimento lo si definisce «intervista strutturale» in quanto permette di definire le prime
informazioni sul livello di strutturazione dell’Io e la relazione con la realtà.


                                                                                                          2
Vengono utilizzate tre tecniche
LA CHIARIFICAZIONE                 LA CONFRONTAZIONE                   L’INTERPRETAZIONE.
si domanda all’utente di           si chiede all’utente di mettere     Infine, attraverso
chiarire quanto espresso.          a confronto affermazioni            l’interpretazione, si scende al
                                   appena fatte che                    livello dl maggiore profondità
                                   sembrerebbero essere In             e si evidenziano aspetti non
                                   contraddizione.                     consapevoli per il soggetto


IL NEVROTICO                       LO PSICOTICO                        IL BORDERLINE
Il nevrotico riesce ad             Lo psicotico mostra serie           Il borderline riesce a
affrontare le tecniche della       difficoltà nel sostenere tutte e    sostenere la chiarificazione e
chiarificazione,                   tre le tecniche.                    talvolta la confrontazione
confrontazione e
interpretazione.


                                        AREA NEVROTICA
potrebbero essere espressione di uno stato nevrotico i seguenti disturbi:
• disturbi dell’Asse I (disturbo di panico senza agorafobia , d. di panico con agorafobia, agorafobia
senza anamnesi di d. di panico, fobia specifica, fobia sociale, d. compulsivo, disturbo post-
traumatico da stress, d. acuto da stress, disturbo d’ansia generalizzata).
• Disturbi somatoformi dell’Asse I (disturbo di somatizzazione, disturbo somatoforme
indifferenziato, disturbo algico, ipocondria e talvolta il disturbo di dismorfismo corporeo).
• Disturbo istrionico di personalità dell’Asse Il.
• Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità dell’Asse Il.


Attraverso la sintomatologia il soggetto trova un soddisfacimènto parziale e indiretto della pulsione.
L’esame di realtà e il funzionamento dell’Io sono prevalentemente conservati.
Si nota uno stato di sofferenza cosciente.
L’Io ha un buon livello di integrazione ed è in grado di svolgere bene le sue funzioni. Infatti è un
buon mediatore con la realtà e riesce a rimandare alla persona un’immagine congruente di se stessa.
Perciò la persona è consapevole dei suoi disturbi. Infatti l’Io riconosce il disturbo e ne chiarisce
l’inaccettabilità.
L’Io rimanda una immagine del Sé sofferente e permette all’individuo di entrare in contatto con
i suoi aspetti più profondi.

                                                                                                         3
STILI DIFENSIVI MAGGIORMENTE UTILIZZATI
RIMOZIONE                                               FORMAZIONE REATTIVA


Freud definisce la rimozione come la regina di          Nella formazione reattiva, invece, si sviluppa un
tutte le difese. In effetti essa è la difesa primaria comportamento opposto a quello inibito.
dell’Io che scarica nell’oscuro magazzino Per esempio, il controllare compulsivamente il
dell’inconscio (sfera psichica separata dalla gas potrebbe esprimere un bisogno di tenere a
coscienza) tutto ciò che non è accolto dalla freno un’aggressività esplosiva. Anche il pulire
soglia percettiva. Essa consiste nel processo per eccessivamente può mascherare la traduzione
cui un impulso o idea lnaccettabi1i per opposta dell’agito di pulsioni percepite come
l’individuo vengono resi inconsci.                      «sporche». Un madre di quattro figli mostrava
La rimozione ha lo scopo di evitare o alleggerire un         iperprotezionismo     morboso     solo   nel
i conflitti emotivi attraverso l’allontanamento confronti dell’ultimo nato.
dalla coscienza delle pulsioni (sotto forma di Dall’anamnesi risultò che l’ultimo figlio era
desideri,       sentimenti,       pensieri,    ricordi) stato l’unico a non essere desiderato e che
fantasticate come minacciose e dolorose. Si mentre la donna lo aspettava era tentata di
tratta della difesa primaria dell’Io che sta abortire.
all’origine dell’inconscio come dimensione
psichica separata dalla coscienza.
Tale meccanismo è alla base di tutti gli altri che
vengono agiti quando la rimozione fallisce.
L’lo Infatti chiarisce l’inaccettabilità delle
pulsioni sfuggite alla rimozione spiegando altri
meccanismi difensivi.
NEGAZIONE                                               ANNULLAMENTO
E’ un «processo per cui una percezione o un È caratteristico del pensiero magico nel quale
pensiero è ammesso alla coscienza in forma un’azione                 simbolica   sostituisce   un’azione
negativa» . La negazione si verifica quando il inaccettabile           già   portata   a   termine,   per
soggetto, pur esprimendo un pensiero, E’ cancellarne il pensiero o ricordo.
caratteristico del pensiero magico nel quale In questo processo il soggetto cerca così di
un’azione       simbolica     sostituisce     un’azione cancellare simbolicamente ciò che ha già
inaccettabile     già   portata     a   termine,   per espresso in pensieri, parole o gesti, investiti da
cancellarne il pensiero o ricordo. Desiderio o pulsioni rimosse attraverso pensieri, parole o
sentimento, fino ad allora rimosso, rifiuta il fatto gesti che hanno un significato opposto. Per


                                                                                                        4
che questo gli appartenga. Per esempio un esempio una suora, condotta al pronto soccorso
soggetto potrebbe esclamare davanti a uno psichiatrico dalle consorelle, si spogliava e si
stimolo ambiguo, proiettivo, come la macchia rivestiva continuamente, saliva e scendeva le
riportata nella IV tavola del test di Rorschach, scale, diceva un parolaccia e un’Ave Maria,
«questo potrebbe essere un orco, ma non riesco apparecchiava e sparecchiava la tavola senza
a vederlo», oppure potrebbe dire «non è che sia sosta.
cattivo». Mediante la rimozione, infatti, il
soggetto rifiuta aspetti della realtà vissuti in
modo spiacevole negandone l’esistenza.
Secondo Freud la negazione è un’affermazione.
Infatti negando si afferma implicitamente ciò
che si nega.
RAZIONALIZZAZIONE
Infine nella razionalizzazione il soggetto cerca
di giustificare, di dare spiegazioni coerenti dal
punto di vista logico ad azioni, idee, sentimenti
che esprimono pulsioni che inconsciamente
sono fonte di conflitto. Per esempio un paziente
potrebbe       esprimere     una   resistenza       al
cambiamento, dichiarando di dover rinunciare
ad alcune sedute terapeutiche o di essere giunto
in ritardo per ragioni lavorative, familiari o di
traffico, ma comunque indipendenti dalla sua
volontà.


                                         AREA PSICOTICA
Nell’area psicotica potrebbero rientrare i seguenti disturbi:
• Schizofrenia
• Disturbo schizofreniforme
• Disturbo schizoaffettivo
• Disturbo delirante
• Disturbo psicotico breve
• Disturbo paranoide di personalità. Tali disturbi appartengono all’Asse I.



                                                                                           5
In questa dimensione si verifica un ripiegamento all’interno con la conseguente caduta di
relazione con la realtà.
Si assiste a fenomeni di derealizzazione (per esempio difficoltà di contatto con una realtà che
appare più fluida, fumosa, meno concreta) e di depersonalizzazione (per esempio non sapere chi si
è, chi comanda i propri movimenti o sentirsi distaccati da se stessi). Perciò a volte gli oggetti
sembrano sfaldarsi e l’utente può riferire di sentirsi inconsistente ed etereo.
La derealizzazione o la depersonalizzazione possono essere presenti anche in ambito nevrotico negli
attacchi di panico e nel disturbo acuto da stress.
Il soggetto può mostrare problemi di orientamento spazio- temporale. Le funzioni principali
della persona sono cadute.
Le Funzioni dell’Io sono disgregate. Le risorse interne sono difficili da trovare.
Sono evidenti gravi problemi relazionali. In genere si presentano storie di persone che non
riescono più a portare avanti i propri impegni e vivono un ritiro sociale. Lo psicotico può arrivare a
non riconoscere l’identità propria e degli altri. Manca, infatti, il senso di continuità del Sé.
Poiché vacilla la funzione dell’Io di giudice e ponte con la realtà, la persona non è consapevole dei
propri disturbi. L’Io appare, Infatti, disfunzionante nel chiarire l’inaccettabilità del disturbo. Non si
è più in presenza di uno stato di conflitto come nella nevrosi, ma di una forte angoscia che ha rotto
gli argini.
Grazie al meccanismo difensivo della scissione l’utente tenta di coprire l’angoscia ma spesso
non ci riesce.
Naturalmente gli stili difensivi utilizzati in modo massiccio esprimono l’immaturità, la
frammentazione, la disintegrazione dell’Io e consistono principalmente nella scissione e nella
proiezione.
In sintesi le persone che utilizzano massicciamente tale stile difensivo tendono a separare gli aspetti
negativi e positivi della realtà, che quindi appare sempre scissa e mai integrata. Queste persone
potrebbero dividere gli altri in gruppi di buoni o di cattivi, oscillare tra idealizzazione e disprezzo e
avere una visione bicromatica del mondo (tutto bianco o tutto nero). In questa visione non sono
presenti le sfumature e le vie di mezzo, ma tutta la realtà viene percepita e concettualizzata in
termini assoluti. La separazione del buono e del cattivo, del bello e del brutto ha
lo scopo di proteggere gli aspetti positivi del Sé da quelli negativi e di evitare il conflitto che deriva
dall’ambiguità della percezione integrata di se stessi e del mondo.
Infine il termine proiezione deriva da proicere ossia «gettare in avanti». Infatti il soggetto
esterna e sposta dall’interno all’esterno i propri contenuti mentali. Per esempio quando una persona
avverte uno stato emotivo di tristezza potrebbe percepire lo stesso stato d’animo negli altri, anche se


                                                                                                        6
ciò non corrisponde alla realtà. Questi stili difensivi sono presenti in ogni essere umano e quindi
anche in ambito nevrotico. Nella dimensione psicotica, però, essi sono un mezzo privilegiato di
sopravvivenza psichica e sono utilizzati eccessivamente tanto da sterilizzare l’Io.
Gli psicotici possono presentare modalità incongrue (per esempio ridere a un funerale), ma tali
atteggiamenti possono, talvolta, anche essere una difesa nevrotica.


                                 STATI LIMITE O DI CONFINE
Inizialmente con il termine borderline si indicavano quei disturbi che si trovano al confine tra la
dimensione nevrotica e quella psicotica. Diverse classificazioni di disturbi sono stati collocati
nell’area borderline a seconda degli autori. Perciò il termine borderline ha assunto differenti
significati a seconda delle categorizzazioni formulate da diversi studiosi.
Attualmente esiste il disturbo borderline di personalità come una specifica patologia descritta nel
DSM-IV nel capitolo sui disturbi di personalità. Non è ancora chiaro quali disturbi rientrino in
questa area limite.




                                                                                                 7
CAPITOLO II
  APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI GENERALI E CARATTERI DI INTERVENTO


TAPPE PER UN BUON APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO
1. TEMPO Un’informazione sempre importante da porre per ogni disturbo psichico consiste nello
specificare da quanto tempo è presente la sintomatologia descritta. Questo è un indice diagnostico
determinante per individuare il tipo di disturbo e il suo livello di gravità. Inoltre acquisire questo
dato dà la possibilità di sapere in quale periodo della vita del soggetto è insorta la sintomatologia.
2. CIRCOSTANZE Un aspetto interessante riguarda le circostanze di insorgenza del sintomo.
Queste circostanze, da molti psicologi definite «iàttori scatenanti», sono in genere simbolicamente
collegate con il disagio profondo e quindi possono essere una chiave di comprensione di esso. Per
esempio, se il fattore scatenante è stato l’abbandono della persona amata, questo potrebbe indicare
delle problematiche legate alla simbiosi e quindi a un mancato completamento del processo di
separazione-individuazione.
3. ALTRI SINTOMI È importante sapere anche se si sono manifestati altri indici di malessere
psichico prima dell’esordio della patologia, per meglio chiarire il quadro evolutivo del disagio e
dello sviluppo della personalità in esame.
4. TERAPIE PREGRESSE Appare utile conoscere se ci sono stati precedenti percorsi terapeutici.
Questo tipo di informazione potrebbe indicare diversi aspetti: come la persona finora ha tentato di
fronteggiare il disagio, quali soluzioni tentate non hanno funzionato, quali eventuali aspettative
sono rimaste deluse o bisogni frustrati in precedenti contesti terapeutici e quali effetti hanno avuto
sull’evoluzione psichica del paziente i precedenti interventi. Inoltre è importante notare che, nel
caso in cui i trattamenti terapeutici siano stati numerosi, potrebbe manifestarsi una difficoltà a
mantenere un impegno stabile e/o una resistenza al cambiamento.
5. STRATEGIE PERSONALI DEL PAZIENTE È necessario conoscere le strategie finora
utilizzate dalla persona per rispondere al disagio psichico evidenziando quali sono funzionali e
quindi da sviluppare e quali, invece, disfunzionali e perciò da disinnescare in quanto alimentano il
malessere.
6. CONTESTO RELAZIONALE È importantissimo esplorare il contesto relazionale dell’utente,
sia per comprendere meglio i fattori responsabili dello sviluppo del disturbo e sia per individuare
eventuali risorse esterne (per esempio membri della famiglia) con cui allearsi per un intervento
terapeutico.
7. ANALISI DELLA DOMANDA Un aspetto essenziale riguarda l’analisi della domanda. In
questa analisi si cerca di individuare quale reale domanda l’utente sta formulando e se può


                                                                                                         8
coincidere o no con quella espressa verbalmente. Quindi è importante cogliere le aspettative, i
bisogni, il livello e il tipo di motivazione al colloquio presenti nella domanda posta. Il tipo di
domanda determina la comprensione del disturbo, la possibile prognosi ed è alla base degli obiettivi
e del percorso terapeutico scelti.
A questo proposito è importante sapere se la persona viene accompagnata, o si è presentata
autonomamente al colloquio, se è stata indotta da qualcuno e da chi. Conoscere questo aspetto è
utile per esplorare le aspettative, il tipo di motivazione verso il colloquio, il modo in cui la persona
pone il problema e il grado di autonomia.
8. PERCHE’ CHIEDE AIUTO IN QUESTO MOMENTO È utile sapere, inoltre, come mai
l’utente stia esprimendo una richiesta d’aiuto proprio ora (forse vi è un’acutizzazione del sintomo,
stanno crollando le precedenti difese, vi sono ulteriori «fattori scatenanti», è un momento di crescita
della persona, di passaggio verso una nuova fase della vita, ecc.). Altre informazioni importanti
sono relative ai vantaggi secondari della sintomatologia che contribuiscono a rafforzarla e a
mantenerla.
9. FORMULAZIONE INTERVENTO E METODO Basilare è la formulazione di un piano di
intervento che specifichi il metodo e gli obiettivi.
Per metodo si intende la scelta del tipo di psicoterapia (per esempio cognitivo-comportamentale,
psicodinamica, sistemica) e come va-condotta (per esempio con quale frequenza).




                                                                                                      9
CAPITOLO III : DISTURBI D’ANSIA
I DISTURBI DI ANSIA ANALIZZATI SONO
1. Attacco di panico
2. Disturbo di panico senza agorafobia
3. Disturbo di panico con agorafobia
4. Agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico
5. Fobia specifica,
6. Fobia sociale
7. Disturbo ossessivo-compulsivo
8. Disturbo post-traumatico da stress
9. Disturbo acuto da stress
10. Disturbo d’ansia generalizzato.
Ognuno di questi disturbi rientra, in modo più o meno grave, nella dimensione nevrotica.
L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborano. È una
forma di paura, un campanello d’allarme lanciato dall’Io che avverte un pericolo che va individuato.
E' una emozione di allarme/paura, collegata a pensieri di anticipazione di un pericolo, e che
comporta una significativa attivazione di diversi organi e apparati (cuore, vasi, sistema respiratorio,
sistema endocrino, sistema nervoso centrale e periferico).
Il complesso di questi fenomeni viene spiegato dalla reazione al pericolo e, dunque,
dall'attivazione di un meccanismo noto come attacco-fuga.
In questi disturbi in genere le aree di funzionamento generale della persona sono
prevalentemente conservate o compro- messe in modo circoscritto. L’Io continua a svolgere le
sue funzioni anche se con disagio e difficoltà. Il rapporto con la realtà appare quindi mantenuto.
Per tutti i disturbi d’ansia può essere applicata una terapia espressiva, visto il buon contatto
con la realtà presente nei soggetti. Tre approcci terapeutici sono largamente utilizzati per il
trattamento di questi disturbi: comportamentale, cognitivo-comportamentale, psicodinamico e
talvolta sistemico.




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ATTACCO DI PANICO
CRITERI DIAGNOSTICI
Il DSM-IV circoscrive l’attacco di panico a un:
Breve periodo preciso in cui l’individuo viene improvvisamente travolto da uno stato di
terrore, spesso legato all’urgenza di fuggire di fronte a eventi ritenuti catastrofici e incombenti.
I sintomi, descritti nel DSM-IV raggiungono il picco in dieci minuti e sono almeno quattro fra i
seguenti:
• Palpitazioni
• Sudorazione
• Tremori
• Dispnea
• Dolore o fastidio al petto
• Nausea o disturbi addominali
• Sensazione di sbandamento
• Instabilità
• Svenimento
• Testa leggera
• Derealizzazione (senso di irrealtà)
• Depersonalizzazione (essere staccati da se stessi)
• Paura di perdere il controllo o di impazzire
• Paura di morire
• Parestesie
• Sensazioni di torpore o formicolio
• Brividi
• Vampate di calore
• Vertigini.
Non si tratta di un disturbo codificabile e quindi bisogna individuare la diagnosi specifica
nell’ambito della quale si manifesta l’attacco di panico, come per esempio disturbo di panico con
agorafobia.
Nella storia delle persone che soffrono di questo disturbo spesso sono presenti eventi
stressanti, o la separazione da figure significative prima dell’insorgenza dell’attacco di panico.
Secondo una lettura psicodinamica il soggetto non riesce nei momenti di difficoltà a fare appello a
un’immagine interna positiva per contenere l’ansia, perché in lui è scarsamente sviluppata la
costanza dell’oggetto.


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La sintomatologia è soprattutto organica e assomiglia a quanto si prova nelle prime fasi di un
infarto. Talvolta l’utente viene condotto al pronto soccorso in quanto il suo disturbo viene
equivocamente interpretato come un malessere di carattere cardiologico. Si presentano, infatti,
problemi al livello del miocardio, coronarici, sbalzi di pressione, capogiri, senso di morte
imminente, annebbiamento della vista. L’utente può svenire, non sapere più chi è. Si verifica un
travaso improvviso di ansia che la persona non riesce a contenere. Tutto ciò provoca l’impressione
di morire, di disintegrarsi e di impazzire. Il disturbo non appartiene a una dimensione psicotica
perché il soggetto, appena ripresosi, ha un buon contatto con la realtà.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Il tipo di conflitto espresso attraverso l’attacco di panico è il punto centrale da esplorare.
A questo proposito è utile raccogliere informazioni sulle circostanze di insorgenza del
sintomo. Per esempio, sapere dove si stava recando l’utente o dove si trovava nel momento di
insorgenza del sintomo può offrire indicazioni sulla possibile area di conflitto (per esempio si stava
recando al lavoro, dalla madre, dalla moglie, ecc.). Esemplificativo è il caso di un uomo che, in
procinto di sposarsi, aveva iniziato a soffrire di questo disturbo nella sua auto. Dall’anamnesi si è
riscontrato che gli attacchi insorgevano quando il soggetto si recava dalla madre che disapprovava
il matrimonio. Una donna sentimentalmente sola, invece, subiva gli attacchi di panico, ogni volta
che parlava dell’adolescenza dell’unico figlio, esprimendo forse un’angoscia incontenibile di
separazione.
Poiché gli attacchi di panico spesso si presentano in situazioni di separazione è importante
esplorare le tematiche legate alla dipendenza.
La situazione in cui avviene l’attacco di panico sarà probabilmente quella di cui poi il soggetto avrà
paura. Se vi è una fobia legata a una situazione è importante indagare se si è verificata a seguito di
un attacco di panico in quella circostanza. importante indagare anche sul motivo per cui il soggetto
chiede un colloquio clinico proprio ora (forse stanno fallendo le precedenti difese verso il
conflitto).
A questo proposito è importante operare l’analisi della domanda che l’utente sta formulando
cercando di capire chi lo ha spinto a cercare aiuto. Frequentemente nel caso dell’attacco di
panico l’utente è indotto da un medico, in quanto la sintomatologia è prevalentemente organica,
quindi non è detto che la persona sia motivata a un intervento di tipo psicologico.
IPOTESI DI INTERVENTO
L’attacco di panico, presente in diversi disturbi d’ansia, non è un disturbo codificabile, quindi
l’intervento terapeutico si baserà sulla codificazione della diagnosi specifica nell’ambito della quale
si manifesta l’attacco di panico.

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FARMACI PER L’ATTACCO DI PANICO
L’aspetto centrale nel trattamento (farmacologico, ndr) del Disturbo di Panico è il blocco
farmacologico degli attacchi di panico spontanei.
Con il trattamento farmacologico un’alta percentuale di pazienti presenta un miglioramento dei
sintomi a volte “clamoroso”, ma è altrettanto importante che la persona che soffre di panico
comprenda che il farmaco blocca gli attacchi di panico, ma NON riduce necessariamente il livello
della cosiddetta “ansia anticipatoria”: in poche parole, sebbene gli attacchi di panico possano
essere diminuiti o anche spariti per mezzo di una adeguata terapia farmacologica, nondimeno può
persistere una preoccupazione eccessiva che il panico si ripresenti in determinate situazioni. (Vedi
Terapia ansia e panico).
Nello sviluppo di una terapia efficace a contrastare la sintomatologia di questo disturbo è stato
riscontrato che molti dei farmaci originariamente utilizzati nella terapia della depressione erano
altrettanto efficaci nel trattamento del Disturbo di Panico, in particolare gli SSRI.
La loro documentata efficacia e il profilo di sicurezza hanno fatto in modo che essi rappresentino
attualmente il trattamento di prima scelta per questa problematica.
Ciascuno    degli   SSRI    (fluoxetina,    paroxetina,    sertralina,    fluvoxamina,     citalopram,
escitalopram) richiede in media un tempo dalle 3 alle 8 settimane di somministrazione prima di
fornire una risposta terapeutica al Disturbo di Panico, ed inoltre tutte queste sostanze sembrano
avere all’incirca la medesima efficacia.
I pazienti con Disturbo di Panico tendono ad essere più sensibili alla somministrazione degli SSRI
di quanto non lo siano i pazienti depressi, potendo infatti sviluppare nervosismo o un transitorio
peggioramento del panico all’inizio del trattamento. Infatti, fino al 40% dei pazienti affetti da DAP
accusa questa “sindrome di attivazione” all’inizio della terapia. Per questo motivo è opportuno
iniziare il trattamento ad un dosaggio inferiore rispetto a quello utilizzato nei pazienti depressi. Nel
corso del trattamento le dosi andranno poi aumentate fino all’ottenimento della remissione
sintomatologia.
Gli effetti collaterali di questi farmaci sono generalmente: nausea, diarrea, agitazione, secchezza
delle fauci, visione offuscata, vertigini, disfunzione sessuale (maschile e femminile) e sonnolenza.
Tali effetti sono sovente transitori e, nella maggior parte dei casi, perdurano per pochi giorni. Ciò è
dovuto alla necessità di adattamento del proprio corpo alla nuova condizione indotta dall’utilizzo
del farmaco.
Gli effetti sulla funzione sessuale (che possono perdurare, in alcuni soggetti, per tutto il tempo del
trattamento farmacologico) sono da prendere accuratamente in considerazione, se si verificano,
perché comportano un peggioramento della qualità di vita. In questo caso vanno sempre bilanciati i


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“costi/benefici” del trattamento essendoci la possibilità di usufruire di numerosi farmaci.
Buona prassi è quella di associare, almeno nel primo mese o mese e mezzo del trattamento, una
benzodiazepina (BDZ) prevalentemente l’alprazolam. Questa modalità di somministrazione è
sostenuta da due buone motivazioni: la prima è che consente un rapido sollievo al paziente fino a
quando l’SSRI non ha esercitato completamente la sua efficacia, la seconda è che “copre” gli
eventuali effetti collaterali transitori degli SSRI durante il primo periodo di trattamento (soprattutto
la cosiddetta “sindrome di attivazione”).
L’alprazolam è una benzodiazepina che si è rivelata estremamente efficace nel Disturbo di Panico
e necessita di una somministrazione dalle 3 alle 5 volte al giorno.
Le Benzodiazepine possono inoltre essere utili per completare il trattamento dei pazienti o per
trattare il momento acuto del malessere. Spesso vengono anche indicati con il nome di “farmaci da
borsetta” per sottolinearne l’utilizzo estemporaneo durante le crisi.
Alcune problematiche in cui si può incorrere dopo un uso prolungato di questi farmaci sono lo
sviluppo di una progressiva tolleranza (cioè la necessità di utilizzare dosi maggiori del farmaco per
ottenere lo stesso risultato terapeutico) e, alla sospensione del trattamento, una sindrome da
astinenza caratterizzata del possibile ritorno dell’ansia.
Sebbene gli SSRI siano i farmaci considerati di prima scelta nel trattamento del DAP e siano
formalmente approvati per tale uso, anche altri “nuovi” antidepressivi, con diverso meccanismo
d’azione, possono dimostrarsi efficaci a tale scopo. Tra questi troviamo principalmente la
venlafaxina (SNRI) e la mirtazapina (NaSSA). Sono farmaci che vanno considerati come
interventi di seconda scelta nel trattamento del Disturbo di Panico.
L’ultima classe farmacologica da considerare per la terapia del DAP è quella degli antidepressivi
triciclici, all’interno della quale si sono rivelate particolarmente efficaci la clomipramina e
l’imipramina.
Questi farmaci hanno pochi o nessun vantaggio nei confronti degli SSRI nel trattamento di questa
condizione sebbene occasionalmente vi siano pazienti che rispondono meglio a un triciclico rispetto
agli SSRI. La condizione che ne fa farmaci di seconda scelta è la presenza di maggiori effetti
collaterali tra cui stipsi, visione offuscata, xerostomia (secchezza delle fauci), ipotensione, vertigini,
aumento del peso corporeo e sonnolenza.
Anche in questo caso spesso gli effetti collaterali sono nella maggioranza dei casi transitori. Il
problema più importante che riguarda questi farmaci, invece, è la loro incidenza sul sistema cardio-
circolatorio che, in alcuni casi, ne sconsiglia l’utilizzo in soggetti affetti da patologie cardiache.
La durata del trattamento, affinché si raggiunga un adeguato controllo della terapia, non dovrebbe
essere inferiore a 6-8 mesi, seguita da una sospensione graduale del farmaco.


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In caso di una brusca sospensione della terapia farmacologica si può andare incontro a quella che è
definita “sindrome da sospensione di antidepressivi”, caratterizzata da vertigini, ansia e agitazione,
insonnia, abbassamento del tono dell’umore, cambiamenti dell’umore, nausea e altri sintomi
gastrointestinali. Raramente comunque questi sintomi perdurano per più di un paio di settimane. Se
dovessero prolungarsi è opportuno riprendere il trattamento e poi ridurlo gradualmente onde evitare
questa condizione.


DISTURBO DI PANICO SENZA AGORAFOBIA
CRITERI DIAGNOSTICI
Il disturbo è caratterizzato da frequenti attacchi di panico, che appaiono all’improvviso, e dalla
continua preoccupazione della minaccia del loro ritorno.
Questo disturbo non va confuso con fobia sociale, fobia specifica, disturbo ossessivo compulsivo,
disturbo post-traumatico da stress, disturbo d’ansia di separazione
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Naturalmente le informazioni utili da raccogliere per il disturbo di panico senza agorafobia sono
simili a quelle per l’attacco di panico. In particolare è utile conoscere la frequenza degli attacchi e
da quanto tempo si presentano, se vi sono circostanze di insorgenza comuni tra i vari attacchi, la
situazione e il periodo in cui si è verificato in particolare il primo attacco. Per accertare la gravità
del disturbo è opportuno controllare un’eventuale compromissione delle aree di funzionalità della
persona.
IPOTESI DI INTERVENTO TERAPEUTICO
In questo disturbo si può applicare una terapia prevalentemente espressiva a orientamento
psicodinamico, in quanto la persona ha conservato l’esame di realtà (tranne che nel momento
dell’attacco acuto) ed è quindi in grado di stabilire un transfert e lavorare con le interpretazioni
transferali e controtransferali. L’utente dovrebbe essere in grado di sviluppare un processo di
consapevolizzazione e di riflessione sul proprio stato di sofferenza psichica.
L’obiettivo è quello di evidenziare e rielaborare i termini del conflitto espresso dalla
sintomatologia. Inoltre è essenziale favorire, attraverso il transfert, l’interiorizzazione di un oggetto
buono, costante, con elevata capacità contenitiva, a cui fare appello nei momenti di difficoltà.
Anche elementi supportivi possono essere utili per il rafforzamento e il contenimento interno.
Appare fondamentale promuovere il processo di separazione- individuazione




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AGORAFOBIA
CRITERI DIAGNOSTICI
Come per l’attacco di panico l’agorafobia non è un disturbo codificabile e quindi va precisato il
disturbo specifico in cui si manifesta: disturbo di panico con agorafobia, agorafobia senza
anamnesi di disturbo di panico.
Il soggetto prova una forte ansia quando si trova in situazioni dalle quali gli sembra difficile o
imbarazzante allontanarsi e teme di non poter ricevere aiuto se viene colto da un attacco di
panico. L’attacco temuto si manifesta soprattutto quando la persona è sola e lontana dai suoi punti
di riferimento come la casa. Si registrano esempi di persone in preda a tale attacco in luoghi
affollati (per esempio lunghe code) o in mezzi di trasporto (per esempio treni, autobus, auto).
La persona per evitare l’evento temuto cerca di limitare al massimo gli spostamenti e quando
è costretta a uscire si fa accompagnare da qualcuno.
Inoltre i soggetti riferiscono spesso di sentirsi come sospesi senza il terreno sotto i piedi, di
avvertire il baricentro spostato, di provare smarrimento, di non saper dove andare e di provare una
sensazione di mancanza d’aria.
Secondo la concezione psicodinamica l’utente è molto dipendente e soffre di angoscia
abbandonica.
Ha un’aggressività rimossa molto forte. Lo spazio esterno e la folla simboleggiano la caduta
dei confini interni. L’agorafobia si può presentare in presenza o meno dell’attacco di panico, può
essere reattiva all’attacco di panico oppure, nel caso di agorafobia senza anamnesi da attacco di
panico l’utente vive nell’angoscia che l’attacco possa giungere. Il soggetto non esce da solo ma si
fa accompagnare o delega.
Dismette funzioni essenziali legate all’autonomia e così entra in uno stato di dipendenza. Si
può trattare di una persona estremamente aggressiva che lotta tra il bisogno di dipendenza e di
indipendenza, accusa molto gli altri dei suoi limiti, della sua incapacità di autonomia.
Agorafobia e claustrofobia fanno parte di un unicum, di una stessa dimensione. Vi sono
aspetti agorafobici nel claustrofobo e viceversa. Bisogna individuare quale aspetto prevale.
L’agorafobico quindi ha anche spunti clausfrobici: infatti egli soffre se si trova tra la folla al chiuso
e riferisce di provare malessere nei posti dove si sente ingabbiato senza possibilità di fuga. Bisogna
osservare la predominanza del sintomo. Se l’ansia prevale negli spazi aperti il disturbo può essere
definito come agorafobia, anche se può avere implicanze clausfrobiche. Se, invece, i sintomi che
prevalgono riguardano la paura degli spazi chiusi si tratta di claustrofobia. Mentre l’agorafobico
generalmente riesce ad affrontare gli spazi aperti se accompagnato, il claustrofobico non si farebbe
mai chiudere in ascensore (rappresentazione, a seconda delle interpretazioni, della tomba e/o


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dell’utero materno) neanche con altre persone.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Risulta essenziale esplorare il conflitto tra dipendenza e indipendenza presente
nell’agorafobico. Appare necessario domandarsi quale sia l’altro dominante da cui l’agorafobico
dipende, dal quale ha paura di essere inglobato e dal quale cerca lo svincolo ma anche la vicinanza.
L’altro dominante è stato sostituito e da chi? Per esempio una donna potrebbe sostituire il padre
perso con il marito. È utile quindi sapere chi è la persona che accompagna l’agorafobico e quali
vantaggi secondari l’utente ottiene dall’essere accompagnato da questa persona (forse vi è il
bisogno di controllarlo?). Dobbiamo anche chiederci quali sono i vantaggi secondari
dell’accompagnatore.
Bisogna porre infatti attenzione al contesto relazionale entro il quale si è sviluppata
l’agorafobia. Per esempio il marito può sentirsi sicuro pensando che la moglie resta in casa.
Se la moglie, invece, riesce a uscire si potrebbe creare una destabilizzazione di coppia.
In genere l’agorafobia si sviluppa in un sistema in cui vi è una persona che ha bisogno di
funzionare come ausiliario (chi accompagna l’agorafobico). Il disturbo potrebbe essere un
modo per avere il controllo di sé e dell’altro e di sadicizzarlo (infatti l’accompagnatore si logora e
si estenua). Spesso la patologia sorge per negare la separazione in seguito a una perdita che
costituisce il fattore scatenante.
Sono presenti infatti problemi legati al processo di differenziazione e autonomia e non di
rado all’elaborazione di un lutto.
Per quanto riguarda l’analisi della domanda è importante sapere se la persona ha richiesto
autonomamente l’intervento di tipo psicologico o è stata «spinta» da un’altra persona (spesso
l’accompagnatore estenuato!). Questo è interessante per comprendere le aspettative e il livello di
motivazione verso un eventuale intervento terapeutico.
IPOTESI DI INTERVENTO
L’intervento terapeutico dipende dalla codifica della diagnosi in cui si manifesta l’agorafobia
(agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico e disturbo di panico con agorafobia).
L’agorafobia si manifesta in ambito nevrotico e quindi il rapporto con la realtà è
prevalentemente conservato, ciò permette di applicare una terapia con enfasi espressiva in
quanto la persona è in grado di lavorare con le interpretazioni e di accedere ad aspetti di profondità,
anche se non completamente consapevoli.
In letteratura sono utilizzati soprattutto tre approcci terapeutici: cognitivo-comportamentale,
sistemico e psicodinamico. Nel primo approccio si tende a sostituire pensieri e risposte
disfunzionali con pensieri e risposte funzionali.


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Nell’approccio sistemico si cerca di modificare l’equilibrio patogeno del nucleo, mantenuto
funzionalmente dal disturbo del «capro espiatorio», rielaborando le tematiche di dipendenza e
favorendo lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema.
Infine, nell’approccio psicodinamico, l’obiettivo consiste nel rielaborare i termini del conflitto
tra dipendenza e indipendenza, superare la simbiosi, favorire lo sviluppo dell’autonomia e
l’eventuale elaborazione del lutto, rafforzare i confini interni e canalizzare l’aggressività


DISTURBO DI PANICO CON AGORAFOBIA
CRITERI DIAGNOSTICI
Il disturbo è caratterizzato sia da frequenti attacchi di panico che da agorafobia.
Molte delle persone che soffrono di attacchi di panico presentano anche sintomi di agorafobia.
Quando l’attacco di panico crea un’insorgenza agorafobica la persona colpita incomincia a
chiedere di essere accompagnata durante le uscite, oppure delega qualcuno a sostituirla nello
svolgimento di varie commissioni. Si verifica di conseguenza una grave menomazione
dell’autonomia del soggetto che risulta invalidato in alcune aree della propria funzionalità.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
E’ utile indagare se l’agorafobia è stata conseguente, e quindi reattiva, all’attacco di panico.
IPOTESI DI INTERVENTO
Come sopra esposto


FOBIA SPECIFICA
CRITERI DIAGNOSTICI
La fobia specifica «è caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata
dall’esposizione a un oggetto o a una situazione temuti, che spesso determina condotte di
evitamento» (DsMiv, p. 435). La persona riconosce l’eccessività e l’irragionevolezza della paura
che comunque non riesce però a controllare.
Secondo una visione psicodinamica ogni fobia ha una componente di repulsione e di
attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto. Quando dei pensieri proibiti sessuali o
aggressivi che potrebbero portare a una ritorsione punitiva minacciano di emergere dall’inconscio,
viene attivato un segnale d’ansia che porta allo spiegamento di tre meccanismi di difesa:
spostamento, proiezione ed evitamento.
Tali difese contengono l’ansia nmuovendo il desiderio proibito. Il prezzo del controllo dell’ansia è
la creazione di una nevrosi fobica.
In sintesi, gli oggetti e le situazioni temuti rappresentano oggetti interni paurosi. La paura

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viene proiettata e spostata sull’oggetto esterno in modo da poterla controllare (infatti in
questo modo diventa circoscritta ed evitabile).
L’evitamento (stile difensivo pnvilegiato) contribuisce all’aumento della paura e quindi del blocco
emotivo verso quel particolare oggetto o situazione.
Illustriamo ora alcuni tipi di fobie descritti dal DSM-IV.
Tipo animali. Il soggetto mostra un’esagerata paura verso uno o più generi di animali. L’esordio
del disturbo avviene nell’infanzia. In genere gli animali simboleggiano la pulsionalità pura senza il
controllo della ragione. Si teme, infatti, il contatto con i propri contenuti emotivi che non si
riescono a gestire correndo il rischio di perderne il controllo.
Tipo ambiente naturale. In questo caso occorre specificare se la paura viene provocata da
elementi dell’ambiente naturale come temporali, altezze, acqua. L’esordio della fobia generalmente
si verifica nell’infanzia, epoca nella quale predomina il pensiero magico.
Tipo sangue-iniezioni-ferite. È necessario specificare se la paura viene scatenata alla vista del
sangue, o delle ferite, o da procedure mediche invasive come l’iniezione. La paura del sangue può
essere legata a contenuti aggressivi inaccettati. La paura delle iniezioni, invece, può essere
collegata a tematiche aggressive e/o a contenuti ipocondriaci.
Tipo situazionale. All’interno di questa categoria possono presentarsi svariati tipi di fobie a
seconda della situazione specifica come il trovarsi nei trasporti pubblici, tunnel, ascensori, ponti,
mezzi volanti, alla guida di vetture o in luoghi chiusi. L’esordio della fobia avviene con un primo
picco nell’infanzia e un altro verso i 25 anni.
Altri tipi. Esistono altri diversi tipi di fobie tra le quali la paura di precipitare quando si è lontano
da mezzi di supporto fisico come i muri. Rumori forti e personaggi in maschera possono provocare
fobie soprattutto nei bambini. Esistono fobie anche verso le situazioni che potrebbero portare a
soffocare, vomitare o sviluppare un malattia.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Chiaramente è opportuno indagare quali sono gli oggetti o situazioni temuti e il loro
significato simbolico nel vissuto del soggetto. È importante esplorare il conflitto espresso
attraverso l’ansia di evitamento di oggetti o situazioni temuti. A questo proposito è significativo
indagare sugli oggetti paurosi interni e su eventuali pulsioni inaccettate.
Per comprendere il disturbo è essenziale conoscere il periodo e le circostanze di insorgenza
del sintomo. È importante sapere quali sono state le modalità che l’utente finora ha messo in atto
per non vivere la fobia, come mai ha richiesto un colloquio psicologico proprio ora e quali sono gli
eventuali vantaggi secondari del disturbo.



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IPOTESI DI INTERVENTO
La persona conserva un buon rapporto con la realtà e funzionamento dell’Io. Infatti il
soggetto è consapevole dell’irragionevolezza ed eccessività del proprio stato ansiogeno verso la
situazione temuta. Perciò può essere indicata una terapia prevalentemente espressiva, in
quanto la persona è in grado di sviluppare un processo di consapevolizzazione e rielaborazione
delle proprie problematiche. Gli interventi largamente utilizzati in letteratura per le fobie seguono
l’approccio cognitivo-comportamentale e quello psicodinamico.
Nell’approccio     cognitivo-comportamentale        le   risposte   comportamentali       ed    emotive
dipendono dal significato che viene attribuito allo stimolo. Secondo l’ottica cognitiva
l’intervento terapeutico è centrato sull’individuazione dei pensieri disfunzionali, irrazionali, la loro
messa in discussione (per esempio attraverso vari tipi di dispute) e la sostituzione con pensieri
alternativi razionali, funzionali.
Attraverso le tecniche comportamentali si tenta di sostituire le risposte disfunzionali con
quelle funzionali (per esempio de- sensibilizzazione sistematica verso lo stimolo, immersione
graduata nelle situazioni ansiogene ecc.).
L’obiettivo dell’approccio psicodinamico è quello di rielaborare i termini del conflitto
rappresentato simbolicamente dall’oggetto temuto. Si tenta di individuare e favorire la
canalizzazione delle pulsioni inaccettate che determinano lo stato conflittuale. Si cerca inoltre di
riparare gli oggetti interni temuti con l’interiorizzazione di un oggetto buono sufficientemente
contenitivo.


FOBIA SOCIALE
CRITERI DIAGNOSTICI
Secondo il DSM-IV la fobia sociale è caratterizzata da una eccessiva ansia suscitata da
situazioni o prestazioni sociali che, come avviene in tutte le fobie, spesso determina condotte
di evitamento. L’individuo riconosce l’irragionevolezza ed esagerazione del proprio timore ma
tuttavia non riesce a controllarlo e a preservare del tutto le aree di funzionamento globale.
In questo caso è presente un conflitto tra l’esibirsi e il non esibirsi, il mostrarsi e il
nascondersi. L’esibizione viene colpevolizzata. Il soggetto prova il desiderio di esibirsi per cui si
colpevolizza e si vergogna. Il fobico sociale è forse, in un certo senso, un esibizionista mancato
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Riveste un notevole interesse sapere quali sono le situazioni sociali in particolar modo
stimolatrici di disagio e cosa rappresentano per il soggetto, quale vissuto suscitano (per esempio
paure, ritorsioni punitive, svalutazione di sé, angoscia di castrazione, ecc.).

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Inoltre è importante esplorare le componenti relazionali dello sviluppo del disturbo, oltre a
indagare come sono state vissute ed elaborate dal soggetto le tematiche legate all’esibirsi, al
mostrarsi, e in che modo sono state poste dalle figure di riferimento.
Secondo la concezione psicodinamica è importante esplorare la fase fallico-edipica dove
predomina il tema dell’esibizione e delle relative angosce castratorie.
Come per gli altri disturbi è essenziale conoscere il periodo e le circostanze di insorgenza
della sintomatologia.
IPOTESI DI INTERVENTO
La persona mostra un buon contatto con la realtà e riconosce che la sua paura è
irragionevole ed eccessiva. Può quindi essere applicabile una terapia con enfasi espressiva.
Spesso vengono utilizzate tecniche comportamentali di immersione graduata nelle situazioni
ansiogene e di decondizionamento verso le situazioni sociali temute.
L’approccio psicodinamico tende invece a favorire un processo di consapevolizzazione e di
elaborazione dei termini del conflitto e a promuovere l’affermazione individuale.


DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO
CRITERI DIAGNOSTICI
Secondo il DSM-IV il disturbo è caratterizzato da almeno sei mesi di ansia e preoccupazioni
difficilmente controllabili, smisurate e ripetute che riguardano una pluralità di tematiche (per
esempio prestazioni lavorative, futuro dei figli ecc.) e sono presenti per la maggior parte della
giornata.
Queste preoccupazioni possono compromettere negativamente il sonno, l’umore (irritabilità,
ansia), il corpo (facile affaticabilità, tensione muscolare) e la concentrazione.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
L’aspetto centrale da esplorare riguarda il conflitto e le pulsioni sottostanti la sintomatologia
ansiosa. È importante sapere da quanto tempo si è presentato il disturbo, quali sono state le
circostanze di insorgenza del sintomo e su quali tematiche verte principalmente l’eccessiva
preoccupazione del soggetto. A questo proposito può essere d’aiuto raccogliere informazioni sui
momenti della giornata (per esempio mattina presto prima di andare a lavoro) e circostanze in cui
la sintomatologia diviene più acuta.
L’ansia è in genere un segnale di pericolo e quindi è opportuno indagare quali sono gli aspetti
del Sé che la persona teme possano essere minacciati e da cosa sta cercando faticosamente di
proteggersi. Per accertare il livello di gravità del disturbo e le risorse della persona è utile
conoscere il livello di compromissione delle aree di funzionalità generale, gli stili difensivi messi

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in atto e la percezione di sé.
IPOTESI DI INTERVENTO
Anche in questo caso il rapporto con la realtà è ben conservato e quindi può essere
consigliabile una terapia prevalentemente espressiva, ma con aspetti di supporto. Gli approcci
più utilizzati sono due: cognitivo-comportamentale e psicodinamico.
Nel primo approccio si tende a lavorare sulla sostituzione di pensieri funzionali a quelli
disfunzionali, fonti di ansia eccessiva, e a modificare le risposte associate utilizzando, per
esempio, tecniche di desensibilizzazione verso gli stimoli ansiogeni.
Nell’approccio psicodinamico si mira a sviluppare la costanza dell’oggetto buono con alto
valore contenitivo, attraverso l’interiorizzazione dell’immagine del terapeuta a cui fare appello nei
momenti di difficoltà, e ad aumentare il livello di autostima.
Si tende, inoltre, a favorire un processo di separazione-individuazione.


PSICOTERAPIA DELL’ANSIA
Il trattamento dei disturbi d'ansia ed in particolare del Disturbo di Panico rappresentano certamente
un fiore all'occhiello della psicoterapia cognitivo comportamentale che ha accumulato negli anni
un gran numero di prove scientifiche di efficacia anche nel lungo termine. Chi soffre di ansia
generalizzata tende a pensare di essere "sempre" in ansia. In realtà non è vero.
I primi passi della terapia cognitivo-comportamentale dell'ansia generalizzata vertono appunto sul:
Riconoscimento di episodi o picchi di ansia legati a specifiche situazioni e/o pensieri.
L'individuazione di tali pensieri, detti automatici, che sono spesso legati a preoccupazioni molto
specifiche, consente dunque di iniziare un lavoro di approfondimento che mira a sua volta ad
individuare alcune convinzioni disfunzionali di fondo. Queste convinzioni sono sottoposte ad un
lavoro di ristrutturazione che consiste nell'esplorazione di tali convinzioni e nella loro
ristrutturazione in chiave più realistica, mettendo in discussione le "prove" di queste convinzioni,
sperimentandone      concretamente      l'inconsistenza   attraverso    veri   e   propri   esperimenti
comportamentali, individuando le ipotesi alternative, e imparando a distinguere tra specifici
comportamenti e giudizi globali su se stessi.
La consapevolezza ed il superamento di questi pensieri disfunzionali può aiutare la persona non
solo ad affrontare la vita con meno ansia, ma anche a cambiare alcuni aspetti importanti della
propria vita e del rapporto con gli altri.
Allo stesso modo possono essere monitorati tutti gli episodi di ansia con un diario dell'ansia in cui
siano annotati i fatti e le circostanze, i pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche, prima durante e
dopo l'episodio o il picco d'ansia. A questo punto, grazie a degli strumenti di lavoro molto efficaci e


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molto ben sperimentati, è possibile individuare degli elementi comuni a queste preoccupazioni
come, ad esempio, l'idea di essere responsabili degli incidenti temuti, per non aver fatto abbastanza
per evitare taluni pericoli o rischi. Infine, alla base di questi pensieri possono essere identificate
delle convinzioni più profonde come, ad esempio, l'idea di essere una persona "avventata", e
dunque inadeguata. La ristrutturazione di questa convinzione profonda, potrebbe aiutare la persona
non solo a superare i sintomi di ansia, ma anche a vivere e progettare la propria vita in modo più
propositivo, pieno ed autentico.


PSICOTERAPIA DEL DISTURBO DI PANICO
La psicoterapia del Disturbo di Panico ha delle peculiarità legate alla presenza di:
1. Un circolo vizioso caratteristico di ansia anticipatoria a cui segue l'interpretazione catastrofica di
determinati sintomi che genera a sua volta ulteriore ansia.
2. Il comportamento di evitamento conseguente.
Per risolvere il disturbo, dunque, non è sufficiente capire se stessi e ristrutturare le convinzioni
inadeguate, è necessario altresì spezzare il circolo vizioso - che è spesso talmente "automatizzato"
da avviarsi rapidamente e quasi senza preavviso - ed è indispensabile abbandonare la tendenza
all'evitamento. Anche per la terapia del Disturbo di Panico è pertanto utile il lavoro cognitivo di
individuazione e ristrutturazione dei pensieri catastrofici e delle convinzioni disfunzionali, ma è
indispensabile aggiungere un lavoro ulteriore di riapprendimento comportamentale-emotivo
chiamato desensibilizzazione.
Pertanto, gli strumenti tecnici adoperati dai terapeuti specificamente per il trattamento del Disturbo
di Panico sono:
La ristrutturazione delle idee catastrofiche è, come si è detto, un insieme di tecniche che mirano
a mettere in discussione alcune idee e convinzioni disfunzionali. Nel caso del d. di panico le più
tipiche sono: l'idea di impazzire, di perdere il controllo, di morire o di avere un grave malore, di
svenire, di fare qualcosa di imbarazzante davanti agli altri, di non essere soccorso. La componente
cognitiva del trattamento può toccare anche alcune convinzioni più profonde ed insidiose che
riguardano l'idea di se stessi fragili ed incapaci di esplorazione autonoma. Questo aspetto del lavoro
psicoterapeutico ha a che fare con le nostre conoscenze sull'attaccamento.
La desensibilizzazione viene effettuata classicamente soprattutto grazie ad un training di
esposizione che mira a far sperimentare la caduta naturale della reazione ansiosa anche se esposti
ad alcune situazioni, che tipicamente vengono evitate nel timore di provare ansia o di avere nuovi
attacchi.



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Le tecniche di rilassamento sono utili per apprendere ad aver fiducia nella capacità innata di auto-
rassicurarsi e rifugiarsi in uno spazio interiore di sicurezza.


PSICOTERAPIA DELLE FOBIE
L'aspetto centrale della psicoterapia delle fobie è la desensibilizzazione.
Come già detto, si intende per desensibilizzazione la riduzione sino alla scomparsa di ansia quando
si è esposti all'oggetto o alla situazione fobica.
La teoria classica - di origine comportamentista -della desensibilizzazione tiene conto della
osservazione che quando si permane in contatto con l'oggetto o la situazione che attivano l'ansia,
questa spontaneamente si riduce.
Immaginate, ad esempio, di avere paura del buio. Se vi chiudete volontariamente in una stanza buia
avrete inizialmente molta ansia. Ma poi, lentamente, l'ansia tende spontaneamente a ridursi. Come
se prendeste lentamente confidenza con questa condizione sino a non esserne più spaventati e
dunque a considerare la situazione in modo più realistico.
Questa osservazione alla base degli interventi di desensibilizzazione sistematica che prevedono
l'esposizione progressiva alla situazione fobica. In altri termini, questo tipo di terapia prevede
l'esposizione per tempi sempre maggiori alla situazione fobica oppure l'esposizione sempre pi_
massiccia all'oggetto o alla situazione fobica. Ad esempio, chi ha paura dei cani, potrebbe iniziare a
vedere foto di cani, poi potrebbe vedere dei film con cani,poi può entrare in contatto con cani veri a
distanza di sicurezza, ed infine avvicinarsi al cane e, ad esempio, carezzarlo. E così via.
Una variante molto apprezzata dai terapeuti l'esposizione immaginativa. Grazie a questa tecnica,
chi soffre di fobia viene condotto ad immaginare gli oggetti o le situazioni fobiche, dopo aver
raggiunto uno stato di sufficiente rilassamento. Quando l'esposizione immaginativa è conclusa,
risulta molto più agevole l'esposizione alla situazione reale.
Sebbene la base della psicoterapia delle fobie rimanga a tutt'oggi la desensibilizzazione, molti
terapeuti preferiscono affiancare a questo intervento, anche un lavoro di rielaborazione delle
esperienze traumatiche connesse alla fobia. Questa componente della psicoterapia si può avvalere
di tecniche derivate dalla psicoterapia ipnotica e dell'EMDR




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DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
CRITERI DIAGNOSTICI
Il DSM-IV definisce il disturbo ossessivo-compulsivo come un disturbo caratterizzato da
ossessioni e/o compulsioni.
Le ossessioni sono dei pensieri ricorrenti vissuti come intrusivi, inappropnati e fonte di ansia
da parte dell’individuo.
Le compulsioni sono dei comportamenti che si presentano spesso sotto forma di rituali in
risposta alle ossessioni da neutralizzare ed esorcizzare. Per esempio il pensiero ripetuto che la
casa possa esplodere potrebbe essere un tipo di ossessione e il controllo continuo della chiusura
della cucina a gas la compulsione di risposta.
Si manifestano perciò comportamenti ripetitivi (per esempio lavarsi le mani, allineare gli
oggetti in un certo modo, riordinare, controllare la chiusura di porte), o azioni mentali (per
esempio contare, pregare, ripetere parole mentalmente) che il soggetto mette in atto in risposta a
una ossessione, o secondo regole che devono essere seguite rigidamente.
I comportamenti o le azioni mentali sono rivolti a ridurre il disagio o a prevenire situazioni
temute. In qualche momento la persona riconosce l’irragionevolezza o eccessività delle
compulsioni. Questo disturbo causa un grosso dispendio di tempo ed energia, modifica le abitudini
quotidiane e interferisce sul funzionamento globale della persona stessa.
Il soggetto non può evitare di mettere in atto rituali, stereotipie, comportamenti rigidi e fissi;
appare ritentivo, rigido, pervicace, manifesta una logica di accumulo (per esempio collezioni),
una marcata aggressività verso se stesso e verso gli altri, che interferisce nelle relazioni sociali.
È presente un ritiro dell’affettività. Generalmente il soggetto mostra un atteggiamento di
eccessiva parsimonia che rasenta la tirchieria e di rigida ostinazione. La sua logica di accumulo gli
impedisce di gettare oggetti consumati ormai inutili, anche se privi di valore affettivo.
Tende al perfezionismo e quindi è molto esigente verso se stesso e verso gli altri e
nell’esecuzione di compiti. Difficilmente delega il proprio lavoro ad altri a meno che non lo
svolgano esattamente secondo le sue indicazioni. Pensa di essere disapprovato per vissuti sessuali,
aggressivi e di dipendenza.
A differenza del fobico che assume condotte di evitamento, la persona con il disturbo
ossessivo-compulsivo teme che si verificheranno eventi catastrofici se non metterà in atto
quella determinata condotta.
Secondo una visione psicodinamica il soggetto ha bisogno di controllare l’ambiente esterno
che rappresenta un’estensione della imago materna. Si ipotizza una fissazione oppure
regressione a uno stato anale dove predominano le tematiche legate al controllo del proprio corpo,


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delle pulsioni, del movimento nello spazio, dell’ambiente e nel trattenere (conflitto tra espulsione e
ritenzione).
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Il soggetto prova uno stato di disagio se non attua i suoi rituali. È importante quindi scoprire che
cosa accadrebbe nell’ideazione dell’utente se quel rituale non fosse eseguito. Spesso vi sono
pensieri catastrofici e paure terribili che l’ossessivo cerca di neutralizzare attraverso i rituali
compulsivi utilizzati quasi come esorcismi.
Per comprendere i fattori responsabili del disturbo è opportuno raccogliere informazioni sulle
diverse fasi dello sviluppo con particolare riguardo alla fase anale.
È fondamentale anche indagare in che modo le tematiche legate al controllo sfinterico, ai
movimenti nello spazio, alla gestione delle pulsioni e della corporeità, all’ordine e alla pulizia
sono state poste dalle figure di riferimento e come sono state rielaborate dal soggetto.
È altresì essenziale esplorare i termini del conflitto e le pulsioni inaccettate che lo
caratterizzano.
Anche in questo caso è interessante sapere da quanto tempo è presente il disturbo, come si è
sviluppato, quali sono state le circostanze di insorgenza della sintomatologia e le ragioni per cui la
persona sta chiedendo un colloquio psicologico proprio adesso.
Come per gli altri disturbi è importante operare l’analisi della domanda per meglio capire la
richiesta dell’utente, i bisogni, le aspettative e la motivazione legati a essa.


PSICOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
Il trattamento del DOC che ha dimostrato la maggiore efficacia è costituito da una farmacoterapia
combinata con la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
La strategia terapeutica più importante utilizzata nella psicoterapia del DOC si chiama: esposizione
graduata con prevenzione di risposta.
In pratica la strategia consiste nell'esporsi volontariamente alle situazioni che alimentano i pensieri
ossessivi (ad esempio toccare cose considerate contaminate quando si ha l'ossessione dello sporco)
senza però compiere i rituali. Questa tecnica deve essere utilizzata dopo aver scelto con cura le
situazioni che si vogliono affrontare. Dopo ripetute esperienze di esposizione sempre più importanti
e impegnative, la maggioranza delle persone si libera dall'esigenza di effettuare i rituali o riduce
sensibilmente l'intensità del disagio.
La possibilità di trarre giovamento dal trattamento dipende naturalmente anche da questioni
motivazionali. In alcuni casi gran parte del lavoro terapeutico non consiste nell'applicazione
pedissequa della esposizione graduata, ma in una progressiva ristrutturazione di alcune convinzioni


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inadeguate che si oppongono ad un lavoro efficace sul sintomo. D'altra parte è proprio il successo
sui sintomi del DOC che svolge spesso una funzione di stimolo per affrontare dei nodi esistenziali
irrisolti.
Nonostante la notevole efficacia del trattamento, vi sono molte condizioni in cui non si evidenziano
risultati, o almeno non nella misura attesa. Questi casi sono chiamati resistenti
FARMACI PER IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
L’approccio farmacoterapico al disturbo ossessivo-compulsivo presenta numerose difficoltà sia per
la gravità di questa condizione psicopatologica sia per le ancora scarse conoscenze relative alle sue
basi biologiche.
Il trattamento farmacologico di prima secelta per il disturbo ossessivo-compulsivo si basa
sull’utilizzo di farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). L’azione
farmacologica, in definitiva, consiste in un potenziamento dei livelli della serotonina.
Tutti gli SSRI (fluvoxamina, paroxetina, sertralina, fluoxetina, citalopram, escitalopram) sono
efficaci nel trattamento di questa condizione e la scelta dipende dal profilo degli effetti collaterali di
questi farmaci.
Iniziando la terapia con un SSRI i sintomi bersaglio del farmaco non peggiorano prima di
migliorare, come purtroppo avviene in altri tipi di problematiche.
Gli effetti collaterali di questi farmaci generalmente sono: nausea, diarrea, agitazione, secchezza
delle fauci, visione offuscata, vertigini, disfunzione sessuale (maschile e femminile) e sonnolenza.
Tali effetti sono sovente transitori e, nella maggior parte dei casi, perdurano per pochi giorni.
Ciò è dovuto alla necessità di adattamento del proprio corpo alla nuova condizione indotta
dall’utilizzo del farmaco.
Generalmente i dosaggi degli SSRI per questo disturbo sono superiori a quelli per il trattamento di
altre condizioni come la depressione; inoltre, la risposta terapeutica può essere ritardata. Il
paziente dovrebbe ricevere la dose massima tollerata di SSRI per almeno 12 settimane prima di
passare ad un farmaco alternativo o ad una terapia adiuvante.
La terapia di mantenimento dovrebbe durare almeno un anno, durante il quale il dosaggio
utilizzato in fase acuta può essere ridotto, senza compromissione del miglioramento, fino al 50%.
L’interruzione del farmaco dovrebbe essere graduale e concordata con il proprio curante; la brusca
sospensione più facilmente causa una ricaduta.
Nel caso in cui il trattamento con un SSRI non risulti efficace, è possibile passare ad un altro SSRI
oppure introdurre in terapia la clomipramina. Questo è stato il primo antidepressivo triciclico
riconosciuto come efficace nel trattamento di questa condizione psicopatologica. In caso di



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fallimento del trattamento con questi farmaci è opportuno ricorrere a strategie aggiuntive per
potenziarne l’effetto terapeutico, soprattutto nel caso di una terapia basata sugli SSRI.
Queste strategie possono essere dirette all’aumento della serotonina mediante l’aggiunta di farmaci
quali il litio, il trazodone o il buspirone.
È inoltre possibile associare benzodiazepine come il clonazepam; questo consente al paziente di
tollerare un dosaggio maggiore di SSRI e di ridurre alcuni specifici sintomi d’ansia associati.
Altre strategie terapeutiche prevedono combinazioni tra un SSRI e un antipsicotico classico o un
antipsicotico atipico a bassi dosaggi. È comunque necessario che queste terapie combinate
vengano prescritte e monitorate nel tempo da uno specialista in psichiatria.


DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
CRITERI DIAGNOSTICI
Secondo il DSM-IV il disturbo post-traumatico da stress è caratterizzato dal rivivere un evento
estremamente traumatico vissuto con sentimenti di terrore, impotenza e orrore. Tale evento
può essere rivissuto in diversi modi. Il soggetto sperimenta di nuovo nell’immaginazione e nei
pensieri il trauma relativo all’evento terrificante che lo ha colpito. Egli percepisce e sente
ancora vivo il dolore fisico e psichico provato. Può avere subito eventi di morte o di minaccia di
perdita della vita e dell’integrità fisica che riguardano personalmente lui o persone care come
partner, figli, genitori. L’evento si può ripresentare anche periodicamente nei sogni, in
allucinazioni e momenti dissociativi. Il soggetto è colpito da profondo disagio soprattutto di fronte
a fattori interni ed esterni che possono scatenare per la loro somiglianza l’esperienza vissuta. Nei
bambini piccoli sovente accade che ripetutamente si rimanifestino le sequenze specifiche del
trauma subito.
Il soggetto evita tutto ciò che può essere associato alla sua esperienza traumatica e soprattutto
farà ogni sforzo per non ricordare e non trovarsi con persone presenti nella tragica circostanza o in
luoghi che gli possano evocare l’evento terrificante.
Talvolta può avere difficoltà nel ricordare qualche aspetto della sua esperienza e mostrare
un’affettività ridotta che lo porta ad adottare comportamenti indifferenti e distaccati nei confronti
degli altri.
Sono presenti elementi simili a quelli depressivi come la diminuzione di interesse e piacere, di
partecipazione alle attività e alle relazioni sociali. Si teme di non poter avere una vita normale
ma di vivere minor tempo e di non riuscire a realizzare gli obiettivi della popolazione media (per
esempio carriera, matrimonio, figli).
Spesso si verifica un forte aumento del livello di ansia e di tensione. Il soggetto ha difficoltà nel


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dormire, irritabilità, incapacità di concentrarsi, ipervigilanza. Vive in un continuo stato di
allarme. La durata del disturbo è superiore a un mese (è definito acuto se inferiore ai tre mesi
e cronico se superiore).
Il disturbo crea un disagio significativo o compromette le aree di funzionamento globale.
Il disturbo acuto da stress è caratterizzato da sintomi simili a quelli presenti nel disturbo
postraumatico da stress che si verificano immediatamente a seguito di un evento estremamente
traumatico, ma a differenza di quest’ultimo, dura da un minimo di due giorni a un massimo di
quattro settimane.
Inoltre l’espressione sintomatologica generalmente appare più acuta e potrebbero presentarsi
fenomeni di derealizzazione e depersonalizzazione.
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Mai come in questo caso è significativo indagare le circostanze dell’insorgenza del sintomo. A
questo proposito è anche utile sapere in quale particolare periodo e contesto di vita del soggetto si è
verificato l’evento. È interessante esplorare come è stato vissuto e rappresentato l’evento
traumatico, in che modo la persona lo sta elaborando, quali aspetti della personalità sono
minacciati, se vi sono aree di funzionalità compromesse.
Importantissimo è sapere se l’episodio ha scatenato la manifestazione e lo sviluppo di nuclei
patogeni della personalità.
È opportuno anche indagare se, e in che modo, la percezione di sé è stata modificata in
seguito all’esperienza subita e individuare il grado di strutturazione e di forza dell’Io, il
livello di autostima, le strategie difensive, le risorse interne ed esterne per far fronte al
trauma.
IPOTESI DI INTERVENTO
Sarebbe opportuno supportare il soggetto, soprattutto nella fase iniziale della terapia, per rafforzare
l’Io traumatizzato ed evitare che prosegua l’iniziale atteggiamento di distacco dalla realtà.
In alcuni momenti può essere alterato il rapporto con la realtà (episodi dissociativi di
flashback, allucinazioni, sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni) ma solo in modo
circoscritto ossia riguardante l’evento traumatico. Per il resto la persona mostra un buon
contatto con la realtà, segno di una sufficiente strutturazione dell’Io e quindi è possibile applicare
una terapia espressiva avendo tuttavia l’accortezza di fornire un iniziale supporto.
Un approccio adatto è quello psicodinamjco che si propone d’incoraggiare un processo di
consapevolizzazione, di elaborazione del vissuto e delle tematiche coinvolte. Il perno della
terapia consiste nel favorire il rafforzamento e l’armonizzazione di eventuali aspetti della
personalità che rischiano la compromissione, promuovendo lo sviluppo delle risorse e delle


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strategie difensive funzionali. L’approccio comportamentale mira invece a favorire un de-
condizionamento e un ricondizionamento positivo verso gli stimoli traumatici.


DISTURBO ACUTO DA STRESS
La diagnosi di Disturbo Acuto da Stress (Disturbo Acuto da Stress) compare solo nel DSM-IV
(Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, IV edizione), La caratteristica essenziale di
questo disturbo è lo sviluppo di sintomi dissociativi, ansia o aumento di arousal, sintomi intrusivi e
di evitamento.
Il disturbo deve manifestarsi entro quattro settimane dall’evento al quale risulta connesso e
dura da un minimo di 2 giorni ad un massimo di quattro settimane. Se la durata dei sintomi supera
le quattro settimane, deve essere considerata la possibilità di una diagnosi di PTSD, come
frequentemente avviene in questi casi.
Possono essere presenti sintomi di tipo psicotico che, se predominanti, devono fare pensare alla
diagnosi di Disturbo Psicotico Breve.
Sebbene la presenza di Disturbo Acuto da Stress sia correlata ad un successivo sviluppo di PTSD,
tale relazione necessita di approfondimenti sottili; infatti, è possibile lo sviluppo di PTSD in
assenza dei preesistenti sintomi dissociativi peritraumatici previsti dall’Disturbo Acuto da Stress, e
la presenza di questi ultimi, anche in misura elevata, non conduce necessariamente ad un PTSD.
In particolare, i sintomi dell’Disturbo Acuto da Stress più altamente correlati con il
successivo sviluppo di PTSD sembrano essere l’ottundimento emotivo, l’agitazione motoria, la
depersonalizzazione e la sensazione di rivivere l’esperienza traumatica.
Il DSM IV prevede i seguenti sintomi per potere effettuare una diagnosi di Disturbo Acuto da
Stress:
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico in cui erano presenti entrambi i seguenti
elementi:
1) la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno
comportato la morte, o una minaccia per la vita, o una grave lesione, o una minaccia all’integrità
fisica, propria o di altri.
2) La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.
B. Durante o dopo l’esperienza dell’evento stressante, l’individuo presenta tre (o più) dei
seguenti sintomi dissociativi:
1) sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, o assenza di reattività emozionale.
2) Riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante (i.e. rimanere storditi).
3) Derealizzazione.


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4) Depersonalizzazione.
5) Amnesia dissociativa (cioè incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma).
C. L’evento traumatico viene persistentemente rivissuto in almeno uno dei seguenti modi:
immagini, pensieri, sogni, illusioni, flashback persistenti, o sensazioni di rivivere l’esperienza;
oppure disagio all’esposizione a ciò che ricorda l’evento traumatico.
D. Marcato evitamento degli stimoli che evocano ricordi del trauma (i.e. pensieri, sensazioni,
conversazioni, attività, luoghi, persone).
E. Sintomi marcati di ansia o di aumentato arousal (i.e. difficoltà a dormire, irritabilità, scarsa
capacità di concentrazione, ipervigilanza, risposte di allarme esagerate, irrequietezza motoria).
F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento
sociale, lavorativo o di altre aree importanti, oppure compromette la capacità dell’individuo di
eseguire compiti fondamentali, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse
personali riferendo ai familiari l’esperienza traumatica.
G. Il disturbo dura al minimo 2 giorni e al massimo 4 settimane, e si manifesta entro 4 settimane
dall’evento traumatico.
H. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (i.e. una droga di abuso,
un farmaco) o di una condizione medica generale, non è meglio giustificato da un Disturbo
Psicotico Breve, e non rappresenta semplicemente l’esacerbazione di un disturbo preesistente di
Asse I o Asse
PSICOTERAPIA PER DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Se i problemi seguenti ad un trauma continuano ad essere presenti non conviene fare affidamento
alla guarigione spontanea, cioè al tempo che dovrebbe guarire tutte le ferite. Il tempo, in alcuni
casi, può anzi condurre alla cronicità dei problemi. Bisogna allora affrontare di petto la situazione.
Molte persone che hanno un PTSD si vergognano dei loro problemi, si sentono incapaci e credono
di non potere essere aiutate. È invece necessario adottare un atteggiamento umile e pratico, allo
stesso modo di quando abbiamo un dolore fisico: se non passa il mal di denti bisogna rivolgersi ad
un dentista. Continuare a rimandare potrebbe peggiorare le cose e rendere il malessere più doloroso
e limitante la propria serenità. È necessario rivolgersi ad uno specialista, sia esso uno psichiatra o
specialista in psicoterapia. In entrambi i casi, se sono competenti sull'argomento, valuteranno
l'opportunità di una integrazione fra intervento psicoterapeutico ed intervento farmacologico.
Entrambi gli approcci, infatti, in alcuni casi sono sicuramente poco efficaci se non vengono seguiti
contemporaneamente. Ad esempio, può essere difficile seguire una psicoterapia se ci si sente
svuotati da tanti anni di depressione ma, allo stesso tempo, una terapia farmacologica per l'ansia o
la depressione lascia inalterati dei ricordi traumatici che continuamente tormentano e condizionano


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una persona.
Qualunque strada si voglia seguire, questa deve essere percorsa con uno specialista esperto nella
cura dei disturbi che nascono in seguito alla esperienza di eventi traumatici, uno specialista che
conosca gli strumenti più efficaci per curare questi disturbi. La ricerca scientifica sull'argomento
indica che tra gli approcci più efficaci per la psicoterapia del PTSD si devono segnalare i seguenti:
1. alcuni tipi di psicoterapia cognitivo-comportamentale;
2. alcuni tipi di psicoterapia ipnotica;
3. l'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
TERAPIA FARMACOLOGICA PER IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Stando alle più attuali definizioni tali disturbi comprendono principalmente due quadri
sintomatologici che sono il Disturbo Post-traumatico da Stress ed il Disturbo Acuto da Stress.
Questo non vuol dire che tutta la psicopatologia che si manifesta in individui esposti a eventi
traumatici debba rientrare necessariamente in questi due quadri. Molti altri quadri sintomatologici
potrebbero essere secondari ad un evento traumatico quali un disturbo psicotico breve, un
disturbo depressivo, un disturbo di conversione o più semplicemente un disturbo di
adattamento. Psichiatri e ricercatori hanno finora privilegiato nello studio delle sequele neuro-
biologiche al trauma, il Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) ed il Disturbo Acuto da
Stress perché costituiscono il modello psicopatologico base per capire più facilmente cosa
effettivamente succede.


IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTSD)
La terapia farmacologica del PTSD è attualmente consigliata sulla base dei dati di ricerca che
mostrano come vari sistemi psicobiologici siano sregolati nei pazienti affetti da PTSD. Inoltre la
frequente co-presenza di complicanze del disturbo quali la depressione ed il panico, patologie che
rispondono bene alle terapie farmacologiche, rende utile il trattamento farmacologico nel PTSD per
attenuare le complicanze del disturbo e per favorire o rendere possibili eventuali trattamenti
psicoterapici che talvolta in condizioni di acuta sofferenza sono impossibili o necessariamente
limitati ad un generico sostegno.




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CAPITOLO IV
                                    DISTURBI SOMATOFORMI
I disturbi somatoformi hanno in comune il fatto che il soggetto esprime il disagio psichico
attraverso il corpo (in greco soma).
I disturbi somatoformi sono i seguenti:
• Disturbo di somatizzazione
• Disturbo somatoforme indifferenziato
• Disturbo di conversione
• Disturbo algico
• Ipocondria
• Dismorfofobia corporea
• Disturbo somatoforme non altrimenti specificato
Generalmente questi disturbi rientrano nell’ambito di una grave nevrosi. Infatti il conflitto
nevrotico che l’utente non riesce a mentalizzare è stato spostato sul piano somatico. La gravità del
disturbo è indicata dalla difficoltà di simbolizzare il confitto.
Talvolta la somatizzazione può rappresentare una difesa estrema prima di uno scivolamento
psicotico.
In questa sezione sono descritti alcuni problemi psicologici che sono accomunati da una importante
componente di sintomatologia fisica.
Oggi si tende a raggruppare con il termine molto generale di Disturbi Somatoformi un insieme di
disturbi in cui siano presenti dei sintomi fisici che lasciano pensare alla presenza di malattie
organiche, ma non possono essere spiegati, se non parzialmente, dalla presenza di alterazioni
fisiche. Fanno parte di questa categoria di disturbi il Disturbo di Somatizzazione, Il Disturbo da
conversione, il Disturbo da Dolore cronico, l'Ipocondria, Il Disturbo da Dismorfismo corporeo.
La ragione per cui si è scelto di raggruppare un gran numero di diversi disturbi nella grande
categoria dei Disturbi Somatoformi, non dipende da qualche comune meccanismo, ma dalla
necessità di effettuare una accurata valutazione medica e, dunque, di escludere l'eventuale presenza
di una malattia fisica occulta.
Il termine “Disturbi somatoformi”, pertanto svolge una funzione eminentemente pratica: serve a
raggruppare tutti i disturbi, anche molto diversi tra di loro, che richiedano di essere differenziati dai
disturbi organici.
I sintomi dei disturbi somatoformi possono essere combinati con sintomi ansiosi, ossessivi, o
depressivi, ma sono distinti dal Disturbo di Panico, dal Disturbo Ossessivo Compulsivo o dal
Disturbo Depressivo.


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I disturbi somatoformi sono dunque molto diversi tra di loro e rientrano nelle seguenti
categorie:
1. Disturbo da Somatizzazione (la vecchia isteria) in cui sono presenti sintomi fisici di vario genere.
2. Disturbo da Conversione in cui sono presenti sintomi di tipo neuro motorio (paralisi) o
sensoriale (anestesie o parestesie), che fanno pensare ad un disturbo neurologico, ma che dipendono
interamente da meccanismi psicologici.
3. Disturbo da Dolore in cui la persona richiede l’attenzione dei medici per la presenza di un
dolore, senza che vi sia alcuna malattia che ne giustifichi la presenza o l’intensità.
4. Ipocondria, caratterizzata da intensa preoccupazione o paura di essere affetti da una malattia
grave. Questo disturbo si basa su una interpretazione inadeguata o esagerata di sensazioni o sintomi
fisici.
5. Disturbo da dismorfismo corporeo, in cui è presente una preoccupazione rispetto ad un difetto
completamente immaginato o palesemente esagerato dell’immagine corporea.
A queste categorie, i clinici aggiungono altri due disturbi residuali: il Disturbo Somatoforme
Indifferenziato e d il Disturbo Somatoforme non Altrimenti Specificato allo scopo di comprendere
una serie di manifestazioni e disturbi di tipo somatoforme che non rientrano nelle categorie
precedenti.
Tratteremo inoltre a parte due problemi molto frequenti che possono trarre in inganno dal punto di
vista diagnostico: le vertigini e gli acufeni


                                             IPOCONDRIA
Dal greco hypo (sotto) e chondros (cartilagine), il riconoscimento dell'Ipocondria come disturbo
autonomo ha origini molto antiche. Al tempo degli antichi greci si riferiva ad un dolore
"ipocondriaco", cioè nella parte bassa del torace sotto le costole, e veniva attribuito a movimenti
della milza.
Classificato tra i Disturbi Somatoformi, l'Ipocondria è caratterizzata da una preoccupazione
eccessiva e persistente di essere affetti da una malattia grave, sebbene gli accertamenti medici lo
escludano. Questa preoccupazione si basa su una interpretazione distorta o esagerata di segni e
sintomi fisici.
L'Ipocondria viene diagnosticata quando le preoccupazioni relative alla salute non dipendono da un
Disturbo d'Ansia Generalizzata, da un Disturbo Ossessivo Compulsivo, da un Disturbo di
Panico, da un Disturbo Depressivo, o da altri disturbi mentali. In caso contrario, il trattamento si
basa sul trattamento del disturbo di base.



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TRATTAMENTO
Il continuo ricorso agli accertamenti medici fa sì che frequentemente si commettano due errori
opposti, ma ugualmente inefficaci dal punto di vista terapeutico:
1. si concede troppo spazio agli accertamenti medici
2. si cerca di convincere la persona che il disturbo non è medico, ma psicologico.
Purtroppo, entrambi gli atteggiamenti sono dannosi.
Se si cede alla costante richiesta di rassicurazioni, si entra in una spirale negativa di malintesi per
cui anche la rassicurazione più esplicita può essere interpretata come una conferma di malattia.
Se invece si insiste nel dire semplicemente che il problema è psicologico e NON è del corpo, si
trascura il vero problema psicologico che consiste proprio in una interpretazione deformata delle
sensazioni e delle manifestazioni del corpo.
Il trattamento deve pertanto basarsi su un'accurata indagine medica, ma deve anche prevedere un
lavoro importante sulle interpretazioni delle sensazioni e delle manifestazioni del corpo.
Questo tipo di lavoro psicoterapeutico viene svolto nell'ambito di un intervento cognitivo
comportamentale.




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CAPITOLO V
                             DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Il DSM-IV definisce disturbi dell’alimentazione quei disturbi caratterizzati dalla presenza di
evidenti alterazioni del comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende due
categorie specifiche: l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa.
La caratteristica essenziale comune a entrambi i disturbi è la presenza di un’alterata
percezione del peso e della propria immagine corporea.
ANORESSA NERVOSA
CRITERI DIAGNOSTICI
La caratteristica dell’anoressia nervosa, secondo il DSM-IV, è il rifiuto di mantenere il peso
corporeo al di sopra del peso minimo normale.
I sintomi sono i seguenti:
• Amenorrea ossia assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (sintomo esclusivo solo
dell’anoressia);
• Rifiuto di mantenere il peso corporeo normale minimo. In genere il peso è di 15- 12 kg in meno
rispetto a quello normale. Il dimagrimento è stato repentino a causa di una dieta ed e iniziato da
almeno 5 mesi;
• Intensa paura di ingrassare pur vivendo la condizione fisica di sottopeso;
• Distorsione riguardo a come il soggetto vive il peso e la forma del corpo (alterata percezione
dello schema corporeo) che in- fluiscono eccessivamente sull’autostima o rifiuto di riconoscere
l’attuale condizione di sottopeso.
Inoltre un aspetto da tenere presente, onde evitare equivoci diagnostici, è che il vomito
provocato e l’uso di lassativi, enteroclismi e diuretici possono essere presenti sia
nell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa.
Un altro aspetto non di rado presente è il lavarsi fino a scorticarsi e la fissazione di mandare
via lo sporco.
Predominano condotte ossessive legate al cibo (per esempio nascondimento, sminuzzamento)
Domina l’eccessivo investimento sul cibo (per esempio il soggetto ne parla sempre).
Spesso nell’anoressia si nota la tendenza a effettuare sforzi fisici, corse e vari esercizi ginnici
nella convinzione che tali comportamenti facilitino l’espulsione dello scarso cibo assunto.
Il DSM-IV specifica il sottotipo.
• Con restrizioni: in questo caso il soggetto si è limitato a ridurre rigidamente l’assunzione di cibo
senza adottare le modalità di condotte espulsive come il vomito, i purganti e i diuretici, o senza
praticare regolarmente le abbuffate.


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• Cori abbuffate/Condotte di eliminazione: in questa situazione, invece, il soggetto oltre a
procedere nella drastica, sistematica, meticolosa riduzione del cibo si dedica anche alle abbuffate
seguite da condotte di eliminazione (vomito, clisteri, purganti, diuretici...).
APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI
Gli aspetti da esplorare riguardano la relazione oggettuale, il processo di separazione-
individuazione, il modo in cui è stata introiettata l’imago materna con le eventuali pulsioni
aggressive a essa associate, la percezione di sé, il livello di autostima, le tematiche legate alla
simbiosi, alla corporeità, alla femminilità, alla definizione dell’identità sessuale.
Secondo una concezione psicodinamica sarebbe basilare esplorare la fase orale dello sviluppo
psicosessuale, in quanto potrebbero esservi della gravi fissazioni da superare.
Infatti la prima relazione che un essere umano ha con la madre, o chi ne fa le veci, è attraverso
l’allattamento. Si potrebbe creare così un’equazione inconscia madre = cibo. Perciò il rifiuto del
cibo potrebbe essere collegato a un rifiuto e a una reattività verso l’imago materna introiettata, base
della costruzione della propria identità e femminilità. Non a caso appaiono ridotte le forme
femminili come il seno e vi è la presenza di amenorrea.
L’anoressica rifiuta il cibo come rifiuta la dipendenza verso la madre in una forma di
ribellione    all’insegna   della   forza    e   dell’autonomia,      ma    che    riconferma   invece
paradossalmente questo legame atavico. Infatti la donna dipende dal cibo molto di più della
media delle persone, tanto da dover cercare sempre di evitarlo e di controllare i forti impulsi verso
di esso. Questo gioco di potere si traduce in una sfida estenuante contro se stessi (i propri piaceri,
desideri e bisogno di attaccamento) e contro il mondo, che finisce però per riconfermare lo stato di
dipendenza.
È interessante anche conoscere le regole, i ruoli, i sottosistemi, le modalità comunicative e le
dinamiche all’interno del sistema familiare.
Spesso le persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione provengono da un sistema
invischiato, che ostacola il processo di svincolo e di individuazione dei suoi membri.
Frequentemente il nucleo appare desideroso di riconoscimento sociale e quindi tenta in ogni modo
di dare un’immagine di sé favorevole. Appaiono quindi di vitale importanza aspetti come i voti
scolastici, l’arredamento della casa, l’abbigliamento e tutto ciò che contribuisce all’immagine
esteriore. Si potrebbe strutturare così una personalità indefinita, perché ancora confusa nel legame
simbiotico, che soffre di senso di Inadeguatezza e di vulnerabilità nei confronti del giudizio
esterno.
Per accertare la gravità del disturbo, è opportuno conoscere da quanto tempo è presente la
sintomatologia e l’eventuale compromissione delle aree di funzionalità generale della persona.


                                                                                                     37
A questo proposito è importante sapere se il soggetto conserva altre forme di investimento oltre
quello attuato sul cibo. Sarebbe, per esempio, opportuno anche conoscere la vita affettiva e
sessuale del soggetto (in genere è presente un ritiro da essa).
IPOTESI DI INTERVENTO TERAPEUTICO
Il rapporto con la realtà è alterato per quanto riguarda la percezione dello schema corporeo,
ma generalmente conservato per gli altri aspetti. Sarebbe perciò opportuna una terapia
supportivo-espressiva poiché è necessario inizialmente supportare l’Io per rafforzano, definirlo,
strutturarlo maggiormente, migliorare la percezione e l’investimento nella realtà.
È anche opportuno favorire un processo di rielaborazione delle tematiche centrali del
disagio.
Se si considera che l’anoressica riduce ed esaurisce la sua esistenza intorno a due tematiche
centrali concernenti il corpo e il cibo, appare evidente l’importanza di sviluppare altre forme di
interesse e di investimento sul reale e promuovere un’apertura verso l’affettività.
In letteratura un approccio terapeutico condiviso è quello sistemico familiare. L’obiettivo è
quello di favorire lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema invischiato,
promuovere la circolarità di una comunicazione chiara, rafforzare la figura paterna se, come
spesso accade, è periferica, sostituire le regole disfunzionali con quelle funzionali e gestire
costruttivamente la crisi per affrontare un nuovo ciclo vitale.
Un ostacolo nel lavorare con questo tipo di pazienti consiste nell’eccessivo ripiegamento
narcisistico interno che rende difficoltoso l’investimento nella relazione terapeutica. Anche il
sistema in cui sono inseriti spesso appare chiuso agli scambi con l’esterno.
Un’altra fonte di difficoltà nel trattamento dell’anoressia consiste nel fatto che nella maggior parte
dei casi il soggetto non riconosce il proprio disturbo e quindi è scarsamente motivato al lavoro
terapeutico.
PSICOTERAPIA ANORESSIA
L’anoressia nervosa consiste in uno stato di malnutrizione cronica di varia intensità, associata ad un
assetto psichico caratterizzato da:
- immaturità della differenziazione sessuale e di genere;
- immaturità dell’immagine corporea;
- dipendenza ambigua e/o ambivalente;
- meccanismi di difesa primitivi.
L’anoressia mentale appare essere il disturbo alimentare più resistente al cambiamento, in
particolare l’anoressia di tipo restrittivo; poiché il livello di motivazione alla guarigione è molto
basso, quello che viene considerato un problema clinico oggettivo - la diminuzione del cibo -, per


                                                                                                    38
le anoressiche è invece l’obiettivo primario da raggiungere.
Anche in questo caso i trattamenti più frequentemente utilizzati e che hanno un ottimo riscontro
nella pratica clinica sono la psicoterapia strategica, la terapia cognitivo comportmantale e l’EMDR.
L’organizzazione del trattamento dell’anoressia include l’identificazione di un team di specialisti
(dietisti, medici, psichiatri, psicoterapeuti); qualora necessario, il trattamento dell'anoressia deve
essere effettuato in regime di ricovero o in day-hospital, e deve sempre occuparsi anche
dell’intervento sul sistema familiare che spesso, suo malgrado, può essere un fattore importante di
mantenimento del disturbo.
PSICOTERAPIA STRATEGICA
La psicoterapia strategica ha strutturato due protocolli di intervento diversificati sulle tipologie
della paziente. In questo modello infatti viene fatta una distinzione tra:
- anoressica sacrificante: la persona comincia ad entrare in crisi e a mostrare la sintomatologia in
concomitanza di una una particolare situazione familiare; la ragazza, ad esempio, si sente incastrata
all’interna di una coppia genitoriale in crisi e molto conflittuale; in questo caso il suo disturbo ha
l’obiettivo di tenere insieme la coppia;
- anoressica astinente: è la tipologia più frequente. Si tratta di solito di ragazze molto intelligenti e
molto sensibili, ma con grande difficoltà nella gestione delle emozioni; mediante l’astinenza
riescono gradualmente a provocarsi una reale e progressiva anestesia percettiva ed emotiva.
Protocollo di trattamento dell’anoressia sacrificante
È il tipo di anoressia più facile da trattare. Nelle prime fasi l’intervento è di tipo sistemico
familiare, focalizzato sulla riorganizzazione della comunicazione all’interno della famiglia.
Successivamente, a seconda del tipo di risposta che si ottiene a queste prime manovre, si procede
alla rapida conclusione della terapia oppure, se necessario, si prosegue il trattamento seguendo il
protocollo dell’ anoressia astinente:
a. primo stadio: il primo intervento è la "connotazione positiva del sacrificio", ovvero la
definizione in positivo del ruolo del disturbo della ragazza all’interno della famiglia. Viene attuata
una vera e propria "prescrizione del sintomo": si tratta di un intervento paradossale che mette la
persona nell’incapacità di aderire alla prescrizione, proprio perché prescrive qualcosa (un
comportamento sintomatico) che di per sé è vissuto come spontaneo e irrefrenabile.
b. Secondo e terzo stadio: nel caso in cui la sintomatologia non si sblocchi e si scopra che dietro
ad un’anoressica sacrificante si nasconda in realtà un’astinente, la terapia procede seguendo il
protocollo delle astinenti (vedi oltre). È fondamentale stabilire una relazione affettiva molto intensa
con la ragazza e procedere con interventi perturbativi sulle emozioni (vedi oltre).
c.Quarto stadio (ultima seduta): l’obiettivo è consolidare l’autonomia personale della paziente


                                                                                                      39
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Libro di falabella

  • 1. Libro di Falabella: CAPITOLO I : CRITERI GENERALI PER ORIENTARSI NELLA DIAGNOSI I disturbi possono essere classificati attraverso due modalità. PER ASSI SECONDO IL DSM IV PSICOLOGIA TRADIZIONALE CHE DISTINGUE TRA DITURBI COLLOCABILI IN TRE AREE: • AREA NEVROTICA • AREA PSICOTICA • BORDER LINE CLASSIFICAZIONE PER ASSI SECONDO IL DSM IV Il sistema multiassiale è utile per la valutazione non solo dei vari disturbi della mente e delle condizioni mediche generali, ma anche per comprendere i problemi di adattamento ambientale e di funzionamento psicosociale. Gli assi sono cinque e sono così ripartiti. • Asse I: descrive i vari disturbi cinici e le diverse situazioni patologiche degne di un eventuale esame clinico. • Asse Il: tratta specificatamente i disturbi di personalità e ciò che concerne il ritardo mentale. • Asse III: offre i criteri per individuare le condizioni mediche generali. •Asse IV: elenca i problemi relativi al contesto sociale e ambientale che possono contribuire alla diagnosi, prognosi e cura dei disturbi mentali (Asse I e Asse Il). • Asse V: riguarda la valutazione globale del funzionamento che è essenziale per stabilire un piano di intervento e prevederne i risultati. Da questo quadro emerge una visione olistica dell’uomo inteso come unità bio-psico-sociale. Dagli assi si ricavano spaccati dei vari settori della realtà umana che permettono non solo una visione particolare dei singoli campi di informazione, ma anche indicazioni per l’inquadramento globale del disagio. CLASSIFICAZIONE CHE SEGUE LA METODICA PSICOLOGICA TRADIZIONALE: I criteri per orientarsi nella diagnosi sono i seguenti. a. Funzionamento dell’Io. b. Relazione con la realtà. c. Stili difensivi. d. Aree di funzionamento globale della persona. 1
  • 2. FUNZIONAMENTO RELAZIONE CON STILI DIFENSIVI AREE DI DELL’IO. LA REALTÀ FUNZIONAMENTO GLOBALE DELLA PERSONA. Un Io funzionante è in La relazione con la Gli stili difensivi Un modo per grado di svolgere le realtà è una esprimono il livello di conoscere il livello di seguenti funzioni di base: conseguenza del gravità della strutturazione dell’Io - mediare efficacemente funzionamento patologia, il livello di e la conseguente tra le istanze interne; dell’Io. Perciò strutturazione e di relazione con la realtà - mediare tra le istanze l’alterata relazione integrazione dell’Io. consiste interne e la realtà e quindi con la realtà è indice Sono evoluti nel nell’individuare la stabilire un collegamento di un Io nevrotico, primitivi aree di con l’esterno; disfunzionante. nello psicotico, funzionamento - favorire l’esame di evoluti e primitivi globale della persona, realtà; (solitamente con che riguardano, per - rimandare un’immagine prevalenza di questi esempio, l’area congruente di sé. ultimi) negli stati affettiva, l’area Perciò l’Io è responsabile limite. professionale, la cura di diversi compiti come di sé, ecc. A questo l’orientamento spazio- proposito il DSM-IV temporale, il giudizio, la propone una scala canalizzazione delle per la valutazione del pulsioni, la tolleranza funzionamento delle frustrazioni, la globale della persona percezione della gravità presente nell’Asse V e del sintomo e la una scala di percezione in generale funzionamento sociolavorativo. Inizialmente si inquadra il livello di gravità della situazione nei vari ambiti: nevrotico, psicotico e stato limite. Attraverso l’»intervista strutturale» di Kernberg si riesce a diagnosticare uno stato nevrotico, psicotico o borderline (la patologia borderline è uno stato limite) già dal primo colloquio. Tale procedimento lo si definisce «intervista strutturale» in quanto permette di definire le prime informazioni sul livello di strutturazione dell’Io e la relazione con la realtà. 2
  • 3. Vengono utilizzate tre tecniche LA CHIARIFICAZIONE LA CONFRONTAZIONE L’INTERPRETAZIONE. si domanda all’utente di si chiede all’utente di mettere Infine, attraverso chiarire quanto espresso. a confronto affermazioni l’interpretazione, si scende al appena fatte che livello dl maggiore profondità sembrerebbero essere In e si evidenziano aspetti non contraddizione. consapevoli per il soggetto IL NEVROTICO LO PSICOTICO IL BORDERLINE Il nevrotico riesce ad Lo psicotico mostra serie Il borderline riesce a affrontare le tecniche della difficoltà nel sostenere tutte e sostenere la chiarificazione e chiarificazione, tre le tecniche. talvolta la confrontazione confrontazione e interpretazione. AREA NEVROTICA potrebbero essere espressione di uno stato nevrotico i seguenti disturbi: • disturbi dell’Asse I (disturbo di panico senza agorafobia , d. di panico con agorafobia, agorafobia senza anamnesi di d. di panico, fobia specifica, fobia sociale, d. compulsivo, disturbo post- traumatico da stress, d. acuto da stress, disturbo d’ansia generalizzata). • Disturbi somatoformi dell’Asse I (disturbo di somatizzazione, disturbo somatoforme indifferenziato, disturbo algico, ipocondria e talvolta il disturbo di dismorfismo corporeo). • Disturbo istrionico di personalità dell’Asse Il. • Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità dell’Asse Il. Attraverso la sintomatologia il soggetto trova un soddisfacimènto parziale e indiretto della pulsione. L’esame di realtà e il funzionamento dell’Io sono prevalentemente conservati. Si nota uno stato di sofferenza cosciente. L’Io ha un buon livello di integrazione ed è in grado di svolgere bene le sue funzioni. Infatti è un buon mediatore con la realtà e riesce a rimandare alla persona un’immagine congruente di se stessa. Perciò la persona è consapevole dei suoi disturbi. Infatti l’Io riconosce il disturbo e ne chiarisce l’inaccettabilità. L’Io rimanda una immagine del Sé sofferente e permette all’individuo di entrare in contatto con i suoi aspetti più profondi. 3
  • 4. STILI DIFENSIVI MAGGIORMENTE UTILIZZATI RIMOZIONE FORMAZIONE REATTIVA Freud definisce la rimozione come la regina di Nella formazione reattiva, invece, si sviluppa un tutte le difese. In effetti essa è la difesa primaria comportamento opposto a quello inibito. dell’Io che scarica nell’oscuro magazzino Per esempio, il controllare compulsivamente il dell’inconscio (sfera psichica separata dalla gas potrebbe esprimere un bisogno di tenere a coscienza) tutto ciò che non è accolto dalla freno un’aggressività esplosiva. Anche il pulire soglia percettiva. Essa consiste nel processo per eccessivamente può mascherare la traduzione cui un impulso o idea lnaccettabi1i per opposta dell’agito di pulsioni percepite come l’individuo vengono resi inconsci. «sporche». Un madre di quattro figli mostrava La rimozione ha lo scopo di evitare o alleggerire un iperprotezionismo morboso solo nel i conflitti emotivi attraverso l’allontanamento confronti dell’ultimo nato. dalla coscienza delle pulsioni (sotto forma di Dall’anamnesi risultò che l’ultimo figlio era desideri, sentimenti, pensieri, ricordi) stato l’unico a non essere desiderato e che fantasticate come minacciose e dolorose. Si mentre la donna lo aspettava era tentata di tratta della difesa primaria dell’Io che sta abortire. all’origine dell’inconscio come dimensione psichica separata dalla coscienza. Tale meccanismo è alla base di tutti gli altri che vengono agiti quando la rimozione fallisce. L’lo Infatti chiarisce l’inaccettabilità delle pulsioni sfuggite alla rimozione spiegando altri meccanismi difensivi. NEGAZIONE ANNULLAMENTO E’ un «processo per cui una percezione o un È caratteristico del pensiero magico nel quale pensiero è ammesso alla coscienza in forma un’azione simbolica sostituisce un’azione negativa» . La negazione si verifica quando il inaccettabile già portata a termine, per soggetto, pur esprimendo un pensiero, E’ cancellarne il pensiero o ricordo. caratteristico del pensiero magico nel quale In questo processo il soggetto cerca così di un’azione simbolica sostituisce un’azione cancellare simbolicamente ciò che ha già inaccettabile già portata a termine, per espresso in pensieri, parole o gesti, investiti da cancellarne il pensiero o ricordo. Desiderio o pulsioni rimosse attraverso pensieri, parole o sentimento, fino ad allora rimosso, rifiuta il fatto gesti che hanno un significato opposto. Per 4
  • 5. che questo gli appartenga. Per esempio un esempio una suora, condotta al pronto soccorso soggetto potrebbe esclamare davanti a uno psichiatrico dalle consorelle, si spogliava e si stimolo ambiguo, proiettivo, come la macchia rivestiva continuamente, saliva e scendeva le riportata nella IV tavola del test di Rorschach, scale, diceva un parolaccia e un’Ave Maria, «questo potrebbe essere un orco, ma non riesco apparecchiava e sparecchiava la tavola senza a vederlo», oppure potrebbe dire «non è che sia sosta. cattivo». Mediante la rimozione, infatti, il soggetto rifiuta aspetti della realtà vissuti in modo spiacevole negandone l’esistenza. Secondo Freud la negazione è un’affermazione. Infatti negando si afferma implicitamente ciò che si nega. RAZIONALIZZAZIONE Infine nella razionalizzazione il soggetto cerca di giustificare, di dare spiegazioni coerenti dal punto di vista logico ad azioni, idee, sentimenti che esprimono pulsioni che inconsciamente sono fonte di conflitto. Per esempio un paziente potrebbe esprimere una resistenza al cambiamento, dichiarando di dover rinunciare ad alcune sedute terapeutiche o di essere giunto in ritardo per ragioni lavorative, familiari o di traffico, ma comunque indipendenti dalla sua volontà. AREA PSICOTICA Nell’area psicotica potrebbero rientrare i seguenti disturbi: • Schizofrenia • Disturbo schizofreniforme • Disturbo schizoaffettivo • Disturbo delirante • Disturbo psicotico breve • Disturbo paranoide di personalità. Tali disturbi appartengono all’Asse I. 5
  • 6. In questa dimensione si verifica un ripiegamento all’interno con la conseguente caduta di relazione con la realtà. Si assiste a fenomeni di derealizzazione (per esempio difficoltà di contatto con una realtà che appare più fluida, fumosa, meno concreta) e di depersonalizzazione (per esempio non sapere chi si è, chi comanda i propri movimenti o sentirsi distaccati da se stessi). Perciò a volte gli oggetti sembrano sfaldarsi e l’utente può riferire di sentirsi inconsistente ed etereo. La derealizzazione o la depersonalizzazione possono essere presenti anche in ambito nevrotico negli attacchi di panico e nel disturbo acuto da stress. Il soggetto può mostrare problemi di orientamento spazio- temporale. Le funzioni principali della persona sono cadute. Le Funzioni dell’Io sono disgregate. Le risorse interne sono difficili da trovare. Sono evidenti gravi problemi relazionali. In genere si presentano storie di persone che non riescono più a portare avanti i propri impegni e vivono un ritiro sociale. Lo psicotico può arrivare a non riconoscere l’identità propria e degli altri. Manca, infatti, il senso di continuità del Sé. Poiché vacilla la funzione dell’Io di giudice e ponte con la realtà, la persona non è consapevole dei propri disturbi. L’Io appare, Infatti, disfunzionante nel chiarire l’inaccettabilità del disturbo. Non si è più in presenza di uno stato di conflitto come nella nevrosi, ma di una forte angoscia che ha rotto gli argini. Grazie al meccanismo difensivo della scissione l’utente tenta di coprire l’angoscia ma spesso non ci riesce. Naturalmente gli stili difensivi utilizzati in modo massiccio esprimono l’immaturità, la frammentazione, la disintegrazione dell’Io e consistono principalmente nella scissione e nella proiezione. In sintesi le persone che utilizzano massicciamente tale stile difensivo tendono a separare gli aspetti negativi e positivi della realtà, che quindi appare sempre scissa e mai integrata. Queste persone potrebbero dividere gli altri in gruppi di buoni o di cattivi, oscillare tra idealizzazione e disprezzo e avere una visione bicromatica del mondo (tutto bianco o tutto nero). In questa visione non sono presenti le sfumature e le vie di mezzo, ma tutta la realtà viene percepita e concettualizzata in termini assoluti. La separazione del buono e del cattivo, del bello e del brutto ha lo scopo di proteggere gli aspetti positivi del Sé da quelli negativi e di evitare il conflitto che deriva dall’ambiguità della percezione integrata di se stessi e del mondo. Infine il termine proiezione deriva da proicere ossia «gettare in avanti». Infatti il soggetto esterna e sposta dall’interno all’esterno i propri contenuti mentali. Per esempio quando una persona avverte uno stato emotivo di tristezza potrebbe percepire lo stesso stato d’animo negli altri, anche se 6
  • 7. ciò non corrisponde alla realtà. Questi stili difensivi sono presenti in ogni essere umano e quindi anche in ambito nevrotico. Nella dimensione psicotica, però, essi sono un mezzo privilegiato di sopravvivenza psichica e sono utilizzati eccessivamente tanto da sterilizzare l’Io. Gli psicotici possono presentare modalità incongrue (per esempio ridere a un funerale), ma tali atteggiamenti possono, talvolta, anche essere una difesa nevrotica. STATI LIMITE O DI CONFINE Inizialmente con il termine borderline si indicavano quei disturbi che si trovano al confine tra la dimensione nevrotica e quella psicotica. Diverse classificazioni di disturbi sono stati collocati nell’area borderline a seconda degli autori. Perciò il termine borderline ha assunto differenti significati a seconda delle categorizzazioni formulate da diversi studiosi. Attualmente esiste il disturbo borderline di personalità come una specifica patologia descritta nel DSM-IV nel capitolo sui disturbi di personalità. Non è ancora chiaro quali disturbi rientrino in questa area limite. 7
  • 8. CAPITOLO II APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI GENERALI E CARATTERI DI INTERVENTO TAPPE PER UN BUON APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO 1. TEMPO Un’informazione sempre importante da porre per ogni disturbo psichico consiste nello specificare da quanto tempo è presente la sintomatologia descritta. Questo è un indice diagnostico determinante per individuare il tipo di disturbo e il suo livello di gravità. Inoltre acquisire questo dato dà la possibilità di sapere in quale periodo della vita del soggetto è insorta la sintomatologia. 2. CIRCOSTANZE Un aspetto interessante riguarda le circostanze di insorgenza del sintomo. Queste circostanze, da molti psicologi definite «iàttori scatenanti», sono in genere simbolicamente collegate con il disagio profondo e quindi possono essere una chiave di comprensione di esso. Per esempio, se il fattore scatenante è stato l’abbandono della persona amata, questo potrebbe indicare delle problematiche legate alla simbiosi e quindi a un mancato completamento del processo di separazione-individuazione. 3. ALTRI SINTOMI È importante sapere anche se si sono manifestati altri indici di malessere psichico prima dell’esordio della patologia, per meglio chiarire il quadro evolutivo del disagio e dello sviluppo della personalità in esame. 4. TERAPIE PREGRESSE Appare utile conoscere se ci sono stati precedenti percorsi terapeutici. Questo tipo di informazione potrebbe indicare diversi aspetti: come la persona finora ha tentato di fronteggiare il disagio, quali soluzioni tentate non hanno funzionato, quali eventuali aspettative sono rimaste deluse o bisogni frustrati in precedenti contesti terapeutici e quali effetti hanno avuto sull’evoluzione psichica del paziente i precedenti interventi. Inoltre è importante notare che, nel caso in cui i trattamenti terapeutici siano stati numerosi, potrebbe manifestarsi una difficoltà a mantenere un impegno stabile e/o una resistenza al cambiamento. 5. STRATEGIE PERSONALI DEL PAZIENTE È necessario conoscere le strategie finora utilizzate dalla persona per rispondere al disagio psichico evidenziando quali sono funzionali e quindi da sviluppare e quali, invece, disfunzionali e perciò da disinnescare in quanto alimentano il malessere. 6. CONTESTO RELAZIONALE È importantissimo esplorare il contesto relazionale dell’utente, sia per comprendere meglio i fattori responsabili dello sviluppo del disturbo e sia per individuare eventuali risorse esterne (per esempio membri della famiglia) con cui allearsi per un intervento terapeutico. 7. ANALISI DELLA DOMANDA Un aspetto essenziale riguarda l’analisi della domanda. In questa analisi si cerca di individuare quale reale domanda l’utente sta formulando e se può 8
  • 9. coincidere o no con quella espressa verbalmente. Quindi è importante cogliere le aspettative, i bisogni, il livello e il tipo di motivazione al colloquio presenti nella domanda posta. Il tipo di domanda determina la comprensione del disturbo, la possibile prognosi ed è alla base degli obiettivi e del percorso terapeutico scelti. A questo proposito è importante sapere se la persona viene accompagnata, o si è presentata autonomamente al colloquio, se è stata indotta da qualcuno e da chi. Conoscere questo aspetto è utile per esplorare le aspettative, il tipo di motivazione verso il colloquio, il modo in cui la persona pone il problema e il grado di autonomia. 8. PERCHE’ CHIEDE AIUTO IN QUESTO MOMENTO È utile sapere, inoltre, come mai l’utente stia esprimendo una richiesta d’aiuto proprio ora (forse vi è un’acutizzazione del sintomo, stanno crollando le precedenti difese, vi sono ulteriori «fattori scatenanti», è un momento di crescita della persona, di passaggio verso una nuova fase della vita, ecc.). Altre informazioni importanti sono relative ai vantaggi secondari della sintomatologia che contribuiscono a rafforzarla e a mantenerla. 9. FORMULAZIONE INTERVENTO E METODO Basilare è la formulazione di un piano di intervento che specifichi il metodo e gli obiettivi. Per metodo si intende la scelta del tipo di psicoterapia (per esempio cognitivo-comportamentale, psicodinamica, sistemica) e come va-condotta (per esempio con quale frequenza). 9
  • 10. CAPITOLO III : DISTURBI D’ANSIA I DISTURBI DI ANSIA ANALIZZATI SONO 1. Attacco di panico 2. Disturbo di panico senza agorafobia 3. Disturbo di panico con agorafobia 4. Agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico 5. Fobia specifica, 6. Fobia sociale 7. Disturbo ossessivo-compulsivo 8. Disturbo post-traumatico da stress 9. Disturbo acuto da stress 10. Disturbo d’ansia generalizzato. Ognuno di questi disturbi rientra, in modo più o meno grave, nella dimensione nevrotica. L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborano. È una forma di paura, un campanello d’allarme lanciato dall’Io che avverte un pericolo che va individuato. E' una emozione di allarme/paura, collegata a pensieri di anticipazione di un pericolo, e che comporta una significativa attivazione di diversi organi e apparati (cuore, vasi, sistema respiratorio, sistema endocrino, sistema nervoso centrale e periferico). Il complesso di questi fenomeni viene spiegato dalla reazione al pericolo e, dunque, dall'attivazione di un meccanismo noto come attacco-fuga. In questi disturbi in genere le aree di funzionamento generale della persona sono prevalentemente conservate o compro- messe in modo circoscritto. L’Io continua a svolgere le sue funzioni anche se con disagio e difficoltà. Il rapporto con la realtà appare quindi mantenuto. Per tutti i disturbi d’ansia può essere applicata una terapia espressiva, visto il buon contatto con la realtà presente nei soggetti. Tre approcci terapeutici sono largamente utilizzati per il trattamento di questi disturbi: comportamentale, cognitivo-comportamentale, psicodinamico e talvolta sistemico. 10
  • 11. ATTACCO DI PANICO CRITERI DIAGNOSTICI Il DSM-IV circoscrive l’attacco di panico a un: Breve periodo preciso in cui l’individuo viene improvvisamente travolto da uno stato di terrore, spesso legato all’urgenza di fuggire di fronte a eventi ritenuti catastrofici e incombenti. I sintomi, descritti nel DSM-IV raggiungono il picco in dieci minuti e sono almeno quattro fra i seguenti: • Palpitazioni • Sudorazione • Tremori • Dispnea • Dolore o fastidio al petto • Nausea o disturbi addominali • Sensazione di sbandamento • Instabilità • Svenimento • Testa leggera • Derealizzazione (senso di irrealtà) • Depersonalizzazione (essere staccati da se stessi) • Paura di perdere il controllo o di impazzire • Paura di morire • Parestesie • Sensazioni di torpore o formicolio • Brividi • Vampate di calore • Vertigini. Non si tratta di un disturbo codificabile e quindi bisogna individuare la diagnosi specifica nell’ambito della quale si manifesta l’attacco di panico, come per esempio disturbo di panico con agorafobia. Nella storia delle persone che soffrono di questo disturbo spesso sono presenti eventi stressanti, o la separazione da figure significative prima dell’insorgenza dell’attacco di panico. Secondo una lettura psicodinamica il soggetto non riesce nei momenti di difficoltà a fare appello a un’immagine interna positiva per contenere l’ansia, perché in lui è scarsamente sviluppata la costanza dell’oggetto. 11
  • 12. La sintomatologia è soprattutto organica e assomiglia a quanto si prova nelle prime fasi di un infarto. Talvolta l’utente viene condotto al pronto soccorso in quanto il suo disturbo viene equivocamente interpretato come un malessere di carattere cardiologico. Si presentano, infatti, problemi al livello del miocardio, coronarici, sbalzi di pressione, capogiri, senso di morte imminente, annebbiamento della vista. L’utente può svenire, non sapere più chi è. Si verifica un travaso improvviso di ansia che la persona non riesce a contenere. Tutto ciò provoca l’impressione di morire, di disintegrarsi e di impazzire. Il disturbo non appartiene a una dimensione psicotica perché il soggetto, appena ripresosi, ha un buon contatto con la realtà. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Il tipo di conflitto espresso attraverso l’attacco di panico è il punto centrale da esplorare. A questo proposito è utile raccogliere informazioni sulle circostanze di insorgenza del sintomo. Per esempio, sapere dove si stava recando l’utente o dove si trovava nel momento di insorgenza del sintomo può offrire indicazioni sulla possibile area di conflitto (per esempio si stava recando al lavoro, dalla madre, dalla moglie, ecc.). Esemplificativo è il caso di un uomo che, in procinto di sposarsi, aveva iniziato a soffrire di questo disturbo nella sua auto. Dall’anamnesi si è riscontrato che gli attacchi insorgevano quando il soggetto si recava dalla madre che disapprovava il matrimonio. Una donna sentimentalmente sola, invece, subiva gli attacchi di panico, ogni volta che parlava dell’adolescenza dell’unico figlio, esprimendo forse un’angoscia incontenibile di separazione. Poiché gli attacchi di panico spesso si presentano in situazioni di separazione è importante esplorare le tematiche legate alla dipendenza. La situazione in cui avviene l’attacco di panico sarà probabilmente quella di cui poi il soggetto avrà paura. Se vi è una fobia legata a una situazione è importante indagare se si è verificata a seguito di un attacco di panico in quella circostanza. importante indagare anche sul motivo per cui il soggetto chiede un colloquio clinico proprio ora (forse stanno fallendo le precedenti difese verso il conflitto). A questo proposito è importante operare l’analisi della domanda che l’utente sta formulando cercando di capire chi lo ha spinto a cercare aiuto. Frequentemente nel caso dell’attacco di panico l’utente è indotto da un medico, in quanto la sintomatologia è prevalentemente organica, quindi non è detto che la persona sia motivata a un intervento di tipo psicologico. IPOTESI DI INTERVENTO L’attacco di panico, presente in diversi disturbi d’ansia, non è un disturbo codificabile, quindi l’intervento terapeutico si baserà sulla codificazione della diagnosi specifica nell’ambito della quale si manifesta l’attacco di panico. 12
  • 13. FARMACI PER L’ATTACCO DI PANICO L’aspetto centrale nel trattamento (farmacologico, ndr) del Disturbo di Panico è il blocco farmacologico degli attacchi di panico spontanei. Con il trattamento farmacologico un’alta percentuale di pazienti presenta un miglioramento dei sintomi a volte “clamoroso”, ma è altrettanto importante che la persona che soffre di panico comprenda che il farmaco blocca gli attacchi di panico, ma NON riduce necessariamente il livello della cosiddetta “ansia anticipatoria”: in poche parole, sebbene gli attacchi di panico possano essere diminuiti o anche spariti per mezzo di una adeguata terapia farmacologica, nondimeno può persistere una preoccupazione eccessiva che il panico si ripresenti in determinate situazioni. (Vedi Terapia ansia e panico). Nello sviluppo di una terapia efficace a contrastare la sintomatologia di questo disturbo è stato riscontrato che molti dei farmaci originariamente utilizzati nella terapia della depressione erano altrettanto efficaci nel trattamento del Disturbo di Panico, in particolare gli SSRI. La loro documentata efficacia e il profilo di sicurezza hanno fatto in modo che essi rappresentino attualmente il trattamento di prima scelta per questa problematica. Ciascuno degli SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina, fluvoxamina, citalopram, escitalopram) richiede in media un tempo dalle 3 alle 8 settimane di somministrazione prima di fornire una risposta terapeutica al Disturbo di Panico, ed inoltre tutte queste sostanze sembrano avere all’incirca la medesima efficacia. I pazienti con Disturbo di Panico tendono ad essere più sensibili alla somministrazione degli SSRI di quanto non lo siano i pazienti depressi, potendo infatti sviluppare nervosismo o un transitorio peggioramento del panico all’inizio del trattamento. Infatti, fino al 40% dei pazienti affetti da DAP accusa questa “sindrome di attivazione” all’inizio della terapia. Per questo motivo è opportuno iniziare il trattamento ad un dosaggio inferiore rispetto a quello utilizzato nei pazienti depressi. Nel corso del trattamento le dosi andranno poi aumentate fino all’ottenimento della remissione sintomatologia. Gli effetti collaterali di questi farmaci sono generalmente: nausea, diarrea, agitazione, secchezza delle fauci, visione offuscata, vertigini, disfunzione sessuale (maschile e femminile) e sonnolenza. Tali effetti sono sovente transitori e, nella maggior parte dei casi, perdurano per pochi giorni. Ciò è dovuto alla necessità di adattamento del proprio corpo alla nuova condizione indotta dall’utilizzo del farmaco. Gli effetti sulla funzione sessuale (che possono perdurare, in alcuni soggetti, per tutto il tempo del trattamento farmacologico) sono da prendere accuratamente in considerazione, se si verificano, perché comportano un peggioramento della qualità di vita. In questo caso vanno sempre bilanciati i 13
  • 14. “costi/benefici” del trattamento essendoci la possibilità di usufruire di numerosi farmaci. Buona prassi è quella di associare, almeno nel primo mese o mese e mezzo del trattamento, una benzodiazepina (BDZ) prevalentemente l’alprazolam. Questa modalità di somministrazione è sostenuta da due buone motivazioni: la prima è che consente un rapido sollievo al paziente fino a quando l’SSRI non ha esercitato completamente la sua efficacia, la seconda è che “copre” gli eventuali effetti collaterali transitori degli SSRI durante il primo periodo di trattamento (soprattutto la cosiddetta “sindrome di attivazione”). L’alprazolam è una benzodiazepina che si è rivelata estremamente efficace nel Disturbo di Panico e necessita di una somministrazione dalle 3 alle 5 volte al giorno. Le Benzodiazepine possono inoltre essere utili per completare il trattamento dei pazienti o per trattare il momento acuto del malessere. Spesso vengono anche indicati con il nome di “farmaci da borsetta” per sottolinearne l’utilizzo estemporaneo durante le crisi. Alcune problematiche in cui si può incorrere dopo un uso prolungato di questi farmaci sono lo sviluppo di una progressiva tolleranza (cioè la necessità di utilizzare dosi maggiori del farmaco per ottenere lo stesso risultato terapeutico) e, alla sospensione del trattamento, una sindrome da astinenza caratterizzata del possibile ritorno dell’ansia. Sebbene gli SSRI siano i farmaci considerati di prima scelta nel trattamento del DAP e siano formalmente approvati per tale uso, anche altri “nuovi” antidepressivi, con diverso meccanismo d’azione, possono dimostrarsi efficaci a tale scopo. Tra questi troviamo principalmente la venlafaxina (SNRI) e la mirtazapina (NaSSA). Sono farmaci che vanno considerati come interventi di seconda scelta nel trattamento del Disturbo di Panico. L’ultima classe farmacologica da considerare per la terapia del DAP è quella degli antidepressivi triciclici, all’interno della quale si sono rivelate particolarmente efficaci la clomipramina e l’imipramina. Questi farmaci hanno pochi o nessun vantaggio nei confronti degli SSRI nel trattamento di questa condizione sebbene occasionalmente vi siano pazienti che rispondono meglio a un triciclico rispetto agli SSRI. La condizione che ne fa farmaci di seconda scelta è la presenza di maggiori effetti collaterali tra cui stipsi, visione offuscata, xerostomia (secchezza delle fauci), ipotensione, vertigini, aumento del peso corporeo e sonnolenza. Anche in questo caso spesso gli effetti collaterali sono nella maggioranza dei casi transitori. Il problema più importante che riguarda questi farmaci, invece, è la loro incidenza sul sistema cardio- circolatorio che, in alcuni casi, ne sconsiglia l’utilizzo in soggetti affetti da patologie cardiache. La durata del trattamento, affinché si raggiunga un adeguato controllo della terapia, non dovrebbe essere inferiore a 6-8 mesi, seguita da una sospensione graduale del farmaco. 14
  • 15. In caso di una brusca sospensione della terapia farmacologica si può andare incontro a quella che è definita “sindrome da sospensione di antidepressivi”, caratterizzata da vertigini, ansia e agitazione, insonnia, abbassamento del tono dell’umore, cambiamenti dell’umore, nausea e altri sintomi gastrointestinali. Raramente comunque questi sintomi perdurano per più di un paio di settimane. Se dovessero prolungarsi è opportuno riprendere il trattamento e poi ridurlo gradualmente onde evitare questa condizione. DISTURBO DI PANICO SENZA AGORAFOBIA CRITERI DIAGNOSTICI Il disturbo è caratterizzato da frequenti attacchi di panico, che appaiono all’improvviso, e dalla continua preoccupazione della minaccia del loro ritorno. Questo disturbo non va confuso con fobia sociale, fobia specifica, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo post-traumatico da stress, disturbo d’ansia di separazione APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Naturalmente le informazioni utili da raccogliere per il disturbo di panico senza agorafobia sono simili a quelle per l’attacco di panico. In particolare è utile conoscere la frequenza degli attacchi e da quanto tempo si presentano, se vi sono circostanze di insorgenza comuni tra i vari attacchi, la situazione e il periodo in cui si è verificato in particolare il primo attacco. Per accertare la gravità del disturbo è opportuno controllare un’eventuale compromissione delle aree di funzionalità della persona. IPOTESI DI INTERVENTO TERAPEUTICO In questo disturbo si può applicare una terapia prevalentemente espressiva a orientamento psicodinamico, in quanto la persona ha conservato l’esame di realtà (tranne che nel momento dell’attacco acuto) ed è quindi in grado di stabilire un transfert e lavorare con le interpretazioni transferali e controtransferali. L’utente dovrebbe essere in grado di sviluppare un processo di consapevolizzazione e di riflessione sul proprio stato di sofferenza psichica. L’obiettivo è quello di evidenziare e rielaborare i termini del conflitto espresso dalla sintomatologia. Inoltre è essenziale favorire, attraverso il transfert, l’interiorizzazione di un oggetto buono, costante, con elevata capacità contenitiva, a cui fare appello nei momenti di difficoltà. Anche elementi supportivi possono essere utili per il rafforzamento e il contenimento interno. Appare fondamentale promuovere il processo di separazione- individuazione 15
  • 16. AGORAFOBIA CRITERI DIAGNOSTICI Come per l’attacco di panico l’agorafobia non è un disturbo codificabile e quindi va precisato il disturbo specifico in cui si manifesta: disturbo di panico con agorafobia, agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico. Il soggetto prova una forte ansia quando si trova in situazioni dalle quali gli sembra difficile o imbarazzante allontanarsi e teme di non poter ricevere aiuto se viene colto da un attacco di panico. L’attacco temuto si manifesta soprattutto quando la persona è sola e lontana dai suoi punti di riferimento come la casa. Si registrano esempi di persone in preda a tale attacco in luoghi affollati (per esempio lunghe code) o in mezzi di trasporto (per esempio treni, autobus, auto). La persona per evitare l’evento temuto cerca di limitare al massimo gli spostamenti e quando è costretta a uscire si fa accompagnare da qualcuno. Inoltre i soggetti riferiscono spesso di sentirsi come sospesi senza il terreno sotto i piedi, di avvertire il baricentro spostato, di provare smarrimento, di non saper dove andare e di provare una sensazione di mancanza d’aria. Secondo la concezione psicodinamica l’utente è molto dipendente e soffre di angoscia abbandonica. Ha un’aggressività rimossa molto forte. Lo spazio esterno e la folla simboleggiano la caduta dei confini interni. L’agorafobia si può presentare in presenza o meno dell’attacco di panico, può essere reattiva all’attacco di panico oppure, nel caso di agorafobia senza anamnesi da attacco di panico l’utente vive nell’angoscia che l’attacco possa giungere. Il soggetto non esce da solo ma si fa accompagnare o delega. Dismette funzioni essenziali legate all’autonomia e così entra in uno stato di dipendenza. Si può trattare di una persona estremamente aggressiva che lotta tra il bisogno di dipendenza e di indipendenza, accusa molto gli altri dei suoi limiti, della sua incapacità di autonomia. Agorafobia e claustrofobia fanno parte di un unicum, di una stessa dimensione. Vi sono aspetti agorafobici nel claustrofobo e viceversa. Bisogna individuare quale aspetto prevale. L’agorafobico quindi ha anche spunti clausfrobici: infatti egli soffre se si trova tra la folla al chiuso e riferisce di provare malessere nei posti dove si sente ingabbiato senza possibilità di fuga. Bisogna osservare la predominanza del sintomo. Se l’ansia prevale negli spazi aperti il disturbo può essere definito come agorafobia, anche se può avere implicanze clausfrobiche. Se, invece, i sintomi che prevalgono riguardano la paura degli spazi chiusi si tratta di claustrofobia. Mentre l’agorafobico generalmente riesce ad affrontare gli spazi aperti se accompagnato, il claustrofobico non si farebbe mai chiudere in ascensore (rappresentazione, a seconda delle interpretazioni, della tomba e/o 16
  • 17. dell’utero materno) neanche con altre persone. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Risulta essenziale esplorare il conflitto tra dipendenza e indipendenza presente nell’agorafobico. Appare necessario domandarsi quale sia l’altro dominante da cui l’agorafobico dipende, dal quale ha paura di essere inglobato e dal quale cerca lo svincolo ma anche la vicinanza. L’altro dominante è stato sostituito e da chi? Per esempio una donna potrebbe sostituire il padre perso con il marito. È utile quindi sapere chi è la persona che accompagna l’agorafobico e quali vantaggi secondari l’utente ottiene dall’essere accompagnato da questa persona (forse vi è il bisogno di controllarlo?). Dobbiamo anche chiederci quali sono i vantaggi secondari dell’accompagnatore. Bisogna porre infatti attenzione al contesto relazionale entro il quale si è sviluppata l’agorafobia. Per esempio il marito può sentirsi sicuro pensando che la moglie resta in casa. Se la moglie, invece, riesce a uscire si potrebbe creare una destabilizzazione di coppia. In genere l’agorafobia si sviluppa in un sistema in cui vi è una persona che ha bisogno di funzionare come ausiliario (chi accompagna l’agorafobico). Il disturbo potrebbe essere un modo per avere il controllo di sé e dell’altro e di sadicizzarlo (infatti l’accompagnatore si logora e si estenua). Spesso la patologia sorge per negare la separazione in seguito a una perdita che costituisce il fattore scatenante. Sono presenti infatti problemi legati al processo di differenziazione e autonomia e non di rado all’elaborazione di un lutto. Per quanto riguarda l’analisi della domanda è importante sapere se la persona ha richiesto autonomamente l’intervento di tipo psicologico o è stata «spinta» da un’altra persona (spesso l’accompagnatore estenuato!). Questo è interessante per comprendere le aspettative e il livello di motivazione verso un eventuale intervento terapeutico. IPOTESI DI INTERVENTO L’intervento terapeutico dipende dalla codifica della diagnosi in cui si manifesta l’agorafobia (agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico e disturbo di panico con agorafobia). L’agorafobia si manifesta in ambito nevrotico e quindi il rapporto con la realtà è prevalentemente conservato, ciò permette di applicare una terapia con enfasi espressiva in quanto la persona è in grado di lavorare con le interpretazioni e di accedere ad aspetti di profondità, anche se non completamente consapevoli. In letteratura sono utilizzati soprattutto tre approcci terapeutici: cognitivo-comportamentale, sistemico e psicodinamico. Nel primo approccio si tende a sostituire pensieri e risposte disfunzionali con pensieri e risposte funzionali. 17
  • 18. Nell’approccio sistemico si cerca di modificare l’equilibrio patogeno del nucleo, mantenuto funzionalmente dal disturbo del «capro espiatorio», rielaborando le tematiche di dipendenza e favorendo lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema. Infine, nell’approccio psicodinamico, l’obiettivo consiste nel rielaborare i termini del conflitto tra dipendenza e indipendenza, superare la simbiosi, favorire lo sviluppo dell’autonomia e l’eventuale elaborazione del lutto, rafforzare i confini interni e canalizzare l’aggressività DISTURBO DI PANICO CON AGORAFOBIA CRITERI DIAGNOSTICI Il disturbo è caratterizzato sia da frequenti attacchi di panico che da agorafobia. Molte delle persone che soffrono di attacchi di panico presentano anche sintomi di agorafobia. Quando l’attacco di panico crea un’insorgenza agorafobica la persona colpita incomincia a chiedere di essere accompagnata durante le uscite, oppure delega qualcuno a sostituirla nello svolgimento di varie commissioni. Si verifica di conseguenza una grave menomazione dell’autonomia del soggetto che risulta invalidato in alcune aree della propria funzionalità. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI E’ utile indagare se l’agorafobia è stata conseguente, e quindi reattiva, all’attacco di panico. IPOTESI DI INTERVENTO Come sopra esposto FOBIA SPECIFICA CRITERI DIAGNOSTICI La fobia specifica «è caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione a un oggetto o a una situazione temuti, che spesso determina condotte di evitamento» (DsMiv, p. 435). La persona riconosce l’eccessività e l’irragionevolezza della paura che comunque non riesce però a controllare. Secondo una visione psicodinamica ogni fobia ha una componente di repulsione e di attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto. Quando dei pensieri proibiti sessuali o aggressivi che potrebbero portare a una ritorsione punitiva minacciano di emergere dall’inconscio, viene attivato un segnale d’ansia che porta allo spiegamento di tre meccanismi di difesa: spostamento, proiezione ed evitamento. Tali difese contengono l’ansia nmuovendo il desiderio proibito. Il prezzo del controllo dell’ansia è la creazione di una nevrosi fobica. In sintesi, gli oggetti e le situazioni temuti rappresentano oggetti interni paurosi. La paura 18
  • 19. viene proiettata e spostata sull’oggetto esterno in modo da poterla controllare (infatti in questo modo diventa circoscritta ed evitabile). L’evitamento (stile difensivo pnvilegiato) contribuisce all’aumento della paura e quindi del blocco emotivo verso quel particolare oggetto o situazione. Illustriamo ora alcuni tipi di fobie descritti dal DSM-IV. Tipo animali. Il soggetto mostra un’esagerata paura verso uno o più generi di animali. L’esordio del disturbo avviene nell’infanzia. In genere gli animali simboleggiano la pulsionalità pura senza il controllo della ragione. Si teme, infatti, il contatto con i propri contenuti emotivi che non si riescono a gestire correndo il rischio di perderne il controllo. Tipo ambiente naturale. In questo caso occorre specificare se la paura viene provocata da elementi dell’ambiente naturale come temporali, altezze, acqua. L’esordio della fobia generalmente si verifica nell’infanzia, epoca nella quale predomina il pensiero magico. Tipo sangue-iniezioni-ferite. È necessario specificare se la paura viene scatenata alla vista del sangue, o delle ferite, o da procedure mediche invasive come l’iniezione. La paura del sangue può essere legata a contenuti aggressivi inaccettati. La paura delle iniezioni, invece, può essere collegata a tematiche aggressive e/o a contenuti ipocondriaci. Tipo situazionale. All’interno di questa categoria possono presentarsi svariati tipi di fobie a seconda della situazione specifica come il trovarsi nei trasporti pubblici, tunnel, ascensori, ponti, mezzi volanti, alla guida di vetture o in luoghi chiusi. L’esordio della fobia avviene con un primo picco nell’infanzia e un altro verso i 25 anni. Altri tipi. Esistono altri diversi tipi di fobie tra le quali la paura di precipitare quando si è lontano da mezzi di supporto fisico come i muri. Rumori forti e personaggi in maschera possono provocare fobie soprattutto nei bambini. Esistono fobie anche verso le situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare o sviluppare un malattia. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Chiaramente è opportuno indagare quali sono gli oggetti o situazioni temuti e il loro significato simbolico nel vissuto del soggetto. È importante esplorare il conflitto espresso attraverso l’ansia di evitamento di oggetti o situazioni temuti. A questo proposito è significativo indagare sugli oggetti paurosi interni e su eventuali pulsioni inaccettate. Per comprendere il disturbo è essenziale conoscere il periodo e le circostanze di insorgenza del sintomo. È importante sapere quali sono state le modalità che l’utente finora ha messo in atto per non vivere la fobia, come mai ha richiesto un colloquio psicologico proprio ora e quali sono gli eventuali vantaggi secondari del disturbo. 19
  • 20. IPOTESI DI INTERVENTO La persona conserva un buon rapporto con la realtà e funzionamento dell’Io. Infatti il soggetto è consapevole dell’irragionevolezza ed eccessività del proprio stato ansiogeno verso la situazione temuta. Perciò può essere indicata una terapia prevalentemente espressiva, in quanto la persona è in grado di sviluppare un processo di consapevolizzazione e rielaborazione delle proprie problematiche. Gli interventi largamente utilizzati in letteratura per le fobie seguono l’approccio cognitivo-comportamentale e quello psicodinamico. Nell’approccio cognitivo-comportamentale le risposte comportamentali ed emotive dipendono dal significato che viene attribuito allo stimolo. Secondo l’ottica cognitiva l’intervento terapeutico è centrato sull’individuazione dei pensieri disfunzionali, irrazionali, la loro messa in discussione (per esempio attraverso vari tipi di dispute) e la sostituzione con pensieri alternativi razionali, funzionali. Attraverso le tecniche comportamentali si tenta di sostituire le risposte disfunzionali con quelle funzionali (per esempio de- sensibilizzazione sistematica verso lo stimolo, immersione graduata nelle situazioni ansiogene ecc.). L’obiettivo dell’approccio psicodinamico è quello di rielaborare i termini del conflitto rappresentato simbolicamente dall’oggetto temuto. Si tenta di individuare e favorire la canalizzazione delle pulsioni inaccettate che determinano lo stato conflittuale. Si cerca inoltre di riparare gli oggetti interni temuti con l’interiorizzazione di un oggetto buono sufficientemente contenitivo. FOBIA SOCIALE CRITERI DIAGNOSTICI Secondo il DSM-IV la fobia sociale è caratterizzata da una eccessiva ansia suscitata da situazioni o prestazioni sociali che, come avviene in tutte le fobie, spesso determina condotte di evitamento. L’individuo riconosce l’irragionevolezza ed esagerazione del proprio timore ma tuttavia non riesce a controllarlo e a preservare del tutto le aree di funzionamento globale. In questo caso è presente un conflitto tra l’esibirsi e il non esibirsi, il mostrarsi e il nascondersi. L’esibizione viene colpevolizzata. Il soggetto prova il desiderio di esibirsi per cui si colpevolizza e si vergogna. Il fobico sociale è forse, in un certo senso, un esibizionista mancato APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Riveste un notevole interesse sapere quali sono le situazioni sociali in particolar modo stimolatrici di disagio e cosa rappresentano per il soggetto, quale vissuto suscitano (per esempio paure, ritorsioni punitive, svalutazione di sé, angoscia di castrazione, ecc.). 20
  • 21. Inoltre è importante esplorare le componenti relazionali dello sviluppo del disturbo, oltre a indagare come sono state vissute ed elaborate dal soggetto le tematiche legate all’esibirsi, al mostrarsi, e in che modo sono state poste dalle figure di riferimento. Secondo la concezione psicodinamica è importante esplorare la fase fallico-edipica dove predomina il tema dell’esibizione e delle relative angosce castratorie. Come per gli altri disturbi è essenziale conoscere il periodo e le circostanze di insorgenza della sintomatologia. IPOTESI DI INTERVENTO La persona mostra un buon contatto con la realtà e riconosce che la sua paura è irragionevole ed eccessiva. Può quindi essere applicabile una terapia con enfasi espressiva. Spesso vengono utilizzate tecniche comportamentali di immersione graduata nelle situazioni ansiogene e di decondizionamento verso le situazioni sociali temute. L’approccio psicodinamico tende invece a favorire un processo di consapevolizzazione e di elaborazione dei termini del conflitto e a promuovere l’affermazione individuale. DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO CRITERI DIAGNOSTICI Secondo il DSM-IV il disturbo è caratterizzato da almeno sei mesi di ansia e preoccupazioni difficilmente controllabili, smisurate e ripetute che riguardano una pluralità di tematiche (per esempio prestazioni lavorative, futuro dei figli ecc.) e sono presenti per la maggior parte della giornata. Queste preoccupazioni possono compromettere negativamente il sonno, l’umore (irritabilità, ansia), il corpo (facile affaticabilità, tensione muscolare) e la concentrazione. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI L’aspetto centrale da esplorare riguarda il conflitto e le pulsioni sottostanti la sintomatologia ansiosa. È importante sapere da quanto tempo si è presentato il disturbo, quali sono state le circostanze di insorgenza del sintomo e su quali tematiche verte principalmente l’eccessiva preoccupazione del soggetto. A questo proposito può essere d’aiuto raccogliere informazioni sui momenti della giornata (per esempio mattina presto prima di andare a lavoro) e circostanze in cui la sintomatologia diviene più acuta. L’ansia è in genere un segnale di pericolo e quindi è opportuno indagare quali sono gli aspetti del Sé che la persona teme possano essere minacciati e da cosa sta cercando faticosamente di proteggersi. Per accertare il livello di gravità del disturbo e le risorse della persona è utile conoscere il livello di compromissione delle aree di funzionalità generale, gli stili difensivi messi 21
  • 22. in atto e la percezione di sé. IPOTESI DI INTERVENTO Anche in questo caso il rapporto con la realtà è ben conservato e quindi può essere consigliabile una terapia prevalentemente espressiva, ma con aspetti di supporto. Gli approcci più utilizzati sono due: cognitivo-comportamentale e psicodinamico. Nel primo approccio si tende a lavorare sulla sostituzione di pensieri funzionali a quelli disfunzionali, fonti di ansia eccessiva, e a modificare le risposte associate utilizzando, per esempio, tecniche di desensibilizzazione verso gli stimoli ansiogeni. Nell’approccio psicodinamico si mira a sviluppare la costanza dell’oggetto buono con alto valore contenitivo, attraverso l’interiorizzazione dell’immagine del terapeuta a cui fare appello nei momenti di difficoltà, e ad aumentare il livello di autostima. Si tende, inoltre, a favorire un processo di separazione-individuazione. PSICOTERAPIA DELL’ANSIA Il trattamento dei disturbi d'ansia ed in particolare del Disturbo di Panico rappresentano certamente un fiore all'occhiello della psicoterapia cognitivo comportamentale che ha accumulato negli anni un gran numero di prove scientifiche di efficacia anche nel lungo termine. Chi soffre di ansia generalizzata tende a pensare di essere "sempre" in ansia. In realtà non è vero. I primi passi della terapia cognitivo-comportamentale dell'ansia generalizzata vertono appunto sul: Riconoscimento di episodi o picchi di ansia legati a specifiche situazioni e/o pensieri. L'individuazione di tali pensieri, detti automatici, che sono spesso legati a preoccupazioni molto specifiche, consente dunque di iniziare un lavoro di approfondimento che mira a sua volta ad individuare alcune convinzioni disfunzionali di fondo. Queste convinzioni sono sottoposte ad un lavoro di ristrutturazione che consiste nell'esplorazione di tali convinzioni e nella loro ristrutturazione in chiave più realistica, mettendo in discussione le "prove" di queste convinzioni, sperimentandone concretamente l'inconsistenza attraverso veri e propri esperimenti comportamentali, individuando le ipotesi alternative, e imparando a distinguere tra specifici comportamenti e giudizi globali su se stessi. La consapevolezza ed il superamento di questi pensieri disfunzionali può aiutare la persona non solo ad affrontare la vita con meno ansia, ma anche a cambiare alcuni aspetti importanti della propria vita e del rapporto con gli altri. Allo stesso modo possono essere monitorati tutti gli episodi di ansia con un diario dell'ansia in cui siano annotati i fatti e le circostanze, i pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche, prima durante e dopo l'episodio o il picco d'ansia. A questo punto, grazie a degli strumenti di lavoro molto efficaci e 22
  • 23. molto ben sperimentati, è possibile individuare degli elementi comuni a queste preoccupazioni come, ad esempio, l'idea di essere responsabili degli incidenti temuti, per non aver fatto abbastanza per evitare taluni pericoli o rischi. Infine, alla base di questi pensieri possono essere identificate delle convinzioni più profonde come, ad esempio, l'idea di essere una persona "avventata", e dunque inadeguata. La ristrutturazione di questa convinzione profonda, potrebbe aiutare la persona non solo a superare i sintomi di ansia, ma anche a vivere e progettare la propria vita in modo più propositivo, pieno ed autentico. PSICOTERAPIA DEL DISTURBO DI PANICO La psicoterapia del Disturbo di Panico ha delle peculiarità legate alla presenza di: 1. Un circolo vizioso caratteristico di ansia anticipatoria a cui segue l'interpretazione catastrofica di determinati sintomi che genera a sua volta ulteriore ansia. 2. Il comportamento di evitamento conseguente. Per risolvere il disturbo, dunque, non è sufficiente capire se stessi e ristrutturare le convinzioni inadeguate, è necessario altresì spezzare il circolo vizioso - che è spesso talmente "automatizzato" da avviarsi rapidamente e quasi senza preavviso - ed è indispensabile abbandonare la tendenza all'evitamento. Anche per la terapia del Disturbo di Panico è pertanto utile il lavoro cognitivo di individuazione e ristrutturazione dei pensieri catastrofici e delle convinzioni disfunzionali, ma è indispensabile aggiungere un lavoro ulteriore di riapprendimento comportamentale-emotivo chiamato desensibilizzazione. Pertanto, gli strumenti tecnici adoperati dai terapeuti specificamente per il trattamento del Disturbo di Panico sono: La ristrutturazione delle idee catastrofiche è, come si è detto, un insieme di tecniche che mirano a mettere in discussione alcune idee e convinzioni disfunzionali. Nel caso del d. di panico le più tipiche sono: l'idea di impazzire, di perdere il controllo, di morire o di avere un grave malore, di svenire, di fare qualcosa di imbarazzante davanti agli altri, di non essere soccorso. La componente cognitiva del trattamento può toccare anche alcune convinzioni più profonde ed insidiose che riguardano l'idea di se stessi fragili ed incapaci di esplorazione autonoma. Questo aspetto del lavoro psicoterapeutico ha a che fare con le nostre conoscenze sull'attaccamento. La desensibilizzazione viene effettuata classicamente soprattutto grazie ad un training di esposizione che mira a far sperimentare la caduta naturale della reazione ansiosa anche se esposti ad alcune situazioni, che tipicamente vengono evitate nel timore di provare ansia o di avere nuovi attacchi. 23
  • 24. Le tecniche di rilassamento sono utili per apprendere ad aver fiducia nella capacità innata di auto- rassicurarsi e rifugiarsi in uno spazio interiore di sicurezza. PSICOTERAPIA DELLE FOBIE L'aspetto centrale della psicoterapia delle fobie è la desensibilizzazione. Come già detto, si intende per desensibilizzazione la riduzione sino alla scomparsa di ansia quando si è esposti all'oggetto o alla situazione fobica. La teoria classica - di origine comportamentista -della desensibilizzazione tiene conto della osservazione che quando si permane in contatto con l'oggetto o la situazione che attivano l'ansia, questa spontaneamente si riduce. Immaginate, ad esempio, di avere paura del buio. Se vi chiudete volontariamente in una stanza buia avrete inizialmente molta ansia. Ma poi, lentamente, l'ansia tende spontaneamente a ridursi. Come se prendeste lentamente confidenza con questa condizione sino a non esserne più spaventati e dunque a considerare la situazione in modo più realistico. Questa osservazione alla base degli interventi di desensibilizzazione sistematica che prevedono l'esposizione progressiva alla situazione fobica. In altri termini, questo tipo di terapia prevede l'esposizione per tempi sempre maggiori alla situazione fobica oppure l'esposizione sempre pi_ massiccia all'oggetto o alla situazione fobica. Ad esempio, chi ha paura dei cani, potrebbe iniziare a vedere foto di cani, poi potrebbe vedere dei film con cani,poi può entrare in contatto con cani veri a distanza di sicurezza, ed infine avvicinarsi al cane e, ad esempio, carezzarlo. E così via. Una variante molto apprezzata dai terapeuti l'esposizione immaginativa. Grazie a questa tecnica, chi soffre di fobia viene condotto ad immaginare gli oggetti o le situazioni fobiche, dopo aver raggiunto uno stato di sufficiente rilassamento. Quando l'esposizione immaginativa è conclusa, risulta molto più agevole l'esposizione alla situazione reale. Sebbene la base della psicoterapia delle fobie rimanga a tutt'oggi la desensibilizzazione, molti terapeuti preferiscono affiancare a questo intervento, anche un lavoro di rielaborazione delle esperienze traumatiche connesse alla fobia. Questa componente della psicoterapia si può avvalere di tecniche derivate dalla psicoterapia ipnotica e dell'EMDR 24
  • 25. DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO CRITERI DIAGNOSTICI Il DSM-IV definisce il disturbo ossessivo-compulsivo come un disturbo caratterizzato da ossessioni e/o compulsioni. Le ossessioni sono dei pensieri ricorrenti vissuti come intrusivi, inappropnati e fonte di ansia da parte dell’individuo. Le compulsioni sono dei comportamenti che si presentano spesso sotto forma di rituali in risposta alle ossessioni da neutralizzare ed esorcizzare. Per esempio il pensiero ripetuto che la casa possa esplodere potrebbe essere un tipo di ossessione e il controllo continuo della chiusura della cucina a gas la compulsione di risposta. Si manifestano perciò comportamenti ripetitivi (per esempio lavarsi le mani, allineare gli oggetti in un certo modo, riordinare, controllare la chiusura di porte), o azioni mentali (per esempio contare, pregare, ripetere parole mentalmente) che il soggetto mette in atto in risposta a una ossessione, o secondo regole che devono essere seguite rigidamente. I comportamenti o le azioni mentali sono rivolti a ridurre il disagio o a prevenire situazioni temute. In qualche momento la persona riconosce l’irragionevolezza o eccessività delle compulsioni. Questo disturbo causa un grosso dispendio di tempo ed energia, modifica le abitudini quotidiane e interferisce sul funzionamento globale della persona stessa. Il soggetto non può evitare di mettere in atto rituali, stereotipie, comportamenti rigidi e fissi; appare ritentivo, rigido, pervicace, manifesta una logica di accumulo (per esempio collezioni), una marcata aggressività verso se stesso e verso gli altri, che interferisce nelle relazioni sociali. È presente un ritiro dell’affettività. Generalmente il soggetto mostra un atteggiamento di eccessiva parsimonia che rasenta la tirchieria e di rigida ostinazione. La sua logica di accumulo gli impedisce di gettare oggetti consumati ormai inutili, anche se privi di valore affettivo. Tende al perfezionismo e quindi è molto esigente verso se stesso e verso gli altri e nell’esecuzione di compiti. Difficilmente delega il proprio lavoro ad altri a meno che non lo svolgano esattamente secondo le sue indicazioni. Pensa di essere disapprovato per vissuti sessuali, aggressivi e di dipendenza. A differenza del fobico che assume condotte di evitamento, la persona con il disturbo ossessivo-compulsivo teme che si verificheranno eventi catastrofici se non metterà in atto quella determinata condotta. Secondo una visione psicodinamica il soggetto ha bisogno di controllare l’ambiente esterno che rappresenta un’estensione della imago materna. Si ipotizza una fissazione oppure regressione a uno stato anale dove predominano le tematiche legate al controllo del proprio corpo, 25
  • 26. delle pulsioni, del movimento nello spazio, dell’ambiente e nel trattenere (conflitto tra espulsione e ritenzione). APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Il soggetto prova uno stato di disagio se non attua i suoi rituali. È importante quindi scoprire che cosa accadrebbe nell’ideazione dell’utente se quel rituale non fosse eseguito. Spesso vi sono pensieri catastrofici e paure terribili che l’ossessivo cerca di neutralizzare attraverso i rituali compulsivi utilizzati quasi come esorcismi. Per comprendere i fattori responsabili del disturbo è opportuno raccogliere informazioni sulle diverse fasi dello sviluppo con particolare riguardo alla fase anale. È fondamentale anche indagare in che modo le tematiche legate al controllo sfinterico, ai movimenti nello spazio, alla gestione delle pulsioni e della corporeità, all’ordine e alla pulizia sono state poste dalle figure di riferimento e come sono state rielaborate dal soggetto. È altresì essenziale esplorare i termini del conflitto e le pulsioni inaccettate che lo caratterizzano. Anche in questo caso è interessante sapere da quanto tempo è presente il disturbo, come si è sviluppato, quali sono state le circostanze di insorgenza della sintomatologia e le ragioni per cui la persona sta chiedendo un colloquio psicologico proprio adesso. Come per gli altri disturbi è importante operare l’analisi della domanda per meglio capire la richiesta dell’utente, i bisogni, le aspettative e la motivazione legati a essa. PSICOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO Il trattamento del DOC che ha dimostrato la maggiore efficacia è costituito da una farmacoterapia combinata con la psicoterapia cognitivo-comportamentale. La strategia terapeutica più importante utilizzata nella psicoterapia del DOC si chiama: esposizione graduata con prevenzione di risposta. In pratica la strategia consiste nell'esporsi volontariamente alle situazioni che alimentano i pensieri ossessivi (ad esempio toccare cose considerate contaminate quando si ha l'ossessione dello sporco) senza però compiere i rituali. Questa tecnica deve essere utilizzata dopo aver scelto con cura le situazioni che si vogliono affrontare. Dopo ripetute esperienze di esposizione sempre più importanti e impegnative, la maggioranza delle persone si libera dall'esigenza di effettuare i rituali o riduce sensibilmente l'intensità del disagio. La possibilità di trarre giovamento dal trattamento dipende naturalmente anche da questioni motivazionali. In alcuni casi gran parte del lavoro terapeutico non consiste nell'applicazione pedissequa della esposizione graduata, ma in una progressiva ristrutturazione di alcune convinzioni 26
  • 27. inadeguate che si oppongono ad un lavoro efficace sul sintomo. D'altra parte è proprio il successo sui sintomi del DOC che svolge spesso una funzione di stimolo per affrontare dei nodi esistenziali irrisolti. Nonostante la notevole efficacia del trattamento, vi sono molte condizioni in cui non si evidenziano risultati, o almeno non nella misura attesa. Questi casi sono chiamati resistenti FARMACI PER IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO L’approccio farmacoterapico al disturbo ossessivo-compulsivo presenta numerose difficoltà sia per la gravità di questa condizione psicopatologica sia per le ancora scarse conoscenze relative alle sue basi biologiche. Il trattamento farmacologico di prima secelta per il disturbo ossessivo-compulsivo si basa sull’utilizzo di farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). L’azione farmacologica, in definitiva, consiste in un potenziamento dei livelli della serotonina. Tutti gli SSRI (fluvoxamina, paroxetina, sertralina, fluoxetina, citalopram, escitalopram) sono efficaci nel trattamento di questa condizione e la scelta dipende dal profilo degli effetti collaterali di questi farmaci. Iniziando la terapia con un SSRI i sintomi bersaglio del farmaco non peggiorano prima di migliorare, come purtroppo avviene in altri tipi di problematiche. Gli effetti collaterali di questi farmaci generalmente sono: nausea, diarrea, agitazione, secchezza delle fauci, visione offuscata, vertigini, disfunzione sessuale (maschile e femminile) e sonnolenza. Tali effetti sono sovente transitori e, nella maggior parte dei casi, perdurano per pochi giorni. Ciò è dovuto alla necessità di adattamento del proprio corpo alla nuova condizione indotta dall’utilizzo del farmaco. Generalmente i dosaggi degli SSRI per questo disturbo sono superiori a quelli per il trattamento di altre condizioni come la depressione; inoltre, la risposta terapeutica può essere ritardata. Il paziente dovrebbe ricevere la dose massima tollerata di SSRI per almeno 12 settimane prima di passare ad un farmaco alternativo o ad una terapia adiuvante. La terapia di mantenimento dovrebbe durare almeno un anno, durante il quale il dosaggio utilizzato in fase acuta può essere ridotto, senza compromissione del miglioramento, fino al 50%. L’interruzione del farmaco dovrebbe essere graduale e concordata con il proprio curante; la brusca sospensione più facilmente causa una ricaduta. Nel caso in cui il trattamento con un SSRI non risulti efficace, è possibile passare ad un altro SSRI oppure introdurre in terapia la clomipramina. Questo è stato il primo antidepressivo triciclico riconosciuto come efficace nel trattamento di questa condizione psicopatologica. In caso di 27
  • 28. fallimento del trattamento con questi farmaci è opportuno ricorrere a strategie aggiuntive per potenziarne l’effetto terapeutico, soprattutto nel caso di una terapia basata sugli SSRI. Queste strategie possono essere dirette all’aumento della serotonina mediante l’aggiunta di farmaci quali il litio, il trazodone o il buspirone. È inoltre possibile associare benzodiazepine come il clonazepam; questo consente al paziente di tollerare un dosaggio maggiore di SSRI e di ridurre alcuni specifici sintomi d’ansia associati. Altre strategie terapeutiche prevedono combinazioni tra un SSRI e un antipsicotico classico o un antipsicotico atipico a bassi dosaggi. È comunque necessario che queste terapie combinate vengano prescritte e monitorate nel tempo da uno specialista in psichiatria. DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS CRITERI DIAGNOSTICI Secondo il DSM-IV il disturbo post-traumatico da stress è caratterizzato dal rivivere un evento estremamente traumatico vissuto con sentimenti di terrore, impotenza e orrore. Tale evento può essere rivissuto in diversi modi. Il soggetto sperimenta di nuovo nell’immaginazione e nei pensieri il trauma relativo all’evento terrificante che lo ha colpito. Egli percepisce e sente ancora vivo il dolore fisico e psichico provato. Può avere subito eventi di morte o di minaccia di perdita della vita e dell’integrità fisica che riguardano personalmente lui o persone care come partner, figli, genitori. L’evento si può ripresentare anche periodicamente nei sogni, in allucinazioni e momenti dissociativi. Il soggetto è colpito da profondo disagio soprattutto di fronte a fattori interni ed esterni che possono scatenare per la loro somiglianza l’esperienza vissuta. Nei bambini piccoli sovente accade che ripetutamente si rimanifestino le sequenze specifiche del trauma subito. Il soggetto evita tutto ciò che può essere associato alla sua esperienza traumatica e soprattutto farà ogni sforzo per non ricordare e non trovarsi con persone presenti nella tragica circostanza o in luoghi che gli possano evocare l’evento terrificante. Talvolta può avere difficoltà nel ricordare qualche aspetto della sua esperienza e mostrare un’affettività ridotta che lo porta ad adottare comportamenti indifferenti e distaccati nei confronti degli altri. Sono presenti elementi simili a quelli depressivi come la diminuzione di interesse e piacere, di partecipazione alle attività e alle relazioni sociali. Si teme di non poter avere una vita normale ma di vivere minor tempo e di non riuscire a realizzare gli obiettivi della popolazione media (per esempio carriera, matrimonio, figli). Spesso si verifica un forte aumento del livello di ansia e di tensione. Il soggetto ha difficoltà nel 28
  • 29. dormire, irritabilità, incapacità di concentrarsi, ipervigilanza. Vive in un continuo stato di allarme. La durata del disturbo è superiore a un mese (è definito acuto se inferiore ai tre mesi e cronico se superiore). Il disturbo crea un disagio significativo o compromette le aree di funzionamento globale. Il disturbo acuto da stress è caratterizzato da sintomi simili a quelli presenti nel disturbo postraumatico da stress che si verificano immediatamente a seguito di un evento estremamente traumatico, ma a differenza di quest’ultimo, dura da un minimo di due giorni a un massimo di quattro settimane. Inoltre l’espressione sintomatologica generalmente appare più acuta e potrebbero presentarsi fenomeni di derealizzazione e depersonalizzazione. APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Mai come in questo caso è significativo indagare le circostanze dell’insorgenza del sintomo. A questo proposito è anche utile sapere in quale particolare periodo e contesto di vita del soggetto si è verificato l’evento. È interessante esplorare come è stato vissuto e rappresentato l’evento traumatico, in che modo la persona lo sta elaborando, quali aspetti della personalità sono minacciati, se vi sono aree di funzionalità compromesse. Importantissimo è sapere se l’episodio ha scatenato la manifestazione e lo sviluppo di nuclei patogeni della personalità. È opportuno anche indagare se, e in che modo, la percezione di sé è stata modificata in seguito all’esperienza subita e individuare il grado di strutturazione e di forza dell’Io, il livello di autostima, le strategie difensive, le risorse interne ed esterne per far fronte al trauma. IPOTESI DI INTERVENTO Sarebbe opportuno supportare il soggetto, soprattutto nella fase iniziale della terapia, per rafforzare l’Io traumatizzato ed evitare che prosegua l’iniziale atteggiamento di distacco dalla realtà. In alcuni momenti può essere alterato il rapporto con la realtà (episodi dissociativi di flashback, allucinazioni, sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni) ma solo in modo circoscritto ossia riguardante l’evento traumatico. Per il resto la persona mostra un buon contatto con la realtà, segno di una sufficiente strutturazione dell’Io e quindi è possibile applicare una terapia espressiva avendo tuttavia l’accortezza di fornire un iniziale supporto. Un approccio adatto è quello psicodinamjco che si propone d’incoraggiare un processo di consapevolizzazione, di elaborazione del vissuto e delle tematiche coinvolte. Il perno della terapia consiste nel favorire il rafforzamento e l’armonizzazione di eventuali aspetti della personalità che rischiano la compromissione, promuovendo lo sviluppo delle risorse e delle 29
  • 30. strategie difensive funzionali. L’approccio comportamentale mira invece a favorire un de- condizionamento e un ricondizionamento positivo verso gli stimoli traumatici. DISTURBO ACUTO DA STRESS La diagnosi di Disturbo Acuto da Stress (Disturbo Acuto da Stress) compare solo nel DSM-IV (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, IV edizione), La caratteristica essenziale di questo disturbo è lo sviluppo di sintomi dissociativi, ansia o aumento di arousal, sintomi intrusivi e di evitamento. Il disturbo deve manifestarsi entro quattro settimane dall’evento al quale risulta connesso e dura da un minimo di 2 giorni ad un massimo di quattro settimane. Se la durata dei sintomi supera le quattro settimane, deve essere considerata la possibilità di una diagnosi di PTSD, come frequentemente avviene in questi casi. Possono essere presenti sintomi di tipo psicotico che, se predominanti, devono fare pensare alla diagnosi di Disturbo Psicotico Breve. Sebbene la presenza di Disturbo Acuto da Stress sia correlata ad un successivo sviluppo di PTSD, tale relazione necessita di approfondimenti sottili; infatti, è possibile lo sviluppo di PTSD in assenza dei preesistenti sintomi dissociativi peritraumatici previsti dall’Disturbo Acuto da Stress, e la presenza di questi ultimi, anche in misura elevata, non conduce necessariamente ad un PTSD. In particolare, i sintomi dell’Disturbo Acuto da Stress più altamente correlati con il successivo sviluppo di PTSD sembrano essere l’ottundimento emotivo, l’agitazione motoria, la depersonalizzazione e la sensazione di rivivere l’esperienza traumatica. Il DSM IV prevede i seguenti sintomi per potere effettuare una diagnosi di Disturbo Acuto da Stress: A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico in cui erano presenti entrambi i seguenti elementi: 1) la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno comportato la morte, o una minaccia per la vita, o una grave lesione, o una minaccia all’integrità fisica, propria o di altri. 2) La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore. B. Durante o dopo l’esperienza dell’evento stressante, l’individuo presenta tre (o più) dei seguenti sintomi dissociativi: 1) sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, o assenza di reattività emozionale. 2) Riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante (i.e. rimanere storditi). 3) Derealizzazione. 30
  • 31. 4) Depersonalizzazione. 5) Amnesia dissociativa (cioè incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma). C. L’evento traumatico viene persistentemente rivissuto in almeno uno dei seguenti modi: immagini, pensieri, sogni, illusioni, flashback persistenti, o sensazioni di rivivere l’esperienza; oppure disagio all’esposizione a ciò che ricorda l’evento traumatico. D. Marcato evitamento degli stimoli che evocano ricordi del trauma (i.e. pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi, persone). E. Sintomi marcati di ansia o di aumentato arousal (i.e. difficoltà a dormire, irritabilità, scarsa capacità di concentrazione, ipervigilanza, risposte di allarme esagerate, irrequietezza motoria). F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti, oppure compromette la capacità dell’individuo di eseguire compiti fondamentali, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse personali riferendo ai familiari l’esperienza traumatica. G. Il disturbo dura al minimo 2 giorni e al massimo 4 settimane, e si manifesta entro 4 settimane dall’evento traumatico. H. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (i.e. una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale, non è meglio giustificato da un Disturbo Psicotico Breve, e non rappresenta semplicemente l’esacerbazione di un disturbo preesistente di Asse I o Asse PSICOTERAPIA PER DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS Se i problemi seguenti ad un trauma continuano ad essere presenti non conviene fare affidamento alla guarigione spontanea, cioè al tempo che dovrebbe guarire tutte le ferite. Il tempo, in alcuni casi, può anzi condurre alla cronicità dei problemi. Bisogna allora affrontare di petto la situazione. Molte persone che hanno un PTSD si vergognano dei loro problemi, si sentono incapaci e credono di non potere essere aiutate. È invece necessario adottare un atteggiamento umile e pratico, allo stesso modo di quando abbiamo un dolore fisico: se non passa il mal di denti bisogna rivolgersi ad un dentista. Continuare a rimandare potrebbe peggiorare le cose e rendere il malessere più doloroso e limitante la propria serenità. È necessario rivolgersi ad uno specialista, sia esso uno psichiatra o specialista in psicoterapia. In entrambi i casi, se sono competenti sull'argomento, valuteranno l'opportunità di una integrazione fra intervento psicoterapeutico ed intervento farmacologico. Entrambi gli approcci, infatti, in alcuni casi sono sicuramente poco efficaci se non vengono seguiti contemporaneamente. Ad esempio, può essere difficile seguire una psicoterapia se ci si sente svuotati da tanti anni di depressione ma, allo stesso tempo, una terapia farmacologica per l'ansia o la depressione lascia inalterati dei ricordi traumatici che continuamente tormentano e condizionano 31
  • 32. una persona. Qualunque strada si voglia seguire, questa deve essere percorsa con uno specialista esperto nella cura dei disturbi che nascono in seguito alla esperienza di eventi traumatici, uno specialista che conosca gli strumenti più efficaci per curare questi disturbi. La ricerca scientifica sull'argomento indica che tra gli approcci più efficaci per la psicoterapia del PTSD si devono segnalare i seguenti: 1. alcuni tipi di psicoterapia cognitivo-comportamentale; 2. alcuni tipi di psicoterapia ipnotica; 3. l'Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR). TERAPIA FARMACOLOGICA PER IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS Stando alle più attuali definizioni tali disturbi comprendono principalmente due quadri sintomatologici che sono il Disturbo Post-traumatico da Stress ed il Disturbo Acuto da Stress. Questo non vuol dire che tutta la psicopatologia che si manifesta in individui esposti a eventi traumatici debba rientrare necessariamente in questi due quadri. Molti altri quadri sintomatologici potrebbero essere secondari ad un evento traumatico quali un disturbo psicotico breve, un disturbo depressivo, un disturbo di conversione o più semplicemente un disturbo di adattamento. Psichiatri e ricercatori hanno finora privilegiato nello studio delle sequele neuro- biologiche al trauma, il Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) ed il Disturbo Acuto da Stress perché costituiscono il modello psicopatologico base per capire più facilmente cosa effettivamente succede. IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTSD) La terapia farmacologica del PTSD è attualmente consigliata sulla base dei dati di ricerca che mostrano come vari sistemi psicobiologici siano sregolati nei pazienti affetti da PTSD. Inoltre la frequente co-presenza di complicanze del disturbo quali la depressione ed il panico, patologie che rispondono bene alle terapie farmacologiche, rende utile il trattamento farmacologico nel PTSD per attenuare le complicanze del disturbo e per favorire o rendere possibili eventuali trattamenti psicoterapici che talvolta in condizioni di acuta sofferenza sono impossibili o necessariamente limitati ad un generico sostegno. 32
  • 33. CAPITOLO IV DISTURBI SOMATOFORMI I disturbi somatoformi hanno in comune il fatto che il soggetto esprime il disagio psichico attraverso il corpo (in greco soma). I disturbi somatoformi sono i seguenti: • Disturbo di somatizzazione • Disturbo somatoforme indifferenziato • Disturbo di conversione • Disturbo algico • Ipocondria • Dismorfofobia corporea • Disturbo somatoforme non altrimenti specificato Generalmente questi disturbi rientrano nell’ambito di una grave nevrosi. Infatti il conflitto nevrotico che l’utente non riesce a mentalizzare è stato spostato sul piano somatico. La gravità del disturbo è indicata dalla difficoltà di simbolizzare il confitto. Talvolta la somatizzazione può rappresentare una difesa estrema prima di uno scivolamento psicotico. In questa sezione sono descritti alcuni problemi psicologici che sono accomunati da una importante componente di sintomatologia fisica. Oggi si tende a raggruppare con il termine molto generale di Disturbi Somatoformi un insieme di disturbi in cui siano presenti dei sintomi fisici che lasciano pensare alla presenza di malattie organiche, ma non possono essere spiegati, se non parzialmente, dalla presenza di alterazioni fisiche. Fanno parte di questa categoria di disturbi il Disturbo di Somatizzazione, Il Disturbo da conversione, il Disturbo da Dolore cronico, l'Ipocondria, Il Disturbo da Dismorfismo corporeo. La ragione per cui si è scelto di raggruppare un gran numero di diversi disturbi nella grande categoria dei Disturbi Somatoformi, non dipende da qualche comune meccanismo, ma dalla necessità di effettuare una accurata valutazione medica e, dunque, di escludere l'eventuale presenza di una malattia fisica occulta. Il termine “Disturbi somatoformi”, pertanto svolge una funzione eminentemente pratica: serve a raggruppare tutti i disturbi, anche molto diversi tra di loro, che richiedano di essere differenziati dai disturbi organici. I sintomi dei disturbi somatoformi possono essere combinati con sintomi ansiosi, ossessivi, o depressivi, ma sono distinti dal Disturbo di Panico, dal Disturbo Ossessivo Compulsivo o dal Disturbo Depressivo. 33
  • 34. I disturbi somatoformi sono dunque molto diversi tra di loro e rientrano nelle seguenti categorie: 1. Disturbo da Somatizzazione (la vecchia isteria) in cui sono presenti sintomi fisici di vario genere. 2. Disturbo da Conversione in cui sono presenti sintomi di tipo neuro motorio (paralisi) o sensoriale (anestesie o parestesie), che fanno pensare ad un disturbo neurologico, ma che dipendono interamente da meccanismi psicologici. 3. Disturbo da Dolore in cui la persona richiede l’attenzione dei medici per la presenza di un dolore, senza che vi sia alcuna malattia che ne giustifichi la presenza o l’intensità. 4. Ipocondria, caratterizzata da intensa preoccupazione o paura di essere affetti da una malattia grave. Questo disturbo si basa su una interpretazione inadeguata o esagerata di sensazioni o sintomi fisici. 5. Disturbo da dismorfismo corporeo, in cui è presente una preoccupazione rispetto ad un difetto completamente immaginato o palesemente esagerato dell’immagine corporea. A queste categorie, i clinici aggiungono altri due disturbi residuali: il Disturbo Somatoforme Indifferenziato e d il Disturbo Somatoforme non Altrimenti Specificato allo scopo di comprendere una serie di manifestazioni e disturbi di tipo somatoforme che non rientrano nelle categorie precedenti. Tratteremo inoltre a parte due problemi molto frequenti che possono trarre in inganno dal punto di vista diagnostico: le vertigini e gli acufeni IPOCONDRIA Dal greco hypo (sotto) e chondros (cartilagine), il riconoscimento dell'Ipocondria come disturbo autonomo ha origini molto antiche. Al tempo degli antichi greci si riferiva ad un dolore "ipocondriaco", cioè nella parte bassa del torace sotto le costole, e veniva attribuito a movimenti della milza. Classificato tra i Disturbi Somatoformi, l'Ipocondria è caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e persistente di essere affetti da una malattia grave, sebbene gli accertamenti medici lo escludano. Questa preoccupazione si basa su una interpretazione distorta o esagerata di segni e sintomi fisici. L'Ipocondria viene diagnosticata quando le preoccupazioni relative alla salute non dipendono da un Disturbo d'Ansia Generalizzata, da un Disturbo Ossessivo Compulsivo, da un Disturbo di Panico, da un Disturbo Depressivo, o da altri disturbi mentali. In caso contrario, il trattamento si basa sul trattamento del disturbo di base. 34
  • 35. TRATTAMENTO Il continuo ricorso agli accertamenti medici fa sì che frequentemente si commettano due errori opposti, ma ugualmente inefficaci dal punto di vista terapeutico: 1. si concede troppo spazio agli accertamenti medici 2. si cerca di convincere la persona che il disturbo non è medico, ma psicologico. Purtroppo, entrambi gli atteggiamenti sono dannosi. Se si cede alla costante richiesta di rassicurazioni, si entra in una spirale negativa di malintesi per cui anche la rassicurazione più esplicita può essere interpretata come una conferma di malattia. Se invece si insiste nel dire semplicemente che il problema è psicologico e NON è del corpo, si trascura il vero problema psicologico che consiste proprio in una interpretazione deformata delle sensazioni e delle manifestazioni del corpo. Il trattamento deve pertanto basarsi su un'accurata indagine medica, ma deve anche prevedere un lavoro importante sulle interpretazioni delle sensazioni e delle manifestazioni del corpo. Questo tipo di lavoro psicoterapeutico viene svolto nell'ambito di un intervento cognitivo comportamentale. 35
  • 36. CAPITOLO V DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE Il DSM-IV definisce disturbi dell’alimentazione quei disturbi caratterizzati dalla presenza di evidenti alterazioni del comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende due categorie specifiche: l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa. La caratteristica essenziale comune a entrambi i disturbi è la presenza di un’alterata percezione del peso e della propria immagine corporea. ANORESSA NERVOSA CRITERI DIAGNOSTICI La caratteristica dell’anoressia nervosa, secondo il DSM-IV, è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale. I sintomi sono i seguenti: • Amenorrea ossia assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (sintomo esclusivo solo dell’anoressia); • Rifiuto di mantenere il peso corporeo normale minimo. In genere il peso è di 15- 12 kg in meno rispetto a quello normale. Il dimagrimento è stato repentino a causa di una dieta ed e iniziato da almeno 5 mesi; • Intensa paura di ingrassare pur vivendo la condizione fisica di sottopeso; • Distorsione riguardo a come il soggetto vive il peso e la forma del corpo (alterata percezione dello schema corporeo) che in- fluiscono eccessivamente sull’autostima o rifiuto di riconoscere l’attuale condizione di sottopeso. Inoltre un aspetto da tenere presente, onde evitare equivoci diagnostici, è che il vomito provocato e l’uso di lassativi, enteroclismi e diuretici possono essere presenti sia nell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa. Un altro aspetto non di rado presente è il lavarsi fino a scorticarsi e la fissazione di mandare via lo sporco. Predominano condotte ossessive legate al cibo (per esempio nascondimento, sminuzzamento) Domina l’eccessivo investimento sul cibo (per esempio il soggetto ne parla sempre). Spesso nell’anoressia si nota la tendenza a effettuare sforzi fisici, corse e vari esercizi ginnici nella convinzione che tali comportamenti facilitino l’espulsione dello scarso cibo assunto. Il DSM-IV specifica il sottotipo. • Con restrizioni: in questo caso il soggetto si è limitato a ridurre rigidamente l’assunzione di cibo senza adottare le modalità di condotte espulsive come il vomito, i purganti e i diuretici, o senza praticare regolarmente le abbuffate. 36
  • 37. • Cori abbuffate/Condotte di eliminazione: in questa situazione, invece, il soggetto oltre a procedere nella drastica, sistematica, meticolosa riduzione del cibo si dedica anche alle abbuffate seguite da condotte di eliminazione (vomito, clisteri, purganti, diuretici...). APPROFONDIMENTI DIAGNOSTICI Gli aspetti da esplorare riguardano la relazione oggettuale, il processo di separazione- individuazione, il modo in cui è stata introiettata l’imago materna con le eventuali pulsioni aggressive a essa associate, la percezione di sé, il livello di autostima, le tematiche legate alla simbiosi, alla corporeità, alla femminilità, alla definizione dell’identità sessuale. Secondo una concezione psicodinamica sarebbe basilare esplorare la fase orale dello sviluppo psicosessuale, in quanto potrebbero esservi della gravi fissazioni da superare. Infatti la prima relazione che un essere umano ha con la madre, o chi ne fa le veci, è attraverso l’allattamento. Si potrebbe creare così un’equazione inconscia madre = cibo. Perciò il rifiuto del cibo potrebbe essere collegato a un rifiuto e a una reattività verso l’imago materna introiettata, base della costruzione della propria identità e femminilità. Non a caso appaiono ridotte le forme femminili come il seno e vi è la presenza di amenorrea. L’anoressica rifiuta il cibo come rifiuta la dipendenza verso la madre in una forma di ribellione all’insegna della forza e dell’autonomia, ma che riconferma invece paradossalmente questo legame atavico. Infatti la donna dipende dal cibo molto di più della media delle persone, tanto da dover cercare sempre di evitarlo e di controllare i forti impulsi verso di esso. Questo gioco di potere si traduce in una sfida estenuante contro se stessi (i propri piaceri, desideri e bisogno di attaccamento) e contro il mondo, che finisce però per riconfermare lo stato di dipendenza. È interessante anche conoscere le regole, i ruoli, i sottosistemi, le modalità comunicative e le dinamiche all’interno del sistema familiare. Spesso le persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione provengono da un sistema invischiato, che ostacola il processo di svincolo e di individuazione dei suoi membri. Frequentemente il nucleo appare desideroso di riconoscimento sociale e quindi tenta in ogni modo di dare un’immagine di sé favorevole. Appaiono quindi di vitale importanza aspetti come i voti scolastici, l’arredamento della casa, l’abbigliamento e tutto ciò che contribuisce all’immagine esteriore. Si potrebbe strutturare così una personalità indefinita, perché ancora confusa nel legame simbiotico, che soffre di senso di Inadeguatezza e di vulnerabilità nei confronti del giudizio esterno. Per accertare la gravità del disturbo, è opportuno conoscere da quanto tempo è presente la sintomatologia e l’eventuale compromissione delle aree di funzionalità generale della persona. 37
  • 38. A questo proposito è importante sapere se il soggetto conserva altre forme di investimento oltre quello attuato sul cibo. Sarebbe, per esempio, opportuno anche conoscere la vita affettiva e sessuale del soggetto (in genere è presente un ritiro da essa). IPOTESI DI INTERVENTO TERAPEUTICO Il rapporto con la realtà è alterato per quanto riguarda la percezione dello schema corporeo, ma generalmente conservato per gli altri aspetti. Sarebbe perciò opportuna una terapia supportivo-espressiva poiché è necessario inizialmente supportare l’Io per rafforzano, definirlo, strutturarlo maggiormente, migliorare la percezione e l’investimento nella realtà. È anche opportuno favorire un processo di rielaborazione delle tematiche centrali del disagio. Se si considera che l’anoressica riduce ed esaurisce la sua esistenza intorno a due tematiche centrali concernenti il corpo e il cibo, appare evidente l’importanza di sviluppare altre forme di interesse e di investimento sul reale e promuovere un’apertura verso l’affettività. In letteratura un approccio terapeutico condiviso è quello sistemico familiare. L’obiettivo è quello di favorire lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema invischiato, promuovere la circolarità di una comunicazione chiara, rafforzare la figura paterna se, come spesso accade, è periferica, sostituire le regole disfunzionali con quelle funzionali e gestire costruttivamente la crisi per affrontare un nuovo ciclo vitale. Un ostacolo nel lavorare con questo tipo di pazienti consiste nell’eccessivo ripiegamento narcisistico interno che rende difficoltoso l’investimento nella relazione terapeutica. Anche il sistema in cui sono inseriti spesso appare chiuso agli scambi con l’esterno. Un’altra fonte di difficoltà nel trattamento dell’anoressia consiste nel fatto che nella maggior parte dei casi il soggetto non riconosce il proprio disturbo e quindi è scarsamente motivato al lavoro terapeutico. PSICOTERAPIA ANORESSIA L’anoressia nervosa consiste in uno stato di malnutrizione cronica di varia intensità, associata ad un assetto psichico caratterizzato da: - immaturità della differenziazione sessuale e di genere; - immaturità dell’immagine corporea; - dipendenza ambigua e/o ambivalente; - meccanismi di difesa primitivi. L’anoressia mentale appare essere il disturbo alimentare più resistente al cambiamento, in particolare l’anoressia di tipo restrittivo; poiché il livello di motivazione alla guarigione è molto basso, quello che viene considerato un problema clinico oggettivo - la diminuzione del cibo -, per 38
  • 39. le anoressiche è invece l’obiettivo primario da raggiungere. Anche in questo caso i trattamenti più frequentemente utilizzati e che hanno un ottimo riscontro nella pratica clinica sono la psicoterapia strategica, la terapia cognitivo comportmantale e l’EMDR. L’organizzazione del trattamento dell’anoressia include l’identificazione di un team di specialisti (dietisti, medici, psichiatri, psicoterapeuti); qualora necessario, il trattamento dell'anoressia deve essere effettuato in regime di ricovero o in day-hospital, e deve sempre occuparsi anche dell’intervento sul sistema familiare che spesso, suo malgrado, può essere un fattore importante di mantenimento del disturbo. PSICOTERAPIA STRATEGICA La psicoterapia strategica ha strutturato due protocolli di intervento diversificati sulle tipologie della paziente. In questo modello infatti viene fatta una distinzione tra: - anoressica sacrificante: la persona comincia ad entrare in crisi e a mostrare la sintomatologia in concomitanza di una una particolare situazione familiare; la ragazza, ad esempio, si sente incastrata all’interna di una coppia genitoriale in crisi e molto conflittuale; in questo caso il suo disturbo ha l’obiettivo di tenere insieme la coppia; - anoressica astinente: è la tipologia più frequente. Si tratta di solito di ragazze molto intelligenti e molto sensibili, ma con grande difficoltà nella gestione delle emozioni; mediante l’astinenza riescono gradualmente a provocarsi una reale e progressiva anestesia percettiva ed emotiva. Protocollo di trattamento dell’anoressia sacrificante È il tipo di anoressia più facile da trattare. Nelle prime fasi l’intervento è di tipo sistemico familiare, focalizzato sulla riorganizzazione della comunicazione all’interno della famiglia. Successivamente, a seconda del tipo di risposta che si ottiene a queste prime manovre, si procede alla rapida conclusione della terapia oppure, se necessario, si prosegue il trattamento seguendo il protocollo dell’ anoressia astinente: a. primo stadio: il primo intervento è la "connotazione positiva del sacrificio", ovvero la definizione in positivo del ruolo del disturbo della ragazza all’interno della famiglia. Viene attuata una vera e propria "prescrizione del sintomo": si tratta di un intervento paradossale che mette la persona nell’incapacità di aderire alla prescrizione, proprio perché prescrive qualcosa (un comportamento sintomatico) che di per sé è vissuto come spontaneo e irrefrenabile. b. Secondo e terzo stadio: nel caso in cui la sintomatologia non si sblocchi e si scopra che dietro ad un’anoressica sacrificante si nasconda in realtà un’astinente, la terapia procede seguendo il protocollo delle astinenti (vedi oltre). È fondamentale stabilire una relazione affettiva molto intensa con la ragazza e procedere con interventi perturbativi sulle emozioni (vedi oltre). c.Quarto stadio (ultima seduta): l’obiettivo è consolidare l’autonomia personale della paziente 39