4. CASARANO
Il nostro itinerario inizia dalla città di Casarano, luogo che ospita la
sede della nostra scuola.
Il nucleo più antico di Casarano risale al I
secolo d.C. e si configura come praedium
rusticum (possesso rurale) di Caesar,
centurione romano, assegnato per meriti
militari conseguiti durante le guerre civili.
Delle origini romane fanno fede tre
testimonianze storico-archeologiche: due
epigrafi funerarie ravennati ritrovate non molti
anni fa.
5. La prima fu rinvenuta nel 1972 durante i lavori di restauro della
Chiesa di S.Maria della Croce in cui si legge il nome di Vibulius; si
deduce che l’antica Casarano sia stata un casale romano appartenuto
poi, in età imperiale a ricchi possidenti Gallipolini. L’altra, ritrovata a
pochi metri da Casaranello, dove sorgeva l’antico nucleo originario di
Casarano, menziona un bambino di nome Musico i cui genitori
erano uno ebreo e l’altro greco, sta a significare l’esistenza del
villaggio già in età romana. Un ulteriore conferma della presenza
romana ci viene poi dal tracciato della via Appia-Traiana, voluta dall’
imperatore Traiano, e che da Brindisi giungeva fino all’attuale Patù.
6. La dominazione bizantina (553-1070) lasciò
impronte sul territorio: affreschi in S.M.della
Croce, icone (chiesa della Campana)),
tradizioni, culti, linguaggi.
In età normanno-sveva Casarano fu infeudata
ai Fuggetta, quindi a Goffredo di Cosenza.
Altri feudatari: Pietro di Bertinaccio e i
Tomacelli in età angioino-aragonese. Più
tardi, sotto gli spagnoli, i Filomarino e i
D’Aquino che la tennero fino al 1809.
Nel 1484 fu occupata dai veneziani e fra 500
e 800, Casarano si arricchì di chiese e
conventi, palazzi barocchi (D’Elia, De
Judicibus, Astore, ecc.)
Altra importante testimonianza romana,
l’impianto basilicale a croce latina (450 d.C.)
della chiesa di Casaranello che esibisce
cospicue tracce di opus tasselatum, nonché
resti di un mosaico pavimentale con motivi
curvilinei tipici della domus romana in età
imperiale.
Nel Medioevo il borgo si scisse in due
fazioni: Caesaranum magnum (grande) e
parvum (piccolo o Casaranello) oggi fuse in
un’unica realtà urbana.
7. Chiesa di Santa Maria della Croce
L’edificio è il risultato di almeno tre fasi
storiche.
Alla prima fase (450 d.c. circa) risale l’impianto
originario a tre navate a croce latina nonchè la
zona del presbiterio e dell’abside alla quale
appartengono i mosaici paleocristiani della volta.
Ulteriore conferma della genesi tardoantica è
il ritrovamento, nel sottosuolo, della
funeraria epigrafe marmorea intitolata a
Vibulius (I o II secolo d.C.).
8. Alla seconda appartengono gli interventi di
artisti italo-bizantini che adeguarono la chiesa
alla nuova sensibilità iconografica e all’austera
spiritualità che pervade dalle figure ad affresco
della Madonna con Bambino (a sinistra) e di
Santa Barbara (a destra). Si fronteggiano nei
due pilastri prossimi al presbiterio e risalgono
alla prima metà del XI secolo.
9. Questa piccola chiesa (300 mtq circa), eretta
intorno al 450 d.C. , esibisce un mosaico
paleocristiano che è la perla del Salento per le sue
valenza cromatiche e figurali nonchè cicli di
affreschi bizantini (secoli XI-XIV) e gotici (XIII
secolo) di complessa e pregevole fattura
Alla terza (secoli XIV-XVI) appartengono altri affreschi
tra i quali quello raffigurante papa Urbano. Altri affreschi
sono di minore rilevanza.
Vi appartengono, inoltre, gli arconi che collegano la
navata centrale alle navatelle laterali e, probabilmente, il
piccolo rosone tardoromanico della facciata a capanna.
Il tempio fu pressocchè dimenticato per tutto il XIX
secolo fino a lavori di restauro (1898 – 1913) voluti da due
archeologi tedeschi e un russo ai quali ne seguirono degli
altri. Decisi i restauri della 1970-72 e quello recente del
1999 del mosaico paleocristiano, di alcuni affreschi e
dell’interno a cura della Sopraintendenza regionale.
10. I MOSAICI
Questo piccolo tempio è fra le prime testimonianze, in
Occidente, del culto della Thetokos (madre di Dio).
Oggi, dell’immagine mariana sopravvive solo una traccia sulla
parete orientale dell’abside: un nimbo costituito da tessere rosse
su fondo azzurro chiaro; è proprio il rosso-porpora delle tessere a
rappresentare allegoricamente il divino amore di Maria.
Inoltre, il fatto che esso rappresenti l’estremità inferiore del
mosaico, simmetrica a quella superiore (la croce giallo-oro),
giustifica il titolo della chiesa: Santa Maria della Croce.
11. L’intero vano absidale e la cupoletta del presbiterio,
presentano un unico, grande mosaico. Esso,
parzialmente sopravvissuto, è costituito da splendide
cromie che danno vita, nella zona absidale, a motivi
figurali connotati da elementi zoomorfi e fitomorfi
(animali e piante), simmetricamente disposti in due
riquadri geometrici separati da festoni policromi
intrecciati e da un’ampia campitura costituita
dall’insieme di tessere cromatiche sovrapposte a
coda di pavone, uccello simbolo della divina
regalità. Siamo di fronte al Paradiso terrestre, ossia
il giardino di Dio
12. Nella cupola si osservano, dall’alto verso il basso, tre
fasce cromatiche: la prima, celeste, presenta una croce
giallo-oro; la seconda un azzurro cielo stellato; la
terza, un festone circolare con i sette colori dell’iride:
E’ questa, la struttura dell’Empireo (il Paradiso
celeste) con i suoi nove cieli della Luna, di Mercurio,
di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno,
simbolizzati dal cerchio iridato, sovrastati dall’ottavo
(Stelle fisse) e dal nono (Primo Mobile) con al vertice
la Croce, il cui colore giallo allegorizza lo splendore di
Cristo, Luce del mondo.
13. Segue uno stacco murario dalla cupola all’arcone.
Ma, a segnare la continuità del discorso simbolico,
è una vite con grappoli d’uva e altri segni eucaristici
(melagrana, pigna), e vitali (la colomba e le
meduse) tipici del simbolismo paleocristiano.
La vite rampante è simbolo della Croce che unisce
terra (l’eden terrestre) e cielo (Eden celeste). Il
rettangolo, come il quadrato, simbolizza l’infinita
ciclicità del mondo naturale in uno spazio e in un
tempo finiti, mentre il cerchio e l’ovale
simbolizzano l’infinito e l’assoluta perfezione di
Dio.
14. Le cinque fasce (simmetriche la prima e la quinta)
rinviano al mondo terreno di cui sono simbolo. Il
parallelepipedo fra le stelle, tre disposte a triangolo
(fascia terza e centrale) e i rettangoli simbolizzano la
Terra; gli ovali il Cielo; nel loro interno vi è una
freccia che allegorizza il movimento dei cieli. La
treccia (quarta) e il meandro ondulato (seconda)
simbolizzano la riproduzione degli esseri e l’alternarsi
di vita-morte nell’ordine terrestre; il cinque del dado
ricorrente sulla faccia della Terra (il parallelepipedo)
rappresenta l’uomo destinatario della creazione e
dell’amore divino, ossia l’essere più perfetto creato a
immagine di Dio.
Ricorre, pertanto, una costante, allegorica numerologia: il 3,
con il suo multiplo 9 (I cieli), rimanda alla Divina Trinità; il 5,
invece, al risultato più perfetto della genesi, l’uomo. Infatti i
cinque puntini ne rappresentano i quattro arti (braccia e
gambe) e l’organo della riproduzione al centro del corpo
umano.
15. GLI AFFRESCHI
Fra il IX e il X secolo un grande numero di sacerdoti e di monaci greci giunge nel Salento al seguito delle armi
di Bisanzio. Ancora una volta il Salento si fa crocevia fra Oriente e Occidente.
Intorno al Mille, il linguaggio iconografico bizantino si innesta, in Santa Maria della Croce, sul tronco dell’arte
romana e paleocristiana. La chiesa subisce, infatti, l’influenza di una spiritualità che disdegna l’umanizzazione
del divino, propone la divinizzazione dell’umano, conferisce ieraticità alle figure dei Santi, della Madonna e del
Cristo, ha come canoni figurativi la centralità, la verticalità, la fissità della figura liberata da ogni traccia di
naturalismo, sicchè i motivi ornamentali di tipo naturalistico zoomorfo, geometrico dei mosaici tardo romani,
vengono sostituiti da Santi e Madonne dall’incarnato bruno, dall’abito orientale ricco di perle, dallo sguardo
profondo e misterioso.
Le pareti della chiesa si rivestono così di affreschi bizantini.
16. Sui primi due pilastri troviamo effigiati i volti degli
arcangeli guardiani del tempio: Michele e Gabriele,
veramente poco leggibili.
Sui due pilastri mediani osserviamo, a sinistra
una Madonna con Bambino e, a destra, Santa
Barbara.
La vergine e il Bambino sono allineati sullo stesso asse verticale, e la Madre, in posizione eretta, ostenta il figlio come se non avesse peso corporeo e
appoggia le mani su di lui per trattenerlo e non per sostenerlo.
Il canone è quello orientale della frontalità, centralità e fissità dell’immagine; può essere collocata nella prima metà del XI secolo.
L’altro affresco è quello che raffigura santa Barbara, una santa greca del IV secolo. Il suo culto, in Occidente, si diffonde soprattutto nel VIII secolo,
sicchè questo affresco è una delle prime immagini della Santa. Anche qui la figura è in posizione è in posizione eretta e presenta, lungo l’arco
sopracciliare, una traccia di verde smeraldo sfumato che ne impreziosisce lo sguardo.
17. Posti sulla parete nord dell’abside, si
incontrano gli affreschi di Giorgio e
Demetrio. Vi si coglie l’impronta di tempi
nuovi rispetto ai primi affreschi bizantini: non
più una assoluta staticità delle figure, ma un
movimento lieve, insieme con un accenno di
prospettiva sullo sfondo.
18. Percorrendo la navata centrale si osserva, sulla parete di sinistra, un ciclo di affreschi che hanno come tema scene del Nuovo
Testamento inerenti alla passione e alla morte di Cristo.
Quasi intatti quelli che raffigurano L’Ultima Cena e il Bacio di Giuda.
Nell’Ultima Cena il Cristo è seduto alla sinistra del tavolo e, con un aspetto contorto, intinge il pane nel piatto. Sereno il
Cristo, turbati i discepoli che accennano a un colloquio fra loro. Tutti gli apostoli hanno il ninbo, eccetto Giuda, il cui nome è
scritto in greco (Joudas).
Il riquadro successivo ripropone giuda che bacia il Cristo nei Getsemani.
19. All’impronta bizantina si affianca quella gotica negli
affreschi che adornano la volta a botte della navata centrale:
scene della vita e del martirio delle Sante Caterina
d’Alessandria (a sinistra) e Margherita di Antiochia (a
destra).
Questi affreschi non sono più bizantini ma gotici.
Inomi delle Sante sono scritti in latino e non in greco: è
una ulteriore traccia della coesistenza di due lingue, di due
riti, di due etnie.
Le vesti dei personaggi, lunghe fino ai piedi, erano in uso in
Francia sul finire del secolo XI secolo; mentre i personaggi
maschili non portano più pantaloni lunghi, usati nel XII
secolo, ma hanno le gambe coperte dalle calze che furono
adottate nel secolo successivo.
20. Fra gli altri affreschi è degna di nota una Madonna con Bambino:
è un’icona tardo-bizantina della fine del XIV secolo.
Maria ha il capo reclinato affettuosamente sul Bambino da lei
sorretto sul braccio sinistro.
Questa tipologia della Madonna umanizzata fa presagire
l’influenza giottesca.
Inoltre, si segnalano altri affreschi di assai scarso valore.
La facciata di Santa Maria della Croce fu
certamente modificata tra Quattrocento e
Cinquecento, quando anche l’interno sarebbe stato
ristrutturato. Essa presenta una struttura a
capanna, un piccolo rosone e un portale
rettangolare sovrastato da una lunetta.