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CORSO DI FORMAZIONE
IN PSICOMOTRICITA’ RELAZIONALE
Attivato dall’Associazione ACCAMAMAM
negli anni formativi 2005-2007
IL PENSIERO MAGICO
IN PSICOMOTRICITA’
Relatore: Dott.ssa Laura Bettini
Allievo: Dott.ssa Sara Zanotto
2
3
INDICE
INTRODUZIONE………………………………………………………………….…5
PRIMA PARTE
Teoria del pensiero magico
1. Il pensiero magico ed il pensiero razionale……………………….………………..11
2. Forme e funzioni del pensiero magico…………………………….……………….17
3. Caratteristiche del pensiero magico……………………………….……………….21
4. Il pensiero magico nel bambino………………………………….………………...23
5. Il pensiero magico contro le paure……………………………….………………...29
6. La bugia: prodotto del pensiero magico…………………………..………………..30
7. Psicomotricità, gioco e pensiero magico…………………………..……………….33
SECONDA PARTE
Esperienze di psicomotricità
1. La storia di Marco……………………………...…………………………………..41
1.1 Le sedute psicomotorie…………………………………………………….43
Il primo anno in sala………………...…………………………………43
Il bambino sulle nuvole……………...………………………………….48
Tra cielo e terra: verso una risoluzione……..…………………………56
2. La storia di Giovanni………………………..…………...…………………………71
2.1 Le sedute psicomotorie…………….………………………………………71
Il mondo protetto di Giovanni………………………………………….71
La paura della separazione…………………………………………….75
Quando mondo interno e mondo esterno entrano in contatto………….77
Il rapporto con la madre………………………………...……………..80
Verso la consapevolezza del reale……………………...………………83
4
CONCLUSIONE………………………...…………………………………………..87
BIBLIOGRAFIA………………………...…………………………………………..89
5
Introduzione
“Ora, Kitty, se te ne stai buona un attimo senza parlare sempre, ti dico quali
sono le mie idee sulla Casa dello Specchio. Prima di tutto, c’è la stanza che
vedi attraverso lo specchio – che è perfettamente identica al nostro salotto,
solo che le cose vanno nell’altra direzione. Io riesco a vederla tutta quanta
quando salgo in piedi sulla sedia – tutta, meno il pezzettino che c’è dietro il
camino. Oh! Muoio dalla voglia di vedere quel pezzettino! Come mi
piacerebbe sapere se accendono il fuoco d’inverno: non si può saperlo con
certezza capisci, a meno che il nostro fuoco non faccia fumo, e allora si vede
il fumo anche di là – ma potrebbero anche farlo solo per finta, per far
sembrare che hanno il fuoco acceso anche loro. Poi, guarda, i libri
assomigliano ai nostri, solo che sono scritti alla rovescia. Questo lo so bene,
perché ho messo un nostro libro davanti allo specchio, e ne hanno messo
uno dei loro, dall’altra parte.
“Ti piacerebbe vivere nella Casa dello Specchio, Kitty? Chissà se te lo
darebbero il latte. Magari, il latte della Casa dello Specchio non è buono da
bere – oh, la mia Kitty! Adesso passiamo il corridoio. Puoi vedere uno
scorcio del corridoio della Casa dello Specchio, se spalanchi bene la porta
del nostro salotto: ed è proprio tutto uguale al nostro corridoio fin dove lo si
riesce a vedere, solo che dove non si vede, al di là, potrebbe essere del tutto
diverso. Oh, Kitty, come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo
specchio ed entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono delle
cose bellissime là dentro! Facciamo finta che ci sia un modo per passarci
attraverso, Kitty. Facciamo finta che lo specchio sia diventato tutto come un
leggero velo di nebbia, e che lo possiamo attraversare. Ma guarda, si
trasforma, adesso è come se fosse una specie di brina, te lo giuro! Sarà
facile passarci –“.
Me tre diceva queste cose, era già salita sulla mensola del camino, quasi
senza sapere come avesse fatto ad arrampicarsi fin lassù. E lo specchio
stava davvero sciogliendosi e andava svanendo, proprio come una luminosa
nebbia d’argento.
Un attimo dopo, Alice era passata attraverso il vetro ed era saltata
agilmente giù, nella Casa dello Specchio. La prima cosa che fece fu di
guardare se c’era il fuoco nel camino, ed ebbe la soddisfazione di vedere
che c’era per davvero: scoppiettava allegramente, proprio come quello che
aveva lasciato dell’altra parte. “Così qui starò al caldo, come nella stanza
6
vecchia” pensò Alice, “e anche di più, in realtà, perché qui non c’è nessuno
che mi rimprovera se sto vicino al fuoco. Ah, che spasso sarà, quando dallo
specchio mi verranno qua dentro e non potranno venire a prendermi”.
(Lewis Carrol, Attraverso lo specchio)
Ho deciso di approfondire alcuni aspetti del pensiero magico proprio perché ritengo
che sia un tema centrale ed imprescindibile quando si parla di psicomotricità o si entra in una
sala di psicomotricità.
Lewis Carrol in “Attraverso lo specchio” riesce a descrivere La Casa dello Specchio di Alice
trasmettendo tutta quella dimensione magico-fantastica che è propria anche del gioco del
bambino e molto simile a quella che si crea quando si entra nella sala di psicomotricità. La
sala di psicomotricità è un luogo caratterizzato da una dimensione immaginaria, magica, di
gioco, dove tutto può succedere, anche ciò che non ha senso, anche le cose più irreali. È una
dimensione creata dal bambino attraverso il “fare finta di…”, proprio come Alice. Nel “fare
finta di…” tutto può accadere e lo spazio ed il tempo diventano spazio e tempo di
sperimentazione per il bambino. Il bambino nel gioco ha la possibilità di sperimentare in una
dimensione magica che rende possibile il “fare finta di…”.
All’interno della psicomotricità il gioco sviluppa una realtà immaginaria e magica, creata
dalla fantasia del bambino, dalla sua capacità di trovare soluzioni creative ed innovative. La
risorsa più grande del bambino è la sua capacità di creare spazi immaginari, spazi all’interno
dei quali si sviluppano possibilità e potenzialità. La creatività, la fantasia e l’immaginazione
che prendono forma dal pensiero magico accompagnano il bambino durante tutta la sua vita,
anche durante l’età adulta e svolgono un’importante funzione di mediazione nei confronti
della realtà.
Giocando in sala con i bambini mi sono accorta quanto sia importante che ognuno riesca ad
esprimere e valorizzare il proprio mondo magico. Tutti i bambini sono magici. A volte può
capitare che siano talmente magici da essere travolti dalla loro stessa magia, bisogna allora
aiutarli a scoprire questa magia, ad usarla in maniera consapevole e non distaccata dalla
realtà. Questi bambini così magici hanno il potere di riavvicinare anche noi adulti al magico,
ci danno la possibilità di usufruire nuovamente dello sguardo magico sulla realtà che da
sempre ci accompagna, ma del quale spesso siamo inconsapevoli. Gli adulti “hanno imparato
che esistono molteplici schemi teorici per la comprensione del mondo – anche se troviamo
difficile se non impossibile pensare veramente in base a qualsiasi altro schema che non sia il
7
nostro –“1
. Questo sguardo magico, per quanto possa sembrare contraddittorio aiuta a
mantenere il contatto con la realtà e ad affrontare la vita con la giusta dose di leggerezza.
Il pensiero magico come “il simbolo rivela determinati aspetti della realtà – gli aspetti più
profondi – che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza. Le immagini, i simboli, i miti,
non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono a una necessità ed adempiono
una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere”2
.
Dare ascolto al nostro mondo magico significa ritrovare contatto con il nostro bambino
interiore, affinare la nostra sensibilità, il nostro rapporto, la nostra partecipazione e la nostra
comprensione del e con il mondo. La sensibilità e l’attenzione unite alla capacità d’ascolto
rientrano tra quelle caratteristiche fondamentali che soprattutto chi si avvicina alla professione
di psicomotricista dovrebbe ricercare.
Nel gioco il pensiero magico dischiude un linguaggio simbolico che da voce al nostro mondo
interiore, al nostro inconscio.
Le domande che queste argomentazioni sul pensiero e sul mondo magico dell’individuo
suscitano sono molteplici: Quanto della nostra realtà appartiene al nostro mondo magico?
Quanto il mondo magico fa parte della vita dell’individuo? Quanto sono vicini mondo magico
e inconscio? E quanto questi influenzano il nostro personale modo di vedere la realtà? Quanto
di ciò che viviamo nel mondo esterno è influenzato dal nostro mondo interno? Qual è il
confine tra mondo magico e reale? Non sempre tali domande trovano risposta, ma spesso il
mondo magico è molto più vicino di quello che pensiamo.
1
Bettelheim B., In mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1975, p.48
2
Eliade M., Immagini e simboli, Java Book, Milano, 1952, p.16
8
9
PRIMA PARTE
Teoria del pensiero magico
10
11
1. Il pensiero magico ed il pensiero razionale
Secondo la concezione comune quando si fa riferimento al pensiero ci si riferisce a
quella facoltà propria degli esseri razionali, che pone l’attenzione soprattutto sulla logica
razionale mettendola in antitesi a qualsiasi forma magica, fantastica o maggiormente legata
all’impulsività.
Umberto Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia definisce pensiero: “l’attività
mentale che comprende una serie svariata di fenomeni, come ragionare, riflettere,
immaginare, fantasticare, prestare attenzione, ricordare, che permette di essere in
comunicazione con il mondo esterno, con se stessi e con gli altri, nonché di costruire ipotesi
sul mondo e sul nostro modo di pensarlo.” e continua scrivendo “Può deteriorarsi come nel
delirio, o disorganizzarsi come nell’erompere delle emozioni. Esistono diversi tipi di pensiero
studiati nella loro forma ed espressione, e definizioni molto differenziate per effetto dei
presupposti teorici da cui i vari orientamenti psicologici prendono le mosse.”. Più
specificatamente pone in antitesi pensiero realistico e pensiero magico sottolineando che “ il
primo si attende ai dati di realtà, il secondo, tipico dello stadio infantile e del modo primitivo
di pensare come ha dimostrato Lévy-Bruhl, vive di partecipazione mistica3
con gli oggetti e le
cose vissute come animate e fornite di intenzionalità. Oltre al pensiero magico si oppone, al
pensiero realistico, il pensiero dereistico i cui contenuti si riferiscono ai bisogni ed alle
fantasie del soggetto al punto di misconoscere la realtà come nelle situazioni deliranti.” 4
Il pensiero (per come lo intenderemo in questo scritto) racchiude in sé non solo
l’aspetto logico-razionale, ma aspetti più profondi, che spiegano in maniera più completa ed
esaustiva l’agire umano e che richiamano alla complessità dei processi cognitivi umani. Una
prospettiva che consideri il pensiero solo da un punto di vista logico razionale risulta dunque
riduttiva, sia che si tratti di un bambino sia che si tratti di un adulto. Viene così messa in
evidenza la natura illusoria dell’“uomo logico”, che nella sua perfezione rimane un’idea
astratta.
Appare evidente che le scelte quotidiane non vanno sempre ricondotte a principi e a regole
proprie della razionalità o della logica causa-effetto, ma più spesso rientrano nell’orizzonte
del pensiero magico o quasi magico o dell’istinto e dell’emotività umana5
. Quando il pensiero
3
Termine introdotto da Lévy-Bruhl per indicare la modalità con cui, a suo parere, i primitivi percepiscono la
realtà. Con il termine mistico si intende la credenza in forze, in influenze ed in azioni impercettibili ai sensi e
tuttavia reali. La mentalità primitiva stabilisce relazioni emozionali tra oggetti che, dal punto di vista della
casualità fisica, non rivelano relazioni tra loro.
4
Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006
5
Giusberti F., Nori R., Il pensiero quasi-magico, in “Psicologia Contemporanea”, 160, 50-55.
12
magico interviene nelle nostre scelte si ritiene che la realtà sia influenzabile secondo i propri
pensieri e desideri. “Col temine potere (magico) si vuol designare l’energia o la capacità che
consentono di produrre un effetto desiderato. L’essenza del magico sta nel fatto che vengono
usate tecniche misteriose per l’osservatore e ovvie per l’operatore.”6
.
La “cultura occidentale”, che trae le basi dalla corrente scientifico positivista, è
contraddistinta da questa contrapposizione tra pensiero magico e pensiero logico-razionale. È
diffusa, infatti, la concezione comune secondo la quale il pensiero è molto più vicino alla
logica razionale che non agli aspetti del magico e di conseguenza viene ricondotto
prevalentemente al pensiero ipotetico deduttivo, che “opera formulando ipotesi relative ad
eventi presenti o potenziali e verificando tali ipotesi sulla realtà, seguendo operazioni logico-
matematiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ordinamento, sostituzione,
inclusione in classi, relazioni) e spazio temporali (reversibilità, compensazione). Dunque le
decisioni fondate sulla logica ipotetico-deduttiva seguono più generalmente i principi della
statistica e del calcolo probabilistico”7
.
Se si vuole comprendere ciò che motiva l’agire umano e le basi che lo sottendono è necessario
allargare la propria visione di pensiero, analizzandolo non solo per quanto riguarda gli aspetti
logico razionali, ma anche per quanto riguarda quegli aspetti che qui chiameremo magici. La
predisposizione umana al pensiero magico e alla magia, che si innesta facilmente a partire da
questo, contraddistingue in particolar modo il funzionamento cognitivo del bambino, ma tale
forma permane e non abbandona mai totalmente la mente umana.
Pensiero magico e pensiero razionale dunque si configurano come due strutture mentali che
convivono ed interagiscono quotidianamente anche nella mente dell’adulto.
Molti studiosi hanno contribuito ad approfondire gli aspetti del pensiero ed in
particolare quelli riferiti al pensiero magico.
Secondo la Teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget sono rintracciabili nella vita
dell’essere umano, a partire dalla nascita fino all’età adulta, dei “periodi” o “stadi”
dell’evoluzione del pensiero: Stadio senso-motorio (0-2 anni); Stadio pre-operatorio (2-6
anni); Stadio operatorio concreto (6-12 anni); Stadio operatorio formale (da 12 anni in poi).
Piaget fa rientrare il pensiero magico nello stadio pre-operatorio ed individua gli elementi che
caratterizzano tale stadio. Alcuni di essi appaiono utili ai fini della comprensione del contesto
evolutivo nel quale entra in gioco il pensiero magico:
6
Eliade M. diretta da, Enciclopedia delle religioni, vol. 2 Il rito, oggetti, atti, cerimonie, Edizione Tematica
Europea a cura di D. M. Cosi, L. Saibene, R. Scagno, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993, p. 423
7
Miller P. H., Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino, Bologna, 1983
13
• L’egocentrismo, ossia la tendenza del pensiero ad essere incentrato sull’Io. Il bambino
guarda le cose unicamente dal suo punto di vista, senza rendersi conto che esistono
molteplici prospettive.
• Il ragionamento primitivo o trasduttivo che prevede una modalità di pensiero secondo
la quale due avvenimenti che avvengono per caso contemporaneamente, non solo sono
strettamente collegati, ma uno è causa dell’altro. Il nesso cronologico per il bambino è
dunque causale. È questo il tipo di ragionamento che sta all’origine del pensiero
magico, che tende a scomparire verso i sei anni.
• L’identità dell’oggetto: secondo tale concetto l’oggetto è ora percepito dal bambino
come identico a se stesso. Questa, secondo Piaget, è una conquista importante, che
coinvolge anche l’identità sessuale del bambino. Verso i 5-6 anni, infatti, egli sa
perfettamente che indossando abiti femminili non potrebbe mai diventare una
bambina. Inizia a delinearsi la capacità di pensare al “come se”.
Piaget individua nel pensiero pre-operatorio alcune operazioni mentali specifiche tra cui:
l’animismo e il pensiero magico.
L’animismo è inteso come l’attribuire vita ad oggetti sia inanimati che animati. Tale
tendenza diminuisce con l’età. Fino ai 6-7 anni tutti i corpi, anche quelli immobili, sono
considerati come vivi e dotati di intenzione. Piaget sostiene che l’animismo infantile sia
dovuto da due ordini di fattori: individuali e sociali.
Tra i fattori sociali, assume una certa importanza il rapporto del bambino con i propri genitori,
in particolare quello con la madre che intervenendo in tutti i suoi atti e in tutti i suoi affetti
impedisce al fanciullo di distinguere la sua attività da quella degli altri. Sono i genitori dunque
a concorrere nel determinare l’indifferenziazione tra l’Io e il mondo esterno.
I fattori di ordine individuale sono due: l’indissociazione e l’introiezione. Nel primo caso, il
bambino, inizialmente non distingue gli atti intenzionali da quelli non intenzionali, il mondo
psichico da quello fisico, il soggettivo dall’oggettivo e attribuisce alle cose vita, coscienza ed
emozioni. L’introiezione, invece, è la tendenza ad attribuire alle cose i medesimi sentimenti
che si provano di fronte ad essi. È dunque l’interpretazione del suo egocentrismo.
Il pensiero pre-operatorio, secondo Piaget, è prevalentemente pensiero magico, altrimenti
definito egocentrismo infantile. Piaget definisce la magia come l’uso che l’individuo crede di
poter fare dei rapporti di partecipazione8
per poter modificare la realtà.
8
Piaget definisce partecipazione il rapporto tra due esseri o due fenomeni aventi una diretta influenza l’uno
sull’altro, pur non esistendo fra loro né contatto né legame causale intelleggibile. Ogni magia presuppone una
partecipazione.
14
Freud accosta il pensiero magico dell’uomo primitivo a quello del bambino. Ritiene
che la magia sia prodotta dal desiderio e che dietro ad ogni pratica magica del bambino ci sia
un’affettività particolare.
Egli considera la magia il risultato del narcisismo infantile, ossia uno stadio dello sviluppo
affettivo durante il quale il fanciullo non si interessa che della propria persona, dei propri
desideri e dei propri pensieri. Il bambino innamorato di se stesso, considera i suoi pensieri e i
suoi desideri capaci di influenzare magicamente gli avvenimenti e dotati di tutta l’efficacia
necessaria. Freud coglie l’essenza del magico nell’onnipotenza del pensiero, riscontrabile
tanto nei bambini, che ancora non si misurano con i dati di realtà, quanto nei nevrotici
ossessivi che con le loro fissazioni e con i loro rituali tentano di controllare, proiettandolo sul
mondo esterno, il loro mondo interno animato da forze che temono di non riuscire a
contenere, con il rischio di una scissione.
Freud oppone al mondo interiore, che tende a soddisfare i propri desideri per via illusoria
(fantasma), un mondo esterno che impone al soggetto il principio di realtà. Come messa in
scena del desiderio, il fantasma è anche luogo di operazioni difensive che possono assumere
le forme della conversione nell’opposto del diniego e della proiezione.
Jung definisce la magia come un’identificazione con forze inconsce al fine di
propiziarle, di servirsene, di distruggerle, di neutralizzare la loro potenza o di allearsi con esse
per poter esercitare sul mondo esterno una maggior influenza. Dette forze agiscono come
complessi autonomi dall’Io, che l’Io, se non è sopraffatto, tenta di controllare con rituali
magici.
Sia Freud che Jung calano la relazione tra pensiero magico e calcolo razionale in un
vero e proprio schema dialettico ed individuano una sorta di mancata, perduta o non ancora
avvenuta distinzione tra interno ed esterno, processo psichico e natura, dunque uno stato di
identità tra soggetto ed oggetto, sé e gli altri, animato e inanimato e così via. In tal caso ciò
che capita dentro è immediatamente percepito come un avvenimento là fuori, e viceversa, un
evento esterno è recepito come un fatto personale, interiore. Secondo tale concezione,
diventare adulti, significa riuscire a divaricare questi due lembi sovrapposti e confusi, marcare
tra loro uno scarto, una distanza, un intervallo, in modo da articolare e differenziare lo stato di
identità di partenza, facendo una distinzione.
Quello del pensiero magico non è altro che uno stadio, una fase dello sviluppo, in cui domina
una generale sopravvalutazione dei processi psichici rispetto alla realtà, dove cioè le relazioni
che sussistono tra le rappresentazioni delle cose vengono presupposte anche tra le cose
15
medesime. È la fase retta, secondo l’espressione di Freud, da un’onnipotenza dei pensieri: una
fase eroica, fiduciosa oltre ogni misura nelle proprie incipienti capacità.
L’evoluzione del magismo segue uno schema che partendo dall’animismo primitivo fa
seguire una fase religiosa, dove l’onnipotenza viene ceduta agli dei, e corrispondentemente il
bambino, da “narcisista” centrato esclusivamente su di sé, mostra un attaccamento ai suoi
genitori. Da quella religiosa si passa ad una “fase scientifica” dove, dice Freud, non c’è più
posto per l’onnipotenza dell’uomo, il quale riconosce la sua pochezza e si sottomette con
rassegnazione alla morte come a tutte le altre necessità della natura.
Che lo spirito debba necessariamente preludere al realismo della mentalità scientifica, che la
magia sfoci di diritto in raziocinio è ciò che Jung contesta. L’inconscio è il luogo dove le
nostre ordinarie contrapposizioni polari (soggetto e oggetto, mente e natura, intemporalità e
storia) stanno ancora ripiegate in se stesse, in stato di identità ed è senz’altro il ricettacolo di
tutti i contenuti dimenticati, passati o rimossi, di certo la sfera in cui prendono posto tutti i
processi subliminali, come le percezioni sensoriali troppo deboli per raggiungere la coscienza;
ma anche, e soprattutto, la matrice da cui cresce il futuro psichico. L’inconscio trova la sua
dimensione più autentica quando è pensato come matrice collettiva, costitutivamente
inafferrabile da un punto di vista logico, letteralmente comune a tutto e presente in ciascun
individuo, capace di avvolgere in se stesso tempo, spazio e causalità.
Altri studiosi si soffermarono a discutere sulla natura della magia da un punto dal
punto di vista psicologico. Wilhelm Wundt sosteneva che il pensiero magico, in quanto fase
più antica nello sviluppo del pensiero religioso, era basato su processi emozionali, il
principale dei quali era la paura nei confronti della natura, ostile al genere umano e perciò
interpretata come una forza malavgia che può essere controllata dalla magia.
Gerardus van der Leeuw sosteneva che il mago aveva la convinzione di poter
controllare il mondo estreno mediante l’uso di parole e incantesimi.
Un contributo fondamentale dal punto di vista antropologico all’interpretazione del
pensiero magico e della magia e stato dato da B. Malinowski. Nel suo “Magia, scienza e
religione”, lo studioso sostiene che magia, religione e scienza sono da sempre coesistenti,
distinte ma unite da reti di relazioni reciproche. A differenza di altri studiosi, Malinowski,
infatti, ritiene che la conoscenza scientifica rimanga la spina dorsale della cultura, da sempre,
e si estenda con pieno diritto anche all'uomo primitivo, di cui era guida determinante nel suo
rapporto con l'ambiente. L’atto magico è, per Malinowski, l’espressione simbolica di un
desiderio, completamente slegato dal rapporto causa-effetto, che comunque è tenuto presente.
La funzione della sfera rituale è una funzione di protezione psicologica di fronte ai rischi ed
16
alle situazioni aleatorie proposte dalla vita quotidiana. La magia rappresenta una sorta di
“ottimismo standardizzato”9
che infonde fiducia e sicurezza e aiuta a superare le difficoltà
esistenziali. Il senso ultimo della magia è quello di far sì che l’uomo non desista dall’operare,
offrendogli una via d’uscita laddove si profila il rischio. “La magia protegge le persone
dall’indigenza e mette nella condizione di ottenere successo, situazioni queste in cui le
implicazioni di carattere emozionale e sociale sono alte. La magia provoca in chi vi crede una
fiducia in se stessi sul piano psicologico, può essere di aiuto nel raggiungimento dei più alti
livelli di sviluppo tecnologico e morale e permette di organizzare meglio il lavoro individuale
e di controllare quello di gruppo, da cui dipende il benessere dei membri della società: la
magia ritualizza l’ottimosmo dell’uomo.”10
Secondo De Martino, il compito storico della magia sarebbe il riscatto dell’angoscia.
La difesa è la garanzia della personalità in crisi. Nel mondo magico la personalità non è
ancora fortemente consolidata, essa è sempre soggetta al rischio di smarrirsi. Ne “Il mondo
magico”, De Martino pone l’accento su alcuni fenomeni tipici di pratiche sciamaniche, quali
la spersonalizzazione e lo scatenamento di impulsi incontrollabili.
9
Malinowski B., Teoria scientifica della cultura e altri saggi, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 208
10
Eliade M. diretta da, Enciclopedia delle religioni, vol. 1 Oggetto e modalità della credenza religiosa, Edizione
Tematica Europea a cura di D. M. Cosi, L. Saibene, R. Scagno, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993, p. 346
17
2. Forme e funzioni del pensiero magico
Al fine di comprendere fino in fondo quelle che sono le funzioni e i meccanismi che
stanno alla base del funzionamento del pensiero magico è opportuno considerare le
motivazioni che spingono la persona ad utilizzare la magia o più specificatamente riti e
condotte magiche.
Il pensiero magico prendendo la forma più adeguata ai tempi accompagna l’uomo
nella vita ed in particolare quando la vita stessa ed il futuro diventano più oscuri. L’ignoto, il
non prevedibile da sempre sono stati per l’uomo fonti di angoscia. Nella sua essenza il
pensiero magico affonda verosimilmente le sue radici nel bisogno dell’essere umano, specie
in condizione di maggior precarietà e vulnerabilità, di neutralizzare, almeno in parte, la
penosa condizioni di inadeguatezza di fronte agli elementi strapotenti con cui si deve
confrontare. Mai come nei momenti di crisi, di difficoltà e di insicurezza l’uomo ha bisogno
di attingere a tale risorsa in maniera equilibrata. “Sta all’uomo moderno risalire la corrente e
riscoprire il significato profondo di tutte quelle immagini appassite e di tutti quei miti
degradati. Non ci si venga a dire che queste storie non interessano più all’uomo moderno, che
esse appartengono a un passato di superstizione fortunatamente liquidato dal XIX secolo, che
va bene per i poeti, i bambini e la gente che viaggia in metropolitana rimpinzarsi di immagini
e di nostalgia ma, per pietà!, si lasci che la gente seria continui a pensare a fare la storia: una
separazione del genere tra le cose serie della vita e le fantasticherie non corrisponde alla
realtà. L’uomo moderno è libero di disprezzare le mitologie, tuttavia non gli impedirà di
continuare a nutrirsi di miti decaduti e di immagini degradate. La più terribile crisi storica del
mondo moderno – la seconda guerra mondiale e tutte le conseguenze che ha portato con sé e
si è trascinata dietro – ha dimostrato a sufficienza che pensare di sradicare miti e simboli è
pura illusione. Anche nella situazione storica più disperata, degli uomini e delle donne hanno
cantato romanze, ascoltato delle storie e quelle storie non facevano che trasmettere dei miti,
quelle romanze erano cariche di nostalgie. Tutta questa parte, essenziale e imprescindibile
dell’uomo, che si chiama immaginazione nuota in pieno simbolismo e continua a vivere miti e
teologie arcaici. Sta all’uomo moderno, dicevamo, risvegliare questo inestimabile tesoro di
immagini che egli porta con sé: risvegliare queste immagini per contemplarle nella loro
verginità e assimilare il loro messaggio. La saggezza popolare ha espresso a più riprese
l’importanza dell’immaginazione per la salute stessa dell’individuo, per l’equilibrio e la
ricchezza della sua vita interiore”11
.
11
Eliade M., Immagini e simboli, Java Book, Milano, 1952, p.21-22
18
“Se nell’antica Grecia si vedevano mostri e demoni, dei e semidei, e nel Medioevo
apparivano madonne, oggi il pensiero magico deve prendere una forma adeguata al nuovo
immaginario collettivo.”12
Il mondo immaginale, l’immaginario archetipico è una forma di
rappresentazione del mondo che G. Durand così descrive: “La coscienza dispone di due
maniere di rappresentare il mondo. Una diretta nella quale la cosa si presenta essa stessa allo
spirito, come accade nella percezione o nella semplice sensazione. L’altra indiretta quando,
per una ragione o per l’altra, la cosa non può presentarsi in carne e ossa alla sensibilità, come
per esempio nel ricordo della nostra infanzia, nell’immaginazione dei paesaggi del pianeta
Marte, nella rappresentazione degli elettroni che girano intorno al nucleo dell’atomo, o di un
al di là che sta oltre la morte. In tutti questi casi di coscienza indiretta, l’oggetto assente viene
ri-presentato alla coscienza da un’immagine.”13
Alla voce magia del Dizionario di Psicologia a cura di Galimberti si legge come “dal
punto di vista psicologico la magia ha la sua radice nella precarietà dell’esistenza, sempre alla
ricerca di forme protettive e rassicuranti. In assenza di strumenti di controllo della realtà
interiore e della realtà esterna, la prima forma di protezione è rappresentata dalla magia che
dischiude un orizzonte mitico, definito da De Martino metastoria, dove il senso delle azioni
degli uomini è gia descritto e quindi anticipato nel suo buon fine. Questo fa sì che, quando
nella storia il negativo assale l’esistenza, l’individuo non naufraghi nella negatività
sopraggiunta, perché sa che c’è un ordine superiore, un ordine metastorico, che la magia si
incarica di descrivere, in cui questa negatività, con particolari rituali, può essere riassorbita e
risolta. In tale prospettiva, l’individuo affronta il negativo e le crisi d’esistenza che ogni
evento negativo dischiude, appoggiandosi ad una sorta di “così come” che il rito magico
ribadisce. Come nel mito una determinata serie di eventi trova la sua risoluzione positiva,
così, praticando i riti conformi al disegno del mito, una serie analoga di eventi che sta
succedendo a un certo individuo in un certo frangente della sua esistenza, troverà soluzione.
(…) Come orizzonte della crisi, la magia controlla la negatività del negativo evitandole di
espandersi; come luogo di destorificazione del divenire la relativizza consentendo di
affrontare le prospettive incerte “come se” tutto fosse già risolto sul piano metastorico,
secondo i modelli che il desiderio umano di protezione prefigura”14
.
Le condotte magiche, inoltre, permettono di spostare le responsabilità fuori da sé,
concentrandola su altro di esterno: su di un oggetto, su di uno sguardo o una parola,
attribuendo un particolare senso ad una parte di realtà che altrimenti sarebbe difficile accettare
12
Dal sito: www.comeDonChisciotte.org
13
Durand G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Roma, 1963, p.9
14
Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006
19
o spiegare. Alla base sembra comunque esserci la necessità di avere il controllo della realtà
che in qualche modo è egoantropomorfizzata. Vengono attribuiti processi psichici, cognitivi
ed emotivi all’esterno, come risultati di proiezioni personali, di emozioni, di sentimenti e di
pensieri intollerabili.
In alcuni casi seguendo il modello del pensiero magico, che attende la risoluzione dei
problemi non dalla sequenza dei nessi causali, ma da formule, gesti, riti, può determinarsi
una vera e propria disarmonia con i dati di realtà. Alcuni agiti possono essere supportati da
una condizione mentale che ignora le leggi della logica e le connessioni naturali.
I riti magici consentono l’illusione di progredire, perfezionarsi, compensare errori, appagando
il bisogno di affermazione di sé e non per ultimo l’aggressività, agita verso aspetti o persone
valutate come ostacolanti, spesso oggetti di proiezione difensiva di aspetti profondi interiori.
Jung ritiene che il ricorso a rituali magici sia funzionale al controllo delle forze inconsce che
agiscono nell’essere umano come complessi autonomi dell’io: “In questa età di materialismo
(…) si è avuta una reviviscenza della fede negli spiriti, sia pure a livello più elevato. Non si
tratta di una ricaduta nella superstizione ma nel bisogno di proiettare la luce della verità su un
caos di fatti malsicuri”15
. “Laddove la realtà appare segmentata e divisa occorre riconoscerla
in unità, laddove l’oggetto delle nostre aspirazioni appare irrimediabilmente distante, quando
la realtà circostante riproduce incertezze e paure che minano la vita collettiva, quando occorre
riappropriarsi della realtà che ci è ostile dominandola, l’individuo ricorre all’unica forza
incondizionata che avverte in sé, quella del pensiero. Proiettando, oggettivando questa forza
attraverso rituali, simboli e segni, egli riproduce il fenomeno magico, che è la forma primitiva
di riappropriazione della realtà e che culmina nello sforzo di ricostruire quell’unità indistinta
di soggetto e oggetto che il bambino porta con sé al momento della nascita. Il pensiero
magico ricrea dunque l’unità del conoscere, racchiude in sé soggetto e oggetto, riunisce il
frammentario, colma le distanze, salta la realtà, proietta nel futuro desideri inappagati. Di
fronte a questo tipo di conoscenza e di agire umano, il conoscere scientifico e la stessa
razionalità sono episodi, forme storiche che si realizzano come prese di coscienza della realtà
e si mantengono solo attraverso lo sforzo costante del soggetto che rinuncia alle consolazioni
sostitutive, non si stanca di cercare fenomeni di verità, non cessa d’usare lo strumento della
ragione.”16
Il pensiero e la condotta magica sono tentativi di adattamento all’ambiente o di reagire in una
maniera che si presume efficacemente difensiva. “La magia è la nostra grande riserva di forza
15
Jung C. G., I fenomeni occulti, Bollati Boringheri, Torino, 1902
16
Mongardini C., a cura di, Il magico e il moderno, Franco Angeli Editore, Milano, 1983
20
contro la frustrazione, la sconfitta e il Super-Io.”17
Si tratta di una risposta adattiva o reazione
difensiva che la magia è in grado di esprimere nonostante l’irrazionalismo che la sottende,
con lo scopo di produrre un allentamento della tensione psichica di fronte alla difficoltà che si
cerca di superare magicamente.
Il pensiero magico diventa “appiglio”, sostegno, diventa meccanismo di difesa.
Ecco riassumendo alcune delle principali funzioni che il pensiero magico riveste, nella
vita mentale infantile ma non solo:
• Funzione difensiva: secondo la quale il pensiero magico è in grado di controllare la
realtà. Tale funzione permette, soprattutto durante l’età evolutiva di affrontare
situazioni che provocano angoscia o insicurezza;
• Funzione propiziatoria: secondo la quale esistono delle forze in grado di regolare gli
eventi e si agisce sulla base di suddette credenze;
• Funzione conoscitiva: il pensiero magico in questo caso avrebbe il compito di
sopperire ai vuoti di altre forme di pensiero, nei casi in cui il ricorso alla logica
razionale non sia sufficiente.18
17
Ròheim; citato da Marc Augè in “Magia”; Enciclopedia Einaudi; vol VII, Torino, 1979;
18
Cfr. Dal sito: www.comeDonChisciotte.org
21
3. Caratteristiche del pensiero magico
La caratteristica principale del pensiero magico è la partecipazione, poiché attraverso
di essa viene percepito un rapporto tra due fenomeni che in realtà è assolutamente inesistente.
In virtù di questo rapporto l’individuo crea dentro di sé l’illusione di poter modificare la
realtà attraverso la magia che il pensiero magico stesso può muovere. Queste modalità
appaiono molto più evidenti nelle popolazioni primitive.
Lo stesso concetto di simbolo è da ricondurre al pensiero magico: il legame che lega
significante, ossia il simbolo stesso, e il significato, ossia l’oggetto o l’evento rappresentato,
non è reale, ma stabilito dalla mente umana sulla base di una relazione partecipativa che lo
rende reale e presente (nel tempo e nello spazio). In questo senso la partecipazione è una
caratteristica fondamentale in quanto è in grado di reggere ed alimentare la strutturazione
magica del pensiero ed in grado di sostenere scelte e la vita intera di alcune persone.
Il pensiero magico si basa anche su di un’altra caratteristica che gli permette di
sopravvivere nonostante i “fallimenti”: l’impermeabilità dell’esperienza.
Molte volte, infatti, anche quando le esperienze contraddicono il pensiero magico, non nasce
il bisogno di spiegare tale insuccesso, perché questo insuccesso viene legato ad altro19
.
A differenziare il pensiero magico da quello logico è inoltre la rottura
dell’organizzazione spazio-temporale. Tale pensiero infatti è supportato da una causalità
artificiale, illogica e paradossale, che non risponde alla stretta legge della causa-effetto.
Questa rottura si verifica tutte le volte in cui si stabilisce un legame, tra una causa ed un
effetto, privo di un momento temporale o di uno spazio ben limitato.
Il pensiero magico opera anche quando sono attivate tutte le capacità di pensiero. In
particolari condizioni infatti il pensiero razionale non ha informazioni o condizioni sufficienti
per operare; l’attività di pensiero, e di conseguenza la preferenza di una modalità piuttosto che
un’altra, viene quindi multideterminata, ossia influenzata da fattori diversi, quali possono
essere le capacità logiche possedute, le caratteristiche individuali del soggetto o i fattori
situazionali20
.
Pensiero e condotte magiche sono dunque diversi da persona e persona, caratterizzati dalla
soggettività che ne esalta la natura di tentativo di adattamento alla realtà così com’è
individualmente percepita e rappresentata mentalmente.
19
Cfr. Jung C. G., Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino, 1942
20
Cfr. Bonino S., Reffieuna A., Psicologia dello sviluppo e scuola elementare. Dalla conoscenza all’azione,
Giunti, Firenze, 1999
22
23
4. Il pensiero magico nel bambino
Il pensiero magico rappresenta una modalità di pensiero predominante nell’infanzia in
cui assume il valore di un mezzo di adattamento. Durante l’infanzia sono svariate le situazioni
nelle quali questo processo si manifesta: nel gioco, per esempio, ma non solo. Spesso sono
modalità con le quali il bambino compensa situazioni reali frustranti.
I bambini organizzano le esperienze in base ai vari significati, colmano lacune
cognitive facendo uso delle fantasie, dell’invenzione di un proprio linguaggio e di una
concreta e vivida visione della realtà. Il bambino conosce lo svolgimento reale e i retroscena
di molte cose, ma ci sono anche profonde lacune che egli riempie con le proprie fantasie. Il
pensiero magico non è qualcosa di confuso, folle, separato dal mondo, è una forma di
intelligenza commisurata all’età, che permette ai bambini di essere creativamente attivi e di
strutturare, comprendere e spiegare a se stessi, il mondo che li circonda. Capita spesso che i
bambini siano convinti che le cose capitino perché loro le hanno desiderate.
Piaget distingue le pratiche magiche del bambino in quattro categorie, secondo il loro
contenuto e secondo il loro rapporto causale.
Magia per partecipazione dei gesti e delle cose, per la quale il fanciullo grazie ad un
gesto o ad un’operazione mentale, realizza un determinato avvenimento o ne
scongiura un altro.
Magia per partecipazione del pensiero e delle cose, in cui il pensiero, una parola o
uno sguardo sono per il bambino capaci di modificare la realtà. Come se gli strumenti
del pensiero fossero legati alle cose stesse e capaci di agire su di loro.
Magia per partecipazione di sostanze, secondo la quale la magia non è più legata ad
un gesto o ad un pensiero, ma a un corpo o a un luogo che il bambino utilizza per
influenzare un avvenimento o agire su di un altro corpo.
Magia per partecipazione di intenzioni e magia per comando, in cui i corpi sono
animati e dotati di intenzione dal bambino. Sicuramente alla base di questa credenza
troviamo l’egocentrismo.
Il pensiero magico, guidato dall’io del bambino, dalla sua voglia di risolvere tutto con
un colpo di bacchetta magica, di assoggettare la realtà oggettiva ai suoi desideri, è fortemente
emotivo. Il bambino sviluppa inizialmente una visione del mondo di tipo panpsichistico, ossia
vede gli oggetti come dotati di un’anima ed in stretta relazione con lui.
24
La produzione fantastica è data da rappresentazioni mentali, da immagini, derivate dalla realtà
e trasfigurate. Esse si muovono, assumono forma e vita propria, si scompongono in elementi
più semplici e si ricompongono in unità complesse e diverse dalle precedenti. E' questo un
inarrestabile ed infinito gioco di produzione immaginaria a cui sono associate sensazioni,
emozioni e profondi turbamenti dell’animo infantile.
Il pensiero magico prende forma da due diversi “fenomeni” della “mentalità infantile”,
uno di origine individuale, uno di ordine sociale:
• Il realismo implica l’indifferenziazione e la confusione tra mondo interno (Io) e
mondo esterno (non Io) ed è fondamentale affinché lo psichico possa invadere e
permeare il fisico e viceversa, così come avviene nella struttura di pensiero in
questione.
• L’animismo comporta invece la convinzione che gli oggetti e gli eventi esterni siano
dotati di propri sentimenti e volontà, che possono essere favorevoli oppure ostili21
.
Il bambino si sforza nel cercare una spiegazione dei fenomeni oggettiva. Nel bambino l’Io si
evolve trovando spiegazioni razionali, soprattutto chiarendo la distinzione tra realtà soggettiva
(fantastica, onirica ed emotiva) e la realtà oggettiva. Gradualmente, dunque, il bambino fa
posto a nuove mappe cognitive di tipo logico-razionale, che individuano le cause fisiche dei
fenomeni e sdrammatizzano gli effetti dei vissuti intrapsichici permettendo:
• Una maggiore libertà emotiva;
• Una capacità di socializzazione e di interiorizzazione di norme di comportamento
senza che l’universo psichico ne risulti inibito o alienato.
Allo stesso tempo però giocare a identificarsi in vari eroi aumenta nei bambini la
propria autostima e contribuisce alla costruzione dell’identità del Sé infantile. La valutazione
del Sé (autostima, autorappresentazione, concetto di Sé), col passare del tempo è sempre più
correlata alla capacità di farsi amici e avere la consapevolezza di godere della loro stima. Il
concetto di Sé prende forma precocemente, e si rafforza durante la crescita sotto forma di
rappresentazione e giudizio di sé e delle proprie abilità. In questo lungo e tortuoso percorso le
interazioni sociali e le relazioni emotive con le persone che si occupano del bambino sono il
fondamento dello sviluppo cognitivo infantile; ugualmente il rapporto con le figure
d’attaccamento sarà determinante per le relazione sociali future.
21
Cfr. Miller P. H., Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino, Bologna, 1983
25
Il magismo nel bambino è spesso associato all’“onnipotenza del pensiero” infantile
alla partecipazione e l’indifferenziazione del bambino con il mondo percepito ed all’azione
dell’Io sulle cose. Riprendendo le teorie di Piaget e Freud è possibile affermare che le idee
che il bambino piccolo, in età prescolare, si fa del mondo circostante sono riferibili ad una
concezione magica degli eventi e ad un'immagine di sé egocentrica ed onnipotente. La magia
del bambino dipende sia dal suo egocentrismo assoluto, sia dall’atteggiamento che i genitori
assumono nei suoi confronti, obbedendo ed esaudendo ogni suo bisogno e desiderio. È
naturale, dunque, che il bambino non riesca a distinguere la propria attività da quella dei
genitori. È chiaro che se i desideri vengono esauditi e quindi rinforzati il bambino creda di
comandare un essere vivente o una cosa. Se chiama la mamma e la mamma prontamente
arriva, il bambino si convincerà che la forza stessa del suo desiderio e del suo pensiero l’ha
fatta arrivare. Tutto ciò è perfettamente normale e risponde ad una tappa indispensabile dello
sviluppo. Ciò è vero anche per i sentimenti, le emozioni ed i pensieri negativi: essere
arrabbiato con la mamma, volere che vada via, in qualche modo per il bambino significa
annullarla veramente, ma egli peraltro ha bisogno di lei ed è legato a lei, quindi prova sensi di
angoscia e di colpa.
Proprio per il fatto che il bambino pone la sua fantasia ed i suoi desideri al centro di sé vive
una fase di onnipotenza. Gli altri esistono per lui, al suo servizio. Solo negando questa pretesa
egli impara a porsi dei limiti, a riconoscere negli altri esigenze diverse dalle sue. Se la sua
educazione è stata troppo permissiva, viziandolo e proteggendolo esageratamente, il rischio è
che si formi un paranoico, una persona che non riuscirà a relazionarsi con le persone che non
si adeguano alle sue esigenze; se l’educazione è stata “castrante” invece, finirà per non
sentirsi adeguato e inibirsi.
Rilevante nell’evoluzione del pensiero risulta essere il condizionamento dell’ambiente
familiare e culturale più ampio di cui il bambino fa parte.
Lo sviluppo del dell’immaginario, del pensiero simbolico, della creatività e
dell’aspetto magico è trattato anche da Winnicott, che lo riconduce al rapporto che si viene a
creare fin dalla nascita tra madre e bambino.
In “Gioco e realtà” sostiene che “Non vi è alcuna possibilità per il bambino di procedere dal
principio del piacere al principio di realtà, o verso e oltre l’identificazione primaria, a meno
che non vi sia una madre sufficientemente buona. La madre sufficientemente buona è una
madre che attivamente si adatta ai bisogni del bambino, un adattamento attivo che a poco a
26
poco diminuisce a seconda delle capacità del bambino, che cresce, di rendersi conto del venir
meno dell’adattamento e di tollerare i risultati della frustrazione”22
.
Winnicott riconosce tra i mezzi che il bambino ha a disposizione per fronteggiare il venir
meno della madre “il ricordare, il rivivere, il fantasticare, il sognare; l’integrare il passato, il
presente, il futuro”. Continua dicendo che “Se tutto va bene il bambino può in effetti ottenere
un guadagno dall’esperienza di frustrazione, poiché l’adattamento incompleto al bisogno
rende gli oggetti reali, vale a dire odiati altrettanto quanto amati. La conseguenza di ciò è che
se tutto va bene il bambino può essere disturbato da uno stretto adattamento al suo bisogno
che continui troppo a lungo e a cui non venga concesso il naturale decrescere, dal momento
che un adattamento rigido è anche magico e l’oggetto che si comporta perfettamente diventa
niente di meglio che un’allucinazione. Tuttavia all’inizio l’adattamento deve essere quasi
esatto, poiché, in mancanza di questo, non è possibile che il bambino cominci a sviluppare la
capacità di fare esperienza del rapporto con la realtà esterna, o anche di formarsi una
concezione della realtà esterna. La madre, all’inizio, con un adattamento quasi del cento per
cento, fornisce al bambino l’opportunità di un’illusione che il suo seno sia parte del bambino.
Questo è, per così dire, sotto il controllo magico del bambino (…) L’onnipotenza è quasi un
fatto di esperienza. Il compito attuale della madre è quello di disilludere gradualmente il
bambino, ma essa non ha speranze di riuscire a meno che non sia stata capace da principio, di
fornire sufficiente capacità d’illusione (…) L’area intermedia a cui io mi riferisco è l’area che
è consentita al bambino tra la sua creatività primaria e la percezione oggettiva basata sulla
prova della realtà.”23
.
Winnicott pone i fenomeni transizionali come primi stadi dell’uso dell’illusione che
permettono al bambino di percepire l’oggetto come esterno. Il compito principale della madre
è dunque quello di disilludere. “Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è
sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che
corrisponde alla capacità propria del bambino di creare.”24
Naturalmente ad un passo
successivo quest’illusione va superata, per permettere al bambino di separarsi, di essere in
rapporto con la madre come qualcosa di esterno e separato e distinguere la realtà interna da
quella esterna. Questo può verificarsi solo a determinate condizioni: “se la madre sa
rappresentare questa parte per un congruo periodo di tempo, senza lasciare che nulla
interferisca in tale compito, il bambino vive allora qualche esperienza di controllo magico,
cioè l’esperienza di ciò che viene chiamato onnipotenza nella descrizione di processi psichici.
22
Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.37
23
Ibidem, p.38
24
Ibidem, p.39
27
(…) La fiducia nella madre produce qui un’area di gioco intermedia, dove si origina l’idea del
magico, poiché il bambino fa effettivamente esperienza, in qualche misura,
dell’onnipotenza.”25
L’area intermedia della quale parla Winnicott è l’area dell’esperienza e
del gioco. Quest’area rende possibile il rapporto tra bambino e mondo. “L’area di gioco è uno
spazio potenziale tra madre e il bambino, o che congiunge la madre e il bambino.”26
È dunque
necessario il giusto equilibrio che accompagni il rapporto tra madre e figlio nel progressivo
percorso verso la separazione. Nel primo periodo di massima dipendenza la madre dovrà
sapersi adattare ai bisogni del figlio in modo che possa crescere in lui la fiducia nell’ambiente
e nella figura materna, senza il timore di perderne l’affetto. In un secondo momento,
gradualmente la madre dovrà essere in grado di diminuire il proprio adattamento al bambino,
che in questo modo potrà superare l’illusione di avere un controllo magico sul mondo esterno
ed elaborare l’assenza della madre crescendo in modo sano. Solo avendo prima sperimentato
l’attendibilità dell’ambiente il bambino potrà introiettarla e potrà verificarsi un separarsi del
non-me dal me. La salute, per Winnicott, è legata alla capacità dell’individuo di vivere nel
campo intermedio tra sogno e realtà, questo significa crescere in modo creativo.
25
Ibidem, p.92-93
26
Ibidem, p.93
28
29
5. Il pensiero magico contro le paure
La fase magica è una tappa evolutiva avvincente, uno stadio accompagnato da
molteplici emozioni che possono essere a volte felici, a volte tristi e opprimenti. La fantasia,
che ha un ruolo molto importante, porta con sé alcuni problemi, ma nel contempo propone
anche diverse soluzioni.
Il bambino anima le cose, gli attribuisce un significato proprio. Dare vita alle cose da parte dei
bambini può essere un’arma a doppio taglio. Da una parte la loro la forza di dimostrare
consapevolezza di sé e autonomia, dall’altra proprio attraverso la magia, anche oggetti e
situazioni apparentemente innocui possono diventare mostri terribili.
L’attività fantastica svolge una funzione equilibratrice nel complesso sistema della vita
psichica del soggetto. Nel contatto con la realtà, il bambino s’imbatte in una serie di difficoltà
e d’avversità che vive in modo drammatico, sperimentando l’asprezza e la violenza del
mondo della concretezza. Emergono, inevitabili, delle frustrazioni che potrebbero portare il
soggetto a concepire il reale in modo ineluttabilmente pericoloso ed ostile. Ma la fantasia
permette al bambino di rendere flessibili, ai propri desideri ed alle proprie aspettative, le
manifestazioni reali, attraverso la trasformazione fantastica degli oggetti e delle vicende
concrete. In tal modo la durezza e l’aggressività del mondo vengono ammorbidite, modificate,
e il bambino trasforma il reale in una serie infinita di fatti immaginari, soddisfacenti e
piacevoli. Con la forza della fantasia è in grado di trasformare eventi minacciosi o figure
pericolose.
L’animismo infantile è un modo di leggere il reale. Il bambino “dà vita” a cose inanimate
trasfigurandole secondo i suoi bisogni interiori e i suoi desideri. Con la fantasia, il reale
pericoloso ed avverso viene esorcizzato e in tal modo vengono neutralizzati conflitti e
frustrazioni. La fantasia permette di evocare situazioni felici e rassicuranti. Essa permette al
bambino di “giocare” con i suoi fantasmi e di sistemarli in vicende gradevoli o sgradevoli,
con sicure vittorie conclusive. In tal modo permette di appagare desideri nascosti
difficilmente realizzabili. L’elemento magico è una creazione diretta a controllare, a proprio
piacere, il mondo reale ed a piegarlo alle proprie aspettative. Nel mondo della fantasia
l’inverosimile e l’incredibile diventano possibili e realizzabili. Con la fantasia, il mondo
esterno e quello interno perdono i rispettivi confini, s’intersecano e si mescolano. Il mondo
della fantasia si carica di elementi concreti, e il mondo reale viene trasfigurato.
Il bambino è solito dividere sia il mondo reale sia quello fantastico in modo manicheo: da una
parte ci sono i buoni, dall’altra ci sono i cattivi. I buoni sono persone, animali, oggetti,
30
immagini, elementi che danno sicurezza, affidamento, aiuto, amore, protezione e sono
rappresentati dall’orsacchiotto, dalla bambola, dalla fata, dal mago, dall’amico, dall’oggetto
fatato, ecc. I cattivi sono persone, animali, oggetti ed elementi che sono ostili, malvagi, e
provocano danno, aggressività e pericolo ed in genere sono rappresentati dal lupo, dalla
strega, dall’oggetto malefico e dal personaggio oscuro. Spesso si ritrova la lotta tra buoni e
cattivi, tra elementi positivi ed elementi negativi, questo meccanismo psichico che viene
messo in atto per distruggere simbolicamente ed anche concretamente, quello che c’è di
minaccioso, di perverso, di pericoloso e di aggressivo. Il potere della fantasia è quello di
inventare situazioni e fatti che sono favorevoli al bambino: egli crea e trasforma questo
mondo a suo piacere, secondo i suoi sconfinati desideri e le sue innumerevoli esigenze. Il
bambino è un creatore dei suoi personaggi; inventa personaggi ed esseri invisibili che per un
determinato periodo, diventano i suoi accompagnatori, per scomparire poi nuovamente dal
suo mondo. In questo mondo di buoni e cattivi il bambino impersona l’eroe forte ed
invincibile. L’eroe, aiutato dagli elementi benefici, entra in conflitto con le forze del male
distruggendole ed annientandole. In tal modo il bambino vive una vita eroica e mitica, piena
di pericoli e di asperità, riuscendo sempre a vincere e ad imporsi sulle forze del male.
Attraverso le storie magiche e le favole, vengono proposte al bambino spiegazioni che lo
rafforzano emotivamente. In questo modo, i bambini riescono ad esorcizzare situazioni per
loro incerte o inquietanti. Può anche capitare che i bambini regrediscano, tornando a stadi di
sviluppo precedenti, per potersi sottrarre a situazioni emotivamente troppo forti.
I bambini utilizzano le loro capacità magico fantastiche per spiegare il mondo ed elaborare la
paura. Il superamento delle paure e delle incertezze, è uno dei compiti che lo sviluppo pone al
bambino, chiedendogli di mettere in atto tecniche e strategie apparentemente tanto semplici
quanto magiche, che permettono un’efficace elaborazione della paura. Per far in modo che i
bambini possano gestire le paure è fondamentale che essi partecipino al processo di
elaborazione con la loro fantasia e creatività, sviluppando in questo modo fiducia in loro
stessi e nelle proprie forze.
31
6. La bugia: prodotto del pensiero magico
In alcuni casi la bugia del bambino può essere ricondotta al pensiero magico e dunque
essere un prodotto della fantasia. Anche quando il bambino è in grado di distinguere ciò che è
reale da ciò che non lo è emergono tracce del pensiero magico infantile. Ne sono un esempio i
bambini più grandi che mentono sapendo di mentire. J. Sutter descrive queste confusioni, e
queste alterazioni della realtà sotto il nome di pseudomenzogne del bambino piccolo,
aggiungendo che la coscienza morale del bambino si svilupperà più tardi. Giunge ad
individuare varie forme di bugia alle quali sottendono diverse motivazioni che ci aiutano a
comprendere cosa può spingere il bambino, già di una certa età, a fare più o meno largo
ricorso al pensiero magico:
• Menzogna generosa: serve per evitare di causare dolore;
• Menzogna per timore e timidezza: legata alle tensioni emotive interpersonali;
• Menzogna per scherzo: poco consistente e immediatamente smascherata;
• Menzogna per liberarsi da un sentimento penoso: come può essere la vergogna o
l’umiliazione;
• Menzogna nevrotica: tipica dell’adolescenza e relativa ad una situazione conflittuale.
È un atteggiamento che segue come tendenza più quella di ingannare se stessi, prima
ancora degli altri. Tali comportamenti devono essere osservati con attenzione, in particolare
quando le bugie o (i racconti surreali) diventano frequenti perché possono indurre il bambino
a costruirsi un mondo “per finta”, fatto di illusioni, sogni, desideri che esulano completamente
dalle realtà che sta vivendo e che lo allontanano da essa. Queste situazioni stanno a significare
evidentemente che al bambino la sua realtà non piace o lo fa soffrire.
Molto spesso a mano a mano che il bambino cresce queste bugie scompaiono, se invece
persistono significa che il bambino continua ad utilizzarle come difesa estrema alla quale
probabilmente non può rinunciare. Ne sono alcuni esempi:
• La bugia per discolpa: quando il bambino sostiene “non sono stato io”. La bugia per
discolpa in genere ha a che fare con il senso del sé, la fiducia in se stessi e l’autostima,
che portano il bambino ad accettare anche parti negative di sé, la parte del “bambino
cattivo”, riconoscendo un errore senza che sia vissuto come irreparabile e potendo dire
liberamente “sono stato io”. Quando il bambino crescendo acquista maggior fiducia
nelle sue capacità, questa scompare. Se invece continua a riproporsi frequentemente
(anche dopo i sette anni) può significare che il bambino ha paura delle punizioni, del
32
giudizio dei genitori e della disapprovazione e utilizza la bugia come difesa. Ci sono
bambini, ad esempio, che dicono bugie perché, educati come “bambini troppo
perfetti”, non vogliono rischiare di deludere le aspettative dei genitori.
• La bugia consolatoria: quando il bambino inventa racconti e storie per consolarsi,
perché si sente infelice, poco amato oppure poco apprezzato.
33
7. Psicomotricità, gioco e pensiero magico
“L’uomo è pienamente tale solo quando gioca” Schiller
Il pensiero magico e la fantasia sono elementi essenziali dei quali è intriso il gioco e
dunque anche la psicomotricità.
A proposito di Psicomotricità Umberto Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia scrive “Il
termine si riferisce all’attività motoria in quanto influenzata dai processi psichici e in quanto
riflettente il tipo di personalità individuale. Oltrepassando il dualismo corpo-mente, la
psicomotricità studia ed educa l’attività psichica attraverso il movimento del corpo”27
.
La psicomotricità relazionale in particolare rappresenta un percorso di cambiamento e
trasformazione che si agisce nel gruppo avvalendosi del linguaggio del corpo e del linguaggio
primario dei simboli in un contesto di gioco spontaneo. L’obiettivo fondamentale della
psicomotricità è la promozione del benessere del bambino attraverso il gioco, favorendo lo
sviluppo armonico e la sua espressività, in particolare nella prospettiva dello sviluppo della
socializzazione, della comunicazione, della creatività e del pensiero astratto e progettuale. È
necessario sottolineare come il principale strumento del quale la psicomotricità si avvale sia il
gioco, in particolare il gioco simbolico.
Nel gioco simbolico “gli oggetti sono considerati non solo per ciò che sono, ma anche come
simboli di altri oggetti non presenti, il che consente l’evocazione di situazioni passate e
l’immaginazione di eventi in cui si esprimono i desideri del bambino”28
.
La psicomotricità fa riferimento ai simboli archetipici ancestrali che il bambino
esprime attraverso il gioco simbolico, attingendo al proprio mondo fantastico e al proprio
immaginario. L’immaginario, infatti, è costituito da simboli, da elementi dell’inconscio, da
vissuti corporeo-emozionali e processi fantasmatici ed è determinato essenzialmente dagli
stessi processi dell’inconscio e dai vissuti delle esperienze primarie e assume perciò a tale
livello, carattere soggettivo.
Le proiezioni fantasmatiche e i simboli dell’immaginario sono l’oggetto stesso della
psicomotricità. Il gioco è comunicazione profonda dell’immaginario e tramite questo delle
emozioni.
Lo psicomotricista nell’intervento psicomotorio si fa carico del vissuto e delle situazioni
problematiche della persona. Egli, infatti, conosce il linguaggio simbolico, sa comprendere il
mondo del bambino e può così instaurare con lui un dialogo.
27
Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006
28
Ibidem
34
Attingendo all’immaginario comune, la psicomotricità si avvale di alcuni oggetti che si
rifanno alle forme simboliche primarie, ossia a quelle forme che appartengono all’inconscio
collettivo. Sono le palle grandi e piccole, le stoffe, le corde, i bastoni ed i cerchi.
Il gioco ha l’importante compito educativo di accompagnare il bambino nel proprio
percorso di crescita, di costruzione della propria identità e personalità, aiutandolo nella
difficile gestione del conflitto tra desiderio e realtà, tra pulsione e frustrazione, tra
onnipotenza e limite.
“È nel giocare che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso
dell’intera personalità, è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il Sé”29
.
Nel gioco il bambino mette in luce le proprie strategie relazionali, gli atteggiamenti
comportamentali e le eventuali difficoltà. La comunicazione corporea che si esprime durante
il gioco è carica di valenze emozionali ed è espressione dell’immaginario conscio ed
inconscio della persona. Il gesto, lo sguardo, il tono muscolare raccontano sentimenti, paure,
desideri e conflitti.
Nella psicomotricità l’espressione del movimento libero e spontaneo, del gioco e delle
dinamiche relazionali di gruppo trovano un adeguato e favorevole spazio. La fantasia si
riflette nell’interrelazione con il mondo e diviene matrice del gioco.
Il gioco è lo strumento che unisce i bambini tra loro. Nell’incontro con l’altro il gioco diventa
comunicazione simbolica. Sono i rapporti con gli altri che fanno sì che ci sia una riduzione
dell’egocentrismo. A mano a mano che il bambino supera la fase del mondo magico-
animistico rivolge la sua attenzione verso l’esterno, verso gli altri. Smette di giocare da solo
per unirsi al gruppo di coetanei. Nel gioco e nella relazione con gli altri il bambino percepisce
la contraddizione esistente tra il proprio punto di vista e quello degli altri. Si accorge che
esistono punti di vista diversi e questa percezione lo spinge a riesaminare il proprio e a
controllarne la validità.
Piaget mette in relazione lo sviluppo del gioco con quello mentale, affermando che il gioco è
lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino. Ritiene il gioco la più
spontanea abitudine del pensiero infantile.
La psicomotricità riconosce l’estremo potere del pensiero magico e se ne serve
pienamente, abbandona il mondo dei significati unilaterali ed entra in un mondo nel quale
ogni cosa può essere se stessa e anche il suo opposto, dove non regna la logica razionale, ma
aspetti più intimi e profondi legati al vissuto emotivo di ciascun individuo. La psicomotricità
è quell’universo magico, un mondo interiore fatto di magia e possibilità. Un mondo che
29
Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.102-103
35
risponde all’illogicità del pensiero magico, dove tutto è possibile, dove tutto può essere
trasformato per rispondere alle esigenze dei desideri, delle paure, delle angosce, dei bisogni e
dei pensieri.
L’immaginazione creativa, il gioco, la norma, l’importanza che il bambino si senta creatore e
ideatore, si ritrovano in ogni situazione vissuta all’interno della seduta psicomotoria, dove è
egli stesso che propone, costruisce, discute, inventa norme, regole e proposte.
Il gioco è condizione di crescita, luogo privilegiato dell’espressione della globalità, è nel
giocare che il bambino si dice più pienamente attraverso il movimento: vive la tonicità,
attualizza l’immaginario, vive e rivive le realtà quotidiane, si apre al racconto, alla narrazione,
inventa, progetta, costruisce.
Il gioco è la massima espressione del pensiero magico. In questo spazio il bambino esprime
tutta la propria magia e crea mondi attraverso le proprie narrazioni. Non è dunque possibile
scindere il gioco dalla creatività, dalla fantasia e dal pensiero magico-immaginativo.
Nel gioco viene istituito uno spazio simbolico, nel quale prevale la dimensione immaginativa,
creativa e fantastica che permette la manipolazione e l’elaborazione della realtà. Attraverso il
gioco è possibile ridefinire i ruoli, i tempi e gli spazi.
L’immaginazione e la fantasia costruiscono le basi dell’immaginario personale, che si
organizza nella struttura della personalità e nella rappresentazione del mondo e che unendosi
all’immaginario culturale comune, contribuisce a determinare l’interpretazione della realtà e
la sua rielaborazione.
Il gioco, così inteso, diventa dunque, tanto attività di mediazione, quanto attività di creazione,
spazio di transizione che permette di sperimentare, sperimentarsi, scoprire, scoprirsi ed
esprimersi in una dimensione protetta dalla finzione del gioco, permettendo di entrare in
maniera graduale in contatto con la realtà.
Nel gioco il bambino sperimenta, confonde mondo reale e mondo magico-fantastico e in
questo modo impara a differenziarli prendendo consapevolezza del proprio mondo interiore e
di quello esteriore ed incominciando ad accettare entrambe le realtà. Tale commistione tra
dimensione reale e fantastica rende il gioco uno spazio privilegiato di espressione e di
comunicazione. Avviene quel contatto tra mondo interno e mondo esterno. Il gioco è il ponte
che mette in contatto il mondo magico del bambino e la realtà esterna; solo attraverso questo
passaggio è possibile giungere alla comprensione e all’accettazione del reale.
Il pensiero magico diventa unicità, originalità, creatività, nuova energia, forza a cui
attingere nella risoluzione dei problemi e delle situazioni che la vita ci pone quotidianamente
di fronte. Sperimentando il bambino scopre la possibilità del cambiamento, scopre nuove
36
risorse e strumenti per affrontare efficacemente le difficoltà. La psicomotricità agisce in
un’ottica di evoluzione, perché spinge il bambino a ricercare soluzioni evolutive.
L’innovazione nasce dal pensiero magico, dal sogno, dal desiderio. È questo ciò che muove il
mondo. Il gioco insegna ad essere perseveranti e ad avere fiducia nelle proprie capacità.
Sperimentando si amplia lo spettro delle possibilità.
La psicomotricità mira a far emergere le risorse autentiche di ciascuno, è uno spazio dov’è
possibile riconoscere i propri bisogni, i propri desideri, solo in questo modo è possibile tentare
di perseguirli in maniera consapevole e soprattutto su di un piano reale e non illusorio.
Winnicott sostiene l’importanza del gioco come spazio creativo “mentre gioca, e forse
soltanto mentre gioca, il bambino o l’adulto è libero di essere creativo. (…) La parte
importante di questo concetto è che mentre la realtà psichica interna ha una sorta di
ubicazione nella mente, nella pancia o nella testa o in qualche luogo entro i confini della
personalità individuale, e mentre ciò che è chiamato realtà esterna è ubicato fuori da questi
confini, il giocare e l’esperienza culturale possono essere localizzati se si usa il concetto dello
spazio potenziale tra la madre e il bambino.”30
Il gioco è una realtà fuori dall’individuo, ma non è completamente il mondo esterno.
Attraverso il gioco “il bambino raccoglie oggetti e fenomeni dal mondo esterno e li usa al
servizio di qualche elemento che deriva dalla realtà interna o personale. Senza allucinare, il
bambino mette fuori un elemento del potenziale onirico, e vive con questo elemento in un
selezionato contesto di frammenti della realtà esterna.”31
Il gioco offre dunque strumenti e diventa modalità per acquisire nuove capacità, nuovi
apprendimenti, maggior creatività ed efficienza nella risoluzione dei problemi e delle
situazioni della vita reale. Permette di andare alla scoperta di ciò che ancora non si conosce, di
esplorare il mondo, stimolando così curiosità, intraprendenza e immaginazione.
Il gioco è anche mezzo per incontrare ed esprimere se stessi. È un modo per coltivare il
proprio pensiero magico, la propria creatività, la propria immaginazione, rendendola fertile.
Allo stesso tempo aiuta a distinguere il piano reale dal piano delle rappresentazioni
fantastiche dell’immaginario.
Giocando si mantiene in vita il proprio bambino interiore, la propria magia, il proprio
pensiero magico con la consapevolezza dell’esistenza di questi due mondi separati, ma
interagenti.
Nel gioco è possibile comprendere più a fondo i propri meccanismi di difesa, rendendo chiara
la consapevolezza che spesso il pensiero magico e la creazione di un mondo magico sono
30
Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.101
31
Ibidem, p.99
37
funzionali a mantenere un determinato controllo della realtà da parte della persona, sono un
mezzo di adattamento per compensare situazioni reali frustranti che difficilmente si riesce ad
accettare. Solo comprendendo la fantasia e il pensiero magico è possibile comprendere il
comportamento e la creatività del bambino.
Spesso crea difficoltà pensare che il bambino fugga dalla realtà e la confonda con la fantasia,
di fatto però accade il contrario. Le figure immaginarie sono estremamente importanti per lo
sviluppo emotivo del bambino. La capacità d’immaginazione e la creatività del bambino
forniscono una distanza protettiva che consente di sviluppare la fiducia nelle proprie capacità.
Questo modo di usare la fantasia per cogliere, costruire e difendere, da parte del bambino, la
propria vita interiore, oltre a rappresentare una vera e propria esigenza psicologica, e ad essere
un mezzo efficace per dare vita e sviluppo agli stati emozionali dell’animo, costituisce sempre
uno degli elementi fondamentali ed indispensabili della psiche umana.
Attraverso il gioco e il suo potere magico i bambini vanno alla conquista del mondo, fanno
esperienze, affrontano pericoli e li superano. È dunque importante valorizzare il pensiero
magico e quel mondo magico al quale il bambino dà vita, senza però sostituirlo al mondo
reale. Il rischio, infatti, è quello di creare un mondo sospeso o parallelo dove tutto è condotto
unicamente dai propri desideri.
Non bisogna dunque dimenticare che il bambino è magico, costituito di quella magia che va
valorizzata, affinata e che si trasformerà poi in quella sensibilità, empatia e capacità di ascolto
che consentirà di comprendere il mondo e l’altro, di calarsi nella realtà con lo stupore del
bambino, ma con la consapevolezza dell’adulto, riuscendo a cogliere la poeticità e l’unicità
della vita.
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39
SECONDA PARTE
Esperienze di psicomotricità
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41
1. La storia di Marco32
Marco ha iniziato il suo percorso di psicomotricità a 7 anni. I genitori hanno deciso di
avvicinarlo alla psicomotricità su consiglio della logopedista. Sia i genitori a casa che gli
insegnanti a scuola si erano accorti che pur essendo un bambino vivace, spesso sembrava
isolarsi in un mondo tutto suo.
Durante il primo colloquio con la psicomotricista, la madre aveva raccontato della sua
gravidanza, esplicitando che Marco era stato voluto e ben accolto. La gravidanza si era svolta
nella norma; durante il parto, invece, era stato necessario stimolare le doglie, troppo
distanziate, con una somministrazione di ossitocina. Dopo la stimolazione, l’uscita era stata
repentina, la madre aveva comunque avuto l’impressione che il bambino non volesse uscire.
Raccontava, inoltre, che per il primo mese e più, Marco, aveva tenuto, anche in braccio, la
posizione fetale e questo aveva suscitato nei genitori una certa preoccupazione.
L’allattamento e lo svezzamento si erano poi susseguiti nella norma, come anche la
deambulazione, il sonno e il controllo sfinterico.
Per quanto riguardava i giochi, i genitori non ricordavano molto, solo travestimenti, bambole
ed un orsetto. Marco non era mai stato attratto dai giochi di movimento e da quei giochi che il
padre definiva “maschili”. A differenza dei fratelli più grandi, Marco preferiva giocare con le
bambole; era lui stesso a richiederle anche se a casa non c’erano. Spesso andava dai nonni per
giocare con le cuginette. I genitori avevano comunque deciso di assecondarlo in questa sua
scelta comprandogliele. In un primo momento anche i fratelli venivano coinvolti in questi
giochi, senza deriderlo. La mamma ricordava che già alla scuola materna Marco giocava con
le femmine o con bambini più piccoli. Alla scuola elementare, invece, era stato costretto a
confrontarsi con i maschi della sua età.
A scuola, le maestre avevano rilevato in Marco la pulsione a baciare sulla bocca i compagni, i
genitori avevano però fatto notare che tale caratteristica aveva sempre accompagnato il figlio.
Avevano inoltre specificato che quando Marco prendeva in mano un oggetto come prima cosa
lo metteva in bocca, ipotizzavano quindi che tale modalità fosse soltanto una manifestazione
di oralità e sostenevano che la stessa logopedista aveva notato nel figlio una certa immaturità.
Dal racconto appariva inoltre una figura paterna abbastanza distaccata, raramente affermava
di giocare con figlio, soprattutto a livello “corporeo”.
32
Nel ripetto della legge per la tutela della privacy, in quest’esposizione, utilizzerò nomi di fantasia, nello
specifico chiamerò questo bambino Marco.
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Per quanto riguardava il rapporto con i fratelli, pareva che alla nascita di Marco il maggiore
fosse stato piuttosto geloso, ma che presto vedendo la reazione pacifica dell’altro fratello si
fosse tranquillizzato. Nonostante questo il maggiore appariva piuttosto aggressivo con Marco.
Il contenzioso nasceva spesso tra Marco e il fratello maggiore, che aveva iniziato a prenderlo
in giro sostenendo che fosse gay. L’altro fratello, invece, si faceva coinvolgere maggiormente
nei giochi di Marco.
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1.1 Le sedute psicomotorie
Il primo anno in sala
Durante il primo anno Marco fu inserito in un gruppo condotto da una donna,
all’interno del quale emerse fin dalla prima seduta il suo lato femminile.
Nei giochi Marco si travestiva da principessa dichiarando amore ai compagni. Alcune
volte trovava dei complici o comunque una certa comprensione, altre volte veniva deriso. Nei
suoi disegni apparivano costantemente principesse (che rappresentavano la mamma oppure lui
stesso) in grado di risolvere tutti i problemi e le difficoltà. Raccontava: “La principessa è mia
mamma, le nonne sono due regine, il papà è un principe, il re è lo zio che è morto, io sono il
mago come Merlino, di quelli normali. Il mago è figlio della principessa. I miei fratelli sono i
servi che salvano il mondo. Io, il mago, quando c’è qualcosa che non va la risolvo.” (disegno
n.1). Significativo, il re-zio morto e la capacità del mago di risolvere tutto.
Disegno n.1
44
Nei successivi disegni era lui a diventare principessa, forse questo passaggio poteva
rappresentare un’identificazione con la madre o comunque questa spiccata femminilità che
sentiva il bisogno di esprimere, ma che non sempre era legittimata.
Nei disegni apparivano cieli stellati. In un disegno raccontava: “un cattivo che odia il cielo
stellato e allora brontola al cielo”. Un mondo stellato, che a qualcuno non piace. È il suo
mondo stellato che qualcuno contesta, non approva. In un certo senso un mondo fantastico,
ingenuo di illusione, sospeso che brilla.
In un altro disegno, in mezzo, tra cielo e terra, disegnava stelle e cuori in questa dimensione
sospesa, “rappresentano pace e amore” diceva. In quel caso è stato significativo confrontare il
disegno con i giochi avvenuti durante la seduta, nella quale aveva picchiato ed era stato
picchiato a dismisura nella lotta per il castello. Alla fine, a differenza degli altri del gruppo
tutti arrabbiati e pieni di lividi, lui appariva tranquillo, sorridente, rilassato e sereno come un
cielo stellato. Disegnando i cuoricini diceva “adesso abbiamo fatto la pace”. Una sorta di
ingenuità, l’illusione di questo mondo fantastico, dove tutto si risolve anche se non è ancora
risolto. Un mondo sospeso tra cielo e terra dove questo è possibile.
Nel mondo reale però era costretto a scontrarsi con la realtà ed a reagire di conseguenza.
Ognuno reagisce a modo proprio: Marco costruendo un castello dove rinchiudere e far vivere
la propria realtà per proteggerla (disegno n.2).
Disegno n.2
45
Il racconto di Marco era questo: “Un castello che tutti chiamano castello stregato pieno di
fantasmi e di mostri e dentro ci sono tutti i vermi, i mostri e i fantasmi che ballano e giocano e
tutti sono buoni amici.” Il doppio risvolto della questione, i due punti di vista: fuori un
castello stregato che incuteva paura, dentro invece non era così spaventoso, qualcuno si
divertiva, dentro si poteva anche essere amici, anche tra mostri, vermi o fantasmi. Dentro
c’era una realtà altra.
Seguiva un disegno che trasmetteva una certa angoscia (disegno n.3). Era un castello
ricoperto di sbarre, grate, sembrava un’enorme ragnatela. Era descritta da Marco come un
“castello con tutte le sue protezioni”. Veniva da chiedersi di quante protezioni necessitasse
questo bambino e questo suo mondo per essere garantiti. Quanto questo suo mondo fosse
protetto e irraggiungibile. Quanto questo mondo lo proteggesse. Era quello il luogo protetto
dove Marco si rifugiava. Un luogo dentro, che lasciava fuori la realtà esterna.
Disegno n.3
46
Sempre a proposito di protezioni (disegno n.4) c’era una casa così descritta: “che di notte tira
fuori delle punte avvelenate per difendersi dai cattivi, dai ladri e dai mostri. È la casa della
bambina che è un genio”. Era la casa rifugio, la casa protezione, la barriera che aveva creato
intorno a se e che lo isolava dal mondo. Mentre raccontava il disegno diceva: “io vorrei essere
una bambina” e ne parlava tranquillamente, sicuro, sostenendo il suo punto di vista con gli
altri che invece erano molto sicuri di voler essere maschi. Tutto sommato in quel momento il
confronto appariva piuttosto sereno e maturo da parte di tutti.
Disegno n.4
47
Ma c’erano momenti nei quali il confronto era brutale e lo scontro con la realtà si rivelava
tragico: (disegno n.5). È il caso di una seduta durante la quale vestito di veli e pizzi faceva la
principessa, ma rimaneva immobilizzato, seduto nel castello e diventava il bersaglio di tutti,
che si scatenavano sadicamente con l’intenzione di spogliarlo e togliergli i pantaloni. Fu
necessario l’intervento della psicomotricista perché la situazione stava degenerando e Marco
si stava per mettere a piangere. Alla fine della seduta disse: “i maschi sono violenti”.
Durante tutto l’anno continuarono a comparire: principesse, stelle, castelli e cieli.
Disegno n.5
48
Il bambino sulle nuvole
Ho inizito ad osservare Marco all’inizio del secondo anno del suo percorso di
psicomotricità. Era stato inserito in un gruppo a conduzione maschile, con l’intento di farlo
confrontare con il maschile e trovare un modello.
Già a prima vista si poteva notare come i giochi e il mondo da lui creati per quanto fantastici e
magici fossero in realtà piuttosto ripetitivi, stereotipati e lo escludessero quasi completamente
dalla vita del gruppo. Nonostante i compagni facessero altri giochi, Marco continuava a
mettere in scena la stessa parte, lo stesso ruolo, centrasse o meno con il gioco dei coetanei.
Entrava in relazione con loro, ma non nel loro gioco, rimaneva comunque nella sua
dimensione, senza scendere, era staccato da terra, in un mondo sospeso. Questo mondo
sospeso lasciava uno spazio ridotto di movimento, era un luogo stretto che non permetteva di
far crescere Marco in tutta la sua creatività e originalità. Le possibilità che questo bambino
riusciva a darsi nel mondo reale erano poche o nulle ed erano possibilità che non davano adito
a cambiamento o evoluzione. Marco aveva creato questo mondo fantastico per uscire da una
realtà che, in maniera più o meno esplicita, non lo accettava. Rifugiarsi in questo luogo era
stata una risposta adattiva, una reazione difensiva. Era stata l’unica possibilità che aveva
individuato per far sopravvivere se stesso nella sua interezza. A suo modo, Marco era un
bambino magico, ma era intrappolato da questa sua magia.
Nei giochi con lui ci si accorgeva presto della sua inconsistenza sia fisica sia come presenza-
partecipazione. Era presente, ma nel suo mondo sospeso e inebriante. Marco amava giocare
con le stoffe e travestirsi; aveva una straordinaria capacità di creare travestimenti femminili,
tanto che nessuna femmina del gruppo riusciva ad eguagliarlo. Appariva molto più femminile
delle altre presenze femminili della sua età in sala.
Amava i mondi alti e sospesi: i castelli, le torri, le case sospese, i nidi, le corde sospese, ecc.
Faceva giochi che lo portavano ad isolarsi. Giocava a lanciarsi dalla torre al materasso, ma più
di tutto preferiva fare giochi in un certo senso ipnotici; come per esempio il “gioco di Tarzan
o della ballerina o del funambolo del circo”. Roteava appeso ad una fune, lasciandosi
inebriare, isolandosi, fin quasi a perdere coscienza, dava proprio la sensazione della vacuità,
della leggerezza, di qualcosa che sta sollevato dal suolo, che non ha contatto con la terra, che
non è soggetto alla forza di gravità. In questi gesti esprimeva un forte carica femminile, tanto
che veniva da chiedersi dove si trovasse il maschile in questo bambino. Le sue erano movenze
da ballerina, certo una ballerina un po’ maldestra, ma pur sempre una ballerina.
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Con le femmine del gruppo riusciva a costruire dei rapporti piuttosto esclusivi e molto forti,
soprattutto con alcune; si isolavano e si compensavano a vicenda.
Giocava a costruire la sua casa, un castello per le fate, nel quale difendersi e nascondersi dai
fantasmi che c’erano fuori. Forse una richiesta di nascondere i suoi lati femminili e segreti. Di
trovare un posto dove poter fare questo.
Iniziavano ad apparire nei disegni case, hotel, che avevano una valenza diversa da quella delle
mura del castello, non era più una dimensione di difesa, ma comunicavano desiderio di ricerca
di uno spazio nuovo e proprio dover riuscir ad esprimere liberamente se stesso.(disegno n.6)
Disegno n.6
La relazione con lo psicomotricista maschio era del tutto inesistente: non lo vedeva,
non lo cercava. Peculiare era il fatto che dopo due mesi di frequenza non ricordasse ancora il
nome del conduttore. In alcuni momenti si estraniava così tanto che non riusciva a ricordare
neppure il nome della madre e del padre. Cercava molto più frequentemente uno specchio,
un’identificazione con me, comunque, dal suo mondo faceva fatica ad entrare in relazione con
gli altri proprio perché la sua collocazione non era né in cielo né in terra, ma a metà strada.
Doveva scendere. Attraverso il gioco il conduttore cercava di agganciarlo, di entrare in
relazione con lui, portandolo ad una dimensione più consistente.
50
Con i compagni l’unica relazione che riusciva ad instaurare era di scontro, caratterizzata da
passività e poca fantasia di gioco. Finiva costantemente con l’essere deriso, col perdere e
subire gli altri, senza riuscire a reagire in maniera efficace. I poteri magici che vantava in
quelle occasioni non sortivano nessun effetto, neppure all’interno del gioco fantastico degli
altri. Finiva, come al solito, per rifugiarsi nel suo fantastico mondo nel quale tutto ciò non
importava. Rifiutava il confronto con gli altri e diceva “Lontano da me, non me ne frega chi
sei”.
Fino a quel momento la figura maschile per lui era stata del tutto inesistente, anche nelle
rappresentazioni grafiche. Lui stesso nella relazione con lo psicomotricista diventava
inconsistente, senza forza. I tentativi di avvicinamento furono molteplici: il conduttore lo
affiancava e lo sosteneva negli scontri con i compagni maschi, ma difficilmente Marco se ne
accorgeva. Nel gioco lo psicomotricista aveva iniziato a riconoscere le sue qualità, dandogli
fiducia e delegandogli compiti di protezione della reggia del re (Psicomotricista). Lo aveva
nominato “fata di corte”, attraverso le sue magie avrebbe protetto il regno. Dopo vari giochi e
tentativi, nei disegni apparve finalmente il sole che illuminava la casa (disegno n.22). Iniziava
anche a comparire la figura dell’albero, un albero magico. Per la prima volta insieme
all’albero appariva anche la figura del conduttore, che “va sull’albero a prendere le mele per
mangiarle insieme a noi” (disegno n.7).
Disegno n.7
51
La figura dello psicomotricista ricompariva sotto forma di fata (disegno n.8), diceva: “sei una
fatina che lancia sfere di energia, anch’io ho delle sfere di energia”. La figura maschile
comunque veniva negata e non riconosciuta, rivestita di magia. Era il fantasma della figura
maschile. Rimaneva chiuso nel suo mondo, senza mettere i piedi per terra, erano gli altri a
dover entrare nel suo ed in questo caso era stato il conduttore ad entrare.
Disegno n.8
L’obiettivo dello psicomotricista, in questo primo momento, era quello di far scoprire il
maschile a Marco e fargli mettere i piedi per terra. Evidentemente Marco era un bambino
sulle nuvole.
Citando Winnicott “…il grado di obiettività su cui noi contiamo allorché parliamo di realtà
esterna rispetto ad un determinato individuo è variabile. In qualche misura oggettività è un
termine relativo perché ciò che viene percepito obiettivamente è per definizione concepito in
qualche misura soggettivamente. (…) per più individui la realtà esterna rimane in qualche
misura un fenomeno soggettivo. Nel caso estremo l’individuo allucina o in certi momenti
specifici, o forse in modo generalizzato. Vi è tutta una serie di espressioni riferite a questo
52
stato di cose dà i numeri, non ci sta con la mente, non ha i piedi per terra, è fuori dalla
realtà.”33
Un'altra rappresentazione grafica significativa era quella in cui si notava proprio la linea di
separazione tra i due mondi (disegno n.9). Sospesi rispetto alla terra, da un lato sta la “cacca
di Marco” e il “culo della mamma”, dall’altro lato la “cacca del fratello”.
Disegno n.9
33
Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.120
53
Ritornavano nuovamente la principessa, i cuori e la magia che “trasforma tutti in belle
principesse” (Disegno n.10). Era questa la magia usata da Marco, una magia che semplificava
la complessità della vita, una magia che permetteva di superare le difficoltà con le quali non
voleva o non riusciva a confrontarsi e scontrarsi. Tutto si risolveva con la bacchetta magica
della fata e se non si risolveva, la fata si chiudeva nel suo castello per non sentire il mondo
fuori.
Disegno n.10
Disegnava la fata e il suo castello e il racconto diventava: “la fata ha vinto la battaglia di
magia e va a giocare da sola” era emblematico, la fata vinceva, ma rimaneva sola, le vittorie
magiche mettevano Marco al di fuori del gruppo perché nessuno comprendeva il suo gioco.
Comunque lui attraverso la magia vinceva. Era fuori dal gioco perché si aspettava che fossero
gli altri a salire nel suo mondo e non lui ad entrare in quello degli altri. Gli altri dovevano
adattarsi alle sue magie, ma spesso questo era impossibile. Le sue proposte non erano coerenti
con quello che stava facendo il gruppo. Non importava quello che succedeva, il gioco per lui
proseguiva sempre nello stesso modo.
54
Non sempre le magie sono valide, non in tutti i giochi. Tutti i bambini sono magici, tutti i
bambini usano la magia, nel gioco c’è sempre magia, ma ciò non significa che i bambini
accettino qualsiasi tipo di magia, c’è modo e modo, tempo e tempo, spazio e spazio per usarla.
Anche nel gioco vigono delle regole per l’utilizzo della magia. Marco non conosceva queste
regole, ma forse non conosceva neppure un altro mezzo oltre a quello magico per affrontare la
realtà. Il mondo fuori appariva così spaventoso che probabilmente si sentiva così disarmato da
poter far ricorso unicamente alla magia, tanto parevano irrisolvibili i problemi e imponenti e
terrificanti “i mostri che vanno a spaventare le fate e le costringono a cercare protezione nel
castello”. Chi erano questi mostri? Quasi mai dava un volto a questi mostri che rimanevano
fuori dal disegno tanto erano nascosti e immersi nella nebbia.
Il mondo di Marco era un mondo chiuso a chiave, pieno di segreti (disegno n.11), “che non
posso scrivere e non posso dire”.
Disegno n.11
55
Compariva una barca (disegno n.12), probabilmente mezzo di trasporto tra i due mondi, c’era
il mare di mezzo. Il racconto del gioco era più o meno questo: “la barca va sull’isola dei
fantasmi. Noi siamo tutti sull’isola dei fantasmi aspettiamo la barca per poi andare sull’isola
degli uomini per ucciderli perché anche loro vengono ad ucciderci”.
C’era qualcuno che voleva ucciderlo, uccidere una sua parte, nell’altro mondo, nel mondo
degli uomini c’era il pericolo, il nemico. Lui era sull’isola dei fantasmi, quella delle cose
sommerse, da nascondere.
Disegno n.12
56
Tra cielo e terra: verso una risoluzione
Ad un certo punto però si notava un passaggio: c’era ancora quell’illusione che
tendeva a colorare di rosa i cuori, a far splendere l’arcobaleno, a far trionfare sempre in ogni
caso amore e purezza in un mondo idilliaco e fantastico (disegno n.13), ma si stava forse
insinuando un dubbio.
Disegno n.13
Nel disegno successivo (n.14) comparivano solo terra e cielo, nulla in mezzo. Descriveva il
tutto in questo modo: “sono cielo ed erba speciali, è una magia in realtà è merda”. Cos’era
questa magia? Cosa era la magia? Cosa c’era di speciale? Funzionava davvero questa magia?
Qualcosa toccava terra.
57
Disegno n.14
Seguiva un disegno con cielo, terra, sole e un albero abbastanza piantato al suolo dal quale
cadevano delle mele (disegno n.15).
Marco si stava avvicinando con i piedi alla terra, stava tentando di scendere dalla nuvola.
Disegno n.15
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C’era qualcosa di nuovo, forse si stavano illuminando nuove possibilità: “la fatina stava
facendo una magia alle stelle. Sono io. La magia serve per illuminare le stelle spente e farle
nuove” (disegno n.16), tra le stelle stavolta c’era anche il conduttore.
Disegno n.16
Era la fine del secondo anno di psicomotricità ed era proprio possibile notare che
l’evanescenza di Marco stava scomparendo, era più presente e i suoi piedi si avvicinavano a
terra. L’obiettivo adesso era quello di far trovare a Marco il proprio posto sulla terra, nella
realtà.
Un po’ alla volta Marco stava prendendo consapevolezza ed era proprio a questo
punto che aumentavano i conflitti tra il dentro e il fuori, tra il suo mondo, quello del
conduttore e del gruppo.
Per lungo tempo il conduttore aveva difeso Marco, ora, invece, era arrivato il momento di
contrapporsi, erano così iniziate le lotte tra i due. Per Marco erano essenzialmente lotte
magiche, non c’era niente di fisico che comprendesse il contatto. Nel contatto Marco appariva
ancora inconsistente. Faceva i movimenti richiesti dalla formulazione magica, che apparivano
coreografici, ma privi di consistenza, non sortivano nessun effetto perché di fatto Marco non
59
faceva nulla, erano solo parole, che a poco a poco svanivano, non erano convincenti. Nel
confronto e nel contatto le forze del bambino venivano meno. Nonostante ciò Marco riteneva
che fossero i suoi poteri, i poteri della fata a comandare tutti (disegno n.20). Dal suo disegno
si notava il conduttore nudo, senza difese e la fata (Marco) protetta e attorniata dalla magia e
dalle formule magiche. Non era certo quello che accadeva nel gioco in sala, tanto che, come si
poteva anche notare dal disegno, in un primo momento le identità date ai personaggi erano
invertite.
Disegno n.20
Qual’era dunque la realtà? Qual’era il mondo magico? Iniziava a confondersi anche Marco.
Prima, invece, era certo che la realtà fosse solo quella del suo mondo magico. C’era un
mondo dentro e un mondo fuori dal castello e inevitabilmente da un lato c’era Marco e
dall’altro il conduttore che ormai rappresentava il contatto con la realtà. A tratti chiudeva se
stesso nel castello, in altri momenti chiudeva il conduttore (disegni n.17 e 19). Nei due
disegni si poteva notare due diversi modi di rappresentare i castelli: nel primo caso, ossia
quello in cui la sua realtà rimaneva chiusa dentro, il castello appariva nero e tenebroso; nel
60
secondo caso invece, il castello era chiaro, illuminato, colorato magico ed era naturalmente “il
grande castello delle fate” o il “castello della maga del fuoco” (disegno n.21).
Disegno n.17
Disegno n.19
61
Disegno n.21
Disegno n.18
62
Iniziava un gioco di ruoli che si invertivano, gioco di opposti, di tensione da un lato e
dall’altro, come se una forza tirasse verso destra e una verso sinistra e questo non permettesse
il movimento. Una mancanza di equilibrio, di stabilità, un piano della realtà non ancora
stabile. Disegnava una macchina camper con due bambine all’interno, ferma al semaforo
rosso, da un lato Marco che guidava e dall’altro il conduttore che faceva da mangiare alle
bambine (Disegno n.18). Per un certo verso poteva corrispondere alla realtà familiare di
Marco.
Qualcosa prendeva ordine, c’era una casa (disegno n. 22): “la mia casa c’è l’acqua magica che
fa realizzare i desideri (1) e i cosmetici (2). Il sole è mio fratello e gli sto parlando perché mi
riscaldi la casa, il termostato è rotto. Il termostato è stato rotto dalla strega birichina che si è
trasformata in terra (3)”. Veniva richiesto l’intervento del sole, perché qualcosa non
funzionava. Chiedeva aiuto, chiedeva aiuto al sole, alla figura maschile. Aveva capito di cosa
aveva bisogno: desiderava uno luogo per lui. Chiedeva al conduttore di aiutarlo a trovare
questo posto. Con questo disegno Marco dimostrava già di aver iniziato a configurare tale
spazio: uno spazio fisico, finalmente poggiato sulla terra dove avrebbe potuto collocare se
stesso interamente.
Disegno n.22
63
Una nave nella quale due persone “vanno in giro per le città, anche nella mia città. Sembra
che vogliano la pace, ma sono falsi e cattivi, uccidono e distruggono. Io non vengo ucciso
perché vado sull’Everest (mi manda mio papà) con le bombole per respirare.” Iniziava ad
emergere la realtà esterna, quella familiare, (disegno n.23).
Disegno n.23
Accadeva proprio questo: i genitori si stavano separando, ma in questo dimostravano un
atteggiamento molto distaccato: la separazione sembrava lunga, senza slanci emotivi, pacata e
pianificata. Non c’era né rabbia né delusione, ma solo dolore espresso verbalmente, senza
nessun trasporto emotivo. I genitori erano così apparentemente pacifici, pacati ed
emotivamente distaccati da diventare freddi e mostruosi. Una parte veniva tralasciata,
nascosta.
Allo stesso modo veniva chiesto a Marco, da parte di tutto l’ambiente, di nascondere o
limitare il suo atteggiamento femminile e spontaneo. Di non eccedere nei suoi slanci emotivi,
nella sua eccentricità e di essere pacato come si dimostravano i genitori. Il grosso rischio era
quello di soffocare una parte del bambino o relegarla in un'altra dimensione, facendo
comparire per contro degli atteggiamenti di “copertura” che non gli appartenevano.
64
Probabilmente, indirettamente e inconsciamente, non veniva lasciato spazio a Marco per
esprimersi emotivamente, veniva mandato dal padre lontano, sull’Everest. Marco, invece,
aveva bisogno di uno spazio concreto, non fantastico e sospeso nell’aria, per depositare ed
esprimere tutti i suoi segreti. Poteva essere stato questo atteggiamento della famiglia a
spingere il bambino a rifugiarsi così in alto. Marco non aveva trovato uno spazio nel quale
esprimersi e sentirsi riconosciuto. L’ambiente circostante l’aveva spinto a trovare una
macchina-casa tra le nuvole che resistesse alle tempeste che i genitori creavano dimostrandosi
freddi e distaccati di fronte ad un evento traumatico come lo è una separazione, in particolare
per un bambino. (disegno n. 24). Il suo essere fata era stato un modo magico attraverso il
quale fuggire dall’ambiente familiare nel quale trovava poco confronto, dialogo e discussione.
Disegno n.24
65
Marco però aveva finalmente trovato un posto, lo aveva individuato ed aveva individuato
anche chi poteva aiutarlo a scendere dalle nuvole. “C’è una nave che sta andando in cielo,
sull’Everest, vengono a salvarmi nella nave ci siete tutti voi dell’Accamamam e la guida sei
tu” (disegno n.25).
Disegno n.25
Marco aveva fatto enormi passi in avanti. Questo in un certo senso gli permetteva anche di
ripercorrere strade gia fatte. Di andare avanti, tornare indietro ed andare avanti di nuovo, di
fare il riassunto della sua storia, prendendo coscienza dei cambiamenti. “C’è un albero che
semina la pace. Voi due (io e il conduttore, che in questo caso rappresentiamo i genitori) siete
in guerra, vi date i pugni in faccia e sberle. Io difendo tutti e due ma non ce la faccio.”
(disegno n.26) Alla domanda dello psicomotricista “Chi difende te?” Marco rispondeva:
“Domani faccio il disegno della principessa che ha poteri e magie”. Dimostrava i progressi,
ma anche una posizione non ancora consolidata, chiedeva a suo modo ancora aiuto
esprimendo quel: “difendo tutti e due ma non ce la faccio”, come a dire provo, ma ho bisogno
di aiuto.
66
Disegno n.26
Ecco l’immagine chiara di lui, stella piccola che gioca nel cielo con la sua baby-sitter
(Disegno n.27). Due sole stelle, chiare, forse un’immagine più consapevole e reale della sua
situazione.
Disegno n.27
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  • 1. 1 CORSO DI FORMAZIONE IN PSICOMOTRICITA’ RELAZIONALE Attivato dall’Associazione ACCAMAMAM negli anni formativi 2005-2007 IL PENSIERO MAGICO IN PSICOMOTRICITA’ Relatore: Dott.ssa Laura Bettini Allievo: Dott.ssa Sara Zanotto
  • 2. 2
  • 3. 3 INDICE INTRODUZIONE………………………………………………………………….…5 PRIMA PARTE Teoria del pensiero magico 1. Il pensiero magico ed il pensiero razionale……………………….………………..11 2. Forme e funzioni del pensiero magico…………………………….……………….17 3. Caratteristiche del pensiero magico……………………………….……………….21 4. Il pensiero magico nel bambino………………………………….………………...23 5. Il pensiero magico contro le paure……………………………….………………...29 6. La bugia: prodotto del pensiero magico…………………………..………………..30 7. Psicomotricità, gioco e pensiero magico…………………………..……………….33 SECONDA PARTE Esperienze di psicomotricità 1. La storia di Marco……………………………...…………………………………..41 1.1 Le sedute psicomotorie…………………………………………………….43 Il primo anno in sala………………...…………………………………43 Il bambino sulle nuvole……………...………………………………….48 Tra cielo e terra: verso una risoluzione……..…………………………56 2. La storia di Giovanni………………………..…………...…………………………71 2.1 Le sedute psicomotorie…………….………………………………………71 Il mondo protetto di Giovanni………………………………………….71 La paura della separazione…………………………………………….75 Quando mondo interno e mondo esterno entrano in contatto………….77 Il rapporto con la madre………………………………...……………..80 Verso la consapevolezza del reale……………………...………………83
  • 5. 5 Introduzione “Ora, Kitty, se te ne stai buona un attimo senza parlare sempre, ti dico quali sono le mie idee sulla Casa dello Specchio. Prima di tutto, c’è la stanza che vedi attraverso lo specchio – che è perfettamente identica al nostro salotto, solo che le cose vanno nell’altra direzione. Io riesco a vederla tutta quanta quando salgo in piedi sulla sedia – tutta, meno il pezzettino che c’è dietro il camino. Oh! Muoio dalla voglia di vedere quel pezzettino! Come mi piacerebbe sapere se accendono il fuoco d’inverno: non si può saperlo con certezza capisci, a meno che il nostro fuoco non faccia fumo, e allora si vede il fumo anche di là – ma potrebbero anche farlo solo per finta, per far sembrare che hanno il fuoco acceso anche loro. Poi, guarda, i libri assomigliano ai nostri, solo che sono scritti alla rovescia. Questo lo so bene, perché ho messo un nostro libro davanti allo specchio, e ne hanno messo uno dei loro, dall’altra parte. “Ti piacerebbe vivere nella Casa dello Specchio, Kitty? Chissà se te lo darebbero il latte. Magari, il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere – oh, la mia Kitty! Adesso passiamo il corridoio. Puoi vedere uno scorcio del corridoio della Casa dello Specchio, se spalanchi bene la porta del nostro salotto: ed è proprio tutto uguale al nostro corridoio fin dove lo si riesce a vedere, solo che dove non si vede, al di là, potrebbe essere del tutto diverso. Oh, Kitty, come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio ed entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono delle cose bellissime là dentro! Facciamo finta che ci sia un modo per passarci attraverso, Kitty. Facciamo finta che lo specchio sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia, e che lo possiamo attraversare. Ma guarda, si trasforma, adesso è come se fosse una specie di brina, te lo giuro! Sarà facile passarci –“. Me tre diceva queste cose, era già salita sulla mensola del camino, quasi senza sapere come avesse fatto ad arrampicarsi fin lassù. E lo specchio stava davvero sciogliendosi e andava svanendo, proprio come una luminosa nebbia d’argento. Un attimo dopo, Alice era passata attraverso il vetro ed era saltata agilmente giù, nella Casa dello Specchio. La prima cosa che fece fu di guardare se c’era il fuoco nel camino, ed ebbe la soddisfazione di vedere che c’era per davvero: scoppiettava allegramente, proprio come quello che aveva lasciato dell’altra parte. “Così qui starò al caldo, come nella stanza
  • 6. 6 vecchia” pensò Alice, “e anche di più, in realtà, perché qui non c’è nessuno che mi rimprovera se sto vicino al fuoco. Ah, che spasso sarà, quando dallo specchio mi verranno qua dentro e non potranno venire a prendermi”. (Lewis Carrol, Attraverso lo specchio) Ho deciso di approfondire alcuni aspetti del pensiero magico proprio perché ritengo che sia un tema centrale ed imprescindibile quando si parla di psicomotricità o si entra in una sala di psicomotricità. Lewis Carrol in “Attraverso lo specchio” riesce a descrivere La Casa dello Specchio di Alice trasmettendo tutta quella dimensione magico-fantastica che è propria anche del gioco del bambino e molto simile a quella che si crea quando si entra nella sala di psicomotricità. La sala di psicomotricità è un luogo caratterizzato da una dimensione immaginaria, magica, di gioco, dove tutto può succedere, anche ciò che non ha senso, anche le cose più irreali. È una dimensione creata dal bambino attraverso il “fare finta di…”, proprio come Alice. Nel “fare finta di…” tutto può accadere e lo spazio ed il tempo diventano spazio e tempo di sperimentazione per il bambino. Il bambino nel gioco ha la possibilità di sperimentare in una dimensione magica che rende possibile il “fare finta di…”. All’interno della psicomotricità il gioco sviluppa una realtà immaginaria e magica, creata dalla fantasia del bambino, dalla sua capacità di trovare soluzioni creative ed innovative. La risorsa più grande del bambino è la sua capacità di creare spazi immaginari, spazi all’interno dei quali si sviluppano possibilità e potenzialità. La creatività, la fantasia e l’immaginazione che prendono forma dal pensiero magico accompagnano il bambino durante tutta la sua vita, anche durante l’età adulta e svolgono un’importante funzione di mediazione nei confronti della realtà. Giocando in sala con i bambini mi sono accorta quanto sia importante che ognuno riesca ad esprimere e valorizzare il proprio mondo magico. Tutti i bambini sono magici. A volte può capitare che siano talmente magici da essere travolti dalla loro stessa magia, bisogna allora aiutarli a scoprire questa magia, ad usarla in maniera consapevole e non distaccata dalla realtà. Questi bambini così magici hanno il potere di riavvicinare anche noi adulti al magico, ci danno la possibilità di usufruire nuovamente dello sguardo magico sulla realtà che da sempre ci accompagna, ma del quale spesso siamo inconsapevoli. Gli adulti “hanno imparato che esistono molteplici schemi teorici per la comprensione del mondo – anche se troviamo difficile se non impossibile pensare veramente in base a qualsiasi altro schema che non sia il
  • 7. 7 nostro –“1 . Questo sguardo magico, per quanto possa sembrare contraddittorio aiuta a mantenere il contatto con la realtà e ad affrontare la vita con la giusta dose di leggerezza. Il pensiero magico come “il simbolo rivela determinati aspetti della realtà – gli aspetti più profondi – che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza. Le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono a una necessità ed adempiono una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere”2 . Dare ascolto al nostro mondo magico significa ritrovare contatto con il nostro bambino interiore, affinare la nostra sensibilità, il nostro rapporto, la nostra partecipazione e la nostra comprensione del e con il mondo. La sensibilità e l’attenzione unite alla capacità d’ascolto rientrano tra quelle caratteristiche fondamentali che soprattutto chi si avvicina alla professione di psicomotricista dovrebbe ricercare. Nel gioco il pensiero magico dischiude un linguaggio simbolico che da voce al nostro mondo interiore, al nostro inconscio. Le domande che queste argomentazioni sul pensiero e sul mondo magico dell’individuo suscitano sono molteplici: Quanto della nostra realtà appartiene al nostro mondo magico? Quanto il mondo magico fa parte della vita dell’individuo? Quanto sono vicini mondo magico e inconscio? E quanto questi influenzano il nostro personale modo di vedere la realtà? Quanto di ciò che viviamo nel mondo esterno è influenzato dal nostro mondo interno? Qual è il confine tra mondo magico e reale? Non sempre tali domande trovano risposta, ma spesso il mondo magico è molto più vicino di quello che pensiamo. 1 Bettelheim B., In mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1975, p.48 2 Eliade M., Immagini e simboli, Java Book, Milano, 1952, p.16
  • 8. 8
  • 9. 9 PRIMA PARTE Teoria del pensiero magico
  • 10. 10
  • 11. 11 1. Il pensiero magico ed il pensiero razionale Secondo la concezione comune quando si fa riferimento al pensiero ci si riferisce a quella facoltà propria degli esseri razionali, che pone l’attenzione soprattutto sulla logica razionale mettendola in antitesi a qualsiasi forma magica, fantastica o maggiormente legata all’impulsività. Umberto Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia definisce pensiero: “l’attività mentale che comprende una serie svariata di fenomeni, come ragionare, riflettere, immaginare, fantasticare, prestare attenzione, ricordare, che permette di essere in comunicazione con il mondo esterno, con se stessi e con gli altri, nonché di costruire ipotesi sul mondo e sul nostro modo di pensarlo.” e continua scrivendo “Può deteriorarsi come nel delirio, o disorganizzarsi come nell’erompere delle emozioni. Esistono diversi tipi di pensiero studiati nella loro forma ed espressione, e definizioni molto differenziate per effetto dei presupposti teorici da cui i vari orientamenti psicologici prendono le mosse.”. Più specificatamente pone in antitesi pensiero realistico e pensiero magico sottolineando che “ il primo si attende ai dati di realtà, il secondo, tipico dello stadio infantile e del modo primitivo di pensare come ha dimostrato Lévy-Bruhl, vive di partecipazione mistica3 con gli oggetti e le cose vissute come animate e fornite di intenzionalità. Oltre al pensiero magico si oppone, al pensiero realistico, il pensiero dereistico i cui contenuti si riferiscono ai bisogni ed alle fantasie del soggetto al punto di misconoscere la realtà come nelle situazioni deliranti.” 4 Il pensiero (per come lo intenderemo in questo scritto) racchiude in sé non solo l’aspetto logico-razionale, ma aspetti più profondi, che spiegano in maniera più completa ed esaustiva l’agire umano e che richiamano alla complessità dei processi cognitivi umani. Una prospettiva che consideri il pensiero solo da un punto di vista logico razionale risulta dunque riduttiva, sia che si tratti di un bambino sia che si tratti di un adulto. Viene così messa in evidenza la natura illusoria dell’“uomo logico”, che nella sua perfezione rimane un’idea astratta. Appare evidente che le scelte quotidiane non vanno sempre ricondotte a principi e a regole proprie della razionalità o della logica causa-effetto, ma più spesso rientrano nell’orizzonte del pensiero magico o quasi magico o dell’istinto e dell’emotività umana5 . Quando il pensiero 3 Termine introdotto da Lévy-Bruhl per indicare la modalità con cui, a suo parere, i primitivi percepiscono la realtà. Con il termine mistico si intende la credenza in forze, in influenze ed in azioni impercettibili ai sensi e tuttavia reali. La mentalità primitiva stabilisce relazioni emozionali tra oggetti che, dal punto di vista della casualità fisica, non rivelano relazioni tra loro. 4 Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006 5 Giusberti F., Nori R., Il pensiero quasi-magico, in “Psicologia Contemporanea”, 160, 50-55.
  • 12. 12 magico interviene nelle nostre scelte si ritiene che la realtà sia influenzabile secondo i propri pensieri e desideri. “Col temine potere (magico) si vuol designare l’energia o la capacità che consentono di produrre un effetto desiderato. L’essenza del magico sta nel fatto che vengono usate tecniche misteriose per l’osservatore e ovvie per l’operatore.”6 . La “cultura occidentale”, che trae le basi dalla corrente scientifico positivista, è contraddistinta da questa contrapposizione tra pensiero magico e pensiero logico-razionale. È diffusa, infatti, la concezione comune secondo la quale il pensiero è molto più vicino alla logica razionale che non agli aspetti del magico e di conseguenza viene ricondotto prevalentemente al pensiero ipotetico deduttivo, che “opera formulando ipotesi relative ad eventi presenti o potenziali e verificando tali ipotesi sulla realtà, seguendo operazioni logico- matematiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ordinamento, sostituzione, inclusione in classi, relazioni) e spazio temporali (reversibilità, compensazione). Dunque le decisioni fondate sulla logica ipotetico-deduttiva seguono più generalmente i principi della statistica e del calcolo probabilistico”7 . Se si vuole comprendere ciò che motiva l’agire umano e le basi che lo sottendono è necessario allargare la propria visione di pensiero, analizzandolo non solo per quanto riguarda gli aspetti logico razionali, ma anche per quanto riguarda quegli aspetti che qui chiameremo magici. La predisposizione umana al pensiero magico e alla magia, che si innesta facilmente a partire da questo, contraddistingue in particolar modo il funzionamento cognitivo del bambino, ma tale forma permane e non abbandona mai totalmente la mente umana. Pensiero magico e pensiero razionale dunque si configurano come due strutture mentali che convivono ed interagiscono quotidianamente anche nella mente dell’adulto. Molti studiosi hanno contribuito ad approfondire gli aspetti del pensiero ed in particolare quelli riferiti al pensiero magico. Secondo la Teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget sono rintracciabili nella vita dell’essere umano, a partire dalla nascita fino all’età adulta, dei “periodi” o “stadi” dell’evoluzione del pensiero: Stadio senso-motorio (0-2 anni); Stadio pre-operatorio (2-6 anni); Stadio operatorio concreto (6-12 anni); Stadio operatorio formale (da 12 anni in poi). Piaget fa rientrare il pensiero magico nello stadio pre-operatorio ed individua gli elementi che caratterizzano tale stadio. Alcuni di essi appaiono utili ai fini della comprensione del contesto evolutivo nel quale entra in gioco il pensiero magico: 6 Eliade M. diretta da, Enciclopedia delle religioni, vol. 2 Il rito, oggetti, atti, cerimonie, Edizione Tematica Europea a cura di D. M. Cosi, L. Saibene, R. Scagno, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993, p. 423 7 Miller P. H., Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino, Bologna, 1983
  • 13. 13 • L’egocentrismo, ossia la tendenza del pensiero ad essere incentrato sull’Io. Il bambino guarda le cose unicamente dal suo punto di vista, senza rendersi conto che esistono molteplici prospettive. • Il ragionamento primitivo o trasduttivo che prevede una modalità di pensiero secondo la quale due avvenimenti che avvengono per caso contemporaneamente, non solo sono strettamente collegati, ma uno è causa dell’altro. Il nesso cronologico per il bambino è dunque causale. È questo il tipo di ragionamento che sta all’origine del pensiero magico, che tende a scomparire verso i sei anni. • L’identità dell’oggetto: secondo tale concetto l’oggetto è ora percepito dal bambino come identico a se stesso. Questa, secondo Piaget, è una conquista importante, che coinvolge anche l’identità sessuale del bambino. Verso i 5-6 anni, infatti, egli sa perfettamente che indossando abiti femminili non potrebbe mai diventare una bambina. Inizia a delinearsi la capacità di pensare al “come se”. Piaget individua nel pensiero pre-operatorio alcune operazioni mentali specifiche tra cui: l’animismo e il pensiero magico. L’animismo è inteso come l’attribuire vita ad oggetti sia inanimati che animati. Tale tendenza diminuisce con l’età. Fino ai 6-7 anni tutti i corpi, anche quelli immobili, sono considerati come vivi e dotati di intenzione. Piaget sostiene che l’animismo infantile sia dovuto da due ordini di fattori: individuali e sociali. Tra i fattori sociali, assume una certa importanza il rapporto del bambino con i propri genitori, in particolare quello con la madre che intervenendo in tutti i suoi atti e in tutti i suoi affetti impedisce al fanciullo di distinguere la sua attività da quella degli altri. Sono i genitori dunque a concorrere nel determinare l’indifferenziazione tra l’Io e il mondo esterno. I fattori di ordine individuale sono due: l’indissociazione e l’introiezione. Nel primo caso, il bambino, inizialmente non distingue gli atti intenzionali da quelli non intenzionali, il mondo psichico da quello fisico, il soggettivo dall’oggettivo e attribuisce alle cose vita, coscienza ed emozioni. L’introiezione, invece, è la tendenza ad attribuire alle cose i medesimi sentimenti che si provano di fronte ad essi. È dunque l’interpretazione del suo egocentrismo. Il pensiero pre-operatorio, secondo Piaget, è prevalentemente pensiero magico, altrimenti definito egocentrismo infantile. Piaget definisce la magia come l’uso che l’individuo crede di poter fare dei rapporti di partecipazione8 per poter modificare la realtà. 8 Piaget definisce partecipazione il rapporto tra due esseri o due fenomeni aventi una diretta influenza l’uno sull’altro, pur non esistendo fra loro né contatto né legame causale intelleggibile. Ogni magia presuppone una partecipazione.
  • 14. 14 Freud accosta il pensiero magico dell’uomo primitivo a quello del bambino. Ritiene che la magia sia prodotta dal desiderio e che dietro ad ogni pratica magica del bambino ci sia un’affettività particolare. Egli considera la magia il risultato del narcisismo infantile, ossia uno stadio dello sviluppo affettivo durante il quale il fanciullo non si interessa che della propria persona, dei propri desideri e dei propri pensieri. Il bambino innamorato di se stesso, considera i suoi pensieri e i suoi desideri capaci di influenzare magicamente gli avvenimenti e dotati di tutta l’efficacia necessaria. Freud coglie l’essenza del magico nell’onnipotenza del pensiero, riscontrabile tanto nei bambini, che ancora non si misurano con i dati di realtà, quanto nei nevrotici ossessivi che con le loro fissazioni e con i loro rituali tentano di controllare, proiettandolo sul mondo esterno, il loro mondo interno animato da forze che temono di non riuscire a contenere, con il rischio di una scissione. Freud oppone al mondo interiore, che tende a soddisfare i propri desideri per via illusoria (fantasma), un mondo esterno che impone al soggetto il principio di realtà. Come messa in scena del desiderio, il fantasma è anche luogo di operazioni difensive che possono assumere le forme della conversione nell’opposto del diniego e della proiezione. Jung definisce la magia come un’identificazione con forze inconsce al fine di propiziarle, di servirsene, di distruggerle, di neutralizzare la loro potenza o di allearsi con esse per poter esercitare sul mondo esterno una maggior influenza. Dette forze agiscono come complessi autonomi dall’Io, che l’Io, se non è sopraffatto, tenta di controllare con rituali magici. Sia Freud che Jung calano la relazione tra pensiero magico e calcolo razionale in un vero e proprio schema dialettico ed individuano una sorta di mancata, perduta o non ancora avvenuta distinzione tra interno ed esterno, processo psichico e natura, dunque uno stato di identità tra soggetto ed oggetto, sé e gli altri, animato e inanimato e così via. In tal caso ciò che capita dentro è immediatamente percepito come un avvenimento là fuori, e viceversa, un evento esterno è recepito come un fatto personale, interiore. Secondo tale concezione, diventare adulti, significa riuscire a divaricare questi due lembi sovrapposti e confusi, marcare tra loro uno scarto, una distanza, un intervallo, in modo da articolare e differenziare lo stato di identità di partenza, facendo una distinzione. Quello del pensiero magico non è altro che uno stadio, una fase dello sviluppo, in cui domina una generale sopravvalutazione dei processi psichici rispetto alla realtà, dove cioè le relazioni che sussistono tra le rappresentazioni delle cose vengono presupposte anche tra le cose
  • 15. 15 medesime. È la fase retta, secondo l’espressione di Freud, da un’onnipotenza dei pensieri: una fase eroica, fiduciosa oltre ogni misura nelle proprie incipienti capacità. L’evoluzione del magismo segue uno schema che partendo dall’animismo primitivo fa seguire una fase religiosa, dove l’onnipotenza viene ceduta agli dei, e corrispondentemente il bambino, da “narcisista” centrato esclusivamente su di sé, mostra un attaccamento ai suoi genitori. Da quella religiosa si passa ad una “fase scientifica” dove, dice Freud, non c’è più posto per l’onnipotenza dell’uomo, il quale riconosce la sua pochezza e si sottomette con rassegnazione alla morte come a tutte le altre necessità della natura. Che lo spirito debba necessariamente preludere al realismo della mentalità scientifica, che la magia sfoci di diritto in raziocinio è ciò che Jung contesta. L’inconscio è il luogo dove le nostre ordinarie contrapposizioni polari (soggetto e oggetto, mente e natura, intemporalità e storia) stanno ancora ripiegate in se stesse, in stato di identità ed è senz’altro il ricettacolo di tutti i contenuti dimenticati, passati o rimossi, di certo la sfera in cui prendono posto tutti i processi subliminali, come le percezioni sensoriali troppo deboli per raggiungere la coscienza; ma anche, e soprattutto, la matrice da cui cresce il futuro psichico. L’inconscio trova la sua dimensione più autentica quando è pensato come matrice collettiva, costitutivamente inafferrabile da un punto di vista logico, letteralmente comune a tutto e presente in ciascun individuo, capace di avvolgere in se stesso tempo, spazio e causalità. Altri studiosi si soffermarono a discutere sulla natura della magia da un punto dal punto di vista psicologico. Wilhelm Wundt sosteneva che il pensiero magico, in quanto fase più antica nello sviluppo del pensiero religioso, era basato su processi emozionali, il principale dei quali era la paura nei confronti della natura, ostile al genere umano e perciò interpretata come una forza malavgia che può essere controllata dalla magia. Gerardus van der Leeuw sosteneva che il mago aveva la convinzione di poter controllare il mondo estreno mediante l’uso di parole e incantesimi. Un contributo fondamentale dal punto di vista antropologico all’interpretazione del pensiero magico e della magia e stato dato da B. Malinowski. Nel suo “Magia, scienza e religione”, lo studioso sostiene che magia, religione e scienza sono da sempre coesistenti, distinte ma unite da reti di relazioni reciproche. A differenza di altri studiosi, Malinowski, infatti, ritiene che la conoscenza scientifica rimanga la spina dorsale della cultura, da sempre, e si estenda con pieno diritto anche all'uomo primitivo, di cui era guida determinante nel suo rapporto con l'ambiente. L’atto magico è, per Malinowski, l’espressione simbolica di un desiderio, completamente slegato dal rapporto causa-effetto, che comunque è tenuto presente. La funzione della sfera rituale è una funzione di protezione psicologica di fronte ai rischi ed
  • 16. 16 alle situazioni aleatorie proposte dalla vita quotidiana. La magia rappresenta una sorta di “ottimismo standardizzato”9 che infonde fiducia e sicurezza e aiuta a superare le difficoltà esistenziali. Il senso ultimo della magia è quello di far sì che l’uomo non desista dall’operare, offrendogli una via d’uscita laddove si profila il rischio. “La magia protegge le persone dall’indigenza e mette nella condizione di ottenere successo, situazioni queste in cui le implicazioni di carattere emozionale e sociale sono alte. La magia provoca in chi vi crede una fiducia in se stessi sul piano psicologico, può essere di aiuto nel raggiungimento dei più alti livelli di sviluppo tecnologico e morale e permette di organizzare meglio il lavoro individuale e di controllare quello di gruppo, da cui dipende il benessere dei membri della società: la magia ritualizza l’ottimosmo dell’uomo.”10 Secondo De Martino, il compito storico della magia sarebbe il riscatto dell’angoscia. La difesa è la garanzia della personalità in crisi. Nel mondo magico la personalità non è ancora fortemente consolidata, essa è sempre soggetta al rischio di smarrirsi. Ne “Il mondo magico”, De Martino pone l’accento su alcuni fenomeni tipici di pratiche sciamaniche, quali la spersonalizzazione e lo scatenamento di impulsi incontrollabili. 9 Malinowski B., Teoria scientifica della cultura e altri saggi, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 208 10 Eliade M. diretta da, Enciclopedia delle religioni, vol. 1 Oggetto e modalità della credenza religiosa, Edizione Tematica Europea a cura di D. M. Cosi, L. Saibene, R. Scagno, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993, p. 346
  • 17. 17 2. Forme e funzioni del pensiero magico Al fine di comprendere fino in fondo quelle che sono le funzioni e i meccanismi che stanno alla base del funzionamento del pensiero magico è opportuno considerare le motivazioni che spingono la persona ad utilizzare la magia o più specificatamente riti e condotte magiche. Il pensiero magico prendendo la forma più adeguata ai tempi accompagna l’uomo nella vita ed in particolare quando la vita stessa ed il futuro diventano più oscuri. L’ignoto, il non prevedibile da sempre sono stati per l’uomo fonti di angoscia. Nella sua essenza il pensiero magico affonda verosimilmente le sue radici nel bisogno dell’essere umano, specie in condizione di maggior precarietà e vulnerabilità, di neutralizzare, almeno in parte, la penosa condizioni di inadeguatezza di fronte agli elementi strapotenti con cui si deve confrontare. Mai come nei momenti di crisi, di difficoltà e di insicurezza l’uomo ha bisogno di attingere a tale risorsa in maniera equilibrata. “Sta all’uomo moderno risalire la corrente e riscoprire il significato profondo di tutte quelle immagini appassite e di tutti quei miti degradati. Non ci si venga a dire che queste storie non interessano più all’uomo moderno, che esse appartengono a un passato di superstizione fortunatamente liquidato dal XIX secolo, che va bene per i poeti, i bambini e la gente che viaggia in metropolitana rimpinzarsi di immagini e di nostalgia ma, per pietà!, si lasci che la gente seria continui a pensare a fare la storia: una separazione del genere tra le cose serie della vita e le fantasticherie non corrisponde alla realtà. L’uomo moderno è libero di disprezzare le mitologie, tuttavia non gli impedirà di continuare a nutrirsi di miti decaduti e di immagini degradate. La più terribile crisi storica del mondo moderno – la seconda guerra mondiale e tutte le conseguenze che ha portato con sé e si è trascinata dietro – ha dimostrato a sufficienza che pensare di sradicare miti e simboli è pura illusione. Anche nella situazione storica più disperata, degli uomini e delle donne hanno cantato romanze, ascoltato delle storie e quelle storie non facevano che trasmettere dei miti, quelle romanze erano cariche di nostalgie. Tutta questa parte, essenziale e imprescindibile dell’uomo, che si chiama immaginazione nuota in pieno simbolismo e continua a vivere miti e teologie arcaici. Sta all’uomo moderno, dicevamo, risvegliare questo inestimabile tesoro di immagini che egli porta con sé: risvegliare queste immagini per contemplarle nella loro verginità e assimilare il loro messaggio. La saggezza popolare ha espresso a più riprese l’importanza dell’immaginazione per la salute stessa dell’individuo, per l’equilibrio e la ricchezza della sua vita interiore”11 . 11 Eliade M., Immagini e simboli, Java Book, Milano, 1952, p.21-22
  • 18. 18 “Se nell’antica Grecia si vedevano mostri e demoni, dei e semidei, e nel Medioevo apparivano madonne, oggi il pensiero magico deve prendere una forma adeguata al nuovo immaginario collettivo.”12 Il mondo immaginale, l’immaginario archetipico è una forma di rappresentazione del mondo che G. Durand così descrive: “La coscienza dispone di due maniere di rappresentare il mondo. Una diretta nella quale la cosa si presenta essa stessa allo spirito, come accade nella percezione o nella semplice sensazione. L’altra indiretta quando, per una ragione o per l’altra, la cosa non può presentarsi in carne e ossa alla sensibilità, come per esempio nel ricordo della nostra infanzia, nell’immaginazione dei paesaggi del pianeta Marte, nella rappresentazione degli elettroni che girano intorno al nucleo dell’atomo, o di un al di là che sta oltre la morte. In tutti questi casi di coscienza indiretta, l’oggetto assente viene ri-presentato alla coscienza da un’immagine.”13 Alla voce magia del Dizionario di Psicologia a cura di Galimberti si legge come “dal punto di vista psicologico la magia ha la sua radice nella precarietà dell’esistenza, sempre alla ricerca di forme protettive e rassicuranti. In assenza di strumenti di controllo della realtà interiore e della realtà esterna, la prima forma di protezione è rappresentata dalla magia che dischiude un orizzonte mitico, definito da De Martino metastoria, dove il senso delle azioni degli uomini è gia descritto e quindi anticipato nel suo buon fine. Questo fa sì che, quando nella storia il negativo assale l’esistenza, l’individuo non naufraghi nella negatività sopraggiunta, perché sa che c’è un ordine superiore, un ordine metastorico, che la magia si incarica di descrivere, in cui questa negatività, con particolari rituali, può essere riassorbita e risolta. In tale prospettiva, l’individuo affronta il negativo e le crisi d’esistenza che ogni evento negativo dischiude, appoggiandosi ad una sorta di “così come” che il rito magico ribadisce. Come nel mito una determinata serie di eventi trova la sua risoluzione positiva, così, praticando i riti conformi al disegno del mito, una serie analoga di eventi che sta succedendo a un certo individuo in un certo frangente della sua esistenza, troverà soluzione. (…) Come orizzonte della crisi, la magia controlla la negatività del negativo evitandole di espandersi; come luogo di destorificazione del divenire la relativizza consentendo di affrontare le prospettive incerte “come se” tutto fosse già risolto sul piano metastorico, secondo i modelli che il desiderio umano di protezione prefigura”14 . Le condotte magiche, inoltre, permettono di spostare le responsabilità fuori da sé, concentrandola su altro di esterno: su di un oggetto, su di uno sguardo o una parola, attribuendo un particolare senso ad una parte di realtà che altrimenti sarebbe difficile accettare 12 Dal sito: www.comeDonChisciotte.org 13 Durand G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Roma, 1963, p.9 14 Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006
  • 19. 19 o spiegare. Alla base sembra comunque esserci la necessità di avere il controllo della realtà che in qualche modo è egoantropomorfizzata. Vengono attribuiti processi psichici, cognitivi ed emotivi all’esterno, come risultati di proiezioni personali, di emozioni, di sentimenti e di pensieri intollerabili. In alcuni casi seguendo il modello del pensiero magico, che attende la risoluzione dei problemi non dalla sequenza dei nessi causali, ma da formule, gesti, riti, può determinarsi una vera e propria disarmonia con i dati di realtà. Alcuni agiti possono essere supportati da una condizione mentale che ignora le leggi della logica e le connessioni naturali. I riti magici consentono l’illusione di progredire, perfezionarsi, compensare errori, appagando il bisogno di affermazione di sé e non per ultimo l’aggressività, agita verso aspetti o persone valutate come ostacolanti, spesso oggetti di proiezione difensiva di aspetti profondi interiori. Jung ritiene che il ricorso a rituali magici sia funzionale al controllo delle forze inconsce che agiscono nell’essere umano come complessi autonomi dell’io: “In questa età di materialismo (…) si è avuta una reviviscenza della fede negli spiriti, sia pure a livello più elevato. Non si tratta di una ricaduta nella superstizione ma nel bisogno di proiettare la luce della verità su un caos di fatti malsicuri”15 . “Laddove la realtà appare segmentata e divisa occorre riconoscerla in unità, laddove l’oggetto delle nostre aspirazioni appare irrimediabilmente distante, quando la realtà circostante riproduce incertezze e paure che minano la vita collettiva, quando occorre riappropriarsi della realtà che ci è ostile dominandola, l’individuo ricorre all’unica forza incondizionata che avverte in sé, quella del pensiero. Proiettando, oggettivando questa forza attraverso rituali, simboli e segni, egli riproduce il fenomeno magico, che è la forma primitiva di riappropriazione della realtà e che culmina nello sforzo di ricostruire quell’unità indistinta di soggetto e oggetto che il bambino porta con sé al momento della nascita. Il pensiero magico ricrea dunque l’unità del conoscere, racchiude in sé soggetto e oggetto, riunisce il frammentario, colma le distanze, salta la realtà, proietta nel futuro desideri inappagati. Di fronte a questo tipo di conoscenza e di agire umano, il conoscere scientifico e la stessa razionalità sono episodi, forme storiche che si realizzano come prese di coscienza della realtà e si mantengono solo attraverso lo sforzo costante del soggetto che rinuncia alle consolazioni sostitutive, non si stanca di cercare fenomeni di verità, non cessa d’usare lo strumento della ragione.”16 Il pensiero e la condotta magica sono tentativi di adattamento all’ambiente o di reagire in una maniera che si presume efficacemente difensiva. “La magia è la nostra grande riserva di forza 15 Jung C. G., I fenomeni occulti, Bollati Boringheri, Torino, 1902 16 Mongardini C., a cura di, Il magico e il moderno, Franco Angeli Editore, Milano, 1983
  • 20. 20 contro la frustrazione, la sconfitta e il Super-Io.”17 Si tratta di una risposta adattiva o reazione difensiva che la magia è in grado di esprimere nonostante l’irrazionalismo che la sottende, con lo scopo di produrre un allentamento della tensione psichica di fronte alla difficoltà che si cerca di superare magicamente. Il pensiero magico diventa “appiglio”, sostegno, diventa meccanismo di difesa. Ecco riassumendo alcune delle principali funzioni che il pensiero magico riveste, nella vita mentale infantile ma non solo: • Funzione difensiva: secondo la quale il pensiero magico è in grado di controllare la realtà. Tale funzione permette, soprattutto durante l’età evolutiva di affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza; • Funzione propiziatoria: secondo la quale esistono delle forze in grado di regolare gli eventi e si agisce sulla base di suddette credenze; • Funzione conoscitiva: il pensiero magico in questo caso avrebbe il compito di sopperire ai vuoti di altre forme di pensiero, nei casi in cui il ricorso alla logica razionale non sia sufficiente.18 17 Ròheim; citato da Marc Augè in “Magia”; Enciclopedia Einaudi; vol VII, Torino, 1979; 18 Cfr. Dal sito: www.comeDonChisciotte.org
  • 21. 21 3. Caratteristiche del pensiero magico La caratteristica principale del pensiero magico è la partecipazione, poiché attraverso di essa viene percepito un rapporto tra due fenomeni che in realtà è assolutamente inesistente. In virtù di questo rapporto l’individuo crea dentro di sé l’illusione di poter modificare la realtà attraverso la magia che il pensiero magico stesso può muovere. Queste modalità appaiono molto più evidenti nelle popolazioni primitive. Lo stesso concetto di simbolo è da ricondurre al pensiero magico: il legame che lega significante, ossia il simbolo stesso, e il significato, ossia l’oggetto o l’evento rappresentato, non è reale, ma stabilito dalla mente umana sulla base di una relazione partecipativa che lo rende reale e presente (nel tempo e nello spazio). In questo senso la partecipazione è una caratteristica fondamentale in quanto è in grado di reggere ed alimentare la strutturazione magica del pensiero ed in grado di sostenere scelte e la vita intera di alcune persone. Il pensiero magico si basa anche su di un’altra caratteristica che gli permette di sopravvivere nonostante i “fallimenti”: l’impermeabilità dell’esperienza. Molte volte, infatti, anche quando le esperienze contraddicono il pensiero magico, non nasce il bisogno di spiegare tale insuccesso, perché questo insuccesso viene legato ad altro19 . A differenziare il pensiero magico da quello logico è inoltre la rottura dell’organizzazione spazio-temporale. Tale pensiero infatti è supportato da una causalità artificiale, illogica e paradossale, che non risponde alla stretta legge della causa-effetto. Questa rottura si verifica tutte le volte in cui si stabilisce un legame, tra una causa ed un effetto, privo di un momento temporale o di uno spazio ben limitato. Il pensiero magico opera anche quando sono attivate tutte le capacità di pensiero. In particolari condizioni infatti il pensiero razionale non ha informazioni o condizioni sufficienti per operare; l’attività di pensiero, e di conseguenza la preferenza di una modalità piuttosto che un’altra, viene quindi multideterminata, ossia influenzata da fattori diversi, quali possono essere le capacità logiche possedute, le caratteristiche individuali del soggetto o i fattori situazionali20 . Pensiero e condotte magiche sono dunque diversi da persona e persona, caratterizzati dalla soggettività che ne esalta la natura di tentativo di adattamento alla realtà così com’è individualmente percepita e rappresentata mentalmente. 19 Cfr. Jung C. G., Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino, 1942 20 Cfr. Bonino S., Reffieuna A., Psicologia dello sviluppo e scuola elementare. Dalla conoscenza all’azione, Giunti, Firenze, 1999
  • 22. 22
  • 23. 23 4. Il pensiero magico nel bambino Il pensiero magico rappresenta una modalità di pensiero predominante nell’infanzia in cui assume il valore di un mezzo di adattamento. Durante l’infanzia sono svariate le situazioni nelle quali questo processo si manifesta: nel gioco, per esempio, ma non solo. Spesso sono modalità con le quali il bambino compensa situazioni reali frustranti. I bambini organizzano le esperienze in base ai vari significati, colmano lacune cognitive facendo uso delle fantasie, dell’invenzione di un proprio linguaggio e di una concreta e vivida visione della realtà. Il bambino conosce lo svolgimento reale e i retroscena di molte cose, ma ci sono anche profonde lacune che egli riempie con le proprie fantasie. Il pensiero magico non è qualcosa di confuso, folle, separato dal mondo, è una forma di intelligenza commisurata all’età, che permette ai bambini di essere creativamente attivi e di strutturare, comprendere e spiegare a se stessi, il mondo che li circonda. Capita spesso che i bambini siano convinti che le cose capitino perché loro le hanno desiderate. Piaget distingue le pratiche magiche del bambino in quattro categorie, secondo il loro contenuto e secondo il loro rapporto causale. Magia per partecipazione dei gesti e delle cose, per la quale il fanciullo grazie ad un gesto o ad un’operazione mentale, realizza un determinato avvenimento o ne scongiura un altro. Magia per partecipazione del pensiero e delle cose, in cui il pensiero, una parola o uno sguardo sono per il bambino capaci di modificare la realtà. Come se gli strumenti del pensiero fossero legati alle cose stesse e capaci di agire su di loro. Magia per partecipazione di sostanze, secondo la quale la magia non è più legata ad un gesto o ad un pensiero, ma a un corpo o a un luogo che il bambino utilizza per influenzare un avvenimento o agire su di un altro corpo. Magia per partecipazione di intenzioni e magia per comando, in cui i corpi sono animati e dotati di intenzione dal bambino. Sicuramente alla base di questa credenza troviamo l’egocentrismo. Il pensiero magico, guidato dall’io del bambino, dalla sua voglia di risolvere tutto con un colpo di bacchetta magica, di assoggettare la realtà oggettiva ai suoi desideri, è fortemente emotivo. Il bambino sviluppa inizialmente una visione del mondo di tipo panpsichistico, ossia vede gli oggetti come dotati di un’anima ed in stretta relazione con lui.
  • 24. 24 La produzione fantastica è data da rappresentazioni mentali, da immagini, derivate dalla realtà e trasfigurate. Esse si muovono, assumono forma e vita propria, si scompongono in elementi più semplici e si ricompongono in unità complesse e diverse dalle precedenti. E' questo un inarrestabile ed infinito gioco di produzione immaginaria a cui sono associate sensazioni, emozioni e profondi turbamenti dell’animo infantile. Il pensiero magico prende forma da due diversi “fenomeni” della “mentalità infantile”, uno di origine individuale, uno di ordine sociale: • Il realismo implica l’indifferenziazione e la confusione tra mondo interno (Io) e mondo esterno (non Io) ed è fondamentale affinché lo psichico possa invadere e permeare il fisico e viceversa, così come avviene nella struttura di pensiero in questione. • L’animismo comporta invece la convinzione che gli oggetti e gli eventi esterni siano dotati di propri sentimenti e volontà, che possono essere favorevoli oppure ostili21 . Il bambino si sforza nel cercare una spiegazione dei fenomeni oggettiva. Nel bambino l’Io si evolve trovando spiegazioni razionali, soprattutto chiarendo la distinzione tra realtà soggettiva (fantastica, onirica ed emotiva) e la realtà oggettiva. Gradualmente, dunque, il bambino fa posto a nuove mappe cognitive di tipo logico-razionale, che individuano le cause fisiche dei fenomeni e sdrammatizzano gli effetti dei vissuti intrapsichici permettendo: • Una maggiore libertà emotiva; • Una capacità di socializzazione e di interiorizzazione di norme di comportamento senza che l’universo psichico ne risulti inibito o alienato. Allo stesso tempo però giocare a identificarsi in vari eroi aumenta nei bambini la propria autostima e contribuisce alla costruzione dell’identità del Sé infantile. La valutazione del Sé (autostima, autorappresentazione, concetto di Sé), col passare del tempo è sempre più correlata alla capacità di farsi amici e avere la consapevolezza di godere della loro stima. Il concetto di Sé prende forma precocemente, e si rafforza durante la crescita sotto forma di rappresentazione e giudizio di sé e delle proprie abilità. In questo lungo e tortuoso percorso le interazioni sociali e le relazioni emotive con le persone che si occupano del bambino sono il fondamento dello sviluppo cognitivo infantile; ugualmente il rapporto con le figure d’attaccamento sarà determinante per le relazione sociali future. 21 Cfr. Miller P. H., Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino, Bologna, 1983
  • 25. 25 Il magismo nel bambino è spesso associato all’“onnipotenza del pensiero” infantile alla partecipazione e l’indifferenziazione del bambino con il mondo percepito ed all’azione dell’Io sulle cose. Riprendendo le teorie di Piaget e Freud è possibile affermare che le idee che il bambino piccolo, in età prescolare, si fa del mondo circostante sono riferibili ad una concezione magica degli eventi e ad un'immagine di sé egocentrica ed onnipotente. La magia del bambino dipende sia dal suo egocentrismo assoluto, sia dall’atteggiamento che i genitori assumono nei suoi confronti, obbedendo ed esaudendo ogni suo bisogno e desiderio. È naturale, dunque, che il bambino non riesca a distinguere la propria attività da quella dei genitori. È chiaro che se i desideri vengono esauditi e quindi rinforzati il bambino creda di comandare un essere vivente o una cosa. Se chiama la mamma e la mamma prontamente arriva, il bambino si convincerà che la forza stessa del suo desiderio e del suo pensiero l’ha fatta arrivare. Tutto ciò è perfettamente normale e risponde ad una tappa indispensabile dello sviluppo. Ciò è vero anche per i sentimenti, le emozioni ed i pensieri negativi: essere arrabbiato con la mamma, volere che vada via, in qualche modo per il bambino significa annullarla veramente, ma egli peraltro ha bisogno di lei ed è legato a lei, quindi prova sensi di angoscia e di colpa. Proprio per il fatto che il bambino pone la sua fantasia ed i suoi desideri al centro di sé vive una fase di onnipotenza. Gli altri esistono per lui, al suo servizio. Solo negando questa pretesa egli impara a porsi dei limiti, a riconoscere negli altri esigenze diverse dalle sue. Se la sua educazione è stata troppo permissiva, viziandolo e proteggendolo esageratamente, il rischio è che si formi un paranoico, una persona che non riuscirà a relazionarsi con le persone che non si adeguano alle sue esigenze; se l’educazione è stata “castrante” invece, finirà per non sentirsi adeguato e inibirsi. Rilevante nell’evoluzione del pensiero risulta essere il condizionamento dell’ambiente familiare e culturale più ampio di cui il bambino fa parte. Lo sviluppo del dell’immaginario, del pensiero simbolico, della creatività e dell’aspetto magico è trattato anche da Winnicott, che lo riconduce al rapporto che si viene a creare fin dalla nascita tra madre e bambino. In “Gioco e realtà” sostiene che “Non vi è alcuna possibilità per il bambino di procedere dal principio del piacere al principio di realtà, o verso e oltre l’identificazione primaria, a meno che non vi sia una madre sufficientemente buona. La madre sufficientemente buona è una madre che attivamente si adatta ai bisogni del bambino, un adattamento attivo che a poco a
  • 26. 26 poco diminuisce a seconda delle capacità del bambino, che cresce, di rendersi conto del venir meno dell’adattamento e di tollerare i risultati della frustrazione”22 . Winnicott riconosce tra i mezzi che il bambino ha a disposizione per fronteggiare il venir meno della madre “il ricordare, il rivivere, il fantasticare, il sognare; l’integrare il passato, il presente, il futuro”. Continua dicendo che “Se tutto va bene il bambino può in effetti ottenere un guadagno dall’esperienza di frustrazione, poiché l’adattamento incompleto al bisogno rende gli oggetti reali, vale a dire odiati altrettanto quanto amati. La conseguenza di ciò è che se tutto va bene il bambino può essere disturbato da uno stretto adattamento al suo bisogno che continui troppo a lungo e a cui non venga concesso il naturale decrescere, dal momento che un adattamento rigido è anche magico e l’oggetto che si comporta perfettamente diventa niente di meglio che un’allucinazione. Tuttavia all’inizio l’adattamento deve essere quasi esatto, poiché, in mancanza di questo, non è possibile che il bambino cominci a sviluppare la capacità di fare esperienza del rapporto con la realtà esterna, o anche di formarsi una concezione della realtà esterna. La madre, all’inizio, con un adattamento quasi del cento per cento, fornisce al bambino l’opportunità di un’illusione che il suo seno sia parte del bambino. Questo è, per così dire, sotto il controllo magico del bambino (…) L’onnipotenza è quasi un fatto di esperienza. Il compito attuale della madre è quello di disilludere gradualmente il bambino, ma essa non ha speranze di riuscire a meno che non sia stata capace da principio, di fornire sufficiente capacità d’illusione (…) L’area intermedia a cui io mi riferisco è l’area che è consentita al bambino tra la sua creatività primaria e la percezione oggettiva basata sulla prova della realtà.”23 . Winnicott pone i fenomeni transizionali come primi stadi dell’uso dell’illusione che permettono al bambino di percepire l’oggetto come esterno. Il compito principale della madre è dunque quello di disilludere. “Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare.”24 Naturalmente ad un passo successivo quest’illusione va superata, per permettere al bambino di separarsi, di essere in rapporto con la madre come qualcosa di esterno e separato e distinguere la realtà interna da quella esterna. Questo può verificarsi solo a determinate condizioni: “se la madre sa rappresentare questa parte per un congruo periodo di tempo, senza lasciare che nulla interferisca in tale compito, il bambino vive allora qualche esperienza di controllo magico, cioè l’esperienza di ciò che viene chiamato onnipotenza nella descrizione di processi psichici. 22 Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.37 23 Ibidem, p.38 24 Ibidem, p.39
  • 27. 27 (…) La fiducia nella madre produce qui un’area di gioco intermedia, dove si origina l’idea del magico, poiché il bambino fa effettivamente esperienza, in qualche misura, dell’onnipotenza.”25 L’area intermedia della quale parla Winnicott è l’area dell’esperienza e del gioco. Quest’area rende possibile il rapporto tra bambino e mondo. “L’area di gioco è uno spazio potenziale tra madre e il bambino, o che congiunge la madre e il bambino.”26 È dunque necessario il giusto equilibrio che accompagni il rapporto tra madre e figlio nel progressivo percorso verso la separazione. Nel primo periodo di massima dipendenza la madre dovrà sapersi adattare ai bisogni del figlio in modo che possa crescere in lui la fiducia nell’ambiente e nella figura materna, senza il timore di perderne l’affetto. In un secondo momento, gradualmente la madre dovrà essere in grado di diminuire il proprio adattamento al bambino, che in questo modo potrà superare l’illusione di avere un controllo magico sul mondo esterno ed elaborare l’assenza della madre crescendo in modo sano. Solo avendo prima sperimentato l’attendibilità dell’ambiente il bambino potrà introiettarla e potrà verificarsi un separarsi del non-me dal me. La salute, per Winnicott, è legata alla capacità dell’individuo di vivere nel campo intermedio tra sogno e realtà, questo significa crescere in modo creativo. 25 Ibidem, p.92-93 26 Ibidem, p.93
  • 28. 28
  • 29. 29 5. Il pensiero magico contro le paure La fase magica è una tappa evolutiva avvincente, uno stadio accompagnato da molteplici emozioni che possono essere a volte felici, a volte tristi e opprimenti. La fantasia, che ha un ruolo molto importante, porta con sé alcuni problemi, ma nel contempo propone anche diverse soluzioni. Il bambino anima le cose, gli attribuisce un significato proprio. Dare vita alle cose da parte dei bambini può essere un’arma a doppio taglio. Da una parte la loro la forza di dimostrare consapevolezza di sé e autonomia, dall’altra proprio attraverso la magia, anche oggetti e situazioni apparentemente innocui possono diventare mostri terribili. L’attività fantastica svolge una funzione equilibratrice nel complesso sistema della vita psichica del soggetto. Nel contatto con la realtà, il bambino s’imbatte in una serie di difficoltà e d’avversità che vive in modo drammatico, sperimentando l’asprezza e la violenza del mondo della concretezza. Emergono, inevitabili, delle frustrazioni che potrebbero portare il soggetto a concepire il reale in modo ineluttabilmente pericoloso ed ostile. Ma la fantasia permette al bambino di rendere flessibili, ai propri desideri ed alle proprie aspettative, le manifestazioni reali, attraverso la trasformazione fantastica degli oggetti e delle vicende concrete. In tal modo la durezza e l’aggressività del mondo vengono ammorbidite, modificate, e il bambino trasforma il reale in una serie infinita di fatti immaginari, soddisfacenti e piacevoli. Con la forza della fantasia è in grado di trasformare eventi minacciosi o figure pericolose. L’animismo infantile è un modo di leggere il reale. Il bambino “dà vita” a cose inanimate trasfigurandole secondo i suoi bisogni interiori e i suoi desideri. Con la fantasia, il reale pericoloso ed avverso viene esorcizzato e in tal modo vengono neutralizzati conflitti e frustrazioni. La fantasia permette di evocare situazioni felici e rassicuranti. Essa permette al bambino di “giocare” con i suoi fantasmi e di sistemarli in vicende gradevoli o sgradevoli, con sicure vittorie conclusive. In tal modo permette di appagare desideri nascosti difficilmente realizzabili. L’elemento magico è una creazione diretta a controllare, a proprio piacere, il mondo reale ed a piegarlo alle proprie aspettative. Nel mondo della fantasia l’inverosimile e l’incredibile diventano possibili e realizzabili. Con la fantasia, il mondo esterno e quello interno perdono i rispettivi confini, s’intersecano e si mescolano. Il mondo della fantasia si carica di elementi concreti, e il mondo reale viene trasfigurato. Il bambino è solito dividere sia il mondo reale sia quello fantastico in modo manicheo: da una parte ci sono i buoni, dall’altra ci sono i cattivi. I buoni sono persone, animali, oggetti,
  • 30. 30 immagini, elementi che danno sicurezza, affidamento, aiuto, amore, protezione e sono rappresentati dall’orsacchiotto, dalla bambola, dalla fata, dal mago, dall’amico, dall’oggetto fatato, ecc. I cattivi sono persone, animali, oggetti ed elementi che sono ostili, malvagi, e provocano danno, aggressività e pericolo ed in genere sono rappresentati dal lupo, dalla strega, dall’oggetto malefico e dal personaggio oscuro. Spesso si ritrova la lotta tra buoni e cattivi, tra elementi positivi ed elementi negativi, questo meccanismo psichico che viene messo in atto per distruggere simbolicamente ed anche concretamente, quello che c’è di minaccioso, di perverso, di pericoloso e di aggressivo. Il potere della fantasia è quello di inventare situazioni e fatti che sono favorevoli al bambino: egli crea e trasforma questo mondo a suo piacere, secondo i suoi sconfinati desideri e le sue innumerevoli esigenze. Il bambino è un creatore dei suoi personaggi; inventa personaggi ed esseri invisibili che per un determinato periodo, diventano i suoi accompagnatori, per scomparire poi nuovamente dal suo mondo. In questo mondo di buoni e cattivi il bambino impersona l’eroe forte ed invincibile. L’eroe, aiutato dagli elementi benefici, entra in conflitto con le forze del male distruggendole ed annientandole. In tal modo il bambino vive una vita eroica e mitica, piena di pericoli e di asperità, riuscendo sempre a vincere e ad imporsi sulle forze del male. Attraverso le storie magiche e le favole, vengono proposte al bambino spiegazioni che lo rafforzano emotivamente. In questo modo, i bambini riescono ad esorcizzare situazioni per loro incerte o inquietanti. Può anche capitare che i bambini regrediscano, tornando a stadi di sviluppo precedenti, per potersi sottrarre a situazioni emotivamente troppo forti. I bambini utilizzano le loro capacità magico fantastiche per spiegare il mondo ed elaborare la paura. Il superamento delle paure e delle incertezze, è uno dei compiti che lo sviluppo pone al bambino, chiedendogli di mettere in atto tecniche e strategie apparentemente tanto semplici quanto magiche, che permettono un’efficace elaborazione della paura. Per far in modo che i bambini possano gestire le paure è fondamentale che essi partecipino al processo di elaborazione con la loro fantasia e creatività, sviluppando in questo modo fiducia in loro stessi e nelle proprie forze.
  • 31. 31 6. La bugia: prodotto del pensiero magico In alcuni casi la bugia del bambino può essere ricondotta al pensiero magico e dunque essere un prodotto della fantasia. Anche quando il bambino è in grado di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è emergono tracce del pensiero magico infantile. Ne sono un esempio i bambini più grandi che mentono sapendo di mentire. J. Sutter descrive queste confusioni, e queste alterazioni della realtà sotto il nome di pseudomenzogne del bambino piccolo, aggiungendo che la coscienza morale del bambino si svilupperà più tardi. Giunge ad individuare varie forme di bugia alle quali sottendono diverse motivazioni che ci aiutano a comprendere cosa può spingere il bambino, già di una certa età, a fare più o meno largo ricorso al pensiero magico: • Menzogna generosa: serve per evitare di causare dolore; • Menzogna per timore e timidezza: legata alle tensioni emotive interpersonali; • Menzogna per scherzo: poco consistente e immediatamente smascherata; • Menzogna per liberarsi da un sentimento penoso: come può essere la vergogna o l’umiliazione; • Menzogna nevrotica: tipica dell’adolescenza e relativa ad una situazione conflittuale. È un atteggiamento che segue come tendenza più quella di ingannare se stessi, prima ancora degli altri. Tali comportamenti devono essere osservati con attenzione, in particolare quando le bugie o (i racconti surreali) diventano frequenti perché possono indurre il bambino a costruirsi un mondo “per finta”, fatto di illusioni, sogni, desideri che esulano completamente dalle realtà che sta vivendo e che lo allontanano da essa. Queste situazioni stanno a significare evidentemente che al bambino la sua realtà non piace o lo fa soffrire. Molto spesso a mano a mano che il bambino cresce queste bugie scompaiono, se invece persistono significa che il bambino continua ad utilizzarle come difesa estrema alla quale probabilmente non può rinunciare. Ne sono alcuni esempi: • La bugia per discolpa: quando il bambino sostiene “non sono stato io”. La bugia per discolpa in genere ha a che fare con il senso del sé, la fiducia in se stessi e l’autostima, che portano il bambino ad accettare anche parti negative di sé, la parte del “bambino cattivo”, riconoscendo un errore senza che sia vissuto come irreparabile e potendo dire liberamente “sono stato io”. Quando il bambino crescendo acquista maggior fiducia nelle sue capacità, questa scompare. Se invece continua a riproporsi frequentemente (anche dopo i sette anni) può significare che il bambino ha paura delle punizioni, del
  • 32. 32 giudizio dei genitori e della disapprovazione e utilizza la bugia come difesa. Ci sono bambini, ad esempio, che dicono bugie perché, educati come “bambini troppo perfetti”, non vogliono rischiare di deludere le aspettative dei genitori. • La bugia consolatoria: quando il bambino inventa racconti e storie per consolarsi, perché si sente infelice, poco amato oppure poco apprezzato.
  • 33. 33 7. Psicomotricità, gioco e pensiero magico “L’uomo è pienamente tale solo quando gioca” Schiller Il pensiero magico e la fantasia sono elementi essenziali dei quali è intriso il gioco e dunque anche la psicomotricità. A proposito di Psicomotricità Umberto Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia scrive “Il termine si riferisce all’attività motoria in quanto influenzata dai processi psichici e in quanto riflettente il tipo di personalità individuale. Oltrepassando il dualismo corpo-mente, la psicomotricità studia ed educa l’attività psichica attraverso il movimento del corpo”27 . La psicomotricità relazionale in particolare rappresenta un percorso di cambiamento e trasformazione che si agisce nel gruppo avvalendosi del linguaggio del corpo e del linguaggio primario dei simboli in un contesto di gioco spontaneo. L’obiettivo fondamentale della psicomotricità è la promozione del benessere del bambino attraverso il gioco, favorendo lo sviluppo armonico e la sua espressività, in particolare nella prospettiva dello sviluppo della socializzazione, della comunicazione, della creatività e del pensiero astratto e progettuale. È necessario sottolineare come il principale strumento del quale la psicomotricità si avvale sia il gioco, in particolare il gioco simbolico. Nel gioco simbolico “gli oggetti sono considerati non solo per ciò che sono, ma anche come simboli di altri oggetti non presenti, il che consente l’evocazione di situazioni passate e l’immaginazione di eventi in cui si esprimono i desideri del bambino”28 . La psicomotricità fa riferimento ai simboli archetipici ancestrali che il bambino esprime attraverso il gioco simbolico, attingendo al proprio mondo fantastico e al proprio immaginario. L’immaginario, infatti, è costituito da simboli, da elementi dell’inconscio, da vissuti corporeo-emozionali e processi fantasmatici ed è determinato essenzialmente dagli stessi processi dell’inconscio e dai vissuti delle esperienze primarie e assume perciò a tale livello, carattere soggettivo. Le proiezioni fantasmatiche e i simboli dell’immaginario sono l’oggetto stesso della psicomotricità. Il gioco è comunicazione profonda dell’immaginario e tramite questo delle emozioni. Lo psicomotricista nell’intervento psicomotorio si fa carico del vissuto e delle situazioni problematiche della persona. Egli, infatti, conosce il linguaggio simbolico, sa comprendere il mondo del bambino e può così instaurare con lui un dialogo. 27 Galimberti U., Dizionario di Psicologia, De Agostini, Novara, 2006 28 Ibidem
  • 34. 34 Attingendo all’immaginario comune, la psicomotricità si avvale di alcuni oggetti che si rifanno alle forme simboliche primarie, ossia a quelle forme che appartengono all’inconscio collettivo. Sono le palle grandi e piccole, le stoffe, le corde, i bastoni ed i cerchi. Il gioco ha l’importante compito educativo di accompagnare il bambino nel proprio percorso di crescita, di costruzione della propria identità e personalità, aiutandolo nella difficile gestione del conflitto tra desiderio e realtà, tra pulsione e frustrazione, tra onnipotenza e limite. “È nel giocare che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il Sé”29 . Nel gioco il bambino mette in luce le proprie strategie relazionali, gli atteggiamenti comportamentali e le eventuali difficoltà. La comunicazione corporea che si esprime durante il gioco è carica di valenze emozionali ed è espressione dell’immaginario conscio ed inconscio della persona. Il gesto, lo sguardo, il tono muscolare raccontano sentimenti, paure, desideri e conflitti. Nella psicomotricità l’espressione del movimento libero e spontaneo, del gioco e delle dinamiche relazionali di gruppo trovano un adeguato e favorevole spazio. La fantasia si riflette nell’interrelazione con il mondo e diviene matrice del gioco. Il gioco è lo strumento che unisce i bambini tra loro. Nell’incontro con l’altro il gioco diventa comunicazione simbolica. Sono i rapporti con gli altri che fanno sì che ci sia una riduzione dell’egocentrismo. A mano a mano che il bambino supera la fase del mondo magico- animistico rivolge la sua attenzione verso l’esterno, verso gli altri. Smette di giocare da solo per unirsi al gruppo di coetanei. Nel gioco e nella relazione con gli altri il bambino percepisce la contraddizione esistente tra il proprio punto di vista e quello degli altri. Si accorge che esistono punti di vista diversi e questa percezione lo spinge a riesaminare il proprio e a controllarne la validità. Piaget mette in relazione lo sviluppo del gioco con quello mentale, affermando che il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino. Ritiene il gioco la più spontanea abitudine del pensiero infantile. La psicomotricità riconosce l’estremo potere del pensiero magico e se ne serve pienamente, abbandona il mondo dei significati unilaterali ed entra in un mondo nel quale ogni cosa può essere se stessa e anche il suo opposto, dove non regna la logica razionale, ma aspetti più intimi e profondi legati al vissuto emotivo di ciascun individuo. La psicomotricità è quell’universo magico, un mondo interiore fatto di magia e possibilità. Un mondo che 29 Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.102-103
  • 35. 35 risponde all’illogicità del pensiero magico, dove tutto è possibile, dove tutto può essere trasformato per rispondere alle esigenze dei desideri, delle paure, delle angosce, dei bisogni e dei pensieri. L’immaginazione creativa, il gioco, la norma, l’importanza che il bambino si senta creatore e ideatore, si ritrovano in ogni situazione vissuta all’interno della seduta psicomotoria, dove è egli stesso che propone, costruisce, discute, inventa norme, regole e proposte. Il gioco è condizione di crescita, luogo privilegiato dell’espressione della globalità, è nel giocare che il bambino si dice più pienamente attraverso il movimento: vive la tonicità, attualizza l’immaginario, vive e rivive le realtà quotidiane, si apre al racconto, alla narrazione, inventa, progetta, costruisce. Il gioco è la massima espressione del pensiero magico. In questo spazio il bambino esprime tutta la propria magia e crea mondi attraverso le proprie narrazioni. Non è dunque possibile scindere il gioco dalla creatività, dalla fantasia e dal pensiero magico-immaginativo. Nel gioco viene istituito uno spazio simbolico, nel quale prevale la dimensione immaginativa, creativa e fantastica che permette la manipolazione e l’elaborazione della realtà. Attraverso il gioco è possibile ridefinire i ruoli, i tempi e gli spazi. L’immaginazione e la fantasia costruiscono le basi dell’immaginario personale, che si organizza nella struttura della personalità e nella rappresentazione del mondo e che unendosi all’immaginario culturale comune, contribuisce a determinare l’interpretazione della realtà e la sua rielaborazione. Il gioco, così inteso, diventa dunque, tanto attività di mediazione, quanto attività di creazione, spazio di transizione che permette di sperimentare, sperimentarsi, scoprire, scoprirsi ed esprimersi in una dimensione protetta dalla finzione del gioco, permettendo di entrare in maniera graduale in contatto con la realtà. Nel gioco il bambino sperimenta, confonde mondo reale e mondo magico-fantastico e in questo modo impara a differenziarli prendendo consapevolezza del proprio mondo interiore e di quello esteriore ed incominciando ad accettare entrambe le realtà. Tale commistione tra dimensione reale e fantastica rende il gioco uno spazio privilegiato di espressione e di comunicazione. Avviene quel contatto tra mondo interno e mondo esterno. Il gioco è il ponte che mette in contatto il mondo magico del bambino e la realtà esterna; solo attraverso questo passaggio è possibile giungere alla comprensione e all’accettazione del reale. Il pensiero magico diventa unicità, originalità, creatività, nuova energia, forza a cui attingere nella risoluzione dei problemi e delle situazioni che la vita ci pone quotidianamente di fronte. Sperimentando il bambino scopre la possibilità del cambiamento, scopre nuove
  • 36. 36 risorse e strumenti per affrontare efficacemente le difficoltà. La psicomotricità agisce in un’ottica di evoluzione, perché spinge il bambino a ricercare soluzioni evolutive. L’innovazione nasce dal pensiero magico, dal sogno, dal desiderio. È questo ciò che muove il mondo. Il gioco insegna ad essere perseveranti e ad avere fiducia nelle proprie capacità. Sperimentando si amplia lo spettro delle possibilità. La psicomotricità mira a far emergere le risorse autentiche di ciascuno, è uno spazio dov’è possibile riconoscere i propri bisogni, i propri desideri, solo in questo modo è possibile tentare di perseguirli in maniera consapevole e soprattutto su di un piano reale e non illusorio. Winnicott sostiene l’importanza del gioco come spazio creativo “mentre gioca, e forse soltanto mentre gioca, il bambino o l’adulto è libero di essere creativo. (…) La parte importante di questo concetto è che mentre la realtà psichica interna ha una sorta di ubicazione nella mente, nella pancia o nella testa o in qualche luogo entro i confini della personalità individuale, e mentre ciò che è chiamato realtà esterna è ubicato fuori da questi confini, il giocare e l’esperienza culturale possono essere localizzati se si usa il concetto dello spazio potenziale tra la madre e il bambino.”30 Il gioco è una realtà fuori dall’individuo, ma non è completamente il mondo esterno. Attraverso il gioco “il bambino raccoglie oggetti e fenomeni dal mondo esterno e li usa al servizio di qualche elemento che deriva dalla realtà interna o personale. Senza allucinare, il bambino mette fuori un elemento del potenziale onirico, e vive con questo elemento in un selezionato contesto di frammenti della realtà esterna.”31 Il gioco offre dunque strumenti e diventa modalità per acquisire nuove capacità, nuovi apprendimenti, maggior creatività ed efficienza nella risoluzione dei problemi e delle situazioni della vita reale. Permette di andare alla scoperta di ciò che ancora non si conosce, di esplorare il mondo, stimolando così curiosità, intraprendenza e immaginazione. Il gioco è anche mezzo per incontrare ed esprimere se stessi. È un modo per coltivare il proprio pensiero magico, la propria creatività, la propria immaginazione, rendendola fertile. Allo stesso tempo aiuta a distinguere il piano reale dal piano delle rappresentazioni fantastiche dell’immaginario. Giocando si mantiene in vita il proprio bambino interiore, la propria magia, il proprio pensiero magico con la consapevolezza dell’esistenza di questi due mondi separati, ma interagenti. Nel gioco è possibile comprendere più a fondo i propri meccanismi di difesa, rendendo chiara la consapevolezza che spesso il pensiero magico e la creazione di un mondo magico sono 30 Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.101 31 Ibidem, p.99
  • 37. 37 funzionali a mantenere un determinato controllo della realtà da parte della persona, sono un mezzo di adattamento per compensare situazioni reali frustranti che difficilmente si riesce ad accettare. Solo comprendendo la fantasia e il pensiero magico è possibile comprendere il comportamento e la creatività del bambino. Spesso crea difficoltà pensare che il bambino fugga dalla realtà e la confonda con la fantasia, di fatto però accade il contrario. Le figure immaginarie sono estremamente importanti per lo sviluppo emotivo del bambino. La capacità d’immaginazione e la creatività del bambino forniscono una distanza protettiva che consente di sviluppare la fiducia nelle proprie capacità. Questo modo di usare la fantasia per cogliere, costruire e difendere, da parte del bambino, la propria vita interiore, oltre a rappresentare una vera e propria esigenza psicologica, e ad essere un mezzo efficace per dare vita e sviluppo agli stati emozionali dell’animo, costituisce sempre uno degli elementi fondamentali ed indispensabili della psiche umana. Attraverso il gioco e il suo potere magico i bambini vanno alla conquista del mondo, fanno esperienze, affrontano pericoli e li superano. È dunque importante valorizzare il pensiero magico e quel mondo magico al quale il bambino dà vita, senza però sostituirlo al mondo reale. Il rischio, infatti, è quello di creare un mondo sospeso o parallelo dove tutto è condotto unicamente dai propri desideri. Non bisogna dunque dimenticare che il bambino è magico, costituito di quella magia che va valorizzata, affinata e che si trasformerà poi in quella sensibilità, empatia e capacità di ascolto che consentirà di comprendere il mondo e l’altro, di calarsi nella realtà con lo stupore del bambino, ma con la consapevolezza dell’adulto, riuscendo a cogliere la poeticità e l’unicità della vita.
  • 38. 38
  • 40. 40
  • 41. 41 1. La storia di Marco32 Marco ha iniziato il suo percorso di psicomotricità a 7 anni. I genitori hanno deciso di avvicinarlo alla psicomotricità su consiglio della logopedista. Sia i genitori a casa che gli insegnanti a scuola si erano accorti che pur essendo un bambino vivace, spesso sembrava isolarsi in un mondo tutto suo. Durante il primo colloquio con la psicomotricista, la madre aveva raccontato della sua gravidanza, esplicitando che Marco era stato voluto e ben accolto. La gravidanza si era svolta nella norma; durante il parto, invece, era stato necessario stimolare le doglie, troppo distanziate, con una somministrazione di ossitocina. Dopo la stimolazione, l’uscita era stata repentina, la madre aveva comunque avuto l’impressione che il bambino non volesse uscire. Raccontava, inoltre, che per il primo mese e più, Marco, aveva tenuto, anche in braccio, la posizione fetale e questo aveva suscitato nei genitori una certa preoccupazione. L’allattamento e lo svezzamento si erano poi susseguiti nella norma, come anche la deambulazione, il sonno e il controllo sfinterico. Per quanto riguardava i giochi, i genitori non ricordavano molto, solo travestimenti, bambole ed un orsetto. Marco non era mai stato attratto dai giochi di movimento e da quei giochi che il padre definiva “maschili”. A differenza dei fratelli più grandi, Marco preferiva giocare con le bambole; era lui stesso a richiederle anche se a casa non c’erano. Spesso andava dai nonni per giocare con le cuginette. I genitori avevano comunque deciso di assecondarlo in questa sua scelta comprandogliele. In un primo momento anche i fratelli venivano coinvolti in questi giochi, senza deriderlo. La mamma ricordava che già alla scuola materna Marco giocava con le femmine o con bambini più piccoli. Alla scuola elementare, invece, era stato costretto a confrontarsi con i maschi della sua età. A scuola, le maestre avevano rilevato in Marco la pulsione a baciare sulla bocca i compagni, i genitori avevano però fatto notare che tale caratteristica aveva sempre accompagnato il figlio. Avevano inoltre specificato che quando Marco prendeva in mano un oggetto come prima cosa lo metteva in bocca, ipotizzavano quindi che tale modalità fosse soltanto una manifestazione di oralità e sostenevano che la stessa logopedista aveva notato nel figlio una certa immaturità. Dal racconto appariva inoltre una figura paterna abbastanza distaccata, raramente affermava di giocare con figlio, soprattutto a livello “corporeo”. 32 Nel ripetto della legge per la tutela della privacy, in quest’esposizione, utilizzerò nomi di fantasia, nello specifico chiamerò questo bambino Marco.
  • 42. 42 Per quanto riguardava il rapporto con i fratelli, pareva che alla nascita di Marco il maggiore fosse stato piuttosto geloso, ma che presto vedendo la reazione pacifica dell’altro fratello si fosse tranquillizzato. Nonostante questo il maggiore appariva piuttosto aggressivo con Marco. Il contenzioso nasceva spesso tra Marco e il fratello maggiore, che aveva iniziato a prenderlo in giro sostenendo che fosse gay. L’altro fratello, invece, si faceva coinvolgere maggiormente nei giochi di Marco.
  • 43. 43 1.1 Le sedute psicomotorie Il primo anno in sala Durante il primo anno Marco fu inserito in un gruppo condotto da una donna, all’interno del quale emerse fin dalla prima seduta il suo lato femminile. Nei giochi Marco si travestiva da principessa dichiarando amore ai compagni. Alcune volte trovava dei complici o comunque una certa comprensione, altre volte veniva deriso. Nei suoi disegni apparivano costantemente principesse (che rappresentavano la mamma oppure lui stesso) in grado di risolvere tutti i problemi e le difficoltà. Raccontava: “La principessa è mia mamma, le nonne sono due regine, il papà è un principe, il re è lo zio che è morto, io sono il mago come Merlino, di quelli normali. Il mago è figlio della principessa. I miei fratelli sono i servi che salvano il mondo. Io, il mago, quando c’è qualcosa che non va la risolvo.” (disegno n.1). Significativo, il re-zio morto e la capacità del mago di risolvere tutto. Disegno n.1
  • 44. 44 Nei successivi disegni era lui a diventare principessa, forse questo passaggio poteva rappresentare un’identificazione con la madre o comunque questa spiccata femminilità che sentiva il bisogno di esprimere, ma che non sempre era legittimata. Nei disegni apparivano cieli stellati. In un disegno raccontava: “un cattivo che odia il cielo stellato e allora brontola al cielo”. Un mondo stellato, che a qualcuno non piace. È il suo mondo stellato che qualcuno contesta, non approva. In un certo senso un mondo fantastico, ingenuo di illusione, sospeso che brilla. In un altro disegno, in mezzo, tra cielo e terra, disegnava stelle e cuori in questa dimensione sospesa, “rappresentano pace e amore” diceva. In quel caso è stato significativo confrontare il disegno con i giochi avvenuti durante la seduta, nella quale aveva picchiato ed era stato picchiato a dismisura nella lotta per il castello. Alla fine, a differenza degli altri del gruppo tutti arrabbiati e pieni di lividi, lui appariva tranquillo, sorridente, rilassato e sereno come un cielo stellato. Disegnando i cuoricini diceva “adesso abbiamo fatto la pace”. Una sorta di ingenuità, l’illusione di questo mondo fantastico, dove tutto si risolve anche se non è ancora risolto. Un mondo sospeso tra cielo e terra dove questo è possibile. Nel mondo reale però era costretto a scontrarsi con la realtà ed a reagire di conseguenza. Ognuno reagisce a modo proprio: Marco costruendo un castello dove rinchiudere e far vivere la propria realtà per proteggerla (disegno n.2). Disegno n.2
  • 45. 45 Il racconto di Marco era questo: “Un castello che tutti chiamano castello stregato pieno di fantasmi e di mostri e dentro ci sono tutti i vermi, i mostri e i fantasmi che ballano e giocano e tutti sono buoni amici.” Il doppio risvolto della questione, i due punti di vista: fuori un castello stregato che incuteva paura, dentro invece non era così spaventoso, qualcuno si divertiva, dentro si poteva anche essere amici, anche tra mostri, vermi o fantasmi. Dentro c’era una realtà altra. Seguiva un disegno che trasmetteva una certa angoscia (disegno n.3). Era un castello ricoperto di sbarre, grate, sembrava un’enorme ragnatela. Era descritta da Marco come un “castello con tutte le sue protezioni”. Veniva da chiedersi di quante protezioni necessitasse questo bambino e questo suo mondo per essere garantiti. Quanto questo suo mondo fosse protetto e irraggiungibile. Quanto questo mondo lo proteggesse. Era quello il luogo protetto dove Marco si rifugiava. Un luogo dentro, che lasciava fuori la realtà esterna. Disegno n.3
  • 46. 46 Sempre a proposito di protezioni (disegno n.4) c’era una casa così descritta: “che di notte tira fuori delle punte avvelenate per difendersi dai cattivi, dai ladri e dai mostri. È la casa della bambina che è un genio”. Era la casa rifugio, la casa protezione, la barriera che aveva creato intorno a se e che lo isolava dal mondo. Mentre raccontava il disegno diceva: “io vorrei essere una bambina” e ne parlava tranquillamente, sicuro, sostenendo il suo punto di vista con gli altri che invece erano molto sicuri di voler essere maschi. Tutto sommato in quel momento il confronto appariva piuttosto sereno e maturo da parte di tutti. Disegno n.4
  • 47. 47 Ma c’erano momenti nei quali il confronto era brutale e lo scontro con la realtà si rivelava tragico: (disegno n.5). È il caso di una seduta durante la quale vestito di veli e pizzi faceva la principessa, ma rimaneva immobilizzato, seduto nel castello e diventava il bersaglio di tutti, che si scatenavano sadicamente con l’intenzione di spogliarlo e togliergli i pantaloni. Fu necessario l’intervento della psicomotricista perché la situazione stava degenerando e Marco si stava per mettere a piangere. Alla fine della seduta disse: “i maschi sono violenti”. Durante tutto l’anno continuarono a comparire: principesse, stelle, castelli e cieli. Disegno n.5
  • 48. 48 Il bambino sulle nuvole Ho inizito ad osservare Marco all’inizio del secondo anno del suo percorso di psicomotricità. Era stato inserito in un gruppo a conduzione maschile, con l’intento di farlo confrontare con il maschile e trovare un modello. Già a prima vista si poteva notare come i giochi e il mondo da lui creati per quanto fantastici e magici fossero in realtà piuttosto ripetitivi, stereotipati e lo escludessero quasi completamente dalla vita del gruppo. Nonostante i compagni facessero altri giochi, Marco continuava a mettere in scena la stessa parte, lo stesso ruolo, centrasse o meno con il gioco dei coetanei. Entrava in relazione con loro, ma non nel loro gioco, rimaneva comunque nella sua dimensione, senza scendere, era staccato da terra, in un mondo sospeso. Questo mondo sospeso lasciava uno spazio ridotto di movimento, era un luogo stretto che non permetteva di far crescere Marco in tutta la sua creatività e originalità. Le possibilità che questo bambino riusciva a darsi nel mondo reale erano poche o nulle ed erano possibilità che non davano adito a cambiamento o evoluzione. Marco aveva creato questo mondo fantastico per uscire da una realtà che, in maniera più o meno esplicita, non lo accettava. Rifugiarsi in questo luogo era stata una risposta adattiva, una reazione difensiva. Era stata l’unica possibilità che aveva individuato per far sopravvivere se stesso nella sua interezza. A suo modo, Marco era un bambino magico, ma era intrappolato da questa sua magia. Nei giochi con lui ci si accorgeva presto della sua inconsistenza sia fisica sia come presenza- partecipazione. Era presente, ma nel suo mondo sospeso e inebriante. Marco amava giocare con le stoffe e travestirsi; aveva una straordinaria capacità di creare travestimenti femminili, tanto che nessuna femmina del gruppo riusciva ad eguagliarlo. Appariva molto più femminile delle altre presenze femminili della sua età in sala. Amava i mondi alti e sospesi: i castelli, le torri, le case sospese, i nidi, le corde sospese, ecc. Faceva giochi che lo portavano ad isolarsi. Giocava a lanciarsi dalla torre al materasso, ma più di tutto preferiva fare giochi in un certo senso ipnotici; come per esempio il “gioco di Tarzan o della ballerina o del funambolo del circo”. Roteava appeso ad una fune, lasciandosi inebriare, isolandosi, fin quasi a perdere coscienza, dava proprio la sensazione della vacuità, della leggerezza, di qualcosa che sta sollevato dal suolo, che non ha contatto con la terra, che non è soggetto alla forza di gravità. In questi gesti esprimeva un forte carica femminile, tanto che veniva da chiedersi dove si trovasse il maschile in questo bambino. Le sue erano movenze da ballerina, certo una ballerina un po’ maldestra, ma pur sempre una ballerina.
  • 49. 49 Con le femmine del gruppo riusciva a costruire dei rapporti piuttosto esclusivi e molto forti, soprattutto con alcune; si isolavano e si compensavano a vicenda. Giocava a costruire la sua casa, un castello per le fate, nel quale difendersi e nascondersi dai fantasmi che c’erano fuori. Forse una richiesta di nascondere i suoi lati femminili e segreti. Di trovare un posto dove poter fare questo. Iniziavano ad apparire nei disegni case, hotel, che avevano una valenza diversa da quella delle mura del castello, non era più una dimensione di difesa, ma comunicavano desiderio di ricerca di uno spazio nuovo e proprio dover riuscir ad esprimere liberamente se stesso.(disegno n.6) Disegno n.6 La relazione con lo psicomotricista maschio era del tutto inesistente: non lo vedeva, non lo cercava. Peculiare era il fatto che dopo due mesi di frequenza non ricordasse ancora il nome del conduttore. In alcuni momenti si estraniava così tanto che non riusciva a ricordare neppure il nome della madre e del padre. Cercava molto più frequentemente uno specchio, un’identificazione con me, comunque, dal suo mondo faceva fatica ad entrare in relazione con gli altri proprio perché la sua collocazione non era né in cielo né in terra, ma a metà strada. Doveva scendere. Attraverso il gioco il conduttore cercava di agganciarlo, di entrare in relazione con lui, portandolo ad una dimensione più consistente.
  • 50. 50 Con i compagni l’unica relazione che riusciva ad instaurare era di scontro, caratterizzata da passività e poca fantasia di gioco. Finiva costantemente con l’essere deriso, col perdere e subire gli altri, senza riuscire a reagire in maniera efficace. I poteri magici che vantava in quelle occasioni non sortivano nessun effetto, neppure all’interno del gioco fantastico degli altri. Finiva, come al solito, per rifugiarsi nel suo fantastico mondo nel quale tutto ciò non importava. Rifiutava il confronto con gli altri e diceva “Lontano da me, non me ne frega chi sei”. Fino a quel momento la figura maschile per lui era stata del tutto inesistente, anche nelle rappresentazioni grafiche. Lui stesso nella relazione con lo psicomotricista diventava inconsistente, senza forza. I tentativi di avvicinamento furono molteplici: il conduttore lo affiancava e lo sosteneva negli scontri con i compagni maschi, ma difficilmente Marco se ne accorgeva. Nel gioco lo psicomotricista aveva iniziato a riconoscere le sue qualità, dandogli fiducia e delegandogli compiti di protezione della reggia del re (Psicomotricista). Lo aveva nominato “fata di corte”, attraverso le sue magie avrebbe protetto il regno. Dopo vari giochi e tentativi, nei disegni apparve finalmente il sole che illuminava la casa (disegno n.22). Iniziava anche a comparire la figura dell’albero, un albero magico. Per la prima volta insieme all’albero appariva anche la figura del conduttore, che “va sull’albero a prendere le mele per mangiarle insieme a noi” (disegno n.7). Disegno n.7
  • 51. 51 La figura dello psicomotricista ricompariva sotto forma di fata (disegno n.8), diceva: “sei una fatina che lancia sfere di energia, anch’io ho delle sfere di energia”. La figura maschile comunque veniva negata e non riconosciuta, rivestita di magia. Era il fantasma della figura maschile. Rimaneva chiuso nel suo mondo, senza mettere i piedi per terra, erano gli altri a dover entrare nel suo ed in questo caso era stato il conduttore ad entrare. Disegno n.8 L’obiettivo dello psicomotricista, in questo primo momento, era quello di far scoprire il maschile a Marco e fargli mettere i piedi per terra. Evidentemente Marco era un bambino sulle nuvole. Citando Winnicott “…il grado di obiettività su cui noi contiamo allorché parliamo di realtà esterna rispetto ad un determinato individuo è variabile. In qualche misura oggettività è un termine relativo perché ciò che viene percepito obiettivamente è per definizione concepito in qualche misura soggettivamente. (…) per più individui la realtà esterna rimane in qualche misura un fenomeno soggettivo. Nel caso estremo l’individuo allucina o in certi momenti specifici, o forse in modo generalizzato. Vi è tutta una serie di espressioni riferite a questo
  • 52. 52 stato di cose dà i numeri, non ci sta con la mente, non ha i piedi per terra, è fuori dalla realtà.”33 Un'altra rappresentazione grafica significativa era quella in cui si notava proprio la linea di separazione tra i due mondi (disegno n.9). Sospesi rispetto alla terra, da un lato sta la “cacca di Marco” e il “culo della mamma”, dall’altro lato la “cacca del fratello”. Disegno n.9 33 Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p.120
  • 53. 53 Ritornavano nuovamente la principessa, i cuori e la magia che “trasforma tutti in belle principesse” (Disegno n.10). Era questa la magia usata da Marco, una magia che semplificava la complessità della vita, una magia che permetteva di superare le difficoltà con le quali non voleva o non riusciva a confrontarsi e scontrarsi. Tutto si risolveva con la bacchetta magica della fata e se non si risolveva, la fata si chiudeva nel suo castello per non sentire il mondo fuori. Disegno n.10 Disegnava la fata e il suo castello e il racconto diventava: “la fata ha vinto la battaglia di magia e va a giocare da sola” era emblematico, la fata vinceva, ma rimaneva sola, le vittorie magiche mettevano Marco al di fuori del gruppo perché nessuno comprendeva il suo gioco. Comunque lui attraverso la magia vinceva. Era fuori dal gioco perché si aspettava che fossero gli altri a salire nel suo mondo e non lui ad entrare in quello degli altri. Gli altri dovevano adattarsi alle sue magie, ma spesso questo era impossibile. Le sue proposte non erano coerenti con quello che stava facendo il gruppo. Non importava quello che succedeva, il gioco per lui proseguiva sempre nello stesso modo.
  • 54. 54 Non sempre le magie sono valide, non in tutti i giochi. Tutti i bambini sono magici, tutti i bambini usano la magia, nel gioco c’è sempre magia, ma ciò non significa che i bambini accettino qualsiasi tipo di magia, c’è modo e modo, tempo e tempo, spazio e spazio per usarla. Anche nel gioco vigono delle regole per l’utilizzo della magia. Marco non conosceva queste regole, ma forse non conosceva neppure un altro mezzo oltre a quello magico per affrontare la realtà. Il mondo fuori appariva così spaventoso che probabilmente si sentiva così disarmato da poter far ricorso unicamente alla magia, tanto parevano irrisolvibili i problemi e imponenti e terrificanti “i mostri che vanno a spaventare le fate e le costringono a cercare protezione nel castello”. Chi erano questi mostri? Quasi mai dava un volto a questi mostri che rimanevano fuori dal disegno tanto erano nascosti e immersi nella nebbia. Il mondo di Marco era un mondo chiuso a chiave, pieno di segreti (disegno n.11), “che non posso scrivere e non posso dire”. Disegno n.11
  • 55. 55 Compariva una barca (disegno n.12), probabilmente mezzo di trasporto tra i due mondi, c’era il mare di mezzo. Il racconto del gioco era più o meno questo: “la barca va sull’isola dei fantasmi. Noi siamo tutti sull’isola dei fantasmi aspettiamo la barca per poi andare sull’isola degli uomini per ucciderli perché anche loro vengono ad ucciderci”. C’era qualcuno che voleva ucciderlo, uccidere una sua parte, nell’altro mondo, nel mondo degli uomini c’era il pericolo, il nemico. Lui era sull’isola dei fantasmi, quella delle cose sommerse, da nascondere. Disegno n.12
  • 56. 56 Tra cielo e terra: verso una risoluzione Ad un certo punto però si notava un passaggio: c’era ancora quell’illusione che tendeva a colorare di rosa i cuori, a far splendere l’arcobaleno, a far trionfare sempre in ogni caso amore e purezza in un mondo idilliaco e fantastico (disegno n.13), ma si stava forse insinuando un dubbio. Disegno n.13 Nel disegno successivo (n.14) comparivano solo terra e cielo, nulla in mezzo. Descriveva il tutto in questo modo: “sono cielo ed erba speciali, è una magia in realtà è merda”. Cos’era questa magia? Cosa era la magia? Cosa c’era di speciale? Funzionava davvero questa magia? Qualcosa toccava terra.
  • 57. 57 Disegno n.14 Seguiva un disegno con cielo, terra, sole e un albero abbastanza piantato al suolo dal quale cadevano delle mele (disegno n.15). Marco si stava avvicinando con i piedi alla terra, stava tentando di scendere dalla nuvola. Disegno n.15
  • 58. 58 C’era qualcosa di nuovo, forse si stavano illuminando nuove possibilità: “la fatina stava facendo una magia alle stelle. Sono io. La magia serve per illuminare le stelle spente e farle nuove” (disegno n.16), tra le stelle stavolta c’era anche il conduttore. Disegno n.16 Era la fine del secondo anno di psicomotricità ed era proprio possibile notare che l’evanescenza di Marco stava scomparendo, era più presente e i suoi piedi si avvicinavano a terra. L’obiettivo adesso era quello di far trovare a Marco il proprio posto sulla terra, nella realtà. Un po’ alla volta Marco stava prendendo consapevolezza ed era proprio a questo punto che aumentavano i conflitti tra il dentro e il fuori, tra il suo mondo, quello del conduttore e del gruppo. Per lungo tempo il conduttore aveva difeso Marco, ora, invece, era arrivato il momento di contrapporsi, erano così iniziate le lotte tra i due. Per Marco erano essenzialmente lotte magiche, non c’era niente di fisico che comprendesse il contatto. Nel contatto Marco appariva ancora inconsistente. Faceva i movimenti richiesti dalla formulazione magica, che apparivano coreografici, ma privi di consistenza, non sortivano nessun effetto perché di fatto Marco non
  • 59. 59 faceva nulla, erano solo parole, che a poco a poco svanivano, non erano convincenti. Nel confronto e nel contatto le forze del bambino venivano meno. Nonostante ciò Marco riteneva che fossero i suoi poteri, i poteri della fata a comandare tutti (disegno n.20). Dal suo disegno si notava il conduttore nudo, senza difese e la fata (Marco) protetta e attorniata dalla magia e dalle formule magiche. Non era certo quello che accadeva nel gioco in sala, tanto che, come si poteva anche notare dal disegno, in un primo momento le identità date ai personaggi erano invertite. Disegno n.20 Qual’era dunque la realtà? Qual’era il mondo magico? Iniziava a confondersi anche Marco. Prima, invece, era certo che la realtà fosse solo quella del suo mondo magico. C’era un mondo dentro e un mondo fuori dal castello e inevitabilmente da un lato c’era Marco e dall’altro il conduttore che ormai rappresentava il contatto con la realtà. A tratti chiudeva se stesso nel castello, in altri momenti chiudeva il conduttore (disegni n.17 e 19). Nei due disegni si poteva notare due diversi modi di rappresentare i castelli: nel primo caso, ossia quello in cui la sua realtà rimaneva chiusa dentro, il castello appariva nero e tenebroso; nel
  • 60. 60 secondo caso invece, il castello era chiaro, illuminato, colorato magico ed era naturalmente “il grande castello delle fate” o il “castello della maga del fuoco” (disegno n.21). Disegno n.17 Disegno n.19
  • 62. 62 Iniziava un gioco di ruoli che si invertivano, gioco di opposti, di tensione da un lato e dall’altro, come se una forza tirasse verso destra e una verso sinistra e questo non permettesse il movimento. Una mancanza di equilibrio, di stabilità, un piano della realtà non ancora stabile. Disegnava una macchina camper con due bambine all’interno, ferma al semaforo rosso, da un lato Marco che guidava e dall’altro il conduttore che faceva da mangiare alle bambine (Disegno n.18). Per un certo verso poteva corrispondere alla realtà familiare di Marco. Qualcosa prendeva ordine, c’era una casa (disegno n. 22): “la mia casa c’è l’acqua magica che fa realizzare i desideri (1) e i cosmetici (2). Il sole è mio fratello e gli sto parlando perché mi riscaldi la casa, il termostato è rotto. Il termostato è stato rotto dalla strega birichina che si è trasformata in terra (3)”. Veniva richiesto l’intervento del sole, perché qualcosa non funzionava. Chiedeva aiuto, chiedeva aiuto al sole, alla figura maschile. Aveva capito di cosa aveva bisogno: desiderava uno luogo per lui. Chiedeva al conduttore di aiutarlo a trovare questo posto. Con questo disegno Marco dimostrava già di aver iniziato a configurare tale spazio: uno spazio fisico, finalmente poggiato sulla terra dove avrebbe potuto collocare se stesso interamente. Disegno n.22
  • 63. 63 Una nave nella quale due persone “vanno in giro per le città, anche nella mia città. Sembra che vogliano la pace, ma sono falsi e cattivi, uccidono e distruggono. Io non vengo ucciso perché vado sull’Everest (mi manda mio papà) con le bombole per respirare.” Iniziava ad emergere la realtà esterna, quella familiare, (disegno n.23). Disegno n.23 Accadeva proprio questo: i genitori si stavano separando, ma in questo dimostravano un atteggiamento molto distaccato: la separazione sembrava lunga, senza slanci emotivi, pacata e pianificata. Non c’era né rabbia né delusione, ma solo dolore espresso verbalmente, senza nessun trasporto emotivo. I genitori erano così apparentemente pacifici, pacati ed emotivamente distaccati da diventare freddi e mostruosi. Una parte veniva tralasciata, nascosta. Allo stesso modo veniva chiesto a Marco, da parte di tutto l’ambiente, di nascondere o limitare il suo atteggiamento femminile e spontaneo. Di non eccedere nei suoi slanci emotivi, nella sua eccentricità e di essere pacato come si dimostravano i genitori. Il grosso rischio era quello di soffocare una parte del bambino o relegarla in un'altra dimensione, facendo comparire per contro degli atteggiamenti di “copertura” che non gli appartenevano.
  • 64. 64 Probabilmente, indirettamente e inconsciamente, non veniva lasciato spazio a Marco per esprimersi emotivamente, veniva mandato dal padre lontano, sull’Everest. Marco, invece, aveva bisogno di uno spazio concreto, non fantastico e sospeso nell’aria, per depositare ed esprimere tutti i suoi segreti. Poteva essere stato questo atteggiamento della famiglia a spingere il bambino a rifugiarsi così in alto. Marco non aveva trovato uno spazio nel quale esprimersi e sentirsi riconosciuto. L’ambiente circostante l’aveva spinto a trovare una macchina-casa tra le nuvole che resistesse alle tempeste che i genitori creavano dimostrandosi freddi e distaccati di fronte ad un evento traumatico come lo è una separazione, in particolare per un bambino. (disegno n. 24). Il suo essere fata era stato un modo magico attraverso il quale fuggire dall’ambiente familiare nel quale trovava poco confronto, dialogo e discussione. Disegno n.24
  • 65. 65 Marco però aveva finalmente trovato un posto, lo aveva individuato ed aveva individuato anche chi poteva aiutarlo a scendere dalle nuvole. “C’è una nave che sta andando in cielo, sull’Everest, vengono a salvarmi nella nave ci siete tutti voi dell’Accamamam e la guida sei tu” (disegno n.25). Disegno n.25 Marco aveva fatto enormi passi in avanti. Questo in un certo senso gli permetteva anche di ripercorrere strade gia fatte. Di andare avanti, tornare indietro ed andare avanti di nuovo, di fare il riassunto della sua storia, prendendo coscienza dei cambiamenti. “C’è un albero che semina la pace. Voi due (io e il conduttore, che in questo caso rappresentiamo i genitori) siete in guerra, vi date i pugni in faccia e sberle. Io difendo tutti e due ma non ce la faccio.” (disegno n.26) Alla domanda dello psicomotricista “Chi difende te?” Marco rispondeva: “Domani faccio il disegno della principessa che ha poteri e magie”. Dimostrava i progressi, ma anche una posizione non ancora consolidata, chiedeva a suo modo ancora aiuto esprimendo quel: “difendo tutti e due ma non ce la faccio”, come a dire provo, ma ho bisogno di aiuto.
  • 66. 66 Disegno n.26 Ecco l’immagine chiara di lui, stella piccola che gioca nel cielo con la sua baby-sitter (Disegno n.27). Due sole stelle, chiare, forse un’immagine più consapevole e reale della sua situazione. Disegno n.27