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ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder)
Sindrome da deficit di attenzione e iperattività.
(dispensa)
Studio Akoè servizi di
Terapia Neuro-Psicomotoria dell'Età Evolutiva
Consulenza, Diagnosi e Psicoterapia Infantile
INDICE:
1. Definizione
2. Criteri diagnostici secondo il DSM IV
3. Comorbilità
4. Interventi terapeutici
4.1 Fase valutativa
4.2 Gli approcci psicomotori
4.3 Terapia neuropsicomotoria
5. Prognosi
1. DEFINIZIONE
Secondo i criteri del DSM-IV , il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo
per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) e’ caratterizzato da due gruppi di sintomi o
dimensioni psicopatologiche definibili come inattenzione e impulsività/iperattività.
L’inattenzione (o facile distraibilità) si manifesta soprattutto come scarsa cura per i dettagli ed
incapacità a portare a termine le azioni intraprese: i bambini appaiono costantemente distratti
come se avessero sempre altro in mente, evitano di svolgere attività che richiedano attenzione per i
particolari o abilità organizzative, perdono frequentemente oggetti significativi o dimenticano
attività importanti. L’impulsività si manifesta come difficoltà, ad organizzare azioni complesse,
con tendenza al cambiamento rapido da un’attività ad un’altra e difficoltà ad aspettare il proprio
turno in situazioni di gioco e/o di gruppo. Tale impulsività è generalmente associata ad iperattività:
questi bambini vengono riferiti "come mossi da un motorino", hanno difficoltà a rispettare le
regole, i tempi e gli spazi dei coetanei, a scuola trovano spesso difficile anche rimanere seduti. Tutti
questi sintomi non sono causati da deficit cognitivo (ritardo mentale) ma da difficoltà oggettive
nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione.
Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, uno o più dei comportamenti sopra
descritti. Qualsiasi bambino (e la gran parte degli adulti) tende a distrarsi ed a commettere errori
durante attività prolungate e ripetitive. La ricerca delle novità e la capacità di esplorare
rapidamente l’ambiente devono essere considerati comportamenti positivi dal punto di vista
evolutivo e come tale stimolati e favoriti. Quando tali modalità di comportamento sono persistenti
in tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco) e nella gran parte delle situazioni (lezione,
compiti a casa, gioco con i genitori e con i coetanei, a tavola, davanti al televisore, etc.) e
costituiscono la caratteristica costante del bambino, esse possono compromettere le capacità di
pianificazione ed esecuzione di procedure complesse (le cosiddette funzioni esecutive).
Secondo i criteri del DSM-IV possono essere distinti tre tipi di ADHD: uno prevalentemente
inattentivo, uno prevalentemente iperattivo /impulsivo ed uno combinato (APA 1994). I bambini
con ADHD mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore adulto, un rapido raggiungimento di
un elevato livello di "stanchezza" e di “noia” che si evidenzia con frequenti spostamenti da
un'attività, non completata, ad un'altra, perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine
qualsiasi attività protratta nel tempo. Nella gran parte delle situazioni, questi bambini hanno
difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare una gratificazione: non riescono a riflettere
prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare per un premio lontano nel tempo anche se
consistente. Quando confrontati con i coetanei, questi bambini mostrano una eccessiva attività
motoria (come muovere continuamente le gambe anche da seduti, giocherellare o lanciare oggetti,
spostarsi da una posizione all'altra). L’iperattività compromette l’adeguata esecuzione dei compiti
richiesti. Questi bambini sono visti, nella gran parte dei contesti ambientali, come agitati,
irrequieti, incapaci di stare fermi, e sempre sul punto di partire. Un adulto può avere l’impressione
che il bambino abbia difficoltà a comprendere le istruzioni e faccia un uso improprio delle abilità di
memoria.
L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD
abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive.
Frequentemente questi bambini mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di
convivenza sociale, in particolare in quelle capacità che consistono nel cogliere quegli indici sociali
non verbali che modulano le relazioni interpersonali. Questo determina una significativa
interferenza nella qualità delle relazioni tra questi bambini ed il mondo che li circonda. Il
difficoltoso rapporto con gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da parte delle figure
di autorità, il senso di inadeguatezza a contrastare tutto ciò con le proprie capacità fanno sì che
questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le
loro difficoltà. Mentre la normale iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano
significative conseguenze funzionali, il vero ADHD determina conseguenze negative a breve e lungo
termine.
1.1 CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO IL DSM IV
Secondo il DSM-IV per fare diagnosi di ADHD occorre che siano osservabili almeno sei dei nove
sintomi di inattenzione (A1) o di iperattività/impulsività (A2), che i sintomi descritti esordiscano
prima dei sette anni d’età, che durino da più di sei mesi, che siano evidenti in almeno due diversi
contesti della vita del bambino (casa, scuola, ambienti di gioco) e, soprattutto, causino una
significativa compromissione del funzionamento globale del bambino (APA 1994).
Riassumendo:
A. Sintomi di Inattenzione (A1)
 Scarsa cura per i dettagli, errori di distrazione
 Labilità attentiva.
 Sembra non ascoltare quando si parla con lui/lei.
 Non segue le istruzioni, non porta a termine le attività.
 Ha difficoltà ad organizzarsi.
 Evita le attività che richiedano attenzione sostenuta (compiti etc.).
 Perde gli oggetti.
 E’ facilmente distraibile da stimoli esterni.
 Si dimentica facilmente cose abituali.

Sintomi di Iperattività / Impulsività (A2)
Iperattività:
 Irrequieto, non riesce a star fermo su una sedia.
 In classe si alza spesso anche quando dovrebbe star seduto.
 Corre o si arrampica quando non dovrebbe.
 Ha difficoltà a giocare tranquillamente.
 Sempre in movimento, come “attivato da un motorino”
 Parla eccessivamente.
Impulsività:
 Risponde prima che la domanda sia completata.
 Ha difficoltà ad aspettare il proprio turno.
 Interrompe o si intromette nelle attività di coetanei o adulti.
B. Esordio prima dei 7 anni di età
C. Disturbo presente in almeno due situazioni (scuola, casa, lavoro, gioco, etc.)
D. Compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico, occupazionale.
2. FATTORI EZIOLOGICI
 Fattori genetici (neuroatomici)
Numerosi studi hanno dimostrato che questi bambini presentano significative alterazioni
funzionali di specifiche regioni del Sistema Nervoso Centrale, rispetto a bambini
appartenenti a gruppi di controllo. In questo senso, l’ADHD non viene considerato come un
disturbo dell’attenzione in sé, ma come originato da un difetto evolutivo nei circuiti
cerebrali che stanno alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo, in particolare della
corteccia prefrontale e dei nuclei o gangli della base.
I fattori neuroatomici riguardano quindi le alterazioni volumetriche e funzionali a carico
della corteccia prefrontale e dei gangli della base (strutture implicate nelle funzioni
esecutive ed attentive che portano quindi ad un’alterazione nell’elaborazione delle risposte
agli stimoli ambientali).
In quelle stesse regioni vi è una maggiore espressione di trasportatori e recettori per la
dopamina che funzionano in maniera quantitativamente differente rispetto ai soggetti
normali.
 Fattori ambientali
I fattori non genetici che sono stati collegati all’ADHD includono la nascita prematura, l’uso
di alcool e tabacco da parte della madre, l’esposizione a elevate quantità di piombo nella
prima infanzia e le lesioni cerebrali (soprattutto quelle che coinvolgono la corteccia pre-
frontale conseguente a prematurità e sofferenza perinatale). L’ambiente non sembra avere
una importanza decisiva nella genesi del disturbo di concentrazione, come per altri disturbi
di condotta a base emotivo-educazionale, tuttavia l’esperienza esistenziale del bambino con
Disturbo di Concentrazione, caratterizzato da "insuccessi" e frustrazioni nel campo
relazionale, sociale e scolastico, potrà determinare disturbi comportamentali su base psico-
emotiva, che spesso accentuano e confondono gli stessi sintomi di iperattività e impulsività
con cui il disturbo si presenta.
In questo senso, il quadro clinico dell’ADHD si può considerare effetto della confluenza di
fattori neuro-biologici e psicosociali, mediato da un disturbo dello sviluppo cognitivo-
emotivo che assume un ruolo centrale.
3. COMORBILITA’
Esiste una chiara evidenza sul fatto che almeno il 70% dei soggetti con disturbo da deficit
dell'attenzione ed iperattività abbia un disturbo associato, sia in campioni clinici che
epidemiologici.
Un attento procedimento diagnostico appare quindi cruciale anche in soggetti con un chiaro
disturbo ADHD, poiché la definizione dei disturbi psico-comportamentali in comorbilità
condiziona non soltanto l'espressività del quadro clinico, ma anche la prognosi e le strategie di
trattamento.
Le diverse forme in comorbilità individuano dei sottogruppi più omogenei di pazienti che da un
punto di vista clinico hanno fenomenologia e gravità diverse, da un punto di vista prognostico sono
a diverso rischio di sviluppare più gravi psicopatologie e che probabilmente, da un punto di vista
terapeutico, rispondono in maniera parzialmente diversa ai trattamenti e quindi richiedono
specifiche strategie di intervento.
I disturbi del comportamento che possono associarsi all'ADHD sono il disturbo oppositivo-
provocatorio (DOP) ed il disturbo della condotta (DC).
Il primo è caratterizzato da comportamento di sfida, ostile e negativista, il secondo, più grave, da
aggressività, distruttività, furti, menzogna e sistematica violazione delle regole sociali.
Anche i disturbi depressivi e maniacali possono associarsi all'ADHD, oscillando tra condizioni
sottosoglia e acuti aggravamenti. Il fatto che in età evolutiva tali disturbi possono avere un
andamento cronico e non episodico, rende la diagnosi più complessa. Inoltre in età evolutiva una
percentuale tra 1/4 e 1/5 dei bambini depressi presenta un episodio maniacale, soprattutto in
presenza di familiarità bipolare o sintomi psicotici.
ADHD e disturbi dell'umore coesisterebbero in una percentuale variabile dal 15 al 75% dei casi a
seconda delle diverse casistiche. L'enorme scarto nelle stime epidemiologiche sottolinea la
discordanza tra i ricercatori nell'interpretare manifestazioni depressive come una demoralizzazione
implicita al disturbo oppure come un disturbo depressivo associato. La frequenza di depressione
nei bambini ADHD e nei loro parenti di primo grado è maggiore rispetto alla popolazione generale
sia in campioni clinici che epidemiologici; inoltre i figli di soggetti con disturbo depressivo hanno
una più elevata incidenza di ADHD. I soggetti con ADHD associato a disturbi depressivi (e/o
ansiosi) hanno una insorgenza più tardiva, una minore compromissione cognitiva e minori segni di
disfunzione neurologica minore; tali dati avrebbero fatto pensare ad un sottogruppo con distinta
eziologia.
La comorbilità tra ADHD e il disturbo bipolare solleva delicati problemi di diagnosi differenziale,
esistendo una parziale sovrapposizione tra il quadro clinico delle due manifestazioni. E' spesso
difficile differenziare un disturbo maniacale rispetto all'ADHD e/o DC e comprendere se si è in
presenza di comorbilità o di diagnosi differenziale; cioè se in realtà i bambini con mania non sono
altro se non ADHD con disregolazione affettiva o se al contrario i bambini con ADHD hanno in
realtà una ipomania cronica.
Distraibilità, impulsività, iperattività, labilità attentiva accomunano sia l'ADHD che la mania.
L'irritabilità e l'aggressività dei bambini con mania sono generalmente più gravi, con reazioni
esplosive e violente, difficili da riconoscere se, come spesso accade, non è presente una chiara
euforia. Esiste comunque una certa evidenza clinica che un disturbo bipolare sia più frequente nei
bambini ADHD (intorno al 10%) che nella popolazione generale. In altri termini i bambini ADHD
hanno un rischio maggior di sviluppare un disturbo bipolare e in questi casi il disturbo bipolare ha
un esordio particolarmente precoce (intorno ai 7-8 anni).
Circa il 25% dei bambini con ADHD presenta associati disturbi d'ansia. Tale frequenza è riferita
maggiore nei soggetti con ADHD senza iperattività, che rappresentano anche la popolazione che
pone nei confronti dei disturbi d'ansia i problemi più spinosi di diagnosi differenziale. Infatti,
sintomi cognitivi (difficoltà di concentrazione), comportamentali (irritabilità, agitazione
psicomotoria) ed affettivi (labilità emotiva, demoralizzazione, necessità di rassicurazioni) possono
essere presenti sia in soggetti ADHD che in soggetti con disturbi d'ansia.
I bambini con comorbilità ansiosa sembrano essere meno impulsivi, hanno minore frequenza di
DC, mentre sono più frequenti le difficoltà nella socializzazione, in particolare in adolescenza. In
altri termini sembra che l'associazione con disturbi d'ansia eserciti una azione protettiva nei
confronti di una possibile evoluzione dissociale. Questi dati, se confermati, indicherebbero che
anche questo tipo di comorbilità individua una popolazione di soggetti con specifica storia
naturale. Inoltre l'ADHD è più frequente in figli di genitori con disturbo d'ansia.
I disturbi d'ansia di più frequente riscontro sono il disturbo generalizzato d'ansia, le fobie semplici,
il disturbo d'ansia di separazione, ma anche la fobia sociale ed il disturbo di panico.
ADHD, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e malattia dei tic, in particolare la Sindrome di
Tourette (ST), sono frequentemente associati, probabilmente anche per una parziale
sovrapposizione dei substrati biologici, quali il circuito fronto-striato-talamo-corticale. Si ritiene
che sintomi ADHD siano presente nel 20-30% dei DOC e nel 40% della ST. Tali dati suggeriscono
che una possibile comorbilità con ADHD dovrebbe essere ricercata in ogni bambino con DOC e/o
tic.
Tipicamente l'ADHD precede l'esordio dei tic e del DOC, spesso peggiora con il progredire dei tic, e
contribuisce significativamente alla gravità del quadro clinico, in termini di disturbi
comportamentali (impulsività comportamentale), difficoltà scolastiche ed alterazione delle
prestazioni ai test di funzioni esecutive.
La natura della relazione tra ADHD, DOC e ST non è chiara, anche se queste sindromi condividono
un'incapacità nel controllo inibitorio. I disturbi dell'attenzione sono in parte riferibili all'effetto
distraente dei tic e delle ossessioni-compulsioni e al disperato tentativo da parte dei soggetti affetti
di controllare tali manifestazioni, ma anche ad una disfunzione dei substrati neurali attentivi che
sostengono anche i processi inibitori. Infatti le difficoltà attentive permangono nelle fasi di
remissione dei tic, e spesso ostacolano significativamente attività scolastiche e quotidiane.
Concludendo, la definizione delle comorbilità consente di individuare sottogruppi di ADHD più
omogenei, dotati di peculiarità sul piano della diagnosi, della espressività clinica, della prognosi e
del trattamento. Naturalmente un'accurata valutazione della comorbilità implica un adeguato
assetto diagnostico che non consentano all'ADHD di mascherare altre affezioni in associazione.
Tale procedura potrà consentire maggiormente la definizione dei più importanti fattori di rischio,
dei più significativi mediatori prognostici e soprattutto l'adozione di interventi farmacologici e non
farmacologici sempre più tempestivi e mirati per le diverse componenti del quadro clinico. Infatti
spesso delle guarigioni incomplete o delle apparenti resistenze al trattamento non sono altro che il
frutto di una comorbilità non adeguatamente considerata.
4. INTERVENTI TERAPEUTICI
L’intervento terapeutico con bambini con ADHD dipende da:
-presenza di comorbilità con i Disturbi di Sviluppo
-presenza di cadute nelle competenze attentive-funzioni esecutive
-in relazione allo stadio di sviluppo ed alla fascia d’età
E’ un intervento multimodale in cui interagiscono più figure professionali tra cui: neuropsichiatra,
neuropsicologo, psicologo, neuropsicomotricista, logopedista.
Analizzeremo qui di seguito in modo più dettagliato l’intervento neuropsicomotorio.
4.1. FASE VALUTATIVA
In circa 3 sedute viene seguita una valutazione neuropsicomotoria del bambino che indaga i
seguenti aspetti:
1. Sviluppo motorio: caratteristiche individuali e utilizzazione delle capacità motorie in
diversi contesti
2. Lateralità: uso preferenziale di una mano, coordinazione mano-piede, simmetrie
3. Prassie: capacità di organizzare una sequenza gestuale in modo da raggiungere un
risultato prestabilito
4. Coordinazione oculo-manuale: modalità in cui viene utilizzata la vista per lo
svolgimento di un’attività
5. Motricità fine: presa, controllo della motricità per attività “fini”
6. Grafia
7. Organizzazione spazio-temporale
4.2 GLI APPROCCI PSICOMOTORI
Vi sono modi di pensare la terapia psicomotoria che prescindono dall’età o dalla patologia del
bambino.
Tendendo presente tutte le sfumature con le quali un bambino può entrare in relazione con un
adulto in una situazione di coinvolgimento corporeo possiamo delineare due tipi di approccio tra
loro opposti, pur non escludendosi a vicenda.
Il primo, deriva dalla necessità di un’osservazione del comportamento spontaneo del bambino, che
servirà da guida per utilizzare successivamente i contenuti ludici che ne scaturiscono. Si cerca
quindi di inserirsi nel gioco del bambino e indurre gradatamente “aspetti nuovi” con delle
sollecitazioni più o meno dirette che lo spingano ad andare verso tappe ulteriori dello sviluppo.
Nell’altro approccio è il terapista che crea situazioni “esterne” al bambino, il quale si “accomoderà
(nel senso piagetiano del termine)” secondo le sue possibilità.
Le sfumature tra questi due approcci sono tanti quanti sono i bambini.
La seduta neuropsicomotoria è individuale e viene effettuata all’interno di una stanza psicomotoria
adeguatamente attrezzata.
Ogni incontro è programmato prima nella mente del terapista per poter poi presentare al bambino,
in un contesto ludico, la successione degli esercizi che corrisponderanno a contenuti tra loro
differenti per quanto riguarda il tipo di impegno richiesto dal bambino.
Ogni seduta è strutturata in:
a) fase di contatto: prima di chiedere un coinvolgimento più globale è necessario creare un
momento rassicurante di “ritrovo” tra bambino e terapista al fine di favorire una reciproca
disponibilità.
b) avviamento: lo scopo di questo periodo è quello di indurre al movimento globale. Vengono
intraprese attività che suscitano un piacere funzionale del movimento. Es. corsa, rotolo, muovere
nastri.
c) esercizi di base: periodo che consiste in una attività di riferimento dalla quale scaturirà la
graduale integrazione di nuove proposte senza che questi perda la propria struttura iniziale.
L’esercizio di base richiede un certo sforzo di adattamento rispetto al livello funzionale raggiunto.
Lo svolgimento dell’esercizio di base ha più o meno le stesse caratteristiche dell’avviamento tranne
la maggior difficoltà per il bambino. Es. camminare all’indietro.
d) momento tecnico:affronta un compito più specifico Es. trascrizione grafica di una struttura
spaziale.
e) congedo: generalmente la separazione dal terapista comporta quasi sempre reazioni conflittuali;
i sensi di colpa, di abbandono, di aggressività scaturiscono facilmente prima del termine della
seduta. Perciò si tratta di proporre situazioni distensive (es. rilassamento) allo scopo di lasciare al
bambino il tempo di elaborare il distacco dal terapista, bambino che però è già stato
precedentemente avvisato del congedo.
4.3 TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
L’intervento neuropsicomotorio inizialmente si focalizzerà su tutte le attività di movimento e in
particolare sarà mirato ad un contenimento di questo.
Si inizierà con lunghi momenti di spostamenti intervallati a brevi momenti di controllo. Si
diminuiranno gradatamente i momenti di spostamento e si aumenterà la durata del’immobilità.
Per limitare lo spazio, è necessario strutturare la stanza con oggetti grandi e stabili. La motricità si
strutturerà all’interno di questi reperi che il bambino riuscirà sempre più ad autogestire, dandosi
autonomamente gli ordini di avvio e di arresto.
Si inizia poi con esercizi di attenzione visiva nei momenti in cui il bambino è in uno stato di
ricettività. Si introduce un elemento alla volta: ad esempio, cercare di afferrare una pallina senza
alzarsi da terra, entrare dentro un cerchio sollevato da terra, passando sotto senza urtarlo.
Quando il soggetto deve adattare lo spostamento in funzione di un cambiamento di direzione o
velocità, la struttura motoria si disintegra. E’ quindi opportuno lasciare uno spazio vuoto, ma
strutturarlo con oggetti, in modo che favorisca l’adattamento motorio richiesto.
L’attività manuale fine in uno spazio limitato può essere favorevole al controllo del’’instabilità o, al
contrario, esasperare tanto il bambino al punto di opporvisi con comportamento distruttivo. Nel
primo caso, le attività di motricità fine saranno utilizzate allo scopo di favorire un contatto positivo
tra bambino e terapista, oppure saranno intervallate a momenti di grandi spostamenti, per favorire
la distensione e la calma. Nel secondo caso invece, vanno accuratamente evitate, per lo meno
all’inizio della terapia.
I dati percettivi visivi ed acustici possono scatenare delle risposte motorie più o meno coscienti e
volontarie. Viceversa, se l’instabilità è molto importante, il bambino non percepirà tali dati. Per
quanto riguarda le indicazioni terapeutiche, si inizierà nell’immobilità con esercizi di percezione
del silenzio contrapposto al rumore, o di percezione visiva di forme. Lo scopo è quello di ottenere
un minimo di attenzione per “ciò che è diverso da”. Successivamente si assocerà un compito
motorio allo stimolo visivo/uditivo.
L’equilibrio statico è un punto debole per questi bambini; questa insofferenza alla staticità si
traduce con la presenza di piccoli e continui movimenti localizzati al volto, agli arti, al tronco o in
reazioni esagerate di compenso degli arti e tronco. Proprio per le implicazioni psicologiche di cui
sopra, gli esercizi di equilibrio statico vanno usati con molta prudenza. Si possono proporre come
contrasto al movimento richiedendo un’immobilità di breve durata. Si richiederanno posture
d’equilibrio molto semplici con il fine di inibire l’attività cinetica. E’ ben associare uno stato di
rilassamento al controllo posturale poiché è solitamente nella tensione che il bambino controllo la
sua iperattività. Lo scopo è quello far scoprire al bambino il piacere dell’immobilità e
dell’abbandono nella distensione.
Gli esercizi di equilibrio dinamico, rispetto a quelli statici, creano molto più entusiasmo nel
bambino anche se eseguiti in maniera del tutto caotica. Quello che il bambino deve “imparare” in
terapia psicomotoria è frenare il flusso delle sue azioni. Solitamente fa il contrario: appena avverte
una difficoltà di equilibrio non ricerca aggiustamenti posturali, ma supera le difficoltà con
accelerazione degli spostamenti. Si comincerà quindi dalle coordinazioni a terra in modo da offrire
una base di appoggio corporeo, la più stabile possibile. Si procede aumentando sempre più la
complessità della coordinazione. Solamente verso la fine si potranno introdurre spostamenti su
oggetti sopraelevati, salti con ostacoli, ecc…
L’immagine di sé (schema corporeo) è molto imprecisa e dà l’impressione di mancare di confine.
Probabilmente il bambino si sente chiuso nei limiti del divieto che cerca di superare con la sua
iperattività, oppure è nell’attività che il suo corpo può trovarsi dei confini, dei limiti non repressivi
ma piacevoli. In modo o nell’altro ciò che colpisce è l’imprecisione, la dilatazione dei contorni della
sagoma corporea. Nell’intervento terapeutico, la presa di coscienza del corpo dovrà partire da una
parte alla volta. Il rilassamento statico globale potrebbe contribuire ad un rafforzamento della
percezione delle singole parti corporee. In seguito si proseguirà seguendo la metodologia di base,
specie per quanto riguarda il corpo vissuto (presa di coscienza delle posture) e il corpo percepito
(spazio gestuale- orientamento del corpo).
La percezione dello spazio è fondamentalmente intuitiva. Difficilmente il soggetto usa delle
strategie cognitive per verificare quello che valuta a vista d’occhio. Al di là di una mancata analisi
percettiva, il problema di questi bambini iperattivi è quello di poter scegliere e mantenere un punto
di vista che deriva da un orientamento corporeo che permette di poter cogliere rapporti stabili tra
le persone e le cose. Il problema consiste quindi in un continuo cambiamento del punto di vista. Si
cercherà di favorire una percezione di forme, dimensioni nell’immobilità. Successivamente si
cercherà un adattamento della motricità ad uno spazio precedentemente strutturato (es: esercizi di
orientamento spaziale) e si chiederà una rappresentazione grafica dei percorsi di modo che le
esperienze lascino una traccia concreta verificabile.
Come già visto negli aspetti precedenti, la rapidità dell’azione, la forte intensità, irregolarità e
soprattutto la tendenza all’accelerazione contraddistinguono l’espressività ritmica di questi
bambini.
Di conseguenza, la presa di coscienza del tempo e la sua misurazione, mantengono per molto
tempo, nello sviluppo psicomotorio, delle caratteristiche di valutazione soggettiva circa le durate e i
rapporti temporali in generale. Inoltre il bambino fatica ad analizzare l’aspetto temporale, il ritmo
delle sue azioni, poiché non può distanziarsene emotivamente: lui è l’azione. I suoni hanno in
generale un effetto molto eccitante e generano risposte motorie globali spesso incontrollate.
Riferendosi a quest’ultima caratteristica, si dovrà fare un’attenta scelta degli strumenti musicali e a
percussione che si useranno in seduta. Vanno evitati i suoni acuti, i rumori forti e secchi
(tamburelli). Si preferiscono usare la voce e il canto. Gradatamente, sfruttando le coordinazioni
percettivo-motorie, si cercherà di rallentare il ritmo d’azione ed infine di raggruppare delle
sequenze di differenti velocità. Se tutto procede bene rispetto all’andamento della terapia
psicomotoria, il ritmo diventerà sempre più il mezzo per ottenere da parte del bambino un
controllo cosciente sulla sua motricità.
5. PROGNOSI
Difficoltà relazionali
 Emarginazione da parte dei coetanei
 Scarse amicizie durature
 Tendenza all’isolamento
 Rapporti con bambini più piccoli o instabili
 Incapacità nel cogliere indici sociali non verbali
Difficoltà scolastiche:
 Rendimento inferiore alle potenzialità cognitive
 Disturbo attentivo
 Disturbo nella memoria sequenziale
 Stile cognitivo impulsivo
 Deficit di controllo delle risorse cognitive
 Effetto sul piano emotivo.-comportamentale
Bassa autostima:
 Demoralizzazione
 Scarsa fiducia in sé stessi
 Solitudine
 Sentimenti abbandonici
 Inadeguatezza per rimproveri, rifiuto sociale, insuccesso scolastico, sportivo, ecc.
 Rischio di un disturbo depressivo, ansioso, comportamentale
Disturbi del comportamento:
 Comportamento negativista e provocatorio
 Crisi di collera
 Comportamento arrabbiato e rancoroso
 Comportamento dispettoso o vendicativo
 Frequenti litigi con gli adulti
 Incapacità di rispettare le regole
 Accusare gli altri per i propri errori
 Sistematica violazione delle regole sociali
 Aggressioni a persone o animali
 Distruzioni di proprietà
 Frode o furto
ADHD in età prescolare:
 Massimo grado di iperattività
 Crisi di rabbia
 Litigiosità, provocarietà
 Assenza di paura, tendenza ad incidenti
 Comportamenti aggressivi
 Disturbi del sonno
ADHD in età scolare:
 Comparsa di disattenzione, impulsività
 Difficoltà scolastiche
 Possibilità riduzione della iperattività
 Elevata distraibilità
 Comportamento oppositivo-provocatorio
ADHD in adolescenza:
 Disturbo dell’attenzione: difficoltà scolastiche, di organizzazione della vita quotidiana
(pianificazione)
 Riduzione del comportamento iperattivo (sensazione soggettiva di instabilità)
 Instabilità scolastica, lavorativa, relazionale
 Condotte rischiose
 Bassa autostima, ansietà
Prognosi in adolescenza:
 35% superamento dei sintomi, prestazioni scolastiche talvolta inferiori ai controlli
 45% permanenza della sindrome, frequente attenuazione della componente iperattiva,
crescente compromissione emotiva (depressivo-ansiosa) e sociale
 20% permanenza della sindrome, disturbi comportamentali e di adattamento sociale
ADHD in età adulta:
 Sensazione soggettiva di tensione
 Instabilità scolastica, lavorativa e relazionale
 Impulsività
 Intolleranza di vita sedentaria
 Condotte pericolose (es. sport o abitudini)
 Difficoltà di organizzazione nel lavoro e nella vita quotidiana
 Disturbi depressivi e/o ansiosi
 Rischio di marginalità sociale
Dispensaadhd 2

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  • 1. ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) Sindrome da deficit di attenzione e iperattività. (dispensa) Studio Akoè servizi di Terapia Neuro-Psicomotoria dell'Età Evolutiva Consulenza, Diagnosi e Psicoterapia Infantile INDICE: 1. Definizione 2. Criteri diagnostici secondo il DSM IV 3. Comorbilità 4. Interventi terapeutici 4.1 Fase valutativa 4.2 Gli approcci psicomotori 4.3 Terapia neuropsicomotoria 5. Prognosi
  • 2. 1. DEFINIZIONE Secondo i criteri del DSM-IV , il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) e’ caratterizzato da due gruppi di sintomi o dimensioni psicopatologiche definibili come inattenzione e impulsività/iperattività. L’inattenzione (o facile distraibilità) si manifesta soprattutto come scarsa cura per i dettagli ed incapacità a portare a termine le azioni intraprese: i bambini appaiono costantemente distratti come se avessero sempre altro in mente, evitano di svolgere attività che richiedano attenzione per i particolari o abilità organizzative, perdono frequentemente oggetti significativi o dimenticano attività importanti. L’impulsività si manifesta come difficoltà, ad organizzare azioni complesse, con tendenza al cambiamento rapido da un’attività ad un’altra e difficoltà ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco e/o di gruppo. Tale impulsività è generalmente associata ad iperattività: questi bambini vengono riferiti "come mossi da un motorino", hanno difficoltà a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei coetanei, a scuola trovano spesso difficile anche rimanere seduti. Tutti questi sintomi non sono causati da deficit cognitivo (ritardo mentale) ma da difficoltà oggettive nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione. Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, uno o più dei comportamenti sopra descritti. Qualsiasi bambino (e la gran parte degli adulti) tende a distrarsi ed a commettere errori durante attività prolungate e ripetitive. La ricerca delle novità e la capacità di esplorare rapidamente l’ambiente devono essere considerati comportamenti positivi dal punto di vista evolutivo e come tale stimolati e favoriti. Quando tali modalità di comportamento sono persistenti in tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco) e nella gran parte delle situazioni (lezione, compiti a casa, gioco con i genitori e con i coetanei, a tavola, davanti al televisore, etc.) e costituiscono la caratteristica costante del bambino, esse possono compromettere le capacità di pianificazione ed esecuzione di procedure complesse (le cosiddette funzioni esecutive). Secondo i criteri del DSM-IV possono essere distinti tre tipi di ADHD: uno prevalentemente inattentivo, uno prevalentemente iperattivo /impulsivo ed uno combinato (APA 1994). I bambini con ADHD mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore adulto, un rapido raggiungimento di un elevato livello di "stanchezza" e di “noia” che si evidenzia con frequenti spostamenti da un'attività, non completata, ad un'altra, perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine qualsiasi attività protratta nel tempo. Nella gran parte delle situazioni, questi bambini hanno difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare una gratificazione: non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare per un premio lontano nel tempo anche se consistente. Quando confrontati con i coetanei, questi bambini mostrano una eccessiva attività motoria (come muovere continuamente le gambe anche da seduti, giocherellare o lanciare oggetti, spostarsi da una posizione all'altra). L’iperattività compromette l’adeguata esecuzione dei compiti richiesti. Questi bambini sono visti, nella gran parte dei contesti ambientali, come agitati, irrequieti, incapaci di stare fermi, e sempre sul punto di partire. Un adulto può avere l’impressione
  • 3. che il bambino abbia difficoltà a comprendere le istruzioni e faccia un uso improprio delle abilità di memoria. L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive. Frequentemente questi bambini mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di convivenza sociale, in particolare in quelle capacità che consistono nel cogliere quegli indici sociali non verbali che modulano le relazioni interpersonali. Questo determina una significativa interferenza nella qualità delle relazioni tra questi bambini ed il mondo che li circonda. Il difficoltoso rapporto con gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da parte delle figure di autorità, il senso di inadeguatezza a contrastare tutto ciò con le proprie capacità fanno sì che questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le loro difficoltà. Mentre la normale iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano significative conseguenze funzionali, il vero ADHD determina conseguenze negative a breve e lungo termine. 1.1 CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO IL DSM IV Secondo il DSM-IV per fare diagnosi di ADHD occorre che siano osservabili almeno sei dei nove sintomi di inattenzione (A1) o di iperattività/impulsività (A2), che i sintomi descritti esordiscano prima dei sette anni d’età, che durino da più di sei mesi, che siano evidenti in almeno due diversi contesti della vita del bambino (casa, scuola, ambienti di gioco) e, soprattutto, causino una significativa compromissione del funzionamento globale del bambino (APA 1994). Riassumendo: A. Sintomi di Inattenzione (A1)  Scarsa cura per i dettagli, errori di distrazione  Labilità attentiva.  Sembra non ascoltare quando si parla con lui/lei.  Non segue le istruzioni, non porta a termine le attività.  Ha difficoltà ad organizzarsi.  Evita le attività che richiedano attenzione sostenuta (compiti etc.).  Perde gli oggetti.  E’ facilmente distraibile da stimoli esterni.  Si dimentica facilmente cose abituali. 
  • 4. Sintomi di Iperattività / Impulsività (A2) Iperattività:  Irrequieto, non riesce a star fermo su una sedia.  In classe si alza spesso anche quando dovrebbe star seduto.  Corre o si arrampica quando non dovrebbe.  Ha difficoltà a giocare tranquillamente.  Sempre in movimento, come “attivato da un motorino”  Parla eccessivamente. Impulsività:  Risponde prima che la domanda sia completata.  Ha difficoltà ad aspettare il proprio turno.  Interrompe o si intromette nelle attività di coetanei o adulti. B. Esordio prima dei 7 anni di età C. Disturbo presente in almeno due situazioni (scuola, casa, lavoro, gioco, etc.) D. Compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico, occupazionale. 2. FATTORI EZIOLOGICI  Fattori genetici (neuroatomici) Numerosi studi hanno dimostrato che questi bambini presentano significative alterazioni funzionali di specifiche regioni del Sistema Nervoso Centrale, rispetto a bambini appartenenti a gruppi di controllo. In questo senso, l’ADHD non viene considerato come un disturbo dell’attenzione in sé, ma come originato da un difetto evolutivo nei circuiti cerebrali che stanno alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo, in particolare della corteccia prefrontale e dei nuclei o gangli della base. I fattori neuroatomici riguardano quindi le alterazioni volumetriche e funzionali a carico della corteccia prefrontale e dei gangli della base (strutture implicate nelle funzioni esecutive ed attentive che portano quindi ad un’alterazione nell’elaborazione delle risposte
  • 5. agli stimoli ambientali). In quelle stesse regioni vi è una maggiore espressione di trasportatori e recettori per la dopamina che funzionano in maniera quantitativamente differente rispetto ai soggetti normali.  Fattori ambientali I fattori non genetici che sono stati collegati all’ADHD includono la nascita prematura, l’uso di alcool e tabacco da parte della madre, l’esposizione a elevate quantità di piombo nella prima infanzia e le lesioni cerebrali (soprattutto quelle che coinvolgono la corteccia pre- frontale conseguente a prematurità e sofferenza perinatale). L’ambiente non sembra avere una importanza decisiva nella genesi del disturbo di concentrazione, come per altri disturbi di condotta a base emotivo-educazionale, tuttavia l’esperienza esistenziale del bambino con Disturbo di Concentrazione, caratterizzato da "insuccessi" e frustrazioni nel campo relazionale, sociale e scolastico, potrà determinare disturbi comportamentali su base psico- emotiva, che spesso accentuano e confondono gli stessi sintomi di iperattività e impulsività con cui il disturbo si presenta. In questo senso, il quadro clinico dell’ADHD si può considerare effetto della confluenza di fattori neuro-biologici e psicosociali, mediato da un disturbo dello sviluppo cognitivo- emotivo che assume un ruolo centrale. 3. COMORBILITA’ Esiste una chiara evidenza sul fatto che almeno il 70% dei soggetti con disturbo da deficit dell'attenzione ed iperattività abbia un disturbo associato, sia in campioni clinici che epidemiologici. Un attento procedimento diagnostico appare quindi cruciale anche in soggetti con un chiaro disturbo ADHD, poiché la definizione dei disturbi psico-comportamentali in comorbilità condiziona non soltanto l'espressività del quadro clinico, ma anche la prognosi e le strategie di trattamento. Le diverse forme in comorbilità individuano dei sottogruppi più omogenei di pazienti che da un punto di vista clinico hanno fenomenologia e gravità diverse, da un punto di vista prognostico sono a diverso rischio di sviluppare più gravi psicopatologie e che probabilmente, da un punto di vista terapeutico, rispondono in maniera parzialmente diversa ai trattamenti e quindi richiedono specifiche strategie di intervento. I disturbi del comportamento che possono associarsi all'ADHD sono il disturbo oppositivo- provocatorio (DOP) ed il disturbo della condotta (DC). Il primo è caratterizzato da comportamento di sfida, ostile e negativista, il secondo, più grave, da aggressività, distruttività, furti, menzogna e sistematica violazione delle regole sociali.
  • 6. Anche i disturbi depressivi e maniacali possono associarsi all'ADHD, oscillando tra condizioni sottosoglia e acuti aggravamenti. Il fatto che in età evolutiva tali disturbi possono avere un andamento cronico e non episodico, rende la diagnosi più complessa. Inoltre in età evolutiva una percentuale tra 1/4 e 1/5 dei bambini depressi presenta un episodio maniacale, soprattutto in presenza di familiarità bipolare o sintomi psicotici. ADHD e disturbi dell'umore coesisterebbero in una percentuale variabile dal 15 al 75% dei casi a seconda delle diverse casistiche. L'enorme scarto nelle stime epidemiologiche sottolinea la discordanza tra i ricercatori nell'interpretare manifestazioni depressive come una demoralizzazione implicita al disturbo oppure come un disturbo depressivo associato. La frequenza di depressione nei bambini ADHD e nei loro parenti di primo grado è maggiore rispetto alla popolazione generale sia in campioni clinici che epidemiologici; inoltre i figli di soggetti con disturbo depressivo hanno una più elevata incidenza di ADHD. I soggetti con ADHD associato a disturbi depressivi (e/o ansiosi) hanno una insorgenza più tardiva, una minore compromissione cognitiva e minori segni di disfunzione neurologica minore; tali dati avrebbero fatto pensare ad un sottogruppo con distinta eziologia. La comorbilità tra ADHD e il disturbo bipolare solleva delicati problemi di diagnosi differenziale, esistendo una parziale sovrapposizione tra il quadro clinico delle due manifestazioni. E' spesso difficile differenziare un disturbo maniacale rispetto all'ADHD e/o DC e comprendere se si è in presenza di comorbilità o di diagnosi differenziale; cioè se in realtà i bambini con mania non sono altro se non ADHD con disregolazione affettiva o se al contrario i bambini con ADHD hanno in realtà una ipomania cronica. Distraibilità, impulsività, iperattività, labilità attentiva accomunano sia l'ADHD che la mania. L'irritabilità e l'aggressività dei bambini con mania sono generalmente più gravi, con reazioni esplosive e violente, difficili da riconoscere se, come spesso accade, non è presente una chiara euforia. Esiste comunque una certa evidenza clinica che un disturbo bipolare sia più frequente nei bambini ADHD (intorno al 10%) che nella popolazione generale. In altri termini i bambini ADHD hanno un rischio maggior di sviluppare un disturbo bipolare e in questi casi il disturbo bipolare ha un esordio particolarmente precoce (intorno ai 7-8 anni). Circa il 25% dei bambini con ADHD presenta associati disturbi d'ansia. Tale frequenza è riferita maggiore nei soggetti con ADHD senza iperattività, che rappresentano anche la popolazione che pone nei confronti dei disturbi d'ansia i problemi più spinosi di diagnosi differenziale. Infatti, sintomi cognitivi (difficoltà di concentrazione), comportamentali (irritabilità, agitazione psicomotoria) ed affettivi (labilità emotiva, demoralizzazione, necessità di rassicurazioni) possono essere presenti sia in soggetti ADHD che in soggetti con disturbi d'ansia. I bambini con comorbilità ansiosa sembrano essere meno impulsivi, hanno minore frequenza di DC, mentre sono più frequenti le difficoltà nella socializzazione, in particolare in adolescenza. In altri termini sembra che l'associazione con disturbi d'ansia eserciti una azione protettiva nei confronti di una possibile evoluzione dissociale. Questi dati, se confermati, indicherebbero che anche questo tipo di comorbilità individua una popolazione di soggetti con specifica storia naturale. Inoltre l'ADHD è più frequente in figli di genitori con disturbo d'ansia.
  • 7. I disturbi d'ansia di più frequente riscontro sono il disturbo generalizzato d'ansia, le fobie semplici, il disturbo d'ansia di separazione, ma anche la fobia sociale ed il disturbo di panico. ADHD, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e malattia dei tic, in particolare la Sindrome di Tourette (ST), sono frequentemente associati, probabilmente anche per una parziale sovrapposizione dei substrati biologici, quali il circuito fronto-striato-talamo-corticale. Si ritiene che sintomi ADHD siano presente nel 20-30% dei DOC e nel 40% della ST. Tali dati suggeriscono che una possibile comorbilità con ADHD dovrebbe essere ricercata in ogni bambino con DOC e/o tic. Tipicamente l'ADHD precede l'esordio dei tic e del DOC, spesso peggiora con il progredire dei tic, e contribuisce significativamente alla gravità del quadro clinico, in termini di disturbi comportamentali (impulsività comportamentale), difficoltà scolastiche ed alterazione delle prestazioni ai test di funzioni esecutive. La natura della relazione tra ADHD, DOC e ST non è chiara, anche se queste sindromi condividono un'incapacità nel controllo inibitorio. I disturbi dell'attenzione sono in parte riferibili all'effetto distraente dei tic e delle ossessioni-compulsioni e al disperato tentativo da parte dei soggetti affetti di controllare tali manifestazioni, ma anche ad una disfunzione dei substrati neurali attentivi che sostengono anche i processi inibitori. Infatti le difficoltà attentive permangono nelle fasi di remissione dei tic, e spesso ostacolano significativamente attività scolastiche e quotidiane. Concludendo, la definizione delle comorbilità consente di individuare sottogruppi di ADHD più omogenei, dotati di peculiarità sul piano della diagnosi, della espressività clinica, della prognosi e del trattamento. Naturalmente un'accurata valutazione della comorbilità implica un adeguato assetto diagnostico che non consentano all'ADHD di mascherare altre affezioni in associazione. Tale procedura potrà consentire maggiormente la definizione dei più importanti fattori di rischio, dei più significativi mediatori prognostici e soprattutto l'adozione di interventi farmacologici e non farmacologici sempre più tempestivi e mirati per le diverse componenti del quadro clinico. Infatti spesso delle guarigioni incomplete o delle apparenti resistenze al trattamento non sono altro che il frutto di una comorbilità non adeguatamente considerata. 4. INTERVENTI TERAPEUTICI L’intervento terapeutico con bambini con ADHD dipende da: -presenza di comorbilità con i Disturbi di Sviluppo -presenza di cadute nelle competenze attentive-funzioni esecutive -in relazione allo stadio di sviluppo ed alla fascia d’età E’ un intervento multimodale in cui interagiscono più figure professionali tra cui: neuropsichiatra, neuropsicologo, psicologo, neuropsicomotricista, logopedista. Analizzeremo qui di seguito in modo più dettagliato l’intervento neuropsicomotorio.
  • 8. 4.1. FASE VALUTATIVA In circa 3 sedute viene seguita una valutazione neuropsicomotoria del bambino che indaga i seguenti aspetti: 1. Sviluppo motorio: caratteristiche individuali e utilizzazione delle capacità motorie in diversi contesti 2. Lateralità: uso preferenziale di una mano, coordinazione mano-piede, simmetrie 3. Prassie: capacità di organizzare una sequenza gestuale in modo da raggiungere un risultato prestabilito 4. Coordinazione oculo-manuale: modalità in cui viene utilizzata la vista per lo svolgimento di un’attività 5. Motricità fine: presa, controllo della motricità per attività “fini” 6. Grafia 7. Organizzazione spazio-temporale 4.2 GLI APPROCCI PSICOMOTORI Vi sono modi di pensare la terapia psicomotoria che prescindono dall’età o dalla patologia del bambino. Tendendo presente tutte le sfumature con le quali un bambino può entrare in relazione con un adulto in una situazione di coinvolgimento corporeo possiamo delineare due tipi di approccio tra loro opposti, pur non escludendosi a vicenda. Il primo, deriva dalla necessità di un’osservazione del comportamento spontaneo del bambino, che servirà da guida per utilizzare successivamente i contenuti ludici che ne scaturiscono. Si cerca quindi di inserirsi nel gioco del bambino e indurre gradatamente “aspetti nuovi” con delle sollecitazioni più o meno dirette che lo spingano ad andare verso tappe ulteriori dello sviluppo. Nell’altro approccio è il terapista che crea situazioni “esterne” al bambino, il quale si “accomoderà (nel senso piagetiano del termine)” secondo le sue possibilità. Le sfumature tra questi due approcci sono tanti quanti sono i bambini. La seduta neuropsicomotoria è individuale e viene effettuata all’interno di una stanza psicomotoria adeguatamente attrezzata. Ogni incontro è programmato prima nella mente del terapista per poter poi presentare al bambino, in un contesto ludico, la successione degli esercizi che corrisponderanno a contenuti tra loro differenti per quanto riguarda il tipo di impegno richiesto dal bambino.
  • 9. Ogni seduta è strutturata in: a) fase di contatto: prima di chiedere un coinvolgimento più globale è necessario creare un momento rassicurante di “ritrovo” tra bambino e terapista al fine di favorire una reciproca disponibilità. b) avviamento: lo scopo di questo periodo è quello di indurre al movimento globale. Vengono intraprese attività che suscitano un piacere funzionale del movimento. Es. corsa, rotolo, muovere nastri. c) esercizi di base: periodo che consiste in una attività di riferimento dalla quale scaturirà la graduale integrazione di nuove proposte senza che questi perda la propria struttura iniziale. L’esercizio di base richiede un certo sforzo di adattamento rispetto al livello funzionale raggiunto. Lo svolgimento dell’esercizio di base ha più o meno le stesse caratteristiche dell’avviamento tranne la maggior difficoltà per il bambino. Es. camminare all’indietro. d) momento tecnico:affronta un compito più specifico Es. trascrizione grafica di una struttura spaziale. e) congedo: generalmente la separazione dal terapista comporta quasi sempre reazioni conflittuali; i sensi di colpa, di abbandono, di aggressività scaturiscono facilmente prima del termine della seduta. Perciò si tratta di proporre situazioni distensive (es. rilassamento) allo scopo di lasciare al bambino il tempo di elaborare il distacco dal terapista, bambino che però è già stato precedentemente avvisato del congedo. 4.3 TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA L’intervento neuropsicomotorio inizialmente si focalizzerà su tutte le attività di movimento e in particolare sarà mirato ad un contenimento di questo. Si inizierà con lunghi momenti di spostamenti intervallati a brevi momenti di controllo. Si diminuiranno gradatamente i momenti di spostamento e si aumenterà la durata del’immobilità. Per limitare lo spazio, è necessario strutturare la stanza con oggetti grandi e stabili. La motricità si strutturerà all’interno di questi reperi che il bambino riuscirà sempre più ad autogestire, dandosi autonomamente gli ordini di avvio e di arresto. Si inizia poi con esercizi di attenzione visiva nei momenti in cui il bambino è in uno stato di ricettività. Si introduce un elemento alla volta: ad esempio, cercare di afferrare una pallina senza alzarsi da terra, entrare dentro un cerchio sollevato da terra, passando sotto senza urtarlo. Quando il soggetto deve adattare lo spostamento in funzione di un cambiamento di direzione o velocità, la struttura motoria si disintegra. E’ quindi opportuno lasciare uno spazio vuoto, ma strutturarlo con oggetti, in modo che favorisca l’adattamento motorio richiesto. L’attività manuale fine in uno spazio limitato può essere favorevole al controllo del’’instabilità o, al
  • 10. contrario, esasperare tanto il bambino al punto di opporvisi con comportamento distruttivo. Nel primo caso, le attività di motricità fine saranno utilizzate allo scopo di favorire un contatto positivo tra bambino e terapista, oppure saranno intervallate a momenti di grandi spostamenti, per favorire la distensione e la calma. Nel secondo caso invece, vanno accuratamente evitate, per lo meno all’inizio della terapia. I dati percettivi visivi ed acustici possono scatenare delle risposte motorie più o meno coscienti e volontarie. Viceversa, se l’instabilità è molto importante, il bambino non percepirà tali dati. Per quanto riguarda le indicazioni terapeutiche, si inizierà nell’immobilità con esercizi di percezione del silenzio contrapposto al rumore, o di percezione visiva di forme. Lo scopo è quello di ottenere un minimo di attenzione per “ciò che è diverso da”. Successivamente si assocerà un compito motorio allo stimolo visivo/uditivo. L’equilibrio statico è un punto debole per questi bambini; questa insofferenza alla staticità si traduce con la presenza di piccoli e continui movimenti localizzati al volto, agli arti, al tronco o in reazioni esagerate di compenso degli arti e tronco. Proprio per le implicazioni psicologiche di cui sopra, gli esercizi di equilibrio statico vanno usati con molta prudenza. Si possono proporre come contrasto al movimento richiedendo un’immobilità di breve durata. Si richiederanno posture d’equilibrio molto semplici con il fine di inibire l’attività cinetica. E’ ben associare uno stato di rilassamento al controllo posturale poiché è solitamente nella tensione che il bambino controllo la sua iperattività. Lo scopo è quello far scoprire al bambino il piacere dell’immobilità e dell’abbandono nella distensione. Gli esercizi di equilibrio dinamico, rispetto a quelli statici, creano molto più entusiasmo nel bambino anche se eseguiti in maniera del tutto caotica. Quello che il bambino deve “imparare” in terapia psicomotoria è frenare il flusso delle sue azioni. Solitamente fa il contrario: appena avverte una difficoltà di equilibrio non ricerca aggiustamenti posturali, ma supera le difficoltà con accelerazione degli spostamenti. Si comincerà quindi dalle coordinazioni a terra in modo da offrire una base di appoggio corporeo, la più stabile possibile. Si procede aumentando sempre più la complessità della coordinazione. Solamente verso la fine si potranno introdurre spostamenti su oggetti sopraelevati, salti con ostacoli, ecc… L’immagine di sé (schema corporeo) è molto imprecisa e dà l’impressione di mancare di confine. Probabilmente il bambino si sente chiuso nei limiti del divieto che cerca di superare con la sua iperattività, oppure è nell’attività che il suo corpo può trovarsi dei confini, dei limiti non repressivi ma piacevoli. In modo o nell’altro ciò che colpisce è l’imprecisione, la dilatazione dei contorni della sagoma corporea. Nell’intervento terapeutico, la presa di coscienza del corpo dovrà partire da una parte alla volta. Il rilassamento statico globale potrebbe contribuire ad un rafforzamento della percezione delle singole parti corporee. In seguito si proseguirà seguendo la metodologia di base, specie per quanto riguarda il corpo vissuto (presa di coscienza delle posture) e il corpo percepito (spazio gestuale- orientamento del corpo). La percezione dello spazio è fondamentalmente intuitiva. Difficilmente il soggetto usa delle strategie cognitive per verificare quello che valuta a vista d’occhio. Al di là di una mancata analisi percettiva, il problema di questi bambini iperattivi è quello di poter scegliere e mantenere un punto di vista che deriva da un orientamento corporeo che permette di poter cogliere rapporti stabili tra le persone e le cose. Il problema consiste quindi in un continuo cambiamento del punto di vista. Si cercherà di favorire una percezione di forme, dimensioni nell’immobilità. Successivamente si
  • 11. cercherà un adattamento della motricità ad uno spazio precedentemente strutturato (es: esercizi di orientamento spaziale) e si chiederà una rappresentazione grafica dei percorsi di modo che le esperienze lascino una traccia concreta verificabile. Come già visto negli aspetti precedenti, la rapidità dell’azione, la forte intensità, irregolarità e soprattutto la tendenza all’accelerazione contraddistinguono l’espressività ritmica di questi bambini. Di conseguenza, la presa di coscienza del tempo e la sua misurazione, mantengono per molto tempo, nello sviluppo psicomotorio, delle caratteristiche di valutazione soggettiva circa le durate e i rapporti temporali in generale. Inoltre il bambino fatica ad analizzare l’aspetto temporale, il ritmo delle sue azioni, poiché non può distanziarsene emotivamente: lui è l’azione. I suoni hanno in generale un effetto molto eccitante e generano risposte motorie globali spesso incontrollate. Riferendosi a quest’ultima caratteristica, si dovrà fare un’attenta scelta degli strumenti musicali e a percussione che si useranno in seduta. Vanno evitati i suoni acuti, i rumori forti e secchi (tamburelli). Si preferiscono usare la voce e il canto. Gradatamente, sfruttando le coordinazioni percettivo-motorie, si cercherà di rallentare il ritmo d’azione ed infine di raggruppare delle sequenze di differenti velocità. Se tutto procede bene rispetto all’andamento della terapia psicomotoria, il ritmo diventerà sempre più il mezzo per ottenere da parte del bambino un controllo cosciente sulla sua motricità. 5. PROGNOSI Difficoltà relazionali  Emarginazione da parte dei coetanei  Scarse amicizie durature  Tendenza all’isolamento  Rapporti con bambini più piccoli o instabili  Incapacità nel cogliere indici sociali non verbali Difficoltà scolastiche:  Rendimento inferiore alle potenzialità cognitive  Disturbo attentivo  Disturbo nella memoria sequenziale  Stile cognitivo impulsivo  Deficit di controllo delle risorse cognitive
  • 12.  Effetto sul piano emotivo.-comportamentale Bassa autostima:  Demoralizzazione  Scarsa fiducia in sé stessi  Solitudine  Sentimenti abbandonici  Inadeguatezza per rimproveri, rifiuto sociale, insuccesso scolastico, sportivo, ecc.  Rischio di un disturbo depressivo, ansioso, comportamentale Disturbi del comportamento:  Comportamento negativista e provocatorio  Crisi di collera  Comportamento arrabbiato e rancoroso  Comportamento dispettoso o vendicativo  Frequenti litigi con gli adulti  Incapacità di rispettare le regole  Accusare gli altri per i propri errori  Sistematica violazione delle regole sociali  Aggressioni a persone o animali  Distruzioni di proprietà  Frode o furto ADHD in età prescolare:  Massimo grado di iperattività  Crisi di rabbia  Litigiosità, provocarietà  Assenza di paura, tendenza ad incidenti  Comportamenti aggressivi  Disturbi del sonno
  • 13. ADHD in età scolare:  Comparsa di disattenzione, impulsività  Difficoltà scolastiche  Possibilità riduzione della iperattività  Elevata distraibilità  Comportamento oppositivo-provocatorio ADHD in adolescenza:  Disturbo dell’attenzione: difficoltà scolastiche, di organizzazione della vita quotidiana (pianificazione)  Riduzione del comportamento iperattivo (sensazione soggettiva di instabilità)  Instabilità scolastica, lavorativa, relazionale  Condotte rischiose  Bassa autostima, ansietà Prognosi in adolescenza:  35% superamento dei sintomi, prestazioni scolastiche talvolta inferiori ai controlli  45% permanenza della sindrome, frequente attenuazione della componente iperattiva, crescente compromissione emotiva (depressivo-ansiosa) e sociale  20% permanenza della sindrome, disturbi comportamentali e di adattamento sociale ADHD in età adulta:  Sensazione soggettiva di tensione  Instabilità scolastica, lavorativa e relazionale  Impulsività  Intolleranza di vita sedentaria  Condotte pericolose (es. sport o abitudini)  Difficoltà di organizzazione nel lavoro e nella vita quotidiana  Disturbi depressivi e/o ansiosi  Rischio di marginalità sociale