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RG n.7918 /2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FIRENZE
Sezione civile seconda
Giudice dott.ssa Susanna Zanda
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa promossa da
MATTEO RENZI RNZMTT75A11D612H domiciliato/i presso SEGHI NICCOLO’ VIAALFONSO
LAMARMORA 38 50121 FIRENZE
RENZI
Attore/ricorrente
Contro
MARCO TRAVAGLIO TRVMRC64R13L219G dom.to presso CORSO DI PORTA VITTORIA 28
20122 MILANO
CONVENUTI
CONCLUSIONI
Nell’interesse dell’attore:
- «Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza o eccezione, per i motivi esposti in
narrativa dell’atto di citazione e nei successivi atti difensivi, accertare e dichiarare la responsabilità del
convenuto Marco Travaglio per il delitto di diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo
radiotelevisivo (art. 595.1 e 3 c.p.) e la natura di illecito extracontrattuale delle condotte censurate (art.
2043 c.c.) e quindi condannare parte convenuta al risarcimento dei danni morali, esistenziali,
patrimoniali e non patrimoniali cagionati all’attore, ex artt. 185 c.p., 1226, 2059 c.c. indicati nella
somma di Euro 500.000,00, salva quella diversa maggiore o minore somma che risulterà di giustizia;
ordinare la pubblicazione del dispositivo della emananda sentenza a cura dell'attore e a spese della
parte convenuta sui quotidiani "Il Corriere della Sera", "La Repubblica", "Il Sole 24 Ore", "La Stampa",
"La Nazione", “Il Secolo XIX”, "Il Fatto Quotidiano", “Libero”, "il Giornale", "L'Unità", salvo altri.
Con vittoria di spese e competenze»
Nell’interesse del convenuto:
nel merito: - rigettare integralmente tutte le domande ex adverso formulate, perché infondate tanto in
fatto quanto in diritto e, comunque, non provate, per i motivi esposti nella parte motiva; - valutare
d’ufficio ed accertare che la condotta dell’attore integra gli estremi dell’abuso di processo, ex art. 96,
comma 3 c.p.c. e, per l’effetto, liquidare in favore del convenuto l’indennità in esso prevista, in via
equitativa, ma proporzionata all’entità del danno allegato.
Con vittoria di spese di lite, competenze ed onorari di causa
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione
. B) Ugualmente priva di pregio è l’argomentazione per cui l’oggettistica esposta dal Travaglio
risulterebbe inoffensiva a causa della sua ‘facile’ reperibilità in commercio: che un bene sia in vendita
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su Ebay non può certo costituire un lasciapassare ad un suo utilizzo indiscriminato per finalità illecite e
diffamatorie, in quanto non può scalfire minimamente l’offensività della condotta. Trattasi di una
deduzione di logica comprensibilità che non merita le digressioni giuridiche di controparte. C) Quanto
all’asserito carattere di satira goliardica che il comportamento del convenuto dovrebbe assumere
(rinviando a quanto già argomentato alle pp. 5 ss. dell’atto di citazione), preme ricordare che anche la
satira sottostà a limiti ben precisi.
Posto che, comunque, nel caso di specie, la satira era oggettivamente ‘assente’ (per il contesto e per le
affermazioni di riferimento), si ribadisce come neppure al diritto di satira è consentito trasmodare
nell’attacco personale e gratuito per ledere il diritto altrui all’integrità morale ed alla dignità (ex multis
Cass. Pen., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38437 «trasformare, cioè, la notizia in argumenta ad hominem, il
cui scopo, lungi dall’essere quello di formulare una censura articolata e giustificata dell'operato del
soggetto in questione, è esclusivamente quello di denigrare la persona in quanto tale»).
Detto altrimenti, i toni irridenti e talvolta ridicolizzanti dell’umorismo satirico non possono mai
affrancarsi dal contesto fattuale di riferimento, rispetto al quale devono presentare uno stretto nesso di
funzionalità: la burla, lo scherzo, l’estremizzazione pungente di alcune caratteristiche personali deve
SEMPRE risultare ‘utile’ e connessa allo sviluppo del messaggio critico che si intende veicolare (v. ex
multis Cass., Civ., n. 6919/2018; Cass. Pen., n. 3286272019).
Anche tale osservazione attiene ad un’etica comportamentale che viene prima delle argomentazioni
giuridiche. Tali assunti sono stati nuovamente recepiti in una recentissima pronuncia giurisprudenziale
riguardante l’odierno attore: la rappresentazione di Matteo Renzi nelle vesti di Pacciani, il noto
“Mostro di Firenze”, è stata ritenuta diffamatoria perché decontestualizzata e, dunque, gratuita, rispetto
a quello che era l’oggetto di narrazione dell’articolo: «Nel caso di specie, è stato oltrepassato il limite
della funzionalità dell’ immagine satirica all’espressione di un dissenso ragionato rispetto alla vicenda
oggetto dell’articolo. Non si coglie, infatti, quale possa essere il collegamento fra la rappresentazione di
Matteo Renzi nelle vesti di Pacciani e la vicenda delle nomine dei dirigenti del Comune di Firenze cui
si fa riferimento nell’articolo» (Trib. Di Firenze, dott. Massimo Donnarumma, del 22.11.2022).
Appare dunque di immediata comprensione l’assenza di qualsivoglia funzionalità critica della condotta
del Travaglio nell’aver rappresentato Renzi come un escremento rispetto ad un contesto in cui non si
parlava di lui e non si faceva satira.
D) I convenuti hanno sostenuto, poi, l’assenza di dolo da parte dell’autore della condotta censurata e la
conseguente impossibilità di ravvisare – in concreto – gli elementi costituitivi della fattispecie di cui
all’art. 595 c.p. E ciò, a dire di controparte, sarebbe da desumersi: (i) dal fatto che l’attore avesse
lecitamente posto tali oggetti sulla propria libreria, in un momento antecedente rispetto alla data di
collegamento; (ii) dal fatto che il collegamento fosse avvenuto in via del tutto eccezionale ed
‘improvvisata’ dallo studio del direttore anziché dalla sala riunioni.
Al contrario, tali deduzioni non escludono l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato di
diffamazione a mezzo stampa, perché sussistono elementi fattuali convergenti ed inequivoci a
dimostrare esattamente il contrario di quanto la difesa dei convenuti sostiene: ossia la piena
volontarietà dei fatti contestati al Travaglio.
Ciò risulta di palmare evidenza da quanto l’attore ha già dedotto e provato con le produzioni
documentali allegate all’atto di citazione (pp. 6-7; all.ti 3a-3b) e alla propria memoria numero 1 (v. pp
4-5, e i link ivi richiamati nelle note a piè di pagina da 2 a 8), tutte riguardanti interventi del Travaglio
dal proprio studio personale.
Il numero di tali interventi, la variabilità degli oggetti ‘messi in scena’, unitamente alla loro, solita
esposizione ‘frontale’, dimostrano come (in realtà) la libreria personale del direttore costituisse uno
strumento comunicativo normalmente utilizzato dal medesimo per realizzare una vera e propria tecnica
comunicativa ad hoc, finalizzata ad inviare messaggi mediatici particolari, solitamente diretti a politici.
Non v’è dunque dubbio alcuno che Marco Travaglio, la sera del 13 febbraio 2019, avesse
deliberatamente e volontariamente veicolato tali immagini diffamatorie, in perfetta continuità stilistica
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con quanto già fatto in precedenza con i plurimi, altri interventi richiamati. Peraltro, in tal senso,
depongono le stesse argomentazioni sostenute dalla difesa avversaria, e in particolare: - il fatto che il
collegamento sia avvenuto in maniera eccezionale e non prevista dalla stanza del direttore avrebbe
dovuto, presuntivamente, richiedere un’attenzione non certo ridotta, bensì maggiore rispetto agli
oggetti che erano presenti in tale ambiente al momento della registrazione di un intervento destinato a
finire in prima serata su una delle prime emittenti televisive al livello nazionale; - il fatto che si trattasse
proprio della stanza personale del Travaglio, avrebbe dovuto portarlo ad avere ‘ben presente’ (i.e. piena
cognizione e consapevolezza di) cosa rientrasse o meno nell’inquadramento della telecamera, specie in
riferimento agli oggetti collocati a prima vista sulla sua libreria che - come visto - erano tutt’altro che
frutto di una collocazione casuale;
- il fatto, poi, per cui il Travaglio collocasse normalmente e ordinariamente (quasi a mo’ di ripostiglio,
di deposito), nella propria stanza personale, tutti i gadget e il materiale vario ricevuto dalla redazione
anche dai propri fan, (tra cui “cimeli” simili a quelli oggetto di causa) porta senz’altro a ritenere che il
medesimo dovesse stare – semmai – particolarmente attento a cosa avesse ‘alle spalle’. Comunque, è
bene ripeterlo, gli oggetti in parola certo non rientrano in un insieme ‘ammassato ed indistinto’ di
gadget, ma appaiono accuratamente posizionati e ben visibili al centro della libreria, proprio dall’esatto
punto (si badi al caso) in cui il collegamento è avvenuto; - infine, il fatto che la sala riunioni fosse
normalmente in condivisione dalla 9,00 alle 18,00, avrebbe dovuto condurre tutti i potenziali interessati
da registrazioni televisive ad un controllo serrato e particolarmente attento delle proprie stanze
personali, atteso l’elevato ‘rischio’ che, in tale fascia oraria, il collegamento avvenisse proprio da
queste!
D) Ciò posto (ferma, quindi, la coscienza e volontà del Travaglio rispetto al comportamento censurato ,
cioè, del dolo), occorre sottolineare come – a ben vedere – l’illecito civile di cui all’art. 2043 c.c.,
tutelato sotto il profilo del “danno-conseguenza” di carattere non patrimoniale dall’art. 2059 c.c., dia
luogo ad una fattispecie notoriamente atipica, che ben può svincolarsi dagli elementi tassativamente e
analiticamente definiti dalla norma di matrice penalistica. In altri termini, e più nel dettaglio, laddove la
condotta contestata rappresenti un fatto (indifferentemente) doloso o colposo e, tale fatto, abbia dato
luogo ad una lesione di diritti costituzionalmente tutelati ex art. 2 Cost. e a danni risarcibili, si deve
riconoscere l’integrazione della condotta illecita ex art. 2043 e – ciò – a prescindere dal fatto che sia o
meno compiutamente integrata la corrispondente fattispecie di reato (SS. UU., n. 26978/2008). Ne
consegue che se anche il reato di diffamazione richiede il dolo come elemento soggettivo tipico, una
lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. deve portare a riconoscere la risarcibilità della
lesione all’altrui reputazione determinata da comportamento anche di natura solo colposa: «ogni
qualvolta risulti integrata la fattispecie normativa di cui all’art. 2043 c.c., e quindi anche fondata sulla
sola colpa (ed addirittura una delle fattispecie specifiche di responsabilità oggettiva, ad esempio artt.
2049, 2051, art. 2054 c.c.), se l’evento lesivo attiene ad un valore della persona costituzionalmente
tutelato, il danno-conseguenza non patrimoniale, di cui all’art. 2059 c.c., è risarcibile, anche se tale
fatto o non è proprio previsto dalla legge come reato o non integra reato» (Cass. civ., 16 giugno 2018,
n. 15742; Trib. Roma, 1° giugno 2017, n. 11103; Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157).
Ne consegue che se anche il Travaglio avesse agito a titolo di mera colpa (il che, sicuramente non è
perché, come visto, trattasi di un comportamento dallo stesso voluto), il danno prodotto alla
reputazione dell’attore, provato ed evidente (basti pensare alla risonanza mediatica assunta dal caso e
alla percezione
DIFESA DI MARCO TRAVAGLIO
Il giornalista Travaglio si è difeso sostenendo che non susiste alcun dnano risarcibile per i seguenti
motivi.
Il 13 febbraio 2019, invitato come ospite dalla trasmissione Tagadà, in onda su La 7, il convenuto si
collegava dalla sede del quotidiano che dirige, con il programma, che andava in onda nel primo
pomeriggio e in diretta. Come si desume dall’allegata e-mail dell’emittente (cfr. doc. 1) la produzione
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di Tagadà inviava, presso la sede del quotidiano che egli dirige, due operatori, perché si occupassero
del collegamento, necessario per consentire il suo intervento in diretta. Il convenuto, infatti, non
partecipava alla trasmissione, come avviene oggi, via Skype o Zoom, con l’impostazione
dell'inquadratura in autonomia, ma in collegamento dalla redazione di Roma, eccezionalmente ripreso
nella sua stanza, per ragioni contingenti, come chiaramente sarebbe emerso nel corso dell’istruttoria. Le
dirette o registrazioni per la tv che egli effettua, infatti, di norma si svolgono tutte nel tardo pomeriggio
o in serata, con collegamenti che avvengono esclusivamente dalla sala riunioni della sede romana del
quotidiano, dove è stata predisposta una parete ad hoc, che serve da sfondo e che consente di porre alle
sue spalle il logo della testata e alcune mazzette di giornali (cfr. docc. da 2 a 4). Non si tratta, dunque,
di uno studio di registrazione, bensì della sala riunioni che, seppure attrezzata anche per le sue dirette,
egli non usa in via esclusiva, se non dal tardo pomeriggio/sera, quando di norma sono previsti i
collegamenti, sempre in diretta, con i programmi di approfondimento giornalistico “Otto e Mezzo” e
“Di Martedì”, le uniche trasmissioni a cui partecipa in collegamento con cadenza fissa. Dalle 9.00 alle
18.00, invece, l’uso di quella sala riunioni è condiviso con gli altri rami di produzione di Seif Loft tv, la
casa editrice Paperfirst ed è utilizzata anche per le riunioni di redazione (almeno 3 al giorno fino alle
17.00) o con il personale amministrativo. Il 13 febbraio 2019, invece, la diretta era prevista a partire
dalle 14.15, un orario di lavoro centrale per tutti i rami produttivi e la sala, la sola della redazione, era
già occupata.
Siccome il collegamento non sarebbe durato più di 20 minuti in tutto e non poteva essere rinviato, la
struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci - sentita a conferma di tutte le
circostanze esposte e che aveva rilasciato la dichiarazione, prodotta in atti (cfr. doc. 5) sulla falsariga
della quale sono stati ricostruiti i fatti- all’insaputa del convenuto, che sarebbe arrivato a cose fatte,
decideva di collocare, sua sponte ed in via autonoma, eccezionalmente gli operatori nella stanza del
direttore, senza alcun consenso preventivo dell’interessato, proprio per non bloccare il lavoro degli altri
colleghi che occupavano, nel frattempo, la sala riunioni. Nella sua stanza il convenuto svolge il suo
lavoro in redazione e lì conserva anche, trattandosi di un luogo che usa in via esclusiva, regali, foto e
tutto il materiale che gli viene spedito in redazione, disposti un po' alla rinfusa sugli scaffali della
libreria e sul suo tavolo, come si desume dalle immagini durante il collegamento, così come accade di
solito a chiunque disponga di un locale personale ed in via esclusiva. È tutt’altra cosa, rispetto alle
librerie, ordinate e un po' finte che, di norma, si predispongono, specie nell’ultimo anno, per i
collegamenti televisivi, quasi sempre effettuati dalle abitazioni o dagli studi privati dei protagonisti.
Nella libreria, il convenuto, in particolare, conserva alla rinfusa parte del materiale per l'archivio ancora
da sistemare, i suoi libri, i libri e i cd che gli spediscono e gran parte della corrispondenza e dei regali
che gli inviano i lettori, fra i quali devono essere annoverati i “cimeli”, oggetto di causa e fra i quali,
più di recente, è comparsa anche la carta igienica con la faccia di Matteo Salvini (cfr. doc. 6). Si tratta,
infatti, di un gadget personalizzato, che può essere acquistato su Ebay, accedendovi con questo link
https://www.ebay.it/itm/2-PEZZI-rotolo-carta-igienica-fintapolitici-calcio-merd
vedidescrizione/323175204946?hash=item4b3ebe4852:g:nUYAAOSw73Nau4ip: cliccando sulla
finestra "scegli il soggetto" viene messo a disposizione dell’utente l'elenco delle numerose opzioni:
Berlusconi, Renzi, Boldrini, Macron (cfr. doc. 7) mentre Amazon offre l’opzione Trump, al seguente
link (cfr. doc. 8): https://www.amazon.it/Aubess-divertente-novit%C3%A0-
presidenteigienica/dp/B07C3M78PX/ref=sr_1_5?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%9
5 %C3%91&crid=37P5CN6LV3ECN&dchild=1&keywords=trump+carta+igienica&qid=16115
95080&sprefix=trump+carta+igi%2Caps%2C161&sr=8-5.
QUANTO alle immagini assuntivamente diffamatorie si tratta, nell’ordine, della riproduzione
incorniciata della prima pagina del giornale satirico “CUORE”, su cui i migliori rappresentanti della
categoria si sono formati, in cui compare un titolo, rimasto negli annali della satira - “HANNO LA
FACCIA COME IL CULO” (All. 3b di controparte)- assai in voga e molto venduto, degradato a
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“quotidiano di fantasia”; e la esposizione di una statuetta citazione che ha solo l’effetto di confermare il
sense of humor del leader di Forza Italia, che mai al convenuto ha chiesto 500.000 euro – o, per la
verità, somme decisamente inferiori- per averla mostrata.
Anche la giurisprudenza citata, difettando la materia prima sulla quale richiamarla, appare inconferente
ed irrilevante, ai fini del decidere, al pari della vicenda, cui si riferisce una delle sentenze citate, la
condanna per diffamazione di un giornalista che, nel riportare sul proprio blog la notizia della morte di
un boss di “Cosa Nostra” (condannato per associazione di stampo mafioso e per il coinvolgimento in
plurimi omicidi), affermava che il decesso di costui aveva tolto alla Sicilia “un gran bel pezzo di
merda”.
Il convenuto ha rilevato che la condotta in tempi normali e con un pizzico di ironia, era ed avrebbe
dovuto rimanere circoscritta, anche ove fosse stata volontaria, nell’ambito della goliardia, quello spirito
che di solito anima le comunità degli studenti e non solo e nelle quali, alla serietà delle questioni
importanti si accompagnano il gusto della trasgressione, la ricerca dell’ironia e il piacere dello
sberleffo, spirito con il quale il “prodotto” contestato è stato concepito e viene commercializzato. Si
tratta, è vero, di una predisposizione che, al pari della versatilità nel canto o nella pittura, non si può
instillare, se non è insita nella persona; e non si ha la pretesa che l’attore debba riderne e, tuttavia, aver
sottoposto la questione ad un Giudice denota una sottovalutazione delle problematiche, sottese al
proliferare delle cause, interposte senza alcuna ragione apprezzabile e senza alcuna norma che possa
validamente essere invocata, quindi con abuso di processo, ex art. 96, comma 3 c.p.c., pacifica essendo
la infondatezza della domanda, stante la irrilevanza delle doglianze; convenuto ritiene che la sua
condotta sia priva della rilevanza penale, necessaria perché possa ipotizzarsi la sua riconducibilità nella
fattispecie di cui all’art. 595 c.p. e/o 2043 c.c. che, pur essendo a forma libera, devono pur sempre
assumere una forma intellegibile all’esterno, esser tali da compromettere in modo apprezzabile il bene
protetto, essere riconducibili ad un agente consapevole ed essere idonea a generare danni risarcibili,
presupposti questi del tutto assenti nella condotta censurata.
Ha ribadito che l’esposizione non volontaria, né percepibile da parte dei telespettatori, degli oggetti
incriminati, sulla libreria, posta alle spalle del convenuto, nel corso del suo intervento nella
trasmissione “Tagadà” del 13 febbraio 2019, deve infatti considerarsi del tutto priva di portata lesiva e
diffamatoria.
Ciò si evince con certezza dal fatto che, come documentato, solo ingrandendo alcuni fotogrammi, era
risultato possibile ed ancora con qualche difficoltà percepire le immagini “incriminate”. Si ribadisce,
inoltre, come il convenuto si fosse collegato con il programma non, come di consueto, dalla sala
riunioni della sede romana del quotidiano che dirige bensì, poiché detta sala era occupata, dalla propria
stanza, nella quale egli è solito riporre anche i gadget ricevuti da amici e dai suoi lettori. Tale decisione
era stata presa dalla struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci,
all’insaputa del convenuto, che di fatto è arrivato a cose fatte e senza alcun suo consenso preventivo.
Dette circostanze, sono state pienamente confermate dalla medesima Caterina Minnucci, escussa come
teste all’udienza del 9 giugno 2022.
Dunque, la estemporanea utilizzazione della sua stanza come set televisivo, a sua insaputa, testimonia
la assoluta mancanza di volontà diffamatoria o altrimenti lesiva in capo al convenuto, potendosi così
escludere che lo stesso abbia agito lasciando volutamente o collocando a bella a posta gli oggetti de
quibus nella sua libreria durante il collegamento, così come asserito dalla controparte.
Ciò per tacere della inesistente carica lesiva di tali oggetti, in sé considerati, tanto che l’attore, al fine
di predisporre una domanda, palesemente infondata, è stato costretto ad interpretarli, conferendo loro
un significato che non avevano e solo per convenire per l’ennesima volta in giudizio il convenuto.
Come si legge nei suoi atti, infatti, interpretando in modo strumentale l’asserito pensiero del convenuto
che egli, lo si ribadisce, non ha mai espresso, l’attore ha sostenuto che gli sarebbero state indirizzate
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espressioni quali “PERICOLOSA” "MERDA" o “uomo di ...”, “politico di …”, “pericoloso perché una
…”.
Si tratta, tuttavia, di una interpretazione arbitraria ed in malam partem – che non potrà, perciò, formare
oggetto di valutazione ai fini del decidere- di immagini televisive del tutto neutre, non percepibili se
non allargate ed ingrandite, interpretazione che non appare idonea a supportare la domanda attrice e
che prova, d’altro canto, la loro inidoneità offensiva. Anche se il convenuto è noto per la sua tecnica
comunicativa, ironica, satirica, corrosiva, peraltro, mai si è affidato all’uso di insulti plateali, tanto che
l’attore -che ha promosso nei suoi confronti, come scrive, ben 15 cause- mai ha avuto modo di dolersi
di un loro utilizzo nei suoi confronti
Si rileva, inoltre, la totale assenza del necessario elemento soggettivo, sia sotto il profilo della
volontarietà e, quindi, del dolo, sia anche sotto il profilo della colpa, dal momento in cui, come
confermato anche dalla teste escussa, il collegamento era stato organizzato, all’insaputa del convenuto,
eccezionalmente nella sua stanza.
A quanto sopra deve aggiungersi che gli oggetti in questione sono gadget goliardici, liberamente
reperibili in commercio, che possono essere acquistati su Ebay, ove è possibile persino scegliere il
soggetto rappresentato: Berlusconi, Renzi, Boldrini, Macron (cfr. doc. 7) mentre Amazon offre
l’opzione Trump (cfr. doc. 8).
La collocazione di tali oggetti, come detto, era tale da non poterne percepire il reale contenuto,
assistendo alla trasmissione in Tv, come si evince dalla semplice visione della puntata (cfr. doc. 9).
Difatti, contrariamente a quanto ex adverso asserito, l’unico elemento vagamente percepibile era, al
più, la faccia dell’attore, mentre il materiale organico “fumante”, il contenuto del cartello ed il
rotolo di carta igienica non risultano affatto intellegibili.
Non solo, ma se ciò non bastasse, oltretutto è evidente ictu oculi che loro collocazione in prossimità
del capo del convenuto ne ha pure causato il frequente oscuramento.
Quanto sopra rilevato trova ulteriore conferma nel totale silenzio che è seguito sull’argomento, subito
dopo la messa in onda della trasmissione, sia da parte dell’attore, che dei media. Difatti, qualora gli
oggetti in questione fossero stati percepibili nella loro materialità, già durante l’intervento o subito
dopo, numerose e rumorose sarebbero state le reazioni dell’attore -che si è sempre mostrato piuttosto
incline a preannunciare iniziative giudiziarie nei confronti del convenuto- di chi lo segue e degli organi
di stampa.
La propalazione della vicenda, il clamore che ne è seguito e le eventuali conseguenze, invece, sono
esclusivamente riconducibili alla risonanza mediatica suscitata dalle “principali testate giornalistiche
(cartacee e digitali) nazionali”, evocate dall’attore che, solo nei giorni successivi, hanno allargato le
immagini fino a renderle chiaramente e per la prima volta visibili, così dando consistenza ad un fatto
che, se fosse stato ignorato, come avrebbe dovuto, non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, perché
nessuno si era, né si sarebbe, accorto di nulla. E difatti, come già ampiamente dedotto, solo nel
pomeriggio del giorno successivo alla trasmissione, i giornalisti di Open, il quotidiano fondato da
Enrico Mentana, avevano individuato sia di chi fosse il viso, non identificabile dunque, sul rotolo, sia la
scritta che vi sarebbe comparsa (cfr. doc. 13-14).
Non ci sono quindi dubbi che nel collegarsi con la trasmissione del 13 febbraio 2019, il convenuto –
considerato il posizionamento degli oggetti, messi in secondo piano e parzialmente coperti dalla sua
testa, la loro corrispondenza con la sua nuca e l’assoluta mancanza di precedenti della modalità
comunicativa ipotizzata, in una con la casualità del luogo del collegamento – non abbia in alcun modo
né deliberatamente, né volontariamente veicolato immagini diffamatorie o, comunque, lesive per
l’attore. Difetta, dunque, in radice anche la necessaria prova dell’elemento soggettivo della condotta
ipotizzata, con conseguente infondatezza della domanda. A quanto sopra si deve aggiungere che,
contrariamente a quanto asserito dalla controparte, prima dei fatti per cui è causa, il convenuto si era
collegato da quella stanza solo una volta nel 2016, solo una volta nel 2017 e solo una volta nel 2018.
Gli altri collegamenti citati dall’attore sono, invece, stati effettuati da casa del convenuto. Se ne desume
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che l’ubicazione della diretta sia stata circostanza del tutto eccezionale e non consueta, come invece
vorrebbe far credere l’attore. Esclusa la sussistenza del reato di diffamazione, stante l’evidente
mancanza di dolo nella condotta del convenuto, del tutto inconferente deve, poi, ritenersi il richiamo
all’art. 2043 c.c., effettuato dall’attore al fine di legittimare la domanda risarcitoria. Si rileva, infatti,
l’assoluta assenza e la mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie sopra
richiamata (fatto illecito, sia esso doloso o colposo, danno ingiusto e nesso di causalità tra condotta
illecita e danno).
Escluso il dolo, per tutti i motivi già ampiamente dedotti, deve inoltre escludersi anche la condotta
colposa del convenuto, in quanto il collegamento -come già sottolineato in precedenza- era stato
organizzato dalla struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci, all’insaputa
del convenuto, che di fatto è arrivato a cose fatte e senza alcun consenso preventivo di quest’ultimo.
Per quanto poi concerne la recente sentenza citata da controparte, che sarebbe stata emessa dal
Tribunale di Firenze, con riferimento alla rappresentazione dell’attore nelle vesti del “Mostro di
Firenze”, se ne rileva la palese irrilevanza e, comunque, la assoluta inutilizzabilità ai fini del presente
giudizio.
Detta pronuncia, infatti, oltre ad avere per oggetto, per quel che scrive l’attore, un’espressione
(ovviamente) in nessun modo assimilabile a quello del presente giudizio, non è stata nemmeno prodotta
dalla controparte, ed anzi la sua ricerca nelle banche dati ha avuto esito negativo. Per quanto concerne,
infine, l’esorbitante danno, di cui controparte chiede il risarcimento, pari a mezzo milione di euro (!), si
ribadisce l’assoluta mancanza di prova, in ordine alla sua sussistenza, oltre che al nesso di causalità sia
tra la condotta e l'evento di danno, inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato (nesso di
causalità materiale) sia tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili (nesso di causalità
giuridica), nonché l’eccessività della quantificazione effettuata dall’attore, per tutti i motivi già esposti
nei precedenti scritti difensivi.
La causa è stata istruita con documenti, audizione di testi e un video su cd e spedita a sentenza in data
18.10.22 con concessione die termini ex art. 190 c.p.c.
***
Tanto premesso si osserva quanto segue.
Dalla stessa narrativa del fatto, emerge che la presunta diffamazione deriva non già dall’intervista,
ovvero dalle parole proferite da Marco travaglio a Tagadà ma indirettamente dal fatto che dietro la sua
persona si trovasse una libreria con libri e oggetti vari tra cui degli oggetti assuntivamente tali da
incidere negativamente sulla reputazione dl politico Matteo Renzi.
La diffamazione dunque si sarebbe attuata in forma mediata non attraverso le parole dell’intervistato, in
primo piano, ma attraverso la valenza comunicativa degli oggetti posti in secondo piano e che stavano
alle sue spalle, e in particolare un rotolo di carta igienica con il volto dell’attore sul lembo mobile e due
disegni ritraenti un segnale di pericolo e un escremento e separata un’immagine dell’attore.
Guardando il video dell’intervista, non emerge invero il detto carattere diffamatorio in quanto in primo
piano si trova il giornalista Travaglio che parla e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi sulle sue
parole e poco sugli oggetti della libreria; quindi non si può affermare che sia più probabile che non, il
fatto che i telespettatori avessero notato quei piccoli dettagli alle spalle dell’intervistato; non si vede
nemmeno bene che si tratti di un rotolo di carta igienica, e comunque l’immagine dell’attore non è
percepibile perché troppo piccola o coperta dal capo dell’intervistato o sgranata dal fatto di essere in
secondo piano, spesso ripreso da lontano; l’accostamento al rotolo della carta igienica di un
personaggio politico è poi effettivamente diffusa sui rotoli che vengono venduti su Ebay e Amazon che
ritraggono scherzosamente anche altri personaggi della politica nazionale e internazionale.
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Le vendite di questi prodotti sono lecite per cui è verosimile che trattasi di regalo o gadget recapitato a
Travaglio e da lui riposto tra i vari regali nella sua libreria della stanza personale dove normalmente
non rilascia le interviste; come, infatti, ci ha spiegato Minnucci Paola, effettivamente l’intervista si era
avuta in studio con la partecipazione dei tecnici di Tagadà che andarono a Roma e predisposero il tutto
per poterla acquisire; la sala riunioni con la parete fissa normalmente impiegata nei tardi pomeriggi era
in quel momento occupata e per questo motivo e senza premeditazioni di sorta i tecnici di Tagadà
svolsero l’intervista nella stanza personale del direttore del giornale dove si trovava la libreria piena di
oggetti, regali e gadget, tra cui appunto anche il rotolo in questione.
Come ribadisce la Corte di Giustizia a commento dell’art. 11 della CEDU la satira (in questo caso
riferibile anche a un terzo estraneo al giudizio) è espressione di libertà democratica e un uomo politico
deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere
sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi.
La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli
uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante. Si veda
l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea e il controllo della Corte di
Giustizia sul rispetto da parte degli stati aderenti, sul tema della libertà di espressione, affinchè non si
vadano a creare ostacoli alle libertà fondamentali previste dal Trattato dell’Unione, tra cui la libertà di
espressione e il pluralismo di media.
Come afferma la sentenza corte di giustizia nella nota sentenza 7.12.76 Handyside la corte di
Strasburgo ha qualificato la libertà di espressione come la “precondizione” per l’esercizio e il
godimento di tutti gli altri diritti, fondamentali, ed è sia un diritto fondamentale, sia lo strumento di
tenuta delle libertà fondamentali degli stati democratici sicchè si può affermare che il livello di
democrazia effettiva di uno stato si può valutare dalla maggiore o minore estensione della libertà di
espressione e massimamente dalla satira politica.
Dunque seppure si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole
dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza
comunicativa e seppure si volesse vietare la possibilità di farsi riprendere con vignette o immagini
caricaturali di personaggi politici anche accostati alla carta igienica o ritratti sulla carta igienica, resta
comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini
satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché
solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico. Si noti,
infatti, che la corte di cassazione italiana nega che alla satira possa applicarsi il limite della continenza
per sua natura esclusa dalla satira che è eccessiva graffiante e smodata.
Quanto alle sentenze che se da un lato negano la necessità della continenza per il messaggio satirico
dall’altro, tuttavia, richiedono la funzionalizzazione della satira ad un messaggio politico si rileva che
in realtà la satira potrebbe tradursi esclusivamente nella messa alla berlina dl personaggio pubblico,
anche senza un sottostante messaggio politico, ovvero il vignettista o il satirico potrebbe anche non
avere alcun messaggio politico da proporre, potrebbe anche essere un soggetto “a-politico” ed essere
comunque libero di ridicolizzare e mettere alla berlina un personaggio pubblico, anche al di fuori di un
ben preciso accadimento storico e di un fatto politico, perché non risulta alcun elemento normativo che
suggerisca che la libertà di satira e di espressione debbano necessariamente veicolare un messaggio
politico o una critica politica per essere “giustificabili”; anzi la mera rappresentazione del volto dei
politici deformati, con caricature somatiche è sempre stata ritenuta legittima proprio come espressione
di satira, avulsa da messaggi o contenuti politici tecnicamente intesi, detta proprio satira politica solo
per l’oggetto, ossia per i personaggi politici che ne formavano l’oggetto.
Altrimenti si dovrebbe dire che la satira si possa ammettere solo se il personaggio politico viene
rappresentato nell’atto di compiere un’azione politica, o in collegamento con un episodio politico di
attualità ben preciso, il che non è.
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In ogni caso, nel caso in oggetto non ci sono né parole, né immagini riferibili direttamente a Marco
Travaglio, come accadrebbe se si trattasse di una sua vignetta, soggetto al quale possa ricondursi il
carattere presuntivamente diffamatorio dell’immagine dell’attore impressa, ed è emersa la prova che la
presenza di piccoli oggetti nemmeno evidenti alle sue spalle, non solo non era mediamente percepibile
da uno spettatore medio, ma non è risultata nemmeno voluta dal convenuto, che si trovava lì per
l’eccezionalità dell’intervista nella fascia oraria pomeridiana invece che tardo pomeridiana allorquando
la sala a ciò dedicata risultava occupata..
In ogni caso lo spettatore attento che avesse avuto modo di accorgersi di quelle piccole immagini alle
spalle del convenuto, e dunque in secondo piano, in mezzo per giunta a tanti altri oggetti, avrebbe avuto
casomai, secondo l’id quod plerumque accidit, una semplice reazione di mera ilarità, ma non si sarebbe
certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore, rispetto a
quella che aveva prima dell’intervista di Travaglio su Tagadà, perché si sarebbe reso contestualmente
conto del carattere satirico delle immagini, tale da non incidere negativamente sulla reputazione
dell’attore; si ritiene quindi difetti anche la prova dell’an di danno, che difatti non è stato nemmeno
allegato.
A questi argomenti si aggiunge che la valutazione dell’equilibrio tra libertà di espressione e reputazione
dell’uomo pubblico al potere, spetta in ultima analisi alla suprema corte di giustizia che applica l’art. 10
della convenzione, per cui diviene rilevante la disamina delle pronunce della Corte sull’art. 10
Convenzione; ebbene in un caso esaminato dalla Corte di Giustizia, sentenza del 10.10.2022, i politici
furono messi alla berlina in modo molto più eclatante e per giunta utilizzando internet con portata
diffusiva maggiore; in particolare i politici al potere erano raffigurati come l’asino dai capelli bianchi
che indossava un abito e la scrofa con i capelli biondi che indossava calze di pizzo, reggicalze e tacchi
alti, circondati da maiali; tutti brandivano spade e bandiere.
Caso: Patricio Monteiro Telo de Abreu contro Portogallo. Numero del Ricorso:
42713/15 provvedimento del 10/10/2022 Sezione 4
nella sentenza è scritto al punto n. 21 “Il 26 febbraio 2015 la corte d’appello di Evora emise la
sua sentenza, nella quale rammentava che il diritto alla libertà di espressione e il diritto all’onore non
erano diritti assoluti, e presentavano dei limiti, cosicché doveva essere raggiunto un giusto equilibrio
tra gli stessi. La corte d’appello considerò inoltre che, sebbene fosse vietata ogni forma di censura, era
lecito sanzionare gli abusi della libertà di espressione, come la diffamazione. Tenuto conto di queste
considerazioni, essa analizzò il caso nel modo seguente: «(...) l’aver fatto pesantemente riferimento alla
sfera sessuale è stato per forza di cose lesivo dell’immagine, della dignità e del credito dell’assistente,
in quanto la caricatura nella quale quest’ultima è rappresentata come una scrofa mezza nuda che
indossa accessori come calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti porterebbe chiunque a vederci una
prostituta, una donna di facili costumi di cui ci si potrebbe approfittare, una depravata e una donna
ipersessuale, caratteristiche che urtano la dignità di qualsiasi persona (anche se si trattasse davvero di
una prostituta, il che ovviamente non è vero nel caso di specie) e, di conseguenza, la dignità e
l’immagine dell’assistente. Inoltre, presentando la scrofa in posture che suggeriscono l’esistenza di una
relazione intima tra quest’ultima e l’asino, ossia tra l’assistente e il sindaco di Elvas, [tali caricature]
offendono non soltanto la reputazione dell’assistente, ma anche la sua intimità.
Al punto 35 recita:
35. I principi fondamentali
per quanto riguarda il carattere «necessario in una società democratica» di un’ingerenza nell'esercizio
della libertà di espressione sono ben fissati nella giurisprudenza della Corte e sono stati sintetizzati
nella sentenza Bédat c. Svizzera ([GC], n. 56925/08, § 48, 29 marzo 2016) in questi termini: «i. La
libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti su cui si basa una società democratica, ed è
una delle condizioni primarie del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno. Fatto salvo il
paragrafo 2 dell'articolo 10, essa vale non soltanto per le «informazioni» o le «idee» accolte con
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favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o
inquietano: così esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non
esiste una «società democratica». Come sancita dall’articolo 10, tale libertà è soggetta a eccezioni,
che sono tuttavia di interpretazione restrittiva, e la necessità di limitarla deve essere accertata in
maniera convincente (...). ii. L'aggettivo «necessarie», ai sensi dell'articolo 10 § 2, implica un
«bisogno sociale imperioso». Gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento
per valutare l'esistenza di un tale bisogno, margine che è tuttavia associato a un controllo europeo
riguardante sia la legge che le decisioni che la applicano, anche quando queste ultime provengono
da una giurisdizione indipendente. La Corte è dunque competente per decidere in ultima analisi
sulla questione se una «restrizione» si concili con la libertà di espressione protetta dall’articolo
10. iii. Quando esercita il suo controllo, la Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità nazionali
competenti, ma di verificare, sotto il profilo dell’articolo 10, le decisioni emesse da queste ultime in
virtù del loro potere discrezionale.
36. La Corte rammenta che l'articolo 10 § 2 non lascia spazio per restrizioni della libertà di
espressione nell'ambito del discorso e del dibattito politico – nel quale la libertà di espressione
assume la massima importanza – o delle questioni di interesse generale (Lindon, Otchakovsky
Laurens e July c. Francia [GC], nn. 21279/02 e 36448/02, § 46, CEDU 2007 IV). I limiti della critica
ammissibile sono più ampi nei confronti di una personalità o di un partito politico che nei
confronti di un semplice cittadino: a differenza di quest’ultimo, i primi si espongono
inevitabilmente e volontariamente a un controllo vigile dei loro fatti e comportamenti sia da parte
dei giornalisti che da parte dei cittadini; di conseguenza, essi devono dimostrare una maggiore
tolleranza (Magyar Jeti Zrt c. Ungheria, n. 11257/16, § 81, 4 dicembre 2018).
Una personalità politica ha certamente diritto a che la sua reputazione sia protetta, anche fuori
dall'ambito della sua vita privata, ma gli imperativi di questa protezione devono essere bilanciati con
gli interessi della libera discussione delle questioni politiche, e le eccezioni alla libertà di espressione
richiedono un'interpretazione stretta (si vedano Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, nn.
51168/15 e 51186/15, § 32, 13 marzo 2018, e i riferimenti ivi citati).
Inoltre, anche se il diritto alla protezione della reputazione è un diritto che rientra, in quanto elemento
della vita privata, nell'articolo 8 della Convenzione, affinché sia applicabile quest’ultimo articolo
l’offesa alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità, ed essere stata
arrecata in modo tale da causare un pregiudizio per il godimento personale del diritto al rispetto
della vita privata. Questa condizione vale per la reputazione sociale in generale e per la
reputazione professionale in particolare (Medžlis Islamske Zajednice Brčko e altri c. Bosnia
Erzegovina [GC], nn. 17224/11, §§ 76 e 105-106, 27 giugno 2017).
37. Nelle cause come quella odierna, in cui la Corte è chiamata a pronunciarsi su un conflitto tra due
diritti ugualmente protetti dalla Convenzione, la Corte deve procedere a un bilanciamento degli
interessi in gioco. L'esito del ricorso non può, in linea di principio, variare a seconda che il ricorso sia
stato proposto dinanzi ad essa sotto il profilo dell'articolo 8 della Convenzione, dalla persona che è
oggetto dell'opera o, sotto il profilo dell'articolo 10, dall’autore della stessa, In effetti, questi diritti
meritano a priori di essere rispettati allo stesso modo. Pertanto, il margine di apprezzamento dovrebbe,
in linea di principio, essere lo stesso in entrambi i casi (Bédat, sopra citata, § 52). In questo contesto, i
criteri pertinenti da prendere in considerazione sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la
notorietà della persona interessata, l'oggetto del servizio giornalistico, il comportamento precedente
della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del
caso, le circostanze in cui sono state scattate le fotografie. Nell'ambito di un ricorso presentato sotto il
profilo dell'articolo 10, la Corte verifica, inoltre, in che modo siano state ottenute le informazioni e la
loro veridicità, nonché la gravità della sanzione imposta ai giornalisti o agli editori (Couderc e Hachette
Filipacchi Associés c. Francia [GC], n. 40454/07, § 93, CEDU 2015). Anche se il bilanciamento di
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questi due diritti da parte delle autorità nazionali è avvenuto nel rispetto dei criteri stabiliti nella
giurisprudenza della Corte, occorrono dei motivi seri affinché quest'ultima sostituisca il proprio parere
a quello dei giudici interni (Palomo Sánchez e altri c. Spagna [GC], nn. 28955/06 e altri 3, § 57, CEDU
2011).
Al punto 44 la Corte rileva: “i giudici nazionali, non hanno accordato sufficiente importanza al fatto
che qualsiasi eletto si espone necessariamente a questo tipo di satira e di caricatura e, di conseguenza,
deve dimostrare una maggiore tolleranza al riguardo, tanto più che, nel caso di specie, nonostante gli
stereotipi utilizzati le caricature rimanevano entro i limiti dell'esagerazione e della provocazione,
propri della satira (si confronti con Vereinigung Bildender Künstler, sopra citata, § 34, Alves da Silva,
sopra citata, § 28, e Grebneva e Alisimchik c. Russia, sopra citata, § 58; si veda anche, a contrario,
Palomo Sánchez e altri, sopra citata, §§ 67-68). Del resto, la sig.ra E.G. non era l'unica a essere
rappresentata nuda in tali caricature (paragrafo 5 supra), in quanto tutti i maiali che vi erano
rappresentati lo erano; il sindaco di Elvas, invece, era raffigurato come un asino (paragrafo 13 supra),
ossia con un'immagine evidentemente peggiorativa. Pertanto, tutti gli eletti locali sono stati presi di
mira dalle caricature in questione. In definitiva, secondo la Corte, i giudici interni non hanno
sufficientemente tenuto conto del contesto nel quale il ricorrente aveva diffuso le caricature sul suo
blog, e pertanto non hanno proceduto a un bilanciamento circostanziato dei diversi diritti in gioco.
Inoltre, non hanno tenuto conto degli elementi della satira politica, sopra elencati, che derivano dalla
giurisprudenza della Corte, e non hanno fatto alcun riferimento alla giurisprudenza della Corte in
materia di libertà di espressione.
La Corte ha concluso che “La condanna del ricorrente non era dunque necessaria in una società
democratica.
48. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 10 della Convenzione”.
Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia i cui principi il giudice interno deve applicare in
rapporto ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, compatibili con la parte rigida e i diritti
fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni interne europee, e considerata l’inoffensività del fatto
come emerge oggettivamente proprio dal video e persino la incolpevolezza del fatto, come emerge
dalle dichiarazioni della teste escussa, considerato infine che il danno da diffamazione è tabellato nelle
tabelle di Milano e giunge al massimo ad euro 50.000,00 che può essere incrementato con
ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere ad un importo
siffatto; considerato che stando alle decisione dell’unione europea l’essere un personaggio pubblico
lungi dal poter determinare 500 mila euro di danno, è, caso mai, criterio di valutazione della
insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere; ebbene
tutto ciò considerato si ritiene sussistano le condizioni dell’abuso del processo, con conseguente
applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., liquidando al giornalista Marco Travaglio e a carico di Renzi
Matteo, il triplo delle spese legali liquidate, giusta cass. sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022
conforme a cass. sez. 6 - 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012 che recita: “In tema di responsabilità
aggravata, il terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69,
disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una "somma
equitativamente determinata", non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario
del quarto comma dell'art. 385 cod. proc. civ., che, prima dell'abrogazione ad opera della medesima
legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari.
Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere
calibrata anche sull'importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l'unico limite della
ragionevolezza. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la
decisione di merito, che aveva condannato il soccombente a pagare una somma non irragionevole in
termini assoluti e pari al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari).
pagina 11 di 12
Si veda per la funzione punitiva e sanzionatoria dell’art. 96 comma 3 c.p.c. cass. sez. 3 - , Ordinanza n.
17902 del 04/07/2019 che convalida il criterio del triplo delle spese liquidate. Cionondimeno poiché qui
le spese ammontano ad euro 21 mila calcolate sulla base dell’importo del tutto eccessivo della domanda
rigettata, si liquida l’indennizzo al doppio delle spese legali liquidate.
p.q.m.
il tribunale
con sentenza che definisce il giudizio
• rigetta la domanda dell’attore;
• condanna l’attore a rimborsare le spese di costituzione e difesa sostenute dal convenuto,
liquidandole in euro 21.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.
• Condanna Matteo Renzi ad indennizzare Marco Travaglio corrispondendo euro 42.000,00 ai
sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c.
Firenze il 31/01/2023
Il Giudice dott.ssa Susanna Zanda
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[La sentenza] Renzi perde la causa contro Travaglio per la carta igienica. Dovrà risarcirgli 42mila euro

  • 1. RG n.7918 /2020 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FIRENZE Sezione civile seconda Giudice dott.ssa Susanna Zanda Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa promossa da MATTEO RENZI RNZMTT75A11D612H domiciliato/i presso SEGHI NICCOLO’ VIAALFONSO LAMARMORA 38 50121 FIRENZE RENZI Attore/ricorrente Contro MARCO TRAVAGLIO TRVMRC64R13L219G dom.to presso CORSO DI PORTA VITTORIA 28 20122 MILANO CONVENUTI CONCLUSIONI Nell’interesse dell’attore: - «Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza o eccezione, per i motivi esposti in narrativa dell’atto di citazione e nei successivi atti difensivi, accertare e dichiarare la responsabilità del convenuto Marco Travaglio per il delitto di diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo radiotelevisivo (art. 595.1 e 3 c.p.) e la natura di illecito extracontrattuale delle condotte censurate (art. 2043 c.c.) e quindi condannare parte convenuta al risarcimento dei danni morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali cagionati all’attore, ex artt. 185 c.p., 1226, 2059 c.c. indicati nella somma di Euro 500.000,00, salva quella diversa maggiore o minore somma che risulterà di giustizia; ordinare la pubblicazione del dispositivo della emananda sentenza a cura dell'attore e a spese della parte convenuta sui quotidiani "Il Corriere della Sera", "La Repubblica", "Il Sole 24 Ore", "La Stampa", "La Nazione", “Il Secolo XIX”, "Il Fatto Quotidiano", “Libero”, "il Giornale", "L'Unità", salvo altri. Con vittoria di spese e competenze» Nell’interesse del convenuto: nel merito: - rigettare integralmente tutte le domande ex adverso formulate, perché infondate tanto in fatto quanto in diritto e, comunque, non provate, per i motivi esposti nella parte motiva; - valutare d’ufficio ed accertare che la condotta dell’attore integra gli estremi dell’abuso di processo, ex art. 96, comma 3 c.p.c. e, per l’effetto, liquidare in favore del convenuto l’indennità in esso prevista, in via equitativa, ma proporzionata all’entità del danno allegato. Con vittoria di spese di lite, competenze ed onorari di causa Concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione . B) Ugualmente priva di pregio è l’argomentazione per cui l’oggettistica esposta dal Travaglio
  • 2. risulterebbe inoffensiva a causa della sua ‘facile’ reperibilità in commercio: che un bene sia in vendita pagina 1 di 12 su Ebay non può certo costituire un lasciapassare ad un suo utilizzo indiscriminato per finalità illecite e diffamatorie, in quanto non può scalfire minimamente l’offensività della condotta. Trattasi di una deduzione di logica comprensibilità che non merita le digressioni giuridiche di controparte. C) Quanto all’asserito carattere di satira goliardica che il comportamento del convenuto dovrebbe assumere (rinviando a quanto già argomentato alle pp. 5 ss. dell’atto di citazione), preme ricordare che anche la satira sottostà a limiti ben precisi. Posto che, comunque, nel caso di specie, la satira era oggettivamente ‘assente’ (per il contesto e per le affermazioni di riferimento), si ribadisce come neppure al diritto di satira è consentito trasmodare nell’attacco personale e gratuito per ledere il diritto altrui all’integrità morale ed alla dignità (ex multis Cass. Pen., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38437 «trasformare, cioè, la notizia in argumenta ad hominem, il cui scopo, lungi dall’essere quello di formulare una censura articolata e giustificata dell'operato del soggetto in questione, è esclusivamente quello di denigrare la persona in quanto tale»). Detto altrimenti, i toni irridenti e talvolta ridicolizzanti dell’umorismo satirico non possono mai affrancarsi dal contesto fattuale di riferimento, rispetto al quale devono presentare uno stretto nesso di funzionalità: la burla, lo scherzo, l’estremizzazione pungente di alcune caratteristiche personali deve SEMPRE risultare ‘utile’ e connessa allo sviluppo del messaggio critico che si intende veicolare (v. ex multis Cass., Civ., n. 6919/2018; Cass. Pen., n. 3286272019). Anche tale osservazione attiene ad un’etica comportamentale che viene prima delle argomentazioni giuridiche. Tali assunti sono stati nuovamente recepiti in una recentissima pronuncia giurisprudenziale riguardante l’odierno attore: la rappresentazione di Matteo Renzi nelle vesti di Pacciani, il noto “Mostro di Firenze”, è stata ritenuta diffamatoria perché decontestualizzata e, dunque, gratuita, rispetto a quello che era l’oggetto di narrazione dell’articolo: «Nel caso di specie, è stato oltrepassato il limite della funzionalità dell’ immagine satirica all’espressione di un dissenso ragionato rispetto alla vicenda oggetto dell’articolo. Non si coglie, infatti, quale possa essere il collegamento fra la rappresentazione di Matteo Renzi nelle vesti di Pacciani e la vicenda delle nomine dei dirigenti del Comune di Firenze cui si fa riferimento nell’articolo» (Trib. Di Firenze, dott. Massimo Donnarumma, del 22.11.2022). Appare dunque di immediata comprensione l’assenza di qualsivoglia funzionalità critica della condotta del Travaglio nell’aver rappresentato Renzi come un escremento rispetto ad un contesto in cui non si parlava di lui e non si faceva satira. D) I convenuti hanno sostenuto, poi, l’assenza di dolo da parte dell’autore della condotta censurata e la conseguente impossibilità di ravvisare – in concreto – gli elementi costituitivi della fattispecie di cui all’art. 595 c.p. E ciò, a dire di controparte, sarebbe da desumersi: (i) dal fatto che l’attore avesse lecitamente posto tali oggetti sulla propria libreria, in un momento antecedente rispetto alla data di collegamento; (ii) dal fatto che il collegamento fosse avvenuto in via del tutto eccezionale ed ‘improvvisata’ dallo studio del direttore anziché dalla sala riunioni. Al contrario, tali deduzioni non escludono l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, perché sussistono elementi fattuali convergenti ed inequivoci a dimostrare esattamente il contrario di quanto la difesa dei convenuti sostiene: ossia la piena volontarietà dei fatti contestati al Travaglio. Ciò risulta di palmare evidenza da quanto l’attore ha già dedotto e provato con le produzioni documentali allegate all’atto di citazione (pp. 6-7; all.ti 3a-3b) e alla propria memoria numero 1 (v. pp 4-5, e i link ivi richiamati nelle note a piè di pagina da 2 a 8), tutte riguardanti interventi del Travaglio dal proprio studio personale. Il numero di tali interventi, la variabilità degli oggetti ‘messi in scena’, unitamente alla loro, solita esposizione ‘frontale’, dimostrano come (in realtà) la libreria personale del direttore costituisse uno strumento comunicativo normalmente utilizzato dal medesimo per realizzare una vera e propria tecnica
  • 3. comunicativa ad hoc, finalizzata ad inviare messaggi mediatici particolari, solitamente diretti a politici. Non v’è dunque dubbio alcuno che Marco Travaglio, la sera del 13 febbraio 2019, avesse deliberatamente e volontariamente veicolato tali immagini diffamatorie, in perfetta continuità stilistica pagina 2 di 12 con quanto già fatto in precedenza con i plurimi, altri interventi richiamati. Peraltro, in tal senso, depongono le stesse argomentazioni sostenute dalla difesa avversaria, e in particolare: - il fatto che il collegamento sia avvenuto in maniera eccezionale e non prevista dalla stanza del direttore avrebbe dovuto, presuntivamente, richiedere un’attenzione non certo ridotta, bensì maggiore rispetto agli oggetti che erano presenti in tale ambiente al momento della registrazione di un intervento destinato a finire in prima serata su una delle prime emittenti televisive al livello nazionale; - il fatto che si trattasse proprio della stanza personale del Travaglio, avrebbe dovuto portarlo ad avere ‘ben presente’ (i.e. piena cognizione e consapevolezza di) cosa rientrasse o meno nell’inquadramento della telecamera, specie in riferimento agli oggetti collocati a prima vista sulla sua libreria che - come visto - erano tutt’altro che frutto di una collocazione casuale; - il fatto, poi, per cui il Travaglio collocasse normalmente e ordinariamente (quasi a mo’ di ripostiglio, di deposito), nella propria stanza personale, tutti i gadget e il materiale vario ricevuto dalla redazione anche dai propri fan, (tra cui “cimeli” simili a quelli oggetto di causa) porta senz’altro a ritenere che il medesimo dovesse stare – semmai – particolarmente attento a cosa avesse ‘alle spalle’. Comunque, è bene ripeterlo, gli oggetti in parola certo non rientrano in un insieme ‘ammassato ed indistinto’ di gadget, ma appaiono accuratamente posizionati e ben visibili al centro della libreria, proprio dall’esatto punto (si badi al caso) in cui il collegamento è avvenuto; - infine, il fatto che la sala riunioni fosse normalmente in condivisione dalla 9,00 alle 18,00, avrebbe dovuto condurre tutti i potenziali interessati da registrazioni televisive ad un controllo serrato e particolarmente attento delle proprie stanze personali, atteso l’elevato ‘rischio’ che, in tale fascia oraria, il collegamento avvenisse proprio da queste! D) Ciò posto (ferma, quindi, la coscienza e volontà del Travaglio rispetto al comportamento censurato , cioè, del dolo), occorre sottolineare come – a ben vedere – l’illecito civile di cui all’art. 2043 c.c., tutelato sotto il profilo del “danno-conseguenza” di carattere non patrimoniale dall’art. 2059 c.c., dia luogo ad una fattispecie notoriamente atipica, che ben può svincolarsi dagli elementi tassativamente e analiticamente definiti dalla norma di matrice penalistica. In altri termini, e più nel dettaglio, laddove la condotta contestata rappresenti un fatto (indifferentemente) doloso o colposo e, tale fatto, abbia dato luogo ad una lesione di diritti costituzionalmente tutelati ex art. 2 Cost. e a danni risarcibili, si deve riconoscere l’integrazione della condotta illecita ex art. 2043 e – ciò – a prescindere dal fatto che sia o meno compiutamente integrata la corrispondente fattispecie di reato (SS. UU., n. 26978/2008). Ne consegue che se anche il reato di diffamazione richiede il dolo come elemento soggettivo tipico, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. deve portare a riconoscere la risarcibilità della lesione all’altrui reputazione determinata da comportamento anche di natura solo colposa: «ogni qualvolta risulti integrata la fattispecie normativa di cui all’art. 2043 c.c., e quindi anche fondata sulla sola colpa (ed addirittura una delle fattispecie specifiche di responsabilità oggettiva, ad esempio artt. 2049, 2051, art. 2054 c.c.), se l’evento lesivo attiene ad un valore della persona costituzionalmente tutelato, il danno-conseguenza non patrimoniale, di cui all’art. 2059 c.c., è risarcibile, anche se tale fatto o non è proprio previsto dalla legge come reato o non integra reato» (Cass. civ., 16 giugno 2018, n. 15742; Trib. Roma, 1° giugno 2017, n. 11103; Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157). Ne consegue che se anche il Travaglio avesse agito a titolo di mera colpa (il che, sicuramente non è perché, come visto, trattasi di un comportamento dallo stesso voluto), il danno prodotto alla reputazione dell’attore, provato ed evidente (basti pensare alla risonanza mediatica assunta dal caso e alla percezione DIFESA DI MARCO TRAVAGLIO
  • 4. Il giornalista Travaglio si è difeso sostenendo che non susiste alcun dnano risarcibile per i seguenti motivi. Il 13 febbraio 2019, invitato come ospite dalla trasmissione Tagadà, in onda su La 7, il convenuto si collegava dalla sede del quotidiano che dirige, con il programma, che andava in onda nel primo pomeriggio e in diretta. Come si desume dall’allegata e-mail dell’emittente (cfr. doc. 1) la produzione pagina 3 di 12 di Tagadà inviava, presso la sede del quotidiano che egli dirige, due operatori, perché si occupassero del collegamento, necessario per consentire il suo intervento in diretta. Il convenuto, infatti, non partecipava alla trasmissione, come avviene oggi, via Skype o Zoom, con l’impostazione dell'inquadratura in autonomia, ma in collegamento dalla redazione di Roma, eccezionalmente ripreso nella sua stanza, per ragioni contingenti, come chiaramente sarebbe emerso nel corso dell’istruttoria. Le dirette o registrazioni per la tv che egli effettua, infatti, di norma si svolgono tutte nel tardo pomeriggio o in serata, con collegamenti che avvengono esclusivamente dalla sala riunioni della sede romana del quotidiano, dove è stata predisposta una parete ad hoc, che serve da sfondo e che consente di porre alle sue spalle il logo della testata e alcune mazzette di giornali (cfr. docc. da 2 a 4). Non si tratta, dunque, di uno studio di registrazione, bensì della sala riunioni che, seppure attrezzata anche per le sue dirette, egli non usa in via esclusiva, se non dal tardo pomeriggio/sera, quando di norma sono previsti i collegamenti, sempre in diretta, con i programmi di approfondimento giornalistico “Otto e Mezzo” e “Di Martedì”, le uniche trasmissioni a cui partecipa in collegamento con cadenza fissa. Dalle 9.00 alle 18.00, invece, l’uso di quella sala riunioni è condiviso con gli altri rami di produzione di Seif Loft tv, la casa editrice Paperfirst ed è utilizzata anche per le riunioni di redazione (almeno 3 al giorno fino alle 17.00) o con il personale amministrativo. Il 13 febbraio 2019, invece, la diretta era prevista a partire dalle 14.15, un orario di lavoro centrale per tutti i rami produttivi e la sala, la sola della redazione, era già occupata. Siccome il collegamento non sarebbe durato più di 20 minuti in tutto e non poteva essere rinviato, la struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci - sentita a conferma di tutte le circostanze esposte e che aveva rilasciato la dichiarazione, prodotta in atti (cfr. doc. 5) sulla falsariga della quale sono stati ricostruiti i fatti- all’insaputa del convenuto, che sarebbe arrivato a cose fatte, decideva di collocare, sua sponte ed in via autonoma, eccezionalmente gli operatori nella stanza del direttore, senza alcun consenso preventivo dell’interessato, proprio per non bloccare il lavoro degli altri colleghi che occupavano, nel frattempo, la sala riunioni. Nella sua stanza il convenuto svolge il suo lavoro in redazione e lì conserva anche, trattandosi di un luogo che usa in via esclusiva, regali, foto e tutto il materiale che gli viene spedito in redazione, disposti un po' alla rinfusa sugli scaffali della libreria e sul suo tavolo, come si desume dalle immagini durante il collegamento, così come accade di solito a chiunque disponga di un locale personale ed in via esclusiva. È tutt’altra cosa, rispetto alle librerie, ordinate e un po' finte che, di norma, si predispongono, specie nell’ultimo anno, per i collegamenti televisivi, quasi sempre effettuati dalle abitazioni o dagli studi privati dei protagonisti. Nella libreria, il convenuto, in particolare, conserva alla rinfusa parte del materiale per l'archivio ancora da sistemare, i suoi libri, i libri e i cd che gli spediscono e gran parte della corrispondenza e dei regali che gli inviano i lettori, fra i quali devono essere annoverati i “cimeli”, oggetto di causa e fra i quali, più di recente, è comparsa anche la carta igienica con la faccia di Matteo Salvini (cfr. doc. 6). Si tratta, infatti, di un gadget personalizzato, che può essere acquistato su Ebay, accedendovi con questo link https://www.ebay.it/itm/2-PEZZI-rotolo-carta-igienica-fintapolitici-calcio-merd vedidescrizione/323175204946?hash=item4b3ebe4852:g:nUYAAOSw73Nau4ip: cliccando sulla finestra "scegli il soggetto" viene messo a disposizione dell’utente l'elenco delle numerose opzioni: Berlusconi, Renzi, Boldrini, Macron (cfr. doc. 7) mentre Amazon offre l’opzione Trump, al seguente link (cfr. doc. 8): https://www.amazon.it/Aubess-divertente-novit%C3%A0- presidenteigienica/dp/B07C3M78PX/ref=sr_1_5?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%9
  • 5. 5 %C3%91&crid=37P5CN6LV3ECN&dchild=1&keywords=trump+carta+igienica&qid=16115 95080&sprefix=trump+carta+igi%2Caps%2C161&sr=8-5. QUANTO alle immagini assuntivamente diffamatorie si tratta, nell’ordine, della riproduzione incorniciata della prima pagina del giornale satirico “CUORE”, su cui i migliori rappresentanti della categoria si sono formati, in cui compare un titolo, rimasto negli annali della satira - “HANNO LA FACCIA COME IL CULO” (All. 3b di controparte)- assai in voga e molto venduto, degradato a pagina 4 di 12 “quotidiano di fantasia”; e la esposizione di una statuetta citazione che ha solo l’effetto di confermare il sense of humor del leader di Forza Italia, che mai al convenuto ha chiesto 500.000 euro – o, per la verità, somme decisamente inferiori- per averla mostrata. Anche la giurisprudenza citata, difettando la materia prima sulla quale richiamarla, appare inconferente ed irrilevante, ai fini del decidere, al pari della vicenda, cui si riferisce una delle sentenze citate, la condanna per diffamazione di un giornalista che, nel riportare sul proprio blog la notizia della morte di un boss di “Cosa Nostra” (condannato per associazione di stampo mafioso e per il coinvolgimento in plurimi omicidi), affermava che il decesso di costui aveva tolto alla Sicilia “un gran bel pezzo di merda”. Il convenuto ha rilevato che la condotta in tempi normali e con un pizzico di ironia, era ed avrebbe dovuto rimanere circoscritta, anche ove fosse stata volontaria, nell’ambito della goliardia, quello spirito che di solito anima le comunità degli studenti e non solo e nelle quali, alla serietà delle questioni importanti si accompagnano il gusto della trasgressione, la ricerca dell’ironia e il piacere dello sberleffo, spirito con il quale il “prodotto” contestato è stato concepito e viene commercializzato. Si tratta, è vero, di una predisposizione che, al pari della versatilità nel canto o nella pittura, non si può instillare, se non è insita nella persona; e non si ha la pretesa che l’attore debba riderne e, tuttavia, aver sottoposto la questione ad un Giudice denota una sottovalutazione delle problematiche, sottese al proliferare delle cause, interposte senza alcuna ragione apprezzabile e senza alcuna norma che possa validamente essere invocata, quindi con abuso di processo, ex art. 96, comma 3 c.p.c., pacifica essendo la infondatezza della domanda, stante la irrilevanza delle doglianze; convenuto ritiene che la sua condotta sia priva della rilevanza penale, necessaria perché possa ipotizzarsi la sua riconducibilità nella fattispecie di cui all’art. 595 c.p. e/o 2043 c.c. che, pur essendo a forma libera, devono pur sempre assumere una forma intellegibile all’esterno, esser tali da compromettere in modo apprezzabile il bene protetto, essere riconducibili ad un agente consapevole ed essere idonea a generare danni risarcibili, presupposti questi del tutto assenti nella condotta censurata. Ha ribadito che l’esposizione non volontaria, né percepibile da parte dei telespettatori, degli oggetti incriminati, sulla libreria, posta alle spalle del convenuto, nel corso del suo intervento nella trasmissione “Tagadà” del 13 febbraio 2019, deve infatti considerarsi del tutto priva di portata lesiva e diffamatoria. Ciò si evince con certezza dal fatto che, come documentato, solo ingrandendo alcuni fotogrammi, era risultato possibile ed ancora con qualche difficoltà percepire le immagini “incriminate”. Si ribadisce, inoltre, come il convenuto si fosse collegato con il programma non, come di consueto, dalla sala riunioni della sede romana del quotidiano che dirige bensì, poiché detta sala era occupata, dalla propria stanza, nella quale egli è solito riporre anche i gadget ricevuti da amici e dai suoi lettori. Tale decisione era stata presa dalla struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci, all’insaputa del convenuto, che di fatto è arrivato a cose fatte e senza alcun suo consenso preventivo. Dette circostanze, sono state pienamente confermate dalla medesima Caterina Minnucci, escussa come teste all’udienza del 9 giugno 2022. Dunque, la estemporanea utilizzazione della sua stanza come set televisivo, a sua insaputa, testimonia
  • 6. la assoluta mancanza di volontà diffamatoria o altrimenti lesiva in capo al convenuto, potendosi così escludere che lo stesso abbia agito lasciando volutamente o collocando a bella a posta gli oggetti de quibus nella sua libreria durante il collegamento, così come asserito dalla controparte. Ciò per tacere della inesistente carica lesiva di tali oggetti, in sé considerati, tanto che l’attore, al fine di predisporre una domanda, palesemente infondata, è stato costretto ad interpretarli, conferendo loro un significato che non avevano e solo per convenire per l’ennesima volta in giudizio il convenuto. Come si legge nei suoi atti, infatti, interpretando in modo strumentale l’asserito pensiero del convenuto che egli, lo si ribadisce, non ha mai espresso, l’attore ha sostenuto che gli sarebbero state indirizzate pagina 5 di 12 espressioni quali “PERICOLOSA” "MERDA" o “uomo di ...”, “politico di …”, “pericoloso perché una …”. Si tratta, tuttavia, di una interpretazione arbitraria ed in malam partem – che non potrà, perciò, formare oggetto di valutazione ai fini del decidere- di immagini televisive del tutto neutre, non percepibili se non allargate ed ingrandite, interpretazione che non appare idonea a supportare la domanda attrice e che prova, d’altro canto, la loro inidoneità offensiva. Anche se il convenuto è noto per la sua tecnica comunicativa, ironica, satirica, corrosiva, peraltro, mai si è affidato all’uso di insulti plateali, tanto che l’attore -che ha promosso nei suoi confronti, come scrive, ben 15 cause- mai ha avuto modo di dolersi di un loro utilizzo nei suoi confronti Si rileva, inoltre, la totale assenza del necessario elemento soggettivo, sia sotto il profilo della volontarietà e, quindi, del dolo, sia anche sotto il profilo della colpa, dal momento in cui, come confermato anche dalla teste escussa, il collegamento era stato organizzato, all’insaputa del convenuto, eccezionalmente nella sua stanza. A quanto sopra deve aggiungersi che gli oggetti in questione sono gadget goliardici, liberamente reperibili in commercio, che possono essere acquistati su Ebay, ove è possibile persino scegliere il soggetto rappresentato: Berlusconi, Renzi, Boldrini, Macron (cfr. doc. 7) mentre Amazon offre l’opzione Trump (cfr. doc. 8). La collocazione di tali oggetti, come detto, era tale da non poterne percepire il reale contenuto, assistendo alla trasmissione in Tv, come si evince dalla semplice visione della puntata (cfr. doc. 9). Difatti, contrariamente a quanto ex adverso asserito, l’unico elemento vagamente percepibile era, al più, la faccia dell’attore, mentre il materiale organico “fumante”, il contenuto del cartello ed il rotolo di carta igienica non risultano affatto intellegibili. Non solo, ma se ciò non bastasse, oltretutto è evidente ictu oculi che loro collocazione in prossimità del capo del convenuto ne ha pure causato il frequente oscuramento. Quanto sopra rilevato trova ulteriore conferma nel totale silenzio che è seguito sull’argomento, subito dopo la messa in onda della trasmissione, sia da parte dell’attore, che dei media. Difatti, qualora gli oggetti in questione fossero stati percepibili nella loro materialità, già durante l’intervento o subito dopo, numerose e rumorose sarebbero state le reazioni dell’attore -che si è sempre mostrato piuttosto incline a preannunciare iniziative giudiziarie nei confronti del convenuto- di chi lo segue e degli organi di stampa. La propalazione della vicenda, il clamore che ne è seguito e le eventuali conseguenze, invece, sono esclusivamente riconducibili alla risonanza mediatica suscitata dalle “principali testate giornalistiche (cartacee e digitali) nazionali”, evocate dall’attore che, solo nei giorni successivi, hanno allargato le immagini fino a renderle chiaramente e per la prima volta visibili, così dando consistenza ad un fatto che, se fosse stato ignorato, come avrebbe dovuto, non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, perché nessuno si era, né si sarebbe, accorto di nulla. E difatti, come già ampiamente dedotto, solo nel pomeriggio del giorno successivo alla trasmissione, i giornalisti di Open, il quotidiano fondato da
  • 7. Enrico Mentana, avevano individuato sia di chi fosse il viso, non identificabile dunque, sul rotolo, sia la scritta che vi sarebbe comparsa (cfr. doc. 13-14). Non ci sono quindi dubbi che nel collegarsi con la trasmissione del 13 febbraio 2019, il convenuto – considerato il posizionamento degli oggetti, messi in secondo piano e parzialmente coperti dalla sua testa, la loro corrispondenza con la sua nuca e l’assoluta mancanza di precedenti della modalità comunicativa ipotizzata, in una con la casualità del luogo del collegamento – non abbia in alcun modo né deliberatamente, né volontariamente veicolato immagini diffamatorie o, comunque, lesive per l’attore. Difetta, dunque, in radice anche la necessaria prova dell’elemento soggettivo della condotta ipotizzata, con conseguente infondatezza della domanda. A quanto sopra si deve aggiungere che, contrariamente a quanto asserito dalla controparte, prima dei fatti per cui è causa, il convenuto si era collegato da quella stanza solo una volta nel 2016, solo una volta nel 2017 e solo una volta nel 2018. Gli altri collegamenti citati dall’attore sono, invece, stati effettuati da casa del convenuto. Se ne desume pagina 6 di 12 che l’ubicazione della diretta sia stata circostanza del tutto eccezionale e non consueta, come invece vorrebbe far credere l’attore. Esclusa la sussistenza del reato di diffamazione, stante l’evidente mancanza di dolo nella condotta del convenuto, del tutto inconferente deve, poi, ritenersi il richiamo all’art. 2043 c.c., effettuato dall’attore al fine di legittimare la domanda risarcitoria. Si rileva, infatti, l’assoluta assenza e la mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie sopra richiamata (fatto illecito, sia esso doloso o colposo, danno ingiusto e nesso di causalità tra condotta illecita e danno). Escluso il dolo, per tutti i motivi già ampiamente dedotti, deve inoltre escludersi anche la condotta colposa del convenuto, in quanto il collegamento -come già sottolineato in precedenza- era stato organizzato dalla struttura organizzativa del quotidiano, coordinata da Caterina Minnucci, all’insaputa del convenuto, che di fatto è arrivato a cose fatte e senza alcun consenso preventivo di quest’ultimo. Per quanto poi concerne la recente sentenza citata da controparte, che sarebbe stata emessa dal Tribunale di Firenze, con riferimento alla rappresentazione dell’attore nelle vesti del “Mostro di Firenze”, se ne rileva la palese irrilevanza e, comunque, la assoluta inutilizzabilità ai fini del presente giudizio. Detta pronuncia, infatti, oltre ad avere per oggetto, per quel che scrive l’attore, un’espressione (ovviamente) in nessun modo assimilabile a quello del presente giudizio, non è stata nemmeno prodotta dalla controparte, ed anzi la sua ricerca nelle banche dati ha avuto esito negativo. Per quanto concerne, infine, l’esorbitante danno, di cui controparte chiede il risarcimento, pari a mezzo milione di euro (!), si ribadisce l’assoluta mancanza di prova, in ordine alla sua sussistenza, oltre che al nesso di causalità sia tra la condotta e l'evento di danno, inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato (nesso di causalità materiale) sia tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili (nesso di causalità giuridica), nonché l’eccessività della quantificazione effettuata dall’attore, per tutti i motivi già esposti nei precedenti scritti difensivi. La causa è stata istruita con documenti, audizione di testi e un video su cd e spedita a sentenza in data 18.10.22 con concessione die termini ex art. 190 c.p.c. *** Tanto premesso si osserva quanto segue. Dalla stessa narrativa del fatto, emerge che la presunta diffamazione deriva non già dall’intervista, ovvero dalle parole proferite da Marco travaglio a Tagadà ma indirettamente dal fatto che dietro la sua persona si trovasse una libreria con libri e oggetti vari tra cui degli oggetti assuntivamente tali da
  • 8. incidere negativamente sulla reputazione dl politico Matteo Renzi. La diffamazione dunque si sarebbe attuata in forma mediata non attraverso le parole dell’intervistato, in primo piano, ma attraverso la valenza comunicativa degli oggetti posti in secondo piano e che stavano alle sue spalle, e in particolare un rotolo di carta igienica con il volto dell’attore sul lembo mobile e due disegni ritraenti un segnale di pericolo e un escremento e separata un’immagine dell’attore. Guardando il video dell’intervista, non emerge invero il detto carattere diffamatorio in quanto in primo piano si trova il giornalista Travaglio che parla e quindi lo spettatore è portato a concentrarsi sulle sue parole e poco sugli oggetti della libreria; quindi non si può affermare che sia più probabile che non, il fatto che i telespettatori avessero notato quei piccoli dettagli alle spalle dell’intervistato; non si vede nemmeno bene che si tratti di un rotolo di carta igienica, e comunque l’immagine dell’attore non è percepibile perché troppo piccola o coperta dal capo dell’intervistato o sgranata dal fatto di essere in secondo piano, spesso ripreso da lontano; l’accostamento al rotolo della carta igienica di un personaggio politico è poi effettivamente diffusa sui rotoli che vengono venduti su Ebay e Amazon che ritraggono scherzosamente anche altri personaggi della politica nazionale e internazionale. pagina 7 di 12 Le vendite di questi prodotti sono lecite per cui è verosimile che trattasi di regalo o gadget recapitato a Travaglio e da lui riposto tra i vari regali nella sua libreria della stanza personale dove normalmente non rilascia le interviste; come, infatti, ci ha spiegato Minnucci Paola, effettivamente l’intervista si era avuta in studio con la partecipazione dei tecnici di Tagadà che andarono a Roma e predisposero il tutto per poterla acquisire; la sala riunioni con la parete fissa normalmente impiegata nei tardi pomeriggi era in quel momento occupata e per questo motivo e senza premeditazioni di sorta i tecnici di Tagadà svolsero l’intervista nella stanza personale del direttore del giornale dove si trovava la libreria piena di oggetti, regali e gadget, tra cui appunto anche il rotolo in questione. Come ribadisce la Corte di Giustizia a commento dell’art. 11 della CEDU la satira (in questo caso riferibile anche a un terzo estraneo al giudizio) è espressione di libertà democratica e un uomo politico deve sempre tollerarla indipendentemente dal contesto di critica politica, mettendo in conto di essere sottoposto a caricature, accostamenti ridicolizzanti anche privi di significati politici ben precisi. La satira ai politici è l’anima della democrazia perché solo nei regimi totalitari la satira è vietata e gli uomini politici non possono essere rappresentati in forma satirica caricaturale e ridicolizzante. Si veda l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea e il controllo della Corte di Giustizia sul rispetto da parte degli stati aderenti, sul tema della libertà di espressione, affinchè non si vadano a creare ostacoli alle libertà fondamentali previste dal Trattato dell’Unione, tra cui la libertà di espressione e il pluralismo di media. Come afferma la sentenza corte di giustizia nella nota sentenza 7.12.76 Handyside la corte di Strasburgo ha qualificato la libertà di espressione come la “precondizione” per l’esercizio e il godimento di tutti gli altri diritti, fondamentali, ed è sia un diritto fondamentale, sia lo strumento di tenuta delle libertà fondamentali degli stati democratici sicchè si può affermare che il livello di democrazia effettiva di uno stato si può valutare dalla maggiore o minore estensione della libertà di espressione e massimamente dalla satira politica. Dunque seppure si volesse intendere che in un’intervista televisiva si possa prescindere dalle parole dell’intervistato per dare valore, invece, agli oggetti posti in secondo piano e alla loro valenza comunicativa e seppure si volesse vietare la possibilità di farsi riprendere con vignette o immagini caricaturali di personaggi politici anche accostati alla carta igienica o ritratti sulla carta igienica, resta comunque il fatto che un personaggio politico in uno stato democratico deve tollerare immagini satiriche della sua persona e del suo volto, anche impresse su gadget come quello di causa, perché solamente in un regime totalitario è vietato criticare o ridicolizzare un personaggio politico. Si noti, infatti, che la corte di cassazione italiana nega che alla satira possa applicarsi il limite della continenza
  • 9. per sua natura esclusa dalla satira che è eccessiva graffiante e smodata. Quanto alle sentenze che se da un lato negano la necessità della continenza per il messaggio satirico dall’altro, tuttavia, richiedono la funzionalizzazione della satira ad un messaggio politico si rileva che in realtà la satira potrebbe tradursi esclusivamente nella messa alla berlina dl personaggio pubblico, anche senza un sottostante messaggio politico, ovvero il vignettista o il satirico potrebbe anche non avere alcun messaggio politico da proporre, potrebbe anche essere un soggetto “a-politico” ed essere comunque libero di ridicolizzare e mettere alla berlina un personaggio pubblico, anche al di fuori di un ben preciso accadimento storico e di un fatto politico, perché non risulta alcun elemento normativo che suggerisca che la libertà di satira e di espressione debbano necessariamente veicolare un messaggio politico o una critica politica per essere “giustificabili”; anzi la mera rappresentazione del volto dei politici deformati, con caricature somatiche è sempre stata ritenuta legittima proprio come espressione di satira, avulsa da messaggi o contenuti politici tecnicamente intesi, detta proprio satira politica solo per l’oggetto, ossia per i personaggi politici che ne formavano l’oggetto. Altrimenti si dovrebbe dire che la satira si possa ammettere solo se il personaggio politico viene rappresentato nell’atto di compiere un’azione politica, o in collegamento con un episodio politico di attualità ben preciso, il che non è. pagina 8 di 12 In ogni caso, nel caso in oggetto non ci sono né parole, né immagini riferibili direttamente a Marco Travaglio, come accadrebbe se si trattasse di una sua vignetta, soggetto al quale possa ricondursi il carattere presuntivamente diffamatorio dell’immagine dell’attore impressa, ed è emersa la prova che la presenza di piccoli oggetti nemmeno evidenti alle sue spalle, non solo non era mediamente percepibile da uno spettatore medio, ma non è risultata nemmeno voluta dal convenuto, che si trovava lì per l’eccezionalità dell’intervista nella fascia oraria pomeridiana invece che tardo pomeridiana allorquando la sala a ciò dedicata risultava occupata.. In ogni caso lo spettatore attento che avesse avuto modo di accorgersi di quelle piccole immagini alle spalle del convenuto, e dunque in secondo piano, in mezzo per giunta a tanti altri oggetti, avrebbe avuto casomai, secondo l’id quod plerumque accidit, una semplice reazione di mera ilarità, ma non si sarebbe certamente fatto alcuna idea peggiorativa o anche solo diversa della reputazione dell’attore, rispetto a quella che aveva prima dell’intervista di Travaglio su Tagadà, perché si sarebbe reso contestualmente conto del carattere satirico delle immagini, tale da non incidere negativamente sulla reputazione dell’attore; si ritiene quindi difetti anche la prova dell’an di danno, che difatti non è stato nemmeno allegato. A questi argomenti si aggiunge che la valutazione dell’equilibrio tra libertà di espressione e reputazione dell’uomo pubblico al potere, spetta in ultima analisi alla suprema corte di giustizia che applica l’art. 10 della convenzione, per cui diviene rilevante la disamina delle pronunce della Corte sull’art. 10 Convenzione; ebbene in un caso esaminato dalla Corte di Giustizia, sentenza del 10.10.2022, i politici furono messi alla berlina in modo molto più eclatante e per giunta utilizzando internet con portata diffusiva maggiore; in particolare i politici al potere erano raffigurati come l’asino dai capelli bianchi che indossava un abito e la scrofa con i capelli biondi che indossava calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti, circondati da maiali; tutti brandivano spade e bandiere. Caso: Patricio Monteiro Telo de Abreu contro Portogallo. Numero del Ricorso: 42713/15 provvedimento del 10/10/2022 Sezione 4 nella sentenza è scritto al punto n. 21 “Il 26 febbraio 2015 la corte d’appello di Evora emise la sua sentenza, nella quale rammentava che il diritto alla libertà di espressione e il diritto all’onore non erano diritti assoluti, e presentavano dei limiti, cosicché doveva essere raggiunto un giusto equilibrio tra gli stessi. La corte d’appello considerò inoltre che, sebbene fosse vietata ogni forma di censura, era
  • 10. lecito sanzionare gli abusi della libertà di espressione, come la diffamazione. Tenuto conto di queste considerazioni, essa analizzò il caso nel modo seguente: «(...) l’aver fatto pesantemente riferimento alla sfera sessuale è stato per forza di cose lesivo dell’immagine, della dignità e del credito dell’assistente, in quanto la caricatura nella quale quest’ultima è rappresentata come una scrofa mezza nuda che indossa accessori come calze di pizzo, reggicalze e tacchi alti porterebbe chiunque a vederci una prostituta, una donna di facili costumi di cui ci si potrebbe approfittare, una depravata e una donna ipersessuale, caratteristiche che urtano la dignità di qualsiasi persona (anche se si trattasse davvero di una prostituta, il che ovviamente non è vero nel caso di specie) e, di conseguenza, la dignità e l’immagine dell’assistente. Inoltre, presentando la scrofa in posture che suggeriscono l’esistenza di una relazione intima tra quest’ultima e l’asino, ossia tra l’assistente e il sindaco di Elvas, [tali caricature] offendono non soltanto la reputazione dell’assistente, ma anche la sua intimità. Al punto 35 recita: 35. I principi fondamentali per quanto riguarda il carattere «necessario in una società democratica» di un’ingerenza nell'esercizio della libertà di espressione sono ben fissati nella giurisprudenza della Corte e sono stati sintetizzati nella sentenza Bédat c. Svizzera ([GC], n. 56925/08, § 48, 29 marzo 2016) in questi termini: «i. La libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti su cui si basa una società democratica, ed è una delle condizioni primarie del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno. Fatto salvo il paragrafo 2 dell'articolo 10, essa vale non soltanto per le «informazioni» o le «idee» accolte con pagina 9 di 12 favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non esiste una «società democratica». Come sancita dall’articolo 10, tale libertà è soggetta a eccezioni, che sono tuttavia di interpretazione restrittiva, e la necessità di limitarla deve essere accertata in maniera convincente (...). ii. L'aggettivo «necessarie», ai sensi dell'articolo 10 § 2, implica un «bisogno sociale imperioso». Gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per valutare l'esistenza di un tale bisogno, margine che è tuttavia associato a un controllo europeo riguardante sia la legge che le decisioni che la applicano, anche quando queste ultime provengono da una giurisdizione indipendente. La Corte è dunque competente per decidere in ultima analisi sulla questione se una «restrizione» si concili con la libertà di espressione protetta dall’articolo 10. iii. Quando esercita il suo controllo, la Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità nazionali competenti, ma di verificare, sotto il profilo dell’articolo 10, le decisioni emesse da queste ultime in virtù del loro potere discrezionale. 36. La Corte rammenta che l'articolo 10 § 2 non lascia spazio per restrizioni della libertà di espressione nell'ambito del discorso e del dibattito politico – nel quale la libertà di espressione assume la massima importanza – o delle questioni di interesse generale (Lindon, Otchakovsky Laurens e July c. Francia [GC], nn. 21279/02 e 36448/02, § 46, CEDU 2007 IV). I limiti della critica ammissibile sono più ampi nei confronti di una personalità o di un partito politico che nei confronti di un semplice cittadino: a differenza di quest’ultimo, i primi si espongono inevitabilmente e volontariamente a un controllo vigile dei loro fatti e comportamenti sia da parte dei giornalisti che da parte dei cittadini; di conseguenza, essi devono dimostrare una maggiore tolleranza (Magyar Jeti Zrt c. Ungheria, n. 11257/16, § 81, 4 dicembre 2018). Una personalità politica ha certamente diritto a che la sua reputazione sia protetta, anche fuori dall'ambito della sua vita privata, ma gli imperativi di questa protezione devono essere bilanciati con gli interessi della libera discussione delle questioni politiche, e le eccezioni alla libertà di espressione richiedono un'interpretazione stretta (si vedano Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, nn. 51168/15 e 51186/15, § 32, 13 marzo 2018, e i riferimenti ivi citati). Inoltre, anche se il diritto alla protezione della reputazione è un diritto che rientra, in quanto elemento
  • 11. della vita privata, nell'articolo 8 della Convenzione, affinché sia applicabile quest’ultimo articolo l’offesa alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità, ed essere stata arrecata in modo tale da causare un pregiudizio per il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata. Questa condizione vale per la reputazione sociale in generale e per la reputazione professionale in particolare (Medžlis Islamske Zajednice Brčko e altri c. Bosnia Erzegovina [GC], nn. 17224/11, §§ 76 e 105-106, 27 giugno 2017). 37. Nelle cause come quella odierna, in cui la Corte è chiamata a pronunciarsi su un conflitto tra due diritti ugualmente protetti dalla Convenzione, la Corte deve procedere a un bilanciamento degli interessi in gioco. L'esito del ricorso non può, in linea di principio, variare a seconda che il ricorso sia stato proposto dinanzi ad essa sotto il profilo dell'articolo 8 della Convenzione, dalla persona che è oggetto dell'opera o, sotto il profilo dell'articolo 10, dall’autore della stessa, In effetti, questi diritti meritano a priori di essere rispettati allo stesso modo. Pertanto, il margine di apprezzamento dovrebbe, in linea di principio, essere lo stesso in entrambi i casi (Bédat, sopra citata, § 52). In questo contesto, i criteri pertinenti da prendere in considerazione sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà della persona interessata, l'oggetto del servizio giornalistico, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del caso, le circostanze in cui sono state scattate le fotografie. Nell'ambito di un ricorso presentato sotto il profilo dell'articolo 10, la Corte verifica, inoltre, in che modo siano state ottenute le informazioni e la loro veridicità, nonché la gravità della sanzione imposta ai giornalisti o agli editori (Couderc e Hachette Filipacchi Associés c. Francia [GC], n. 40454/07, § 93, CEDU 2015). Anche se il bilanciamento di pagina 10 di 12 questi due diritti da parte delle autorità nazionali è avvenuto nel rispetto dei criteri stabiliti nella giurisprudenza della Corte, occorrono dei motivi seri affinché quest'ultima sostituisca il proprio parere a quello dei giudici interni (Palomo Sánchez e altri c. Spagna [GC], nn. 28955/06 e altri 3, § 57, CEDU 2011). Al punto 44 la Corte rileva: “i giudici nazionali, non hanno accordato sufficiente importanza al fatto che qualsiasi eletto si espone necessariamente a questo tipo di satira e di caricatura e, di conseguenza, deve dimostrare una maggiore tolleranza al riguardo, tanto più che, nel caso di specie, nonostante gli stereotipi utilizzati le caricature rimanevano entro i limiti dell'esagerazione e della provocazione, propri della satira (si confronti con Vereinigung Bildender Künstler, sopra citata, § 34, Alves da Silva, sopra citata, § 28, e Grebneva e Alisimchik c. Russia, sopra citata, § 58; si veda anche, a contrario, Palomo Sánchez e altri, sopra citata, §§ 67-68). Del resto, la sig.ra E.G. non era l'unica a essere rappresentata nuda in tali caricature (paragrafo 5 supra), in quanto tutti i maiali che vi erano rappresentati lo erano; il sindaco di Elvas, invece, era raffigurato come un asino (paragrafo 13 supra), ossia con un'immagine evidentemente peggiorativa. Pertanto, tutti gli eletti locali sono stati presi di mira dalle caricature in questione. In definitiva, secondo la Corte, i giudici interni non hanno sufficientemente tenuto conto del contesto nel quale il ricorrente aveva diffuso le caricature sul suo blog, e pertanto non hanno proceduto a un bilanciamento circostanziato dei diversi diritti in gioco. Inoltre, non hanno tenuto conto degli elementi della satira politica, sopra elencati, che derivano dalla giurisprudenza della Corte, e non hanno fatto alcun riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia di libertà di espressione. La Corte ha concluso che “La condanna del ricorrente non era dunque necessaria in una società democratica. 48. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 10 della Convenzione”. Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia i cui principi il giudice interno deve applicare in rapporto ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, compatibili con la parte rigida e i diritti
  • 12. fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni interne europee, e considerata l’inoffensività del fatto come emerge oggettivamente proprio dal video e persino la incolpevolezza del fatto, come emerge dalle dichiarazioni della teste escussa, considerato infine che il danno da diffamazione è tabellato nelle tabelle di Milano e giunge al massimo ad euro 50.000,00 che può essere incrementato con ragionevolezza in rapporto a specifiche circostanze, senza comunque mai poter giungere ad un importo siffatto; considerato che stando alle decisione dell’unione europea l’essere un personaggio pubblico lungi dal poter determinare 500 mila euro di danno, è, caso mai, criterio di valutazione della insussistenza del fatto, e ciò per la maggiore tolleranza che si richiede al personaggio al potere; ebbene tutto ciò considerato si ritiene sussistano le condizioni dell’abuso del processo, con conseguente applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., liquidando al giornalista Marco Travaglio e a carico di Renzi Matteo, il triplo delle spese legali liquidate, giusta cass. sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8943 del 18/03/2022 conforme a cass. sez. 6 - 2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012 che recita: “In tema di responsabilità aggravata, il terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una "somma equitativamente determinata", non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario del quarto comma dell'art. 385 cod. proc. civ., che, prima dell'abrogazione ad opera della medesima legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari. Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull'importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l'unico limite della ragionevolezza. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito, che aveva condannato il soccombente a pagare una somma non irragionevole in termini assoluti e pari al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari). pagina 11 di 12 Si veda per la funzione punitiva e sanzionatoria dell’art. 96 comma 3 c.p.c. cass. sez. 3 - , Ordinanza n. 17902 del 04/07/2019 che convalida il criterio del triplo delle spese liquidate. Cionondimeno poiché qui le spese ammontano ad euro 21 mila calcolate sulla base dell’importo del tutto eccessivo della domanda rigettata, si liquida l’indennizzo al doppio delle spese legali liquidate. p.q.m. il tribunale con sentenza che definisce il giudizio • rigetta la domanda dell’attore; • condanna l’attore a rimborsare le spese di costituzione e difesa sostenute dal convenuto, liquidandole in euro 21.000,00 per onorari, oltre accessori di legge. • Condanna Matteo Renzi ad indennizzare Marco Travaglio corrispondendo euro 42.000,00 ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c. Firenze il 31/01/2023 Il Giudice dott.ssa Susanna Zanda