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GIUSEPPE
LOZER
Starò sempre in guardia,
come il dovere mi impone,
contro ogni errore che possa offuscare,
menomare l’integrità della fede,
massimo dei doni da Dio elargito.
LETTERA A GIOVANNI MARIA CONCINA , PARROCO DI PRATA DI PORDENONE, 20 SETTEMBRE 1906
a cura di Paola Barigelli-Calcari
Nato a Budoia il 24 luglio 1880, da Bortolo e
Lucia Fort, Lozer terminò gli studi nel Seminario
di Portogruaro nel 1901, ma venne ordinato
sacerdote solo il 1 febbraio 1903, in quanto
doveva attendere il compimento del
ventiduesimo anno e mezzo di età.
Il 13 febbraio dello stesso anno fu subito
nominato economo spirituale della parrocchia di
Torre, e parroco nel settembre 1904.
Dal 1926 fu Canonico della cattedrale di
Concordia e insegnante del ginnasio-liceo
Marconi fino al 1944, nonché vicario foraneo di
Portogruaro fino alla medesima data.
Nel 1945 divenne arciprete di Lorenzaga.
Nel 1947 fu di nuovo parroco a Torre, su
richiesta dei paesani, fino al 1957, quando
chiese di diventare ospite della Casa di riposo
Umberto I di Pordenone.
Morì il 4 maggio 1974.
«Figura singolare quella di don Lozer. Nella Destra Tagliamento egli fece parlare,
con don G. M. Concina a Prata e con Annibale Giordani nello spilimberghese,
di una triade di sacerdoti che, come si è detto, nel pordenonese affrontarono la
questione sociale facendo leva sulle masse contadine, contemporaneamente impegnandosi nella
costruzione di cooperative di vario tipo. Abilissimi oratori dalle voci
possenti, sfiorati dal modernismo, questi sacerdoti ci appaiono ispirati da un modernismo
politico diverso da quello che, in altre parti d’Italia, vagheggiava “la conciliazione con la
democrazia” e, se possibile, con il socialismo»
T. DEGAN, La casa del popolo di Torre, Euro 92 editoriale, Pordenone 2003, p. 59.
Le memorie di don Lozer sono la
testimonianza di una vita quanto mai attiva, se
pensiamo al suo lavoro ecclesiale e soprattutto
di organizzatore politico, sindacale e
cooperativistico dei cattolici di Torre, di
Pordenone e della diocesi; alla Cassa operaia
di credito volta soprattutto alla realizzazione di
case operaie (poi Banca cooperativa operativa
di Torre, ora dissolta nel gruppo Intesa);
all’Unione cooperativa di consumo (oggi parte
delle Cooperative Operaie di Trieste); al
Mulino ed al Forno cooperativo; alla Tipografia
sociale cooperativa di Portogruaro; alla Società
di assicurazione bovini, alla Cooperativa
dell’ago, ed alle tante altre idee concepite e
non realizzate dal vulcanico sacerdote, come la
Cooperativa case popolari e la farmacia
cooperativa.
In seminario ottenne dieci in tutte le
materia tranne in Liturgia, la più facile
delle scienze sacre, in cui ottenne otto.
Durante l’anno scolastico era stato
alquanto insubordinato e vivace, e anche
molesto con obbiezioni. Ricordo fra l’altro
che aveva criticato la prassi allora vigente
di interrogare in latino i padrini del
Battesimo, l’uso della stessa lingua nelle
preci del Matrimonio, nel quale, essendo
gli sposi ministri, avrebbero avuto il diritto
di capire l’intero sacro rito…
Secondo Lozer «è razionale e conveniente
che il fedele abbia a comprendere le
domande rivoltegli e le preci tanto belle
che lo riguardano e che la sacra sinassi
venga facilitata».
Il 13 febbraio 1903 venerdì pomeriggio arrivava a
Torre.
«La prima visita, alla chiesa; la trovai spoglia, di
un biancore glaciale, col solo altare della
Madonna, con un pavimento di ghiaia
cementata. Pregai e lacrimai insieme; furono le
prime ma non le ultime lacrime versate in quella
chiesa e in quella parrocchia…
Non si doveva mandare in una parrocchia simile
un giovane prete, solo, senza alcuna esperienza
pastorale. È duro imparare la vita di ministero
parrocchiale da se stessi, a proprie spese…
A Pasqua visitai tutte le case per la benedizione…
Riferii in predica la mia impressione, rivolsi
alcune raccomandazioni. Si meravigliarono che
m’interessassi di igiene, di pulizia, di stampa, di
camere.
Le mie condizioni finanziarie erano critiche. Parecchi mi domandavano due, cinque lire a
prestito fino alla quindicina che non mi restituivano….Con una lire si comprava un chilo di
carne, o un litro di olio, o tre di vino. Ero sempre al verde, stentavo davvero; il vescovo mi
aveva fatto la carità di cento lire. Non essendo parroco non ricevevo benefici dai terreni della
prebenda parrocchiale. Disponevo dell’elemosina di una lira e mezza o due e di 60 centesimi
dal Fondo Culti quale economo spirituale. Dovetti accendere qualche debito per vivere e
firmare la prima cambiale di mia vita. Ho passato due anni assai difficili sotto ogni rapporto.
Quando raggiunsi l’età canonica richiesta di 24
anni ottenni pieni voti degli esaminatori e
divenni parroco.
Allora il lavoro in Cotonificio era di undici ore e
mezza, orario inumano, schiavista, anti igienico.
Appena nominato parroco scrissi una lettera
alla direzione supplicando, con chiari motivi, la
riduzione di un’ora di lavoro perché gli operai
potessero consumare senza fretta e furia il
magro desinare, assicurando che la produzione
non ne avrebbe risentito specialmente nella
qualità. Fu concessa la riduzione ma soltanto di
mezz’ora.
La incomprensione, l’avidità di guadagno, la
sfrenata concorrenza, la mancanza di
provvedimenti legislativi, furono causa di
marasma sociale, per cui la massa divenne
irritata, rivoltosa, cattiva.
Infatti S. Tommaso d’Aquino
insegnava: «Una certa quantità di
beni materiali è necessaria all’uomo
per essere virtuoso».
«La chiesa è poco frequentata
nonostante che le funzioni si facciano
brevi e solenni. La Dottrina cristiana è
poco frequentata in proporzione dei
tanti ragazzi. La moralità è decadente per
il lavoro promiscuo e per la leggerezza
femminile; si ama troppo il lusso. I
ragazzi fino al dodicesimo anno stanno a
contato col parroco che ha influenza su
di loro; poi vanno a lavorare e pochi sono
quelli che poi frequentano la chiesa e le
funzioni. Tutto è stato tentato; anche il
cine attrae ben pochi; preferiscono
recarsi a Pordenone. La massima parte
dei genitori sono bestemmiatori».
«Lo scopo della vostra vita
non è quello di aumentare il
numero delle pezze di
cotone. Solo la fede vi
impedisce di inaridire i vostri
sentimenti umani. Quando si
è indifferenti o si perde la
fede, quando si è
materializzati, si avvera
quello che dice
la Bibbia: l’uomo animale
non percepisce più le cose
dello spirito di Dio; l’anima
diventa una pietraia dove
non germina il seme della
scienza divina»
L’elenco delle iniziative che lo vedono in prima linea a Torre è infinito: dalla fondazione della Cassa operaia
sant’Ilario alla Cooperativa di Consumo, dalla costruzione della nuova Casa canonica e tanti lavori
realizzati in Chiesa, compreso il muraglione di sostegno verso il fiume Noncello, all’avvio del Mulino, dalla
redazione del mensile “L’amico di Casa” alla costruzione dell’Asilo, dalla cooperativa dell’Ago, per ragazze
rimaste senza lavoro, alla costituzione della Biblioteca Popolare, allo sviluppo del Dopolavoro a cui
fornisce un apparecchio radio, il primo sentito a Torre, e molto altro ancora. Nella sua seconda
permanenza a Tore promuove l’Acli (Associazione Cristiana deli lavoratori). E’ conosciuta anche la sua lotta
alla bestemmia fino a fondare la sezione pordenonese del Comitato civile contro la bestemmia, iniziativa
che ci porta a non sottovalutare, quando si cerca di decifrare una personalità così poliedrica e viva, che
I liberali di destra e di sinistra che
governavano l’Italia fino ad allora avevano
lasciato la classe operaia in balia di
sfruttatori; salari più bassi d’Europa,
nessuna assicurazione sociale per
pensione o per malattia, nessuna
ispezione sanitaria nelle fabbriche, non
cassa per la maternità, per la
disoccupazione, non facilitazioni per la
costruzione di case popolari, non
agevolazioni per creditizie per la
cooperazione, per la piccola proprietà
terriera, per gli artigiani, non tutela e
protezione degli emigranti. La classe
operaia, come ben disse il papa Leone
XIII, era ridotta in una condizione poco
inferiore alla schiavitù. Per forza le masse
diventavano rivoluzionarie.
Non si voleva, non si permetteva che il prete avesse
a cuore le condizioni degli operai e dei lavoratori
della terra.
Testimone vivente del preconcetto antireligioso
Lozer ha sperimentato a Torre l’evoluzione di chi
denigrava i preti e la Chiesa: prima i socialisti, poi i
fascisti ed infine i comunisti.
«Il prete faccia il prete e tenda alla sua chiesa».
Lui rispondeva: « Ho atteso alla mia chiesa e vedete
come l’ho ridotta bella dentro e fuori, ho fatto da
prete, ho insegnato due volte al giorno la dottrina ai
piccoli, ho sempre assistito, visitato i malati, aiutato
i poveri. Ma nello stesso tempo ho obbedito al mio
Capo, al Papa, il quale ha comandato ai preti di
uscire di sacrestia, di vivere col popolo e per il
popolo e di promuovere tutto quello che nell’ordine
umano, civile, sociale, religioso lo può migliorare».
Per aver espresso la sua opinione il primo maggio 1915 al
Console germanico di Venezia, Lozer è stato carcerato dal 24
giugno al 15 luglio 1915.
Come Presidente del Segretariato di emigrazione informa che
«i rimpatriati riferiscono di essere stati offesi, disprezzati nelle
stazioni di Germania ed Austria; si è rifiutato ad essi persino il
pane. Vi prego a far inserire sui vostri giornali che il popolo
italiano non vuole la guerra. Sono a contatto quotidiano non
solo con emigranti ma anche con operai delle industrie e coi
contadini; nessuno condivide il pensiero dei giornali
guerrafondai. Se domani per nostra sventura si apriranno le
ostilità, non si dimentichi che il popolo italiano nella sua
grande maggioranza ne è contrario e che esse saranno volute
dalla massoneria, dalla stampa prezzolata, da un ministro
ebreo inglese, da un governo debole e ambizioso e da un re
che non ha saputo mostrarsi provvido, né previdente, né
galantuomo».
Il 24 maggio 1915 on. Salandra dichiarò guerra all’Austria. Lozer scriveva sul Bollettino parrocchiale
«L’amico di Casa»: «E se fino a ieri fummo neutralisti e con noi l’intera parrocchia e abbiamo sperato
abbiamo voluto che le rivendicazioni e le integrazioni delle terre irredente si compissero con le armi del
diritto e della giustizia…oggi non discutiamo più…oggi non è tempo di critica, ma di azione e di
sacrificio….Qualunque cosa si richiederà da noi, la daremo; in qualsiasi piccolo campo di attività
verremmo chiamati, risponderemo all’appello, divideremo alle vedove e agli orfani il pane, divideremo le
vesti, offriremo la nostra modesta suppellettile se necessario, venderemo anche quanto ci è caro e ci
serve agli usi della vita e la vita stessa daremo per i nostri fratelli, per la nostra Patria quando ci fosse
richiesta».
Dopo lo scandalo del carcere fu trasferito a Roma,
poi a Firenze ed infine confinato come internato in
Sardegna. Le umiliazioni, il viaggio faticoso, i
patimenti, la fame, le ingiustizie, il divieto di
celebrare la messa, lo fecero ammalare gravemente.
«Feci un voto al Santo curato d’Ars che se fossi
guarito e avessi riacquistato la libertà, sarei andato
pellegrino a ringraziarlo ad Ars, dove potei recarmi
soltanto nel luglio 1926 tre giorni a gustare le intime
superbe gioie dello spirito». Il 30 aprile 1916 depose
la veste da prete per indossare la divisa militare.
Destinato alla VIII compagnia di Sanità fu assegnato
poi al Reparto Segregazione dov’erano ricoverati gli
anormali, i neuropsicopatici come aiutante del
maggiore Sergio Sergi.
Inviato al campo di aviazione di Palo «vista la indifferenza, la
noncuranza degli ufficiali per i quali i giorni festivi erano uguali
agli altri anche per le esercitazioni» chiese di tornare a Roma.
Fece 33 mesi di servizio attivo senza licenza; non fu promosso
caporale e nemmeno cappellano militare. Prete politicante
contrario alle Istituzioni e austriacante: questa la qualifica data
dal Comando dei carabinieri di Pordenone inviato alla Direzione
di Roma.
Da Roma stampa il «Bollettino dei profughi
e dei soldati di Torre» riportando centinaia
di indirizzi e notizie dei paesani; ne invia
copia a tutti quelli di cui conosce la
residenza.
«Non disperiamo: il coraggio non ci venga
meno giammai. Ricordiamoci che l’essenza
della vita sta nel dovere da compiere, nel
sacrificio da sostenere, nel dolore da
sopportare. Rendiamoci tutti con onestà di
condotta, con correttezza di parole, con
contegno educato, con coscienza pura,
meno indegni di affrettare l’ora della
misericordia e di rivederci a Torre. Dio vi
benedica. Il vostro parroco soldato»
Il 31 dicembre 1918 torna a Torre dove trova
una miseria desolante.
Riorganizza la Gioventù cattolica e si
impegna per l’Azione cattolica. Nel 1919
viene eletto nel consiglio direttivo
dell’Unione cooperativa provinciale di
Produzione e di consumo.
Partecipa il 12 maggio 1920 alla grande
manifestazione a Pordenone dei contadini
riuniti nelle leghe. Ci furono due cortei
autorizzati: uno cattolico organizzato
dall’Unione del lavoro, l’altro socialista
organizzato dalla Camera del Lavoro.
Quando tiene un discorso dalla balaustra del
Duomo in piazzetta San Marco sulla
necessità di riformare il patto colonico fu
preso a sassate.
Il 30 giugno 1926 lascia Torre dove tornerà
come parroco il 15 maggio 1947.
Dal 1933 al 1944 è stato direttore
dell’Ufficio Catechistico diocesano.
Nel settembre del 1943 partecipa alla
costituzione di un comitato di resistenza
nelle zone di Portogruaro Concordia, Sesto
al Reghena. Il 1 marzo 1944 viene arrestato
dall’autorità nazifascista di Portogruaro e
condotto in carcere da Venezia con l’accusa
di atteggiamento antifascista. Rilasciato
dopo due settimane gli viene ordinato di
risiedere in seminario a Pordenone. Anche
qui da il suo contributo alla Resistenza
locale in qualità di partigiano militante
nella brigata «Furlan» con compiti di
informatore.
Nel 1947 introduce la
novità di ripetere in
italiano, durante
l’amministrazione dei
sacramenti, le
preghiere della
liturgia fino ad allora
recitate solo in latino.
Il 16 novembre del 1957 si ritira nella
casa di riposo Umberto di piazza della
Motta a Pordenone. Fonda il
Segretariato del popolo. Tra il 1960 e il
1967 pubblica diversi volumi.
All’età di 84 anni nel 1964 pubblica
«Diocesi di Pordenone, sintesi storica,
documenti inediti raccolti da un
pubblicista dell’albo dei giornalisti». Il
vescovo Vittorio De Zanche inserirà sul
settimanale diocesano Il Popolo un
comunicato di deplorazione e
riprovazione dell’opera giudicata
inopportuna, offensiva e irriverente.
Il 4 maggio 1974 si spegne all’età di quasi
94 anni.
Viene sepolto nel cimitero di Torre.
La lapide riporta scolpito l’epitaffio
scritto di suo pugno nei mesi precedenti.
OSSA E POLVERE
DI MONS. GIUSEPPE LOZER
HA AMATO I POVERI E GLI OPERAI
CON ATTIVITÁ CARITATIVA
E SCIALE MULTIFORME
PER LA LIBERTÁ
E PER LA GIUSTIZIA
SOFFRÌ IL CARCERE E IL CONFINO
21.7.1980 - 4.5.1974
Giuseppe Lozer
Giuseppe Lozer
Giuseppe Lozer
Giuseppe Lozer
Giuseppe Lozer
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Giuseppe Lozer

  • 1. GIUSEPPE LOZER Starò sempre in guardia, come il dovere mi impone, contro ogni errore che possa offuscare, menomare l’integrità della fede, massimo dei doni da Dio elargito. LETTERA A GIOVANNI MARIA CONCINA , PARROCO DI PRATA DI PORDENONE, 20 SETTEMBRE 1906 a cura di Paola Barigelli-Calcari
  • 2. Nato a Budoia il 24 luglio 1880, da Bortolo e Lucia Fort, Lozer terminò gli studi nel Seminario di Portogruaro nel 1901, ma venne ordinato sacerdote solo il 1 febbraio 1903, in quanto doveva attendere il compimento del ventiduesimo anno e mezzo di età. Il 13 febbraio dello stesso anno fu subito nominato economo spirituale della parrocchia di Torre, e parroco nel settembre 1904. Dal 1926 fu Canonico della cattedrale di Concordia e insegnante del ginnasio-liceo Marconi fino al 1944, nonché vicario foraneo di Portogruaro fino alla medesima data. Nel 1945 divenne arciprete di Lorenzaga. Nel 1947 fu di nuovo parroco a Torre, su richiesta dei paesani, fino al 1957, quando chiese di diventare ospite della Casa di riposo Umberto I di Pordenone. Morì il 4 maggio 1974.
  • 3. «Figura singolare quella di don Lozer. Nella Destra Tagliamento egli fece parlare, con don G. M. Concina a Prata e con Annibale Giordani nello spilimberghese, di una triade di sacerdoti che, come si è detto, nel pordenonese affrontarono la questione sociale facendo leva sulle masse contadine, contemporaneamente impegnandosi nella costruzione di cooperative di vario tipo. Abilissimi oratori dalle voci possenti, sfiorati dal modernismo, questi sacerdoti ci appaiono ispirati da un modernismo politico diverso da quello che, in altre parti d’Italia, vagheggiava “la conciliazione con la democrazia” e, se possibile, con il socialismo» T. DEGAN, La casa del popolo di Torre, Euro 92 editoriale, Pordenone 2003, p. 59.
  • 4. Le memorie di don Lozer sono la testimonianza di una vita quanto mai attiva, se pensiamo al suo lavoro ecclesiale e soprattutto di organizzatore politico, sindacale e cooperativistico dei cattolici di Torre, di Pordenone e della diocesi; alla Cassa operaia di credito volta soprattutto alla realizzazione di case operaie (poi Banca cooperativa operativa di Torre, ora dissolta nel gruppo Intesa); all’Unione cooperativa di consumo (oggi parte delle Cooperative Operaie di Trieste); al Mulino ed al Forno cooperativo; alla Tipografia sociale cooperativa di Portogruaro; alla Società di assicurazione bovini, alla Cooperativa dell’ago, ed alle tante altre idee concepite e non realizzate dal vulcanico sacerdote, come la Cooperativa case popolari e la farmacia cooperativa.
  • 5. In seminario ottenne dieci in tutte le materia tranne in Liturgia, la più facile delle scienze sacre, in cui ottenne otto. Durante l’anno scolastico era stato alquanto insubordinato e vivace, e anche molesto con obbiezioni. Ricordo fra l’altro che aveva criticato la prassi allora vigente di interrogare in latino i padrini del Battesimo, l’uso della stessa lingua nelle preci del Matrimonio, nel quale, essendo gli sposi ministri, avrebbero avuto il diritto di capire l’intero sacro rito… Secondo Lozer «è razionale e conveniente che il fedele abbia a comprendere le domande rivoltegli e le preci tanto belle che lo riguardano e che la sacra sinassi venga facilitata».
  • 6. Il 13 febbraio 1903 venerdì pomeriggio arrivava a Torre. «La prima visita, alla chiesa; la trovai spoglia, di un biancore glaciale, col solo altare della Madonna, con un pavimento di ghiaia cementata. Pregai e lacrimai insieme; furono le prime ma non le ultime lacrime versate in quella chiesa e in quella parrocchia… Non si doveva mandare in una parrocchia simile un giovane prete, solo, senza alcuna esperienza pastorale. È duro imparare la vita di ministero parrocchiale da se stessi, a proprie spese… A Pasqua visitai tutte le case per la benedizione… Riferii in predica la mia impressione, rivolsi alcune raccomandazioni. Si meravigliarono che m’interessassi di igiene, di pulizia, di stampa, di camere.
  • 7. Le mie condizioni finanziarie erano critiche. Parecchi mi domandavano due, cinque lire a prestito fino alla quindicina che non mi restituivano….Con una lire si comprava un chilo di carne, o un litro di olio, o tre di vino. Ero sempre al verde, stentavo davvero; il vescovo mi aveva fatto la carità di cento lire. Non essendo parroco non ricevevo benefici dai terreni della prebenda parrocchiale. Disponevo dell’elemosina di una lira e mezza o due e di 60 centesimi dal Fondo Culti quale economo spirituale. Dovetti accendere qualche debito per vivere e firmare la prima cambiale di mia vita. Ho passato due anni assai difficili sotto ogni rapporto.
  • 8. Quando raggiunsi l’età canonica richiesta di 24 anni ottenni pieni voti degli esaminatori e divenni parroco. Allora il lavoro in Cotonificio era di undici ore e mezza, orario inumano, schiavista, anti igienico. Appena nominato parroco scrissi una lettera alla direzione supplicando, con chiari motivi, la riduzione di un’ora di lavoro perché gli operai potessero consumare senza fretta e furia il magro desinare, assicurando che la produzione non ne avrebbe risentito specialmente nella qualità. Fu concessa la riduzione ma soltanto di mezz’ora. La incomprensione, l’avidità di guadagno, la sfrenata concorrenza, la mancanza di provvedimenti legislativi, furono causa di marasma sociale, per cui la massa divenne irritata, rivoltosa, cattiva. Infatti S. Tommaso d’Aquino insegnava: «Una certa quantità di beni materiali è necessaria all’uomo per essere virtuoso».
  • 9. «La chiesa è poco frequentata nonostante che le funzioni si facciano brevi e solenni. La Dottrina cristiana è poco frequentata in proporzione dei tanti ragazzi. La moralità è decadente per il lavoro promiscuo e per la leggerezza femminile; si ama troppo il lusso. I ragazzi fino al dodicesimo anno stanno a contato col parroco che ha influenza su di loro; poi vanno a lavorare e pochi sono quelli che poi frequentano la chiesa e le funzioni. Tutto è stato tentato; anche il cine attrae ben pochi; preferiscono recarsi a Pordenone. La massima parte dei genitori sono bestemmiatori».
  • 10. «Lo scopo della vostra vita non è quello di aumentare il numero delle pezze di cotone. Solo la fede vi impedisce di inaridire i vostri sentimenti umani. Quando si è indifferenti o si perde la fede, quando si è materializzati, si avvera quello che dice la Bibbia: l’uomo animale non percepisce più le cose dello spirito di Dio; l’anima diventa una pietraia dove non germina il seme della scienza divina»
  • 11. L’elenco delle iniziative che lo vedono in prima linea a Torre è infinito: dalla fondazione della Cassa operaia sant’Ilario alla Cooperativa di Consumo, dalla costruzione della nuova Casa canonica e tanti lavori realizzati in Chiesa, compreso il muraglione di sostegno verso il fiume Noncello, all’avvio del Mulino, dalla redazione del mensile “L’amico di Casa” alla costruzione dell’Asilo, dalla cooperativa dell’Ago, per ragazze rimaste senza lavoro, alla costituzione della Biblioteca Popolare, allo sviluppo del Dopolavoro a cui fornisce un apparecchio radio, il primo sentito a Torre, e molto altro ancora. Nella sua seconda permanenza a Tore promuove l’Acli (Associazione Cristiana deli lavoratori). E’ conosciuta anche la sua lotta alla bestemmia fino a fondare la sezione pordenonese del Comitato civile contro la bestemmia, iniziativa che ci porta a non sottovalutare, quando si cerca di decifrare una personalità così poliedrica e viva, che
  • 12. I liberali di destra e di sinistra che governavano l’Italia fino ad allora avevano lasciato la classe operaia in balia di sfruttatori; salari più bassi d’Europa, nessuna assicurazione sociale per pensione o per malattia, nessuna ispezione sanitaria nelle fabbriche, non cassa per la maternità, per la disoccupazione, non facilitazioni per la costruzione di case popolari, non agevolazioni per creditizie per la cooperazione, per la piccola proprietà terriera, per gli artigiani, non tutela e protezione degli emigranti. La classe operaia, come ben disse il papa Leone XIII, era ridotta in una condizione poco inferiore alla schiavitù. Per forza le masse diventavano rivoluzionarie.
  • 13. Non si voleva, non si permetteva che il prete avesse a cuore le condizioni degli operai e dei lavoratori della terra. Testimone vivente del preconcetto antireligioso Lozer ha sperimentato a Torre l’evoluzione di chi denigrava i preti e la Chiesa: prima i socialisti, poi i fascisti ed infine i comunisti. «Il prete faccia il prete e tenda alla sua chiesa». Lui rispondeva: « Ho atteso alla mia chiesa e vedete come l’ho ridotta bella dentro e fuori, ho fatto da prete, ho insegnato due volte al giorno la dottrina ai piccoli, ho sempre assistito, visitato i malati, aiutato i poveri. Ma nello stesso tempo ho obbedito al mio Capo, al Papa, il quale ha comandato ai preti di uscire di sacrestia, di vivere col popolo e per il popolo e di promuovere tutto quello che nell’ordine umano, civile, sociale, religioso lo può migliorare».
  • 14. Per aver espresso la sua opinione il primo maggio 1915 al Console germanico di Venezia, Lozer è stato carcerato dal 24 giugno al 15 luglio 1915. Come Presidente del Segretariato di emigrazione informa che «i rimpatriati riferiscono di essere stati offesi, disprezzati nelle stazioni di Germania ed Austria; si è rifiutato ad essi persino il pane. Vi prego a far inserire sui vostri giornali che il popolo italiano non vuole la guerra. Sono a contatto quotidiano non solo con emigranti ma anche con operai delle industrie e coi contadini; nessuno condivide il pensiero dei giornali guerrafondai. Se domani per nostra sventura si apriranno le ostilità, non si dimentichi che il popolo italiano nella sua grande maggioranza ne è contrario e che esse saranno volute dalla massoneria, dalla stampa prezzolata, da un ministro ebreo inglese, da un governo debole e ambizioso e da un re che non ha saputo mostrarsi provvido, né previdente, né galantuomo».
  • 15. Il 24 maggio 1915 on. Salandra dichiarò guerra all’Austria. Lozer scriveva sul Bollettino parrocchiale «L’amico di Casa»: «E se fino a ieri fummo neutralisti e con noi l’intera parrocchia e abbiamo sperato abbiamo voluto che le rivendicazioni e le integrazioni delle terre irredente si compissero con le armi del diritto e della giustizia…oggi non discutiamo più…oggi non è tempo di critica, ma di azione e di sacrificio….Qualunque cosa si richiederà da noi, la daremo; in qualsiasi piccolo campo di attività verremmo chiamati, risponderemo all’appello, divideremo alle vedove e agli orfani il pane, divideremo le vesti, offriremo la nostra modesta suppellettile se necessario, venderemo anche quanto ci è caro e ci serve agli usi della vita e la vita stessa daremo per i nostri fratelli, per la nostra Patria quando ci fosse richiesta».
  • 16. Dopo lo scandalo del carcere fu trasferito a Roma, poi a Firenze ed infine confinato come internato in Sardegna. Le umiliazioni, il viaggio faticoso, i patimenti, la fame, le ingiustizie, il divieto di celebrare la messa, lo fecero ammalare gravemente. «Feci un voto al Santo curato d’Ars che se fossi guarito e avessi riacquistato la libertà, sarei andato pellegrino a ringraziarlo ad Ars, dove potei recarmi soltanto nel luglio 1926 tre giorni a gustare le intime superbe gioie dello spirito». Il 30 aprile 1916 depose la veste da prete per indossare la divisa militare. Destinato alla VIII compagnia di Sanità fu assegnato poi al Reparto Segregazione dov’erano ricoverati gli anormali, i neuropsicopatici come aiutante del maggiore Sergio Sergi.
  • 17. Inviato al campo di aviazione di Palo «vista la indifferenza, la noncuranza degli ufficiali per i quali i giorni festivi erano uguali agli altri anche per le esercitazioni» chiese di tornare a Roma. Fece 33 mesi di servizio attivo senza licenza; non fu promosso caporale e nemmeno cappellano militare. Prete politicante contrario alle Istituzioni e austriacante: questa la qualifica data dal Comando dei carabinieri di Pordenone inviato alla Direzione di Roma.
  • 18. Da Roma stampa il «Bollettino dei profughi e dei soldati di Torre» riportando centinaia di indirizzi e notizie dei paesani; ne invia copia a tutti quelli di cui conosce la residenza. «Non disperiamo: il coraggio non ci venga meno giammai. Ricordiamoci che l’essenza della vita sta nel dovere da compiere, nel sacrificio da sostenere, nel dolore da sopportare. Rendiamoci tutti con onestà di condotta, con correttezza di parole, con contegno educato, con coscienza pura, meno indegni di affrettare l’ora della misericordia e di rivederci a Torre. Dio vi benedica. Il vostro parroco soldato»
  • 19. Il 31 dicembre 1918 torna a Torre dove trova una miseria desolante. Riorganizza la Gioventù cattolica e si impegna per l’Azione cattolica. Nel 1919 viene eletto nel consiglio direttivo dell’Unione cooperativa provinciale di Produzione e di consumo. Partecipa il 12 maggio 1920 alla grande manifestazione a Pordenone dei contadini riuniti nelle leghe. Ci furono due cortei autorizzati: uno cattolico organizzato dall’Unione del lavoro, l’altro socialista organizzato dalla Camera del Lavoro. Quando tiene un discorso dalla balaustra del Duomo in piazzetta San Marco sulla necessità di riformare il patto colonico fu preso a sassate.
  • 20. Il 30 giugno 1926 lascia Torre dove tornerà come parroco il 15 maggio 1947. Dal 1933 al 1944 è stato direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano. Nel settembre del 1943 partecipa alla costituzione di un comitato di resistenza nelle zone di Portogruaro Concordia, Sesto al Reghena. Il 1 marzo 1944 viene arrestato dall’autorità nazifascista di Portogruaro e condotto in carcere da Venezia con l’accusa di atteggiamento antifascista. Rilasciato dopo due settimane gli viene ordinato di risiedere in seminario a Pordenone. Anche qui da il suo contributo alla Resistenza locale in qualità di partigiano militante nella brigata «Furlan» con compiti di informatore.
  • 21. Nel 1947 introduce la novità di ripetere in italiano, durante l’amministrazione dei sacramenti, le preghiere della liturgia fino ad allora recitate solo in latino.
  • 22. Il 16 novembre del 1957 si ritira nella casa di riposo Umberto di piazza della Motta a Pordenone. Fonda il Segretariato del popolo. Tra il 1960 e il 1967 pubblica diversi volumi. All’età di 84 anni nel 1964 pubblica «Diocesi di Pordenone, sintesi storica, documenti inediti raccolti da un pubblicista dell’albo dei giornalisti». Il vescovo Vittorio De Zanche inserirà sul settimanale diocesano Il Popolo un comunicato di deplorazione e riprovazione dell’opera giudicata inopportuna, offensiva e irriverente.
  • 23. Il 4 maggio 1974 si spegne all’età di quasi 94 anni. Viene sepolto nel cimitero di Torre. La lapide riporta scolpito l’epitaffio scritto di suo pugno nei mesi precedenti. OSSA E POLVERE DI MONS. GIUSEPPE LOZER HA AMATO I POVERI E GLI OPERAI CON ATTIVITÁ CARITATIVA E SCIALE MULTIFORME PER LA LIBERTÁ E PER LA GIUSTIZIA SOFFRÌ IL CARCERE E IL CONFINO 21.7.1980 - 4.5.1974