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Un nuovo digital divide
Il digital divide, inizialmente inteso come la divisione fra gruppi di individui legata alle diverse
possibilità di accesso alle tecnologie digitali, sta assumendo oggi un ulteriore significato.
Il massiccio ed esteso avvento delle tecnologie nella società si ripercuote necessariamente sulla
dimensione scolastica mediante diversi approcci; tuttavia e paradossalmente, a una sempre maggiore
diffusione delle tecnologie corrisponde un progressivo e profondo distacco da esse.
Una tecnologia espone, o meglio, si espone con un’interfaccia. Nel suo spazio si sviluppa
l’interazione, fra soggetto, artefatto e scopo dell’azione, che esplicita il carattere strumentale dell’oggetto
(Bonsiepe G., 1995). […].
A fronte di una generale tendenza nell’identificazione tra tecnologia e interfaccia, quest’ultima intesa
e percepita quale strumento di sviluppo di possibili e specifiche attività, sempre più la tecnologia si fa
sottile: un esempio è il tablet, che sempre più tende ad assomigliare a fogli, suggerendo con le proprie
dimensioni la stessa sottigliezza della pagina di giornale. L’essere sottile del tablet rappresenta una
metafora della corrispondente sottigliezza della conoscenza e della competenza sull’uso delle tecnologie.
Infatti, accanto alla tendenza a impadronirsi delle funzionalità dell’interfaccia, si riscontra un
interesse sempre minore circa le modalità di funzionamento di un qualsivoglia dispositivo.
Questa deriva, purtroppo, sta coinvolgendo anche l’ambito scolastico: l’emergere di un nuovo, più
significativo e profondo digital divide, si può far risalire, oggi, non tanto alle diverse possibilità di
accesso alle tecnologie quanto, piuttosto, a diversi livelli di qualità nell’utilizzo delle stesse, laddove, la
scuola dovrebbe essere il luogo in cui è possibile raggiungere lo stesso spessore competenziale.
Attualmente, solo nella scuola superiore di secondo grado, alcuni istituti ad indirizzo tecnico sono in
grado di fornire percorsi didattici finalizzati all’acquisizione di competenze tecnologiche specifiche nel
settore informatico ed elettronico1
. Sarebbe invece auspicabile che la scuola tutta, in ogni ordine e grado
e tenendo conto delle diverse proposte formative, contribuisca a formare, negli studenti, un
background culturale che permetta loro di dialogare, in futuro, in modo consapevole ed efficace con le
tecnologie2
. Formare ad una consapevolezza tecnologica significherebbe poter contare anche e
soprattutto sulla possibilità di incidere sulla diffusione dello sviluppo tecnologico e del suo
orientamento secondo una modalità piuttosto che secondo un’altra.
Non si possono delegare queste decisioni solo agli esperti. Oltre a ciò, la “scuola dovrebbe sempre
avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non ridotti a specialisti. Questo,
secondo me, è vero in certa misura anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno ad una
ben determinata professione. Lo sviluppo dell’abitudine generale a pensare e giudicare
indipendentemente, dovrebbe essere sempre al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze
specializzate. Se una persona è padrona dei principi fondamentali del proprio settore e ha imparato a
pensare e a lavorare indipendentemente, troverà sicuramente la propria strada e inoltre sarà in grado di
adattarsi al progresso e ai mutamenti più di una persona la cui istruzione consiste principalmente
nell’acquisizione di una conoscenza particolareggiata” (Einstein A., 1966, citato in Antiseri D, 2000,
pag. 10). Quanto affermato da Einstein ci spinge a considerare dannosi i percorsi che forzano gli
studenti verso forti specializzazioni in quanto rischiano di pregiudicare una crescita armoniosa. Inoltre
una competenza meno specialistica ma maggiormente distribuita su diversi ambiti, permetterebbe di
maturare un atteggiamento più propositivo nei confronti di se stessi: si può scegliere con più libertà,
evitando percorsi canalizzati esclusivamente verso i settori pesantemente praticati durante la
formazione scolastica.
A vari livelli, una conoscenza e una competenza che si traducano nell’acquisizione di un sufficiente
orientamento sul versante delle tecnologie informatiche possono essere create attraverso esperienze di
costruzione programmi. Con queste attività è possibile venire a contatto con la struttura del dispositivo
1 Analoga realtà per le tecnologie riferibili ad altri domini.
2 Si ribadisce che non si vuole proporre una ‘ingegnerizzazione informatica’ in modo capillare, anche se con
carichi diversi fra i vari ordini di scuole, ma si auspica unicamente un approccio alla costruzione con le
tecnologie, piuttosto che al semplice uso.
hardware3
e acquisire una autonomia di lavoro, di scelta e anche di intervento sullo sviluppo sociale
delle stesse tecnologie.
L’orientamento verso una comprensione degli aspetti formativi legati alle realizzazioni di
applicazioni informatiche non ha sempre incontrato dei sostenitori.
Ad esempio, Jonassen (Jonassen D., 2000, pag. 8) si chiede retoricamente: “Was it necessary to
complete a course on ‘washing machine literacy’ in order to use the last new washing machine that you
encountered?”; probabilmente non serve all’addetto all’uso della lavatrice seguire un corso di
alfabetizzazione sulla struttura e sul funzionamento di una lavatrice, però se riformuliamo la domanda
nel seguente modo “Was it necessary to complete a course on ‘computer literacy’ in order to use the
last new computer that you encountered?”, la domanda perde il suo valore retorico e potrebbe valere la
pena di articolare una risposta. “Una alfabetizzazione sulla struttura di un computer può essere
veramente utile se con essa è possibile sviluppare delle attività che si ritengono utili ai fini del
raggiungimento di obiettivi di apprendimento e che gli studenti possano percepire come rilevanti. […]
È bene conoscere il funzionamento della tecnologia per un suo migliore utilizzo, ma anche per
permettere acquisizioni di competenze significative nella formazione. Conoscere il funzionamento di un
elaboratore permette, ad esempio, di capire cosa è e come nasce l’intelligenza artificiale classica, di
cogliere il senso dei sistemi esperti, di comprendere come si sviluppa la nuova intelligenza artificiale, di
apprendere il significato dei linguaggi e in particolare di quelli artificiali, di acquisire basi per una
corretta progettazione di artefatti informatici” (Alessandri G., 2008, pag. 66).
Pierre Bourdieu in Les héritiers. Les étudiants et la culture (1964, pagg. 103-109), scritto insieme a Jean-
Claude Passeron, conduce una significativa critica alla riproposizione della disuguaglianza sociale da
parte della scuola del suo tempo. Gli autori spiegavano che i giovani delle classi popolari erano, non
solo, esclusi dagli studi superiori e universitari ma, fatto ancor più grave, nel frequentare la scuola
ritrovavano una riproduzione della selezione che già pativano nella società. La scuola avallava i dislivelli
sociali riproponendoli in forme di ineguaglianze scolastiche; così facendo ratificava e riproduceva la
suddivisione classista esistente nel tessuto sociale. In altre parole la scuola, piuttosto che rappresentare
strumento di liberazione e quindi di emancipazione, diveniva custode della conservazione della
suddivisione della società in classi.
Prendendo ad esempio l’analisi di Bourdieu, applicandola alla diffusione delle tecnologie, la scuola
attualmente mantiene e anzi perpetua la suddivisione in classi delle competenze digitali. Invece di
proporre un uso significativo delle tecnologie, spesso si interroga ancora se usarle oppure no e,
comunque, troppo spesso nell’ottica di strumenti facilitatori nei vari ambiti disciplinari.
Nella sua analisi, Bourdieu propone un’azione bifronte: da un lato una spinta riformatrice che
proviene dal mondo della scuola attraverso una didattica rinnovata e sotto l’impulso dei docenti e,
dall’altro, attraverso delle illuminate prese di posizione della classe politica deputata a percepire le
esigenze emergenti dalla società.
Nell’orizzonte attuale, invece, così come nel mondo della scuola e nei vertici politico-istituzionali,
allignano, prosperano e si diffondono iniziative volte a prefigurare un uso massiccio delle cosiddette
‘nuove tecnologie’: lavagne interattive multimediali, tablet, e-book, libri misti; nel complesso ci si
allontana sempre più da una pratica, se mai è esistita, e si preferisce un semplice uso delle tecnologie,
assottigliandone costantemente il vero significato; sempre più esse diventano piatte e trasparenti e
sempre più assume dimensioni rilevanti il nuovo digital divide.
[da Alessandri.G, 2013, Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa, Morlacchi, Perugia]
3 Anche se solo a livello funzionale.

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Un nuovo digital_divide

  • 1. Un nuovo digital divide Il digital divide, inizialmente inteso come la divisione fra gruppi di individui legata alle diverse possibilità di accesso alle tecnologie digitali, sta assumendo oggi un ulteriore significato. Il massiccio ed esteso avvento delle tecnologie nella società si ripercuote necessariamente sulla dimensione scolastica mediante diversi approcci; tuttavia e paradossalmente, a una sempre maggiore diffusione delle tecnologie corrisponde un progressivo e profondo distacco da esse. Una tecnologia espone, o meglio, si espone con un’interfaccia. Nel suo spazio si sviluppa l’interazione, fra soggetto, artefatto e scopo dell’azione, che esplicita il carattere strumentale dell’oggetto (Bonsiepe G., 1995). […]. A fronte di una generale tendenza nell’identificazione tra tecnologia e interfaccia, quest’ultima intesa e percepita quale strumento di sviluppo di possibili e specifiche attività, sempre più la tecnologia si fa sottile: un esempio è il tablet, che sempre più tende ad assomigliare a fogli, suggerendo con le proprie dimensioni la stessa sottigliezza della pagina di giornale. L’essere sottile del tablet rappresenta una metafora della corrispondente sottigliezza della conoscenza e della competenza sull’uso delle tecnologie. Infatti, accanto alla tendenza a impadronirsi delle funzionalità dell’interfaccia, si riscontra un interesse sempre minore circa le modalità di funzionamento di un qualsivoglia dispositivo. Questa deriva, purtroppo, sta coinvolgendo anche l’ambito scolastico: l’emergere di un nuovo, più significativo e profondo digital divide, si può far risalire, oggi, non tanto alle diverse possibilità di accesso alle tecnologie quanto, piuttosto, a diversi livelli di qualità nell’utilizzo delle stesse, laddove, la scuola dovrebbe essere il luogo in cui è possibile raggiungere lo stesso spessore competenziale. Attualmente, solo nella scuola superiore di secondo grado, alcuni istituti ad indirizzo tecnico sono in grado di fornire percorsi didattici finalizzati all’acquisizione di competenze tecnologiche specifiche nel settore informatico ed elettronico1 . Sarebbe invece auspicabile che la scuola tutta, in ogni ordine e grado e tenendo conto delle diverse proposte formative, contribuisca a formare, negli studenti, un background culturale che permetta loro di dialogare, in futuro, in modo consapevole ed efficace con le tecnologie2 . Formare ad una consapevolezza tecnologica significherebbe poter contare anche e soprattutto sulla possibilità di incidere sulla diffusione dello sviluppo tecnologico e del suo orientamento secondo una modalità piuttosto che secondo un’altra. Non si possono delegare queste decisioni solo agli esperti. Oltre a ciò, la “scuola dovrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non ridotti a specialisti. Questo, secondo me, è vero in certa misura anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno ad una ben determinata professione. Lo sviluppo dell’abitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente, dovrebbe essere sempre al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate. Se una persona è padrona dei principi fondamentali del proprio settore e ha imparato a pensare e a lavorare indipendentemente, troverà sicuramente la propria strada e inoltre sarà in grado di adattarsi al progresso e ai mutamenti più di una persona la cui istruzione consiste principalmente nell’acquisizione di una conoscenza particolareggiata” (Einstein A., 1966, citato in Antiseri D, 2000, pag. 10). Quanto affermato da Einstein ci spinge a considerare dannosi i percorsi che forzano gli studenti verso forti specializzazioni in quanto rischiano di pregiudicare una crescita armoniosa. Inoltre una competenza meno specialistica ma maggiormente distribuita su diversi ambiti, permetterebbe di maturare un atteggiamento più propositivo nei confronti di se stessi: si può scegliere con più libertà, evitando percorsi canalizzati esclusivamente verso i settori pesantemente praticati durante la formazione scolastica. A vari livelli, una conoscenza e una competenza che si traducano nell’acquisizione di un sufficiente orientamento sul versante delle tecnologie informatiche possono essere create attraverso esperienze di costruzione programmi. Con queste attività è possibile venire a contatto con la struttura del dispositivo 1 Analoga realtà per le tecnologie riferibili ad altri domini. 2 Si ribadisce che non si vuole proporre una ‘ingegnerizzazione informatica’ in modo capillare, anche se con carichi diversi fra i vari ordini di scuole, ma si auspica unicamente un approccio alla costruzione con le tecnologie, piuttosto che al semplice uso.
  • 2. hardware3 e acquisire una autonomia di lavoro, di scelta e anche di intervento sullo sviluppo sociale delle stesse tecnologie. L’orientamento verso una comprensione degli aspetti formativi legati alle realizzazioni di applicazioni informatiche non ha sempre incontrato dei sostenitori. Ad esempio, Jonassen (Jonassen D., 2000, pag. 8) si chiede retoricamente: “Was it necessary to complete a course on ‘washing machine literacy’ in order to use the last new washing machine that you encountered?”; probabilmente non serve all’addetto all’uso della lavatrice seguire un corso di alfabetizzazione sulla struttura e sul funzionamento di una lavatrice, però se riformuliamo la domanda nel seguente modo “Was it necessary to complete a course on ‘computer literacy’ in order to use the last new computer that you encountered?”, la domanda perde il suo valore retorico e potrebbe valere la pena di articolare una risposta. “Una alfabetizzazione sulla struttura di un computer può essere veramente utile se con essa è possibile sviluppare delle attività che si ritengono utili ai fini del raggiungimento di obiettivi di apprendimento e che gli studenti possano percepire come rilevanti. […] È bene conoscere il funzionamento della tecnologia per un suo migliore utilizzo, ma anche per permettere acquisizioni di competenze significative nella formazione. Conoscere il funzionamento di un elaboratore permette, ad esempio, di capire cosa è e come nasce l’intelligenza artificiale classica, di cogliere il senso dei sistemi esperti, di comprendere come si sviluppa la nuova intelligenza artificiale, di apprendere il significato dei linguaggi e in particolare di quelli artificiali, di acquisire basi per una corretta progettazione di artefatti informatici” (Alessandri G., 2008, pag. 66). Pierre Bourdieu in Les héritiers. Les étudiants et la culture (1964, pagg. 103-109), scritto insieme a Jean- Claude Passeron, conduce una significativa critica alla riproposizione della disuguaglianza sociale da parte della scuola del suo tempo. Gli autori spiegavano che i giovani delle classi popolari erano, non solo, esclusi dagli studi superiori e universitari ma, fatto ancor più grave, nel frequentare la scuola ritrovavano una riproduzione della selezione che già pativano nella società. La scuola avallava i dislivelli sociali riproponendoli in forme di ineguaglianze scolastiche; così facendo ratificava e riproduceva la suddivisione classista esistente nel tessuto sociale. In altre parole la scuola, piuttosto che rappresentare strumento di liberazione e quindi di emancipazione, diveniva custode della conservazione della suddivisione della società in classi. Prendendo ad esempio l’analisi di Bourdieu, applicandola alla diffusione delle tecnologie, la scuola attualmente mantiene e anzi perpetua la suddivisione in classi delle competenze digitali. Invece di proporre un uso significativo delle tecnologie, spesso si interroga ancora se usarle oppure no e, comunque, troppo spesso nell’ottica di strumenti facilitatori nei vari ambiti disciplinari. Nella sua analisi, Bourdieu propone un’azione bifronte: da un lato una spinta riformatrice che proviene dal mondo della scuola attraverso una didattica rinnovata e sotto l’impulso dei docenti e, dall’altro, attraverso delle illuminate prese di posizione della classe politica deputata a percepire le esigenze emergenti dalla società. Nell’orizzonte attuale, invece, così come nel mondo della scuola e nei vertici politico-istituzionali, allignano, prosperano e si diffondono iniziative volte a prefigurare un uso massiccio delle cosiddette ‘nuove tecnologie’: lavagne interattive multimediali, tablet, e-book, libri misti; nel complesso ci si allontana sempre più da una pratica, se mai è esistita, e si preferisce un semplice uso delle tecnologie, assottigliandone costantemente il vero significato; sempre più esse diventano piatte e trasparenti e sempre più assume dimensioni rilevanti il nuovo digital divide. [da Alessandri.G, 2013, Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa, Morlacchi, Perugia] 3 Anche se solo a livello funzionale.