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Diario
     di
bordo...tazza
 Leggete solo se non siete schizzinosi
   e comunque lontano dai pasti.

      Daniele Marchettini




         Edizioni lamistampante
L’organismo è governato, come si sa, da reazioni
chimiche, fra queste la digestione che produce ri-
fiuti che devono essere portati all’esterno del cor-
po. Fin qui tutto normale, se nonché il mio rap-
porto con questo naturale espletamento biologico
ha sempre avuto dei risvolti comici che qui vorrei
condividere con chi sta leggendo, facendo diven-
tare questo… eh si... si può proprio dire… un libro
di merda!
Il mio problema principale è sempre stato ed è an-
cora, l’impellenza. Niente avviso, nessun segnale,
a un certo punto, dal sereno stabile col cielo che
più terso non ce né, la tempesta, il ciclone, nuvo-
loni neri improvvisi e il tifone tropicale che si ab-
batte dentro (e fuori…) di me.
Leggendo questo diario che potrebbe essere anche
un manuale di “sopravvivenza”, tenete sempre in
considerazione questa cosa, tutto quello che qui
racconto, è accaduto a codice rosso…

                                           Daniele
12 Novembre 1990, Barga - Lucca

Bellissimo bar quasi davanti al famoso Ponte del Diavolo,
quello con gli archi tutti diversi. Io allora non bevevo caffè,
ma quando suonavano le campane intestine, se unn’era un
caffè l’era una spuma…
All’accoglienza dell’ingresso del locale si contrapponeva lo
squallore del “vano tecnico”; vecchissima porta in legno
sgangherata, semi sverniciata e con paletto rotto. Buca alla
turca e niente mattonelle, diverse mani di smalto intonacava-
no i muri, l’ultimo, quello visibile era crema ma in un punto
si vedevano alcuni anni di arancio, di verde e di un bel blu co-
balto. Lo sciacquone era di quelli classici in alto con la cate-
nella di una buona metrata ovviamente senza la nappa, aspor-
tata da chissà chi chissà quanto tempo prima. Totale assenza
di carta e di scopino. Meno male che i provvidenziali fazzo-
lettini mi sono sempre fedeli compagni di viaggio…
Un boato, uno schianto, come un treno liquido che esce di
galleria a tutta velocità ed impatta in un muro… quel muro, di
quel piccolo bagno di un bar di periferia. Il mio solito perso-
nale inferno che trasforma il locale di turno in una scena apo-
calittica da mattanza intestinale. E un abbondanza di carta,
tanta carta, perché io ne consumo mezzo rotolo per ogni per-
formance, ma da quando ci sono i rotoloni Regina e i suoi i-
mitatori ce la faccio a farne tre con uno di quei simpatici ed
utili cilindri bianchi.
Torniamo alla scena: interno giorno, il protagonista dopo aver
constatato l’entità della copertura, confida nel veloce ripristi-
no del locale affidandosi allo sciacquone, se nonché alla mini-
ma trazione la catenella si spezza nel punto più alto, vicino al-
la cassetta dell’acqua.
                           E ora?
Solo, chiuso dentro un wc, lontano da casa, senza lo scopino,
con un metro di catenella da sciacquone in mano, sulla scena
del crimine e con il cadavere lì, ancora caldo da nascondere in
qualche modo. Un piano, ci vuole un piano, no no... niente
piano, vado dal barrista (a Firenze si dice con du’ erre) e
spiego l’accaduto. Esco, chiudo la semisverniciata e mi dirigo
verso il banco... che sculo! Il barrista sta facendo un caffè ad
una signora con un bambino in braccio, non posso, non pos-
so… Grazie mille, arrivederci! Allungo il passo verso la mac-
china dall’altra parte della strada e penso al poveretto che per
primo arriverà sulla scena del crimine ma non servirà a niente
chiamare il magistrato, meglio un bel secchione d’acqua e un
altro metro di catenella perché senza accorgermene l’ho mes-
sa in tasca…

                    22 Aprile 1991,
      Stazione di servizio Monte Quiesa - Lucca

Già dieci chilometri prima del bivio per la bretella era emer-
genza… ma la fortuna questa volta sembra aiutarmi. Fuori dai
servizi non c’è la solita fila di persone ed entro subito, meno
male perché non ce l’avrei mai fatta ad aspettare anche un so-
lo minuto. Chiudo la porta e mi complimento mentalmente
con i gestori, dal portarotolo gigante spunta la carta igienica!
Grande! Sarà perché è mattina presto, ma c’è! Meno male
perché oggi non ho i miei preziosi fazzolettini…
Passato il tornado con tutte le conseguenze nefaste sul territo-
rio, tiro la bobina e… riip! L’unico, ultimo, solo esemplare di
strappo di carta… tredici centimetri per dieci, l’unica risorsa
per ripulire gli effetti del ciclone! Mi guardo intorno e ovvia-
mente non c’è niente che possa espletare la bisogna ma le ide-
e più strane mi affiorano nella testa; strofino il culo sulle mat-
tonelle? No… Tiro lo sciacquone poi intingo lo scopino
nell’acqua pulita e mi pulisco con quello…
Ièh!, così e piglio anche ‘harcosa…

                          E allora?

Non posso pulirmi con la maglia, poi che faccio, esco a torso
nudo?
Non mi sono comprato mai niente di marca, il giorno prima,
in preda a non so quale stupido raptus modaiolo avevo acqui-
stato un paio di mutande “di grido”, di quelle con scritto no-
me e cognome dello stilista in grande sull’elastico. Oggi i ra-
gazzi le fanno spuntare giustamente dai pantaloni perché se
spendi 15 mila lire di allora per delle mutande, le devi far ve-
dere per forza! Mi domando; a chi ha passato il periodo delle
colonie estive o dei collegi, dove sui vestiti e sulla biancheria
venivano scritti nome e cognome del proprietario, che effetto
farà mettersi le mutande di Armani Giorgio?
Bah! Comunque lì per lì, non c’era altro da fare che sacrifica-
re il capo fashion per uno scopo logistico. Finita che fu, la
stoffa delle mutande si passò ai calzini cercando di centelli-
nare la poca area a disposizione… fatto!
Poi ti chiedi: Leonardo, Raffaello, Michelangelo… tutti to-
scani! Ci sarà stata una trasmissione di geni? Ma no, la Cap-
pella Sistina non avrei mai potuto farla… e poi? Tutta marro-
ne? No no…


          16 Maggio 1993, Migliarino Pisano

Penso che l’articolo più richiesto ai benzinai sia, ovviamente
dopo il carburante ma prima dell’olio e delle spazzole tergi-
cristallo, il bagno. La stazione di servizio, specialmente in au-
tostrada e sulle lunghe strade di campagna è come un’ oasi
nel deserto. Purtroppo i servizi dei benzinai sono super usati e
poco ben mantenuti ma questo sulla strada di Migliarino ha
battuto tutti i primati di sporcizia e scarsa manutenzione.
Chiesi se c’era il bagno perché la stazione di servizio era mi-
croscopica.
“L’è di dietro!“
Mi avvio e arrivato alla minuscola porta, questa non si apre,
torno dal gestore e mi dice che ci vuole la chiave che tiene lui
nel piccolo locale del distributore. Non poteva dirmelo pri-
ma? Penso… oltretutto devo aspettare perché ora sta facendo
rifornimento a una macchina di tedeschi in vacanza. Finito
con i tedeschi mi porge la chiave, “ieni!” Che schifo… un
passepartout da interni tutto arrugginito, attaccato con un cor-
dino lercio a quella che un tempo doveva essere una palla di
gomma sporca morsa da un cane. Si intuisce ancora per poco,
che doveva essere un regalo Mobil di tanto tempo fa. La por-
ta, di noce nazionale con riquadri di vetro molato ambrato,
doveva essere in un bel salotto di casa molti anni fa, poi gli
agenti esterni e il continuo uso l’hanno fatta diventare una
porta da pollaio. La chiave gira così male che devo tirare la
maniglia per togliere la mandata. Apro e lo spettacolo che si
presenta è da film di Fantozzi; 90 x 90 centimetri con buca al-
la turca senza più smaltatura, sporchissima e con un rigagnolo
di ruggine che la solca fino dentro la buca. Per entrare si deve
mettere i piedi sugli appoggi della latrina perché la porta gira
all’interno e non c’è posto. Non una piastrella ne una matto-
nella, solo diverse mani di smalto dei colori esterni della sta-
zione di servizio ormai completamente abrasi. Per terra, quei
dieci centimetri oltre la superficie della buca, forse una vec-
chia mano di catrame. La buca non ha la giusta pendenza e
l’acqua (e non solo), rimane a lambire tutto il “pavimento”
circostante. A sinistra ciondola lo scheletro di un vecchissimo
portarotolo di ottone non più cromato, non più portarotolo,
visto che manca il supporto per la carta. Lo scopino, una
volta bianco, di plastica, sta in bilico nell’angolino e mi im-
magino quante volte sarà finito nella buca. E’ rivolto verso la
porta in modo da far intravedere tutti i prodotti attaccati alla
spazzola, ma anche solo per prenderlo per il manico bisogna
avere le stesse vaccinazioni di un viaggio in Rwanda. La cas-
setta dello sciacquone in alto è di plastica e piena di manate
nere probabilmente del gestore, tutte le volte che l’ha riparata.
Anche la cassetta, come il portarotolo, l’intonaco e la porta, è
parzialmente scardinata, come se tutti questi elementi, schifati
dell’ambiente si fossero animati e stessero compiendo
l’ultimo sforzo per staccarsi dal loro posto e fuggire lontano.
La catenella è un collage: in cima un pezzo di spago, poi un
pezzo di catenina poi un pezzetto diverso infine la nappa…
ho già pensato che la tirerò con un fazzolettino. A completare
questo quadretto ameno, una campionatura degli ultimi due o
tre utilizzi che lasciano capire che l’odore non viene proprio
dal profumatore di plastica a forma di margherita appiccicato
alla parete destra. Faccio velocemente la mia funzione per
riassaporare l’aria esterna, tiro l’acqua
                              e…
una mezza secchiata mi colpisce in piena faccia perché il tubo
dello sciacquone è staccato dalla parete e quando scarica
l’acqua rimbalza sulla parete della latrina…
Non che bagnarsi un po’ sia un problema, il fatto è che
l’acqua rimbalza fuori dopo che è entrata nel quadrato della
buca!


           8 Aprile 1997, Calambrone - Pisa

In una giornata di sole primaverile che cosa c’è di meglio di
una bella gita al mare?
Sono quasi le undici e il cappuccino dell’autogrill comincia a
farsi sentire…
Forse nessuno li ha mai puliti e l’uso probabile degli utenti
invernali è ancora lì, come i cerchi di un albero tagliato deter-
minano la sua età, allo stesso modo si potrebbe graficamente
quantificare il tempo passato dall’ultima pulizia… Comunque
non è il caso di fare gli schizzinosi quando l’emergenza in-
combe. Sono cinque vani tecnici, rigorosamente senza carta e
senza scopino, le porte sono aperte, li passo velocemente in
rivista e decido che l’ultimo a sinistra è quello che fa al caso
mio. Entro, chiudo o meglio tento di chiudere la porta, provo
a forzare il paletto ma niente, pace, starà aperta… Con la
porta chiusa la luce passa solo da una piccola apertura qua-
drata di quindici centimetri, probabilmente progettata per un
piccolo aspiratore.
Con il pieno sole di fuori ci metto qualche secondo ad abi-
tuarmi a questa semi oscurità, ecco, comincio a vederci un
po’… Intanto prendo posizione sulla turca mentre scruto
l’ambiente intorno a me. La porta è piena di scritte, frasi ri-
volte perlopiù a donne, mi domando; epiteti ingiuriosi o tre-
mende verità? Poi numeri di cellulare accompagnati dal menù
delle prestazioni della malcapitata, quindi vari intramontabili
“W LA FICA”. Annunci dedicati ai camionisti per prestazio-
ni maschili e nell’angolo di destra, in basso, ma così in basso
che mi chiedo come avrà fatto a scriverlo, “LEANDRO TI A-
MO ELY 78” tutta infarcita di cuoricini. Mentre scorro i mes-
saggi di questi grafomani da gabinetto sento qualcosa che mi
striscia sul calcagno destro, no! Me la sono fatta addosso! Mi
chino e vedo una serpente che mi passeggia sul piede. Caccio
un urlo, faccio un salto, e il rettile, che non era una vipera ma
una innocua biscia d’acqua, si impaurisce più di me e sparisce
nella buca della turca. Il fatto è che questa cosa è successa nel
clou della prestazione e così mi ritrovo a dover fare il bagno
in mare per forza… Il sole è caldo ma il mare ancora no...
Quei bagni prima delle dune ora non ci sono più e quindi non
c’è più nemmeno l’alternativa all’affidare al mare il messag-
gio intestinale…

          12 Agosto 1999, Camaldoli - Arezzo

Ne ha fatta di strada il bagno pubblico dall’invenzione di Ve-
spasiano! Dal semplice urinatoio e quindi destinato solo agli
uomini, ai bagni tecnologici a moneta con porta e luce auto-
matica, disinfezione della tazza e del locale dopo ogni uso e
aggeggi vari tipo atomizzatori di profumo, distributori di
ciambelle di carta, servi carta elettrici e via e via. Tutte cosine
carine che spesso però troviamo rotte o guaste…
L’alternativa economica e funzionale a queste “stazioni igie-
niche” penso sia il bagno chimico ma poche amministrazioni
comunali in Italia sono così gentili da dislocarli nei propri
centri urbani. I pubblici esercizi sono obbligati ad avere il ser-
vizio igienico, a seconda delle dimensioni del locale anche
più di uno e comunque almeno uno attrezzato per l’uso da
parte delle persone in carrozzina. Da quando, con la scusa di
limitare l’accesso al bagno di drogati è stato inventata la pro-
cedura del chiedere la chiave alla cassa dei bar, è ancora più
difficile non prendere un caffè o qualcosa altro per ricambiare
la cortesia offerta dal locale. Non che sia un problema, ma per
me che sono aduso alla frequentazione pluriquotidiana dei ba-
gni nei bar… “Dottore, ma ‘un mi faranno miha male, tutti
hesti haffè!” . Ecco, dopo questa piccola introduzione vi rac-
conto del bagno pubblico di Camaldoli, nelle Foreste Casenti-
nesi. Altro che vespasiano, è un vero e proprio edificio in pie-
tra, costruito vicino a un ruscello e seminascosto nell’oscurità
del bosco. Bello, solo che l’oscurità pervade anche i locali a-
dibiti alla bisogna… In dieci anni che ci sono tornato in visita
(a Camaldoli, non ai bagni…) non vi ho mai trovato la luce
che funzionasse, ma più o meno “l’arredo” è questo: pavi-
mento in cotto (wow!), pareti bianche (?), turca datata, senza
scopino ne carta, acqua e altri liquidi sul pavimento e dalla
piccola finestrella in alto senza vetro, una selva di insetti,
un po’ impigliati nelle vecchie ragnatele e alcuni ronzanti che
fanno dentro e fuori per curiosare sul prodotto dell’umano di
turno.
Quel giorno indossavo un paio di pantaloncini da bagno, di
quelli con le mutande incorporate fatte a reticella, un po’ più
grandi della mia taglia, chissà, dovessi crescere ancora…
Prendo posizione sulle orme in rilievo sulla turca e cerco di
scoprirmi il minimo che posso perché già nel bosco in panta-
loncini faceva freddino, ma li dentro al buio... ancora di più!
La tragedia si consuma in un attimo… lo sforzo,
l’avanzamento, il distacco e…
E…! Nulla, niente rumore, eppure c’è silenzio…
Mi giro per cercare di vedere nell’oscurità e sento qualcosa
che mi batte nella caviglia destra, noooo!
Ho centrato in pieno le mutande…

                            E ora?

I fazzolettini sono pochi - non posso lavare i pantaloncini - la
macchina è lontana…
Idea! Meno male che ho con me il marsupio e dentro il mio
stupido coltellino svizzero con quelle inutili fantastiche forbi-
cine… Sembro Valentino… tric trac, et voilà! L’inutile mu-
tanda sembra ora trasformata in una reticella di castagne del
Casentino…
Mi sono salvato ancora una volta, e ora via nel bosco… Però,
che ventolino che viene da sotto!
Ma come dice il saggio, da ogni esperienza si deve trarre un
insegnamento e qui io ho capito che sulla turca si devono te-
nere tesi in avanti i pantaloni!
Credo che il giorno che non dovessi trovare più la soluzione
per uscire da queste emergenze, potrei fare Harakiri con lo
scopino o impiccarmi con la catenella dello sciacquone...
Conclusioni? Riflessioni? Boh!

Ho lavorato per qualche tempo in un bar e sono giunto alla
conclusione che i baristi sono, insieme ai benzinai, ma solo
dopo i custodi dei bagni pubblici la categoria che vede più
persone con il ritratto del “bisogno” dipinto in faccia. C’è chi
per la sana abitudine di non passare per approfittatore del ser-
vizio igienico, prima prende il caffè e rischia di farsela addos-
so. C’è chi esplicitamente chiede dove si può fare un po’
d’acqua, chi dopo un minimo di confidenza ti dice che va a
cambiare l’acqua alle olive, chi a dare da bere al canarino, chi
molto educatamente (?) e sottovoce ti chiede dove e si può...
fare una pisciatina? Chi cerca il cesso, chi in preda a france-
sismo domanda la toilette, chi vuole il bagno, il camerino, la
ritirata, lo zero zero…
Chi cerca di nascondere l’impellenza fisiologica, chi te la
sbatte sul banco e chi la dichiara anche agli astanti, come al-
cune mamme che già dall’ingresso incitano il bimbo a voce
alta, “Giacomino, tienila eh?! Ormai siamo arrivati, ora si
chiede a questo bravo signore dov’è il bagno e si va a farla
tutta, va bene? Tu stringi però, eh?!” Un altra: “Dove posso
far fare al bambino un po’ d’acqua benedetta?”
Una volta, un signore distinto di mezza età prese il caffè per
contraccambiare il piacere che avrebbe di li a poco richiesto,
già aveva lo sguardo un po’ torvo di chi stesse “nascondendo”
qualcosa, ma quando gli dissi che era guasto ed aspettavamo
l’idraulico, la faccia gli si contrasse in una smorfia mista fra
dolore, sgomento e rassegnazione… “Sie..! E ora ‘n do vò!
Noo! E mi haho addosso!” E usci, senza salutare, in cerca di
una soluzione veloce…
Con una mia collega ci divertivamo a fare il
“totouomolavamani” e funzionava così: quando qualcuno
chiedeva la chiave del bagno, noi si scommetteva se questi si
lavava o no le mani, cronometrando il tempo dalla chiusura
della porta interna alla riapertura di quella esterna. Da questo
nostro “studio di settore” emerse che erano pochissimi gli uo-
mini che si lavavano le mani dopo aver usato il servizio igie-
nico, e non c’era distinzione di età, abbigliamento ed estrazio-
ne sociale...
Comunque ogni tanto c’era chi usciva in strada con un buon
metro di carta igienica attaccata alla scarpa!
Ebbene si, questo è un argomento sul quale si possono fare
anche delle riflessioni! Prendo i pensieri come mi vengono in
mente e li butto sulla carta… il primo riguarda il WC, proprio
lui, il vater… E non venite a dirmi che la pronuncia è sbaglia-
ta, alzi la mano chi lo chiama uòter, magari con la e aperta,
all’americana! Comunque il coso lì, se ci pensate è nato per-
fetto, anche se nel tempo si è evoluto nel materiale, la forma è
rimasta pressoché invariata ed è uguale in tutto il mondo con
un'unica variante che è la turca che sebbene più scomoda,
sembra essere fisiologicamente più appropriata alla funzione
proprio in virtù della posizione da assumere una volta sopra.
Quello del “uòter” è un universo in cui gira un business da ca-
pogiro; carta igienica, salviettine umidificate, sedili, scopini,
detergenti, deodoranti, disinfettanti, anticalcare e… acqua,
tanta tanta acqua. Se non stiamo attenti, in bagno noi tutti
provochiamo dei danni irreparabili al pianeta. Dovremmo cer-
care di usare carte igieniche ecologiche, nelle quali i processi
produttivi siano compatibili con l’ambiente e la cui cellulosa
provenga da tagli boschivi controllati. Ricordate che l’aceto è
il primo anticalcare naturale, economico e biodegradabile al
100%.
                                           Buon bisogno a tutti!
Daniele Marchettini nasce a Firenze nel pieno
           dell’alluvione del ‘66. A soli tredici anni prende la licenza
           media e si butta nel mondo del lavoro, ma scivola e rima-
           ne ingessato per sei mesi. Dopo aver provato inutilmente
           ad entrare nel Guinnes dei primati con tredici lavori cam-
           biati in nove anni decide di fare la foto qui accanto e di-
ventare scrittore di successo. Cinema, teatro, televisione, radio, no
no, meglio stare a casa a leggere l’informatore della Coop, sua vera
grande passione. (Ma perché parlo in terza persona? Boh!)

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Diario di bordo

  • 1. Diario di bordo...tazza Leggete solo se non siete schizzinosi e comunque lontano dai pasti. Daniele Marchettini Edizioni lamistampante
  • 2. L’organismo è governato, come si sa, da reazioni chimiche, fra queste la digestione che produce ri- fiuti che devono essere portati all’esterno del cor- po. Fin qui tutto normale, se nonché il mio rap- porto con questo naturale espletamento biologico ha sempre avuto dei risvolti comici che qui vorrei condividere con chi sta leggendo, facendo diven- tare questo… eh si... si può proprio dire… un libro di merda! Il mio problema principale è sempre stato ed è an- cora, l’impellenza. Niente avviso, nessun segnale, a un certo punto, dal sereno stabile col cielo che più terso non ce né, la tempesta, il ciclone, nuvo- loni neri improvvisi e il tifone tropicale che si ab- batte dentro (e fuori…) di me. Leggendo questo diario che potrebbe essere anche un manuale di “sopravvivenza”, tenete sempre in considerazione questa cosa, tutto quello che qui racconto, è accaduto a codice rosso… Daniele
  • 3. 12 Novembre 1990, Barga - Lucca Bellissimo bar quasi davanti al famoso Ponte del Diavolo, quello con gli archi tutti diversi. Io allora non bevevo caffè, ma quando suonavano le campane intestine, se unn’era un caffè l’era una spuma… All’accoglienza dell’ingresso del locale si contrapponeva lo squallore del “vano tecnico”; vecchissima porta in legno sgangherata, semi sverniciata e con paletto rotto. Buca alla turca e niente mattonelle, diverse mani di smalto intonacava- no i muri, l’ultimo, quello visibile era crema ma in un punto si vedevano alcuni anni di arancio, di verde e di un bel blu co- balto. Lo sciacquone era di quelli classici in alto con la cate- nella di una buona metrata ovviamente senza la nappa, aspor- tata da chissà chi chissà quanto tempo prima. Totale assenza di carta e di scopino. Meno male che i provvidenziali fazzo- lettini mi sono sempre fedeli compagni di viaggio… Un boato, uno schianto, come un treno liquido che esce di galleria a tutta velocità ed impatta in un muro… quel muro, di quel piccolo bagno di un bar di periferia. Il mio solito perso- nale inferno che trasforma il locale di turno in una scena apo- calittica da mattanza intestinale. E un abbondanza di carta, tanta carta, perché io ne consumo mezzo rotolo per ogni per- formance, ma da quando ci sono i rotoloni Regina e i suoi i- mitatori ce la faccio a farne tre con uno di quei simpatici ed utili cilindri bianchi. Torniamo alla scena: interno giorno, il protagonista dopo aver constatato l’entità della copertura, confida nel veloce ripristi- no del locale affidandosi allo sciacquone, se nonché alla mini- ma trazione la catenella si spezza nel punto più alto, vicino al- la cassetta dell’acqua. E ora?
  • 4. Solo, chiuso dentro un wc, lontano da casa, senza lo scopino, con un metro di catenella da sciacquone in mano, sulla scena del crimine e con il cadavere lì, ancora caldo da nascondere in qualche modo. Un piano, ci vuole un piano, no no... niente piano, vado dal barrista (a Firenze si dice con du’ erre) e spiego l’accaduto. Esco, chiudo la semisverniciata e mi dirigo verso il banco... che sculo! Il barrista sta facendo un caffè ad una signora con un bambino in braccio, non posso, non pos- so… Grazie mille, arrivederci! Allungo il passo verso la mac- china dall’altra parte della strada e penso al poveretto che per primo arriverà sulla scena del crimine ma non servirà a niente chiamare il magistrato, meglio un bel secchione d’acqua e un altro metro di catenella perché senza accorgermene l’ho mes- sa in tasca… 22 Aprile 1991, Stazione di servizio Monte Quiesa - Lucca Già dieci chilometri prima del bivio per la bretella era emer- genza… ma la fortuna questa volta sembra aiutarmi. Fuori dai servizi non c’è la solita fila di persone ed entro subito, meno male perché non ce l’avrei mai fatta ad aspettare anche un so- lo minuto. Chiudo la porta e mi complimento mentalmente con i gestori, dal portarotolo gigante spunta la carta igienica! Grande! Sarà perché è mattina presto, ma c’è! Meno male perché oggi non ho i miei preziosi fazzolettini… Passato il tornado con tutte le conseguenze nefaste sul territo- rio, tiro la bobina e… riip! L’unico, ultimo, solo esemplare di strappo di carta… tredici centimetri per dieci, l’unica risorsa per ripulire gli effetti del ciclone! Mi guardo intorno e ovvia- mente non c’è niente che possa espletare la bisogna ma le ide- e più strane mi affiorano nella testa; strofino il culo sulle mat- tonelle? No… Tiro lo sciacquone poi intingo lo scopino
  • 5. nell’acqua pulita e mi pulisco con quello… Ièh!, così e piglio anche ‘harcosa… E allora? Non posso pulirmi con la maglia, poi che faccio, esco a torso nudo? Non mi sono comprato mai niente di marca, il giorno prima, in preda a non so quale stupido raptus modaiolo avevo acqui- stato un paio di mutande “di grido”, di quelle con scritto no- me e cognome dello stilista in grande sull’elastico. Oggi i ra- gazzi le fanno spuntare giustamente dai pantaloni perché se spendi 15 mila lire di allora per delle mutande, le devi far ve- dere per forza! Mi domando; a chi ha passato il periodo delle colonie estive o dei collegi, dove sui vestiti e sulla biancheria venivano scritti nome e cognome del proprietario, che effetto farà mettersi le mutande di Armani Giorgio? Bah! Comunque lì per lì, non c’era altro da fare che sacrifica- re il capo fashion per uno scopo logistico. Finita che fu, la stoffa delle mutande si passò ai calzini cercando di centelli- nare la poca area a disposizione… fatto! Poi ti chiedi: Leonardo, Raffaello, Michelangelo… tutti to- scani! Ci sarà stata una trasmissione di geni? Ma no, la Cap- pella Sistina non avrei mai potuto farla… e poi? Tutta marro- ne? No no… 16 Maggio 1993, Migliarino Pisano Penso che l’articolo più richiesto ai benzinai sia, ovviamente dopo il carburante ma prima dell’olio e delle spazzole tergi- cristallo, il bagno. La stazione di servizio, specialmente in au- tostrada e sulle lunghe strade di campagna è come un’ oasi
  • 6. nel deserto. Purtroppo i servizi dei benzinai sono super usati e poco ben mantenuti ma questo sulla strada di Migliarino ha battuto tutti i primati di sporcizia e scarsa manutenzione. Chiesi se c’era il bagno perché la stazione di servizio era mi- croscopica. “L’è di dietro!“ Mi avvio e arrivato alla minuscola porta, questa non si apre, torno dal gestore e mi dice che ci vuole la chiave che tiene lui nel piccolo locale del distributore. Non poteva dirmelo pri- ma? Penso… oltretutto devo aspettare perché ora sta facendo rifornimento a una macchina di tedeschi in vacanza. Finito con i tedeschi mi porge la chiave, “ieni!” Che schifo… un passepartout da interni tutto arrugginito, attaccato con un cor- dino lercio a quella che un tempo doveva essere una palla di gomma sporca morsa da un cane. Si intuisce ancora per poco, che doveva essere un regalo Mobil di tanto tempo fa. La por- ta, di noce nazionale con riquadri di vetro molato ambrato, doveva essere in un bel salotto di casa molti anni fa, poi gli agenti esterni e il continuo uso l’hanno fatta diventare una porta da pollaio. La chiave gira così male che devo tirare la maniglia per togliere la mandata. Apro e lo spettacolo che si presenta è da film di Fantozzi; 90 x 90 centimetri con buca al- la turca senza più smaltatura, sporchissima e con un rigagnolo di ruggine che la solca fino dentro la buca. Per entrare si deve mettere i piedi sugli appoggi della latrina perché la porta gira all’interno e non c’è posto. Non una piastrella ne una matto- nella, solo diverse mani di smalto dei colori esterni della sta- zione di servizio ormai completamente abrasi. Per terra, quei dieci centimetri oltre la superficie della buca, forse una vec- chia mano di catrame. La buca non ha la giusta pendenza e l’acqua (e non solo), rimane a lambire tutto il “pavimento” circostante. A sinistra ciondola lo scheletro di un vecchissimo portarotolo di ottone non più cromato, non più portarotolo,
  • 7. visto che manca il supporto per la carta. Lo scopino, una volta bianco, di plastica, sta in bilico nell’angolino e mi im- magino quante volte sarà finito nella buca. E’ rivolto verso la porta in modo da far intravedere tutti i prodotti attaccati alla spazzola, ma anche solo per prenderlo per il manico bisogna avere le stesse vaccinazioni di un viaggio in Rwanda. La cas- setta dello sciacquone in alto è di plastica e piena di manate nere probabilmente del gestore, tutte le volte che l’ha riparata. Anche la cassetta, come il portarotolo, l’intonaco e la porta, è parzialmente scardinata, come se tutti questi elementi, schifati dell’ambiente si fossero animati e stessero compiendo l’ultimo sforzo per staccarsi dal loro posto e fuggire lontano. La catenella è un collage: in cima un pezzo di spago, poi un pezzo di catenina poi un pezzetto diverso infine la nappa… ho già pensato che la tirerò con un fazzolettino. A completare questo quadretto ameno, una campionatura degli ultimi due o tre utilizzi che lasciano capire che l’odore non viene proprio dal profumatore di plastica a forma di margherita appiccicato alla parete destra. Faccio velocemente la mia funzione per riassaporare l’aria esterna, tiro l’acqua e… una mezza secchiata mi colpisce in piena faccia perché il tubo dello sciacquone è staccato dalla parete e quando scarica l’acqua rimbalza sulla parete della latrina… Non che bagnarsi un po’ sia un problema, il fatto è che l’acqua rimbalza fuori dopo che è entrata nel quadrato della buca! 8 Aprile 1997, Calambrone - Pisa In una giornata di sole primaverile che cosa c’è di meglio di una bella gita al mare?
  • 8. Sono quasi le undici e il cappuccino dell’autogrill comincia a farsi sentire… Forse nessuno li ha mai puliti e l’uso probabile degli utenti invernali è ancora lì, come i cerchi di un albero tagliato deter- minano la sua età, allo stesso modo si potrebbe graficamente quantificare il tempo passato dall’ultima pulizia… Comunque non è il caso di fare gli schizzinosi quando l’emergenza in- combe. Sono cinque vani tecnici, rigorosamente senza carta e senza scopino, le porte sono aperte, li passo velocemente in rivista e decido che l’ultimo a sinistra è quello che fa al caso mio. Entro, chiudo o meglio tento di chiudere la porta, provo a forzare il paletto ma niente, pace, starà aperta… Con la porta chiusa la luce passa solo da una piccola apertura qua- drata di quindici centimetri, probabilmente progettata per un piccolo aspiratore. Con il pieno sole di fuori ci metto qualche secondo ad abi- tuarmi a questa semi oscurità, ecco, comincio a vederci un po’… Intanto prendo posizione sulla turca mentre scruto l’ambiente intorno a me. La porta è piena di scritte, frasi ri- volte perlopiù a donne, mi domando; epiteti ingiuriosi o tre- mende verità? Poi numeri di cellulare accompagnati dal menù delle prestazioni della malcapitata, quindi vari intramontabili “W LA FICA”. Annunci dedicati ai camionisti per prestazio- ni maschili e nell’angolo di destra, in basso, ma così in basso che mi chiedo come avrà fatto a scriverlo, “LEANDRO TI A- MO ELY 78” tutta infarcita di cuoricini. Mentre scorro i mes- saggi di questi grafomani da gabinetto sento qualcosa che mi striscia sul calcagno destro, no! Me la sono fatta addosso! Mi chino e vedo una serpente che mi passeggia sul piede. Caccio un urlo, faccio un salto, e il rettile, che non era una vipera ma una innocua biscia d’acqua, si impaurisce più di me e sparisce nella buca della turca. Il fatto è che questa cosa è successa nel clou della prestazione e così mi ritrovo a dover fare il bagno
  • 9. in mare per forza… Il sole è caldo ma il mare ancora no... Quei bagni prima delle dune ora non ci sono più e quindi non c’è più nemmeno l’alternativa all’affidare al mare il messag- gio intestinale… 12 Agosto 1999, Camaldoli - Arezzo Ne ha fatta di strada il bagno pubblico dall’invenzione di Ve- spasiano! Dal semplice urinatoio e quindi destinato solo agli uomini, ai bagni tecnologici a moneta con porta e luce auto- matica, disinfezione della tazza e del locale dopo ogni uso e aggeggi vari tipo atomizzatori di profumo, distributori di ciambelle di carta, servi carta elettrici e via e via. Tutte cosine carine che spesso però troviamo rotte o guaste… L’alternativa economica e funzionale a queste “stazioni igie- niche” penso sia il bagno chimico ma poche amministrazioni comunali in Italia sono così gentili da dislocarli nei propri centri urbani. I pubblici esercizi sono obbligati ad avere il ser- vizio igienico, a seconda delle dimensioni del locale anche più di uno e comunque almeno uno attrezzato per l’uso da parte delle persone in carrozzina. Da quando, con la scusa di limitare l’accesso al bagno di drogati è stato inventata la pro- cedura del chiedere la chiave alla cassa dei bar, è ancora più difficile non prendere un caffè o qualcosa altro per ricambiare la cortesia offerta dal locale. Non che sia un problema, ma per me che sono aduso alla frequentazione pluriquotidiana dei ba- gni nei bar… “Dottore, ma ‘un mi faranno miha male, tutti hesti haffè!” . Ecco, dopo questa piccola introduzione vi rac- conto del bagno pubblico di Camaldoli, nelle Foreste Casenti- nesi. Altro che vespasiano, è un vero e proprio edificio in pie- tra, costruito vicino a un ruscello e seminascosto nell’oscurità del bosco. Bello, solo che l’oscurità pervade anche i locali a- dibiti alla bisogna… In dieci anni che ci sono tornato in visita
  • 10. (a Camaldoli, non ai bagni…) non vi ho mai trovato la luce che funzionasse, ma più o meno “l’arredo” è questo: pavi- mento in cotto (wow!), pareti bianche (?), turca datata, senza scopino ne carta, acqua e altri liquidi sul pavimento e dalla piccola finestrella in alto senza vetro, una selva di insetti, un po’ impigliati nelle vecchie ragnatele e alcuni ronzanti che fanno dentro e fuori per curiosare sul prodotto dell’umano di turno. Quel giorno indossavo un paio di pantaloncini da bagno, di quelli con le mutande incorporate fatte a reticella, un po’ più grandi della mia taglia, chissà, dovessi crescere ancora… Prendo posizione sulle orme in rilievo sulla turca e cerco di scoprirmi il minimo che posso perché già nel bosco in panta- loncini faceva freddino, ma li dentro al buio... ancora di più! La tragedia si consuma in un attimo… lo sforzo, l’avanzamento, il distacco e… E…! Nulla, niente rumore, eppure c’è silenzio… Mi giro per cercare di vedere nell’oscurità e sento qualcosa che mi batte nella caviglia destra, noooo! Ho centrato in pieno le mutande… E ora? I fazzolettini sono pochi - non posso lavare i pantaloncini - la macchina è lontana… Idea! Meno male che ho con me il marsupio e dentro il mio stupido coltellino svizzero con quelle inutili fantastiche forbi- cine… Sembro Valentino… tric trac, et voilà! L’inutile mu- tanda sembra ora trasformata in una reticella di castagne del Casentino… Mi sono salvato ancora una volta, e ora via nel bosco… Però, che ventolino che viene da sotto! Ma come dice il saggio, da ogni esperienza si deve trarre un
  • 11. insegnamento e qui io ho capito che sulla turca si devono te- nere tesi in avanti i pantaloni! Credo che il giorno che non dovessi trovare più la soluzione per uscire da queste emergenze, potrei fare Harakiri con lo scopino o impiccarmi con la catenella dello sciacquone...
  • 12. Conclusioni? Riflessioni? Boh! Ho lavorato per qualche tempo in un bar e sono giunto alla conclusione che i baristi sono, insieme ai benzinai, ma solo dopo i custodi dei bagni pubblici la categoria che vede più persone con il ritratto del “bisogno” dipinto in faccia. C’è chi per la sana abitudine di non passare per approfittatore del ser- vizio igienico, prima prende il caffè e rischia di farsela addos- so. C’è chi esplicitamente chiede dove si può fare un po’ d’acqua, chi dopo un minimo di confidenza ti dice che va a cambiare l’acqua alle olive, chi a dare da bere al canarino, chi molto educatamente (?) e sottovoce ti chiede dove e si può... fare una pisciatina? Chi cerca il cesso, chi in preda a france- sismo domanda la toilette, chi vuole il bagno, il camerino, la ritirata, lo zero zero… Chi cerca di nascondere l’impellenza fisiologica, chi te la sbatte sul banco e chi la dichiara anche agli astanti, come al- cune mamme che già dall’ingresso incitano il bimbo a voce alta, “Giacomino, tienila eh?! Ormai siamo arrivati, ora si chiede a questo bravo signore dov’è il bagno e si va a farla tutta, va bene? Tu stringi però, eh?!” Un altra: “Dove posso far fare al bambino un po’ d’acqua benedetta?” Una volta, un signore distinto di mezza età prese il caffè per contraccambiare il piacere che avrebbe di li a poco richiesto, già aveva lo sguardo un po’ torvo di chi stesse “nascondendo” qualcosa, ma quando gli dissi che era guasto ed aspettavamo l’idraulico, la faccia gli si contrasse in una smorfia mista fra dolore, sgomento e rassegnazione… “Sie..! E ora ‘n do vò! Noo! E mi haho addosso!” E usci, senza salutare, in cerca di una soluzione veloce… Con una mia collega ci divertivamo a fare il “totouomolavamani” e funzionava così: quando qualcuno chiedeva la chiave del bagno, noi si scommetteva se questi si
  • 13. lavava o no le mani, cronometrando il tempo dalla chiusura della porta interna alla riapertura di quella esterna. Da questo nostro “studio di settore” emerse che erano pochissimi gli uo- mini che si lavavano le mani dopo aver usato il servizio igie- nico, e non c’era distinzione di età, abbigliamento ed estrazio- ne sociale... Comunque ogni tanto c’era chi usciva in strada con un buon metro di carta igienica attaccata alla scarpa! Ebbene si, questo è un argomento sul quale si possono fare anche delle riflessioni! Prendo i pensieri come mi vengono in mente e li butto sulla carta… il primo riguarda il WC, proprio lui, il vater… E non venite a dirmi che la pronuncia è sbaglia- ta, alzi la mano chi lo chiama uòter, magari con la e aperta, all’americana! Comunque il coso lì, se ci pensate è nato per- fetto, anche se nel tempo si è evoluto nel materiale, la forma è rimasta pressoché invariata ed è uguale in tutto il mondo con un'unica variante che è la turca che sebbene più scomoda, sembra essere fisiologicamente più appropriata alla funzione proprio in virtù della posizione da assumere una volta sopra. Quello del “uòter” è un universo in cui gira un business da ca- pogiro; carta igienica, salviettine umidificate, sedili, scopini, detergenti, deodoranti, disinfettanti, anticalcare e… acqua, tanta tanta acqua. Se non stiamo attenti, in bagno noi tutti provochiamo dei danni irreparabili al pianeta. Dovremmo cer- care di usare carte igieniche ecologiche, nelle quali i processi produttivi siano compatibili con l’ambiente e la cui cellulosa provenga da tagli boschivi controllati. Ricordate che l’aceto è il primo anticalcare naturale, economico e biodegradabile al 100%. Buon bisogno a tutti!
  • 14. Daniele Marchettini nasce a Firenze nel pieno dell’alluvione del ‘66. A soli tredici anni prende la licenza media e si butta nel mondo del lavoro, ma scivola e rima- ne ingessato per sei mesi. Dopo aver provato inutilmente ad entrare nel Guinnes dei primati con tredici lavori cam- biati in nove anni decide di fare la foto qui accanto e di- ventare scrittore di successo. Cinema, teatro, televisione, radio, no no, meglio stare a casa a leggere l’informatore della Coop, sua vera grande passione. (Ma perché parlo in terza persona? Boh!)