Più infrastrutture e meno ecologismo per arginare i danni da terremoto
Come distinguere l'innovazione dal nuovo? | sanità24 il sole 24 ore
1. !" #
18 gen 2017
$ % &
DAL GOVERNO
Come distinguere l'innovazione dal nuovo?
di Luca De Fiore (Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane)
2. Dovrei buttare quel Tuttocittà che sta in macchina da vent'anni. Ha resistito al navigatore.
Sopravvive a Waze. Ci vorrebbe un'automobile senza carta, in linea con quel paperless
office di cui parliamo da un sacco di tempo. Per la precisione da quando questa espressione
fu usata per la prima volta su Business Week. Era il 1975: 42 anni fa, e siamo ancora
sommersi dalla carta.
Cosa ci trattiene dall'accettare senza incertezze l'innovazione? Forse, la nostra àncora è in
quello che Clayton M. Christensen definiva nel 1997 il dilemma dell'innovatore: “Doing the
right thing is the wrong thing”. Il ritmo con cui le novità vengono proposte è
semplicemente troppo elevato per consentirci di scegliere tempestivamente e in modo
informato. Come nella storia di quello che perde l'aereo: non sapeva neanche ci fosse,
l'aereo, aveva scambiato l'aeroporto per un'autostrada e non sapeva neppure di dover
partire.
Altro dilemma: fare la cosa giusta ma al momento sbagliato. È una preoccupazione
3. comprensibile, soprattutto negli anni in cui impera il mantra della rapidità. Come faceva
osservare Jill Lepore sul NewYorker qualche anno fa, siamo passati dal progresso
illuminista all'evoluzione positivista, dall'innovazione del Secolo breve alla disruption
postmoderna. Trascurando un particolare non banale: “disruptive innovation can reliably
be seen only after the fact”.
Ancora: “News matters only when it's proved better than what we had before”, scriveva
Ezekiel Emanuel sul New York Times cinque anni fa. Ci dimentichiamo spesso che la
maggior parte delle volte adottare un'innovazione deve coincidere necessariamente con un
parallelo disinvestimento: la in-novation presuppone la ex-novation e se non è così il
sistema non diventa più sostenibile.
L'alternativa al cambiamento radicale è la via suggerita da Atul Gawande: il miglioramento
incrementale, dei piccoli passi. Strada che può essere percorsa solo andando nel senso
contrario verso cui va la sanità di oggi: potenziando le cure primarie. Tornando a
considerarle la base del servizio sanitario nazionale, come sostiene il chirurgo statunitense.
È un'opzione diversa da quella proposta da Michael Porter, anche lui docente a Boston ma
alla Harvard Business School, durante i lavori dell'OECD Policy Forum che si è appena
svolto a Parigi: “We've made incremental changes but we've not touched the fundamental
structure of healthcare and delivery”. La grande paura avvertita al Forum non è tanto legata
all'invecchiamento della popolazione mondiale ma all'incapacità dei sistemi sanitari di
tenere il passo con le esigenze in evoluzione di un'utenza che diventa progressivamente più
anziana. Le peculiari fragilità dell'anziano sono soprattutto nelle multimorbilità di cui
soffre più del 50 per cento delle persone sopra i 65 anni. Una fragilità simile a quella del
sistema che dovrebbe rispondere a questi bisogni di salute ma non riesce a farlo
compiutamente per la frammentazione dell'offerta sanitaria in tante discipline diverse e per
la difficoltà a garantire una presa in carico olistica della persona malata.
Non adeguatamente governata, cresce la domanda di prestazioni sanitarie anche perché i
cittadini partecipano di più e sono più esigenti. Solo se crescesse la health literacy, però, il
maggiore coinvolgimento si tradurrebbe in un driver di contenimento della spesa. Allo stato
attuale, l'impegno di avvicinare i servizi sanitari ai cittadini si trasforma troppo spesso in un
volano che porta a un maggiore consumo di medicina, con il paradossale attrito tra una
richiesta di maggiore efficacia delle prestazioni e l'evidenza di crescente inappropriatezza.
L'offerta si adegua alla domanda, aumentano le prestazioni e tutto, o quasi, viene
monitorato e registrato. Disponiamo di un volume di dati crescente ma la loro qualità non
sempre è affidabile e utile per il decision-making. Numeri che non parlano tra loro, non
permettono confronti, non aiutano nella pianificazione. Ciononostante, le performance e gli
esiti delle cure sono sempre più spesso resi pubblici anche se la nuova frontiera sono i
Patient Reported Outcomes e le Patient Reported Experience Measures: il confine si sposta
verso i risultati della ricerca qualitativa, esponendo le “prove” all'azzardo della valutazione
soggettiva.
I sistemi sanitari sono preparati a governare il cambiamento? C'è da augurarselo. Ma
proprio dall'OECD arrivano segnali poco confortanti: lo Science, Technology and
Innovation Outlook 2016 ci dice che la spesa per l'innovazione da parte dei governi è
drasticamente diminuita fino in molti casi ad aver toccato il fondo arrivando alla “spesa
5. Privacy policy | Informativa estesa sull’utilizzo dei cookie
CORRELATI
LAVORO E PROFESSIONE
01 Giugno 2016
Paesi europei uniti alla meta nella gestione del rischio clinico. Ma serve una
formazione rigorosa
DAL GOVERNO
27 Maggio 2016
Nel Piano nazionale cronicità l’occasione per fare chiarezza sui ruoli e definire
l’integrazione d’équipe
DAL GOVERNO
06 Maggio 2015
Come salvare il cuore dell’articolo 32 della Costituzione