Le basi dell'allenamento sportivo. Scuola Nazionale FIPE, Federazione Italiana Pesistica
http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/le-basi-dellallenamento-sportivo
pagine da manuale tecnico del pilates terza edizione.pdf
Pagine da Le basi dell'allenamento sportivo. Antonio Urso
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Anatomia generale1
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LEBASIDELL’ALLENAMENTOSPORTIVO
La cellula
La cellula è l’unità più piccola capace di pro-
durre vita. Nell’uomo, la grandezza di una
cellula può variare da 5 a 200 micron e la
durata della sua vita è variabile. Alcune cel-
lule, come ad esempio quelle bianche, che
rappresentano la stragrande maggioranza
dell’adipe presente nel corpo, vivono sola-
mente pochi giorni, al contrario di alcune
speciali cellule nervose che riescono a vivere
addirittura un’intera vita.
Esistono in natura animali costituiti da una
sola cellula chiamati scientificamente pro-
tozoi, mentre quelli costituiti da più cellule
prendono il nome di mesozoi.
Tutte le cellule sono circondate dalla mem-
brana cellulare chiamata plasmalemma (5),
dove all’interno sono racchiusi gli elementi
costituenti la cellula stessa che sono (figura
1):
• Il citoplasma (1), suddiviso a sua volta in
altri tre componenti: lo ialoplasma o com-
ponente fondamentale, il metaplasma, co-
stituito da più componenti, che si forma
dallo ialoplasma e il paraplasma costituito
dai vari prodotti del metabolismo cellulare.
• Il nucleo (2), costituito da proteine e acido
ribonucleico (RNA). La grandezza è stret-
tamente dipendente dal tipo di cellula ed è
separato dal citoplasma da una membrana
nucleare (4). Alcune cellule possono es-
sere polinucleate, ovvero avere più nuclei
all’interno della stessa cellula.
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Figura 1.
Schema tridimensionale
di cellula animale che ne
riassume le caratteristiche
ultrastrutturali.
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Comunicazione
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LEBASIDELL’ALLENAMENTOSPORTIVO
di Dr Francesco Riccardo
Psicologo e Psicoterapeuta, specializzato in
Self-Analisi Bioenergetica
Introduzione
Le relazioni umane sono costituite da varie
forme di comunicazione. Dalla capacità degli
interlocutori di scambiarsi adeguatamente
le informazioni dipende il rapporto inter-
personale, l’efficacia della comunicazione e
la probabilità che venga raggiunto l’obiettivo
comune.
Ogni messaggio non è mai neutro, porta sem-
pre un contenuto che è caratteristico della
personalità di chi lo ha emesso. Allo stesso
modo, chi lo riceve, strutturerà una risposta
integrandola con la propria personalità.
Affinché la comunicazione vada a buon fine,
bisogna essere sicuri che questi messaggi
siano stati recepiti dall’interlocutore così
come sono stati pensati da colui che li ha
emessi, senza fraintendimenti di sorta, onde
evitare conflittualità tra comunicazione
verbale (CV) e comunicazione non verbale
(CNV). È importante accertare inoltre, che
l’interlocutore abbia capito e, di conseguen-
za, formulato una risposta in sintonia col
messaggio ricevuto e decifrato (meccanismo
del feedback). Per essere sicuri di tutto ciò,
bisogna monitorare costantemente la pro-
pria ed altrui CV e CNV.
Il termine comunicare è storicamente colle-
gato alla parola comune, che deriva dal verbo
latino communicare (“condividere”, “rendere
comune”); la radice latina del verbo pone in
risalto la “profondità” del comunicare qual-
cosa, diversamente dalla superficialità di in-
formare qualcuno su qualcosa.
Per Anolli la comunicazione è “(...) uno scam-
bio interattivo osservabile fra due o più par-
tecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e
di un certo livello di consapevolezza, in grado
di far condividere un determinato significato
sulla base di sistemi simbolici e convenzionali
di significazione e di segnalazione secondo la
cultura di riferimento”.
Alcuni elementi di carattere generale posso-
no essere individuati nella comunicazione:
• caratterizzazione aperta o bidirezionale
(a volte pluridirezionale) dello scambio;
• possibilità di inversione dei ruoli fra emit-
tente e destinatario;
• valorizzazione dell’attività partecipativa
del destinatario, anche nei casi in cui rico-
pra il semplice ruolo di ricettore;
• attenzione agli effetti dell’azione comuni-
cativa;
• tendenziale disponibilità a considerare il
rapporto di comunicazione come un’inte-
razione paritetica e, quindi, come una for-
ma di conversazione almeno potenziale.
Ogni scambio comunicativo implica e coin-
volge la “personalità” degli interlocutori
(individuale o collettiva), li mette in gioco
soggettivamente nell’incrocio che il loro rap-
porto va costruendo, al di là dei dati e dei
contenuti oggettivamente scambiabili.
Lo psicologo William James (1890) non a
caso sosteneva che: “ogniqualvolta due per-
sone si incontrano ci sono in realtà sei persone
presenti. Per ogni uomo ce n’è uno per come
egli stesso si crede, uno per come lo vede l’al-
tro ed uno infine per come egli è realmente”.
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Biomeccanica: concetti di base
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LEBASIDELL’ALLENAMENTOSPORTIVO
Biomeccanica del
movimento umano
La biomeccanica è la scienza che studia il
movimento umano e le leggi che lo permet-
tono attraverso lo studio della:
• Cinematica;
• Statica;
• Dinamica.
Per biomeccanica del movimento umano si
intende inoltre l’applicazione della meccani-
ca allo studio dei diversi sistemi biologici, al
fine di misurare le condizioni che si verifica-
no in due particolari situazioni:
• situazione statica: si occupa delle condi-
zioni di equilibrio dei corpi e delle forze
che interagiscono al fine di mantenere tale
equilibrio;
• situazione dinamica: studia il movimen-
to dal punto di vista delle cause, ossia delle
forze che lo determinano. Si occupa quindi
della cinematica e della cinetica.
Le forze che agiscono su di un corpo posso-
no essere espresse in due modi:
• con effetto statico: contribuendo a mante-
nerlo nello stato in cui si trova;
• con effetto dinamico: variando lo stato di
quiete o di moto.
Attraverso:
• scomposizione delle forze;
• composizione delle forze che agiscono di-
rettamente su un corpo.
La composizione e la scomposizione delle
forze può essere espresse nelle seguenti mo-
dalità:
• collineari: se agiscono sulla stessa linea;
• concorrenti: se convergono sullo stesso
punto;
• complanari: se agiscono sullo stesso piano.
Uno degli obiettivi della biomeccanica è lo
studio del movimento umano e degli effetti
che questo produce sull’organismo. Al fine di
ricostruire la modalità con cui un organismo
esprime la sua capacità di forza, come la or-
ganizza (strategie) e le eventuali posture che
si vengono a determinare a carico del corpo
che possono costituire un limite alla presta-
zione.
Cinematica: La cinematica, quel ramo del-
la Meccanica Classica che studia il moto dei
corpi materiali dal punto di vista puramente
geometrico, senza occuparsi di studiare le
cause che hanno prodotto quel tipo partico-
lare di moto. I moti sono descritti all’interno
di un sistema di riferimento, costituito da tre
assi perpendicolari tra loro con un punto ini-
ziale in comune.
Per determinare un movimento è necessa-
rio conoscerne la traiettoria, definita come:
una linea in cui i punti mobili rappresentano
le singole posizioni occupate dal punto mo-
bile (o materiale).
Descrizione cinematica
In rapporto allo spazio si descrivono i se-
guenti moti:
• moto di traslazione: tutti i punti del cor-
po si spostano lungo traiettorie parallele e
l’asse longitudinale è parallelo a se stesso.
• Moto di rotazione: l’asse longitudinale
del corpo gira con un certo angolo.
• Moti complessi: combinazione dei primi
due.
In rapporto al tempo si descrivono i seguenti
moti:
• Uniforme: dove si percorrono spazi uguali
in tempi uguali; (velocità costante)
• Vario: dove in tempi uguali si percorrono
spazi diversi. (velocità non costante)
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Attività fisica nella terza età
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Società e terza età
Facendo un’attenta disamina degli ultimi
dati forniti dall’Istat sull’invecchiamento del-
la popolazione italiana, con una proiezione
statistica fino al 2020, è facile affermare che
“gli anziani saranno i giovani del domani”.
Lo sviluppo dei dati indica infatti che gli ultra-
sessantacinquenni dall’attuale 18% (quasi 10
milioni) passeranno al 23% della popolazione
italiana. L’aumento della vita media italiana,
(dati ISTAT) ha fatto registrare 78,6 anni per
gli uomini e 84,1 anni per le donne, assegnan-
do il primato della popolazione più longeva
del mondo unitamente a quella giapponese.
Una recentissima rilevazione dell’Istat evi-
denzia ancora che la vita media degli uomini
italiani risulterebbe seconda in Europa sol-
tanto agli svedesi (78,9), agli olandesi (77,9)
e agli irlandesi (77,6). Lo stesso avviene per
le donne, seconde soltanto alle francesi (84,4)
ma davanti a spagnole (83,9) e svedesi (83,1).
Se si fa la media tra uomini e donne, gli italia-
ni hanno la vita più lunga d’Europa. Un altro
primato mondiale della popolazione italiana,
che prenderemo in questo capitolo ad esem-
pio, è che gli ultrasessantacinquenni hanno
superato numericamente i giovani con meno
di 15 anni. Tra la fetta di popolazione consi-
derata di terza età, un’alta percentuale è rap-
presentata dagli ultraottantenni che, secondo
alcune previsioni demografiche, dovrebbero
raggiungere entro il 2041 il 10% della po-
polazione totale. A livello mondiale l’Europa
risulta avere il primato, rispetto al resto dei
continenti, annoverando il 14,6% di over 65.
La prospettiva di incremento della popolazio-
ne anziana non avrà lo stesso corrispettivo, in
termini numerici, della popolazione mondia-
le. I demografi delle Nazioni Unite sono certi
che a metà del prossimo secolo ci sarà non
solo un arresto, ma addirittura un decremen-
to del numero di abitanti sulla Terra. Questa
previsione è supportata da un attento studio
sulla procreazione nel mondo.
Prendendo in considerazione il ventennio
che va dal 1975 al 1995 è possibile notare il
minimo storico raggiunto dalla popolazione
mondiale in fatto di procreazione per cui, se i
dati riportati nella figura 108 avranno la stes-
sa tendenza, in una previsione a medio termi-
ne, è possibile ipotizzare che nel 2050 si avrà
la riduzione della popolazione mondiale.
Se questi dati saranno confermati, sarà al-
trettanto vero che le politiche di sviluppo
sociale dovranno tenere in stretta conside-
razione questi parametri di trasformazione
demografica; si dovranno indirizzare ener-
gie in studi e ricerche che sfruttino al meglio
questa pregevole risorsa umana: gli anziani.
La terza età che compone la nostra colletti-
vità è il frutto, nel bene e nel male, della so-
cietà industriale che, se da una parte ha dato
benessere e longevità, dall’altra ha richiesto
un tributo elevato da parte degli anziani. La
società industriale, fino ad oggi, non si è pre-
occupata molto della loro presenza e del loro
incremento, non ha creduto nella possibilità
di un loro impiego nel sociale, non ha mai
puntato sulla loro esperienza, non gli ha mai
riconosciuto la possibilità di continuare ad
essere giovani investendo per loro in impe-
gni culturali, sportivi e sociali. Se qualcosa è
stato fatto, lo si deve prevalentemente al pri-
vato. Ma i numeri stanno vertiginosamente
cambiando, gli anziani sono in netta crescita;
quelli di domani saranno costretti a contri-
buire come forza lavoro fino a tarda età per
dare sostegno all’economia dei propri paesi.
Questi cambiamenti però non possono avve-
nire casualmente: non si può certo pensare
di dover posticipare il pensionamento solo
perché la vita media è aumentata; sarà ne-
cessario creare condizioni che permettano
di avere ultrasessantacinquenni fisicamente
capaci, efficienti ed in buona salute.
Per tali ragioni anche il mondo dello sport
deve programmare strutture e mezzi alle-
nanti in questa direzione. Da qui in avanti, ci
si deve abituare ad avere una partecipazione
sempre più numerosa di persone che hanno
abbondantemente superato il mezzo secolo
nei vari ambienti sportivi.
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La valutazione posturale
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L’allenamento del core
Non è facile definire la postura ed è proprio
quando non si riesce a delimitare un confine
che lo stesso assume diverse connotazioni
seppur simili. Provo ad elencare una serie di
definizioni trovate in letteratura:
• la posizione del corpo nello spazio e la rela-
tiva relazione tra i suoi segmenti corporei;
• la postura rappresenta l’atteggiamento
che il nostro corpo assume nello spazio in
relazione al nostro rapporto con l’ambien-
te esterno. Essa rappresenta un mezzo di
comunicazione tra il nostro mondo inte-
riore e quello che ci circonda;
• la postura è l’adattamento per-
sonalizzato di ogni individuo
all’ambiente fisico, psichico ed
emozionale;
• la postura è il modo di atteggiar-
si del corpo umano determinato
dal suo apparato locomotore in
opposizione alla forza di gravità;
• posizione che assume, libera-
mente o per costrizione, il corpo
umano;
• la postura è il risultato di nume-
rosi meccanismi che agiscono e
interagiscono tra loro per per-
mettere al corpo umano di stare
in piedi, muoversi, relazionarsi,
quindi di contrastare la forza
della gravità.
Quella che personalmente mi con-
vince di più è quella coniata da
Scoppa (2011): Per postura si in-
tende la posizione del corpo nello
spazio e la relazione spaziale tra i
segmenti scheletrici, il cui fine è il
mantenimento dell’equilibrio (fun-
zione antigravitaria), sia in condi-
zioni statiche che dinamiche. A tutto
questo concorrono fattori neurofi-
siologici, biomeccanici, psicoemotivi
e relazionali, legati anche all’evolu-
zione della specie.
Kendall (2005) definisce la postura come:
quello stato di equilibrio muscolare e sche-
letrico che protegge le strutture portanti del
corpo da una lesione o da una deformazione
progressiva nonostante la posizione in cui
queste strutture lavorano oppure oppongono
resistenza.
Il legame tra postura e movimento è stretta-
mente collegato: per questa ragione nel 1983
Bouisset & Zattara introducono per la prima
volta il concetto di capacità cinetico-postu-
rale (PKC) che include la capacità di reagire,
compensando le perturbazioni posturali, li-
mitandone l’effetto negativo sulla stabilità
Cranio
occipitale
Atlante
Epistrofeo
Temporomandibolare
Occipitale/Atlante
Epistrofeo
Lingua
Osso ioide
Denti
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Figura 99. Da Bernard Bricot
“Riprogrammazione posturale globale” – 1999
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Principi generali dell’organizzazione dell’allenamento
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Introduzione
Quando un principiante o un atleta evolu-
to si accinge ad affrontare un programma di
allenamento, è necessario seguire con molta
attenzione alcuni principi generali non solo
per ottenere i risultati migliori e duraturi, ma
anche, e soprattutto, per evitare conseguenze
negative come i traumi.
Tenuto conto di questo fondamentale princi-
pio, il primo punto da affrontare è quello della
riduzione degli scompensi patologici, ossia
delle disarmonie fisiche e degli atteggiamenti
che viziano l’articolarità avvalendosi di stru-
menti idonei a tale scopo (palle zavorrate,
bastoni, manubri, Swiss ball, strumenti per
allenamenti in condizione di instabilità, stru-
menti per l’allenamento in sospensione).
Un altro principio è quello del cosiddetto alle-
namento centrifugo, col quale ci si propone di
potenziare per primi i settori vicini al baricen-
tro corporeo (core) e solo in un secondo mo-
mento quelli dei distretti più lontani. Per fare
un esempio, la zona lombo-addominale dovrà
essere affrontata prima degli arti inferiori; le
spalle prima delle braccia, ecc. Questo perché
i sovraccarichi fanno sentire l’effetto delle
loro pressioni o delle loro trazioni prima sulle
strutture prossimali, poi su quelle distali. La
mancata osservazione di questo principio,
frequentemente disatteso, costituisce la cau-
sa di sofferenza a livello dei settori più deboli,
magari avvertite a distanza di anni.
Altri principi su cui poggia una costruzione
razionale dell’allenamento sono quelle del-
la progressività e della gradualità del carico.
L’applicazione di questi principi è sempre rac-
comandata ad ogni allenatore, ma il più delle
volte è vista come una raccomandazione di
tipo genericamente prudenziale: la tentazio-
ne di bruciare le tappe è spesso un errore ri-
levante tanto più che l’uso di carichi di lavoro
di elevata intensità gratifica il principiante,
che vede migliorare subito le sue prestazio-
ni; bisogna però che l’allenatore si convinca e
convinca a sua volta l’atleta, che si tratta di ri-
sultati effimeri, dato che le strutture legamen-
tose e quelle muscolari hanno tempi diversi
di adattamento (eterocronismo), e quindi, se
i muscoli sopportano bene un nuovo carico,
non succede altrettanto a tendini e articola-
zioni che necessitano di tempi più lunghi. Le
conseguenze di ciò sono facili da prevedere: a
lungo andare saranno proprio quelle struttu-
re a soffrire di stati infiammatori, degenerati-
vi oppure di rotture. Fondamentale è inoltre,
il principio della continuità dell’allenamento.
È indispensabile non creare lunghe interru-
zioni tra una somministrazione di un carico
e l’altro, tranne quelle necessarie finalizzate
al giusto recupero fisico, psicologico e funzio-
nale. Le esercitazioni per migliorare le qualità
psicofisiche vanno alternate opportunamente
variando sia la scelta, sia l’intensità e la qua-
lità di lavoro, inserendo recuperi più o meno
attivi per favorire i processi di adattamento.
Questa organizzazione dell’allenamento deve
essere recepite con piena consapevolezza; bi-
sogna sempre esser certi del perché si svolgo-
no determinati esercizi e non altri, dell’utilità
degli stessi, della finalità ecc. La tabella di la-
voro non va applicata acriticamente, bensì di-
scussa e analizzata con gli atleti, per scoprire
eventuali “antipatie” verso alcune esercitazio-
ni, alcuni stati di stanchezza mentale o fisica,
così come con le altre figure che ruotano intor-
no all’atleta: fisioterapisti, medici, psicologi.
A tutto questo si collega la necessità dell’indi-
vidualizzazione dell’allenamento; è necessa-
rio trovare tutte le strategie per meglio adat-
tare l’allenamento al soggetto e non viceversa:
ognuno ha delle peculiarità fisiche e psichi-
che; ha un passato motorio strettamente per-
sonale, e tutto ciò richiede una costruzione
del lavoro che si adegui a queste necessità, nel
rispetto di tutti gli altri principi generali.
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Apprendimento motorio
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Apprendimento motorio
Definire l’apprendimento motorio e quali
meccanismi neuromuscolari lo permettano
è fondamentale al fine di definire come l’in-
dividuo lo apprende. L’apprendimento mo-
torio può essere definito come un processo
messo in atto ogni volta che l’individuo ac-
quisisce qualcosa come effetto di una deter-
minata esperienza. A tal proposito, a partire
dagli inizi del ‘900, iniziarono a fiorire teorie
che tentarono di spiegare meglio il concetto
di apprendimento.
L’apprendimento per associazione
Secondo questa teoria tutto il comportamento
è appreso attraverso processi di associazione
tra serie di stimoli e serie di risposte. Il com-
portamento appare quindi completamente
regolato da stimoli esterni e l’individuo è de-
scritto come un emettitore di comportamen-
ti. Ciò che si studia in questa teoria è quindi
l’osservabile, cioè la stimolazione e la rispo-
sta, trascurando completamente i processi
di ordine superiore che potrebbero regola-
re il comportamento. All’interno di questo
approccio teorico l’apprendimento consiste
proprio nella capacità di creare associazioni.
Ma come può strutturarsi una associazione?
Secondo questa teoria, ogni tipo di compor-
tamento può essere appreso attraverso pro-
cessi di condizionamento. Partendo da questi
presupposti è facile intuire che per questi te-
orici, tutto il comportamento è facilmente ap-
prendibile e non ci sono limiti alla possibilità
di creare associazioni tra vari tipi di stimoli
e varie risposte, basta sostanzialmente che
l’associazione tra uno stimolo ed una risposta
produca effetti positivi. Infatti, in assenza di
una gratificazione per l’individuo sarà molto
difficile condizionare la comparsa di un qual-
sivoglia comportamento. In questo tipo di ap-
prendimento, il comportamento motorio di
un atleta è il risultato dell’apprendimento di
abitudini motorie. Partendo da questi assunti
di base, sono stati sviluppati in via teorica due
tipi di apprendimento per associazione:
• il condizionamento classico;
• il condizionamento operante.
Il fisiologo russo Pavlov dimostrò per la pri-
ma volta l’apprendimento denominato con-
dizionamento classico. I suoi esperimenti,
relativi alla risposta di salivazione del cane
in presenza del cibo, sono decisamente noti.
Che cosa ha appreso sostanzialmente il cane
di Pavlov? Semplicemente che quando si pre-
sentava una luce stava per ricevere del cibo:
ha quindi creato un’associazione tra due sti-
moli. Il primo è lo stimolo incondizionato
(SI - cibo) a cui segue comunque la reazione
fisiologica della salivazione (RI - risposta in-
condizionata); il secondo è lo stimolo con-
dizionante (SC - luce) che non avrebbe mai
suscitato la risposta di salivazione, se non
si fosse strutturata una associazione con lo
stimolo incondizionato. L’apprendimento
consiste quindi proprio nell’aver costitui-
to l’associazione tra i due stimoli. L’esperi-
mento di Pavlov evidenzia come, attraverso
il condizionamento, si possano provocare
associazioni tra vari tipi di stimoli e come,
quest’ultimi, inducano modificazioni di tipo
comportamentale. Ovviamente, per condi-
zionare la comparsa di una risposta è indi-
spensabile analizzare i fattori che incidono
sul processo di condizionamento stesso.
Questi schematicamente sono:
1. l’importanza di considerare l’intervallo di
tempo tra stimolo incondizionato e stimolo
visivo della luce SC (stimolo condizionan-
te): essi devono susseguirsi temporalmen-
te. Se nell’esperimento descritto tra la luce
e il cibo fosse intercorso un lungo intervallo
di tempo, difficilmente il cane avrebbe po-
tuto creare una associazione tra i due sti-
moli.
2. Lo stimolo condizionante deve avere una
forte intensità (la luce deve essere ben evi-
dente) e deve essere chiaro: ciò non deve
confondersi con altre possibili fonti di stimo-
lazione che possono generare confusione.
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Le qualità fisiche dello sportivo
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Introduzione
La forza muscolare è la capacità della mac-
china-uomo di fronteggiare tutte quelle si-
tuazioni in cui è necessario vincere oppure,
opporsi ad una resistenza. La forza musco-
lare si incrementa già dai primi mesi di vita,
permettendo di effettuare quell’iter obbliga-
torio che porta, in tempi brevi, alla posizione
eretta e successivamente a camminare, cor-
rere e saltare.
Con l’avvento dell’età puberale, quindi con
la rivoluzione ormonale, i parametri relativi
alla forza vengono biologicamente stravol-
ti a vantaggio di quest’ultima preparando,
in quei soggetti maggiormente predisposti,
quel terreno fertile dove è possibile pro-
grammare prestazioni sportive di buon li-
vello. Certamente non basta solamente la
predisposizione fisica alla prestazione per
diventare un campione: il campione va sot-
toposto ad un logico, appropriato ed indivi-
dualizzato programma di allenamento.
Nello sport moderno non esistono più atti-
vità sportive in cui non si tenga conto di al-
lenamenti tendenti a migliorare la capacità
di forza che quasi sempre prevedono l’uso
di sovraccarichi. Questi ultimi, in passato
qualche volta ingiustamente criticati, sono il
mezzo più idoneo per l’incremento dei livelli
di forza e di massa muscolare.
Prima di entrare nello specifico metodologi-
co dell’allenamento della forza, è opportuno
analizzare questo fenomeno dal punto di vi-
sta della fisica analizzando le leggi del moto,
cercando, attraverso le teorie newtoniane, di
avere più chiari i concetti che regolano l’uo-
mo dal punto di vista biomeccanico nell’ero-
gazione della forza.
Capacità motorie nello sport
Capacità condizionali Capacità coordinative
Forza
massimale
Resistenza
alla forza
Forza
rapida
Rapidità
di reazione
Rapidità
di frequenza
Rapidità
di azione
Resistenza
di breve
durata
Resistenza
di media
durata
Resistenza
di lunga
durata 1
Resistenza
di lunga
durata 2
Resistenza
di lunga
durata 3
Flessibilità Capacità
di
apprendimento
motorio
Capacità
di direzione
e controllo
dei movimenti
Capacità
di adattamento
e
trasformazione
Capacità di equilibrio
Capacità di ritmo
Capacità di combinazione
ed accoppiamento
Capacità di differenziazione
cinestetica
Capacità di orientamento
spazio-temporale
Capacità di reazione
Figura 58.
Capacità motorie nello sport.
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I sistemi energetici
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Introduzione
Prima di entrare all’interno delle qualità fi-
siche della prestazione umana, per meglio
comprendere l’argomento, è necessaria una
spiegazione dei sistemi energetici.
È fondamentale dunque, introdurre il con-
cetto di metabolismo e delle sue trasforma-
zioni chimiche relative alla macchina uomo.
La definizione di metabolismo ha origine
nell’antica Grecia: metabolḗ, è inteso come
un processo di mutamento. Rappresenta co-
munque, l’insieme dei processi chimici ed
energetici che si svolgono negli organismi
viventi ai quali si deve qualsiasi funzione o
manifestazione vitale: l’accrescimento, il
mantenimento del peso, la conservazione
delle forme e delle strutture dell’organismo,
lo svolgimento delle attività funzionali spe-
cifiche, la produzione di calore e di lavoro.
Nelle molteplici trasformazioni chimiche che
continuamente hanno luogo nell’organismo
è possibile riconoscere due macrofasi che
possono essere sintetizzate in:
• processi di scissione e di degradazione (di-
sassimilazione o catabolismo), attraverso
i quali i costituenti cellulari e le sostanze
di riserva si trasformano in molecole più
piccole;
• processi di assimilazione e di sintesi, che
permettono la formazione di nuova ma-
teria vivente o l’accumulo nelle cellule di
nuovo materiale di riserva (anabolismo).
Nel corso dei processi catabolici si ha li-
berazione di energia, la quale viene, in una
quantità rilevante, ceduta all’ambiente sotto
forma di calore o di lavoro (energia termica
e meccanica); la parte rimanente è utilizzata
per riformare altre molecole. L’energia utiliz-
zata dagli organismi viventi è quella poten-
ziale, di natura chimica, racchiusa in alcuni
costituenti organici dei tessuti. Le cellule
consumano incessantemente tale energia,
la quale finirebbe per esaurirsi, qualora non
venisse rinnovata di continuo. A ciò è quindi
preposta l’alimentazione. Le molecole intro-
dotte attraverso la nutrizione, (carboidrati,
proteine, lipidi) costituiscono i veri e propri
combustibili biologici. Nell’organismo uma-
no ed animale vengono demoliti, in presenza
di ossigeno, fino a ridurli in anidride carboni-
ca ed acqua. Tale processo avviene attraver-
so centinaia di reazioni chimiche intermedie
e molteplici trasformazioni energetiche. Ne-
gli animali superiori, i principi nutritivi ele-
mentari che si formano dalla digestione dei
carboidrati, delle proteine e dei trigliceridi
ovvero, glucosio, acidi grassi, amminoacidi,
ecc., conservano immodificato contenuto
energetico intrinseco delle sostanze di ori-
gine. Per la produzione di energia occorre
però che le molecole suddette siano comple-
tamente demolite. Affinché questo avvenga,
è necessario l’intervento di enzimi ossido-ri-
duttivi specifici, che trasformano le moleco-
le del glucosio, degli acidi grassi e degli am-
minoacidi in frammenti più piccoli, fino alla
formazione di un composto a due atomi di
carbonio, il metabolita acetil-CoA. Tale com-
plesso di trasformazione metabolica costi-
tuisce il così detto metabolismo intermedio.
Al termine del metabolismo intermedio, un
terzo circa dell’energia contenuta nei ma-
teriali di partenza è resa disponibile per le
cellule. I restanti due terzi vengono liberati e
utilizzati nel corso di una successiva serie di
reazioni metaboliche ad andamento ciclico:
ciclo di Krebs, catalizzate anch’esse da enzimi
ossido-riduttivi. Attraverso queste reazioni,
l’acetil-CoA viene completamente degradato
fino alla formazione di anidride carbonica e
acqua (metabolismo terminale). Il metaboli-
smo energetico varia notevolmente a secon-
da dell’attività che l’individuo sta svolgendo;
per questo assume la massima importanza
la determinazione del metabolismo in con-
dizioni standard, cioè la determinazione
del metabolismo basale. Le condizioni in cui
si calcola il metabolismo basale sono: il di-
giuno, l’immobilità, la posizione orizzontale
del corpo, la tranquillità dell’ambiente e la
temperatura confortevole. In un soggetto a
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Endocrinologia applicata allo sport
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LEBASIDELL’ALLENAMENTOSPORTIVO
Introduzione
Qualsiasi tipo di movimento, anche se non
applicato a prestazioni sportive, se prodotto
con intensità medio-alta, produce delle ri-
sposte da parte del sistema endocrino quan-
titativamente significative. Queste risposte,
che sono di origine adattativa, si associano
oltre che allo sforzo muscolare, anche a tutte
quelle espressioni emotive che lo sport, nel
suo aspetto agonistico, manifesta. Si trat-
ta quindi di ristabilire tutti quegli equilibri
ormonali (omeostasi) richiesti dalla qualità
dello sforzo, dalla sua intensità e dalla durata
nel tempo. Il primo adattamento allo stress
è quello dell’attivazione della corteccia sur-
renale che, tramite la produzione dell’ACTH
(ormone adreno-cortico-tropo) da parte
dell’ipofisi anteriore, viene stimolata alla
produzione di corticosteroidi.
Lo stress, secondo Selye, produce tre stadi di
attivazione endocrina nel nostro organismo.
La prima, detta reazione d’allarme, ingloba
tutta una serie di reazioni aspecifiche pro-
dotte da particolari tipologie di stress come
quelli rapidi, violenti, ai quali non c’è adatta-
mento fisico né di tipo qualitativo né di tipo
quantitativo. Questa prima fase si divide a
sua volta in due altri periodi: uno detto shok,
in cui l’organismo subisce passivamente l’e-
vento stressante e l’altro detto controschok,
caratterizzato dalla messa in opera di tutti i
meccanismi di risposta ormonale.
La seconda fase, chiamata fase di adatta-
mento o stadio della resistenza, comprende
tutti quei processi in cui l’organismo ha sta-
bilito la quantità degli elementi per andare
incontro all’adattamento e la specificità del-
le reazioni che si schierano a salvaguardia
dell’organismo, resistendo alle azioni nocive
provenienti dall’esterno.
L’ultima fase, ovvero quella detta di esau-
rimento, corrisponde a quel periodo in cui,
esaurite le riserve protettive, il fisico soc-
combe ai processi stressanti. L’arrivo in
questa fase può essere più o meno tardivo a
seconda della capacità di risposta di ogni in-
dividuo, ma potrebbe pure non avere origine
se lo stress si esaurisce in un tempo limitato.
Questa sindrome generale di adattamento e
di difesa è particolarmente legata alla produ-
zione di corticoidi: infatti, ad ogni forma di
adattamento allo stress corrisponde sempre
una ipertrofia delle ghiandole surrenali.
La sequenza ormonale in risposta a stimoli
stressanti inizia più specificamente con una
produzione di catecolamine (adrenalina e
noradrenalina) e di ADH seguita successi-
vamente dall’ACTH e dalle Beta-endorfine
ipofisarie che vanno a stimolare una iperin-
crezione di corticoidi e glicocorticoidi i quali
svolgono a loro volta il delicato compito di
difesa e adattamento dell’organismo. Questa
sequenza è identica sia nei soggetti allenati
che in quelli non allenati: la differenza con-
siste solamente nella qualità e nella quantità
della risposta. Gli allenati, ad esempio, ri-
spetto ai non allenati, avranno grazie al loro
processo di adattamento allo stress, una ri-
sposta di bassa entità.
Anche negli adattamenti emotivi esiste una
soggettività nella risposta. Soggetti maggior-
mente stabili o con un grado di controllo dei
fattori emotivi rispondono con una produ-
zione minore di catecolamine e aldosterone.
La funzione delle catecolamine è quella di
predisporre l’organismo ad un aumento pro-
porzionato di spesa energetica. L’adrenalina
o epinefrina, ad esempio, è un mediatore
chimico tipico della classe dei vertebrati, un
ormone e un neurotrasmettitore che appar-
tiene a una classe di sostanze dette cateco-
lammine, ha la capacità di influenzare parec-
chi processi fisiologici consistenti in:
• accelerazione dei processi energetici.
• Aumento della frequenza cardiaca e della
capacità contrattile.
• Aumento della glicolinolisi nel fegato e nei
muscoli.
• Stimolazione della lipolisi nei tessuti adi-
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Gli apparati o sistemi
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LEBASIDELL’ALLENAMENTOSPORTIVO
Sistema cardiocircolatorio
Per potere assolvere tutte le funzioni a cui è
chiamato, oltre alle strutture della locomo-
zione (muscoli e ossa), il corpo umano si av-
vale di altri apparati altamente specializzati.
Uno di questi è quello cardiocircolatorio, pa-
ragonabile ad un sistema idraulico a circuito
chiuso.
Questo apparato è composto da: muscolo
cardiaco, posto al centro della gabbia toraci-
ca, di forma ellissoide con un asse longitudi-
nale più lungo ed uno trasversale più corto,
costituito prevalentemente da fibre musco-
lari che strutturano il miocardio; è conte-
nuto in un sacchetto che lo riveste chiamato
pericardio. Il peso del cuore si aggira, per un
adulto, intorno ai 350 g nell’uomo e 300 g
nella donna. Visto in sezione, il cuore presen-
ta quattro cavità o camere dette atri e ven-
tricoli suddivisi in atrio e ventricolo destro
ed atrio e ventricolo sinistro. La sommità del
cuore è occupata dagli atri che sono struttu-
rati da fibre muscolari più sottili rispetto ai
ventricoli che occupano più della metà del
volume cardiaco.
Gli atri sono divisi tra loro longitudinalmente
da un sepimento interatriale mentre i ventri-
coli sono separati per mezzo di un sepimen-
to con decorso longitudinale chiamato setto
interventricolare.
Orizzontalmente, le cavità atriali sono sepa-
rate da quelle ventricolari per mezzo delle
valvole atrio-ventricolari: valvola tricuspide
(costituita da tre lembi valvolari), quella po-
sta tra atrio e ventricolo destro e valvola bi-
cuspide o mitralica (costituita da due lembi
valvolari), quella posta tra atrio e ventricolo
sinistro. Il movimento alternato di apertura
e chiusura delle valvole cardiache fa sì che
il sangue pompato dal cuore abbia un flusso
unidirezionale. Il processo dei flussi all’in-
terno delle camere cardiache è regolato in
maniera totalmente autonoma sia a destra
che a sinistra. La metà destra riceve sangue
povero di ossigeno dai tessuti periferici tra-
mite la vena cava superiore e la vena cava
inferiore che sboccano nell’atrio. Passando
attraverso la tricuspide, il sangue arriva nel
ventricolo destro, la vera parte che funge da
pompa e che lo spedisce verso i polmoni per
riossigenarsi, cedendo l’anidride carbonica.
La parte sinistra funziona in maniera specu-
lare, ricevendo nell’atrio sinistro il sangue
ricco di O2
attraverso le arterie polmonari,
reimmettendolo verso la periferia grazie alla
grande circolazione che parte dal ventricolo
sinistro e quindi dall’aorta, il vaso di calibro
più grande di tutto il corpo umano.
Altri dispositivi valvolari, detti valvole semi-
lunari, sono posizionati all’imbocco delle ar-
terie polmonari e dell’aorta.
L’attività contrattile del cuore è legata al si-
stema nervoso autonomo, dal quale trae gli
adattamenti per sforzi fisici, influssi esterni,
stress, fattori climatici e attività muscolare. Gli
impulsi per la contrazione, una volta partiti
dal cervello, giungono al cuore dove strutture
specializzate provvederanno alla organizza-
zione degli stimoli. Il primo centro di raccol-
ta è costituito dal tessuto nodale, localizzato
nella parete posteriore dell’atrio destro, dal
quale si diparte un’altra ramificazione chia-
mata seno atriale, il cui compito è quello di
trasmettere l’eccitazione a tutti e due gli atri.
L’atrio destro inizia la sua contrazione legger-
mente prima di quello sinistro. Le pareti de-
gli atri, non avendo collegamenti di tipo mu-
scolare con i ventricoli, diffondono l’impulso
per la contrazione di questi ultimi attraverso
la presenza di un altro nodo, chiamato nodo
atrio-ventricolare (vedi figura 21) da dove si
ramificano i fasci di His, che hanno il compito
di rilanciare l’impulso a tutte le porzioni del-
la muscolatura ventricolare. La contrazione
ventricolare avviene contemporaneamente:
in questa maniera, l’onda di eccitazione si dif-
fonde a tutto il muscolo cardiaco.
La contrazione ritmica del cuore, detta bat-
tito cardiaco, innesca il cosiddetto ciclo car-
diaco che consiste in una fase di contrazione,
detta sistole, e in una di rilassamento chia-
mata diastole. Nella fase sistolica gli atri ini-
ziano la loro contrazione al fine di spingere il