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Fenomenologia dello Spirito (1807)
       non studia in particolare un popolo o determinati uomini, ma la coscienza universale
       dell’uomo nella storia, coscienza che si è costantemente evoluta.
       oggetto di studio: coscienza dell’uomo nella sua evolu-zione storica
       sia la coscienza del soggetto storico che la coscienza filosofica vivono nel tempo, sono
       necessariamente stori-che
       coscienza del soggetto storico ≠ coscienza filosofica: quest’ultima è il grado più elevato di
       consapevolezza di sé e della realtà; si è impadronita delle conquiste culturali della prima e le
       ha superate (le ha fatte proprie com-prendendone le ragioni, rimaste nascoste alla stessa
       coscienza che le ha vissute)

► non studia la storia degli avvenimenti nella loro successione cronologica: il suo interesse è
concentrato sulla storia della coscienza. Dell’uomo segue il modo in cui egli ha interpretato se
stesso e il mondo, il modo in cui la sua coscienza ha acquisito consapevolezza di se stessa fino a
divenire coscienza filosofica, cioè coscienza consapevole di sé ( ad es. capace di evitare le forme di
illusione come la visione di Dio degli Ebrei)
Oggetto di studio della Fenomenologia dello Spirito
tappe dell’evoluzione dello spirito dell’uomo

dalla                                  alla
coscienza comune                      coscienza filosofica
( non si rende conto della            (capace di comprendere se
vacuità delle proprie cer-            stessa e il mondo secondo tezze)
verità)


La Prefazione
      ► posteriore all’opera, quasi un’opera a sé stante
      spiega il senso complessivo dell’opera e (dialogando con Fichte e con Schelling) descrive la
      coscienza filosofica, cioè spiega le “chiavi di lettura” che ha utilizzato per interpretare la
      storia della coscienza dell’uomo.
      vede la sua filosofia inserita nella trama dello sviluppo complessivo della storia del mondo:
      ha potuto giungere alla scienza perché ha costruito la sua consapevolezza sulla base delle
      conquiste precedenti.

a) “Il vero è l’intero”
        affermazione lapidaria e categorica presente nella Prefa-zione ► applicandola alla verità
        filosofica, Hegel vuol dire anche che il suo sistema filosofico costituisce un passo
        successivo, un completamento rispetto ai precedenti la verità della filosofia non emerge
        semplicemente dal siste-ma hegeliano, ma da tutto l’insieme della storia della filosofia; il
        suo stesso pensiero è vero soltanto nell’inte-rezza dello sviluppo del pensiero occidentale e
        in partico-lare dell’idealismo.
        Il criticismo kantiano, superato dall’idealismo, era
                 (1) debole dal punto di vista teoretico per il fatto di essere un sistema dualistico
                 (scissione fenomeno / noumeno).
                 (2) Aveva soprattutto (per la mentalità idealistico-romantica) il difetto di aspirare
                 semplicemente alla conoscenza del finito, del fenomeno, senza lo slancio a cogliere
                 l’infinito, l’Assoluto.
b) L’Assoluto non è solo sostanza, ma anche soggetto
      Assoluto per Hegel ► non è sostanza (qualcosa che semplicemente c’è), bensí soggetto
      (qualcosa la cui natura è lo stesso movimento che lo porta ad essere), è dinamico.
      ╟ essendo un processo non può essere colto da un singolo atto di intellezione, ma da tutta
      una serie di atti, mediante un ragionamento.
      L’intuizione, che per lo più la filosofia limita al sensibile, è un atto di apprensione unico,
      fermo nel tempo: affer-rando questo bicchiere in mano o vedendolo con un unico sguardo ho
      un’intuizione di quest’oggetto.
      Ogni ragionamento implica il partire da una premessa e lo sviluppare le fila del discorso
      attraverso termini inter-medi – di qui la parola “mediazione” – per giungere a sostenere la
      propria tesi. Il ragionamento si sviluppa nel tempo e passa da un termine all’altro, è una
      forma di conoscenza mediata.
      per Fichte e per Schelling, l’Assoluto è l’inizio
      per Hegel l’Assoluto è un risultato, è il risultato di tutto un percorso di mediazioni, è il
      risultato di quella sorta di enorme ragionamento di cui consiste la realtà.

È come se la realtà fosse un insieme di termini ben connessi fra loro logicamente. Per cogliere
l’Assoluto si deve comprendere l’interezza della realtà in tutte le sue mediazioni, quindi non è
possibile una conoscenza immediata, di tipo sentimentale, ma è necessaria una conoscenza, come
dice Hegel, scientifica, che abbia la pazienza di passare da un termine all’altro, fino a giungere alla
conclusione.

L’Assoluto è divenire, l’Assoluto è soggetto, l’Assoluto è risultato.

L’Assoluto è la totalità del processo ╟ se ci si fermerà a uno dei termini intermedi, si avrà una
visione falsata della realtà. Bisogna tenere presente l’intero sviluppo del processo, il che è non è
semplice perché il processo è il processo della realtà, è l’insieme di tutto il divenire della storia
umana e dello sviluppo della natura.
       L’intelletto degli illuministi e di Kant coglie i momenti del divenire come isolati, staccati gli
       uni dagli altri, pretende di cogliere il finito come separato da un altro finito e, procedendo in
       questo modo, non riesce ad afferrare la totalità.
       Per Hegel l’intelletto è “astratto”: la pretesa di cogliere il singolo termine, di fermarsi a un
       termine intermedio senza andare oltre, implica una visione distorta in quanto astrae (trae
       fuori) un termine dal tutto cui è connesso.

c)”La serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”
       Hegel riprende la centralità del divenire di Eraclito, ma in una maniera molto più
       complessa► introduce la logica dialettica nella considerazione della realtà.
       Prima di Hegel la filosofia ( tranne qualche accenno in Fichte) aveva adoperato la logica
       dell’identità, la logica astratta dell’intelletto.
       Il principio di identità implica che ogni cosa è uguale a se stessa (A) ed è diversa da
       quello che non è A, dall’altro da sé (B). Il principio di identità e il principio di non
       contraddizione sono alla base del ragionamento logico e alla base della filosofia dello stesso
       Kant► nella dialettica della Critica della ragion pura ha contrapposto tesi e antitesi ╟ la
       dialettica kantiana è dicotomica, consta di due termini.
       Hegel la accoglie e la estende a tutto il divenire►ogni cosa è identica a se stessa, ma,
       essendo immessa nell’ordine temporale, tende ad andare oltre se stessa, quindi è sol-tanto
       uguale a se stessa se viene vista avulsa dal processo temporale, ma immessa in un processo
       temporale, tende a negare se stessa e a diventare diversa da quello che è.
In termini schematici ogni cosa “A” che mi trovo posta davanti (tesi), tende a trasformarsi in
qualche cosa di diverso da sé, in non-A, cioè in B. Ogni realtà è autocontraddittoria, è identica a se
stessa e tende a diventare qualche cosa di diverso da sé (antitesi)
╟L’antitesi è la negazione della tesi, ma non è una negazione assoluta, ma una negazione
determinata, non è un processo di distruzione della tesi, bensí di superamento (Aufhebung) della
tesi stessa. Attraverso il contrasto tra quello che la cosa è e quello che tende ad essere nasce un
nuovo equilibrio, una nuova entità (sintesi)
La sintesi a sua volta costituirà un equilibrio che prima o poi è destinato a entrare in squilibrio per
autocon-traddittorietà. In Hegel non c’è mai un riferimento all’esteriore, tutto ciò che avviene,
avviene sempre per un dinamismo interno, per l’autocontraddittorietà delle cose.
sintesi►nuova tesi►autocontraddizione e nuova antitesi…
Per Hegel tutta la storia e tutto il divenire si sviluppano in questo modo, la filosofia,la religione, la
storia dell’arte si sviluppano dialetticamente.
L’Assoluto è se stesso solo come unità degli opposti, è soggetto, ma può esserlo solo
comprendendo nella sua soggettività l’oggetto, (ciò che lo nega come soggetto).
dialettica ►necessario movimento attraverso cui il soggetto comprende la sua complementarità con
l’oggetto nell’unità razionale del Tutto.
tema dell’opposizione, della lacerazione al centro della riflessione hegeliana degli anni giovanili.
Ora la dialettica chiude il conflitto senza eliminare il “travaglio del negativo”: lo supera
interpretandolo come momento necessario della vita dell’Assoluto.
“ Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che
sopporta la morte e in essa si mantiene è la vita della spirito. Esso guadagna la sua verità solo a
patto di ritrovare sé nell’assoluta dilacerazione. Esso è questa potenza, ma non alla maniera stessa
del positivo che non si dà cura del negativo[…]; anzi lo spirito è questa forza sol perché sa
guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi è la magica forza che
volge il negativo nell’essere”
Riepilogando:
il vero è l’intero, il vero è la totalità, il vero è il divenire, ma il divenire si sviluppa in maniera
ordinata, attraverso un meccanismo logico dialettico che la mente umana è perfettamente in grado
di cogliere e di riprodurre.
Per questo Hegel è stato definito, oltre che l’Eraclito moderno, “l’ultimo dei Greci”. L’affermazione
famosa: «Tutto ciò che è razionale è reale; tutto ciò che è reale è razionale» significa che c’è un
logos, una profonda razionalità in tutta la realtà, fedelmente rispecchiata dalla razionalità della
mente umana.

E’ la visione più alta che la filosofia abbia prodotto dell’uomo: la ragione umana non ha nessun
limite.
Per Kant la ragione umana era limitata dalla cosa in sé, continente sconosciuto, in cui non ci si
poteva av-venturare ≠ per Hegel niente può fermare la ragione umana, che è in grado di
comprendere tutto, anzi, capisce anche Dio.
Attaccando Schleiermacher e i romantici del senti-mento, Hegel sostiene: «Dio non si coglie col
sentimento o con la fede: Dio, essendo suprema manifestazione della realtà, è perfettamente
razionale, quindi si può cogliere con la ragione».
Kant aveva detto che la metafisica non è possibile come scienza. Per Hegel, invece, è possibile
conoscere tutto, è possibile conoscere l’infinito, l’Assoluto, è possibile conoscere Dio stesso, in
quanto esso è l’Assoluto.


Spirito ► vita che si eleva a coscienza
storia del mondo ► vita dello Spirito, movimento attraver-so cui esso acquisisce coscienza di se
stesso.
Il livello di comprensione che lo Spirito ha di se stesso in ciascuna epoca è assai diverso da quello
di altre epoche. storia ► storia della coscienza, cioè delle interpretazioni che lo Spirito ha dato delle
sue manifestazioni nel tempo, spesso non comprendendo affatto che le realtà studiate erano sue
manifestazioni.

fenomenologia(dal greco phainómenon, ciò che si mani-festa, ciò che appare) ► studio delle
manifestazioni dello Spirito e loro interpretazione.
La coscienza filosofica, giunta con Hegel al sapere asso-luto, (cioè alla piena consapevolezza della
realtà raziona-le dello Spirito) con la Fenomenologia si volta indietro a ripercorrere le fasi del
proprio sviluppo, come un adulto si volta indietro a ripercorrere la propria storia per compren-dere
appieno la sua attuale situazione che lì si è formata.

╟nella Fenomenologia due punti di vista continuamente si intrecciano:
1-la coscienza del soggetto storico: ha una coscienza assai parziale e cangiante di se stesso e degli
avvenimenti.

2-la coscienza filosofica: ha piena consapevolezza della realtà dello Spirito e ripercorre,
interpretandole, le fasi della propria formazione

Hegel chiama figure le singole tappe di questa evoluzione: ciascuna di esse rappresenta una
posizione storica limitata e cangiante della coscienza, destinata ad essere superata da una nuova
figura a un livello superiore di consapevolezza. Lo sviluppo della coscienza umana è descritto nello
schema seguente:

1)COSCIENZA condizione del soggetto che pone l’oggetto come altro da sè
2)AUTOCOSCIENZA condizione della coscienza che nel rapportarsi in maniera conflittuale ad
altre coscienze diviene autocoscienza, quando viene riconosciuta da altri esseri pensanti
3)RAGIONE condizione della coscienza che, avendo compreso la razionalità della realtà, diviene
consapevole di essere essa stessa l’intera realtà. L’idealismo è espressione di questa
consapevolezza, è l’affermazione che l’intera realtà è l’idea, il pensiero
4)SPIRITO condizione della coscienza nella società civile, ovvero l’esperienza complessiva della
comunità umana.
5)RELIGIONE condizione della coscienza che si ricongiunge con l’infinito e si riconosce come
spirito assoluto. Quest’ultimo viene riconosciuto come trascendente e quindi altro dal soggetto
6)SAPERE ASSOLUTO la filosofia, in cui l’assoluto non è altro ma bensì identico al soggetto. Il
soggetto quindi si autoriconosce come l’assoluto

Il “romanzo” dello Spirito comincia dal momento della coscienza (in senso restrittivo, non riferito
alla coscienza in generale, alla quale è dedicata tutta la Fenomenologia, ma alla coscienza comune,
la più lontana dal sapere filosofico e dalla verità). Il percorso parte dalla coscienza comune perché
in essa lo Spirito, sia pur al suo grado più basso, comincia già a conoscere. Da questo momento
prende l’avvio il cammino che lo porta alla scienza, cioè alla piena coscienza filosofica.
a)Coscienza
Coscienza comune ►momento in cui l’uomo comincia a formarsi una prima idea di sé e del mondo
come un insieme di soggetti e oggetti, un universo popolato da cose e da persone che sono
indipendentemente l’una dalle altre e intrattengono vari generi di rapporti. In questa fase la
coscienza non ha nessun sospetto che il mondo costituisca un’unità (lo Spirito), non immagina
neppure che la differenza che percepisce fra sé e le cose vada compresa all’interno della relazione
dialettica dell’Assoluto.
La coscienza comune è la coscienza di chi non solo non ha risolto, ma ancora neppure posto
problemi filosofici. Essa ha una sua storia, un cammino che la porta a una crisi, dalla quale si
sviluppa un ulteriore percorso che le permetterà di avvicinarsi alla scienza.
Quale crisi? La coscienza è sempre proiettata fuori di se stessa, si dà sempre come rapporto all’altro
(oggetto, mondo, natura). Quando entriamo in rapporto con una cosa, che in quanto tale è estranea
alla coscienza, desideriamo conoscerla nella sua verità. Per farlo dobbiamo collocarci nella cosa
stessa, al di fuori della coscienza►è la relazione soggetto-oggetto
La coscienza trascende sempre se stessa: vuol passare dalla certezza (riguarda il sapere del
soggetto) alla verità (riguarda non più il soggetto cosciente, ma l’oggettività della cosa). La
coscienza non vuol sapere qualcosa di sé, ma dell’oggetto. Kant ha dimostrato che non è possibile
una conoscenza esclusivamente oggettiva dell’oggetto.
Punto di vista della coscienza filosofica (Hegel)►sa che la differenza soggetto-oggetto non è
l’ultima parola della filosofia, come Kant riteneva. Sa che la coscienza trascende sempre se stessa,
cercando la verità dell’oggetto, ma che ciò accade perché entrambi gli elementi della relazione sono
manifestazione dello Spirito.
Quindi la coscienza comune possiede il massimo di certezza e il minimo di verità. Ritiene di
conoscere l’oggetto immediatamente e non ha alcun dubbio che le cose stiano così, ne è certa.
Occorre allora quello che Hegel chiama “cammino del dubbio o, più propriamente della
disperazione” per rendersi conto che la propria certezza è illusoria e non dà affatto la verità
dell’oggetto. Hegel usa il termine disperazione riferito alla crisi della coscienza perché non riguarda
solo il sapere ma tutta la sfera emotiva, l’uomo stesso è in crisi, ma la crisi è una tappa verso il
sapere.
Questi sono i singoli momenti:
1)COSCIENZA                     CERTEZZA SENSIBILE
                                PERCEZIONE
                                INTELLETTO

La certezza sensibile
Ai suoi albori la coscienza sorge come certezza sensibile: il soggetto percepisce l’oggetto nella sua
immediatezza, senza riflettere su di esso, senza utilizzare dei concetti per interpretarlo, senza porre
problemi di comprensione. Per la certezza sensibile l’oggetto semplicemente c’è (apro gli occhi e
vedo immediatamente delle cose). L’uomo che si trova in questa fase distingue già se stesso
dall’oggetto, ma la sua certezza e la verità dell’oggetto sono identificate immediatamente senza
alcuna riflessione.
La percezione
Le cose pongono problemi di comprensione. Che cosa è ciò che vedo? Questo è un albero, questa è
una casa. Ma che cosa sono gli alberi e le case? Come faccio a riconoscerli?
Per distinguere gli oggetti, per dar loro un nome e identificarli, nell’estrema varietà delle loro forme
la coscienza deve utilizzare il pensiero astratto►è il momento della percezione.
Devo sapere che cosa è in astratto un albero per poter identificare come albero una cosa determinata
che non ha mai visto: devo mettere a confronto un universale (il concetto di albero) e un particolare
(l’albero che ho davanti). La percezione è caratterizzata dalla mediazione: la mia certezza sulla
verità dell’oggetto è mediata da un elemento astratto, il concetto universale.
In questa fase ogni ente della realtà viene identificato rispetto agli altri in modo netto attraverso un
meccanismo di affermazione-negazione. La negazione è essenziale per poter dire che cosa è la cosa
di cui abbiamo coscienza.
Nella percezione la coscienza vede dunque un mondo diviso in enti a sé stanti: non intravede ancora
per nulla il legame tra le cose.
La coscienza vive nella certezza dei dati esteriori oggettivi che riceve attraverso le sensazioni. E’
convinta di trovarsi di fronte a un’infinità di particolari empirici privi di qualsiasi carattere formale
o concettuale, una semplice collezione di elementi particolari irrelati.
La forza del pensiero smantella questa convinzione : il semplice parlare, indicare, comunicare la
realtà sensibile indica il ricorso a nozioni generali. ╟ la coscienza scopre esattamente il contrario di
ciò che credeva, ossia che nessuna delle sue esperienze particolari è effettivamente tale, ma è già
intessuta di caratteri generali: quando dico “questo rosso” individuo un particolare attraverso
un’espressione generale. La tesi, la convinzione originaria, si è rovesciata nell’antitesi.

Ad es. l’espressione “questo” anche se viene impiegata per indicare un oggetto particolare in una
situazione particolare, può essere compreso solo sulla scorta del fatto che viene usato come
un’espressione generale per un’infinità di espe-rienze particolari (accomunabili dal fatto di essere
prossimi al soggetto parlante).



               TESI                                                          ANTITESI

   l’esperienza è particolare                                     l’esperienza è sempre intes-
   “questo” indica una                                            suta di caratteri generali
   singola cosa                                                   “questo” si riferisce a varie
                                                                      esperienze


L’intelletto
Tuttavia un legame tra le cose esiste. Tutte formano un’unica natura, sono espressione delle stesse
leggi, delle stesse forze che muovono l’universo. La percezione entra in crisi perché attraverso la
mediazione astratta dei concetti universali finisce per non comprendere il dinamismo che lega tutto:
identifica le cose, ma la sua certezza entra in crisi quando si tratta di comprenderne la genesi e il
movimento. L’intelletto è quel grado della coscienza che permette di superare l’astratta distinzione
imposta dalla percezione e di comprendere la dinamica delle forze che regolano il mondo,
attraverso le quali le cose si trasformano l’una nelle altre in un incessante e perenne movimento.
In quanto intelletto la coscienza pensa se stessa come non più del tutto estranea rispetto al mondo.
Nella dinamica delle forze del mondo incontra la vita, a cui essa stessa appartiene►acquisisce
quindi consapevolezza di sé come parte della natura.
La differenza soggetto-oggetto è compresa all’interno dell’unico fenomeno naturale della vita.
La coscienza ha acquisito un primo grado di capacità di comprensione di sé in rapporto alle cose: è
divenuta autocosciente.
L’intelletto è allora il momento kantiano della Critica della ragion pura, che Hegel legge
idealisticamente (eliminando la cosa in sé).
“Quando l’intelletto empirico conosce il suo oggetto, cioè la natura, e scopre attraverso
l’esperienza la molteplicità delle leggi particolari della natura, immagina di conoscere un Altro da
sé, ma la riflessione costituente appunto la critica della ragion pura dimostra che tale conoscenza
di un Altro è possibile solo mediante un’unità originariamente sintetica tale che le condizioni
dell’oggetto, vale a dire della natura, siano quelle stesse del sapere la natura. Nel sapere la natura
l’intelletto sa dunque se stesso: il suo sapere l’Altro è un sapere sé, un sapere il sapere, e il mondo
è il grande specchio in cui la coscienza scopre se stessa.”(J. Hyppolite)

b)Autocoscienza
Le prime esperienze conoscitive mostrano che l’Io, conoscendo il mondo delle cose, arriva a
conoscere se stesso, ma questa conoscenza di sé deve essere messa alla prova e conquistata fino in
fondo nel rapporto con altre coscienze, perché l’autocoscienza è propriamente tale quando viene
riconosciuta da altri esseri pensanti. E’ il tema della sezione dedicata all’autocoscienza, in cui
l’attenzione si concentra sul soggetto, mentre l’oggetto scompare dal campo di osservazione;
l’analisi non è più limitata all’ambito gnoseologico, ma si allarga alla società, alla storia, alla
cultura.
Le figure dell’autocoscienza sono tra le più celebri della Fenomenologia. In questa fase lo Spirito è
caratterizzato dalla coscienza di sé come vita. Attraverso l’esperienza della vita l’uomo comprende
il suo legame con l’altro, superando la frattura tra oggetto e soggetto, sebbene su un piano ancora
limitato (è un sentire la vita, non ancora vita elevata alla piena coscienza razionale di sé).
Nell’autocoscienza l’uomo pone se stesso come oggetto della coscienza. Negli scritti giovanili
l’unità della vita costituiva il momento più alto di comprensione filosofica della realtà del mondo,
momento destinato a infrangersi di fronte alla necessità tragica della morte. Nella Fenomenologia la
vita, ricomprendendo in sé il momento del negativo, la morte, potrà elevarsi a Spirito. Nella
prospettiva della coscienza filosofica la vita è essenzialmente inquietudine, tensione che porta il
vivente all’azione, a proiettarsi al di fuori di se stesso. Nella terminologia hegeliana: la vita è
eguaglianza con se stessa, ma nel suo sé è implicito il momento del divenire. La vita deve divenire
ciò che è, deve divenire libera. Per il vivente la libertà è la piena uguaglianza con se stesso, alpiena
realizzazione di sé nella vita all’interno del mondo.
Tutte la figure dell’autocoscienza sono studiate nel loro cammino verso la libertà.
Questi sono i singoli momenti:
2)AUTOCOSCIENZA                         SIGNORIA E SERVITU’
                                        STOICISMO-SCETTICISMO-
                                        COSCIENZA INFELICE
La dialettica servo-padrone
L’uomo vive nell’inquietudine perché vuole divenire se stesso: un appetito che lo spinge ad
impadronirsi delle cose, a farle proprie, a goderne. Attraverso esse l’uomo costruisce un proprio
mondo e con esso si identifica acquisendo coscienza di sé.
Nell’uomo l’autocoscienza non è però davvero piena se non quando nel proprio mondo compare un
altro uomo, nel quale l’autocoscienza riconosce se stessa, riconosce un altro individuo dotato a sua
volta di autocoscienza.
Ognuno dei due uomini è guidato verso l’altro da un appetito: la volontà di essere se stesso, cioè di
essere riconosciuto come autocoscienza. Ciascuno è spinto dall’impulso di inserire l’altro nel
proprio mondo, come accade per le cose di cui si impadronisce godendone.
Nasce una lotta fra i due uomini la cui posta in gioco è il riconoscimento. Nella lotta ognuno rischia
la sua vita, entrambi cercano di negarsi a vicenda ( nel costruire il nostro mondo neghiamo a tutto
ciò che entra a farvi parte un’esistenza indipendente). Così l’uomo è spinto ad elevarsi al di sopra
della vita, rischiando la morte perché per essere riconosciuto ciascuno deve essere disposto a
mettersi in gioco affrontando l’altro in una lotta per la vita e per la morte.
La dialettica servo-padrone si instaura quando uno dei due uomini non riesce a compiere questa
operazione spirituale di elevazione al di sopra della propria stessa vita e ha paura della morte.
Allora riconosce l’altro come autocoscienza indipendente (signore) e se stesso come servo, come
autocoscienza dipendente: rimane in vita ma solo alla maniera di una delle tante cose del signore. Si
instaura così il mondo sociale, segnato dall’ineguaglianza delle autocoscienze.
Il servo ha coscienza di sé come dipendente dal signore e lavora per lui, produce attraverso il lavoro
i beni di cui il signore godrà. In questo modo conserva un rapporto diretto con la natura
trasformandola attraverso il lavoro. Il signore, riconosciuto dall’altro come autocoscienza
indipendente, in realtà dipende dal riconoscimento dell’altro per essere se stesso. Tale dipendenza
ha un significato concreto: ha un rapporto con la natura e può goderne e farla sua solo attraverso la
mediazione del servo. Questi dunque, pur non avendone coscienza, tiene in mano le redini del
rapporto servo-padrone.
Entrambi hanno un alto, benché ineguale, livello di coscienza di sé e dei loro rapporti, ma non
hanno piena consapevolezza: il signore non comprende di idipendere dal servo, e il servo non
comprende il proprio potere.
La coscienza filosofica comprende invece pienamente tutti i lati del rapporto e comprende perché
necessariamente la figura del servo-padrone debba essere superata.
E’ il servo a permette il superamento della figura servo-padrone acquisendo un superiore grado di
libertà:attraverso il lavoro educa se stesso e la propria coscienza. Lavorando comprende che egli
non è in realtà servo del padrone, ma della vita stessa: è servo perché ha avuto paura di perderla. Il
lavoro gli insegna una modalità di realizzazione di sé ( una nuova forma di libertà) attraverso la
trasformazione delle cose, e questo gli permette di liberarsi dalla signoria del signore 8 impara a
non riconoscerlo più come tale, e dunque il signore smette di essere tale). Così la figura del servo-
padrone è sciolta e nasce una nuovo figura che realizza a un iù alto livello la libertà.



            TES                                                ANTITES
             I                                                    I

   Vittoria del signore sul                              Crescente autonomia
   servo: il servo lavora per                          del
   il signore                                            servo attraverso il lavoro,
                                                         mentre il signore diventa
                                                        dipendente

Lo stoicismo
Il servo ha imparato a riconoscere nel lavoro la via per una nuova forma di libertà: la coscienza
impara a non dipendere da un altro uomo e riconoscersi libera nel pensiero. Educato dal lavoro,
comprende di essere servo della vita, non del padrone.
Impara a rendersi libero dalla vita, come il saggio stoico, separando il suo sé dalla vita e ponendolo
nel puro elemento del pensiero ( indipendenza dell’io nei confronti delle cose, autosufficienza e
libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda). La fonte della propria identità viene trovata
nel pensiero. Dal punto di vista dello stoico la condizione storica in cui l’uomo vive è del tutto
inessenziale: servo o padrone, la coscienza è libera allo stesso modo perché essa non dipende più
dall’altro. Il problema della libertà è del tutto interiorizzato.
Nello stoicismo, però la libertà è semplicemente formale, incapace di dominare la realtà effettiva
del mondo e della vita se non astraendosi da essa. Per essere libera la coscienza stoica deve
rinunciare ad una relazione profonda con l’latro da sé, e dunque con la vita stessa nelle sue
manifestazioni esteriori.

Lo scetticismo
La coscienza scettica sorge quando, abbandonato il distacco stoico, il pensiero entra in rapporto
diretto con le determinazioni concrete della vita e dell’esperienza e ne mostra il loro intrinseco
nulla.
Lo scetticismo a cui pensa Hegel è quello greco di Pirrone (ma anche quello di Platone ►vanità di
ogni certezza basata sull’esperienza e sulla conoscenza sensibile). Solo nella soggettività c’è
certezza, non nel mondo oggettivo delle cose e dell’esperienza. La libertà dello scettico è superiore
al formalismo stoico; mostra come il pensiero possa dissolvere la pura oggettività di tutto ciò che è
esteriore all’autocoscienza. Nullificando il valore dell’oggetto, riconduce la realtà all’autocoscienza,
esalta la libertà assoluta della soggettività.
E’ tuttavia una coscienza contraddittoria: la sua libertà consiste nel negare ciò che è estraneo alla
soggettività dell’autocoscienza, ma così facendo non pone confini all’atto della negazione e lo
rivolge anche contro se stessa. (Hegel non fa che usare, contro lo scetticismo, l’argomento
tradizionale: quello secondo cui lo scettico si autocontraddice, perché da un lato dichiara che tutto è
vano e non vero, mentre dall’altro dichiara di dire qualcosa di vero). La coscienza scettica scopre la
contraddizione in se stessa, tra il negare l’altro e l’affermare sè, preparando la via alla figura
successiva

La coscienza infelice
Sorge quando la coscienza scettica comprende la profonda contraddizione che è in se stessa, e
questo genera infelicità. Il tema della lacerazione come fonte di infelicità è tipico degli scritti
giovanili di Hegel (v. Abramo che vive in maniera tanto drammatica la lacerazione tra sé e la
natura, da ancorarsi a un Dio infinito, potente signore di fronte al quale egli stesso si pensa come un
nulla) Ora Hegel mostra come l’infelicità della coscienza possa essere superata.
Le figure dello stoicismo e dello scetticismo hanno messo in luce la difficoltà di conciliare la libertà
dell’autocoscienza con l’esperienza e l’appetito della vita (scissione tra coscienza e vita). In
secondo luogo la coscienza è lacerata nella sua stessa interiorità, perché per affermare sé deve
negare il mondo, e così facendo finisce col rivolgere contro e stessa la propria negazione (scissione
della coscienza in se stessa): la coscienza nega valore assoluto alla realtà oggettiva e alla vita, ma
così facendo finisce col negarlo anche a se stessa.
L’uomo vive se stesso come coscienza infinita, cioè come coscienza che ha in sé l’elemento della
propria morte, della propria negazione. La coscienza aspira allora, come Abramo, ad ancorare se
stessa ad un Assoluto, ma questo è vissuto come del tutto estraneo alla coscienza.
La figura della coscienza infelice è tipica delle coscienze religiose ebraica e cristiana, che pensano
l’uomo come essere finito e contraddittorio di fronte alla maestà infinita di un Dio del tutto lontano,
a cui l’uomo non può accedere.
La coscienza infelice riproduce quindi entro se stessa la situazione dialettica del rapporto servo-
padrone. Adesso la coscienza incarna in sé entrambe le figure, perché vive se stessa come un nulla
di fronte a un Dio interiorizzato la cui potenza viene sentita come assoluta.

c)Ragione
La coscienza infelice apre la via ad una nuova fase della vita dello Spirito.
L’autocoscienza è il momento in cui la coscienza ha preso se stessa come proprio oggetto, ma il suo
culmine nella coscienza infelice mostra l’impossibilità di comprendere se stessa restando entro i
limiti di sé.
Se la coscienza infelice può essere adeguatamente rappresentata dalla religiosità medievale, le
successive figure della ragione possono essere esemplificate con l’età moderna che culmina
nell’idealismo.
L’idealismo, infatti, ha superato la coscienza infelice negando che vi sia lacerazione reale ll’interno
dell’Assoluto e ponendo un principio originario a fondamento del mondo.
La coscienza quindi supera la sua infelicità quando comprende se stessa come ragione, cioè quando
comprende che la differenza tra sé e la vita, tra sé e la natura, tra sé e Dio non è affatto radicale, e
che al contrario tutto è espressione dell’unità razionale dell’Assoluto.

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Hegel - fenomenologia dello spirito (1807)

  • 1. Fenomenologia dello Spirito (1807) non studia in particolare un popolo o determinati uomini, ma la coscienza universale dell’uomo nella storia, coscienza che si è costantemente evoluta. oggetto di studio: coscienza dell’uomo nella sua evolu-zione storica sia la coscienza del soggetto storico che la coscienza filosofica vivono nel tempo, sono necessariamente stori-che coscienza del soggetto storico ≠ coscienza filosofica: quest’ultima è il grado più elevato di consapevolezza di sé e della realtà; si è impadronita delle conquiste culturali della prima e le ha superate (le ha fatte proprie com-prendendone le ragioni, rimaste nascoste alla stessa coscienza che le ha vissute) ► non studia la storia degli avvenimenti nella loro successione cronologica: il suo interesse è concentrato sulla storia della coscienza. Dell’uomo segue il modo in cui egli ha interpretato se stesso e il mondo, il modo in cui la sua coscienza ha acquisito consapevolezza di se stessa fino a divenire coscienza filosofica, cioè coscienza consapevole di sé ( ad es. capace di evitare le forme di illusione come la visione di Dio degli Ebrei) Oggetto di studio della Fenomenologia dello Spirito tappe dell’evoluzione dello spirito dell’uomo dalla alla coscienza comune coscienza filosofica ( non si rende conto della (capace di comprendere se vacuità delle proprie cer- stessa e il mondo secondo tezze) verità) La Prefazione ► posteriore all’opera, quasi un’opera a sé stante spiega il senso complessivo dell’opera e (dialogando con Fichte e con Schelling) descrive la coscienza filosofica, cioè spiega le “chiavi di lettura” che ha utilizzato per interpretare la storia della coscienza dell’uomo. vede la sua filosofia inserita nella trama dello sviluppo complessivo della storia del mondo: ha potuto giungere alla scienza perché ha costruito la sua consapevolezza sulla base delle conquiste precedenti. a) “Il vero è l’intero” affermazione lapidaria e categorica presente nella Prefa-zione ► applicandola alla verità filosofica, Hegel vuol dire anche che il suo sistema filosofico costituisce un passo successivo, un completamento rispetto ai precedenti la verità della filosofia non emerge semplicemente dal siste-ma hegeliano, ma da tutto l’insieme della storia della filosofia; il suo stesso pensiero è vero soltanto nell’inte-rezza dello sviluppo del pensiero occidentale e in partico-lare dell’idealismo. Il criticismo kantiano, superato dall’idealismo, era (1) debole dal punto di vista teoretico per il fatto di essere un sistema dualistico (scissione fenomeno / noumeno). (2) Aveva soprattutto (per la mentalità idealistico-romantica) il difetto di aspirare semplicemente alla conoscenza del finito, del fenomeno, senza lo slancio a cogliere l’infinito, l’Assoluto.
  • 2. b) L’Assoluto non è solo sostanza, ma anche soggetto Assoluto per Hegel ► non è sostanza (qualcosa che semplicemente c’è), bensí soggetto (qualcosa la cui natura è lo stesso movimento che lo porta ad essere), è dinamico. ╟ essendo un processo non può essere colto da un singolo atto di intellezione, ma da tutta una serie di atti, mediante un ragionamento. L’intuizione, che per lo più la filosofia limita al sensibile, è un atto di apprensione unico, fermo nel tempo: affer-rando questo bicchiere in mano o vedendolo con un unico sguardo ho un’intuizione di quest’oggetto. Ogni ragionamento implica il partire da una premessa e lo sviluppare le fila del discorso attraverso termini inter-medi – di qui la parola “mediazione” – per giungere a sostenere la propria tesi. Il ragionamento si sviluppa nel tempo e passa da un termine all’altro, è una forma di conoscenza mediata. per Fichte e per Schelling, l’Assoluto è l’inizio per Hegel l’Assoluto è un risultato, è il risultato di tutto un percorso di mediazioni, è il risultato di quella sorta di enorme ragionamento di cui consiste la realtà. È come se la realtà fosse un insieme di termini ben connessi fra loro logicamente. Per cogliere l’Assoluto si deve comprendere l’interezza della realtà in tutte le sue mediazioni, quindi non è possibile una conoscenza immediata, di tipo sentimentale, ma è necessaria una conoscenza, come dice Hegel, scientifica, che abbia la pazienza di passare da un termine all’altro, fino a giungere alla conclusione. L’Assoluto è divenire, l’Assoluto è soggetto, l’Assoluto è risultato. L’Assoluto è la totalità del processo ╟ se ci si fermerà a uno dei termini intermedi, si avrà una visione falsata della realtà. Bisogna tenere presente l’intero sviluppo del processo, il che è non è semplice perché il processo è il processo della realtà, è l’insieme di tutto il divenire della storia umana e dello sviluppo della natura. L’intelletto degli illuministi e di Kant coglie i momenti del divenire come isolati, staccati gli uni dagli altri, pretende di cogliere il finito come separato da un altro finito e, procedendo in questo modo, non riesce ad afferrare la totalità. Per Hegel l’intelletto è “astratto”: la pretesa di cogliere il singolo termine, di fermarsi a un termine intermedio senza andare oltre, implica una visione distorta in quanto astrae (trae fuori) un termine dal tutto cui è connesso. c)”La serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo” Hegel riprende la centralità del divenire di Eraclito, ma in una maniera molto più complessa► introduce la logica dialettica nella considerazione della realtà. Prima di Hegel la filosofia ( tranne qualche accenno in Fichte) aveva adoperato la logica dell’identità, la logica astratta dell’intelletto. Il principio di identità implica che ogni cosa è uguale a se stessa (A) ed è diversa da quello che non è A, dall’altro da sé (B). Il principio di identità e il principio di non contraddizione sono alla base del ragionamento logico e alla base della filosofia dello stesso Kant► nella dialettica della Critica della ragion pura ha contrapposto tesi e antitesi ╟ la dialettica kantiana è dicotomica, consta di due termini. Hegel la accoglie e la estende a tutto il divenire►ogni cosa è identica a se stessa, ma, essendo immessa nell’ordine temporale, tende ad andare oltre se stessa, quindi è sol-tanto uguale a se stessa se viene vista avulsa dal processo temporale, ma immessa in un processo temporale, tende a negare se stessa e a diventare diversa da quello che è.
  • 3. In termini schematici ogni cosa “A” che mi trovo posta davanti (tesi), tende a trasformarsi in qualche cosa di diverso da sé, in non-A, cioè in B. Ogni realtà è autocontraddittoria, è identica a se stessa e tende a diventare qualche cosa di diverso da sé (antitesi) ╟L’antitesi è la negazione della tesi, ma non è una negazione assoluta, ma una negazione determinata, non è un processo di distruzione della tesi, bensí di superamento (Aufhebung) della tesi stessa. Attraverso il contrasto tra quello che la cosa è e quello che tende ad essere nasce un nuovo equilibrio, una nuova entità (sintesi) La sintesi a sua volta costituirà un equilibrio che prima o poi è destinato a entrare in squilibrio per autocon-traddittorietà. In Hegel non c’è mai un riferimento all’esteriore, tutto ciò che avviene, avviene sempre per un dinamismo interno, per l’autocontraddittorietà delle cose. sintesi►nuova tesi►autocontraddizione e nuova antitesi… Per Hegel tutta la storia e tutto il divenire si sviluppano in questo modo, la filosofia,la religione, la storia dell’arte si sviluppano dialetticamente. L’Assoluto è se stesso solo come unità degli opposti, è soggetto, ma può esserlo solo comprendendo nella sua soggettività l’oggetto, (ciò che lo nega come soggetto). dialettica ►necessario movimento attraverso cui il soggetto comprende la sua complementarità con l’oggetto nell’unità razionale del Tutto. tema dell’opposizione, della lacerazione al centro della riflessione hegeliana degli anni giovanili. Ora la dialettica chiude il conflitto senza eliminare il “travaglio del negativo”: lo supera interpretandolo come momento necessario della vita dell’Assoluto. “ Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene è la vita della spirito. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta dilacerazione. Esso è questa potenza, ma non alla maniera stessa del positivo che non si dà cura del negativo[…]; anzi lo spirito è questa forza sol perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’essere” Riepilogando: il vero è l’intero, il vero è la totalità, il vero è il divenire, ma il divenire si sviluppa in maniera ordinata, attraverso un meccanismo logico dialettico che la mente umana è perfettamente in grado di cogliere e di riprodurre. Per questo Hegel è stato definito, oltre che l’Eraclito moderno, “l’ultimo dei Greci”. L’affermazione famosa: «Tutto ciò che è razionale è reale; tutto ciò che è reale è razionale» significa che c’è un logos, una profonda razionalità in tutta la realtà, fedelmente rispecchiata dalla razionalità della mente umana. E’ la visione più alta che la filosofia abbia prodotto dell’uomo: la ragione umana non ha nessun limite. Per Kant la ragione umana era limitata dalla cosa in sé, continente sconosciuto, in cui non ci si poteva av-venturare ≠ per Hegel niente può fermare la ragione umana, che è in grado di comprendere tutto, anzi, capisce anche Dio. Attaccando Schleiermacher e i romantici del senti-mento, Hegel sostiene: «Dio non si coglie col sentimento o con la fede: Dio, essendo suprema manifestazione della realtà, è perfettamente razionale, quindi si può cogliere con la ragione». Kant aveva detto che la metafisica non è possibile come scienza. Per Hegel, invece, è possibile conoscere tutto, è possibile conoscere l’infinito, l’Assoluto, è possibile conoscere Dio stesso, in quanto esso è l’Assoluto. Spirito ► vita che si eleva a coscienza
  • 4. storia del mondo ► vita dello Spirito, movimento attraver-so cui esso acquisisce coscienza di se stesso. Il livello di comprensione che lo Spirito ha di se stesso in ciascuna epoca è assai diverso da quello di altre epoche. storia ► storia della coscienza, cioè delle interpretazioni che lo Spirito ha dato delle sue manifestazioni nel tempo, spesso non comprendendo affatto che le realtà studiate erano sue manifestazioni. fenomenologia(dal greco phainómenon, ciò che si mani-festa, ciò che appare) ► studio delle manifestazioni dello Spirito e loro interpretazione. La coscienza filosofica, giunta con Hegel al sapere asso-luto, (cioè alla piena consapevolezza della realtà raziona-le dello Spirito) con la Fenomenologia si volta indietro a ripercorrere le fasi del proprio sviluppo, come un adulto si volta indietro a ripercorrere la propria storia per compren-dere appieno la sua attuale situazione che lì si è formata. ╟nella Fenomenologia due punti di vista continuamente si intrecciano: 1-la coscienza del soggetto storico: ha una coscienza assai parziale e cangiante di se stesso e degli avvenimenti. 2-la coscienza filosofica: ha piena consapevolezza della realtà dello Spirito e ripercorre, interpretandole, le fasi della propria formazione Hegel chiama figure le singole tappe di questa evoluzione: ciascuna di esse rappresenta una posizione storica limitata e cangiante della coscienza, destinata ad essere superata da una nuova figura a un livello superiore di consapevolezza. Lo sviluppo della coscienza umana è descritto nello schema seguente: 1)COSCIENZA condizione del soggetto che pone l’oggetto come altro da sè 2)AUTOCOSCIENZA condizione della coscienza che nel rapportarsi in maniera conflittuale ad altre coscienze diviene autocoscienza, quando viene riconosciuta da altri esseri pensanti 3)RAGIONE condizione della coscienza che, avendo compreso la razionalità della realtà, diviene consapevole di essere essa stessa l’intera realtà. L’idealismo è espressione di questa consapevolezza, è l’affermazione che l’intera realtà è l’idea, il pensiero 4)SPIRITO condizione della coscienza nella società civile, ovvero l’esperienza complessiva della comunità umana. 5)RELIGIONE condizione della coscienza che si ricongiunge con l’infinito e si riconosce come spirito assoluto. Quest’ultimo viene riconosciuto come trascendente e quindi altro dal soggetto 6)SAPERE ASSOLUTO la filosofia, in cui l’assoluto non è altro ma bensì identico al soggetto. Il soggetto quindi si autoriconosce come l’assoluto Il “romanzo” dello Spirito comincia dal momento della coscienza (in senso restrittivo, non riferito alla coscienza in generale, alla quale è dedicata tutta la Fenomenologia, ma alla coscienza comune, la più lontana dal sapere filosofico e dalla verità). Il percorso parte dalla coscienza comune perché in essa lo Spirito, sia pur al suo grado più basso, comincia già a conoscere. Da questo momento prende l’avvio il cammino che lo porta alla scienza, cioè alla piena coscienza filosofica. a)Coscienza Coscienza comune ►momento in cui l’uomo comincia a formarsi una prima idea di sé e del mondo come un insieme di soggetti e oggetti, un universo popolato da cose e da persone che sono indipendentemente l’una dalle altre e intrattengono vari generi di rapporti. In questa fase la coscienza non ha nessun sospetto che il mondo costituisca un’unità (lo Spirito), non immagina neppure che la differenza che percepisce fra sé e le cose vada compresa all’interno della relazione dialettica dell’Assoluto.
  • 5. La coscienza comune è la coscienza di chi non solo non ha risolto, ma ancora neppure posto problemi filosofici. Essa ha una sua storia, un cammino che la porta a una crisi, dalla quale si sviluppa un ulteriore percorso che le permetterà di avvicinarsi alla scienza. Quale crisi? La coscienza è sempre proiettata fuori di se stessa, si dà sempre come rapporto all’altro (oggetto, mondo, natura). Quando entriamo in rapporto con una cosa, che in quanto tale è estranea alla coscienza, desideriamo conoscerla nella sua verità. Per farlo dobbiamo collocarci nella cosa stessa, al di fuori della coscienza►è la relazione soggetto-oggetto La coscienza trascende sempre se stessa: vuol passare dalla certezza (riguarda il sapere del soggetto) alla verità (riguarda non più il soggetto cosciente, ma l’oggettività della cosa). La coscienza non vuol sapere qualcosa di sé, ma dell’oggetto. Kant ha dimostrato che non è possibile una conoscenza esclusivamente oggettiva dell’oggetto. Punto di vista della coscienza filosofica (Hegel)►sa che la differenza soggetto-oggetto non è l’ultima parola della filosofia, come Kant riteneva. Sa che la coscienza trascende sempre se stessa, cercando la verità dell’oggetto, ma che ciò accade perché entrambi gli elementi della relazione sono manifestazione dello Spirito. Quindi la coscienza comune possiede il massimo di certezza e il minimo di verità. Ritiene di conoscere l’oggetto immediatamente e non ha alcun dubbio che le cose stiano così, ne è certa. Occorre allora quello che Hegel chiama “cammino del dubbio o, più propriamente della disperazione” per rendersi conto che la propria certezza è illusoria e non dà affatto la verità dell’oggetto. Hegel usa il termine disperazione riferito alla crisi della coscienza perché non riguarda solo il sapere ma tutta la sfera emotiva, l’uomo stesso è in crisi, ma la crisi è una tappa verso il sapere. Questi sono i singoli momenti: 1)COSCIENZA CERTEZZA SENSIBILE PERCEZIONE INTELLETTO La certezza sensibile Ai suoi albori la coscienza sorge come certezza sensibile: il soggetto percepisce l’oggetto nella sua immediatezza, senza riflettere su di esso, senza utilizzare dei concetti per interpretarlo, senza porre problemi di comprensione. Per la certezza sensibile l’oggetto semplicemente c’è (apro gli occhi e vedo immediatamente delle cose). L’uomo che si trova in questa fase distingue già se stesso dall’oggetto, ma la sua certezza e la verità dell’oggetto sono identificate immediatamente senza alcuna riflessione. La percezione Le cose pongono problemi di comprensione. Che cosa è ciò che vedo? Questo è un albero, questa è una casa. Ma che cosa sono gli alberi e le case? Come faccio a riconoscerli? Per distinguere gli oggetti, per dar loro un nome e identificarli, nell’estrema varietà delle loro forme la coscienza deve utilizzare il pensiero astratto►è il momento della percezione. Devo sapere che cosa è in astratto un albero per poter identificare come albero una cosa determinata che non ha mai visto: devo mettere a confronto un universale (il concetto di albero) e un particolare (l’albero che ho davanti). La percezione è caratterizzata dalla mediazione: la mia certezza sulla verità dell’oggetto è mediata da un elemento astratto, il concetto universale. In questa fase ogni ente della realtà viene identificato rispetto agli altri in modo netto attraverso un meccanismo di affermazione-negazione. La negazione è essenziale per poter dire che cosa è la cosa di cui abbiamo coscienza. Nella percezione la coscienza vede dunque un mondo diviso in enti a sé stanti: non intravede ancora per nulla il legame tra le cose. La coscienza vive nella certezza dei dati esteriori oggettivi che riceve attraverso le sensazioni. E’ convinta di trovarsi di fronte a un’infinità di particolari empirici privi di qualsiasi carattere formale o concettuale, una semplice collezione di elementi particolari irrelati.
  • 6. La forza del pensiero smantella questa convinzione : il semplice parlare, indicare, comunicare la realtà sensibile indica il ricorso a nozioni generali. ╟ la coscienza scopre esattamente il contrario di ciò che credeva, ossia che nessuna delle sue esperienze particolari è effettivamente tale, ma è già intessuta di caratteri generali: quando dico “questo rosso” individuo un particolare attraverso un’espressione generale. La tesi, la convinzione originaria, si è rovesciata nell’antitesi. Ad es. l’espressione “questo” anche se viene impiegata per indicare un oggetto particolare in una situazione particolare, può essere compreso solo sulla scorta del fatto che viene usato come un’espressione generale per un’infinità di espe-rienze particolari (accomunabili dal fatto di essere prossimi al soggetto parlante). TESI ANTITESI l’esperienza è particolare l’esperienza è sempre intes- “questo” indica una suta di caratteri generali singola cosa “questo” si riferisce a varie esperienze L’intelletto Tuttavia un legame tra le cose esiste. Tutte formano un’unica natura, sono espressione delle stesse leggi, delle stesse forze che muovono l’universo. La percezione entra in crisi perché attraverso la mediazione astratta dei concetti universali finisce per non comprendere il dinamismo che lega tutto: identifica le cose, ma la sua certezza entra in crisi quando si tratta di comprenderne la genesi e il movimento. L’intelletto è quel grado della coscienza che permette di superare l’astratta distinzione imposta dalla percezione e di comprendere la dinamica delle forze che regolano il mondo, attraverso le quali le cose si trasformano l’una nelle altre in un incessante e perenne movimento. In quanto intelletto la coscienza pensa se stessa come non più del tutto estranea rispetto al mondo. Nella dinamica delle forze del mondo incontra la vita, a cui essa stessa appartiene►acquisisce quindi consapevolezza di sé come parte della natura. La differenza soggetto-oggetto è compresa all’interno dell’unico fenomeno naturale della vita. La coscienza ha acquisito un primo grado di capacità di comprensione di sé in rapporto alle cose: è divenuta autocosciente. L’intelletto è allora il momento kantiano della Critica della ragion pura, che Hegel legge idealisticamente (eliminando la cosa in sé). “Quando l’intelletto empirico conosce il suo oggetto, cioè la natura, e scopre attraverso l’esperienza la molteplicità delle leggi particolari della natura, immagina di conoscere un Altro da sé, ma la riflessione costituente appunto la critica della ragion pura dimostra che tale conoscenza di un Altro è possibile solo mediante un’unità originariamente sintetica tale che le condizioni dell’oggetto, vale a dire della natura, siano quelle stesse del sapere la natura. Nel sapere la natura l’intelletto sa dunque se stesso: il suo sapere l’Altro è un sapere sé, un sapere il sapere, e il mondo è il grande specchio in cui la coscienza scopre se stessa.”(J. Hyppolite) b)Autocoscienza Le prime esperienze conoscitive mostrano che l’Io, conoscendo il mondo delle cose, arriva a conoscere se stesso, ma questa conoscenza di sé deve essere messa alla prova e conquistata fino in fondo nel rapporto con altre coscienze, perché l’autocoscienza è propriamente tale quando viene riconosciuta da altri esseri pensanti. E’ il tema della sezione dedicata all’autocoscienza, in cui
  • 7. l’attenzione si concentra sul soggetto, mentre l’oggetto scompare dal campo di osservazione; l’analisi non è più limitata all’ambito gnoseologico, ma si allarga alla società, alla storia, alla cultura. Le figure dell’autocoscienza sono tra le più celebri della Fenomenologia. In questa fase lo Spirito è caratterizzato dalla coscienza di sé come vita. Attraverso l’esperienza della vita l’uomo comprende il suo legame con l’altro, superando la frattura tra oggetto e soggetto, sebbene su un piano ancora limitato (è un sentire la vita, non ancora vita elevata alla piena coscienza razionale di sé). Nell’autocoscienza l’uomo pone se stesso come oggetto della coscienza. Negli scritti giovanili l’unità della vita costituiva il momento più alto di comprensione filosofica della realtà del mondo, momento destinato a infrangersi di fronte alla necessità tragica della morte. Nella Fenomenologia la vita, ricomprendendo in sé il momento del negativo, la morte, potrà elevarsi a Spirito. Nella prospettiva della coscienza filosofica la vita è essenzialmente inquietudine, tensione che porta il vivente all’azione, a proiettarsi al di fuori di se stesso. Nella terminologia hegeliana: la vita è eguaglianza con se stessa, ma nel suo sé è implicito il momento del divenire. La vita deve divenire ciò che è, deve divenire libera. Per il vivente la libertà è la piena uguaglianza con se stesso, alpiena realizzazione di sé nella vita all’interno del mondo. Tutte la figure dell’autocoscienza sono studiate nel loro cammino verso la libertà. Questi sono i singoli momenti: 2)AUTOCOSCIENZA SIGNORIA E SERVITU’ STOICISMO-SCETTICISMO- COSCIENZA INFELICE La dialettica servo-padrone L’uomo vive nell’inquietudine perché vuole divenire se stesso: un appetito che lo spinge ad impadronirsi delle cose, a farle proprie, a goderne. Attraverso esse l’uomo costruisce un proprio mondo e con esso si identifica acquisendo coscienza di sé. Nell’uomo l’autocoscienza non è però davvero piena se non quando nel proprio mondo compare un altro uomo, nel quale l’autocoscienza riconosce se stessa, riconosce un altro individuo dotato a sua volta di autocoscienza. Ognuno dei due uomini è guidato verso l’altro da un appetito: la volontà di essere se stesso, cioè di essere riconosciuto come autocoscienza. Ciascuno è spinto dall’impulso di inserire l’altro nel proprio mondo, come accade per le cose di cui si impadronisce godendone. Nasce una lotta fra i due uomini la cui posta in gioco è il riconoscimento. Nella lotta ognuno rischia la sua vita, entrambi cercano di negarsi a vicenda ( nel costruire il nostro mondo neghiamo a tutto ciò che entra a farvi parte un’esistenza indipendente). Così l’uomo è spinto ad elevarsi al di sopra della vita, rischiando la morte perché per essere riconosciuto ciascuno deve essere disposto a mettersi in gioco affrontando l’altro in una lotta per la vita e per la morte. La dialettica servo-padrone si instaura quando uno dei due uomini non riesce a compiere questa operazione spirituale di elevazione al di sopra della propria stessa vita e ha paura della morte. Allora riconosce l’altro come autocoscienza indipendente (signore) e se stesso come servo, come autocoscienza dipendente: rimane in vita ma solo alla maniera di una delle tante cose del signore. Si instaura così il mondo sociale, segnato dall’ineguaglianza delle autocoscienze. Il servo ha coscienza di sé come dipendente dal signore e lavora per lui, produce attraverso il lavoro i beni di cui il signore godrà. In questo modo conserva un rapporto diretto con la natura trasformandola attraverso il lavoro. Il signore, riconosciuto dall’altro come autocoscienza indipendente, in realtà dipende dal riconoscimento dell’altro per essere se stesso. Tale dipendenza ha un significato concreto: ha un rapporto con la natura e può goderne e farla sua solo attraverso la mediazione del servo. Questi dunque, pur non avendone coscienza, tiene in mano le redini del rapporto servo-padrone. Entrambi hanno un alto, benché ineguale, livello di coscienza di sé e dei loro rapporti, ma non hanno piena consapevolezza: il signore non comprende di idipendere dal servo, e il servo non comprende il proprio potere.
  • 8. La coscienza filosofica comprende invece pienamente tutti i lati del rapporto e comprende perché necessariamente la figura del servo-padrone debba essere superata. E’ il servo a permette il superamento della figura servo-padrone acquisendo un superiore grado di libertà:attraverso il lavoro educa se stesso e la propria coscienza. Lavorando comprende che egli non è in realtà servo del padrone, ma della vita stessa: è servo perché ha avuto paura di perderla. Il lavoro gli insegna una modalità di realizzazione di sé ( una nuova forma di libertà) attraverso la trasformazione delle cose, e questo gli permette di liberarsi dalla signoria del signore 8 impara a non riconoscerlo più come tale, e dunque il signore smette di essere tale). Così la figura del servo- padrone è sciolta e nasce una nuovo figura che realizza a un iù alto livello la libertà. TES ANTITES I I Vittoria del signore sul Crescente autonomia servo: il servo lavora per del il signore servo attraverso il lavoro, mentre il signore diventa dipendente Lo stoicismo Il servo ha imparato a riconoscere nel lavoro la via per una nuova forma di libertà: la coscienza impara a non dipendere da un altro uomo e riconoscersi libera nel pensiero. Educato dal lavoro, comprende di essere servo della vita, non del padrone. Impara a rendersi libero dalla vita, come il saggio stoico, separando il suo sé dalla vita e ponendolo nel puro elemento del pensiero ( indipendenza dell’io nei confronti delle cose, autosufficienza e libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda). La fonte della propria identità viene trovata nel pensiero. Dal punto di vista dello stoico la condizione storica in cui l’uomo vive è del tutto inessenziale: servo o padrone, la coscienza è libera allo stesso modo perché essa non dipende più dall’altro. Il problema della libertà è del tutto interiorizzato. Nello stoicismo, però la libertà è semplicemente formale, incapace di dominare la realtà effettiva del mondo e della vita se non astraendosi da essa. Per essere libera la coscienza stoica deve rinunciare ad una relazione profonda con l’latro da sé, e dunque con la vita stessa nelle sue manifestazioni esteriori. Lo scetticismo La coscienza scettica sorge quando, abbandonato il distacco stoico, il pensiero entra in rapporto diretto con le determinazioni concrete della vita e dell’esperienza e ne mostra il loro intrinseco nulla. Lo scetticismo a cui pensa Hegel è quello greco di Pirrone (ma anche quello di Platone ►vanità di ogni certezza basata sull’esperienza e sulla conoscenza sensibile). Solo nella soggettività c’è certezza, non nel mondo oggettivo delle cose e dell’esperienza. La libertà dello scettico è superiore al formalismo stoico; mostra come il pensiero possa dissolvere la pura oggettività di tutto ciò che è esteriore all’autocoscienza. Nullificando il valore dell’oggetto, riconduce la realtà all’autocoscienza, esalta la libertà assoluta della soggettività. E’ tuttavia una coscienza contraddittoria: la sua libertà consiste nel negare ciò che è estraneo alla soggettività dell’autocoscienza, ma così facendo non pone confini all’atto della negazione e lo rivolge anche contro se stessa. (Hegel non fa che usare, contro lo scetticismo, l’argomento tradizionale: quello secondo cui lo scettico si autocontraddice, perché da un lato dichiara che tutto è vano e non vero, mentre dall’altro dichiara di dire qualcosa di vero). La coscienza scettica scopre la
  • 9. contraddizione in se stessa, tra il negare l’altro e l’affermare sè, preparando la via alla figura successiva La coscienza infelice Sorge quando la coscienza scettica comprende la profonda contraddizione che è in se stessa, e questo genera infelicità. Il tema della lacerazione come fonte di infelicità è tipico degli scritti giovanili di Hegel (v. Abramo che vive in maniera tanto drammatica la lacerazione tra sé e la natura, da ancorarsi a un Dio infinito, potente signore di fronte al quale egli stesso si pensa come un nulla) Ora Hegel mostra come l’infelicità della coscienza possa essere superata. Le figure dello stoicismo e dello scetticismo hanno messo in luce la difficoltà di conciliare la libertà dell’autocoscienza con l’esperienza e l’appetito della vita (scissione tra coscienza e vita). In secondo luogo la coscienza è lacerata nella sua stessa interiorità, perché per affermare sé deve negare il mondo, e così facendo finisce col rivolgere contro e stessa la propria negazione (scissione della coscienza in se stessa): la coscienza nega valore assoluto alla realtà oggettiva e alla vita, ma così facendo finisce col negarlo anche a se stessa. L’uomo vive se stesso come coscienza infinita, cioè come coscienza che ha in sé l’elemento della propria morte, della propria negazione. La coscienza aspira allora, come Abramo, ad ancorare se stessa ad un Assoluto, ma questo è vissuto come del tutto estraneo alla coscienza. La figura della coscienza infelice è tipica delle coscienze religiose ebraica e cristiana, che pensano l’uomo come essere finito e contraddittorio di fronte alla maestà infinita di un Dio del tutto lontano, a cui l’uomo non può accedere. La coscienza infelice riproduce quindi entro se stessa la situazione dialettica del rapporto servo- padrone. Adesso la coscienza incarna in sé entrambe le figure, perché vive se stessa come un nulla di fronte a un Dio interiorizzato la cui potenza viene sentita come assoluta. c)Ragione La coscienza infelice apre la via ad una nuova fase della vita dello Spirito. L’autocoscienza è il momento in cui la coscienza ha preso se stessa come proprio oggetto, ma il suo culmine nella coscienza infelice mostra l’impossibilità di comprendere se stessa restando entro i limiti di sé. Se la coscienza infelice può essere adeguatamente rappresentata dalla religiosità medievale, le successive figure della ragione possono essere esemplificate con l’età moderna che culmina nell’idealismo. L’idealismo, infatti, ha superato la coscienza infelice negando che vi sia lacerazione reale ll’interno dell’Assoluto e ponendo un principio originario a fondamento del mondo. La coscienza quindi supera la sua infelicità quando comprende se stessa come ragione, cioè quando comprende che la differenza tra sé e la vita, tra sé e la natura, tra sé e Dio non è affatto radicale, e che al contrario tutto è espressione dell’unità razionale dell’Assoluto.