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CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI civ., sentenza 19 giugno 2012, n. 10053
Pres. Preden – Rel. Ambrosio
M.A. c. Comune di C.
L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei processi civili non compor-
ta la responsabilità dello Stato per la rifusione delle spese di lite liquidate a carico
del soggetto ammesso al beneficio e a favore delle altre parti del processo (massi-
ma non ufficiale) (1)
«1. M.A. ha chiesto la correzione della sentenza di questa Corte n. 24267 del
27.10./30.11.2010, nella parte in cui è stato disposto rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente alle spese che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 6.000 per onorari, ol-
tre alle spese generali ed agli accessori di legge, assumendo che l’importo per cui vi
è condanna andava posto a carico dell’erario. (Omissis)
Invero solo l’errore del giudice che si estrinseca nell’erronea manifestazione
della volontà – di tipo ostativo – è rimediabile in sede di correzione, mentre l’errore
consistente, ove commesso dalla Corte di Cassazione, nell’erronea percezione de-
gli atti di causa (e in particolare nella supposizione di un fatto la cui verità è incon-
testabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui
verità sia positivamente stabilita), va dedotto, sempre che l’evento su cui cade non
abbia costituito un punto controverso, impugnando la sentenza, che ne sia affetto,
per revocazione ex art. 391 bis e art. 395 c.p.c., comma 1o
, n. 4.
5. In ogni caso la pretesa di far carico all’Erario le spese dovute alla contropar-
te appare infondata.
Sulla questione della presunta idoneità del provvedimento di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato a tenere indenne l’imputato o altra parte ammessa an-
che rispetto alle spese legali della controparte vittoriosa, questa Corte ha già avuto
modo di evidenziarcene l’espressione l’onorario e le spese agli avvocati di cui al
d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 107, non contempla altri avvocati che quelli of-
ficiati dalla difesa del soggetto ammesso al beneficio (Cass. pen., sez. V, 17/07/
2008, n. 38271). Invero lo Stato è tenuto a corrispondere solo le spese necessarie al-
la difesa della parte ammessa al beneficio, in quanto si sostituisce a questi – consi-
derate le loro precarie condizioni economiche – per garantirne un diritto primario
previsto dall’art. 24 Cost., comma 3o
, non estendendosi l’obbligo dello Stato alla
tutela di diritti ulteriori».
Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, osser-
vando che la memoria della ricorrente non oppone alcun specifico argomento che
valga a superare il già assorbente rilievo della deducibilità come errore revocatorio
(e non già come errore materiale ex art. 287 c.p.c.) dell’eventuale «omesso rileva-
mento» del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio e neppure offre
spunti convincenti che valgano a contrastare l’ulteriore profilo, evidenziato dal re-
latore, dell’inidoneità di detto provvedimento a tener indenne la parte ammessa al
beneficio dal pagamento delle spese processuali liquidate in favore della contropar-
te risultata vittoriosa.
A quest’ultimo riguardo pare utile aggiungere quanto segue.
Il d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 131 – regolando gli effetti dell’ammissio-
ne al gratuito patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario e
prevedendo che «relativamente alle spese a carico della parte ammessa» alcune
spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall’erario – dispone che venga-
no anticipati dall’erario «gli onorari e le spese dovuti al difensore», con una dispo-
sizione «parallela» a quella contenuta nel precedente art. 107 (che, disciplinando
gli effetti dell’ammissione al beneficio nel procedimento penale, pone a carico del-
l’erario in via di anticipazione «l’onorario e le spese agli avvocati»). Orbene già il
raffronto tra il tenore della disposizione di cui all’art. 131 con quella di cui al pre-
cedente art. 107 – che, riguardando il processo penale, è intesa a comprendere tra le
spese anticipate dall’erario sia l’onorario e le spese del difensore dell’imputato am-
messo al beneficio, sia l’onorario e le spese di altro avvocato officiato della difesa
di soggetto diverso dall’imputato (danneggiato che intenda costituirsi parte civile,
responsabile civile, civilmente responsabile per la pena pecuniaria) ammesso al be-
neficio – evidenzia che, nel processo civile, «gli onorari e le spese», di cui si fa ca-
rico lo Stato, sono esclusivamente quelli dovute al difensore della parte ammessa al
beneficio.
L’inequivocità del rilevato dato letterale trova, del resto, riscontro nel tenore
del d.p.r. cit., art. 74, comma 2o
che, nel prevedere l’istituzione del beneficio, di-
spone che «è assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile,
tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non
abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate»; con il che
– mentre, sotto il profilo meramente letterale, appare chiaro che l’impegno dello
Stato è riferito al «patrocinio» della parte ammessa al beneficio – sotto il profilo lo-
gico, la circostanza, che la concessione del beneficio risulti condizionata alla pre-
ventiva valutazione della «non manifesta infondatezza» delle ragioni della parte
istante, convalida il convincimento che l’obbligo dello Stato non si estende alla tu-
tela di diritti di terzi, quale la parte vittoriosa, nei cui confronti l’assistito dal bene-
ficio risulti soccombente con condanna al pagamento delle spese processuali.
In definitiva va affermato il seguente principio di diritto:
l’ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, la cui istituzione è pre-
vista dal d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2, non comporta che siano a
carico dello Stato le spese che l’assistito dal beneficio sia condannato a pagare al-
l’altra parte risultata vittoriosa, perché «gli onorari e le spese» di cui all’art. 131
d.p.r. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che
lo Stato, sostituendosi alla stessa parte – in considerazione delle sue precarie condi-
zioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese – si im-
pegna ad anticipare. (Omissis).
GIURISPRUDENZA 493
(1) Patrocinio a carico dello Stato e rifusione delle spese.
1. – Con la sentenza che si commenta la Corte di cassazione, pur a fronte di
una iniziativa ritenuta a rigore come non ammissibile (1), si è lodevolmente soffer-
mata in motivazione su un principio che non risulta essere stato ancora espressa-
mente affermato in sede di legittimità (2), ossia l’impossibilità di accogliere una in-
terpretazione estesa dell’oggetto del patrocinio a spese dello Stato (3) che valga a
estendere la responsabilità dell’erario anche alla eventuale condanna alla rifusione
delle spese di lite sostenute dalle parti non ammesse al beneficio.
Il tessuto motivazionale sul punto è attento e articolato e affronta un aspetto
che, dal punto di vista della interpretazione letterale delle previsioni normative, ol-
tre che da quello della giustizia sostanziale (4), poteva essere foriero di alcuni dub-
bi di carattere sistematico.
(1) Nel caso di specie, infatti, il ricorrente ha fatto ricorso alla procedura per la richiesta di
correzione di errore materiale nei confronti della pronuncia resa dalla stessa Corte di cassazione,
assumendo che la condanna alle spese fosse stata pronunciata contro la parte avente diritto al pa-
trocinio a spese dello Stato e non contro l’erario a causa dell’omesso esame della documentazione
versata in atti. In realtà, anche considerando astrattamente la fattispecie e l’oggetto della doglian-
za, l’unico strumento concesso dall’ordinamento per porre rimedio a un asserito errore nella valu-
tazione dei documenti compiuto dal Giudice di legittimità avrebbe potuto essere quello della revo-
cazione ex art. 391 bis c.p.c. in relazione all’art. 395, n. 4, c.p.c. per avere errato nel considerare
l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dal materiale di causa. Non siamo,
infatti, al cospetto di un vizio afferente «alla semplice formazione del documento decisorio – ben-
ché non anche al ragionamento svolto per formularlo (di cui è viziata piuttosto la premessa che lo
svolgimento)» e la fattispecie è certamente diversa da quella concernente il «mero errore materia-
le, correggibile ex art. 287 c.p.c., in quanto dovuto ad un evidente difetto di corrispondenza tra il
giudizio e la sua espressione grafica», cfr. C. Consolo, La revocazione delle decisioni della Cas-
sazione e la formazione del giudicato, Padova 1989, 6, nt. 8, ed ivi, oltre al compiuto inquadra-
mento della problematica, anche ulteriori riferimenti. Senza poter approfondire oltre questo profi-
lo che non costituisce il nucleo centrale del presente commento, non si può, tuttavia, non segnalare
a livello pratico la perplessità legata alla comunanza della struttura processuale dei due rimedi che
ne consente, cfr. Cass. 30 luglio 1999, n. 8295, eventualmente anche la proposizione materialmen-
te cumulativa in un unico ricorso, con l’unica differenza, sancita dalla pronuncia della C. cost. 18
aprile 1996, n. 119, costituita dalla mancanza di un termine finale per la proposizione del ricorso
per correzione.
(2) Per la giurisprudenza di merito si veda più recentemente Trib. Milano 14 gennaio 2009,
in Giustizia a Milano 2009, I, 7, il cui decisum è riportato da ultimo da F.P. Luiso, Orientamenti
giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ.
2012, 627, spec. nt. 23. Recentemente, il principio è stato affermato anche in sede amministrativa
da T.A.R. Campania Napoli, 7 dicembre 2011, n. 5715, in Foro amm. TAR 2011, 12, 4037.
(3) Sulla normativa vigente, per la letteratura di carattere monografico, si vedano, senza
pretesa di completezza, G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili e
amministrativi, Padova, passim e P. Sechi, Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali,
Milano 2006, vol. II, 107 ss., ed ivi anche ulteriori riferimenti alla storia del patrocinio a spese del-
lo Stato in relazione al processo civile.
(4) Pur non avendo questo argomento dignità sufficiente per essere inserito nella esegesi
494 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
2. – Infatti, ove si muova in modo esclusivo dal dato letterale, la normativa di
riferimento per quanto articolata e minuziosa nella disciplina di vari aspetti (5), si
appalesa come lacunosa e foriera di possibili equivoci per ciò che concerne, invece,
le conseguenze dell’eventuale soccombenza della parte ammessa al beneficio e ciò
non solo per la mancanza di una previsione espressa, ma anche per gli interrogativi
che possono sorgere nella ricostruzione del ruolo dello Stato rispetto all’oggetto
della controversia e all’esistenza di alcuni possibili punti di contatto diretti anche
con la parte non ammessa al beneficio.
In questo contesto normativo, la motivazione della Corte di cassazione non ha
potuto limitarsi a una argomentazione di carattere esclusivamente letterale, ma si è
dovuta soffermare sopra una serie di considerazioni di carattere sistematico.
In particolare, l’esclusione dell’obbligo di cui si discute è stato desunto dal
confronto tra le elencazioni delle spese facenti capo all’erario contenute nelle nor-
me concernenti rispettivamente il processo penale e il processo civile ossia gli artt.
107 e 131 del testo unico. Così, in particolare, il fatto che la sola norma dettata per
il processo civile definisca nell’epigrafe le sole spese poste «a carico della parte
ammessa» varrebbe a escludere ogni possibilità di estendere la responsabilità del-
l’erario per le somme concernenti le spese di lite della controparte.
Sennonché, la lettura delle predette previsioni normative pur rilevante, non
sembra in realtà essere perfettamente esauriente rispetto ai possibili significati e ciò
perché – al di là del fatto che le spese ammesse ricomprendono in linea generale
una serie di oneri che riguardano entrambe le parti del giudizio e ciò sia in modo
esplicito (6), sia per effetto del principio di acquisizione processuale che nel pro-
cesso civile rende comune alle parti il diritto alla assunzione dei mezzi istruttori (7)
– la tecnica normativa si caratterizza comunque per una certa genericità delle
espressioni utilizzate (8).
dell’istituto, non può sfuggire l’elementare considerazione secondo la quale, negando una respon-
sabilità sussidiaria e concorrente dell’Erario, chi è costretto a difendersi in giudizio avverso una
iniziativa assunta da una parte che è in possesso dei requisiti per il gratuito patrocinio, incontrerà
certamente grandi difficoltà, anche in caso di vittoria delle spese di lite, a ottenere la materiale ri-
fusione del proprio credito e questo aspetto, che verrà affrontato nel prosieguo, può certamente es-
sere foriero di una sensazione di iniquità del sistema.
(5) Rappresentata sino ad oggi dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di spese di giustizia, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115.
(6) Così, l’art. 107, comma 3o
, lett. a) e c) e, analogamente l’art. 131, comma 4o
, lett. b) e f)
pongono tout court a carico dello Stato anche gli oneri concernenti le indennità di trasferta, le spe-
se di viaggio e le spese di notifica relative ai provvedimenti assunti anche d’ufficio.
(7) Analogamente, l’art. 107, comma 3o
, lett. b) e l’art. 131, comma 4o
, lett. c) contempla
senza alcuna distinzione le spese concernenti le trasferte dei testimoni.
(8) Invero, la precisazione «a carico della parte ammessa» è affatto generica e potrebbe va-
lere a indicare le spese che a qualsiasi titolo siano dovute dalla parte beneficiata e, quindi, non solo
in forza del mandato rilasciato al difensore, mentre una indicazione più precisa la si potrebbe forse
ricavare, come correttamente svolto dalla Corte, dal confronto tra l’art. 107 e l’art. 131 del testo
GIURISPRUDENZA 495
A ciò, inoltre, può aggiungersi che non sembra neppure del tutto probante, in
quanto riproduttivo di un principio generale insito nella finalità della legge che non
esclude l’esistenza di diverse possibili implicazioni, l’ulteriore richiamo operato
dalla Corte allo scopo generale del patrocinio a spese enunciato, ossia la difesa del
cittadino non abbiente, nella prima delle disposizioni a ciò deputate (9).
3. – A questi argomenti di carattere letterale e sistematico, la Corte affianca,
quindi, una riflessione di carattere logico evidenziando, in particolare, che l’esi-
stenza di una valutazione di non manifesta infondatezza della pretesa, alla quale la
legge subordina la concessione del beneficio, conforterebbe il convincimento se-
condo il quale il patrocinio a spese dello Stato non potrebbe essere esteso ai diritti
spettanti ai terzi soggetti tra i quali la parte che risulti vincitrice in relazione al pa-
gamento delle spese di lite (10).
Anche in questo caso, tuttavia, la riflessione pur corretta e coerente deve esse-
re a mio avviso essere ulteriormente integrata (11).
Ciò in quanto, la valutazione di non manifesta infondatezza, peraltro nata an-
che da un raffronto con la normativa previgente (12), presuppone comunque l’esito
unico, laddove la prima disposizione individua in modo più generico «l’onorario e le spese agli
avvocati», mentre l’ultima disposizione richiamata indica «gli onorari e le spese dovute al difen-
sore». Sennonché, il raffronto non sembra del tutto pertinente perché l’art. 107 non disciplina,
quanto agli effetti di cui si discute, una fattispecie analoga, ma può godere di una maggiore esten-
sione in virtù della diversa qualifica dei soggetti che possono fruire del patrocinio a spese dello
Stato nel processo penale.
(9) Essendo pacifico che la funzione prima dell’istituto è quella descritta nell’art. 74, com-
ma 2 del testo unico, il quale nel prevedere l’istituzione del beneficio prevede che la relativa fun-
zione è quella di assicurare la difesa dei cittadini non abbienti.
(10) L’affermazione non viene pienamente sviluppata, ma l’argomento era stato già espo-
sto da G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato, cit., 224, il quale aveva infatti osserva-
to che in forza del limitato giudizio cui è chiamato lo Stato «appare fin troppo ovvio che lo Stato
non possa anche accollarsi il rischio di pagare al non abbiente le spese di lite che spettano all’av-
versario».
(11) Evidenzia la centralità di tale previsione, anche attraverso un raffronto con la normati-
va immediatamente precedente di cui alla l. 30 luglio 1990, n. 217, il cui art. 15 terdecies, comma
2o
, prevedeva anche una possibile ulteriore valutazione del merito della iniziativa compiuta dal
Giudice investito della causa, A. Martone, La nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato,
in Rass. for. 2002, 537; in linea generale, anche il testo unico contempla all’art. 136, comma 2o
, la
possibilità di una valutazione successiva preclusa all’Ordine professionale, ma consentita all’Uf-
ficio giudiziario competente per il merito dell’iniziativa, per ciò che concerne la presenza di una
eventuale mala fede nell’agire e quindi non solo per la carenza dei requisiti oggettivi afferenti il
reddito, sul punto per un panorama delle pronunce giurisprudenziali intervenute; v. F.P. Luiso,
Orientamenti giurisprudenziali, cit. 629.
(12) La quale, già nella terminologia usata, circoscrive l’ambito di indagine che deve essere
svolta e che non contempla anche la presumibile possibilità di accoglimento della pretesa come,
invece, più rigidamente previsto dall’originario art. 15 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, il quale
496 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
di un apprezzamento di carattere discrezionale e configura una tipologia di nozione
il cui ambito non è perfettamente chiaro nei suoi confini normativi (13), sicché
conviene valutare se sussistano, come pare invero corretto, ulteriori motivi riferibili
alla struttura del processo civile che rendano del tutto irrilevanti ed escludano defi-
nitivamente le possibili suggestioni che potrebbero comunque derivare a favore
della tesi opposta e, in particolare, a favore della costruzione della soccombenza
contemplava l’esame della «probabilità dell’esito favorevole nella causa od affare» attraverso un
procedimento più approfondito se non altro perché la parte istante doveva allegare alla domanda
anche la documentazione giustificativa della pretesa e il tutto era destinato a essere valutato, se-
condo l’art. 20, nel contraddittorio con la parte avversa, ma sul punto, v. M. Cappelletti, La giusti-
zia dei poveri, in Foro it. 1968, V, 114, spec. 117, e ivi la critica del procedimento, considerato co-
me una delle «trappole» insite nella normativa oggi abrogata non solo perché la parte non abbiente
era costretta a scoprire le carte in anticipo, ma anche perché «la causa della parte povera sarà sog-
getta in tal modo a questo giudizio preliminare compiuto da un giudice diverso da quello naturale
(art. 25 Costituzione), ossia da una commissione non dotata di quei requisiti di imparzialità, ina-
movibilità, ecc. che caratterizzano una vera e propria Corte di giustizia».
(13) Incertezze simili sono riscontrabili in relazione alla nuova disciplina dell’appello nel
processo civile, all’interno della quale l’art. 348 bis c.p.c. ha introdotto la nozione di ragionevole
probabilità di accoglimento. Con riferimento alla non manifesta infondatezza – nozione peraltro
ribadita a livello europeo nell’art. 6, comma 1, della direttiva europea 2002/8/CE del 27 gennaio
2003 intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la de-
finizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato e ribadita all’art. 5 del-
la relativa disciplina di attuazione di cui al d.lgs. 27 maggio 2005 n. 116 – è sufficiente pensare al-
le incertezze di carattere teorico nate dopo la novella del 2009 e la riforma dell’art. 360 bis c.p.c.
ove è stato configurato come motivo di inammissibilità del ricorso in Cassazione, quello che do-
vrebbe rappresentare un motivo di manifesta infondatezza, ossia il rapporto tra la tesi giuridica
espressa e l’orientamento delle Corte di legittimità, ma sul punto per una sintesi delle opinioni
espresse dalla dottrina, v. da ultimo, F. Ferraris, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «fil-
tro» in cassazione, nota a Cass. 8 febbraio 2011, n. 3142, Cass. sez. un. civ. 19 aprile 2011, n.
8923, in Riv. dir. proc. 2012, 494, nt. 9. Per offrire un quadro, pur necessariamente incompleto
può ricordarsi che, in relazione alla sospensione del giudizio in pendenza di un regolamento di
giurisdizione, la Corte di legittimità ha precisato che la valutazione in esame non potrebbe pre-
scindere dall’esame della documentazione inerente il merito della lite, Cass., sez. un., 25 luglio
2001, n. 10089 mentre, in relazione alla ammissibilità della azione di responsabilità a carico dei
magistrati, due differenti pronunce hanno precisato che la limitazione della valutazione della do-
manda alla relativa non manifesta infondatezza dovrebbe imporre al giudice di limitarsi a quanto
emerge dagli atti di causa senza ulteriori particolari approfondimenti, Cass. 27 novembre 2006, n.
25133; Cass. 19 giugno 2003, n. 9811. Nel caso della valutazione esperibile nell’ambito dell’isti-
tuto del gratuito patrocinio innanzi ai Consigli dell’ordine non pare possibile, in ogni caso, l’isti-
tuzione di perfetti parallelismi con le pur incerte prese di posizione espresse con riferimento a di-
versi istituti inerenti la tutela giurisdizionale, considerato che si tratta di un procedimento di carat-
tere precipuamente amministrativo e destinato tendenzialmente a svolgersi in assenza di contrad-
dittorio. Per una tipizzazione astratta delle fattispecie riconducibili alla manifesta infondatezza, v.
G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato, cit., 185.
GIURISPRUDENZA 497
quale dimostrazione dell’esistenza di un errore di valutazione da parte dello Stato
nel consentire e rendere effettivo l’esercizio di un’azione giudiziale ingiusta (14).
In questa direzione, quindi, al fine di cercare di confortare ulteriormente le
giuste considerazioni e conclusioni contenute nella decisione della Corte, è possibi-
le spostare l’analisi su due piani diversi e ulteriori costituiti in primo luogo dal fon-
damento di carattere costituzionale del patrocinio a spese dello Stato e, in secondo,
luogo dalle caratteristiche della disciplina processuale della condanna alle spese di
lite e dai limiti in cui la stessa può essere incisa dalla normativa in esame.
4. – Sotto il primo profilo, come ricordato correttamente nella sentenza in
commento, la finalità della disciplina è tesa a garantire la possibilità concreta di
agire in giudizio alle persone non abbienti mediante la tecnica della anticipazione e
della prenotazione a debito di una parte delle spese di lite da parte dello Stato (15).
(14) Fermo restando che deve ritenersi ormai pacifico che la ripartizione delle spese di lite
e l’eventuale condanna dovrebbe basarsi principalmente sopra il criterio oggettivo della soccom-
benza, mentre il cd. principio di causalità è stato grandemente mitigato dal legislatore e relegato a
quelle ipotesi gravi ed eccezionali e ad altre precisazioni contenute negli artt. 92 c.p.c. ss., ma sul
punto si rinvia per il compiuto inquadramento della problematica a C. Consolo, Spiegazioni di di-
ritto processuale civile, Torino 2012, 265, ed ivi anche la precisazione secondo la quale la natura
principale della condanna alle spese è quella di una «rifusione indennitaria che non si ricollega ad
alcun illecito del soccombente». Nello stesso senso, precisando che il fondamento della condanna
alle spese di lite «non deve ricercarsi nella colpa, poiché colpa non è sostenere in buona fede il
proprio diritto davanti all’autorità giudiziaria, anche se risulti a posteriori che la sua pretesa era in-
fondata», E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano 1992, 118 ss., e, in modo
ancora più marcato, v. anche E. Grasso, Della responsabilità delle parti, in Commentario al codi-
ce di procedura civile, diretto da E. Allorio, Torino 1973, I, 981 il quale analogamente precisa che
«la soccombenza vuole essere un criterio obiettivo, che negativamente inteso, esclude lo stato psi-
cologico (di dolo o colpa)» ed ivi la diffusa ricostruzione delle origini storiche dell’opposto orien-
tamento già nelle opere di Giuseppe Chiovenda e Francesco Carnelutti, op. cit. 984, nt. 7. Parados-
salmente pur trattandosi di valutazioni di carattere prettamente civilistico, l’idea immediata che
potrebbe essere suggerita aderendo all’opposta concezione – tesi che è bene riassunta nella frase
«è facile constatare come quel principio di causalità che regola il rimborso delle spese giudiziali,
si identifichi con quel medesimo principio di causalità che, nel diritto positivo, disciplina il risar-
cimento del danno a qualsiasi titolo esso sia disposto» di A. Gualandi, Spese e danni nel processo
civile, Milano 1962, 254 – è semmai quella di una sorta di corresponsabilità da parte dello Stato
nella instaurazione di un processo rivelatosi dannoso nei confronti della controparte non ammessa
al beneficio; il principio di causalità è stato diffusamente sostenuto, come è noto, anche da P.
Pajardi, La responsabilità per le spese e i danni del processo, Milano 1959, 33 ss., ma per ulteriori
riferimenti anche alle elaborazioni più recenti e per una articolata presa di posizione critica, v. G.
Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano 1998, 118 ss. In realtà, come vedremo, la riflessione
non è perfettamente aderente allo scopo del patrocinio a spese dello Stato e, comunque, non po-
trebbe assumere valore di carattere sistematico all’interno del singolo processo posto che la stessa
potrebbe valere astrattamente solo per la parte ammessa che ritenga di agire in giudizio e non, sal-
vo ipotesi davvero eccezionali, per la parte resistente.
(15) La riflessione, in relazione a questi temi, non riguarda gli aspetti tecnico processuali
498 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
Questa situazione, che si ricollega all’esigenza minima costituzionalmente
protetta di consentire l’effettività dell’accesso alla giustizia (16), non dovrebbe tut-
tavia indurre nell’equivoco che lo Stato possa assumere una responsabilità in rela-
zione al procedimento giudiziale promosso attraverso l’istituto del pubblico patro-
cinio. Detta considerazione non muta neppure a fronte della valutazione di somma-
ria di meritevolezza della pretesa che viene istituzionalmente prevista a fronte della
richiesta di ammissione (17) posto che quest’ultima afferisce unicamente al neces-
sario controllo che dovrebbe essere normalmente esercitato nella gestione delle fi-
nanze pubbliche e si risolve in un procedimento di carattere precipuamente ammi-
connessi alla attuazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, ma si inserisce in un ambito più am-
pio atteso che «l’inviolabilità del contraddittorio, peraltro non si esaurisce negli aspetti puramente
tecnici dell’azione e della difesa in giudizio», ma riguarda anche le problematiche connesse allo
stato di non abbienza che è tale da poter precludere «gli effetti di quelle inviolabili garanzie di tu-
tela giurisdizionale che gli artt. 3, 1o
comma e 24, 1o
e 2o
comma, cost. tendono ad assicurare a tut-
ti, senza alcuna discriminazione di condizioni personali e sociali», cfr., diffusamente sul proble-
ma, L.P. Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova 1970, 241
ss., nonché 321 ss.
(16) Questo, del resto, è il significato che il principio assume anche a livello europeo all’in-
terno della direttiva 2002/8/CE del 27 gennaio 2003 cit., intesa a migliorare l’accesso alla giusti-
zia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative
al patrocinio a spese dello Stato, nonché, pur nel relativo ristretto ambito di applicazione, sul quale
v. F. Ghera, Il principio di uguaglianza nella Costituzione italiana e nel diritto comunitario, Ce-
dam 2003, 95 ss., alla stregua dell’art. 47, comma 3o
, della Carta dei diritti fondamentali del-
l’Unione europea, il quale analogamente prevede che «a coloro che non dispongono di mezzi suf-
ficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un ac-
cesso effettivo alla giustizia». Il tema non può essere approfondito in questa sede, ma si può rin-
viare per una completa ricostruzione del significato e dei limiti della normativa, oltre che per ulte-
riori riferimenti alla elaborazione giurisprudenziale comunitaria, alla motivazione di Corte giusti-
zia CE 22 dicembre 2010, n. 279, in Riv. dir. internaz. 2011, 2, 548. In relazione alla disciplina
italiana previgente, sulla rilevanza, invece, dei principi sanciti dalla Convenzione europea per i di-
ritti dell’uomo all’art. 6, prima ancora che dell’art. 24, 3o
comma, cost., in relazione alla necessa-
ria attuazione di un sistema che consentisse effettivamente l’accesso alla giustizia ai non abbienti,
v. già V. Denti, Patrocinio dei non abbienti e accesso alla giustizia: problemi e prospettive di ri-
forma, in Foro it. 1980, V, 125; in generale in argomento, v. anche senza pretesa di completezza,
F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro it. 1994, V, 83 ss., nonché N. Trocker,
L’assistenza giudiziaria ai non abbienti: problemi attuali e prospettive di riforma, in Riv. dir.
proc. 1979, 57 ss.
(17) Valutazione, come è noto, che viene svolta mediante il coinvolgimento degli Ordini
professionali e che è intrinsecamente inidonea a garantire una effettiva conoscenza del materiale
della lite, atteso che normalmente la stessa si basa sulla mera prospettazione astratta della fattispe-
cie e sulla enunciazione dei mezzi di prova di cui verrà chiesta l’assunzione. Sul punto, si vedano
peraltro le perspicue osservazioni di G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello stato nei pro-
cessi civili e amministrativi, cit., p. 18, il quale osserva come a rigore e «con un po’ di coraggio»
dovrebbe escludersi la valutazione di meritevolezza in tutti i casi in cui il cittadino non abbiente
sia evocato in giudizio e ciò al fine di consentire il rispetto del diritto di difesa della parte.
GIURISPRUDENZA 499
nistrativo che pare strutturalmente e costituzionalmente inidoneo a dimostrare al-
l’esterno una qualsiasi presa di posizione inerente il merito della lite (18).
In ogni caso, il punto centrale è costituito dalla impossibilità di individuare
sotto il profilo processuale una qualsiasi possibilità di interferenza tra l’istituto del-
la condanna alle spese di lite e la posizione dello Stato.
5. – Ed infatti, se da un lato una soluzione differente potrebbe essere indiret-
tamente suggerita da quella parte della disciplina che fa assumere allo Stato, in par-
ticolari situazioni espressamente regolate, la posizione di soggetto direttamente in-
teressato dai provvedimenti inerenti le spese, dall’altro è evidente che la stessa con-
figura una situazione che non solo ha carattere eccezionale e circoscritto, ma che
non assume alcuna rilevanza sistematica in relazione alla normativa ordinaria con-
cernente le spese di lite e ha come esclusiva funzione quella di carattere pubblico di
cercare assicurare e garantire il recupero degli oneri sostenuti e anticipati attraverso
l’istituto del pubblico patrocinio (19).
Viceversa, l’eventuale pretesa di coinvolgere lo Stato quale soggetto legitti-
mato passivamente rispetto a un provvedimento di condanna alle spese non potreb-
(18) Dal punto di vista costituzionale e senza poter approfondire in questa sede un tema che
è proprio del diritto pubblico, non sembra infatti potersi ammettere una presa di posizione da parte
dello Stato meramente adesiva alla posizione di una parte nei confronti dell’altra al di fuori del-
l’esercizio della funzione giurisdizionale. Del resto, la delibazione finalizzata alla concessione del
gratuito patrocinio si risolve in un procedimento che presenta caratteri precipuamente amministra-
tivi in quanto si risolve nell’esame di una pretesa senza che sia garantita la presenza di alcun con-
traddittorio processuale. Dal punto di vista soggettivo, la soluzione non è comunque pacifica e
meriterebbe un maggiore approfondimento, tenuto conto che, in caso di rigetto dell’istanza, è pos-
sibile la riproposizione della stessa innanzi al giudice competente per il merito della lite e non al
Consiglio nazionale forense cfr. F.P. Luiso, Orientamenti giurisprudenziali, cit., 626, e la proce-
dura sembra assumere un effettivo carattere contenzioso in caso di opposizione al decreto di riget-
to assunto in sede giurisdizionale; ibidem anche per una riflessione più ampia e con recenti riferi-
menti giurisprudenziali nonché con la constatazione degli errori di coordinamento, tra i quali la
mancanza apparente di un termine per l’opposizione, che oggi affliggono la disciplina a seguito
della relativa attrazione all’interno del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, 631 ss.
(19) In questo senso, prima tra tutte, la previsione contenuta nell’art. 133 t.u. (secondo il
quale il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la ri-
fusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia esegui-
to a favore dello Stato) la quale, in effetti, presenta una similitudine marcata con la previsione di
cui all’art. 93 c.p.c. che consente la distrazione delle spese a favore del difensore; analogia resa
ancora più marcata dal fatto che la sussistenza del patrocinio a spese dello Stato vale, secondo la
giurisprudenza della Corte di legittimità, a escludere l’operatività di quest’ultima normativa, cfr.
Cass. 7 luglio 2000, n. 9097. Solo a questi limitati fini, e in relazione a questo specifico capo della
decisione, potrebbe probabilmente ritenersi che lo Stato possa assumere il ruolo di parte del giudi-
zio, al pari di quanto la dottrina ha riconosciuto in relazione alla posizione del difensore, cfr. V.
Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli 1961, 263; in generale, critico per una
siffatta impostazione, v. E. Grasso, Della responsabilità delle parti, cit., 1014.
500 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
be a mio avviso prescindere dai presupposti sui quali si fonda la disciplina generale
racchiusa nelle disposizioni di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c. e che, in linea di principio,
richiede l’acquisizione della posizione formale di parte all’interno del processo con
tutti i conseguenti poteri e facoltà.
A prescindere, infatti, dalla elementare considerazione secondo la quale una
contraria impostazione risulterebbe lesiva dei valori costituzionali che presiedono
al nostro processo civile e che devono essere necessariamente rispettati ove si vo-
glia imporre a un qualsiasi soggetto, anche pubblico, un provvedimento di condan-
na (20), ciò che è assente nel caso di specie è la possibilità, anche dal punto di vista
sistematico, di inserire la posizione e il ruolo assunti dallo Stato all’interno delle re-
gole proprie della disciplina processuale delle spese di lite.
Infatti, senza poter entrare in questa sede nel merito delle differenti imposta-
zioni dottrinali concernenti la definizione di parte e senza certamente avere la pre-
tesa di poter offrire, definizione stipulativa della natura processuale della condanna
alle spese di lite è sufficiente soffermarsi sulle caratteristiche che collegano i due
istituti. In questa cornice, la nozione di parte, pur nella varietà delle definizioni e
delle prospettive di esame, identifica normalmente il soggetto che promuove o che
è destinatario della domanda e solo in casi eccezionali e in virtù del richiamo con-
tenuto in specifiche norme processuali può assumere un significato parzialmente
differente nel quale, tuttavia, mai sembra poter essere ricompresa la posizione dello
Stato che abbia concesso il beneficio del pubblico patrocinio (21).
Analogamente, la condanna alle spese di lite ha la natura di un’azione acces-
soria rispetto alle domande concretamente proposte in giudizio e risponde, pertan-
to, al principio generale secondo il quale la stessa può, analogamente, essere pro-
nunciata unicamente tra le parti del giudizio (22).
(20) Senza potersi soffermare ex professo sull’argomento, il diritto di difesa non può, infat-
ti, essere esercitato se non da chi sia parte del giudizio anche rispetto al capo della sentenza con-
cernente la pronuncia della condanna alle spese e, per quanto il rapporto di accessorietà tra tale
pronuncia e quella principale possa portare con sé alcune limitazioni rispetto alle possibilità di
reazione come nel caso in cui la decisione principale sia passata in giudicato, ciò non toglie che ta-
le situazione possa essere accettata come riflesso delle attività svolte e concesse alla parte, ma in
generale sulla ricostruzione del predetto rapporto di accessorietà v. G. Scarselli, Le spese giudizia-
li civili, Milano 1998, 181 ss.
(21) Per la ricostruzione della triplice prospettiva di esame attraverso la quale è stata inqua-
drata, dal punto di vista teorico e normativo, la qualità di parte nel processo, v. come è noto A.
Proto Pisani, voce Parte (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Varese 1981, vol. XXXI, 920 ss., il quale di-
stingue una prima accezione del concetto di parte che descrive, in antitesi al ruolo del giudice,
quei soggetti che siano titolari di poteri giuridici processuali atti a consentire l’azione e il contrad-
dittorio all’interno del processo indipendente dalla titolarità del diritto sostanziale; una seconda
intesa a ricomprendere quei soggetti che siano destinatari degli effetti della sentenza in quanto ti-
tolari della situazione sostanziale dedotta e, infine, una terza accezione che riguarda quei soggetti
che siano titolari di oneri e di obblighi aventi le proprie radici esclusivamente in una norma pro-
cessuale.
(22) Ricorda in modo espresso, con ulteriori riferimenti, il principio secondo il quale il rap-
GIURISPRUDENZA 501
L’unica eccezione a questa regola e che deve, comunque, essere valutata di
volta in volta dal giudice, si ricollega alla assunzione, ad opera di un soggetto terzo,
di un ruolo attivo nel processo quale rappresentante o assistente della parte; ruolo
dal quale può discendere una forma di responsabilità per le spese di lite, ma che al
pari di quanto sopra indicato, riguarda a monte una funzione alla quale lo Stato, nel
suo apporto di carattere esclusivamente economico, risulta necessariamente estra-
neo (23).
Per quanto, dunque, la normativa vigente sul patrocinio pubblico non sia per-
fettamente organica e concludente, le indicazioni che si possono trarre dal punto di
vista sistematico e dalla disciplina dettata dal codice di procedura civile non posso-
no che confermare la correttezza della soluzione elaborata ed espressa dalla Corte
di legittimità nel senso di escludere che a carico dello Stato possa configurarsi un
qualsiasi ruolo nel processo che sia idoneo a determinare una responsabilità patri-
moniale che oltrepassi quanto strettamente necessario a garantire l’accesso alla giu-
stizia.
MATTEO GOZZI
Dottore di ricerca
porto derivante dalle spese giudiziali verte fra le parti in senso formale, V. Andrioli, Commento al
codice di procedura civile, Napoli 1961, 264, a commento della previsione eccezionale di cui al-
l’art. 94 c.p.c. e di cui nell’immediato prosieguo.
(23) Il riferimento, naturalmente, oltre quanto già rilevato in relazione alle affinità esistenti
tra la distrazione delle spese a favore del difensore e la legittimazione attiva riconosciuta allo Stato
per le spese anticipate, è al testo dell’art. 94 c.p.c., sulla cui esegesi non è possibile soffermarsi, se
non per ricordare come, ai limitati effetti del capo di condanna alle spese di lite, questa norma con-
senta al rappresentante di acquisire la posizione di parte del processo, ma sul punto, v. V. Andrioli,
op. cit. 265.
502 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013

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Patrocinio a carico dello Stato e rifusione delle spese.

  • 1. CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI civ., sentenza 19 giugno 2012, n. 10053 Pres. Preden – Rel. Ambrosio M.A. c. Comune di C. L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei processi civili non compor- ta la responsabilità dello Stato per la rifusione delle spese di lite liquidate a carico del soggetto ammesso al beneficio e a favore delle altre parti del processo (massi- ma non ufficiale) (1) «1. M.A. ha chiesto la correzione della sentenza di questa Corte n. 24267 del 27.10./30.11.2010, nella parte in cui è stato disposto rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 6.000 per onorari, ol- tre alle spese generali ed agli accessori di legge, assumendo che l’importo per cui vi è condanna andava posto a carico dell’erario. (Omissis) Invero solo l’errore del giudice che si estrinseca nell’erronea manifestazione della volontà – di tipo ostativo – è rimediabile in sede di correzione, mentre l’errore consistente, ove commesso dalla Corte di Cassazione, nell’erronea percezione de- gli atti di causa (e in particolare nella supposizione di un fatto la cui verità è incon- testabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), va dedotto, sempre che l’evento su cui cade non abbia costituito un punto controverso, impugnando la sentenza, che ne sia affetto, per revocazione ex art. 391 bis e art. 395 c.p.c., comma 1o , n. 4. 5. In ogni caso la pretesa di far carico all’Erario le spese dovute alla contropar- te appare infondata. Sulla questione della presunta idoneità del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato a tenere indenne l’imputato o altra parte ammessa an- che rispetto alle spese legali della controparte vittoriosa, questa Corte ha già avuto modo di evidenziarcene l’espressione l’onorario e le spese agli avvocati di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 107, non contempla altri avvocati che quelli of- ficiati dalla difesa del soggetto ammesso al beneficio (Cass. pen., sez. V, 17/07/ 2008, n. 38271). Invero lo Stato è tenuto a corrispondere solo le spese necessarie al- la difesa della parte ammessa al beneficio, in quanto si sostituisce a questi – consi- derate le loro precarie condizioni economiche – per garantirne un diritto primario previsto dall’art. 24 Cost., comma 3o , non estendendosi l’obbligo dello Stato alla tutela di diritti ulteriori». Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, osser- vando che la memoria della ricorrente non oppone alcun specifico argomento che valga a superare il già assorbente rilievo della deducibilità come errore revocatorio (e non già come errore materiale ex art. 287 c.p.c.) dell’eventuale «omesso rileva- mento» del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio e neppure offre spunti convincenti che valgano a contrastare l’ulteriore profilo, evidenziato dal re-
  • 2. latore, dell’inidoneità di detto provvedimento a tener indenne la parte ammessa al beneficio dal pagamento delle spese processuali liquidate in favore della contropar- te risultata vittoriosa. A quest’ultimo riguardo pare utile aggiungere quanto segue. Il d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 131 – regolando gli effetti dell’ammissio- ne al gratuito patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario e prevedendo che «relativamente alle spese a carico della parte ammessa» alcune spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall’erario – dispone che venga- no anticipati dall’erario «gli onorari e le spese dovuti al difensore», con una dispo- sizione «parallela» a quella contenuta nel precedente art. 107 (che, disciplinando gli effetti dell’ammissione al beneficio nel procedimento penale, pone a carico del- l’erario in via di anticipazione «l’onorario e le spese agli avvocati»). Orbene già il raffronto tra il tenore della disposizione di cui all’art. 131 con quella di cui al pre- cedente art. 107 – che, riguardando il processo penale, è intesa a comprendere tra le spese anticipate dall’erario sia l’onorario e le spese del difensore dell’imputato am- messo al beneficio, sia l’onorario e le spese di altro avvocato officiato della difesa di soggetto diverso dall’imputato (danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile, civilmente responsabile per la pena pecuniaria) ammesso al be- neficio – evidenzia che, nel processo civile, «gli onorari e le spese», di cui si fa ca- rico lo Stato, sono esclusivamente quelli dovute al difensore della parte ammessa al beneficio. L’inequivocità del rilevato dato letterale trova, del resto, riscontro nel tenore del d.p.r. cit., art. 74, comma 2o che, nel prevedere l’istituzione del beneficio, di- spone che «è assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate»; con il che – mentre, sotto il profilo meramente letterale, appare chiaro che l’impegno dello Stato è riferito al «patrocinio» della parte ammessa al beneficio – sotto il profilo lo- gico, la circostanza, che la concessione del beneficio risulti condizionata alla pre- ventiva valutazione della «non manifesta infondatezza» delle ragioni della parte istante, convalida il convincimento che l’obbligo dello Stato non si estende alla tu- tela di diritti di terzi, quale la parte vittoriosa, nei cui confronti l’assistito dal bene- ficio risulti soccombente con condanna al pagamento delle spese processuali. In definitiva va affermato il seguente principio di diritto: l’ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, la cui istituzione è pre- vista dal d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l’assistito dal beneficio sia condannato a pagare al- l’altra parte risultata vittoriosa, perché «gli onorari e le spese» di cui all’art. 131 d.p.r. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte – in considerazione delle sue precarie condi- zioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese – si im- pegna ad anticipare. (Omissis). GIURISPRUDENZA 493
  • 3. (1) Patrocinio a carico dello Stato e rifusione delle spese. 1. – Con la sentenza che si commenta la Corte di cassazione, pur a fronte di una iniziativa ritenuta a rigore come non ammissibile (1), si è lodevolmente soffer- mata in motivazione su un principio che non risulta essere stato ancora espressa- mente affermato in sede di legittimità (2), ossia l’impossibilità di accogliere una in- terpretazione estesa dell’oggetto del patrocinio a spese dello Stato (3) che valga a estendere la responsabilità dell’erario anche alla eventuale condanna alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle parti non ammesse al beneficio. Il tessuto motivazionale sul punto è attento e articolato e affronta un aspetto che, dal punto di vista della interpretazione letterale delle previsioni normative, ol- tre che da quello della giustizia sostanziale (4), poteva essere foriero di alcuni dub- bi di carattere sistematico. (1) Nel caso di specie, infatti, il ricorrente ha fatto ricorso alla procedura per la richiesta di correzione di errore materiale nei confronti della pronuncia resa dalla stessa Corte di cassazione, assumendo che la condanna alle spese fosse stata pronunciata contro la parte avente diritto al pa- trocinio a spese dello Stato e non contro l’erario a causa dell’omesso esame della documentazione versata in atti. In realtà, anche considerando astrattamente la fattispecie e l’oggetto della doglian- za, l’unico strumento concesso dall’ordinamento per porre rimedio a un asserito errore nella valu- tazione dei documenti compiuto dal Giudice di legittimità avrebbe potuto essere quello della revo- cazione ex art. 391 bis c.p.c. in relazione all’art. 395, n. 4, c.p.c. per avere errato nel considerare l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dal materiale di causa. Non siamo, infatti, al cospetto di un vizio afferente «alla semplice formazione del documento decisorio – ben- ché non anche al ragionamento svolto per formularlo (di cui è viziata piuttosto la premessa che lo svolgimento)» e la fattispecie è certamente diversa da quella concernente il «mero errore materia- le, correggibile ex art. 287 c.p.c., in quanto dovuto ad un evidente difetto di corrispondenza tra il giudizio e la sua espressione grafica», cfr. C. Consolo, La revocazione delle decisioni della Cas- sazione e la formazione del giudicato, Padova 1989, 6, nt. 8, ed ivi, oltre al compiuto inquadra- mento della problematica, anche ulteriori riferimenti. Senza poter approfondire oltre questo profi- lo che non costituisce il nucleo centrale del presente commento, non si può, tuttavia, non segnalare a livello pratico la perplessità legata alla comunanza della struttura processuale dei due rimedi che ne consente, cfr. Cass. 30 luglio 1999, n. 8295, eventualmente anche la proposizione materialmen- te cumulativa in un unico ricorso, con l’unica differenza, sancita dalla pronuncia della C. cost. 18 aprile 1996, n. 119, costituita dalla mancanza di un termine finale per la proposizione del ricorso per correzione. (2) Per la giurisprudenza di merito si veda più recentemente Trib. Milano 14 gennaio 2009, in Giustizia a Milano 2009, I, 7, il cui decisum è riportato da ultimo da F.P. Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2012, 627, spec. nt. 23. Recentemente, il principio è stato affermato anche in sede amministrativa da T.A.R. Campania Napoli, 7 dicembre 2011, n. 5715, in Foro amm. TAR 2011, 12, 4037. (3) Sulla normativa vigente, per la letteratura di carattere monografico, si vedano, senza pretesa di completezza, G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili e amministrativi, Padova, passim e P. Sechi, Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali, Milano 2006, vol. II, 107 ss., ed ivi anche ulteriori riferimenti alla storia del patrocinio a spese del- lo Stato in relazione al processo civile. (4) Pur non avendo questo argomento dignità sufficiente per essere inserito nella esegesi 494 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
  • 4. 2. – Infatti, ove si muova in modo esclusivo dal dato letterale, la normativa di riferimento per quanto articolata e minuziosa nella disciplina di vari aspetti (5), si appalesa come lacunosa e foriera di possibili equivoci per ciò che concerne, invece, le conseguenze dell’eventuale soccombenza della parte ammessa al beneficio e ciò non solo per la mancanza di una previsione espressa, ma anche per gli interrogativi che possono sorgere nella ricostruzione del ruolo dello Stato rispetto all’oggetto della controversia e all’esistenza di alcuni possibili punti di contatto diretti anche con la parte non ammessa al beneficio. In questo contesto normativo, la motivazione della Corte di cassazione non ha potuto limitarsi a una argomentazione di carattere esclusivamente letterale, ma si è dovuta soffermare sopra una serie di considerazioni di carattere sistematico. In particolare, l’esclusione dell’obbligo di cui si discute è stato desunto dal confronto tra le elencazioni delle spese facenti capo all’erario contenute nelle nor- me concernenti rispettivamente il processo penale e il processo civile ossia gli artt. 107 e 131 del testo unico. Così, in particolare, il fatto che la sola norma dettata per il processo civile definisca nell’epigrafe le sole spese poste «a carico della parte ammessa» varrebbe a escludere ogni possibilità di estendere la responsabilità del- l’erario per le somme concernenti le spese di lite della controparte. Sennonché, la lettura delle predette previsioni normative pur rilevante, non sembra in realtà essere perfettamente esauriente rispetto ai possibili significati e ciò perché – al di là del fatto che le spese ammesse ricomprendono in linea generale una serie di oneri che riguardano entrambe le parti del giudizio e ciò sia in modo esplicito (6), sia per effetto del principio di acquisizione processuale che nel pro- cesso civile rende comune alle parti il diritto alla assunzione dei mezzi istruttori (7) – la tecnica normativa si caratterizza comunque per una certa genericità delle espressioni utilizzate (8). dell’istituto, non può sfuggire l’elementare considerazione secondo la quale, negando una respon- sabilità sussidiaria e concorrente dell’Erario, chi è costretto a difendersi in giudizio avverso una iniziativa assunta da una parte che è in possesso dei requisiti per il gratuito patrocinio, incontrerà certamente grandi difficoltà, anche in caso di vittoria delle spese di lite, a ottenere la materiale ri- fusione del proprio credito e questo aspetto, che verrà affrontato nel prosieguo, può certamente es- sere foriero di una sensazione di iniquità del sistema. (5) Rappresentata sino ad oggi dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. (6) Così, l’art. 107, comma 3o , lett. a) e c) e, analogamente l’art. 131, comma 4o , lett. b) e f) pongono tout court a carico dello Stato anche gli oneri concernenti le indennità di trasferta, le spe- se di viaggio e le spese di notifica relative ai provvedimenti assunti anche d’ufficio. (7) Analogamente, l’art. 107, comma 3o , lett. b) e l’art. 131, comma 4o , lett. c) contempla senza alcuna distinzione le spese concernenti le trasferte dei testimoni. (8) Invero, la precisazione «a carico della parte ammessa» è affatto generica e potrebbe va- lere a indicare le spese che a qualsiasi titolo siano dovute dalla parte beneficiata e, quindi, non solo in forza del mandato rilasciato al difensore, mentre una indicazione più precisa la si potrebbe forse ricavare, come correttamente svolto dalla Corte, dal confronto tra l’art. 107 e l’art. 131 del testo GIURISPRUDENZA 495
  • 5. A ciò, inoltre, può aggiungersi che non sembra neppure del tutto probante, in quanto riproduttivo di un principio generale insito nella finalità della legge che non esclude l’esistenza di diverse possibili implicazioni, l’ulteriore richiamo operato dalla Corte allo scopo generale del patrocinio a spese enunciato, ossia la difesa del cittadino non abbiente, nella prima delle disposizioni a ciò deputate (9). 3. – A questi argomenti di carattere letterale e sistematico, la Corte affianca, quindi, una riflessione di carattere logico evidenziando, in particolare, che l’esi- stenza di una valutazione di non manifesta infondatezza della pretesa, alla quale la legge subordina la concessione del beneficio, conforterebbe il convincimento se- condo il quale il patrocinio a spese dello Stato non potrebbe essere esteso ai diritti spettanti ai terzi soggetti tra i quali la parte che risulti vincitrice in relazione al pa- gamento delle spese di lite (10). Anche in questo caso, tuttavia, la riflessione pur corretta e coerente deve esse- re a mio avviso essere ulteriormente integrata (11). Ciò in quanto, la valutazione di non manifesta infondatezza, peraltro nata an- che da un raffronto con la normativa previgente (12), presuppone comunque l’esito unico, laddove la prima disposizione individua in modo più generico «l’onorario e le spese agli avvocati», mentre l’ultima disposizione richiamata indica «gli onorari e le spese dovute al difen- sore». Sennonché, il raffronto non sembra del tutto pertinente perché l’art. 107 non disciplina, quanto agli effetti di cui si discute, una fattispecie analoga, ma può godere di una maggiore esten- sione in virtù della diversa qualifica dei soggetti che possono fruire del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale. (9) Essendo pacifico che la funzione prima dell’istituto è quella descritta nell’art. 74, com- ma 2 del testo unico, il quale nel prevedere l’istituzione del beneficio prevede che la relativa fun- zione è quella di assicurare la difesa dei cittadini non abbienti. (10) L’affermazione non viene pienamente sviluppata, ma l’argomento era stato già espo- sto da G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato, cit., 224, il quale aveva infatti osserva- to che in forza del limitato giudizio cui è chiamato lo Stato «appare fin troppo ovvio che lo Stato non possa anche accollarsi il rischio di pagare al non abbiente le spese di lite che spettano all’av- versario». (11) Evidenzia la centralità di tale previsione, anche attraverso un raffronto con la normati- va immediatamente precedente di cui alla l. 30 luglio 1990, n. 217, il cui art. 15 terdecies, comma 2o , prevedeva anche una possibile ulteriore valutazione del merito della iniziativa compiuta dal Giudice investito della causa, A. Martone, La nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato, in Rass. for. 2002, 537; in linea generale, anche il testo unico contempla all’art. 136, comma 2o , la possibilità di una valutazione successiva preclusa all’Ordine professionale, ma consentita all’Uf- ficio giudiziario competente per il merito dell’iniziativa, per ciò che concerne la presenza di una eventuale mala fede nell’agire e quindi non solo per la carenza dei requisiti oggettivi afferenti il reddito, sul punto per un panorama delle pronunce giurisprudenziali intervenute; v. F.P. Luiso, Orientamenti giurisprudenziali, cit. 629. (12) La quale, già nella terminologia usata, circoscrive l’ambito di indagine che deve essere svolta e che non contempla anche la presumibile possibilità di accoglimento della pretesa come, invece, più rigidamente previsto dall’originario art. 15 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, il quale 496 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
  • 6. di un apprezzamento di carattere discrezionale e configura una tipologia di nozione il cui ambito non è perfettamente chiaro nei suoi confini normativi (13), sicché conviene valutare se sussistano, come pare invero corretto, ulteriori motivi riferibili alla struttura del processo civile che rendano del tutto irrilevanti ed escludano defi- nitivamente le possibili suggestioni che potrebbero comunque derivare a favore della tesi opposta e, in particolare, a favore della costruzione della soccombenza contemplava l’esame della «probabilità dell’esito favorevole nella causa od affare» attraverso un procedimento più approfondito se non altro perché la parte istante doveva allegare alla domanda anche la documentazione giustificativa della pretesa e il tutto era destinato a essere valutato, se- condo l’art. 20, nel contraddittorio con la parte avversa, ma sul punto, v. M. Cappelletti, La giusti- zia dei poveri, in Foro it. 1968, V, 114, spec. 117, e ivi la critica del procedimento, considerato co- me una delle «trappole» insite nella normativa oggi abrogata non solo perché la parte non abbiente era costretta a scoprire le carte in anticipo, ma anche perché «la causa della parte povera sarà sog- getta in tal modo a questo giudizio preliminare compiuto da un giudice diverso da quello naturale (art. 25 Costituzione), ossia da una commissione non dotata di quei requisiti di imparzialità, ina- movibilità, ecc. che caratterizzano una vera e propria Corte di giustizia». (13) Incertezze simili sono riscontrabili in relazione alla nuova disciplina dell’appello nel processo civile, all’interno della quale l’art. 348 bis c.p.c. ha introdotto la nozione di ragionevole probabilità di accoglimento. Con riferimento alla non manifesta infondatezza – nozione peraltro ribadita a livello europeo nell’art. 6, comma 1, della direttiva europea 2002/8/CE del 27 gennaio 2003 intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la de- finizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato e ribadita all’art. 5 del- la relativa disciplina di attuazione di cui al d.lgs. 27 maggio 2005 n. 116 – è sufficiente pensare al- le incertezze di carattere teorico nate dopo la novella del 2009 e la riforma dell’art. 360 bis c.p.c. ove è stato configurato come motivo di inammissibilità del ricorso in Cassazione, quello che do- vrebbe rappresentare un motivo di manifesta infondatezza, ossia il rapporto tra la tesi giuridica espressa e l’orientamento delle Corte di legittimità, ma sul punto per una sintesi delle opinioni espresse dalla dottrina, v. da ultimo, F. Ferraris, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «fil- tro» in cassazione, nota a Cass. 8 febbraio 2011, n. 3142, Cass. sez. un. civ. 19 aprile 2011, n. 8923, in Riv. dir. proc. 2012, 494, nt. 9. Per offrire un quadro, pur necessariamente incompleto può ricordarsi che, in relazione alla sospensione del giudizio in pendenza di un regolamento di giurisdizione, la Corte di legittimità ha precisato che la valutazione in esame non potrebbe pre- scindere dall’esame della documentazione inerente il merito della lite, Cass., sez. un., 25 luglio 2001, n. 10089 mentre, in relazione alla ammissibilità della azione di responsabilità a carico dei magistrati, due differenti pronunce hanno precisato che la limitazione della valutazione della do- manda alla relativa non manifesta infondatezza dovrebbe imporre al giudice di limitarsi a quanto emerge dagli atti di causa senza ulteriori particolari approfondimenti, Cass. 27 novembre 2006, n. 25133; Cass. 19 giugno 2003, n. 9811. Nel caso della valutazione esperibile nell’ambito dell’isti- tuto del gratuito patrocinio innanzi ai Consigli dell’ordine non pare possibile, in ogni caso, l’isti- tuzione di perfetti parallelismi con le pur incerte prese di posizione espresse con riferimento a di- versi istituti inerenti la tutela giurisdizionale, considerato che si tratta di un procedimento di carat- tere precipuamente amministrativo e destinato tendenzialmente a svolgersi in assenza di contrad- dittorio. Per una tipizzazione astratta delle fattispecie riconducibili alla manifesta infondatezza, v. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato, cit., 185. GIURISPRUDENZA 497
  • 7. quale dimostrazione dell’esistenza di un errore di valutazione da parte dello Stato nel consentire e rendere effettivo l’esercizio di un’azione giudiziale ingiusta (14). In questa direzione, quindi, al fine di cercare di confortare ulteriormente le giuste considerazioni e conclusioni contenute nella decisione della Corte, è possibi- le spostare l’analisi su due piani diversi e ulteriori costituiti in primo luogo dal fon- damento di carattere costituzionale del patrocinio a spese dello Stato e, in secondo, luogo dalle caratteristiche della disciplina processuale della condanna alle spese di lite e dai limiti in cui la stessa può essere incisa dalla normativa in esame. 4. – Sotto il primo profilo, come ricordato correttamente nella sentenza in commento, la finalità della disciplina è tesa a garantire la possibilità concreta di agire in giudizio alle persone non abbienti mediante la tecnica della anticipazione e della prenotazione a debito di una parte delle spese di lite da parte dello Stato (15). (14) Fermo restando che deve ritenersi ormai pacifico che la ripartizione delle spese di lite e l’eventuale condanna dovrebbe basarsi principalmente sopra il criterio oggettivo della soccom- benza, mentre il cd. principio di causalità è stato grandemente mitigato dal legislatore e relegato a quelle ipotesi gravi ed eccezionali e ad altre precisazioni contenute negli artt. 92 c.p.c. ss., ma sul punto si rinvia per il compiuto inquadramento della problematica a C. Consolo, Spiegazioni di di- ritto processuale civile, Torino 2012, 265, ed ivi anche la precisazione secondo la quale la natura principale della condanna alle spese è quella di una «rifusione indennitaria che non si ricollega ad alcun illecito del soccombente». Nello stesso senso, precisando che il fondamento della condanna alle spese di lite «non deve ricercarsi nella colpa, poiché colpa non è sostenere in buona fede il proprio diritto davanti all’autorità giudiziaria, anche se risulti a posteriori che la sua pretesa era in- fondata», E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano 1992, 118 ss., e, in modo ancora più marcato, v. anche E. Grasso, Della responsabilità delle parti, in Commentario al codi- ce di procedura civile, diretto da E. Allorio, Torino 1973, I, 981 il quale analogamente precisa che «la soccombenza vuole essere un criterio obiettivo, che negativamente inteso, esclude lo stato psi- cologico (di dolo o colpa)» ed ivi la diffusa ricostruzione delle origini storiche dell’opposto orien- tamento già nelle opere di Giuseppe Chiovenda e Francesco Carnelutti, op. cit. 984, nt. 7. Parados- salmente pur trattandosi di valutazioni di carattere prettamente civilistico, l’idea immediata che potrebbe essere suggerita aderendo all’opposta concezione – tesi che è bene riassunta nella frase «è facile constatare come quel principio di causalità che regola il rimborso delle spese giudiziali, si identifichi con quel medesimo principio di causalità che, nel diritto positivo, disciplina il risar- cimento del danno a qualsiasi titolo esso sia disposto» di A. Gualandi, Spese e danni nel processo civile, Milano 1962, 254 – è semmai quella di una sorta di corresponsabilità da parte dello Stato nella instaurazione di un processo rivelatosi dannoso nei confronti della controparte non ammessa al beneficio; il principio di causalità è stato diffusamente sostenuto, come è noto, anche da P. Pajardi, La responsabilità per le spese e i danni del processo, Milano 1959, 33 ss., ma per ulteriori riferimenti anche alle elaborazioni più recenti e per una articolata presa di posizione critica, v. G. Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano 1998, 118 ss. In realtà, come vedremo, la riflessione non è perfettamente aderente allo scopo del patrocinio a spese dello Stato e, comunque, non po- trebbe assumere valore di carattere sistematico all’interno del singolo processo posto che la stessa potrebbe valere astrattamente solo per la parte ammessa che ritenga di agire in giudizio e non, sal- vo ipotesi davvero eccezionali, per la parte resistente. (15) La riflessione, in relazione a questi temi, non riguarda gli aspetti tecnico processuali 498 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
  • 8. Questa situazione, che si ricollega all’esigenza minima costituzionalmente protetta di consentire l’effettività dell’accesso alla giustizia (16), non dovrebbe tut- tavia indurre nell’equivoco che lo Stato possa assumere una responsabilità in rela- zione al procedimento giudiziale promosso attraverso l’istituto del pubblico patro- cinio. Detta considerazione non muta neppure a fronte della valutazione di somma- ria di meritevolezza della pretesa che viene istituzionalmente prevista a fronte della richiesta di ammissione (17) posto che quest’ultima afferisce unicamente al neces- sario controllo che dovrebbe essere normalmente esercitato nella gestione delle fi- nanze pubbliche e si risolve in un procedimento di carattere precipuamente ammi- connessi alla attuazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, ma si inserisce in un ambito più am- pio atteso che «l’inviolabilità del contraddittorio, peraltro non si esaurisce negli aspetti puramente tecnici dell’azione e della difesa in giudizio», ma riguarda anche le problematiche connesse allo stato di non abbienza che è tale da poter precludere «gli effetti di quelle inviolabili garanzie di tu- tela giurisdizionale che gli artt. 3, 1o comma e 24, 1o e 2o comma, cost. tendono ad assicurare a tut- ti, senza alcuna discriminazione di condizioni personali e sociali», cfr., diffusamente sul proble- ma, L.P. Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova 1970, 241 ss., nonché 321 ss. (16) Questo, del resto, è il significato che il principio assume anche a livello europeo all’in- terno della direttiva 2002/8/CE del 27 gennaio 2003 cit., intesa a migliorare l’accesso alla giusti- zia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato, nonché, pur nel relativo ristretto ambito di applicazione, sul quale v. F. Ghera, Il principio di uguaglianza nella Costituzione italiana e nel diritto comunitario, Ce- dam 2003, 95 ss., alla stregua dell’art. 47, comma 3o , della Carta dei diritti fondamentali del- l’Unione europea, il quale analogamente prevede che «a coloro che non dispongono di mezzi suf- ficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un ac- cesso effettivo alla giustizia». Il tema non può essere approfondito in questa sede, ma si può rin- viare per una completa ricostruzione del significato e dei limiti della normativa, oltre che per ulte- riori riferimenti alla elaborazione giurisprudenziale comunitaria, alla motivazione di Corte giusti- zia CE 22 dicembre 2010, n. 279, in Riv. dir. internaz. 2011, 2, 548. In relazione alla disciplina italiana previgente, sulla rilevanza, invece, dei principi sanciti dalla Convenzione europea per i di- ritti dell’uomo all’art. 6, prima ancora che dell’art. 24, 3o comma, cost., in relazione alla necessa- ria attuazione di un sistema che consentisse effettivamente l’accesso alla giustizia ai non abbienti, v. già V. Denti, Patrocinio dei non abbienti e accesso alla giustizia: problemi e prospettive di ri- forma, in Foro it. 1980, V, 125; in generale in argomento, v. anche senza pretesa di completezza, F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro it. 1994, V, 83 ss., nonché N. Trocker, L’assistenza giudiziaria ai non abbienti: problemi attuali e prospettive di riforma, in Riv. dir. proc. 1979, 57 ss. (17) Valutazione, come è noto, che viene svolta mediante il coinvolgimento degli Ordini professionali e che è intrinsecamente inidonea a garantire una effettiva conoscenza del materiale della lite, atteso che normalmente la stessa si basa sulla mera prospettazione astratta della fattispe- cie e sulla enunciazione dei mezzi di prova di cui verrà chiesta l’assunzione. Sul punto, si vedano peraltro le perspicue osservazioni di G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello stato nei pro- cessi civili e amministrativi, cit., p. 18, il quale osserva come a rigore e «con un po’ di coraggio» dovrebbe escludersi la valutazione di meritevolezza in tutti i casi in cui il cittadino non abbiente sia evocato in giudizio e ciò al fine di consentire il rispetto del diritto di difesa della parte. GIURISPRUDENZA 499
  • 9. nistrativo che pare strutturalmente e costituzionalmente inidoneo a dimostrare al- l’esterno una qualsiasi presa di posizione inerente il merito della lite (18). In ogni caso, il punto centrale è costituito dalla impossibilità di individuare sotto il profilo processuale una qualsiasi possibilità di interferenza tra l’istituto del- la condanna alle spese di lite e la posizione dello Stato. 5. – Ed infatti, se da un lato una soluzione differente potrebbe essere indiret- tamente suggerita da quella parte della disciplina che fa assumere allo Stato, in par- ticolari situazioni espressamente regolate, la posizione di soggetto direttamente in- teressato dai provvedimenti inerenti le spese, dall’altro è evidente che la stessa con- figura una situazione che non solo ha carattere eccezionale e circoscritto, ma che non assume alcuna rilevanza sistematica in relazione alla normativa ordinaria con- cernente le spese di lite e ha come esclusiva funzione quella di carattere pubblico di cercare assicurare e garantire il recupero degli oneri sostenuti e anticipati attraverso l’istituto del pubblico patrocinio (19). Viceversa, l’eventuale pretesa di coinvolgere lo Stato quale soggetto legitti- mato passivamente rispetto a un provvedimento di condanna alle spese non potreb- (18) Dal punto di vista costituzionale e senza poter approfondire in questa sede un tema che è proprio del diritto pubblico, non sembra infatti potersi ammettere una presa di posizione da parte dello Stato meramente adesiva alla posizione di una parte nei confronti dell’altra al di fuori del- l’esercizio della funzione giurisdizionale. Del resto, la delibazione finalizzata alla concessione del gratuito patrocinio si risolve in un procedimento che presenta caratteri precipuamente amministra- tivi in quanto si risolve nell’esame di una pretesa senza che sia garantita la presenza di alcun con- traddittorio processuale. Dal punto di vista soggettivo, la soluzione non è comunque pacifica e meriterebbe un maggiore approfondimento, tenuto conto che, in caso di rigetto dell’istanza, è pos- sibile la riproposizione della stessa innanzi al giudice competente per il merito della lite e non al Consiglio nazionale forense cfr. F.P. Luiso, Orientamenti giurisprudenziali, cit., 626, e la proce- dura sembra assumere un effettivo carattere contenzioso in caso di opposizione al decreto di riget- to assunto in sede giurisdizionale; ibidem anche per una riflessione più ampia e con recenti riferi- menti giurisprudenziali nonché con la constatazione degli errori di coordinamento, tra i quali la mancanza apparente di un termine per l’opposizione, che oggi affliggono la disciplina a seguito della relativa attrazione all’interno del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, 631 ss. (19) In questo senso, prima tra tutte, la previsione contenuta nell’art. 133 t.u. (secondo il quale il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la ri- fusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia esegui- to a favore dello Stato) la quale, in effetti, presenta una similitudine marcata con la previsione di cui all’art. 93 c.p.c. che consente la distrazione delle spese a favore del difensore; analogia resa ancora più marcata dal fatto che la sussistenza del patrocinio a spese dello Stato vale, secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, a escludere l’operatività di quest’ultima normativa, cfr. Cass. 7 luglio 2000, n. 9097. Solo a questi limitati fini, e in relazione a questo specifico capo della decisione, potrebbe probabilmente ritenersi che lo Stato possa assumere il ruolo di parte del giudi- zio, al pari di quanto la dottrina ha riconosciuto in relazione alla posizione del difensore, cfr. V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli 1961, 263; in generale, critico per una siffatta impostazione, v. E. Grasso, Della responsabilità delle parti, cit., 1014. 500 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013
  • 10. be a mio avviso prescindere dai presupposti sui quali si fonda la disciplina generale racchiusa nelle disposizioni di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c. e che, in linea di principio, richiede l’acquisizione della posizione formale di parte all’interno del processo con tutti i conseguenti poteri e facoltà. A prescindere, infatti, dalla elementare considerazione secondo la quale una contraria impostazione risulterebbe lesiva dei valori costituzionali che presiedono al nostro processo civile e che devono essere necessariamente rispettati ove si vo- glia imporre a un qualsiasi soggetto, anche pubblico, un provvedimento di condan- na (20), ciò che è assente nel caso di specie è la possibilità, anche dal punto di vista sistematico, di inserire la posizione e il ruolo assunti dallo Stato all’interno delle re- gole proprie della disciplina processuale delle spese di lite. Infatti, senza poter entrare in questa sede nel merito delle differenti imposta- zioni dottrinali concernenti la definizione di parte e senza certamente avere la pre- tesa di poter offrire, definizione stipulativa della natura processuale della condanna alle spese di lite è sufficiente soffermarsi sulle caratteristiche che collegano i due istituti. In questa cornice, la nozione di parte, pur nella varietà delle definizioni e delle prospettive di esame, identifica normalmente il soggetto che promuove o che è destinatario della domanda e solo in casi eccezionali e in virtù del richiamo con- tenuto in specifiche norme processuali può assumere un significato parzialmente differente nel quale, tuttavia, mai sembra poter essere ricompresa la posizione dello Stato che abbia concesso il beneficio del pubblico patrocinio (21). Analogamente, la condanna alle spese di lite ha la natura di un’azione acces- soria rispetto alle domande concretamente proposte in giudizio e risponde, pertan- to, al principio generale secondo il quale la stessa può, analogamente, essere pro- nunciata unicamente tra le parti del giudizio (22). (20) Senza potersi soffermare ex professo sull’argomento, il diritto di difesa non può, infat- ti, essere esercitato se non da chi sia parte del giudizio anche rispetto al capo della sentenza con- cernente la pronuncia della condanna alle spese e, per quanto il rapporto di accessorietà tra tale pronuncia e quella principale possa portare con sé alcune limitazioni rispetto alle possibilità di reazione come nel caso in cui la decisione principale sia passata in giudicato, ciò non toglie che ta- le situazione possa essere accettata come riflesso delle attività svolte e concesse alla parte, ma in generale sulla ricostruzione del predetto rapporto di accessorietà v. G. Scarselli, Le spese giudizia- li civili, Milano 1998, 181 ss. (21) Per la ricostruzione della triplice prospettiva di esame attraverso la quale è stata inqua- drata, dal punto di vista teorico e normativo, la qualità di parte nel processo, v. come è noto A. Proto Pisani, voce Parte (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Varese 1981, vol. XXXI, 920 ss., il quale di- stingue una prima accezione del concetto di parte che descrive, in antitesi al ruolo del giudice, quei soggetti che siano titolari di poteri giuridici processuali atti a consentire l’azione e il contrad- dittorio all’interno del processo indipendente dalla titolarità del diritto sostanziale; una seconda intesa a ricomprendere quei soggetti che siano destinatari degli effetti della sentenza in quanto ti- tolari della situazione sostanziale dedotta e, infine, una terza accezione che riguarda quei soggetti che siano titolari di oneri e di obblighi aventi le proprie radici esclusivamente in una norma pro- cessuale. (22) Ricorda in modo espresso, con ulteriori riferimenti, il principio secondo il quale il rap- GIURISPRUDENZA 501
  • 11. L’unica eccezione a questa regola e che deve, comunque, essere valutata di volta in volta dal giudice, si ricollega alla assunzione, ad opera di un soggetto terzo, di un ruolo attivo nel processo quale rappresentante o assistente della parte; ruolo dal quale può discendere una forma di responsabilità per le spese di lite, ma che al pari di quanto sopra indicato, riguarda a monte una funzione alla quale lo Stato, nel suo apporto di carattere esclusivamente economico, risulta necessariamente estra- neo (23). Per quanto, dunque, la normativa vigente sul patrocinio pubblico non sia per- fettamente organica e concludente, le indicazioni che si possono trarre dal punto di vista sistematico e dalla disciplina dettata dal codice di procedura civile non posso- no che confermare la correttezza della soluzione elaborata ed espressa dalla Corte di legittimità nel senso di escludere che a carico dello Stato possa configurarsi un qualsiasi ruolo nel processo che sia idoneo a determinare una responsabilità patri- moniale che oltrepassi quanto strettamente necessario a garantire l’accesso alla giu- stizia. MATTEO GOZZI Dottore di ricerca porto derivante dalle spese giudiziali verte fra le parti in senso formale, V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli 1961, 264, a commento della previsione eccezionale di cui al- l’art. 94 c.p.c. e di cui nell’immediato prosieguo. (23) Il riferimento, naturalmente, oltre quanto già rilevato in relazione alle affinità esistenti tra la distrazione delle spese a favore del difensore e la legittimazione attiva riconosciuta allo Stato per le spese anticipate, è al testo dell’art. 94 c.p.c., sulla cui esegesi non è possibile soffermarsi, se non per ricordare come, ai limitati effetti del capo di condanna alle spese di lite, questa norma con- senta al rappresentante di acquisire la posizione di parte del processo, ma sul punto, v. V. Andrioli, op. cit. 265. 502 RIVISTA DI DIRITTO PROCESSUALE 2013