“Un viaggio personale che si è trasformato in un nuovo modo di fare professione”.
Sandra Paserio racconta il suo percorso di cambiamento personale e professionale.
Jobs act: come funzionano i licenziamenti dopo l'entrata in vigore delle tute...
Vissuto speziato
1. VISSUTO
SPEZIATO
"Un viaggio personale che si è trasformato
in un nuovo modo di fare professione"
D I S A N D R A P A S E R I O
U N A S T O R I A D I V I T A
PER UNA GESTIONE STRATEGICA DELLE RISORSE UMANE
2. Sandra Paserio,
Senior Partner e Fondatrice
della Paserio & Partners.
Consulente del Lavoro, Business Coach,
Problem Solver Strategico,
Assessor certificato.
Specializzata nella gestione strategica delle
Risorse Umane.
L'autrice
6. Capitolo 1.
Sensazione di benessere
La velocità delle loro dita sulla tastiera era
impressionante.
I dati, una volta inseriti, andavano nella sala
server (un locale con macchinari enormi che
occupavano tutta la stanza) per poi essere
memorizzati su delle bobine che
sembravano quelle dei vecchi film delle sale
registrazione.
Ed ecco che dalle schede perforate
(supporti di registrazione in cui le
informazioni venivano memorizzate sotto
forma di perforazioni in codice), i dati si
trasformavano magicamente in cedolini
paga a ricalco, stampati a striscia continua
con le stampanti ad aghi.
Solo a scriverlo, mi sento addosso almeno
100 anni.
Ma, la cosa strana, era che, in quel periodo,
tutto era in equilibrio.
Non c’era stress. Non c’era paura del lavoro.
Solo curiosità. Voglia di imparare e sete di
sapere.
Forse ero incosciente a causa dell’età. Non
lo so.
So solo che oggi, guardando i giovani, mi
rendo conto che abbiamo guadagnato, ma
anche perso molto.
Abbiamo guadagnato tanto in termini di
conoscenza, opportunità, apertura mentale,
velocità, crescita, viaggi e contaminazione
tra le persone (e non sto parlando del
Covid-19).
Nello stesso tempo, però, abbiamo perso i
nostri valori, la semplicità, la capacità di
gustarci le piccole cose, il tempo da
dedicare a noi stessi e la nostra manualità.
Non avendo un soldo in tasca, ricordo che
molte cose le realizzavo direttamente io. Dai
quadri, al muro da dipingere, al riciclaggio
di ogni pezzo di carta e di ogni raccoglitore
utilizzato in studio.
Ci si arrangiava e si era felici. Non c’era la
competizione distruttiva.
Faccio un tuffo indietro di oltre 30 anni.
Mi rivedo in un locale sotto casa. Una
scrivania, una piccola fotocopiatrice di
seconda mano, mezzo armadio per mettere
i libri, il sole 24 ore come unica fonte di
aggiornamento e una voglia matta di
conquistare il mondo.
È così che a 23 anni ho aperto il mio studio
di consulenza del lavoro.
3 clienti e 1 sogno: esercitare la professione.
Passavo le mie giornate a studiare
aspettando che suonasse il telefono.
Il mio sguardo si spostava dalle parole
impresse sui libri universitari, alla lettura di
norme inserite nel codice del lavoro.
Al mattino aspettavo che mio padre, da
buon commerciante, guardasse le
quotazioni dell’argento, per poi tuffarmi
nella lettura del Sole 24 Ore.
Ritagliavo gli articoli che mi interessavano e
li archiviavo con cura nella parte
dell’armadio concessa in uso da mia sorella
(l’altra parte era occupata dai giochi dei
miei nipotini).
Ho imparato rubando il lavoro agli altri.
Nessuno mi ha insegnato nulla. Tutti erano
gelosi del loro sapere.
Appena potevo, sbirciavo quello che
facevano i colleghi e cercavo di
comprendere il funzionamento dei numeri
impressi su centinaia di fogli che
inondavano le loro scrivanie.
Fogli, che poi ho scoperto essere “cedolini
paga”.
Allora c’era il libro paga manuale. In pochi
elaboravano le buste paga con sistemi
informatici.
Dove ho fatto pratica, c’erano le perforatrici.
Persone che trascorrevano le giornate
imputando abilmente i dati che noi,
dell’ufficio paghe, producevamo
mensilmente per ogni dipendente (con i
giorni retribuiti, le settimane coperte e la
retribuzione lorda).
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8. Capitolo 2.
Il viaggio della scoperta
I primi 2 anni da libera professionista, li
passai cercando di mettere insieme qualche
soldo per acquistare l’attrezzatura che mi
serviva per espandermi.
Ero determinata ad acquistare un “vero”
programma paghe.
Non uno qualunque, ma il migliore che c’era
sul mercato.
Ricordo ancora quando chiesi a mio padre
di accompagnarmi a Lodi per la trattativa
commerciale.
Era il 1990. Zucchetti non era la
multinazionale di oggi.
La persona che ci accolse in sede, ora
occupa uno dei posti ai vertici aziendali. Mi
consigliò al meglio e, a distanza di diversi
anni, ebbi l’occasione di risentirlo.
Si ricordava ancora di quel giorno. Di
quando entrai in azienda.
Ero una ragazzina. Una figura esile, con gli
occhi da cerbiatto e un carattere da leone.
Per me, quello era il mondo dei grandi. Ero
inesperta, ma la passione e la tenacia erano
talmente evidenti che mi trasformarono in
una piccola combattente.
Un atteggiamento di umiltà e forza che
divenne poi il mio segno distintivo, anche
quando andai alla ricerca del
miglioramento continuo.
Ecco quello che ricordo.
Non ho mai avuto la fortuna di avere un
padre, un mentore, un dominus o colleghi
che mi insegnassero il lavoro.
Mi sono sempre arrangiata, ma ho avuto la
fortuna di incontrare nel mio percorso
lavorativo, diverse persone gentili,
preparate e sorridenti che presidiavano gli
sportelli degli istituti previdenziali e
assicurativi che frequentavo. Per me, erano
dei maestri, degli esperiti e dei punti di
riferimento.
A loro devo molto.
Ogni settimana, partivo da Gallarate,
imboccavo l’autostrada e andavo a Varese.
Passavo dall’ufficio stampati per ritirare la
modulistica da compilare e poi, tiravo dritto,
fino a raggiungere l’INPS, l’INAIL e
l’Ispettorato del Lavoro.
Arrivavo, mi mettevo in coda e, quando era il
mio turno, trovavo visi amici, contornati da
qualche ruga, sempre pronti ad aiutarmi e
trovare soluzioni adeguate a risolvere il
problema.
Problema, che talvolta manco c’era.
Spesso, infatti, andavo lì semplicemente per
elemosinare informazioni e chiedere
consigli.
Arrivavo con il mio foglietto di domande, lo
aprivo e loro sorridevano. Proprio come si fa
con un bambino che ti incute tenerezza.
Con pazienza, mi prendevano sotto l’ala
protettrice e mi regalavano il loro tempo.
Ascoltavo con attenzione, mi appuntavo le
risposte e mi allontanavo trionfante con il
bottino che mi ero portata a casa.
Non so se quelli erano altri tempi. Sono
cresciuta con dei genitori che mi hanno
sempre insegnato ad essere autonoma e
responsabile.
Quando tornavo a casa con il viso
imbronciato perché non sapevo come
risolvere un problema, mi dicevano “se non
lo sai, chiedi”. E io facevo così, andavo e
chiedevo senza mollare il colpo.
Oggi, vorrei portare questa storia agli occhi
dei giovani. Solo come spunto di riflessione.
La domanda che vorrei fare, sia a loro che a
noi genitori, è:
“Siamo sicuri che quando un ragazzo
racconta che l’organizzazione in cui sta
lavorando non gli permette di crescere, di
formarsi, di imparare, il problema sia
l’organizzazione stessa?”.
Qual è il contesto in cui viviamo?
Sicuramente non un contesto dove si
devono elemosinare i consigli, bensì un
contesto stimolante e tecnologico dove si
trova velocemente qualsiasi informazione.
Pensiamoci.
È semplice, ad esempio, trovare:
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10. Capitolo 3.
L'arte di gestire le persone
gestire e motivare il team
negoziare e dirimere i conflitti
rafforzare la leadership
garantire un clima di benessere
gestire i processi e i carichi di lavoro
monitorare i risultati
garantire un servizio di qualità.
Gli anni ’90 erano anni d’oro. I clienti
arrivavano senza fatica.
Nessuna attività di marketing, solo
passaparola.
In quegli anni, la facilità con la quale
acquisivo nuovi clienti, compensava la
difficoltà che mi trascinavo per la
mancanza di affiancamento a un
professionista durante il periodo di
praticantato.
Mentre da una parte, il fatto di non aver
vissuto un’esperienza concreta in uno
studio professionale, mi servì a trovare le
risorse per emergere, dall’altra costituì
sicuramente una carenza importante, che si
fece sentire soprattutto quando iniziai a
strutturarmi.
Ricordo che l’inesperienza mi faceva
navigare a vista.
Quando arrivò il momento di assumere del
personale, la struttura vacillò.
Stavano cambiando le regole del gioco.
Si entrava nel mondo della relazione, dove il
risultato non dipendeva solo da me, ma da
altri giocatori.
Il cambiamento consisteva, infatti, nel
passaggio da un’autogestione (del tempo,
del lavoro e del sapere), alla gestione di
persone. Persone che, ogni mattina,
entravano in studio con il loro vissuto, le
loro credenze, i loro pregiudizi, le loro
aspettative e soprattutto le loro emozioni.
Ma io, di quelle dinamiche, non ne sapevo
nulla. Ne ero assolutamente inconsapevole.
Un’inconsapevolezza che abbracciava, non
solo la conoscenza delle persone e delle
neuroscienze, ma anche delle competenze
manageriali in senso lato.
Quelle competenze che permettono di:
Ed è con questa incoscienza, o meglio
questa inconsapevolezza, che a 24 anni
accolsi in studio la mia prima praticante.
Ricordo ancora il suo stupore quando
seppe di avere davanti la titolare dello
studio.
Si trovò davanti una ragazzina con qualche
anno più di lei.
Fortunatamente era una persona solare e il
piacere di lavorare insieme, si trasformò in
momenti di condivisione, quasi di gioco.
Il vero problema nacque qualche anno
dopo, quando arrivò la prima dipendente.
Avevo 28 anni, una bimba piccola e il
pancione. La gravidanza a rischio e la mia
assenza dallo studio, probabilmente
contribuì ad acuire alcuni problemi, che già
aleggiavano nell’aria.
Ricordo l’angoscia di quel periodo e la frase
che spesso ripetevo “mi risulta più difficile
fare il datore di lavoro che fare il genitore”.
Vivevo quella conflittualità come un attacco
personale.
Era il mio percepito. La verità è che non
sapevo gestire il team.
Subivo i malumori e le battutine delle
persone e, più li subivo, più mi arrabbiavo.
Un circolo vizioso disfunzionale che
intaccava il mio bilanciamento, trovando nel
pianto una fonte di sfogo.
Ero incastrata nel problema e non riuscivo a
trovare una soluzione per sgrovigliare la
matassa.
A distanza di 25 anni, guardandomi
indietro, darei un consiglio a quella giovane
professionista “non esistono cose facili o
difficili. Esistono solo cose che sai fare o che
non sai fare”.
Questo, mi avrebbe sicuramente fatto
razionalizzare il problema e, invece che
rifugiarmi nel pianto, mi sarei iscritta a un
corso per acquisire competenze per gestire
al meglio i miei collaboratori.
Ma si sa, dagli errori si impara e forse è da
qui, dal mio vissuto, che è nata la voglia di
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12. Capitolo 4.
La calma dopo la tempesta
Dopo la nascita di mio figlio, passai degli
anni in assoluta tranquillità.
Lavoravo molto ma, avendo l’ufficio sotto
casa e una tata meravigliosa che accudiva i
bambini, ero riuscita a raggiungere un
equilibrio, sia come mamma che come
professionista.
Ricordo che alla sera, alla fine della giornata
lavorativa, lanciavo delle stampe e uscivo
dall’ufficio.
Salivo, cucinavo, scendevo le scale e
staccavo quella pigna di fogli a striscia
continua, che ogni tanto trovavo arrotolati
sotto la stampante.
Il tempo di una sistemata e di corsa risalivo i
gradini, mettevo i pigiamini ai bimbi e, una
volta a letto, leggevo gli articoli di giornale
per non perdermi le novità in materia di
lavoro.
Il sabato e la domenica era dedicato alla
casa, alla spesa ma soprattutto al gioco e al
divertimento.
Amavamo Art Attack e così, trascorrevamo
intere giornate a dipingere, tagliare,
incollare e manipolare ogni sorta di
materiale malleabile.
Momenti splendidi, di estremo benessere.
Ma, proprio quando ti sembra che tutto fili
liscio, ti rendi conto che sei caduta nella
trappola della routine.
E la routine, soprattutto per chi fa un lavoro
in proprio come il mio, non porta nulla di
buono.
Ho imparato, col tempo, che “chi non
progredisce, rallenta”. Rallenta,
semplicemente per il fatto che il contesto in
cui operi, progredisce.
Andare alla stessa velocità in cui il mondo si
muove, significa, quindi, evitare
l’immobilismo che ti porta alla regressione.
Questo l’ho provato sulla mia pelle.
In quel periodo, infatti, ricordo che la mia
rigidità mentale, mi faceva vedere le cose,
bianche o nere.
Non esistevano sfumature di grigio.
Quindi, quando il mio miglior cliente mi
chiese di uscire dall’ufficio per andare in
azienda e procedere con il licenziamento di
alcuni dipendenti, inorridii.
Non mi misi nei panni del cliente. Non
pensai neppure un attimo a quello che
potevano essere i suoi bisogni, le sue paure
e i motivi della sua richiesta.
Assunsi una posizione giudicante.
Nella mia testa, il professionista doveva fare
il lavoro dietro la scrivania e l’imprenditore
doveva assumersi la responsabilità della
gestione delle persone, decidendo e agendo
in maniera diretta.
Le parole che risuonavano nella mia testa
erano chiare “Se non aveva il coraggio di
licenziare alcuni dipendenti, il problema era
suo, non mio”.
Glielo dissi. Risultato, se ne andò.
Nel giro di breve trovò un consulente, forse
meno preparato professionalmente, ma
pronto a rispondere a quel bisogno.
Fu una grande lezione per me.
All’inizio mi arrabbiai, cercai conforto e
sostegno nelle persone care, ma poi, finito
di raccontarmela, mi misi in discussione.
Qual era il confine tra quello che erano i
miei compiti e le mie responsabilità, rispetto
quelle dell’imprenditore?
Qual era il ruolo che dovevo assumere per
dare valore al cliente?
Era giusto rimanere incastrati nel concetto
del giusto/sbagliato, vero/falso,
ragione/torto o c’era un altro modo per
andare oltre a questo tiro alla fune?
Per trovare delle risposte a queste
domande, mi iscrissi ad un corso di
comunicazione che durò un anno.
Eravamo 11 consulenti del lavoro intorno a
un tavolo ma, invece di parlare di diritto del
lavoro, il docente ci parlò di comunicazione
efficace, di valori, di programmazione neuro
linguistica.
Argomenti per me ignoti, ma affascinanti.
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14. L’energia inonda il tuo corpo;
La motivazione prende il sopravvento.
Far crescere i miei collaboratori;
Informatizzare lo studio;
Puntare all’eccellenza del servizio.
Percorsi di aggiornamento professionale;
Incontri formativi di crescita personale;
Eventi annuali di allineamento e
condivisione di obiettivi;
Dopo ogni periodo di impegno e fatica,
inizia il momento più bello, quello della
rinascita.
Assapori con gusto i primi risultati del
cambiamento:
E con queste premesse, sei pronto. Pronto a
trasferire il cambiamento all’interno del tuo
studio.
Un momento magico. Uno dei più belli.
Ricordo di essere tornata in ufficio, con 3
obiettivi:
Ed è così che mi misi al lavoro. Era il 2007.
In quell’anno, e nei successivi, utilizzai
l’istituto della delega fiduciaria,
responsabilizzai i miei collaboratori e gli
diedi fiducia.
Erano tutte persone ligie al dovere ma
erano ancorati a un raggio d’azione limitato.
Vedevano il loro orticello agendo
autonomamente nella sola zona di comfort.
Il mio compito era accompagnarli fuori da
quella zona.
Il corso di comunicazione aveva rotto le
catene che mi tenevano legata a vecchie
convinzioni e schemi mentali. Avevo
assaporato il gusto della libertà e, ora,
volevo far vivere questa sensazione al mio
team.
Sapevo che avevano le carte in regola per
andare oltre, vedevo il loro potenziale.
Decisi così che, per migliorare la loro
autostima, dovevo creare le condizioni per
farli crescere e sperimentare.
È così che:
1.Condivisi il percorso di cambiamento con
altri colleghi, organizzando:
Capitolo 5.
Sognare a occhi aperti
Procedure operative digitalizzate;
Un centro acquisti per fornire strumenti
adeguati ai miei collaboratori;
Un percorso di condivisione per la
certificazione di qualità ISO 9001.
Lasciargli risolvere i problemi dei clienti,
andando oltre alla semplice
elaborazione dei cedolini paga;
Spostare il focus, dall’attribuzione del
compito alla delega;
Dirottare i clienti verso i miei
collaboratori, dando esclusivamente un
supporto consulenziale dietro alle
quinte;
Accettare gli errori come fonte di
arricchimento e strumento di crescita.
2.Affrontai la paura di perdere il controllo,
lasciando il palco ai miei collaboratori.
Imparai a:
In una parola, imparai a fidarmi.
Una fiducia che venne ben presto ripagata.
Quelle persone, fiorirono.
Si trasformarono in collaboratori autonomi,
responsabili e altamente preparati.
Collaboratori pronti a gestire il cliente fino
alla consulenza ordinaria.
Ed è da lì che compresi l’importanza della
leva motivazionale e dello sviluppo delle
risorse umane.
Sperimentai il vero significato della formula
indicata da Stephen M.R. Covey nel libro “La
velocità della fiducia”, ove viene indicato
come, il Risultato (R), dato da Strategia (S)
per l’Esecuzione (E), è potenziato o
depotenziato dal grado di Fiducia (F) che
muove le persone all’interno delle
organizzazioni.
Infatti (SxE)F=R.
Una scoperta illuminante che cambiò il mio
punto di vista.
Compresi che il mio ruolo stava cambiando.
Dovevo acquisire nuove informazioni,
strumenti e metodi per innovare la mia
professione e trasformarmi in un agente di
cambiamento per i miei clienti.
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16. Capitolo 6.
Un passo indietro per
guardare oltre
Questo permise al consiglio di guerra di
spostare il focus per lasciare il posto
all’intuizione.
I pioli che sorreggevano le tende, si
trasformarono in strumenti per scalare la
parete. Attraverso l’anello, i militari fecero
scorrere le funi e, una volta che i pioli furono
piantati nella roccia, fu possibile effettuare
la scalata in sicurezza, fino a raggiungere la
cima.
Senza saperlo, avevano inventato la scalata
in cordata.
Quando raggiunsero la vetta, le guardie
della fortezza furono prese all’improvviso.
Lo stupore fu talmente grande che si
arresero immediatamente.
La conquista passò alla storia come
un’impresa che rappresenta appieno una
strategia efficace volta a trovare soluzioni
semplici a problemi complessi.
Infatti, è proprio quando la determinazione
e la flessibilità si incontrano con la capacità
di problem solving, che l’impossibile diventa
possibile.
Una magia che nasce dall’esplosione delle
risorse innate, spesso assopite negli anni,
che ognuno di noi possiede.
Ma, torniamo alla mia storia.
Proprio come Alessandro Magno, quindi, in
modo del tutto inconsapevole, spostai il
focus da “come creare uno studio più
innovativo” a “come trovare una persona a
cui trasferire il mio sapere”.
Ed è così che guardai con curiosità ai
giovani che incontrai nel mio cammino
professionale.
Ero alla ricerca di talenti da far crescere
all’interno dello studio.
Inconsciamente mandai un input al mio
cervello che, a sua volta, si attivò.
Alla fine, trovai quello che cercavo.
In quel periodo avevo assunto la carica di
segretario dell’ordine dei consulenti del
lavoro e mi venne proposto di gestire il
“gruppo giovani”.
Quando si accende una lampadina e vedi il
futuro, assapori la speranza.
L’energia pervade il tuo corpo, l’adrenalina è
in circolo.
La tua mente è proiettata in avanti. Alterni
momenti di ottimismo a momenti di paura.
Vorresti essere lì, nel tuo immaginario, nel
futuro. Ma ti rendi conto delle catene che ti
legano.
È quello il momento della frustrazione.
Quando ti rendi conto che hai bisogno di
acquisire nuove competenze, ma non ne hai
il tempo.
I clienti chiedono ancora di te. I tuoi
collaboratori hanno bisogno della tua
presenza, della tua approvazione, della tua
guida.
Nonostante il percorso di crescita e
cambiamento, ti rendi conto che non è
sufficiente quello che hai fatto.
Hai bisogno di un alter ego, una persona di
fiducia che condivida il tuo progetto.
Una persona con le carte in regola, alla
quale affidare i tuoi clienti e i tuoi
collaboratori.
Ed è lì che ti rendi conto del potere della
mente.
Ai tempi, non sapevo nulla di strategia. Non
avevo ancora frequentato la scuola di
Coaching e Problem Solving Strategico ma,
in modo naturale, feci come Alessandro
Magno.
Alessandro Magno, era uno stratega.
Durante una delle sue imprese in Oriente,
insieme al suo consiglio di guerra, formato
non solo da militari ma da ingegneri,
sapienti e filosofi, si trovò davanti a una
fortezza inespugnabile.
Era incastonata sulla vetta di una
montagna e difesa ai lati da altre due vette.
Le pareti erano lisce. L’unico accesso alla
fortezza era rappresentato da un sentiero
molto stretto.
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18. Per trasformarmi in un agente di
cambiamento dovevo prepararmi.
Fiutavo ogni corso. Ero alla ricerca di nuove
competenze.
L’obiettivo era quello di comprendere
meglio le persone, il loro modo di pensare,
di agire e le leve necessarie per muoverle.
Ed è così che mi iscrissi alla scuola per
diventare Business Coach.
Imparai il vero significato dell’ascolto attivo,
della comunicazione efficace, della capacità
di andare in guida e di quello che
rappresentava il magico mondo delle
emozioni.
La programmazione neuro linguistica mi
affascinava.
Quel mondo era come le ciliegie. Più ne
assaporavo le potenzialità e il mistero, e più
ne volevo. Un corso tirava l’altro. Andavo
alla ricerca di tasselli, pezzi del puzzle da
mettere insieme per comprendere la mente
umana.
Un’immagine che ogni giorno prendeva
forma, anche se non era sufficiente a
comprenderne i dettagli.
Mi serviva un modello ripetibile, replicabile e
autocorrettivo.
Avevo bisogno di strumenti per mettere a
terra quello che avevo appreso.
Nelle aziende non c’era il tempo sufficiente
per accompagnare le persone in un
percorso di consapevolezza.
Mi iscrissi al Master di Problem Solving
Strategico Aziendale. Il modello utilizzato
dal Prof. Giorgio Nardone, noto psicologo e
psicoterapeuta italiano, si basa su tecniche
brevi strategiche e sull’analisi delle tentate
soluzioni che ostacolano la risoluzione del
problema stesso. Tecniche, inizialmente
usate in terapia, ma poi allargate alle
organizzazioni.
Era proprio quello che cercavo. Una
scoperta importante, che determinò la
svolta trasformando qualcosa di aleatorio
in una metodologia concreta applicabile in
tempi brevi.
Capitolo 7.
Trasformare il vuoto in pieno
Dopo il master, continuai il percorso.
Tutto il mio tempo libero era canalizzato a
frequentare corsi, a leggere libri ed
approfondire tematiche collegate alla
gestione e allo sviluppo delle risorse umane.
Ascoltai con entusiasmo le storie
raccontate dai responsabili HR delle
multinazionali associate ad AIDP,
l’associazione dei direttori del personale. I
loro racconti mi trasportarono in un mondo
diverso rispetto la consulenza del lavoro
tradizionale. Parlavano di cambiamento,
mappatura delle competenze, attrazione di
talenti, percorsi formativi strutturati e
assessment per facilitare la selezione del
personale.
Ed è grazie a loro che compresi che quel
mondo, quelle soluzioni e quei percorsi
potevano essere revisionati e riproposti alle
PMI.
Dovevo trovare il giusto equilibrio tra costi e
benefici. Non potevo andare dalle PMI
chiedendo un investimento cospicuo. La
cultura imprenditoriale era ancora legata
alla macchina, alla produttività, ai numeri e
a risultati a breve termine. Far passare
messaggi più complessi e far percepire un
investimento sulle persone come un modo
per distinguersi sul mercato, non lo vedevo
percorribile.
“Misurare” divenne la chiave di lettura.
Dovevo trovare un modo per rendere
tangibile l’intangibile, ed è così che la
misurazione del ROI (Ritorno
sull’Investimento) divenne un punto focale.
Avevo bisogno di acquisire competenze e
strumenti per misurare il miglioramento
delle persone.
Mi approcciai quindi al mondo
dell’assessment. Iniziai con Six Seconds, una
multinazionale con esperienza consolidata.
Mi avvicinai, quindi, all’intelligenza emotiva
e al mondo delle neuroscienze per poi
allargare il raggio d’azione alla mappatura
delle competenze e del potenziale della
Scuola di Palo Alto.
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20. Capitolo 8.
Ascoltare il dolore dei nervi
scoperti
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muovere, conoscere le tecniche, gli
strumenti e i metodi scientifici più idonei al
contesto per evitare che le aziende si
trovino in vicoli ciechi o strade impervie
difficilmente percorribili.
Traghettare le persone verso un
cambiamento non lineare, per allenarle alla
flessibilità e all’orientamento al risultato,
non è semplice, ma possibile.
L’abbiamo visto con lo smartworking.
Quello che era un modo di lavorare
riservato alle multinazionali e alle aziende
con una mentalità più aperta, è diventato,
con l’emergenza epidemiologica, un
normale modo di lavorare, adottato anche
negli studi professionali e nelle PMI.
Un modo più responsabile di gestire le
attività che ha messo da parte la diffidenza,
lasciando spazio al senso del dovere e
all’organizzazione autonoma del proprio
lavoro.
Orari e luogo di svolgimento dell’attività
lavorativa, sono stati destrutturati, dando
vita a un nuovo modo di lavorare che, in
alcuni contesti, come il settore chimico e
chimico-farmaceutico, è stata l’occasione
per evolverne la struttura.
In questi settori merceologici, infatti, si sta
già parlando di un rapporto di lavoro
subordinato nuovo, più moderno, che si
chiama F.O.R. Working
F.O.R., un acronico che rappresenta 3 parole:
Flessibilità, Obiettivi e Risultati.
Un rapporto di lavoro più in linea con quello
che è il cambiamento, l’esigenza di un
bilanciamento tra vita e lavoro, la necessità
di sperimentare per innovare, l’esigenza di
scrollarsi di dosso la concezione del tempo
delle attività, per connetterla a risultati
specifici e a obiettivi condivisi.
Oggi, grazie al Covid, infatti, abbiamo
accelerato un processo che faticava a
Mentalità;
Digitalizzazione;
Gestione delle Risorse Umane.
Dopo aver acquisito nuove competenze,
iniziai a sperimentarle all’interno delle
aziende.
Appena entrata, mi resi conto che manager
e imprenditori navigavano a vista nella
gestione delle risorse umane.
Ancorati a vecchi modelli di business e a
un’organizzazione ormai obsoleta, i vertici
aziendali continuavano imperterriti a
riproporre vecchi schemi all’interno delle
loro organizzazioni.
Intrappolati nell’illusione del successo degli
anni passati, invece di studiare una
strategia per attrarre giovani talenti, si
ostinavano a mantenere lo status quo,
sostenute da figure senior ormai vicine alla
pensione.
Uno scollamento importante, acutizzato con
l’avvento del Covid-19, che ha messo in
evidenza i nervi scoperti delle aziende:
Nervi scoperti che, durante il periodo
emergenziale, hanno prodotto un dolore
lancinante nelle aziende.
Alcune di loro hanno preso semplicemente
un analgesico; altre ne hanno studiato la
causa, mettendo in moto un percorso di
cambiamento strutturato con un approccio
lean.
Si sono messe all’ascolto del dolore e
sperimentato nuove strategie.
Ed è qui che noi facilitatori in ambito HR
entriamo in campo. Il nostro compito è
sedersi al fianco di questi manager e
imprenditori fortemente determinati a
risolvere la causa della nevralgia, per
guidarli verso il cambiamento.
Ognuno ha la sua sintomatologia. Ognuno
ha la sua terapia.
Per scegliere, però, bisogna sapersi
VISSUTO SPEZIATO - Una storia di vita per una gestione strategica delle Risorse Umane | Paserio & Partners
21. Mettere da parte la diffidenza e fidarsi
l’un l’altro, permette di spostare il focus
da quello che è il rischio e la paura di
perdere il controllo, verso la fiducia e
l’apertura di cogliere nuove opportunità.
Opportunità di imparare, sperimentare,
raggiungere obiettivi e migliorare il
bilanciamento tra vita e lavoro;
La tecnologia è un’alleata, in quanto ci
permette di gestire in modo più fluido i
dati e le informazioni, comunicare
velocemente con i collaboratori e con i
clienti, ottimizzare il nostro tempo,
personalizzare la modalità di lavoro sulla
base delle nostre esigenze, contenere i
costi diretti ed indiretti;
La diversità è fonte di arricchimento e
contaminazione tra gli individui. Gruppi
eterogenei, a livello di età, estrazione,
cultura, esperienze e percorsi scolastici,
sono il fulcro della crescita e
dell'innovazione.
decollare. Abbiamo imparato che:
2 1
Il cambiamento fa parte della nostra vita
e rappresenta la nuova normalità.
Resistere al cambiamento vuol dire
immergersi in una bolla, dove l’illusione
del passato rallenta l’evoluzione naturale
delle cose;
Osservare le cose da punti di vista
diversi, guardando oltre. Un allenamento
che permette di sperimentare,
connettere e dare un nuovo significato
alle cose, perché questa, che stiamo
vivendo, è l’era della diversità e
dell’innovazione.
Un nuovo periodo storico ricco di
opportunità da cogliere.
Impariamo quindi dagli eventi e guardiamo
al futuro con la curiosità e con gli occhi di
un bambino.
Impariamo ad osare, fallire, analizzare e
ripartire, perché questo è il ciclo del
successo.
22. Capitolo 9.
Il gioco continua
Ed è qui che mi fermo.
La partita è finita.
Mi alzo dal tavolo, prendo per mano i nuovi
giocatori e cambio il mio ruolo all’interno del
gioco.
Il mio compito è allenarli.
Li guardo, sorrido e vedo in loro l’energia, la
motivazione e le competenze che servono
per affrontare un'altra partita.
Che il nuovo gioco abbia inizio!
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il podcast
VISSUTO SPEZIATO - Una storia di vita per una gestione strategica delle Risorse Umane | Paserio & Partners