Crisi d'impresa , la riforma è ai blocchi di partenza
Golfo Mosca, bilancio in chiaroscuro
1. GOLFO
MOSCA,
BILANCIO IN
CHIAROSCURO
ra 163 anni avremo la parità di genere in Italia.
Questo è il tempo che dobbiamo ancora
aspettare stando all’ultimo Global Gender Gap
Report del World Economic Forum pubblicato
a novembre 2016. Il divario tra uomo e donna è
ancora forte, malgrado gli sforzi che sono stati
fatti per ridurlo.
La partecipazione delle donne alla vita economica
è cresciuta nel nostro Paese con l’introduzione
della legge Golfo Mosca, la 120 del 2011 sulle
quote rosa, volta a rimediare lo squilibrioT
La legge 120 del 2011 divide le opinioni.
Per alcuni è ancora utile, altri invece la
abolirebbero. Di certo il numero delle
donne nei cda è aumentato
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2. negli organi di amministrazione
e controllo delle società quotate.
Nel 2010 la percentuale di donne
nei consigli di amministrazione in
Italia era del 5,5%, mentre nel 2015 è
arrivata al 30,8%. (fonte: The Credit
Suisse Gender 3000 report 2016).
Malgrado i numeri, il tema delle
quote i genere rimane controverso,
c’è chi ritiene siano utili e chi invece
le abolirebbe. Dell’argomento si
è parlato nella tavola rotonda
organizzata dalla Adam Smith
Society “Sbiadire le quote rosa”, lo
scorso 12 giugno.
«È vero che ci sono degli studi
che dicono che nelle società o
nelle aziende in cui c’è una forte
percentuale femminile nei posti di
comando queste funzionano meglio,
ma non c’è nessun dato scientifico
che dimostri che sia più valido
per le società che hanno assunto
donne perché costrette dalla legge
e non per scelta volontaria», spiega
Alessandro De Nicola, presidente
della Adam Smith Society e
senior partner di Orrick. Il punto,
secondo l’avvocato, sta nel corretto
funzionamento del mercato.
Laddove l’ingranaggio non gira, le
donne risultano escluse.
L’aumento delle donne nei board
non è legato necessariamente
all’introduzione di leggi specifiche.
Tra i Paesi europei con una maggior
percentuale di donne nei cda, ovvero
la Finlandia, la Svezia e la Norvegia,
solo quest’ultima ha una legge sulle
quote, in vigore dal 2008. (fonte:
Ewob; Gender diversity on European
boards. Stoxx 600 companies).
Inoltre, diversi dati dimostrano che
la media delle donne nei consigli
di amministrazione continua a
crescere in tutto il mondo, sia nelle
nazioni con le leggi sulle quote che
in quelle senza. Il mercato sta quindi
già andando verso un’evoluzione
culturale e politica che porterà alla
parità di genere.
Secondo Sandra Mori, presidente
di Valore D e general counsel di
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Alessandro De Nicola
3. dati di Openpolis (Gender Equality
tra politica, imprese e lavoro,
2015) mostrano che i presidenti
donna in Europa sono solo il 7% e
in Italia il 5%. Le donne ceo sono
il 3% a livello europeo, mentre in
Italia sono un numero irrilevante.
A livello di dirigenti si passa per
le figure più senior dal 13% delle
donne in Europa all’8% in Italia. Le
percentuali si allargano guardando
alla dirigenza delle pubbliche
amministrazioni dove sia in Europa
che in Italia i segretari generali o
capi di dipartimento donna sono il
31% e i direttori generali il 40% per il
continente e il 33% per il Belpaese.
Che ci sia ancora da lavorare per
stringere il divario uomo-donna è
convinta anche Isabella Fumagalli,
amministratore delegato e direttore
generale di Cardiff. Tuttavia «non
bisogna scendere nel concetto
della categoria protetta per cui si
valorizzano le donne come tutte le
altre presenze di diversità».
In ogni caso, secondo Romina
Guglielmetti, presidente di Banca
Esperia e founding partner di
Starclex la legge 120 del 2011 ha
creato un mercato perché «ha
aiutato a rompere una barriera
di ingresso nel mondo degli
amministratori, storicamente
consolidato su logiche relazionali».
Coca Cola Europe Group, questo
“break even”, come dimostrato
da diversi studi, è ancora troppo
lontano ed «è necessario rimediare,
perché c’è ancora un chiarissimo
sbilanciamento che vede la metà
esatta della popolazione mondiale
non partecipare allo stesso modo
alla vita lavorativa o pubblica». Mori
insiste sull’importanza delle leggi
sulle quote rosa che, numeri alla
mano, ha prodotto cambiamenti e
sta guidando l’inversione di rotta.
La crescita però non si è riflessa
allo stesso modo all’interno delle
organizzazioni societarie, dove le
posizioni apicali sono rimaste in
mano soprattutto agli uomini. Così,
sempre guardando alle quotate, i
Sandra Mori
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4. loro risposta è che è un lavoro da
sfigate».
Secondo il punto di vista di Maurizia
Villa managing director Italy di
Korn Ferry International, la scarsa
presenza di donne nei cda è spesso
anche un tema di esperienze
pregresse, che in Italia rappresentano
un elemento importante nella scelta
degli amministratori delle società.
Uno dei compiti delle associazioni
che puntano a sensibilizzare il
mercato sul tema del divario della
diversità di genere, secondo Villa,
dovrebbe essere quello di segnalare
alle professioniste che vogliono
entrare nei consigli la preparazione
richiesta e le caratteristiche
necessarie per ricoprire posizioni di
questo genere. (r.i).
Con la creazione di un mercato è
cambiata la logica di selezione delle
risorse che, indipendentemente dal
genere, ha posto l’accento sul merito.
Questo ha segnato un cambiamento
di cultura che ha portato frutti
anche nelle società che non hanno
l’obbligo di inserire donne nei cda,
dove si contano oggi rappresentanti
femminili con deleghe, tra cui l’Acf
Fiorentina e Ntv. Un segnale, questo,
che dimostra che la missione è
compiuta. Secondo Guglielmetti il
sistema di rottura ha funzionato
anche nel mondo delle partecipate
pubbliche. La sfida, con l’esaurirsi
del provvedimento nel 2022, sarà
continuare su una strada che pone
il merito tra gli elementi chiave che
guidano i processi di selezione.
Il problema della scarsa
partecipazione delle donne, in alcuni
ambiti, tra cui quello scientifico-
informatico, è legato a un tema
di professionalità presenti sul
mercato. «Cerchiamo laureati Stem
(Science Technology Engineering and
Mathematics,ndr), ma non troviamo
donne a sufficienza», racconta la
sua esperienza Walter Ruffinoni
amministratore delegato di Ntt Data
Italia. «Bisognerebbe scardinare i
luoghi comuni sulle professioni. Se a
delle ragazzine della scuola primaria
chiediamo se da grandi vogliono fare
le programmatrici informatiche, la
Maurizia Villa
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