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DIGITAL EXPERIENCE DESIGN NEL SETTORE BANCARIO
PARTE PRIMA - Introduzione e design della ricerca
1. Premessa metodologica ed obiettivi del lavoro
Introduzione 3
1.1 La rilevanza del fenomeno oggetto di studio 4
1.2 Il modello del research process 10
1.2.1 Research strategy 10
PARTE SECONDA - Review della letteratura
2. Marketing relazionale e marketing esperienziale
Introduzione 12
2.1 La gestione della relazione con i clienti 16
2.1.1 La raccolta delle informazioni e l’analisi del portafoglio clienti 21
2.1.2 Gli strumenti orientati alla fidelizzazione 30
2.2 Le componenti del marketing esperienziale 33
2.2.1 L’evoluzione della relazione verso un approccio CEM 36
2.2.2 L’approccio di Pine e Gilmore 40
2.3 Customer journey 41
2.4 Il ruolo delle emozioni 44
2.4.1 La misurazione delle emozioni 48
2.5 Il nuovo cliente digitale 49
3. Customer experience e neuromarketing in banca
Introduzione 52
3.1 Il marketing esperienziale in banca 54
3.1.1 Le componenti della customer experience in banca 60
3.1.2 La mappa di Pine e Gilmore e i bias cognitivi in banca 64
3.2 Le neuroscienze applicate in banca 66
3.2.1 La filiale emozionale di UBI Banca e la realizzazione del concept 71
3.3 Regole per accrescere la user experience digitale delle filiali 75
3.4 Un design innovativo nella banca del futuro 78
4. Gli strumenti digitali per migliorare l’user experience in banca
Introduzione 84
4.1 Le tecnologie vocali 88
4.1.1 Swisscard e Spitch: una soluzione congiunta per il customer care 93
4.2 Roboadvisor: la nuova frontiera della consulenza digitale 95
4.3 Chatbot: gli assistenti virtuali del futuro 103
4.3.1 Vantaggi e limitazioni dei chatbot 107
4.4 Il video-banking per migliorare la relazione con il cliente 109
4.4.1 La videocomunicazione per il customer engagement e i servizi online 110
4.5 Gamification: il canale Readì di Banca di Bologna 116
4.6 I protagonisti della nuova filiale evoluta: whatsapp e beacons 120
2
4.6.1 Il Wi-Fi nel retail bancario 123
PARTE TERZA - L’analisi empirica
5. Dalla consulenza tradizionale alla consulenza virtuale tramite chatbot:
I casi studio
Introduzione 124
5.1 La metodologia di ricerca utilizzata 127
5.1.1 La fase di raccolta dei dati 127
5.1.2 Le variabili analizzate 127
5.2 Campionamento delle implementazioni di chatbot nel settore bancario 127
5.2.1 Erica 127
5.2.2 Luvo 128
5.2.3 Inga 129
5.2.4 Kai 130
5.2.5 BBVA Bot 130
5.2.6 Ada 131
5.2.7 DBS Bot 132
5.2.8 Eno 132
5.2.9 Ceba 134
5.2.10 Wells Fargo Bot 134
5.2.11 Haro e Dori 135
5.2.12 AmEx 135
5.2.13 Coin 136
5.2.14 Ally Assist 137
5.2.15 Clinc 137
5.2.16 Aida 138
5.2.17 Gina 139
5.2.18 Nina 140
5.3 Analisi descrittiva 141
5.4 Analisi comparativa 142
Conclusioni 150
Bibliografia 155
Sitografia 156
3
I. PREMESSA METODOLOGICA ED OBIETTIVI DEL LAVORO
Introduzione
La digitalizzazione dei processi e i nuovi modelli di servizio hanno portato a grandi
cambiamenti nel settore bancario. Già nel 1994, Bill Gates affermava che ‘banking is
necessary, banks are not’. L’integrazione fisico-digitale, in una parola “phygital”,
sta riscrivendo le regole della customer experience. Siamo passati dalla
digitalizzazione come strumento di efficienza alla digitalizzazione come strumento di
relazione e valorizzazione della customer base. Oggi per una banca ci sono tutte le
premesse per la piena realizzazione del precision banking, ovvero la possibilità di
disegnare modelli di servizio su misura in funzione del valore generato dal cliente.
IDC prevede che la spesa mondiale relativa ai software di customer experience
passerà dai 121 miliardi del 2018 ai 169 miliardi del 2022, con una crescita di circa il
40%. In Europa si attesterà a 47 miliardi di dollari nel 2022, dai 34 del 2018.
Basterebbero solo questi numeri per far comprendere le proporzioni di questo
fenomeno e quanto la customer experience sia diventata una priorità strategica per la
maggior parte delle aziende in diversi settori, dal retail al manifatturiero, dal
finanziario alle telco, senza dimenticare il comparto energetico e la sanità. I casi di
successo di aziende che stanno investendo in progetti di customer experience sono
sempre più frequenti e con risultati tangibili. Ad esempio, il gruppo bancario
Santander ha identificato alcune metriche legate alla customer experience come
fattori chiave della propria crescita. Ha inserito nel proprio piano strategico
l’aumento della percentuale di clienti fidelizzati e l’incremento di clienti digitalizzati
che ha raggiunto 25,4 milioni.
Il presente lavoro di tesi vuole porre l’attenzione sull’evoluzione della relazione
banca-cliente. Il lavoro è suddiviso in tre parti. La prima parte introduce il lavoro ed
argomenta sulla sua organizzazione la rilevanza del fenomeno che si è scelto di
osservare e le caratteristiche dello scenario di riferimento ed il processo
metodologico utilizzato. In questa fase sono stati raccolti alcuni numeri sul digital
banking dal report KPMG e dall’Osservatorio sui Contact Center Bancari condotto
dall’Ufficio Studi dell’Abi. La seconda parte è invece dedicata alla review della
letteratura e si articola in tre capitoli: il primo capitolo si sofferma sulla gestione
della relazione coi clienti, l’evoluzione del rapporto verso un approccio CEM e il
ruolo delle emozioni quale elemento fondante e connesso al concetto di customer
4
experience. Il secondo capitolo si focalizza sulle componenti della customer
experience in banca e l’evoluzione del modello di filiale quale strumento di customer
engagement. Il terzo capitolo invece si occupa degli strumenti digitali e le tecnologie
che migliorano l’user experience nel settore bancario con particolare focus sul
modello di consulenza finanziaria che cambia con la nascita dei robo-advisor. La
terza parte è infine dedicata all’analisi dei casi studio di specifiche tecnologie
utilizzate in banca, i chatbot, che segnano il passaggio da un’assistenza ai clienti di
tipo tradizionale a un’assistenza di tipo virtuale e smart.
Ringrazio la Prof.ssa Sorrentino per la sua immensa pazienza, per i suoi
indispensabili consigli e per le conoscenze trasmesse durante il percorso di stesura
dell’elaborato.
Ringrazio infinitamente la mia famiglia, i miei genitori e mio fratello, da sempre i
miei punti di riferimento, che mi hanno sostenuto, appoggiando ogni mia decisione,
fin dalla scelta del mio percorso di studi.
Infine dedico questa tesi a me stesso, ai miei sacrifici e alla mia tenacia che mi hanno
permesso di arrivare fin qui.
1.1 La rilevanza del fenomeno oggetto di studio
Secondo il Report 2018 di KPMG sul digital banking, in rete sono presenti oggi più
di 1,9 miliardi di siti web, 4 miliardi di utenti nel mondo hanno accesso a internet,
più del 50% della popolazione globale. Circa 3,7 miliardi di persone navigano in
Internet tramite dispositivi mobili e circa 3,2 miliardi sono utenti attivi dei social
network. Numeri in costante crescita che disegnano le dimensioni di un fenomeno
che sta rivoluzionando il modo di vivere e di comunicare delle persone. Ogni
secondo nel mondo vengono inviate circa 2,7 miliardi di email, si effettuano 68 mila
ricerche su Google e vengono visualizzati più di 74 mila video su YouTube. Google,
Facebook e YouTube sono i siti più visitati dagli utenti di internet e 2,3 miliardi di
persone sono utenti attivi di un account Facebook. Una quota sempre più consistente
del traffico web è generata attraverso dispositivi mobili, che sono diventati il canale
principale di fruizione del web: se nel 2009 la quota di traffico generata da dispositivi
mobili era pari allo 0,7%, nel 2018 si attesta al 52,2%. In Italia gli utenti internet
sono in costante aumento e hanno raggiunto i 43 milioni nel 2018, con una
penetrazione sul totale della popolazione del 73%. Solo il 35% della navigazione in
rete in Italia avviene da mobile, una quota ancora nettamente al di sotto della media
5
globale (pari al 52%). I numeri sono in costante crescita, ma l’Italia sconta ancora un
certo ritardo in termini di diffusione di internet, di velocità della connessione su rete
fissa, di utilizzo dell’e-commerce, nonostante sia tra i primi paesi per penetrazione
del mobile nella popolazione. L’Italia, infatti, ha un indice di penetrazione
dell’internet banking e del mobile banking nettamente inferiore alla media globale.
Secondo dati Eurostat, solo il 31% della popolazione italiana utilizza il web per
accedere alla propria banca, un dato ben al di sotto della media europea (51%) e
molto limitato se confrontato con esempi virtuosi come i paesi del Nord Europa
(dove si raggiungono percentuali prossime al 90%).
Con l’utilizzo sempre più diffuso della banca digitale cresce l’esigenza di assistenza
via telefono, e-mail, chat e social media: oltre 46 milioni le telefonate in ingresso
arrivate ai contact center bancari nel 2018, di cui oltre 27 milioni (il 58,5%) gestite
da operatori, in crescita del 6,4% rispetto all’anno precedente. A queste si
aggiungono circa 13 milioni di telefonate in uscita. È quanto emerge dalla
rilevazione dell’Osservatorio sui Contact Center Bancari condotto da Abi Lab e
dall’Ufficio Studi dell’Abi, a cui hanno partecipato 21 contact center bancari,
rappresentativi del 70% del settore in termini di sportelli. Sono state gestite inoltre
2,5 milioni di e-mail (+15,3%) e circa 1,6 milioni di chat e video-chat (+27,8%).
Inoltre, in linea con gli stili di vita sempre più digitali dei clienti – rileva l’Abi –
nell’85% delle banche rispondenti gli operatori di contact center gestiscono anche le
interazioni sui social media. Secondo il rapporto, oltre il 90% delle realtà analizzate
offre supporto alla clientela nell’utilizzo di internet, mobile banking e trading online.
Si mantiene molto forte anche la componente legata ai servizi di assistenza (customer
care): l’86% delle realtà è impegnata nella gestione delle lamentele e l’81% nella
ricezione e gestione dei solleciti. Tra i servizi bancari erogati dai contact center per i
clienti che si identificano con i codici personali, infine, risultano invece
particolarmente rilevanti: i bonifici SEPA (per il 71%), i giroconti (67%), i
preventivi assicurativi (43%) e i preventivi mutui e finanziamenti (38%).
Secondo il Report 2018 di KPMG sul digital banking, la banca tradizionale rimane
un punto di riferimento importante per la popolazione italiana, nonostante le banche
online stiano progressivamente guadagnando quote di mercato. L’ultima rilevazione
mostra, infatti, il sorpasso dei clienti multibancarizzati ibridi (sia di banca
tradizionale, sia di banca online), rispetto ai clienti esclusivi di banca tradizionale,
che invece si riducono rispetto alle evidenze emerse lo scorso anno. Rimane
6
sostanzialmente stabile e minoritaria la quota di popolazione italiana che sceglie solo
una banca online. Nel complesso, l’86% dei rispondenti è cliente di almeno una
banca tradizionale, mentre circa il 59% è cliente di almeno una banca online. Il 41%
degli intervistati è cliente esclusivo di banca tradizionale e il 14% è cliente solo di
banca online.
La banca tradizionale è considerata, nella maggior parte dei casi, la banca principale
(circa 2 rispondenti su 3), mentre il 33% utilizza prevalentemente la banca online.
Le motivazioni che hanno spinto i clienti a scegliere una banca come controparte
principale sono in primo luogo l’affidabilità e la percezione di sicurezza del brand. A
seguire i rispondenti hanno indicato l’offerta di prodotti e servizi, la disponibilità di
canali di contatto remoti o digitali e la prossimità territoriale delle filiali delle
banche.
Internet e la filiale rimangono i canali più importanti per l’acquisto e la gestione di
prodotti e servizi bancari e/o finanziari. Gli altri punti di contatto seguono a grande
distanza: con percentuali più contenute i rispondenti hanno indicato il mobile (33%)
e gli sportelli ATM (28%). La filiale viene preferita dalla fascia di popolazione over
55, mentre il web è il canale preferito dalla clientela compresa tra i 34 e i 54 anni.
Mobile, sportello ATM e Totem ottengono, invece, una preferenza maggiore da parte
della popolazione più giovane, compresa tra i 18 e i 34 anni.
I clienti bancari stanno progressivamente incrementando l’utilizzo del canale
internet, La fascia di popolazione per cui è più diffuso l’utilizzo esclusivo del web è
quella compresa tra i 35 e i 54 anni. Parallelamente aumenta la quota dei rispondenti
che utilizza l’internet banking da pc, sia per le operazioni informative, sia per quelle
dispositive, pari al 18,5% (+2,7% p.p.), mentre si riduce la percentuale di
popolazione che utilizza questo canale solo per effettuare le operazioni più semplici
(informative e dispositive di base). Da sottolineare che solo il 2,2% degli intervistati
dichiara di non utilizzare mai l’internet banking, un valore in costante calo rispetto
alle rilevazioni precedenti e prossima allo zero per la fascia d’età compresa tra i 18 e
i 34 anni.
Il mobile si conferma uno strumento in progressiva crescita. Il 17,7% dei rispondenti
ne fa un utilizzo esclusivo per tutte le operazioni, un valore in crescita di 3,3 p.p.
rispetto allo scorso anno, mentre il 17,3% lo utilizza per operazioni informative e
dispositive (+5,5 p.p.).
7
La filiale rimane fondamentale per effettuare operazioni più complesse, come la
sottoscrizione di un mutuo e la risoluzione di eventuali problematiche. La fascia di
popolazione tra i 18 e i 34 anni ritiene necessaria la filiale soprattutto per la
sottoscrizione di un mutuo, mentre gli over 55 per risolvere le problematiche
particolari. La filiale è ritenuta necessaria per la gestione dell’operatività
straordinaria e complessa, la consulenza per prodotti di investimento e/o
finanziamenti e per il versamento di contanti e assegni. Prosegue il trend di riduzione
per le operazioni gestionali/dispositive effettuate in filiale, in particolare per il
prelievo di contanti per importi elevati. Si registra, inoltre, un incremento degli
intervistati che non ritengono necessaria la filiale per alcun aspetto in particolare.
La scelta di una banca online è legata, nella maggior parte dei casi, ad un’offerta
dalle condizioni economiche più vantaggiose. A seguire il campione intervistato ha
indicato la maggiore comodità nella fruizione dei servizi tramite canale web e
mobile.
Una quota crescente rispetto alla rilevazione dello scorso anno ha indicato come
motivazioni per la scelta di una banca online la fiducia nel marchio e il
convincimento a seguito di campagne promozionali, nonché le esperienze negative
avute in precedenti rapporti con la banca tradizionale. Gli uomini cercano in misura
maggiore la disponibilità di prodotti innovativi, mentre le donne vengono influenzate
dal consiglio di amici e parenti e dalle campagne promozionali.
Prevalgono le motivazioni ‘pratiche’ (convenienza economica, comodità nella
fruizione dei servizi via web/mobile), mentre il carattere innovativo di questa
tipologia di banche riveste un ruolo ancora secondario.
I giovani sono maggiormente influenzati dal consiglio di amici e parenti e dalla
possibilità di fruire dei servizi bancari tramite smartphone, mentre gli over 55 sono
più attenti a condizioni economiche e campagne promozionali e sono maggiormente
influenzati da esperienze negative avute precedentemente con banche tradizionali.
Tra i prodotti innovativi identificati come driver per scegliere una banca online, la
maggior parte degli intervistati ha indicato i conti con condizioni economiche
favorevoli (tassi agevolati, costi ridotti, remunerazione di investimenti garantiti). A
seguire il campione ha indicato il conto deposito online e/o gestibile online, il conto e
le funzionalità fruibili in autonomia tramite sistemi di sicurezza evoluti e la
disponibilità di prodotti e finanziamenti flessibili. I giovani under 35 sono
maggiormente influenzati dall’opportunità di usufruire di conti deposito gestibili
8
online, mentre gli over 35 sono attratti soprattutto dalla possibilità di aprire un conto
con condizioni vantaggiose o tassi agevolati.
Il web resta il canale più utilizzato per la fruizione dei servizi bancari, ma si
conferma il trend di flessione già registrato nel 2016, in particolare, per le operazioni
informative (monitoraggio, saldo ed elenco movimenti) e per l’esecuzione delle
operazioni dispositive più semplici. Si rafforza la preferenza nei confronti del canale
mobile per le operazioni informative e per le operazioni dispositive su prodotti di
base, con un effetto di sostituzione nei confronti del canale web, e per l’utilizzo di
piattaforme di Personal Financial Management. La filiale mantiene il suo ruolo di
supporto per operazioni più complesse e per la consulenza su finanziamenti e
investimenti. I contact center hanno guadagnato preferenze da parte della clientela
rispetto alla precedente rilevazione, in particolare per la compravendita di prodotti
finanziari e la sottoscrizione di prodotti di risparmio, pur mantenendo un ruolo
secondario nel rapporto con la clientela.
Le chat/video chat sono state indicate da una quota molto limitata di rispondenti e
sono utilizzate soprattutto per ottenere servizi di consulenza su finanziamenti ed
investimenti. I canali digitali sono utilizzati dagli utenti soprattutto in fase di pre-
vendita: il campione dichiara di utilizzare il web, il mobile e i social prevalentemente
per ricercare informazioni sul prodotto e per richiedere assistenza. Il mobile banking
viene apprezzato soprattutto per la possibilità di operare in tempo reale e in
qualunque luogo. A seguire gli intervistati hanno indicato la semplificazione nella
gestione dei prodotti, la possibilità di effettuare i pagamenti tramite la tecnologia
NFC, la gestione del portafoglio, la possibilità di autorizzare le operazioni dispositive
e informative tramite impronta digitale e la possibilità di operare senza carte tramite
QR code.
La possibilità di personalizzare l’interfaccia viene percepita come uno degli aspetti
meno interessanti del mobile banking.
Secondo la percezione del campione intervistato, la filiale mantiene un ruolo
fondamentale per la gestione di problematiche particolari e per situazioni di
emergenza: il 57,9% dei clienti di banca tradizionale indica, infatti, la disponibilità di
una rete fisica per gestire le emergenze come driver principale che potrebbe
convincerli a scegliere una banca online.
9
A seguire i rispondenti hanno indicato l’esistenza di incentivi come coupon o altri
premi e benefici riconosciuti per l’operatività online (45,8%) e la possibilità di
usufruire di servizi innovativi (43,2%).
La convenienza e il risparmio non sono, invece, elementi sufficienti per indirizzare i
clienti verso la scelta di una banca online: solo il 2,1% degli intervistati ha indicato la
riduzione dei costi, il risparmio economico e la possibilità di avere un conto a zero
spese come motivazione per passare a una banca online.
Da evidenziare che solo lo 0,5% del campione esclude a priori l’ipotesi di passare ad
una banca online, un valore in calo di 1,5 punti percentuali rispetto allo scorso anno.
Per quanto concerne i servizi innovativi, i clienti di banca tradizionale sono
interessati prevalentemente alla possibilità di utilizzare lo smartphone per eseguire
pagamenti (tramite la tecnologia NFC) e per trasferire denaro. A seguire i rispondenti
hanno indicato come elementi innovativi di interesse la possibilità di effettuare
acquisti online tramite l’app della banca e l’opportunità di avere una visione
integrata di tutti i rapporti bancari. I giovani under 35 sono maggiormente attratti
dalla possibilità di effettuare pagamenti tramite smartphone, sfruttando la tecnologia
NFC, e dall’opportunità di trasferire denaro ad amici e parenti in tempo reale.
Una campagna commerciale efficace aumenta la propensione degli utenti a diventare
un cliente digital. Il 49% dei rispondenti che hanno aperto un conto online, infatti,
dichiara di averlo fatto in occasione di una campagna commerciale o promozionale.
Il 38,2% di loro dichiara di essere stato notevolmente influenzato dall’operazione
commerciale e il 53,3% sostiene di esserne stato sufficientemente persuaso. Il canale
principale per veicolare le campagne commerciali è internet (selezionato dal 53,2%
dei rispondenti), a seguire gli intervistati hanno indicato la TV (24,3%, in netto calo),
parenti, amici e conoscenti (21,1%) e i social network (15,6%). I canali digitali
rappresentano quindi un importante veicolo di comunicazione tra istituti bancari e
potenziali clienti.
Se si analizzano i clienti che hanno almeno una banca online, il web è individuato
come il canale preferito per ricevere assistenza. A seguire, ma a notevole distanza, i
rispondenti hanno indicato la filiale, l’app e il contact center.
L’app della banca continua a guadagnare quote, principalmente a discapito del web e
dei contact center. La filiale mantiene il suo ruolo per i clienti che preferiscono
ottenere un’assistenza face-to-face, mentre i social network sono ancora scarsamente
utilizzati per ricevere assistenza.
10
Il web ottiene una preferenza maggiore da parte della clientela monobancarizzata
(72,4%, contro il 52,4% dei rispondenti multibancarizzati), mentre la filiale è
utilizzata maggiormente per ricevere assistenza dai clienti di più banche (36,6%, a
fronte del 12,4% degli intervistati che hanno rapporti con un’unica banca). Aumenta
la preferenza verso l’app della banca per tutti i clienti, ma soprattutto per i
rispondenti multibancarizzati.
L’analisi delle preferenze relative al canale di assistenza per fascia di ricchezza
finanziaria evidenzia alcune differenze tra i diversi cluster: il sito web e la filiale
sono preferiti soprattutto dai clienti di fascia alta, mentre la clientela meno abbiente,
nella maggior parte dei casi appartenente ad una fascia di età più giovane, manifesta
una preferenza maggiore per app, contact center e social network.
Il campione dei clienti di almeno una banca online si ritiene soddisfatto del servizio
di assistenza ricevuto fino ad oggi. Cresce la percentuale di coloro i quali sono molto
soddisfatti dell’assistenza ricevuta dalla banca.
La quasi totalità di clienti di una banca online (94% del campione) si dice disposta a
rilasciare una valutazione ‘in tempo reale’ circa l’assistenza ricevuta.
A seguire gli intervistati hanno selezionato chat-box (26,6%) e instant messaging
(26,4%). I giovani under 35 hanno indicato in misura maggiore rispetto alla media
chat-box e instant messaging, mentre un over 54 su due vorrebbe ricevere assistenza
dalla propria banca attraverso le email.
1.2 Il modello del research process
1.2.1 Research strategy
La strategia di ricerca adottata in questo lavoro è lo studio dei casi (Yin, 2009).
Una strategia di ricerca basata sullo studio dei casi offre anche l’opportunità di
raccogliere dati diversificati, permettendo di rispondere a più obiettivi di ricerca.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare le funzionalità dei chatbot, quale
strumento di customer engagement, implementati su diverse piattaforme. Le
keywords digitate su Google per effettuare la ricerca sono state: assistenti virtuali in
banca, chatbots banks. I casi sono stati selezionati mediante un’analisi desk
effettuata su diversi portali digitali (chatbotguide.org, thefinancialbrand.com,
ai4business.it) e dai siti istituzionali delle 18 Banche oggetto di studio (Royal Bank
of Scotland, Bank of America, Capital One, ING, Mastercard, BBVA, Diamond
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Bank, USAA, Commonwealth, Wells Fargo, HSBC, American Express, DBS
Singapore, CaixaBank, Ally Bank, SwedBank, SEB, JP Morgan).
Nella tabella descrittiva sono stati utilizzati diversi parametri per comparare gli
assistenti virtuali utilizzati dalle banche tra cui, il nome della banca, il logo della
banca, il Paese di provenienza della banca, il nome del chatbot, l’anno in cui è stato
implementato il chatbot e la lingua attraverso cui è possibile interagirvi.
Nella tabella comparativa un’analisi più approfondita dei casi mi ha aiutato a
comprendere le funzionalità presenti in ogni tecnologia, la tipologia/il driver di
chatbot, la modalità di interazione con lo stesso, gli strumenti digitali collegati ad
esso ed estratto, infine, i POD (points of difference).
12
II. MARKETING RELAZIONALE E MARKETING
ESPERIENZIALE
Introduzione
Uno sforzo deliberato per studiare i problemi dell'esperienza del cliente può essere
fatto risalire alla metà degli anni '80. L'importanza di questo argomento ha acquisito
notevole slancio negli ultimi due decenni (Gentile et al., 2007). I motivi sono da un
lato positivi: l'esperienza del cliente offre un'opportunità di vantaggio competitivo a
lungo termine alle aziende e d'altra parte, si traduce anche nella forma di clienti
soddisfatti e fedeli con passaparola positivo, migliore retention e riduzione dei
reclami. Secondo la ricerca condotta dalla società di consulenza Gartner (Sorofman,
Virzi e Genovese, 2015), la spesa per l'esperienza del cliente è una delle cinque
priorità dei principali responsabili del marketing nel prossimo periodo.
Sono stati scritti libri di orientamento manageriale su come gestire l'esperienza del
cliente (ad es. Schmitt 2003). Una delle prime definizioni dell’esperienza del cliente
è stata data da Schmitt (1999, p.60) che dice che “l'esperienza è un evento personale
che si presenta come una reazione a determinati stimoli (fornito dagli sforzi del
marketing prima e dopo l'acquisto)”. Il cliente è incluso nell'esperienza come essere
completo, e l'esperienza è il risultato dell'osservazione diretta e/o partecipazione
all'evento, non importa che sia realistico o virtuale. L'esperienza del cliente può
anche essere definita come una risposta "interna" e soggettiva dei consumatori ad un
qualsiasi contatto diretto o indiretto con un'azienda” (Meyer e Schwager, 2007,
p.118).
All'inizio, Abbott (1955) e Alderson (1957) si concentrarono sull’idea più ampia
che "ciò che le persone desiderano veramente non sono prodotti ma esperienze
soddisfacenti” (Abate 1955, p. 40). Perciò, le imprese nel ventunesimo secolo hanno
iniziato a prestare attenzione ai servizi basati su un’economia che è basata
sull'esperienza (Kim et al., 2011). Dopo materie prime, beni e servizi, le esperienze
agiscono come quarta offerta economica per le organizzazioni (Pine e Gilmore,
1998).
Pine e Gilmore (1998, p. 3) hanno concettualizzato l'idea di "esperienze" distinte da
beni e servizi, osservando che “un consumatore acquista un'esperienza per
"trascorrere del tempo godendosi una serie di eventi memorabili che un'azienda
organizza ... per coinvolgerlo in un modo intrinsecamente personale”.
13
Altri ricercatori, tuttavia, hanno sostenuto una visione più ampia dell'esperienza del
cliente. Schmitt, Brakus e Zarantonello (2015) suggeriscono che ogni scambio di
servizi conduce a un'esperienza del cliente, indipendentemente dalla sua natura e
forma.
Schmitt (2003, p. 17) definisce la gestione dell'esperienza del cliente come il
processo di gestione strategica dell’intera esperienza del cliente con un prodotto o
un’azienda. Lo stesso Schmitt suddivide la gestione dell'esperienza del cliente in
cinque passaggi: (1) analizzare il mondo esperienziale dei clienti, (2) costruzione
della piattaforma esperienziale, (3) progettazione dell'esperienza del marchio, (4)
strutturare l'esperienza del cliente, e (5) impegnarsi in una continua innovazione.
L’esperienza può essere definito come un "episodio soggettivo nella
costruzione/trasformazione dell'individuo, con, tuttavia, un'enfasi sulle emozioni e
sensi vissuti durante l'immersione nella dimensione cognitiva” (Carù e Cova, 2003,
p.273). Una delle definizioni più complete, create come una compilation delle
diverse definizioni di altri autori, è stato presentato da Gentile, Spiller e Noci, 2007.
Secondo questi autori, ‘l'esperienza del cliente ha origine da una serie di interazioni
tra un consumatore e un prodotto, un'azienda, o parte della sua organizzazione, che
provoca una reazione’. Questa esperienza è strettamente personale e implica il
coinvolgimento del cliente presso diversi livelli (razionale, emotivo, sensoriale,
fisico e spirituale). La sua valutazione dipende sul confronto tra le aspettative del
cliente e gli stimoli provenienti dall’interazione con l'azienda e la sua offerta in
corrispondenza dei diversi momenti di punti di contatto.
Più autori orientati alla pratica hanno sottolineato l'importanza della gestione
dell'esperienza del cliente tra i punti di contatto dei clienti (ad es. Edelman e Singer
2015; Rawson, Duncan e Jones 2013). Anche questa visione si riflette in uno dei
pochi studi accademici sull'argomento (Homburg et al. 2015), che definisce la
gestione dell'esperienza del cliente come "le mentalità culturali verso le esperienze
dei clienti, le direzioni strategiche per la progettazione delle esperienze dei clienti e
solide capacità di rinnovare continuamente l'esperienza del cliente, con l'obiettivo di
raggiungere e sostenere a lungo termine la fidelizzazione del cliente "(p. 8). Questa
prospettiva espansiva considera l'esperienza del cliente di natura olistica,
incorporando le risposte cognitive, emotive, sensoriali, sociali e spirituali a tutte le
interazioni con un'azienda (ad es. Bolton et al. 2014; Gentile, Spiller e Noci 2007;
Lemke, Clark e Wilson 2011; Verhoef et al. 2009).
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Le recenti pratiche commerciali hanno anche definito ampiamente l'esperienza del
cliente come "che comprende tutti gli aspetti dell’offerta dell'azienda: la qualità
dell'assistenza clienti, ovviamente, ma anche pubblicità, packaging, funzionalità di
prodotti e servizi, facilità d'uso e affidabilità.
Il livello di soddisfazione dei clienti dipende principalmente dalle loro esperienze
positive o negative (Meyer e Schwager, 2007). Queste esperienze svolgono un ruolo
vitale nel processo decisione di acquisto del cliente (Zeithmal et al., 2011). Il
concetto di esperienza del cliente è la risultante che dipende dall'insieme delle
interazioni che si verifica tra un cliente e un'organizzazione, che crea una reazione.
La valutazione di questa esperienza dipende dal confronto fatto dal cliente tra le sue
aspettative e gli stimoli che sorgono dall'interfaccia con l'organizzazione e le sue
offerte in associazione con diversi istanti di contatto o punti di contatto (LaSalle e
Britton, 2003; Gentile et al., 2007).
È interessante notare che alcune aziende (ad es. Oracle) considerano la gestione
dell'esperienza del cliente una parte avanzata del CRM. Tuttavia, come discusso da
Homburg et al. (2015), la gestione dell'esperienza del cliente differisce dal CRM su
molti aspetti e il CRM ha un focus più forte sull'estrazione di valore, mentre la
gestione dell'esperienza del cliente enfatizza maggiormente la creazione di valore.
De Keyser et al. (2015, p. 23) descrivono l'esperienza del cliente come "composta da
elementi cognitivi, emotivi, fisici, sensoriali, spirituali e sociali che contrassegnano
l'interazione diretta o indiretta del cliente con (un) altri attori del mercato "- in
sostanza, i dati grezzi contenuti in tutte le interazioni dirette o indirette che poi
arrivano insieme come esperienza complessiva.
Nel complesso, concludiamo quindi che l'esperienza del cliente è un costrutto
multidimensionale incentrato su risposte cognitivo, emotivo, comportamentale,
sensoriale e sociale di un cliente alle offerte di un'azienda durante l'intero periodo del
percorso di acquisto del cliente.
Schmitt (1999, p. 61) inoltre presenta il concetto di fornitori esperienziali. I fornitori
di esperienze sono: comunicazioni, identità visiva/verbale, presenza del prodotto, co-
branding, ambienti speciali, il sito web e media elettronici e le persone.
L'esperienza possiede una dimensione temporale, il che significa che il cliente è
incluso nell'esperienza nel tempo trascorso. Schmitt (1999) definisce la dimensione
temporale dell'esperienza come un periodo di tempo: prima dell'acquisto, durante
l'acquisto e dopo l'acquisto. Un'analisi più dettagliata del tempo dell'esperienza è
15
mostrata da Arnoud et al. (2002) e Caru e Cova (2003, p.6). Gli autori elaborano il
periodo successivo all'acquisto; pertanto, l'ambito temporale comprende quattro
periodi:
- L'esperienza prima del consumo che include navigazione, pianificazione,
sognare ad occhi aperti, sperare e immaginare l'esperienza;
- L'esperienza dell'acquisto che viene dalla scelta, pagamento, imballaggio e
contatto con il servizio e l'ambiente.
- L’esperienza del consumo che include sentimenti, saturazione,
soddisfazione/insoddisfazione, rabbia/indifferenza e trasformazione.
- L'esperienza memorizzata di consumo e l'esperienza della nostalgia -
l'attivazione delle immagini per ravvivare la precedente esperienza, che si
basa su storie e argomenti del passato.
Bacca, Carbone e Haeckel (2002) presentano il concetto dell'impressione.
L'impressione può essere qualcosa che può essere osservato e sentito, e porta un
certo messaggio che suggerisce qualcosa per il cliente. Le aziende devono gestire le
impressioni in modo integrato così come per garantire la coesistenza e un effetto che
lo farà soddisfare e superare le aspettative. Le impressioni possono essere (Berry,
Carbone e Haeckel, 2002; Berry, Wall and Carbone, 2006):
• Impressioni funzionali, a cui sono collegate qualità, funzionamento del prodotto;
• Impressioni che sono legate alle emozioni e include stimoli dell'ambiente.
Questa categoria include le impressioni meccaniche create dall'oggetto e le
impressioni umane create dalle persone, dal loro comportamento e aspetto.
I moduli esperienziali possono essere: L'esperienza sensoriale, che viene creata
attraverso l'effetto di diversi stimoli (luce, suono, gusto, olfatto e consistenza) sui
sensi; L'esperienza affettiva che ne deriva la creazione di una gamma di emozioni: da
stati d'animo di intensità inferiore a affetti di maggiore intensità; L'esperienza
cognitiva, che è il risultato di situazioni cognitive e problematiche che coinvolge in
modo creativo i clienti; Esperienza fisica, che è il risultato di arricchimento
dell'aspetto fisico della vita del cliente, indicando alternativi modi di svolgere
un'attività, alternativi stili di vita e diverse interazioni; L'esperienza relazionale, che
è il risultato della connessione, il concetto personale di acquirente con un più ampio
contesto sociale e culturale.
16
2.1 La gestione della relazione con i clienti
L’enfasi sul mantenimento nel tempo di relazioni profittevoli con la clientela,
piuttosto che soltanto sulla chiusura della singola transazione di vendita, ha
influenzato il modo in cui le imprese più dinamiche oggi organizzano le proprie
attività di marketing, favorendo l’affermazione di quello che comunemente viene
definito come ‘marketing relazionale’. Non è un caso che l’American Marketing
Association nel modificare la definizione istituzionale del termine ‘marketing’ nel
2004 abbia voluto inserire la necessità di gestire relazioni tra le attività prevalenti nel
marketing.
Per marketing relazionale si può intendere: ‘quel complesso di attività, processi e
strumenti di marketing, finalizzato a creare, consolidare e sviluppare, relazioni
durature e profittevoli con i clienti e gli altri partners, in grado di accrescere il valore
singolarmente e complessivamente generato’.
Il marketing relazionale ha conosciuto un’evoluzione graduale nel corso degli anni,
anche in coerenza con le esigenze strategiche espresse dalle imprese. In particolare,
si è passati da offerte rivolte quasi indistintamente alla massa dei clienti, a situazioni
dove, grazie anche alle potenzialità delle tecnologie interattive, si commercializzano
proposte personalizzate anche su larga scala (in questi casi si parla di mass
customization). E’ evidente che il marketing relazionale non si è diffuso alla stessa
maniera e con la stessa intensità in tutti i settori merceologici e in tutti i mercati
geografici. Oggi si registrano settori industriali dove le imprese operano quasi
esclusivamente con le logiche del customer relationship management (CRM) e altri
invece dove tali approcci sono pressochè inesistenti. Tra le condizioni che a vario
titolo hanno incentivato un marketing di relazione (rispetto a quello cosiddetto di
conquista) se ne possono rimarcare sicuramente tre:
Caratteristiche dell’offerta. Facendo riferimento alla classica distinzione tra beni
e servizi, si sottolinea che tipicamente le imprese di servizi hanno una maggiore
probabilità di interagire, anche fisicamente presso luoghi di vendita/consumo, con il
cliente finale e addirittura di conoscerne l’anagrafica laddove sia necessario stipulare
un contratto di erogazione (si pensi ad esempio ai servizi telefonici, assicurazioni,
alle public utilities, ai servizi alberghieri, sportivi, ecc.). Tale caratteristica consente
alle imprese di servizi di conoscere direttamente il cliente e quindi di rilevarne, ed
eventualmente di archiviare, tutte le informazioni sui comportamenti di consumo e
sulle esigenze più o meno esplicitamente manifestate. In un’ideale scala di adozione,
17
se i servizi si pongono ai primi posti, i prodotti di largo e generale consumo, invece,
sono quelli che presentano le maggiori difficoltà di interagire con il cliente finale
(mentre rimangono inalterate le opportunità di applicazione se si considerano i clienti
intermedi).
Numerosità della clientela. E’ evidente che la numerosità della clientela,
associata alla complessità del prodotto/servizio commercializzato, potrebbe
rappresentare un ostacolo allo sviluppo della filosofia relazionale, soprattutto in
considerazione della gran mole di dati da dover raccogliere, magari attraverso
un’ampia rete di intermediari, con un gran numero di clienti, potrebbe avere
maggiori difficoltà a elaborare le informazioni e ad arrivare a indicatori di sintesi
validi.
Intensità competitiva e dinamica del mercato. Quando un mercato evidenzia
segnali e tendenze di sviluppo, è piuttosto frequente che le imprese si proiettino ad
acquisire nuovi clienti e a praticare quello che viene identificato come un marketing
di conquista; al contrario, quando il mercato raggiunge una fase di maturità
addirittura di declino, le strategie di marketing sono orientate a consolidare
l’esistente e quindi il focus delle attività si sposta verso un marketing di relazione.
Al di là dell’intensità di adozione di politiche relazionali, le imprese che
riescono a prolungare nel tempo le relazioni con i propri clienti profittevoli, sono
anche quelle che presentano maggiori tassi di crescita della redditività complessiva.
Già a partire dagli anni Novanta, è stato dimostrato, analizzando il reddito medio
per cliente, che la redditività complessiva di un’impresa aumenta quasi
esponenzialmente con l’aumentare della durata delle relazioni che intrattiene con la
propria clientela. L’esistenza di un legame tra la durata delle relazioni e la redditività
complessiva può essere attribuita ad una serie di aspetti, tra cui i più rilevanti
riguardano:
- L’aumento dei ricavi;
- La riduzione dei costi;
- L’incremento delle risorse immateriali.
18
Figura n. 1 – I vantaggi della fedeltà
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
Innanzitutto, va considerato che consolidare la relazione con i clienti, soprattutto
quando quest’ultima si basa su una reciproca soddisfazione, implica una maggiore
disponibilità da parte della clientela ad:
- Indirizzare il proprio portafoglio verso offerte a più alto prezzo o valore
(cosiddetto up selling) oppure
- Ad acquistare soluzioni a più alto margine per l’impresa (cosiddetto trading
up).
Inoltre, in aggiunta a queste due ipotesi, l’impresa può ulteriormente accrescere i
ricavi avendo la possibilità di sviluppare con maggiore efficacia azioni di cross
selling, ovvero proporre al cliente fedele un mix di prodotti/servizi aziendali
aggiuntivi a quelli già acquistati e in tal modo far crescere il valore e i margini
complessivi della relazione.
I maggiori ricavi, o margini, possono derivare anche da una minore presenza di
politiche promozionali o sconti; in particolare, soprattutto in quei mercati dove la
competizione si gioca nel sottrarre clienti dai concorrenti (si pensi, ad esempio, al
mercato della telefonia mobile), i clienti fedeli non necessariamente potrebbero
costituire il target primario di azioni promozionali (sconti) aggressivi, giacchè queste
ultime sono generalmente rivolte all’acquisizione di nuovi clienti.
Anche riguardo i costi ci sono dei vantaggi immediati nel gestire i clienti acquisiti
rispetto alle altre tipologie di clienti. Innanzitutto è stato dimostrato che i costi per
19
mantenere un cliente sono significativamente minori rispetto a quelli necessari per
acquisirne uno nuovo. Inoltre, risulta che anche i costi di promozione sono in genere
più bassi, in quanto le imprese, essendo già note al cliente, possono orientare le
proprie attività di comunicazione verso obiettivi ‘comportamentali’ (e quindi di
stimolo all’acquisto) e ridurre di molto quelle rivolte invece a obiettivi meramente
‘informativi’.
Infine, i clienti fedeli, rispetto a quelli neo-acquisiti, consentono all’impresa anche
altri vantaggi di natura prevalentemente immateriale, la cui quantificazione
economica non sempre risulta immediata e agevole. Innanzitutto, quando un cliente
vive una relazione pienamente soddisfacente con l’impresa fornitrice è abbastanza
probabile che comunichi la propria situazione ad altri clienti, e in tal modo li
incoraggi verso i prodotti aziendali: questo flusso di comunicazione, basato
essenzialmente sul passaparola, se assume una consistenza significativa, potrebbe
contribuire notevolmente al miglioramento dell’immagine aziendale e della
reputazione nei mercati in cui opera l’impresa. Tutto ciò risulta ancora più
significativo, se il processo si attiva attraverso i social network, o tramite quegli
strumenti in grado di connettere facilmente migliaia di potenziali consumatori.
Un altro vantaggio per l’impresa di natura immateriale, riguarda la possibilità di
sviluppare più facilmente soluzioni innovative. Soprattutto quando l’impresa adotta
processi di interconnessione e di coinvolgimento dei clienti nei processi di sviluppo e
miglioramento dei prodotti, in una sorta di mutuo scambio di ruoli, il cliente può
proporre o spingere verso soluzioni migliorative che, in tal modo, incrementano la
propensione all’innovazione e quindi la competitività stessa dell’impresa.
In ultimo, un aspetto non trascurabile riguarda l’effetto della soddisfazione e della
fedeltà della clientela sul clima interno all’impresa e sulla conseguente maggiore
soddisfazione dei dipendenti, soprattutto quelli che operano al front office.
Le imprese, sulla base di indicazioni molto convincenti circa i vantaggi di gestire
relazioni durature con i clienti acquisiti, hanno ormai da anni orientato i propri
investimenti verso programmi e strutture finalizzate alla gestione dei clienti fedeli.
Come anticipato, una delle convinzioni più accreditate sulla base della quale si
intensificano gli investimenti, è quella per cui i clienti fedeli risultano più redditizi
nel lungo periodo.
In realtà non è da escludere, considerato alcune specifiche caratteristiche del mercato
e delle singole imprese, che la fedeltà presenti delle trappole e dei falsi miti. In talune
20
situazioni, infatti, non si può escludere a priori che il costo di gestione di un cliente
fedele, anziché ridursi nel tempo subisca una variazione, anche significativa, in
aumento. Infatti, soprattutto nei mercati B2B, i clienti con maggiore potere
contrattuale potrebbero divenire meno profittevoli se richiedono frequentemente
sconti quantità o monetari e se richiedono, a parità di prezzo, servizi più
personalizzati. Essi infatti, nella consapevolezza del loro alto potere contrattuale (in
quanto clienti fedeli) potrebbero legittimamente cercare di tradurlo in vantaggio
diretto in termini di minor costo complessivo di acquisto. Inoltre, soprattutto se un
cliente ha la possibilità di mettersi in contatto con l’impresa attraverso diversi canali
(cosiddetto approccio multichannel), potrebbe accadere che preferisca spostarsi,
sempre a parità di prezzo, da un canale i cui costi aziendali risultano meno costosi a
uno che richieda maggiori oneri aziendali (anche se probabilmente più performante
per il cliente), e in tal modo rischiando di rendere la sua relazione meno profittevole
nel lungo periodo (ad esempio quando un cliente preferisce l’assistenza di personale
specializzato in un punto vendita rispetto all’assistenza online offerta da un sito web).
Un’altra trappola che può presentarsi nella gestione dei clienti fedeli, riguarda le
aspettative verso il processo di passaparola e di sostegno nei confronti dei prodotti
aziendali. In realtà, non è da escludere che il passaparola generato dai clienti fedeli
risulti più basso rispetto a quello generato dai clienti che hanno un comportamento
d’acquisto poco fedele, ovvero da quelli che pur continuando la relazione con
l’impresa si rivolgono contestualmente anche ad altre imprese concorrenti (in quel
tipico processo noto come ‘fedeltà poligama’). Prendendo le mosse da tali risultati,
Reinartz e Kumar hanno dimostrato che non sempre i clienti più longevi sono quelli
che generano minori costi rispetto a quelli più recenti, così come non è sempre vero
che i clienti fedeli sono disposti ad acquistare ‘pacchetti di prodotti’ (bundle) a prezzi
più elevati. Conseguentemente le imprese devono porre maggiore attenzione ai dati
riguardanti i singoli clienti e magari cercare di stimare il profitto effettivamente
generato da ognuno di essi; tale esigenza risulta ancora più necessaria se si considera
che soltanto una percentuale ridotta di clienti ‘durevoli’ risulta essere realmente
redditizia. L’impresa una volta analizzate le reali opportunità derivanti dalla gestione
delle relazioni, dovrà:
- Focalizzare innanzitutto i suoi sforzi sui clienti realmente convenienti (‘gli
amici veri’);
21
- Convincere i clienti che hanno una relazione non intensa con l’impresa a
consolidare il rapporto nel tempo;
- Tenere sotto controllo la redditività dei clienti impegnativi, sia dal lato dei
costi che dei ricavi;
- Massimizzare le singole transazioni effettuate dai clienti ‘estranei’ o dai
cosiddetti ‘mercenari’.
2.1.1 La raccolta delle informazioni e l’analisi del portafoglio clienti
Con il marketing relazionale si accetta una vera e propria filosofia aziendale, ovvero
quella di porre i clienti acquisiti al centro della gestione dei processi e di attribuire
alla cosiddetta customer loyalty un ruolo preminente nelle strategie di marketing. In
questo contesto, favorite anche da uno sviluppo e da un costo decrescente delle
tecnologie, un numero crescente di imprese è passata da una raccolta e gestione
sporadica e casuale delle informazioni, a una orientata alla rilevazione e
archiviazione sistematica dei dati in tutte le fasi del ciclo d’acquisto, utilizzando
appositi strumenti gestionali denominati customer database o customer information
file. L’aspetto complesso di tali database riguarda la capacità di far confluire una
quantità enorme di dati, provenienti da fonti e contesti diversi, in unico collettore, e
successivamente trasformare i dati in informazioni utili ai marketing manager. Le
fonti da cui estrarre i dati, come è noto, possono essere diverse tra loro, sia in termini
di processi gestionali che di strumentazioni di raccolta impiegate e soprattutto
possono essere sia interne che esterne alla funzione marketing. Senza dubbio, una
delle principali fonti di dati è rappresentata dalla funzione amministrativa-contabile
dell’impresa, considerando che è sempre necessario conoscere i comportamenti e la
situazione economico-finanziaria dei clienti. Tali dati possono essere ulteriormente
integrati con quelli raccolti da altre aree aziendali e in particolare con quelli
provenienti da tutti i servizi di vendita e assistenza al cliente (customer service, call
center, ecc.). Non si trascuri, infine, la possibilità di raccogliere i dati direttamente
dal cliente, spingendolo a compilare moduli di registrazione on e off-line.
L’eterogeneità dei dati se da un lato rappresenta un vantaggio per l’impresa,
dall’altro potrebbe rendere più complessa l’aggregazione, soprattutto quando i dati
presentano caratteristiche tra loro differenti. Proprio per risolvere tale problema, è
piuttosto frequente che le imprese attuino processi avanzati di datawarehousing
(DW) ovvero di integrazione, omogeneizzazione e storicizzazione dei dati elementari
22
interni ed esterni inerenti i singoli clienti. In particolare il datawarehousing deve
essere focalizzato ad includere dati relativi ad un unico soggetto anche se raggruppati
in aree o temi ritenuti di interesse (consumi, vendite, costi, ecc.). Un DW deve essere
inoltre integrato ovvero deve garantire che i dati si presentino come omogenei in
termini di codifica e formato, anche se ovviamente differenziati in termini di
contenuti e aree aziendali; deve essere variante nel tempo cioè idoneo ad includere
non solo i dati correnti ma anche quelli futuri e infine deve essere anche non volatile
cioè in grado di archiviare i dati stabilmente e soprattutto in maniera non alterabile
da persone non autorizzate, come, ad esempio, in presenza di attacchi di
‘hackeraggio’ esterni.
Al fine di rendere quanto più efficace ed efficiente il customer database, è opportuno
che l’impresa trovi il giusto equilibrio tra l’ampiezza e la profondità dei dati: la
prima, in particolare, interessa il numero di fenomeni da monitorare e informazioni
da produrre, mentre la seconda riguarda il livello di dettaglio dei singoli dati dei
clienti da raccogliere. La decisione può risultare complessa soprattutto in quelle
situazioni dove i clienti interagiscono con l’impresa in diversi momenti del ciclo
d’acquisto e soprattutto anche con diversi canali di contatto. Come risulta dal grafico,
il ciclo di relazione può essere caratterizzato da diversi momenti: concettualmente si
parte dalle fasi relative alla conoscenza (awareness) e all’atteggiamento del cliente
nei confronti dei prodotti e delle marche aziendali, e si continua con le fasi più
prettamente comportamentali, quali quelle dell’esperienza d’uso e quella relativa alla
soddisfazione. La relazione solitamente presenta un percorso ciclico laddove, in
presenza di elevati livelli di soddisfazione, il cliente elabora nuovamente le
informazioni relative ai cicli di ri-acquisto e in tal modo crea relazioni basate sulla
fiducia e sulla fedeltà.
23
Figura n. 2 – Le fasi del ciclo di relazione fedeltà-impresa
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
La conoscenza e l’analisi del comportamento dei singoli clienti rappresenta
un’attività fondamentale nell’ambito del marketing relazionale, ai fini di un’efficace
gestione dei processi di acquisizione, fidelizzazione ed, eventuale, recupero dei
clienti. Tramite l’analisi della clientela si vuole poter disporre di informazioni sul
comportamento attuale e atteso dei singoli clienti, ovvero poter conoscere i
prodotti/servizi utilizzati, e stimare la probabilità che il cliente resti fedele nel tempo,
in tal modo accrescendo il valore complessivamente generato. I sistemi di analisi,
denominati anche customer profiling, in altri termini permettono una conoscenza
approfondita dei singoli clienti e rappresentano la base sulla quale formulare e
implementare le strategie di fidelizzazione. Grazie alle attività di profilazione, si
potranno identificare le azioni operative di marketing più efficaci tra quelle
finalizzate all’acquisizione di nuovi clienti e quelle tese alla conservazione di quelli
acquisiti. L’esame dei clienti acquisiti ha come obiettivo ultimo la stima del valore
reale sviluppato dal cliente nel suo ciclo di relazione (cosiddetto customer life-time
value, CLVT) e in tal modo quantificare più efficacemente l’entità degli investimenti
anche in base ai ritorni auspicati. L’analisi dei clienti nel loro complesso, denominata
come analisi del portafoglio clienti, può avvenire attraverso diverse modalità, che
naturalmente prevedono livelli di complessità e di calcolo crescenti e che partono
dall’utilizzo di sistemi di analisi piuttosto semplificati basati sull’uso di un’unica
variabile. Tali sistemi, noti anche come analisi ABC, prevedono come output finale
24
l’identificazione di una sorta di piramide della clientela al cui vertice ricadono in
genere i clienti più redditizi. Qualora si volesse approfondire ulteriormente l’analisi,
si potrebbero utilizzare due variabili e attraverso queste costruire le cosiddette
‘matrici portafoglio clienti’. È possibile prevedere anche l’applicazione di analisi a
tre o più variabili (cosiddette analisi multivariate) che a fronte di una metodologia di
calcolo molto articolata, sono in grado di fornire informazioni più dettagliate sul
valore prospettico e attuale dei clienti presenti nel portafoglio aziendale.
Nell’ambito delle tecniche che prevedono l’uso di una sola variabile per valutare
l’importanza dei clienti presenti nel portafoglio aziendale (cosiddetta analisi ABC),
solitamente la più utilizzata si basa sul calcolo del fatturato generato in un
determinato periodo di tempo. In quest’ottica i clienti vengono classificati in ordine
decrescente in base al fatturato da loro generato; solitamente, si rileva, confermando
il famoso Principio di Pareto, che il 20% della clientela genera l’80% del fatturato
totale. Dall’analisi può risultare che, all’interno della categoria dei clienti ‘top’,
esistono dei clienti diamante che pur rappresentando una minima parte del
portafoglio (circa il 5%) sono in grado di garantire il 20-25% del fatturato
complessivo.
Sebbene da un punto di vista concettuale l’analisi ABC si presenti come una tematica
facilmente comprensibile, ciò che invece può risultare complesso nella sua
applicazione, riguarda la definizione del numero di classi in cui suddividere il
portafoglio e conseguentemente stabilire le soglie di fatturato che distinguono una
classe dall’altra. I metodi di calcolo possono essere diversi e di conseguenza risulta
necessario verificare di volta in volta quale si adatta meglio alle caratteristiche e al
profilo dell’azienda che effettua l’analisi.
L’analisi ABC può essere utilmente integrata affiancando al fatturato anche altre
informazioni, tra cui, innanzitutto, quelle relative ai costi e ai margini di
contribuzione e in tal modo essere in grado di predisporre le cosiddette ‘matrici
portafoglio clienti’, basate appunto sull’uso di due variabili.
La rappresentazione a matrice presenta il primario vantaggio, rispetto al metodo
ABC, di affinare l’analisi e anche di facilitare l’identificazione dei clienti attribuendo
ai diversi quadranti colori e nomi facilmente distinguibili. La criticità, in questo caso,
risiede nella selezione delle variabili da utilizzare in ascissa e ordinata, tra le
innumerevoli basi informative a disposizione dell’impresa e adeguatamente presenti
nel customer database. Anche in questo caso, ogni impresa dovrà classificare i propri
25
clienti selezionando le due variabili ritenute come più qualificanti per il proprio
business; nella figura sono riportate una serie di voci che, opportunamente incrociate,
possono consentire la costruzione di infinite matrici attraverso cui classificare la
clientela aziendale.
Figura n. 3 – Variabili di classificazione dell’importanza della clientela
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
In linea di massima è possibile raggruppare le matrici di analisi della clientela in tre
macro-categorie, ovvero le:
- matrici di analisi della profittabilità dei clienti. Queste matrici si basano
sull’impiego di variabili di natura economica e si prefiggono di identificare
quei clienti che contribuiscono maggiormente alla creazione di un valore
economico (o che al contrario depauperano il capitale aziendale);
- matrici di analisi della situazione competitiva dei clienti. Attraverso queste
matrici si vuole stimare la competitività dei clienti nei loro rispettivi mercati
di riferimento e anche la complessità nel presidiare i rapporti con i clienti,
soprattutto laddove esista una forte concorrenza che si rivolge alla medesima
base di clienti;
- matrici di analisi della relazione con i clienti. La valutazione delle relazioni
con i singoli clienti può essere rappresentata anche con variabili non
necessariamente di natura economica (ad esempio, con il livello di
soddisfazione, il numero di reclami, della facilità gestionale, ecc.), ma che
comunque consentano di esprimere il potenziale comportamento del cliente.
Tra le matrici che nel tempo si sono affermate maggiormente, anche per
effettuare tipologie di clienti rappresentate, vi è sicuramente quella basata sul
26
livello di soddisfazione e fedeltà. In particolare, i clienti rispetto a queste due
variabili relazionali possono essere classificati in quattro tipologie:
- apostoli, ovvero quelli che si dimostrano completamente soddisfatti, sia delle
prestazioni fondamentali che di quelle accessorie e al tempo stesso
manifestano un’assoluta fedeltà nei confronti dell’impresa;
- ostaggi, cioè clienti fortemente insoddisfatti dell’offerta aziendale che,
tuttavia a causa delle scarse alternative d’offerta o per costi di transazione
elevati, continuano la relazione con l’impresa;
- mercenari, cioè coloro che pur manifestando un buon livello di
soddisfazione sono fortemente attratti da altre offerte (caratterizzati in genere
da prezzi più bassi) dimostrando in tal senso un basso livello di affezione nei
confronti dell’impresa;
- terroristi, ovvero clienti profondamente insoddisfatti che avendo alternative
di acquisto abbandonano l’impresa e attivano al tempo stesso un intenso
processo di passaparola negativo.
Figura n. 4 – Tipologie di clienti e relazioni tra la soddisfazione e la fedeltà
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
Un’altra matrice altrettanto efficace, soprattutto quando le informazioni disponibili
ne consentono la costruzione, è quella basata sulle seguenti variabili:
27
- size of wallet (dimensione del portafoglio), ovvero l’ammontare di risorse
che il cliente destina all’acquisto di un determinato bene o servizio. In tal
senso, il cliente può essere classificato come un cosiddetto ‘big spender’ o in
un ‘light spender’ a seconda che il suo budget sia rispettivamente di grandi o
di piccole entità;
- share of wallet (quota di portafoglio), ovvero la quota parte delle spese
relative a un bene/servizio destinate specificamente all’impresa fornitrice che
effettua l’analisi. Si dirà che la quota di portafoglio è elevata se il cliente si
rivolge esclusivamente o quasi all’impresa che effettua l’analisi che nei fatti
diventa l’unica fornitrice del bene/servizio; all’opposto, si avrà una quota
portafoglio estremamente ridotta quando l’impresa che effettua l’analisi
fornisce una quota marginale se confrontata con quella di altre imprese
concorrenti.
In base alla posizione del cliente nella matrice (come mostrato in figura), si
potranno definire le strategie di fidelizzazione più efficaci. Ad esempio, nei
confronti dei clienti ad alta quota di portafoglio ma bassa spesa complessiva (in
basso a destra nella matrice), potrebbe essere funzionale attuare azioni di
fidelizzazione o proposte che incentivino la spesa media (cosiddetto up-selling);
al contrario, nei confronti dei clienti con bassa quota di portafoglio ed elevata
spesa (in alto a sinistra), potrebbe essere utile indirizzare proposte di cross-
selling che siano in grado di incrementare la quota di portafoglio ed erodere in
tal modo quote di vendita alle imprese concorrenti.
28
Figura n. 5 – Matrice di classificazione della clientela in base all’ammontare di spesa
e alla ripartizione tra fornitori
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
Un altro criterio utilizzato per individuare i clienti più strategici è il cosiddetto FRM
(Frequency-Recency-Monetary), che si basa sull’uso di tre variabili:
1. la cosiddetta frequency si riferisce alla frequenza di acquisto imputabile a
uno specifico periodo di tempo;
2. la recency invece è legata all’ultimo acquisto effettuato;
3. la monetary riguarda l’ammontare monetario degli acquisti generato nello
stesso periodo di tempo.
Per arrivare a una stima del potenziale del cliente, sarà innanzitutto necessario
indicizzare le tre variabili che altrimenti non potrebbero essere confrontate
avendo unità di misura differenti (la frequenza ha come unità di misura il
numero di volte, la recency adotta come unità la data di acquisto e la monetary
utilizza una valuta).
In aggiunta all’analisi statica della clientela e alle costruzioni delle matrici o
delle piramidi, l’impresa può eseguire anche un’analisi dinamica e in tal modo
verificare gli spostamenti (cosiddette ‘migrazioni’) che ogni singolo cliente
potrebbe aver effettuato tra un periodo e un altro e soprattutto identificare verso
quale classe è migrato.
In particolare, è possibile individuare, cinque differenti flussi di migrazione
all’interno di un portafoglio clienti (come mostrato in figura):
- tasso di clienti statici, ovvero che restano nella classe di partenza;
29
- tasso di clienti in crescita, cioè che migrano verso classi superiori;
- tasso di clienti in calo, cioè che migrano verso classi inferiori;
- tasso di defezione, ovvero di clienti che abbandonano definitivamente
l’impresa;
- tasso di acquisizione, cioè nuovi clienti acquisiti nel periodo.
Figura n. 6 – L’analisi dinamica della clientela
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
La complessità dei fenomeni di acquisto e di consumo da tenere sotto controllo,
nonché l’aumentare della pressione competitiva di numerosi settori industriali, ha
stimolato le imprese nell’individuare nuove e più approfondite modalità di
misurazione della fedeltà della clientela e in generale del valore dei singoli clienti.
Nell’organizzare un quadro sintetico di strumenti o nel costruire un cosiddetto
“cruscotto di monitoraggio” della fedeltà, è necessario che vi sia la chiara
consapevolezza che i singoli indicatori forniscono informazioni parziali e spesso non
comparabili tra loro. In tal senso, la situazione ideale sarebbe quella di predisporre un
sistema formalizzato, basato su misurazioni continuative e sull’uso contestuale di
strumenti di natura e significato diverso. Gli indicatori più frequentemente utilizzati
sono (Iasevoli, 2000; Kumar, 2008): il Customer Retention Rate, l’anzianità media
della clientela, il Churn Rate e la probabilità di riacquisto.
Tra gli indicatori che stimano la fedeltà in termini passati e che si riferiscono al
portafoglio complessivo (o una parte di esso), vi è innanzitutto il Customer Retention
Rate (CRR), che esprime il numero di clienti rimasti fedeli a fine periodo rispetto a
30
quelli che esistevano ad inizio periodo e ai nuovi clienti acquisiti. Nonostante il CRR
sia utile per fornire una chiara visione del portafoglio clienti, questo tasso non offre
indicazioni circa l’importanza dei clienti che hanno abbandonato/continuato la
relazione. Partendo dal CRR è possibile stimare un altro indicatore “passato” della
fedeltà, ovvero “l’anzianità media della clientela”, che identifica la durata media in
anni della relazione (si ottiene sottraendo da 1 il CRR). Un altro indicatore piuttosto
simile al CRR è il cosiddetto Churn Rate ovvero quello che stima il tasso di
abbandono della clientela a favore di uno specifico concorrente; in tal caso,
servendosi anche di apposite matrici definite di “acquisizione-defezione” è possibile
stimare quanta parte della clientela sia migrata verso un concorrente. Analogamente
potrà essere stimato anche il numero dei clienti, rispetto al totale portafoglio, che è
stato acquisito dai concorrenti (Acquisition Rate). Tra gli indicatori che invece
tendono a stimare la fedeltà prospettica è utile introdurre la cosiddetta “Probabilità
attiva” (P-active), ovvero la probabilità che il cliente resti attivo anche nei mesi
successivi. Un indicatore ugualmente finalizzato alla stima della fedeltà futura che si
basa e che si basa sempre sugli acquisti passati è il cosiddetto “Interpurchase Time”,
ovvero il tempo medio che intercorre tra un acquisto e quello successivo. Ogni
singolo cliente può rappresentare una fonte di generazione di valore per l’impresa
che può essere stimata attraverso il calcolo del cosiddetto Customer Life Time Value
(cltv). Una stima piuttosto semplificata del cltv è la seguente: valore medio acquisto
unitario x durata media della relazione.
2.1.2 Gli strumenti orientati alla fidelizzazione
La consapevolezza dell’importanza di gestire efficacemente le relazioni con i clienti
e di controllare e contrastare la crescente mobilità dei clienti nel mercato più
competitivi, ha spinto le imprese nell’individuare e creare nuove azioni di
fidelizzazione che si basassero sul valore generato nel tempo dai singoli clienti.
Al giorno d’oggi, la casistica di strumenti si è indubbiamente arricchita al punto che
si possono effettuare anche delle classificazioni; innanzitutto, gli strumenti
relazionali possono essere utilmente suddivisi in due macro-categorie in base ai
benefici offerti ai clienti (Bhattacharya e Bolton, 2000; Dabholkar, Johnston e
Cathey, 1994):
- Strumenti che offrono prevalentemente benefici di natura economica, come
ad esempio, i servizi aggiuntivi gratuiti, premi o sconti economici;
31
- Strumenti che offrono benefici di natura prevalentemente immateriale e
sociale, come ad esempio le partecipazioni a forum, l’iscrizione a club,
premi per la partecipazione ad eventi, ecc.
Questi stessi strumenti potrebbero essere suddivisi anche in base al momento in cui
viene erogato il beneficio (Dowing e Uncles, 1997), ovvero in strumenti che
forniscono un vantaggio immediato al cliente rispetto a quelli che invece richiedono
un periodo più ampio (ad esempio i programmi fedeltà) prima che il cliente ne possa
ottenere il possesso.
Un’ulteriore classificazione degli strumenti è quella basata sugli obiettivi di gestione
e ottimizzazione delle relazioni coi clienti; in particolare, si possono immaginare tre
differenti categorie:
- Strumenti finalizzati all’allungamento della durata della relazione, che
corrispondono ai tentativi di consolidare la fedeltà e la probabilità che il
cliente continui il più a lungo possibile la relazione con l’impresa;
- Strumenti finalizzati ad estendere l’ampiezza della relazione, che interessano
le modalità per favorire il cosiddetto cross-buying, vale a dire l’acquisto da
parte del cliente di prodotti/servizi aziendali differenti da quelli già utilizzati;
- Strumenti finalizzati ad estendere la profondità della relazione, cioè che
favoriscono una frequenza di uso e di acquisto più intensa o comunque che
riguardano le decisioni di aggiornare o acquistare prodotti premium price
rispetto a quelli di minor costo.
Un’ulteriore classificazione delle azioni di fidelizzazione e di gestione delle
relazioni è quella che distingue gli strumenti in funzione del grado di impatto
organizzativo e della capacità di sfruttare le competenze distintive aziendali
(azioni strategiche o tattiche) e in base alla fase della relazione e alle risposte
attese (azioni pro-attive o reattive). In tal senso si possono identificare quattro
differenti macro-categorie di azioni:
- strategiche proattive, ovvero strumenti che perseguono la finalità di gestire il
cliente soprattutto nelle prime fasi della relazione e ad accrescere il valore
erogato rispetto alla concorrenza (ad esempio welcome call, istruzioni
personalizzate all’uso, strumenti informativi dedicati, ecc.) o a prevenire
problemi o intenzioni di abbandono (customer club, panel, forum clienti,
ecc.) o comunque ad accrescere la percezione e la soddisfazione nei
32
confronti delle prestazioni ricevute (incentivi al riacquisto, iniziative di
member get member, ecc.).
- strategiche-reattive, cioè azioni finalizzate a una gestione tempestiva e
personalizzata di un eventuale problema procurato del cliente; si includono
in questa categoria le azioni di gestione dell’assistenza e dei reclami di
customer service, le operazioni di rifacimento e sostituzione dei prodotti;
- tattiche proattive, cioè azioni finalizzate a ridurre il cosiddetto “attrition”
anche creando barriere al passaggio verso un altro concorrente. In
quest’ultima categoria rientra la maggioranza dei programmi di
fidelizzazione tradizionali, come le iniziative di bundling di prodotto/servizio
o di cliente (si tende a legare fra di loro i clienti appartenenti allo stesso
nucleo familiare, alla stessa azienda, ecc.), o l’innalzamento dei cosiddetti
costi di transazione (penali, vincoli temporali di contratto, ecc.);
- tattiche reattive, di cui fanno parte le classiche azioni di gestione autorevole
di un’eventuale disdetta. Rientrano in questo ambito, ad esempio, le
telefonate o programmi di mailing molto personalizzati tesi sostanzialmente
a ridurre l’insoddisfazione dei clienti e quindi l’eventuale passaparola
negativo o anche quelle azioni finalizzate a recuperare i clienti (cosiddette
azioni win-back) basate sull’offerta di soluzioni più vantaggiose per il
cliente.
Figura n. 7 – Strumenti per la gestione
Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore,
HOEPLI 2013
33
2.2 Le componenti del marketing esperienziale
Negli ultimi anni sono state formulate teorie di marketing che cercano, attraverso
l’offerta di esperienze, di far percepire ai clienti un valore aggiunto connesso con
l’acquisto di beni e servizi. Le imprese, inoltre, investono sempre più
massicciamente nel punto vendita come luogo speciale attraverso il quale l’impresa
può soddisfare i consumatori e differenziarsi dai concorrenti. Secondo Fabris [2003]
ciò è dovuto al fatto che gli individui sono sempre più maturi, esigenti e selettivi nei
consumi e danno per scontato le caratteristiche e i benefit funzionali, la qualità dei
prodotti e una immagine di marca positiva. Secondo Schmitt [1999b] quello che
vogliono sono prodotti, comunicazione e campagne di marketing che tocchino i loro
sensi e il loro cuore e stimolino la loro mente. Vogliono prodotti, comunicazione e
campagne con i quali relazionarsi e che possano incorporare nel loro stile di vita.
Vogliono prodotti, comunicazione e campagne di marketing che forniscano
un’esperienza. Va ricordato inoltre che affianco al mutamento del comportamento
del consumatore si assiste ad crescente saturazione e massificazione dell’offerta di
beni e servizi [Pine e Gilmore, 2000] e della comunicazione, il che rende necessaria
un’azione più decisa, da parte delle imprese, per far percepire e cogliere le proprie
offerte. La coevoluzione del comportamento del consumatore e dell’ambiente
competitivo sembra spingere le imprese alla spettacolarizzazione della marca
[Codeluppi, 2000b] e all’utilizzo di strategie commerciali che “cercano di far
sperimentare al consumatore delle sensazioni fisiche ed emotive durante l’esperienza
con il prodotto e la marca” [Codeluppi, 2001]. In questo contesto trova spazio il
“marketing esperienziale”, che sostiene la necessità, per le imprese, di offrire
esperienze ed emozioni al consumatore per soddisfarlo ed emozionarlo favorendo
così l’acquisto e il consumo del prodotto bene o prodotto servizio “esperienziato”. Il
marketing esperienziale si basa sul presupposto che le scelte del consumatore sono
dettate dall’inconscio, allineandosi così con quanto, da tempo, sostengono i migliori
studiosi delle scienze cognitive: il consumatore non si comporta sempre in modo
razionale, anzi nel processo d’acquisto diventa determinante il fattore emozionale. I
sostenitori del marketing esperienziale ritengono che, in questo modo, il consumatore
torna al centro dell’attenzione: un rivoluzionario ritorno alla mission storica del
marketing. L’approccio più autorevole di “marketing esperienziale” è sicuramente
quello elaborato da Bernd Schmitt [1999a, 1999b, 2003]. Secondo Schmitt, che
prende spunto da concezioni di carattere neurobiologico e psicologico e sulla base
34
del contributo di Steven Pinked egli sottolinea la natura modulare della mente e
sostiene che l’esperienza non debba essere considerata da un punto di vista unitario,
bensì da uno modulare. L’esperienza emerge, quindi, dall’interazione delle distinte
aree funzionali specializzate. Questa considerazione offre, secondo Schmitt una
metafora significativa e una lezione pratica per il marketing esperienziale. Le
esperienze possono essere suddivise in differenti tipologie e provocate da
stimolazioni differenti. Secondo Schmitt [1999a e 1999b] anche nell’ambito dei
consumi, dunque, l’esperienza può essere scomposta in più moduli (tipi di
esperienze). Questo autore elabora allora uno schema concettuale per la stimolazione
di esperienze costituito dal Strategic Experiential Modules (SEMs) [Schmitt, 1999]:
Sense Experiences (SENSE): ha il compito di fornire al consumatore un’esperienza
sensoriale attraverso un coinvolgimento poli-sensoriale: vista, udito, tatto, gusto e
olfatto.
Feel Experiences (FEEL): ha il compito di fornire al consumatore un’esperienza di
tipo affettivo del consumatore con il brand aziendale con l’obiettivo di accrescere la
fedeltà. Per far ciò, l’impresa deve essere in grado di suscitare nell’individuo stati
d’animo, emozioni e sentimenti di varia natura e intensità, ma comunque positivi.
Alcuni autori, parlano in questo caso di marketing emozionale, legato sia al
marketing esperienziale, sia al marketing poli-sensoriale in una sorta di circolo, che
ha come obiettivo finale far vivere un’esperienza al consumatore, quando si trova
nella fase dell’acquisto e del consumo.
Think Experiences (THINK): stimola l’intelletto dell’individuo, attivando esperienze
creative, cognitive e di problem solving.
Act Experiences (ACT): spinge l’individuo a vivere esperienze relative al corpo,
aderire a uno stile di vita e interagire con altri individui. L’obiettivo è arricchire la
vita del consumatore, migliorando le sue esperienze fisiche e mostrandogli modi
alternativi di agire;
Relate Experiences (RELATE): ingloba anche gli aspetti di SENSE, FEEL, THINK e
ACT. Questo modulo mette in relazione l’individuo con un ampio contesto socio-
culturale, stimolando le relazioni sociali che coinvolgono il brand. In questo modo
l’impresa può proporre il proprio brand come nuova base delle relazioni sociali,
portando il consumatore a relazionarsi con gli altri individui attraverso l’acquisto e
l’uso dei propri prodotti. Lo scopo finale è la creazione di una brand community,
nella quale la marca è assunta come centro di organizzazione sociale e il
35
consumatore ricopre un ruolo attivo. Esistono numerosi punti di contatto fra questo
approccio e il tribal marketing.
Per stimolare uno o più moduli, l’impresa deve ricorrere ai fornitori/strumenti o
Experience Provider (Ex-Pro), che costituiscono una sorta di leve esperienziali:
comunicazione; identità visiva/verbale e brand; presentazione del prodotto; co-
branding; luoghi fisici; sito web e nuovi media; persone. Con queste leve o
strumenti/fornitori l’impresa può stimolare uno o più moduli, dando così origine a
diversi tipi di offerta. In particolare, si possono costruire: un’esperienza mono-
modulare, derivante dall’attivazione di un solo modulo; un’esperienza poli-modulare
derivante dall’attivazione di più moduli; un’esperienza olistica, risultante
dall’interazione di tutti i moduli e obiettivo dichiarato dell’marketing esperienziale.
Schmitt fornisce, infine, uno schema concettuale da utilizzare nel processo di
costruzione dell’esperienza: l’Experiential Wheel, che attraverso una
rappresentazione grafica dei moduli e dei collegamenti possibili fra di essi evidenzia
l’ordine consigliato di stimolazione. Il punto di partenza è il Sense, in grado di
attrarre e motivare il consumatore. Si va così dal Feel al Relate attraverso una
crescente complessità di stimolazioni emozionali. In questa logica l’impresa può
scegliere se stimolare i moduli gradualmente, passando da un’esperienza mono-
modulare a una olistica, o contemporaneamente, creando da subito un’esperienza
olistica. Schmitt consiglia di adottare la prima soluzione per sviluppare prodotti già
esistenti e la seconda per lanciare prodotti nuovi. Il secondo strumento manageriale
proposto da Schmitt è l’Experiential Grid (fig. 8). Esso mette in relazione i diversi
moduli e le diverse leve (fornitori/strumenti) e permette, in questo modo, di studiare i
quattro aspetti centrali nella gestione dell’esperienza:
- L’intensità. Si riferisce all’uso di uno specifico Ex-Pro per stimolare uno
specifico SEM. Graficamente, è rappresentato dall’autore all’interno di ogni
cella della griglia. L’impresa deve valutare il giusto livello di stimolazione,
scegliendo se intensificare o moderare la propria offerta;
- La portata. Si riferisce all’uso di più Ex-Pro per stimolare uno stesso SEM.
E’ rappresentabile con una freccia orizzontale che indica la
compartecipazione di più fornitori su uno stesso modulo. L’impresa può,
quindi, stabilire se arricchire o ridurre l’insieme di stimolo che afferiscono
ad uno specifico SEM, utilizzando uno o più Ex-Pro;
36
- La profondità. Si riferisce all’utilizzo di uno stesso Ex-Pro per stimolare più
SEM. E’ rappresentabile con una freccia verticale che indica l’influenza di
un fornitore sui diversi moduli dell’esperienza. L’impresa deve stabilire se
fare agire gli stimoli di uno specifico Ex-Pro su uno o più SEM;
- Il legame. Si riferisce alle relazioni previste fra gli elementi della griglia. E’
rappresentato graficamente con una curva che taglia trasversalmente le celle.
L’impresa deve capire quale relazione creare tra i vari SEM e i vari Ex-Pro,
scegliendo se collegarli o separarli.
Figura n. 8 – La griglia esperienziale
Fonte: Schmitt, 1999
2.2.1 L’evoluzione del rapporto verso un approccio CEM
Negli anni ’90 le aziende hanno man mano riconosciuto l’importanza di “orientarsi
al cliente” e “farsi guidare dal mercato”, invece che restare focalizzati sul prodotto.
Orientarsi al cliente e lasciarsi guidare dal mercato rappresenta l’essenza del
marketing concept. Kotler, noto studioso di marketing, afferma che “il
raggiungimento di obiettivi dell’impresa presuppone la determinazione dei bisogni e
dei desideri dei mercati-obiettivo, nonché il loro soddisfacimento efficace ed
efficiente della concorrenza” (1993, p. 29). Gli studiosi del marketing hanno creato
un modello nel quale le aziende mettono in pratica il marketing concept. Si tratta del
marketing orientation scale, ovvero di una scala di orientamento al mercato. La scala
è composta da venti elementi che le aziende utilizzano per valutare in che misura
esse sono focalizzate sul cliente e sul mercato e comprende tre sotto-componenti:
37
- La produzione delle informazioni: ovvero la raccolta di informazioni
attraverso ricerche di mercato, informazioni sui bisogni dei clienti, ecc.
- La distribuzione delle informazioni: ovvero la diffusione delle informazioni
raccolte;
- La capacità di risposta: l’agire sulla base delle informazioni raccolte per
soddisfare i clienti.
Il marketing tradizionale si focalizzava sul prodotto e sulle vendite. Le azioni di
marketing venivano attuate attraverso le “4 P” focalizzandosi sul prodotto, il
confezionamento, il prezzo, la promozione e la distribuzione.
I clienti venivano visti come semplici decisori razionali, quando invece questi ultimi
acquistano un qualcosa perché vengono guidati da un’emozione.
L’approccio alla customer satisfaction si presenta come orientato al cliente, ma nella
realtà non lo è. Si crede che la soddisfazione del cliente determini la sua fedeltà, ma
in realtà non è così. Ciò che manca a questo approccio è la considerazione di tutte le
dimensioni esperienziali del consumo che interessano al consumatore. Queste
riguardano sia il modo in cui il prodotto fa sentire il cliente, sia le associazioni
emozionali che questi possono avere con lo stesso. Il concetto di soddisfazione è
orientato al risultato. L’esperienza, invece, è orientata al processo. L’esperienza dello
shopping, ad esempio, si focalizza sul design del punto vendita, del personale o come
ci si sente mentre si fanno acquisti. L’esperienza obbliga a prendere in
considerazione i dettagli che determinano infine la soddisfazione. Quest’ultima
differenzierà l’azienda dai concorrenti, esaltandola agli occhi dei clienti.
Il CRM non si focalizza sulla costruzione di relazioni, ma sulle transazioni. Si
focalizza su quelle informazioni che sono importanti per l’impresa ma che solo
occasionalmente aiutano a definire le azioni del cliente, stabilendo raramente un
legame emozionale col cliente.
I tre approcci analizzati (marketing concept, customer satisfaction e CRM)
dimostrano i loro evidenti limiti, distogliendo il manager dal focalizzarsi realmente
sul cliente. Quello di cui i manager hanno bisogno è un approccio che prenda sul
serio il cliente, fornendo una visione totale dell’esperienza di quest’ultimo. Si
permetterebbe così al manager di creare prodotti o servizi che soddisfano
costantemente il cliente, procurando così profitti all’impresa.
Il customer experience management è questo tipo di approccio. È un’idea di
soddisfazione orientata al processo. Prima e dopo la vendita, esso fornisce valore ai
38
clienti trasmettendo informazioni e interazioni che fanno nascere esperienze
irresistibili. Costituisce la fedeltà dei clienti e aggiunge valore all’impresa.
Il CEM inoltre guarda anche all’interno e all’esterno dell’organizzazione, facendo
attenzione all’esperienza del dipendente: per creare nel cliente un’esperienza
piacevole, i dipendenti dovranno essere motivati e competenti nel loro lavoro.
Il marketing esperienziale si basa su quattro aspetti:
- L’esperienza del cliente: queste esperienze si verificano in seguito
all’affrontare o al superare situazioni. Sono stimolazioni indotte ai sensi, alla
mente e uniscono l’azienda e la marca allo stile di vita del cliente.
- L’esame del contesto di consumo: chi adotta il marketing esperienziale crea
sinergie ed è interessato al significato di contesto di consumo. Esaminare
quest’ultimo equivale a concepire un mutamento dell’opportunità di mercato.
Questo tipo di pensiero esamina il significato di uno specifico contesto di
consumo nel suo ampio contesto socio-culturale. Il cliente non valuta ogni
prodotto come un articolo a sé stante ma si domanda in che modo ogni
prodotto rientra nel contesto complessivo di consumo e quali sono le
esperienze fornite dal contesto. Un’altra differenza cruciale è credere che le
opportunità migliori per esercitare un’influenza sulla marca si manifestino
durante il consumo. Queste esperienze sono le determinanti chiave della
soddisfazione e fedeltà del cliente.
- I clienti come animali razionali ed emozionali: per chi adotta il marketing
esperienziale, i clienti agiscono oltre che razionalmente, anche
emozionalmente. Ciò significa che frequentemente i clienti sono guidati
dalle emozioni. Inoltre, è utile pensare ai clienti come animali il cui apparato
fisico e mentale si è evoluto, al fine di risolvere, i problemi affrontati dai loro
antenati. I clienti vogliono essere intrattenuti, sollecitati e coinvolti
emotivamente.
- L’ecletticismo di metodi e strumenti: per chi adotta il marketing
esperienziale i metodi e gli strumenti sono diversi. Il marketing esperienziale
è eclettico. Si deve sfruttare quello che sembra più adatto a ottenere buone
idee, si deve essere esplorativi e in seguito bisogna capire di quanto la
metodologia sia valida e attendibile. Alcuni metodi e strumenti possono
essere analitici e quantitativi, altri più intuitivi, altri ancora verbali e visivi.
In questo caso non c’è un dogma da seguire, ma tutto dipende dall’obiettivo.
39
Il CEM è composto da quattro fasi basilari in cui il manager gode di una certa
flessibilità nell’ordine di implementazione di queste ultime:
- Analizzare il mondo esperienziale del cliente: per i mercati business-to-
consumer, è necessario analizzare il contesto socio-culturale nel quale i
consumatori agiscono, considerando i loro bisogni, desideri e stili di vita. Per
i mercati business-to-business si deve invece analizzare il contesto
industriale, considerando tutte quelle variabili che potrebbero incidere
sull’esperienza dei clienti. Il management deve mettere in relazione le
tendenze generali dello stile di vita e dell’industria con i contesti d’uso e con
la marca.
- Costruire la piattaforma esperienziale: la piattaforma esperienziale è il
punto chiave di collegamento tra la strategia e l’implementazione. Tale
piattaforma include una descrizione, dinamica, multisensoriale e
multidimensionale dell’esperienza desiderata, alla quale ci si riferisce qui
come posizionamento esperienziale. Essa, inoltre, specifica il valore che il
cliente può aspettarsi dal prodotto e culmina in un tema d’implementazione
che coordina le iniziative di marketing e comunicazione.
- Progettare l’esperienza di marca: dopo aver definito la piattaforma
esperienziale, il management deve implementarla nell’esperienza di marca.
Tale esperienza include anzitutto gli attributi esperienziali e l’estetica del
prodotto. Essa fa, inoltre, riferimento al fascino sensoriale e affettivo del
logo, dei codici di marca, del packaging e dei punti di vendita. Infine, a
completare l’esperienza di marca ci sono le immagini e i messaggi
esperienziali presenti nella pubblicità.
- Strutturare la relazione con il cliente: La piattaforma esperienziale deve
essere anche implementata per quanto riguarda le relazioni con il cliente.
Tali relazioni sono dinamiche e interattive e riguardano tutti i tipi di scambio
e di contatto con il cliente. Il contenuto e lo stile di queste relazioni vanno
progettati in modo che il cliente riceva le informazioni e il servizio
desiderati. La progettazione di questi deve incorporare elementi come la
voce, l’atteggiamento e deve garantire una certa consistenza esperienziale
nel corso del tempo e la coerenza tra i vari punti di contatto.
40
2.2.2 L’approccio di Pine & Gilmore
Analizzando i modi in cui un cliente può essere coinvolto nell'esperienza, Pine e
Gilmore (1999) hanno identificato due dimensioni: il livello di partecipazione dei
clienti e il loro coinvolgimento. Il livello di partecipazione può variare da attivo a
passivo. La partecipazione attiva, in cui il consumatore gioca un ruolo chiave ed ha
effetto sulla performance, e la partecipazione passiva, che non ha alcun effetto sulle
prestazioni dell’esperienza. Il tipo di coinvolgimento va dall’assorbimento, in cui il
consumatore è assorbito da un evento o da una performance ma resta passivo
nell’interazione, all’immersione, in cui il consumatore è avvolto con tutti i sensi
nell’esperienza. L'osservazione di un evento è assorbimento, mentre la
partecipazione personale è immersione.
Se si osserva il livello di partecipazione e il tipo di coinvolgimento, quattro domini di
esperienza possono essere identificati (Pine e Gilmore, 1999):
• Intrattenimento: quando il cliente è osservatore passivo che assorbe l'evento
attraverso i sensi;
• Esperienza educativa: quando il cliente assorbe l'evento, ma con partecipazione
attiva;
• Esperienza estetica: quando il cliente è coinvolto nell'evento o ambiente, ma senza
alcun effetto sulla prestazione dell'esperienza;
• Evasione: quando il cliente partecipa attivamente o è coinvolto nell'evento o
nell'ambiente.
Tutti i domini di esperienza, neanche individualmente o in combinazione (ad es.
intrattenimento ed esperienza estetica) possono costituire una specifica esperienza e
le aziende devono considerare tutti i tipi per creare la completa esperienza del
cliente.
41
Figura n. 9 – La mappa di Pine e Gilmore
Fonte: B. Joseph Pine II, James H. Gilmore, L’economia delle esperienze, 2015
2.3 Customer journey
Al giorno d'oggi, i clienti interagiscono con aziende attraverso molti punti di
contatto, durante il tempo trascorso nell'esperienza. La complessità della gestione dei
punti di contatto aumenta il numero crescente di canali e media che sono usati per
l'interazione. Berry, Carbone e Haeckel (2002) descrivono il periodo come "Viaggio
del cliente", dalle aspettative che i clienti hanno prima che l'esperienza inizi, al
momento in cui finisce. Per molto tempo, maggiore attenzione è stata data per
consentire un'esperienza positiva nei punti di contatto. Tuttavia, il percorso del
cliente è molto più critico per le aziende (Lemon and Verhoef, 2016). Si afferma che
oggi il viaggio del cliente è altrettanto importante per il cliente e il prodotto
(Edelman e Singer, 2015). Secondo la ricerca e il lavoro di consulenza svolto da
Rawson, Duncan e Jones (2013), le aziende che hanno sapientemente gestito l'intera
esperienza hanno raggiunto una maggiore soddisfazione del cliente, minore attrito da
parte dei clienti, aumento delle entrate e maggiore soddisfazione dei dipendenti. La
ricerca mostra che le prestazioni del viaggio del cliente hanno una correlazione più
forte del 30-40% con soddisfazione del cliente rispetto alle prestazioni nei punti di
contatto. Il viaggio del cliente può essere mostrato (Figura 10) (Lemon and Verhoef,
2016, p. 77) come processo che si estende oltre il tempo prima dell'acquisto, durante
l’acquisto e il tempo dopo l'acquisto. È un processo iterativo e dinamico.
42
Figura n. 10 – Le fasi del customer journey
Fonte: Lemon e Verhoef, 2016
Nella prima fase, analizzando il processo di acquisto, i bisogni vengono riconosciuti,
vengono richieste le informazioni pertinenti e viene presa una decisione. Questa fase
coinvolge tutti gli aspetti del cliente interagendo con il marchio, la categoria e
l’ambiente. Secondo la letteratura tradizionale del marketing, la fase di pre-acquisto
è caratterizzata da comportamenti come riconoscimento, ricerca e considerazione del
bisogno.
Nella seconda fase, l'acquisto si verifica e include gli aspetti di contatto diretto con il
marchio e il suo ambiente. È caratterizzato da comportamenti come la scelta,
l'ordinazione e il pagamento. Tale fase ha ricevuto una notevole quantità di
attenzione nella letteratura di marketing, che si è concentrata su come le attività del
marketing (ad es. il marketing mix [Kotler and Keller 2015]) e l'ambiente e
l'atmosfera (ad es. il panorama dei servizi [Bitner 1990], l'ambiente di servizio
[Berry, Carbone e Haeckel 2002]) influenzano la decisione di acquisto.
La terza fase include l'uso, il coinvolgimento dopo l'acquisto e le richieste di
servizio. In questa fase, l'interazione con il marchio e l'ambiente dopo l'acquisto è
attivo. Questa fase include comportamenti come utilizzo e consumo, impegno post
acquisto, e richieste di servizio. Simile allo stadio pre-acquisto, teoricamente, questa
fase potrebbe estendersi temporaneamente dall'acquisto fino alla fine della vita del
cliente. In pratica, questa fase copre aspetti dell'esperienza del cliente dopo l'acquisto
43
che si riferiscono in qualche modo al marchio o al prodotto/servizio stesso. Il
prodotto stesso diventa un punto di contatto critico in questo palcoscenico. La ricerca
su questa terza fase si è concentrata sull'esperienza di consumo (ad esempio
Holbrook e Hirschman 1982); recupero del servizio (ad es. Kelley e Davis 1994); e
decisioni per restituire prodotti (ad es. Wood 2001), riacquistare (ad es. Bolton 1998),
o cercare varietà (ad esempio, McAlister e Pessemier 1982), come così come altri
comportamenti non acquisiti come il passaparola e altre forme di coinvolgimento dei
clienti (ad es. Van Doorn et al. 2010). La recente ricerca manageriale ha esteso
questo processo per includere il "ciclo di fidelizzazione" come parte del complesso
percorso decisionale del cliente (ad es. Court et al. 2009), suggerendo che durante la
fase post-acquisto, può verificarsi un trigger che porta alla fedeltà del cliente (tramite
riacquisto e ulteriore impegno) o ricomincia il processo, con il cliente che rientra
nella fase di pre-acquisto e considera le alternative. Le aziende dovrebbero cercare di
comprendere le prospettive dell'azienda e del percorso di acquisto del cliente,
identificando gli aspetti chiave di ogni fase. In secondo luogo, le aziende dovrebbero
iniziare a identificare gli specifici elementi o punti di contatto che si verificano
durante il viaggio. In terzo luogo, le aziende dovrebbero tentare di identificare punti
trigger specifici che portano i clienti a continuare o interrompere l'acquisto.
Figura n. 11 – Touchpoints del customer journey
Fonte: L’esperienza nella prospettiva del customer journey, DISAQ, 2018
Al fine di gestire il viaggio del cliente, è necessario conoscere tutte le fasi
dell’acquisto, gli aspetti chiave di ogni fase, i punti di contatto e gli elementi nei
touchpoints, nonché i luoghi specifici in cui interruzioni o continuazioni del viaggio
del cliente possono verificarsi. Lemon e Verhoef (2016) hanno identificato quattro
tipi di punti di contatto. I primi tipi sono i punti di contatto che appartengono al
marchio e che sono stati creati e gestiti dall'azienda. Questi possono essere i media
44
che controllano il marchio e qualsiasi elemento del marketing mix del marchio. I
secondi tipi sono punti di contatto di proprietà dei partner, che sono stati creati e
gestiti congiuntamente dalla società e dai partner. Questi possono essere partner sotto
forma di agenzie, partner nella distribuzione e simili. Il tipo successivo sono i punti
di contatto di proprietà del cliente come tutte le attività svolte dal cliente e che non
sono sotto l'influenza o il controllo dell'azienda, dei partner o di qualcun altro. Questi
possono essere il riconoscimento dei bisogni o altre decisioni e comportamenti
durante il processo di acquisto. I punti di contatto sociali o esterni significano che ci
sono altri fattori importanti per l’esperienza del cliente. Questi possono essere altri
clienti, amici, famiglia, influenza dei social media e simili. È importante sottolineare
l'importanza delle capacità analitiche dei big data per comprendere e personalizzare
potenzialmente il viaggio del cliente (vedi anche Verhoef, Kooge e Walk 2016;
Wedel e Kannan 2016).
2.4 Il ruolo delle emozioni
Gran parte delle decisioni di acquisto e consumo non sono frutto di una valutazione
consapevole, razionale e logica. Anzi, tutte le volte che ci ritroviamo a fare scelte
siamo inconsciamente coinvolti in una tempesta di emozioni positive o negative ed è
in base a queste che decidiamo di cedere o resistere all’acquisto. Le emozioni
rappresentano una parte essenziale e rappresentano il modo in cui si contestualizza
una scelta d’acquisto. I consumatori, quindi, decidono partendo da quelle
informazioni disponibili e che hanno più pregnanza affettiva ed emotiva.
Oggi, grazie alle ricerche neuroscientifiche, questo passaggio ha segnato un vero e
proprio cambiamento epocale.
Damasio, neuroscienziato contemporaneo, offre una nuova visione dell’uomo che
decide, inquadrando le emozioni come elementi base del buon funzionamento della
mente.
La ragione non funzionerebbe bene senza le emozioni. Il cervello consapevole
selezionerebbe le informazioni necessarie per una spiegazione razionale delle scelte
emotive e la razionalità agirebbe per trovare, a posteriori, la giustificazione delle
decisioni prese. Damasio, dunque, definisce le emozioni vere e proprie dimensioni
cognitive: i consumatori non sarebbero macchine pensanti che si emozionano, ma
macchine emotive che pensano. È una nuova prospettiva che spiega l’acquisto di
impulso e l’inintenzionalità delle nostre decisioni.
45
La pregnanza affettiva o l’emozione può essere analizzata attraverso le risposte
neuro-psicofisiologiche: come l’attivazione di alcune parti del cervello. L’emozione
è l’insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono indotti in miriadi di
organi, dai terminali delle cellule nervose sotto il controllo di un apposito sistema del
cervello.
Accanto alle tradizionali metodologie si affiancano sempre più strumenti in grado di
analizzare questo substrato biologico. La spiegazione risiede nell’analisi del rapporto
tra il dato in sé, l’organismo nel suo complesso e l’ambiente in cui l’organismo
agisce.
Alla base del neuromarketing, vi sono due elementi caratterizzanti: da una parte la
consapevolezza che le scelte di acquisto sono fatte grazie al sistema adattivo delle
emozioni. Dall’altra la convinzione che i segnali psicofisiologici e neurologici
possano in qualche modo essere registrati, permettendo di arricchire con utili
informazioni gli esiti delle indagini sul consumatore. Queste tecniche di indagine
hanno permesso di mappare il cervello offrendo precise informazioni riguardo le
funzioni cerebrali in merito alle decisioni di acquisto del consumatore.
Alla base delle decisioni degli individui si trova la dimensione soggettiva
dell’esperienza. Questo mondo è ancora in gran parte misterioso e solo recentemente
è stato preso in considerazione grazie allo sviluppo di nuove tecniche. I consumatori
di oggi sono sempre più interessati all’aspetto soggettivo dei prodotti, al punto che la
consistenza materiale è quasi diventata irrilevante. Ci sono due aspetti diversi
dell’esperienza soggettiva: il primo è frutto delle interazioni tra il mondo esterno e le
relazioni intersoggettive, la comunicazione. In secondo luogo, le neuroscienze
reputano che l’esperienza soggettiva sia una proprietà dei neuroni, anche se, per
potersi sviluppare, il cervello richiede un corpo inserito in una rete di relazioni.
Altrettanto sfuggevoli sono le emozioni. Emozioni e sentimenti sono definiti come
stati dell’organismo attivati da strutture biologiche specializzate. I due termini
esprimono la natura duplice del soggetto: da un lato la capacità di compiere azioni e
dall’altro quello di provare soggettivamente qualcosa durante queste azioni.
Dal punto di vista neurologico, le emozioni possono essere viste come ‘stati’ prodotti
da un ‘segnale di rifiuto’, generati da quei particolari stimoli che un essere vivente
deve essere in grado di riconoscere in quanto legati a situazioni critiche per la sua
sopravvivenza. Le emozioni, dunque, dipendono da alcune strutture nervose molto
antiche e specializzate, come l’amigdala e il talamo.
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Digital experience design nel settore bancario

  • 1. 1 DIGITAL EXPERIENCE DESIGN NEL SETTORE BANCARIO PARTE PRIMA - Introduzione e design della ricerca 1. Premessa metodologica ed obiettivi del lavoro Introduzione 3 1.1 La rilevanza del fenomeno oggetto di studio 4 1.2 Il modello del research process 10 1.2.1 Research strategy 10 PARTE SECONDA - Review della letteratura 2. Marketing relazionale e marketing esperienziale Introduzione 12 2.1 La gestione della relazione con i clienti 16 2.1.1 La raccolta delle informazioni e l’analisi del portafoglio clienti 21 2.1.2 Gli strumenti orientati alla fidelizzazione 30 2.2 Le componenti del marketing esperienziale 33 2.2.1 L’evoluzione della relazione verso un approccio CEM 36 2.2.2 L’approccio di Pine e Gilmore 40 2.3 Customer journey 41 2.4 Il ruolo delle emozioni 44 2.4.1 La misurazione delle emozioni 48 2.5 Il nuovo cliente digitale 49 3. Customer experience e neuromarketing in banca Introduzione 52 3.1 Il marketing esperienziale in banca 54 3.1.1 Le componenti della customer experience in banca 60 3.1.2 La mappa di Pine e Gilmore e i bias cognitivi in banca 64 3.2 Le neuroscienze applicate in banca 66 3.2.1 La filiale emozionale di UBI Banca e la realizzazione del concept 71 3.3 Regole per accrescere la user experience digitale delle filiali 75 3.4 Un design innovativo nella banca del futuro 78 4. Gli strumenti digitali per migliorare l’user experience in banca Introduzione 84 4.1 Le tecnologie vocali 88 4.1.1 Swisscard e Spitch: una soluzione congiunta per il customer care 93 4.2 Roboadvisor: la nuova frontiera della consulenza digitale 95 4.3 Chatbot: gli assistenti virtuali del futuro 103 4.3.1 Vantaggi e limitazioni dei chatbot 107 4.4 Il video-banking per migliorare la relazione con il cliente 109 4.4.1 La videocomunicazione per il customer engagement e i servizi online 110 4.5 Gamification: il canale Readì di Banca di Bologna 116 4.6 I protagonisti della nuova filiale evoluta: whatsapp e beacons 120
  • 2. 2 4.6.1 Il Wi-Fi nel retail bancario 123 PARTE TERZA - L’analisi empirica 5. Dalla consulenza tradizionale alla consulenza virtuale tramite chatbot: I casi studio Introduzione 124 5.1 La metodologia di ricerca utilizzata 127 5.1.1 La fase di raccolta dei dati 127 5.1.2 Le variabili analizzate 127 5.2 Campionamento delle implementazioni di chatbot nel settore bancario 127 5.2.1 Erica 127 5.2.2 Luvo 128 5.2.3 Inga 129 5.2.4 Kai 130 5.2.5 BBVA Bot 130 5.2.6 Ada 131 5.2.7 DBS Bot 132 5.2.8 Eno 132 5.2.9 Ceba 134 5.2.10 Wells Fargo Bot 134 5.2.11 Haro e Dori 135 5.2.12 AmEx 135 5.2.13 Coin 136 5.2.14 Ally Assist 137 5.2.15 Clinc 137 5.2.16 Aida 138 5.2.17 Gina 139 5.2.18 Nina 140 5.3 Analisi descrittiva 141 5.4 Analisi comparativa 142 Conclusioni 150 Bibliografia 155 Sitografia 156
  • 3. 3 I. PREMESSA METODOLOGICA ED OBIETTIVI DEL LAVORO Introduzione La digitalizzazione dei processi e i nuovi modelli di servizio hanno portato a grandi cambiamenti nel settore bancario. Già nel 1994, Bill Gates affermava che ‘banking is necessary, banks are not’. L’integrazione fisico-digitale, in una parola “phygital”, sta riscrivendo le regole della customer experience. Siamo passati dalla digitalizzazione come strumento di efficienza alla digitalizzazione come strumento di relazione e valorizzazione della customer base. Oggi per una banca ci sono tutte le premesse per la piena realizzazione del precision banking, ovvero la possibilità di disegnare modelli di servizio su misura in funzione del valore generato dal cliente. IDC prevede che la spesa mondiale relativa ai software di customer experience passerà dai 121 miliardi del 2018 ai 169 miliardi del 2022, con una crescita di circa il 40%. In Europa si attesterà a 47 miliardi di dollari nel 2022, dai 34 del 2018. Basterebbero solo questi numeri per far comprendere le proporzioni di questo fenomeno e quanto la customer experience sia diventata una priorità strategica per la maggior parte delle aziende in diversi settori, dal retail al manifatturiero, dal finanziario alle telco, senza dimenticare il comparto energetico e la sanità. I casi di successo di aziende che stanno investendo in progetti di customer experience sono sempre più frequenti e con risultati tangibili. Ad esempio, il gruppo bancario Santander ha identificato alcune metriche legate alla customer experience come fattori chiave della propria crescita. Ha inserito nel proprio piano strategico l’aumento della percentuale di clienti fidelizzati e l’incremento di clienti digitalizzati che ha raggiunto 25,4 milioni. Il presente lavoro di tesi vuole porre l’attenzione sull’evoluzione della relazione banca-cliente. Il lavoro è suddiviso in tre parti. La prima parte introduce il lavoro ed argomenta sulla sua organizzazione la rilevanza del fenomeno che si è scelto di osservare e le caratteristiche dello scenario di riferimento ed il processo metodologico utilizzato. In questa fase sono stati raccolti alcuni numeri sul digital banking dal report KPMG e dall’Osservatorio sui Contact Center Bancari condotto dall’Ufficio Studi dell’Abi. La seconda parte è invece dedicata alla review della letteratura e si articola in tre capitoli: il primo capitolo si sofferma sulla gestione della relazione coi clienti, l’evoluzione del rapporto verso un approccio CEM e il ruolo delle emozioni quale elemento fondante e connesso al concetto di customer
  • 4. 4 experience. Il secondo capitolo si focalizza sulle componenti della customer experience in banca e l’evoluzione del modello di filiale quale strumento di customer engagement. Il terzo capitolo invece si occupa degli strumenti digitali e le tecnologie che migliorano l’user experience nel settore bancario con particolare focus sul modello di consulenza finanziaria che cambia con la nascita dei robo-advisor. La terza parte è infine dedicata all’analisi dei casi studio di specifiche tecnologie utilizzate in banca, i chatbot, che segnano il passaggio da un’assistenza ai clienti di tipo tradizionale a un’assistenza di tipo virtuale e smart. Ringrazio la Prof.ssa Sorrentino per la sua immensa pazienza, per i suoi indispensabili consigli e per le conoscenze trasmesse durante il percorso di stesura dell’elaborato. Ringrazio infinitamente la mia famiglia, i miei genitori e mio fratello, da sempre i miei punti di riferimento, che mi hanno sostenuto, appoggiando ogni mia decisione, fin dalla scelta del mio percorso di studi. Infine dedico questa tesi a me stesso, ai miei sacrifici e alla mia tenacia che mi hanno permesso di arrivare fin qui. 1.1 La rilevanza del fenomeno oggetto di studio Secondo il Report 2018 di KPMG sul digital banking, in rete sono presenti oggi più di 1,9 miliardi di siti web, 4 miliardi di utenti nel mondo hanno accesso a internet, più del 50% della popolazione globale. Circa 3,7 miliardi di persone navigano in Internet tramite dispositivi mobili e circa 3,2 miliardi sono utenti attivi dei social network. Numeri in costante crescita che disegnano le dimensioni di un fenomeno che sta rivoluzionando il modo di vivere e di comunicare delle persone. Ogni secondo nel mondo vengono inviate circa 2,7 miliardi di email, si effettuano 68 mila ricerche su Google e vengono visualizzati più di 74 mila video su YouTube. Google, Facebook e YouTube sono i siti più visitati dagli utenti di internet e 2,3 miliardi di persone sono utenti attivi di un account Facebook. Una quota sempre più consistente del traffico web è generata attraverso dispositivi mobili, che sono diventati il canale principale di fruizione del web: se nel 2009 la quota di traffico generata da dispositivi mobili era pari allo 0,7%, nel 2018 si attesta al 52,2%. In Italia gli utenti internet sono in costante aumento e hanno raggiunto i 43 milioni nel 2018, con una penetrazione sul totale della popolazione del 73%. Solo il 35% della navigazione in rete in Italia avviene da mobile, una quota ancora nettamente al di sotto della media
  • 5. 5 globale (pari al 52%). I numeri sono in costante crescita, ma l’Italia sconta ancora un certo ritardo in termini di diffusione di internet, di velocità della connessione su rete fissa, di utilizzo dell’e-commerce, nonostante sia tra i primi paesi per penetrazione del mobile nella popolazione. L’Italia, infatti, ha un indice di penetrazione dell’internet banking e del mobile banking nettamente inferiore alla media globale. Secondo dati Eurostat, solo il 31% della popolazione italiana utilizza il web per accedere alla propria banca, un dato ben al di sotto della media europea (51%) e molto limitato se confrontato con esempi virtuosi come i paesi del Nord Europa (dove si raggiungono percentuali prossime al 90%). Con l’utilizzo sempre più diffuso della banca digitale cresce l’esigenza di assistenza via telefono, e-mail, chat e social media: oltre 46 milioni le telefonate in ingresso arrivate ai contact center bancari nel 2018, di cui oltre 27 milioni (il 58,5%) gestite da operatori, in crescita del 6,4% rispetto all’anno precedente. A queste si aggiungono circa 13 milioni di telefonate in uscita. È quanto emerge dalla rilevazione dell’Osservatorio sui Contact Center Bancari condotto da Abi Lab e dall’Ufficio Studi dell’Abi, a cui hanno partecipato 21 contact center bancari, rappresentativi del 70% del settore in termini di sportelli. Sono state gestite inoltre 2,5 milioni di e-mail (+15,3%) e circa 1,6 milioni di chat e video-chat (+27,8%). Inoltre, in linea con gli stili di vita sempre più digitali dei clienti – rileva l’Abi – nell’85% delle banche rispondenti gli operatori di contact center gestiscono anche le interazioni sui social media. Secondo il rapporto, oltre il 90% delle realtà analizzate offre supporto alla clientela nell’utilizzo di internet, mobile banking e trading online. Si mantiene molto forte anche la componente legata ai servizi di assistenza (customer care): l’86% delle realtà è impegnata nella gestione delle lamentele e l’81% nella ricezione e gestione dei solleciti. Tra i servizi bancari erogati dai contact center per i clienti che si identificano con i codici personali, infine, risultano invece particolarmente rilevanti: i bonifici SEPA (per il 71%), i giroconti (67%), i preventivi assicurativi (43%) e i preventivi mutui e finanziamenti (38%). Secondo il Report 2018 di KPMG sul digital banking, la banca tradizionale rimane un punto di riferimento importante per la popolazione italiana, nonostante le banche online stiano progressivamente guadagnando quote di mercato. L’ultima rilevazione mostra, infatti, il sorpasso dei clienti multibancarizzati ibridi (sia di banca tradizionale, sia di banca online), rispetto ai clienti esclusivi di banca tradizionale, che invece si riducono rispetto alle evidenze emerse lo scorso anno. Rimane
  • 6. 6 sostanzialmente stabile e minoritaria la quota di popolazione italiana che sceglie solo una banca online. Nel complesso, l’86% dei rispondenti è cliente di almeno una banca tradizionale, mentre circa il 59% è cliente di almeno una banca online. Il 41% degli intervistati è cliente esclusivo di banca tradizionale e il 14% è cliente solo di banca online. La banca tradizionale è considerata, nella maggior parte dei casi, la banca principale (circa 2 rispondenti su 3), mentre il 33% utilizza prevalentemente la banca online. Le motivazioni che hanno spinto i clienti a scegliere una banca come controparte principale sono in primo luogo l’affidabilità e la percezione di sicurezza del brand. A seguire i rispondenti hanno indicato l’offerta di prodotti e servizi, la disponibilità di canali di contatto remoti o digitali e la prossimità territoriale delle filiali delle banche. Internet e la filiale rimangono i canali più importanti per l’acquisto e la gestione di prodotti e servizi bancari e/o finanziari. Gli altri punti di contatto seguono a grande distanza: con percentuali più contenute i rispondenti hanno indicato il mobile (33%) e gli sportelli ATM (28%). La filiale viene preferita dalla fascia di popolazione over 55, mentre il web è il canale preferito dalla clientela compresa tra i 34 e i 54 anni. Mobile, sportello ATM e Totem ottengono, invece, una preferenza maggiore da parte della popolazione più giovane, compresa tra i 18 e i 34 anni. I clienti bancari stanno progressivamente incrementando l’utilizzo del canale internet, La fascia di popolazione per cui è più diffuso l’utilizzo esclusivo del web è quella compresa tra i 35 e i 54 anni. Parallelamente aumenta la quota dei rispondenti che utilizza l’internet banking da pc, sia per le operazioni informative, sia per quelle dispositive, pari al 18,5% (+2,7% p.p.), mentre si riduce la percentuale di popolazione che utilizza questo canale solo per effettuare le operazioni più semplici (informative e dispositive di base). Da sottolineare che solo il 2,2% degli intervistati dichiara di non utilizzare mai l’internet banking, un valore in costante calo rispetto alle rilevazioni precedenti e prossima allo zero per la fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Il mobile si conferma uno strumento in progressiva crescita. Il 17,7% dei rispondenti ne fa un utilizzo esclusivo per tutte le operazioni, un valore in crescita di 3,3 p.p. rispetto allo scorso anno, mentre il 17,3% lo utilizza per operazioni informative e dispositive (+5,5 p.p.).
  • 7. 7 La filiale rimane fondamentale per effettuare operazioni più complesse, come la sottoscrizione di un mutuo e la risoluzione di eventuali problematiche. La fascia di popolazione tra i 18 e i 34 anni ritiene necessaria la filiale soprattutto per la sottoscrizione di un mutuo, mentre gli over 55 per risolvere le problematiche particolari. La filiale è ritenuta necessaria per la gestione dell’operatività straordinaria e complessa, la consulenza per prodotti di investimento e/o finanziamenti e per il versamento di contanti e assegni. Prosegue il trend di riduzione per le operazioni gestionali/dispositive effettuate in filiale, in particolare per il prelievo di contanti per importi elevati. Si registra, inoltre, un incremento degli intervistati che non ritengono necessaria la filiale per alcun aspetto in particolare. La scelta di una banca online è legata, nella maggior parte dei casi, ad un’offerta dalle condizioni economiche più vantaggiose. A seguire il campione intervistato ha indicato la maggiore comodità nella fruizione dei servizi tramite canale web e mobile. Una quota crescente rispetto alla rilevazione dello scorso anno ha indicato come motivazioni per la scelta di una banca online la fiducia nel marchio e il convincimento a seguito di campagne promozionali, nonché le esperienze negative avute in precedenti rapporti con la banca tradizionale. Gli uomini cercano in misura maggiore la disponibilità di prodotti innovativi, mentre le donne vengono influenzate dal consiglio di amici e parenti e dalle campagne promozionali. Prevalgono le motivazioni ‘pratiche’ (convenienza economica, comodità nella fruizione dei servizi via web/mobile), mentre il carattere innovativo di questa tipologia di banche riveste un ruolo ancora secondario. I giovani sono maggiormente influenzati dal consiglio di amici e parenti e dalla possibilità di fruire dei servizi bancari tramite smartphone, mentre gli over 55 sono più attenti a condizioni economiche e campagne promozionali e sono maggiormente influenzati da esperienze negative avute precedentemente con banche tradizionali. Tra i prodotti innovativi identificati come driver per scegliere una banca online, la maggior parte degli intervistati ha indicato i conti con condizioni economiche favorevoli (tassi agevolati, costi ridotti, remunerazione di investimenti garantiti). A seguire il campione ha indicato il conto deposito online e/o gestibile online, il conto e le funzionalità fruibili in autonomia tramite sistemi di sicurezza evoluti e la disponibilità di prodotti e finanziamenti flessibili. I giovani under 35 sono maggiormente influenzati dall’opportunità di usufruire di conti deposito gestibili
  • 8. 8 online, mentre gli over 35 sono attratti soprattutto dalla possibilità di aprire un conto con condizioni vantaggiose o tassi agevolati. Il web resta il canale più utilizzato per la fruizione dei servizi bancari, ma si conferma il trend di flessione già registrato nel 2016, in particolare, per le operazioni informative (monitoraggio, saldo ed elenco movimenti) e per l’esecuzione delle operazioni dispositive più semplici. Si rafforza la preferenza nei confronti del canale mobile per le operazioni informative e per le operazioni dispositive su prodotti di base, con un effetto di sostituzione nei confronti del canale web, e per l’utilizzo di piattaforme di Personal Financial Management. La filiale mantiene il suo ruolo di supporto per operazioni più complesse e per la consulenza su finanziamenti e investimenti. I contact center hanno guadagnato preferenze da parte della clientela rispetto alla precedente rilevazione, in particolare per la compravendita di prodotti finanziari e la sottoscrizione di prodotti di risparmio, pur mantenendo un ruolo secondario nel rapporto con la clientela. Le chat/video chat sono state indicate da una quota molto limitata di rispondenti e sono utilizzate soprattutto per ottenere servizi di consulenza su finanziamenti ed investimenti. I canali digitali sono utilizzati dagli utenti soprattutto in fase di pre- vendita: il campione dichiara di utilizzare il web, il mobile e i social prevalentemente per ricercare informazioni sul prodotto e per richiedere assistenza. Il mobile banking viene apprezzato soprattutto per la possibilità di operare in tempo reale e in qualunque luogo. A seguire gli intervistati hanno indicato la semplificazione nella gestione dei prodotti, la possibilità di effettuare i pagamenti tramite la tecnologia NFC, la gestione del portafoglio, la possibilità di autorizzare le operazioni dispositive e informative tramite impronta digitale e la possibilità di operare senza carte tramite QR code. La possibilità di personalizzare l’interfaccia viene percepita come uno degli aspetti meno interessanti del mobile banking. Secondo la percezione del campione intervistato, la filiale mantiene un ruolo fondamentale per la gestione di problematiche particolari e per situazioni di emergenza: il 57,9% dei clienti di banca tradizionale indica, infatti, la disponibilità di una rete fisica per gestire le emergenze come driver principale che potrebbe convincerli a scegliere una banca online.
  • 9. 9 A seguire i rispondenti hanno indicato l’esistenza di incentivi come coupon o altri premi e benefici riconosciuti per l’operatività online (45,8%) e la possibilità di usufruire di servizi innovativi (43,2%). La convenienza e il risparmio non sono, invece, elementi sufficienti per indirizzare i clienti verso la scelta di una banca online: solo il 2,1% degli intervistati ha indicato la riduzione dei costi, il risparmio economico e la possibilità di avere un conto a zero spese come motivazione per passare a una banca online. Da evidenziare che solo lo 0,5% del campione esclude a priori l’ipotesi di passare ad una banca online, un valore in calo di 1,5 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Per quanto concerne i servizi innovativi, i clienti di banca tradizionale sono interessati prevalentemente alla possibilità di utilizzare lo smartphone per eseguire pagamenti (tramite la tecnologia NFC) e per trasferire denaro. A seguire i rispondenti hanno indicato come elementi innovativi di interesse la possibilità di effettuare acquisti online tramite l’app della banca e l’opportunità di avere una visione integrata di tutti i rapporti bancari. I giovani under 35 sono maggiormente attratti dalla possibilità di effettuare pagamenti tramite smartphone, sfruttando la tecnologia NFC, e dall’opportunità di trasferire denaro ad amici e parenti in tempo reale. Una campagna commerciale efficace aumenta la propensione degli utenti a diventare un cliente digital. Il 49% dei rispondenti che hanno aperto un conto online, infatti, dichiara di averlo fatto in occasione di una campagna commerciale o promozionale. Il 38,2% di loro dichiara di essere stato notevolmente influenzato dall’operazione commerciale e il 53,3% sostiene di esserne stato sufficientemente persuaso. Il canale principale per veicolare le campagne commerciali è internet (selezionato dal 53,2% dei rispondenti), a seguire gli intervistati hanno indicato la TV (24,3%, in netto calo), parenti, amici e conoscenti (21,1%) e i social network (15,6%). I canali digitali rappresentano quindi un importante veicolo di comunicazione tra istituti bancari e potenziali clienti. Se si analizzano i clienti che hanno almeno una banca online, il web è individuato come il canale preferito per ricevere assistenza. A seguire, ma a notevole distanza, i rispondenti hanno indicato la filiale, l’app e il contact center. L’app della banca continua a guadagnare quote, principalmente a discapito del web e dei contact center. La filiale mantiene il suo ruolo per i clienti che preferiscono ottenere un’assistenza face-to-face, mentre i social network sono ancora scarsamente utilizzati per ricevere assistenza.
  • 10. 10 Il web ottiene una preferenza maggiore da parte della clientela monobancarizzata (72,4%, contro il 52,4% dei rispondenti multibancarizzati), mentre la filiale è utilizzata maggiormente per ricevere assistenza dai clienti di più banche (36,6%, a fronte del 12,4% degli intervistati che hanno rapporti con un’unica banca). Aumenta la preferenza verso l’app della banca per tutti i clienti, ma soprattutto per i rispondenti multibancarizzati. L’analisi delle preferenze relative al canale di assistenza per fascia di ricchezza finanziaria evidenzia alcune differenze tra i diversi cluster: il sito web e la filiale sono preferiti soprattutto dai clienti di fascia alta, mentre la clientela meno abbiente, nella maggior parte dei casi appartenente ad una fascia di età più giovane, manifesta una preferenza maggiore per app, contact center e social network. Il campione dei clienti di almeno una banca online si ritiene soddisfatto del servizio di assistenza ricevuto fino ad oggi. Cresce la percentuale di coloro i quali sono molto soddisfatti dell’assistenza ricevuta dalla banca. La quasi totalità di clienti di una banca online (94% del campione) si dice disposta a rilasciare una valutazione ‘in tempo reale’ circa l’assistenza ricevuta. A seguire gli intervistati hanno selezionato chat-box (26,6%) e instant messaging (26,4%). I giovani under 35 hanno indicato in misura maggiore rispetto alla media chat-box e instant messaging, mentre un over 54 su due vorrebbe ricevere assistenza dalla propria banca attraverso le email. 1.2 Il modello del research process 1.2.1 Research strategy La strategia di ricerca adottata in questo lavoro è lo studio dei casi (Yin, 2009). Una strategia di ricerca basata sullo studio dei casi offre anche l’opportunità di raccogliere dati diversificati, permettendo di rispondere a più obiettivi di ricerca. L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare le funzionalità dei chatbot, quale strumento di customer engagement, implementati su diverse piattaforme. Le keywords digitate su Google per effettuare la ricerca sono state: assistenti virtuali in banca, chatbots banks. I casi sono stati selezionati mediante un’analisi desk effettuata su diversi portali digitali (chatbotguide.org, thefinancialbrand.com, ai4business.it) e dai siti istituzionali delle 18 Banche oggetto di studio (Royal Bank of Scotland, Bank of America, Capital One, ING, Mastercard, BBVA, Diamond
  • 11. 11 Bank, USAA, Commonwealth, Wells Fargo, HSBC, American Express, DBS Singapore, CaixaBank, Ally Bank, SwedBank, SEB, JP Morgan). Nella tabella descrittiva sono stati utilizzati diversi parametri per comparare gli assistenti virtuali utilizzati dalle banche tra cui, il nome della banca, il logo della banca, il Paese di provenienza della banca, il nome del chatbot, l’anno in cui è stato implementato il chatbot e la lingua attraverso cui è possibile interagirvi. Nella tabella comparativa un’analisi più approfondita dei casi mi ha aiutato a comprendere le funzionalità presenti in ogni tecnologia, la tipologia/il driver di chatbot, la modalità di interazione con lo stesso, gli strumenti digitali collegati ad esso ed estratto, infine, i POD (points of difference).
  • 12. 12 II. MARKETING RELAZIONALE E MARKETING ESPERIENZIALE Introduzione Uno sforzo deliberato per studiare i problemi dell'esperienza del cliente può essere fatto risalire alla metà degli anni '80. L'importanza di questo argomento ha acquisito notevole slancio negli ultimi due decenni (Gentile et al., 2007). I motivi sono da un lato positivi: l'esperienza del cliente offre un'opportunità di vantaggio competitivo a lungo termine alle aziende e d'altra parte, si traduce anche nella forma di clienti soddisfatti e fedeli con passaparola positivo, migliore retention e riduzione dei reclami. Secondo la ricerca condotta dalla società di consulenza Gartner (Sorofman, Virzi e Genovese, 2015), la spesa per l'esperienza del cliente è una delle cinque priorità dei principali responsabili del marketing nel prossimo periodo. Sono stati scritti libri di orientamento manageriale su come gestire l'esperienza del cliente (ad es. Schmitt 2003). Una delle prime definizioni dell’esperienza del cliente è stata data da Schmitt (1999, p.60) che dice che “l'esperienza è un evento personale che si presenta come una reazione a determinati stimoli (fornito dagli sforzi del marketing prima e dopo l'acquisto)”. Il cliente è incluso nell'esperienza come essere completo, e l'esperienza è il risultato dell'osservazione diretta e/o partecipazione all'evento, non importa che sia realistico o virtuale. L'esperienza del cliente può anche essere definita come una risposta "interna" e soggettiva dei consumatori ad un qualsiasi contatto diretto o indiretto con un'azienda” (Meyer e Schwager, 2007, p.118). All'inizio, Abbott (1955) e Alderson (1957) si concentrarono sull’idea più ampia che "ciò che le persone desiderano veramente non sono prodotti ma esperienze soddisfacenti” (Abate 1955, p. 40). Perciò, le imprese nel ventunesimo secolo hanno iniziato a prestare attenzione ai servizi basati su un’economia che è basata sull'esperienza (Kim et al., 2011). Dopo materie prime, beni e servizi, le esperienze agiscono come quarta offerta economica per le organizzazioni (Pine e Gilmore, 1998). Pine e Gilmore (1998, p. 3) hanno concettualizzato l'idea di "esperienze" distinte da beni e servizi, osservando che “un consumatore acquista un'esperienza per "trascorrere del tempo godendosi una serie di eventi memorabili che un'azienda organizza ... per coinvolgerlo in un modo intrinsecamente personale”.
  • 13. 13 Altri ricercatori, tuttavia, hanno sostenuto una visione più ampia dell'esperienza del cliente. Schmitt, Brakus e Zarantonello (2015) suggeriscono che ogni scambio di servizi conduce a un'esperienza del cliente, indipendentemente dalla sua natura e forma. Schmitt (2003, p. 17) definisce la gestione dell'esperienza del cliente come il processo di gestione strategica dell’intera esperienza del cliente con un prodotto o un’azienda. Lo stesso Schmitt suddivide la gestione dell'esperienza del cliente in cinque passaggi: (1) analizzare il mondo esperienziale dei clienti, (2) costruzione della piattaforma esperienziale, (3) progettazione dell'esperienza del marchio, (4) strutturare l'esperienza del cliente, e (5) impegnarsi in una continua innovazione. L’esperienza può essere definito come un "episodio soggettivo nella costruzione/trasformazione dell'individuo, con, tuttavia, un'enfasi sulle emozioni e sensi vissuti durante l'immersione nella dimensione cognitiva” (Carù e Cova, 2003, p.273). Una delle definizioni più complete, create come una compilation delle diverse definizioni di altri autori, è stato presentato da Gentile, Spiller e Noci, 2007. Secondo questi autori, ‘l'esperienza del cliente ha origine da una serie di interazioni tra un consumatore e un prodotto, un'azienda, o parte della sua organizzazione, che provoca una reazione’. Questa esperienza è strettamente personale e implica il coinvolgimento del cliente presso diversi livelli (razionale, emotivo, sensoriale, fisico e spirituale). La sua valutazione dipende sul confronto tra le aspettative del cliente e gli stimoli provenienti dall’interazione con l'azienda e la sua offerta in corrispondenza dei diversi momenti di punti di contatto. Più autori orientati alla pratica hanno sottolineato l'importanza della gestione dell'esperienza del cliente tra i punti di contatto dei clienti (ad es. Edelman e Singer 2015; Rawson, Duncan e Jones 2013). Anche questa visione si riflette in uno dei pochi studi accademici sull'argomento (Homburg et al. 2015), che definisce la gestione dell'esperienza del cliente come "le mentalità culturali verso le esperienze dei clienti, le direzioni strategiche per la progettazione delle esperienze dei clienti e solide capacità di rinnovare continuamente l'esperienza del cliente, con l'obiettivo di raggiungere e sostenere a lungo termine la fidelizzazione del cliente "(p. 8). Questa prospettiva espansiva considera l'esperienza del cliente di natura olistica, incorporando le risposte cognitive, emotive, sensoriali, sociali e spirituali a tutte le interazioni con un'azienda (ad es. Bolton et al. 2014; Gentile, Spiller e Noci 2007; Lemke, Clark e Wilson 2011; Verhoef et al. 2009).
  • 14. 14 Le recenti pratiche commerciali hanno anche definito ampiamente l'esperienza del cliente come "che comprende tutti gli aspetti dell’offerta dell'azienda: la qualità dell'assistenza clienti, ovviamente, ma anche pubblicità, packaging, funzionalità di prodotti e servizi, facilità d'uso e affidabilità. Il livello di soddisfazione dei clienti dipende principalmente dalle loro esperienze positive o negative (Meyer e Schwager, 2007). Queste esperienze svolgono un ruolo vitale nel processo decisione di acquisto del cliente (Zeithmal et al., 2011). Il concetto di esperienza del cliente è la risultante che dipende dall'insieme delle interazioni che si verifica tra un cliente e un'organizzazione, che crea una reazione. La valutazione di questa esperienza dipende dal confronto fatto dal cliente tra le sue aspettative e gli stimoli che sorgono dall'interfaccia con l'organizzazione e le sue offerte in associazione con diversi istanti di contatto o punti di contatto (LaSalle e Britton, 2003; Gentile et al., 2007). È interessante notare che alcune aziende (ad es. Oracle) considerano la gestione dell'esperienza del cliente una parte avanzata del CRM. Tuttavia, come discusso da Homburg et al. (2015), la gestione dell'esperienza del cliente differisce dal CRM su molti aspetti e il CRM ha un focus più forte sull'estrazione di valore, mentre la gestione dell'esperienza del cliente enfatizza maggiormente la creazione di valore. De Keyser et al. (2015, p. 23) descrivono l'esperienza del cliente come "composta da elementi cognitivi, emotivi, fisici, sensoriali, spirituali e sociali che contrassegnano l'interazione diretta o indiretta del cliente con (un) altri attori del mercato "- in sostanza, i dati grezzi contenuti in tutte le interazioni dirette o indirette che poi arrivano insieme come esperienza complessiva. Nel complesso, concludiamo quindi che l'esperienza del cliente è un costrutto multidimensionale incentrato su risposte cognitivo, emotivo, comportamentale, sensoriale e sociale di un cliente alle offerte di un'azienda durante l'intero periodo del percorso di acquisto del cliente. Schmitt (1999, p. 61) inoltre presenta il concetto di fornitori esperienziali. I fornitori di esperienze sono: comunicazioni, identità visiva/verbale, presenza del prodotto, co- branding, ambienti speciali, il sito web e media elettronici e le persone. L'esperienza possiede una dimensione temporale, il che significa che il cliente è incluso nell'esperienza nel tempo trascorso. Schmitt (1999) definisce la dimensione temporale dell'esperienza come un periodo di tempo: prima dell'acquisto, durante l'acquisto e dopo l'acquisto. Un'analisi più dettagliata del tempo dell'esperienza è
  • 15. 15 mostrata da Arnoud et al. (2002) e Caru e Cova (2003, p.6). Gli autori elaborano il periodo successivo all'acquisto; pertanto, l'ambito temporale comprende quattro periodi: - L'esperienza prima del consumo che include navigazione, pianificazione, sognare ad occhi aperti, sperare e immaginare l'esperienza; - L'esperienza dell'acquisto che viene dalla scelta, pagamento, imballaggio e contatto con il servizio e l'ambiente. - L’esperienza del consumo che include sentimenti, saturazione, soddisfazione/insoddisfazione, rabbia/indifferenza e trasformazione. - L'esperienza memorizzata di consumo e l'esperienza della nostalgia - l'attivazione delle immagini per ravvivare la precedente esperienza, che si basa su storie e argomenti del passato. Bacca, Carbone e Haeckel (2002) presentano il concetto dell'impressione. L'impressione può essere qualcosa che può essere osservato e sentito, e porta un certo messaggio che suggerisce qualcosa per il cliente. Le aziende devono gestire le impressioni in modo integrato così come per garantire la coesistenza e un effetto che lo farà soddisfare e superare le aspettative. Le impressioni possono essere (Berry, Carbone e Haeckel, 2002; Berry, Wall and Carbone, 2006): • Impressioni funzionali, a cui sono collegate qualità, funzionamento del prodotto; • Impressioni che sono legate alle emozioni e include stimoli dell'ambiente. Questa categoria include le impressioni meccaniche create dall'oggetto e le impressioni umane create dalle persone, dal loro comportamento e aspetto. I moduli esperienziali possono essere: L'esperienza sensoriale, che viene creata attraverso l'effetto di diversi stimoli (luce, suono, gusto, olfatto e consistenza) sui sensi; L'esperienza affettiva che ne deriva la creazione di una gamma di emozioni: da stati d'animo di intensità inferiore a affetti di maggiore intensità; L'esperienza cognitiva, che è il risultato di situazioni cognitive e problematiche che coinvolge in modo creativo i clienti; Esperienza fisica, che è il risultato di arricchimento dell'aspetto fisico della vita del cliente, indicando alternativi modi di svolgere un'attività, alternativi stili di vita e diverse interazioni; L'esperienza relazionale, che è il risultato della connessione, il concetto personale di acquirente con un più ampio contesto sociale e culturale.
  • 16. 16 2.1 La gestione della relazione con i clienti L’enfasi sul mantenimento nel tempo di relazioni profittevoli con la clientela, piuttosto che soltanto sulla chiusura della singola transazione di vendita, ha influenzato il modo in cui le imprese più dinamiche oggi organizzano le proprie attività di marketing, favorendo l’affermazione di quello che comunemente viene definito come ‘marketing relazionale’. Non è un caso che l’American Marketing Association nel modificare la definizione istituzionale del termine ‘marketing’ nel 2004 abbia voluto inserire la necessità di gestire relazioni tra le attività prevalenti nel marketing. Per marketing relazionale si può intendere: ‘quel complesso di attività, processi e strumenti di marketing, finalizzato a creare, consolidare e sviluppare, relazioni durature e profittevoli con i clienti e gli altri partners, in grado di accrescere il valore singolarmente e complessivamente generato’. Il marketing relazionale ha conosciuto un’evoluzione graduale nel corso degli anni, anche in coerenza con le esigenze strategiche espresse dalle imprese. In particolare, si è passati da offerte rivolte quasi indistintamente alla massa dei clienti, a situazioni dove, grazie anche alle potenzialità delle tecnologie interattive, si commercializzano proposte personalizzate anche su larga scala (in questi casi si parla di mass customization). E’ evidente che il marketing relazionale non si è diffuso alla stessa maniera e con la stessa intensità in tutti i settori merceologici e in tutti i mercati geografici. Oggi si registrano settori industriali dove le imprese operano quasi esclusivamente con le logiche del customer relationship management (CRM) e altri invece dove tali approcci sono pressochè inesistenti. Tra le condizioni che a vario titolo hanno incentivato un marketing di relazione (rispetto a quello cosiddetto di conquista) se ne possono rimarcare sicuramente tre: Caratteristiche dell’offerta. Facendo riferimento alla classica distinzione tra beni e servizi, si sottolinea che tipicamente le imprese di servizi hanno una maggiore probabilità di interagire, anche fisicamente presso luoghi di vendita/consumo, con il cliente finale e addirittura di conoscerne l’anagrafica laddove sia necessario stipulare un contratto di erogazione (si pensi ad esempio ai servizi telefonici, assicurazioni, alle public utilities, ai servizi alberghieri, sportivi, ecc.). Tale caratteristica consente alle imprese di servizi di conoscere direttamente il cliente e quindi di rilevarne, ed eventualmente di archiviare, tutte le informazioni sui comportamenti di consumo e sulle esigenze più o meno esplicitamente manifestate. In un’ideale scala di adozione,
  • 17. 17 se i servizi si pongono ai primi posti, i prodotti di largo e generale consumo, invece, sono quelli che presentano le maggiori difficoltà di interagire con il cliente finale (mentre rimangono inalterate le opportunità di applicazione se si considerano i clienti intermedi). Numerosità della clientela. E’ evidente che la numerosità della clientela, associata alla complessità del prodotto/servizio commercializzato, potrebbe rappresentare un ostacolo allo sviluppo della filosofia relazionale, soprattutto in considerazione della gran mole di dati da dover raccogliere, magari attraverso un’ampia rete di intermediari, con un gran numero di clienti, potrebbe avere maggiori difficoltà a elaborare le informazioni e ad arrivare a indicatori di sintesi validi. Intensità competitiva e dinamica del mercato. Quando un mercato evidenzia segnali e tendenze di sviluppo, è piuttosto frequente che le imprese si proiettino ad acquisire nuovi clienti e a praticare quello che viene identificato come un marketing di conquista; al contrario, quando il mercato raggiunge una fase di maturità addirittura di declino, le strategie di marketing sono orientate a consolidare l’esistente e quindi il focus delle attività si sposta verso un marketing di relazione. Al di là dell’intensità di adozione di politiche relazionali, le imprese che riescono a prolungare nel tempo le relazioni con i propri clienti profittevoli, sono anche quelle che presentano maggiori tassi di crescita della redditività complessiva. Già a partire dagli anni Novanta, è stato dimostrato, analizzando il reddito medio per cliente, che la redditività complessiva di un’impresa aumenta quasi esponenzialmente con l’aumentare della durata delle relazioni che intrattiene con la propria clientela. L’esistenza di un legame tra la durata delle relazioni e la redditività complessiva può essere attribuita ad una serie di aspetti, tra cui i più rilevanti riguardano: - L’aumento dei ricavi; - La riduzione dei costi; - L’incremento delle risorse immateriali.
  • 18. 18 Figura n. 1 – I vantaggi della fedeltà Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 Innanzitutto, va considerato che consolidare la relazione con i clienti, soprattutto quando quest’ultima si basa su una reciproca soddisfazione, implica una maggiore disponibilità da parte della clientela ad: - Indirizzare il proprio portafoglio verso offerte a più alto prezzo o valore (cosiddetto up selling) oppure - Ad acquistare soluzioni a più alto margine per l’impresa (cosiddetto trading up). Inoltre, in aggiunta a queste due ipotesi, l’impresa può ulteriormente accrescere i ricavi avendo la possibilità di sviluppare con maggiore efficacia azioni di cross selling, ovvero proporre al cliente fedele un mix di prodotti/servizi aziendali aggiuntivi a quelli già acquistati e in tal modo far crescere il valore e i margini complessivi della relazione. I maggiori ricavi, o margini, possono derivare anche da una minore presenza di politiche promozionali o sconti; in particolare, soprattutto in quei mercati dove la competizione si gioca nel sottrarre clienti dai concorrenti (si pensi, ad esempio, al mercato della telefonia mobile), i clienti fedeli non necessariamente potrebbero costituire il target primario di azioni promozionali (sconti) aggressivi, giacchè queste ultime sono generalmente rivolte all’acquisizione di nuovi clienti. Anche riguardo i costi ci sono dei vantaggi immediati nel gestire i clienti acquisiti rispetto alle altre tipologie di clienti. Innanzitutto è stato dimostrato che i costi per
  • 19. 19 mantenere un cliente sono significativamente minori rispetto a quelli necessari per acquisirne uno nuovo. Inoltre, risulta che anche i costi di promozione sono in genere più bassi, in quanto le imprese, essendo già note al cliente, possono orientare le proprie attività di comunicazione verso obiettivi ‘comportamentali’ (e quindi di stimolo all’acquisto) e ridurre di molto quelle rivolte invece a obiettivi meramente ‘informativi’. Infine, i clienti fedeli, rispetto a quelli neo-acquisiti, consentono all’impresa anche altri vantaggi di natura prevalentemente immateriale, la cui quantificazione economica non sempre risulta immediata e agevole. Innanzitutto, quando un cliente vive una relazione pienamente soddisfacente con l’impresa fornitrice è abbastanza probabile che comunichi la propria situazione ad altri clienti, e in tal modo li incoraggi verso i prodotti aziendali: questo flusso di comunicazione, basato essenzialmente sul passaparola, se assume una consistenza significativa, potrebbe contribuire notevolmente al miglioramento dell’immagine aziendale e della reputazione nei mercati in cui opera l’impresa. Tutto ciò risulta ancora più significativo, se il processo si attiva attraverso i social network, o tramite quegli strumenti in grado di connettere facilmente migliaia di potenziali consumatori. Un altro vantaggio per l’impresa di natura immateriale, riguarda la possibilità di sviluppare più facilmente soluzioni innovative. Soprattutto quando l’impresa adotta processi di interconnessione e di coinvolgimento dei clienti nei processi di sviluppo e miglioramento dei prodotti, in una sorta di mutuo scambio di ruoli, il cliente può proporre o spingere verso soluzioni migliorative che, in tal modo, incrementano la propensione all’innovazione e quindi la competitività stessa dell’impresa. In ultimo, un aspetto non trascurabile riguarda l’effetto della soddisfazione e della fedeltà della clientela sul clima interno all’impresa e sulla conseguente maggiore soddisfazione dei dipendenti, soprattutto quelli che operano al front office. Le imprese, sulla base di indicazioni molto convincenti circa i vantaggi di gestire relazioni durature con i clienti acquisiti, hanno ormai da anni orientato i propri investimenti verso programmi e strutture finalizzate alla gestione dei clienti fedeli. Come anticipato, una delle convinzioni più accreditate sulla base della quale si intensificano gli investimenti, è quella per cui i clienti fedeli risultano più redditizi nel lungo periodo. In realtà non è da escludere, considerato alcune specifiche caratteristiche del mercato e delle singole imprese, che la fedeltà presenti delle trappole e dei falsi miti. In talune
  • 20. 20 situazioni, infatti, non si può escludere a priori che il costo di gestione di un cliente fedele, anziché ridursi nel tempo subisca una variazione, anche significativa, in aumento. Infatti, soprattutto nei mercati B2B, i clienti con maggiore potere contrattuale potrebbero divenire meno profittevoli se richiedono frequentemente sconti quantità o monetari e se richiedono, a parità di prezzo, servizi più personalizzati. Essi infatti, nella consapevolezza del loro alto potere contrattuale (in quanto clienti fedeli) potrebbero legittimamente cercare di tradurlo in vantaggio diretto in termini di minor costo complessivo di acquisto. Inoltre, soprattutto se un cliente ha la possibilità di mettersi in contatto con l’impresa attraverso diversi canali (cosiddetto approccio multichannel), potrebbe accadere che preferisca spostarsi, sempre a parità di prezzo, da un canale i cui costi aziendali risultano meno costosi a uno che richieda maggiori oneri aziendali (anche se probabilmente più performante per il cliente), e in tal modo rischiando di rendere la sua relazione meno profittevole nel lungo periodo (ad esempio quando un cliente preferisce l’assistenza di personale specializzato in un punto vendita rispetto all’assistenza online offerta da un sito web). Un’altra trappola che può presentarsi nella gestione dei clienti fedeli, riguarda le aspettative verso il processo di passaparola e di sostegno nei confronti dei prodotti aziendali. In realtà, non è da escludere che il passaparola generato dai clienti fedeli risulti più basso rispetto a quello generato dai clienti che hanno un comportamento d’acquisto poco fedele, ovvero da quelli che pur continuando la relazione con l’impresa si rivolgono contestualmente anche ad altre imprese concorrenti (in quel tipico processo noto come ‘fedeltà poligama’). Prendendo le mosse da tali risultati, Reinartz e Kumar hanno dimostrato che non sempre i clienti più longevi sono quelli che generano minori costi rispetto a quelli più recenti, così come non è sempre vero che i clienti fedeli sono disposti ad acquistare ‘pacchetti di prodotti’ (bundle) a prezzi più elevati. Conseguentemente le imprese devono porre maggiore attenzione ai dati riguardanti i singoli clienti e magari cercare di stimare il profitto effettivamente generato da ognuno di essi; tale esigenza risulta ancora più necessaria se si considera che soltanto una percentuale ridotta di clienti ‘durevoli’ risulta essere realmente redditizia. L’impresa una volta analizzate le reali opportunità derivanti dalla gestione delle relazioni, dovrà: - Focalizzare innanzitutto i suoi sforzi sui clienti realmente convenienti (‘gli amici veri’);
  • 21. 21 - Convincere i clienti che hanno una relazione non intensa con l’impresa a consolidare il rapporto nel tempo; - Tenere sotto controllo la redditività dei clienti impegnativi, sia dal lato dei costi che dei ricavi; - Massimizzare le singole transazioni effettuate dai clienti ‘estranei’ o dai cosiddetti ‘mercenari’. 2.1.1 La raccolta delle informazioni e l’analisi del portafoglio clienti Con il marketing relazionale si accetta una vera e propria filosofia aziendale, ovvero quella di porre i clienti acquisiti al centro della gestione dei processi e di attribuire alla cosiddetta customer loyalty un ruolo preminente nelle strategie di marketing. In questo contesto, favorite anche da uno sviluppo e da un costo decrescente delle tecnologie, un numero crescente di imprese è passata da una raccolta e gestione sporadica e casuale delle informazioni, a una orientata alla rilevazione e archiviazione sistematica dei dati in tutte le fasi del ciclo d’acquisto, utilizzando appositi strumenti gestionali denominati customer database o customer information file. L’aspetto complesso di tali database riguarda la capacità di far confluire una quantità enorme di dati, provenienti da fonti e contesti diversi, in unico collettore, e successivamente trasformare i dati in informazioni utili ai marketing manager. Le fonti da cui estrarre i dati, come è noto, possono essere diverse tra loro, sia in termini di processi gestionali che di strumentazioni di raccolta impiegate e soprattutto possono essere sia interne che esterne alla funzione marketing. Senza dubbio, una delle principali fonti di dati è rappresentata dalla funzione amministrativa-contabile dell’impresa, considerando che è sempre necessario conoscere i comportamenti e la situazione economico-finanziaria dei clienti. Tali dati possono essere ulteriormente integrati con quelli raccolti da altre aree aziendali e in particolare con quelli provenienti da tutti i servizi di vendita e assistenza al cliente (customer service, call center, ecc.). Non si trascuri, infine, la possibilità di raccogliere i dati direttamente dal cliente, spingendolo a compilare moduli di registrazione on e off-line. L’eterogeneità dei dati se da un lato rappresenta un vantaggio per l’impresa, dall’altro potrebbe rendere più complessa l’aggregazione, soprattutto quando i dati presentano caratteristiche tra loro differenti. Proprio per risolvere tale problema, è piuttosto frequente che le imprese attuino processi avanzati di datawarehousing (DW) ovvero di integrazione, omogeneizzazione e storicizzazione dei dati elementari
  • 22. 22 interni ed esterni inerenti i singoli clienti. In particolare il datawarehousing deve essere focalizzato ad includere dati relativi ad un unico soggetto anche se raggruppati in aree o temi ritenuti di interesse (consumi, vendite, costi, ecc.). Un DW deve essere inoltre integrato ovvero deve garantire che i dati si presentino come omogenei in termini di codifica e formato, anche se ovviamente differenziati in termini di contenuti e aree aziendali; deve essere variante nel tempo cioè idoneo ad includere non solo i dati correnti ma anche quelli futuri e infine deve essere anche non volatile cioè in grado di archiviare i dati stabilmente e soprattutto in maniera non alterabile da persone non autorizzate, come, ad esempio, in presenza di attacchi di ‘hackeraggio’ esterni. Al fine di rendere quanto più efficace ed efficiente il customer database, è opportuno che l’impresa trovi il giusto equilibrio tra l’ampiezza e la profondità dei dati: la prima, in particolare, interessa il numero di fenomeni da monitorare e informazioni da produrre, mentre la seconda riguarda il livello di dettaglio dei singoli dati dei clienti da raccogliere. La decisione può risultare complessa soprattutto in quelle situazioni dove i clienti interagiscono con l’impresa in diversi momenti del ciclo d’acquisto e soprattutto anche con diversi canali di contatto. Come risulta dal grafico, il ciclo di relazione può essere caratterizzato da diversi momenti: concettualmente si parte dalle fasi relative alla conoscenza (awareness) e all’atteggiamento del cliente nei confronti dei prodotti e delle marche aziendali, e si continua con le fasi più prettamente comportamentali, quali quelle dell’esperienza d’uso e quella relativa alla soddisfazione. La relazione solitamente presenta un percorso ciclico laddove, in presenza di elevati livelli di soddisfazione, il cliente elabora nuovamente le informazioni relative ai cicli di ri-acquisto e in tal modo crea relazioni basate sulla fiducia e sulla fedeltà.
  • 23. 23 Figura n. 2 – Le fasi del ciclo di relazione fedeltà-impresa Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 La conoscenza e l’analisi del comportamento dei singoli clienti rappresenta un’attività fondamentale nell’ambito del marketing relazionale, ai fini di un’efficace gestione dei processi di acquisizione, fidelizzazione ed, eventuale, recupero dei clienti. Tramite l’analisi della clientela si vuole poter disporre di informazioni sul comportamento attuale e atteso dei singoli clienti, ovvero poter conoscere i prodotti/servizi utilizzati, e stimare la probabilità che il cliente resti fedele nel tempo, in tal modo accrescendo il valore complessivamente generato. I sistemi di analisi, denominati anche customer profiling, in altri termini permettono una conoscenza approfondita dei singoli clienti e rappresentano la base sulla quale formulare e implementare le strategie di fidelizzazione. Grazie alle attività di profilazione, si potranno identificare le azioni operative di marketing più efficaci tra quelle finalizzate all’acquisizione di nuovi clienti e quelle tese alla conservazione di quelli acquisiti. L’esame dei clienti acquisiti ha come obiettivo ultimo la stima del valore reale sviluppato dal cliente nel suo ciclo di relazione (cosiddetto customer life-time value, CLVT) e in tal modo quantificare più efficacemente l’entità degli investimenti anche in base ai ritorni auspicati. L’analisi dei clienti nel loro complesso, denominata come analisi del portafoglio clienti, può avvenire attraverso diverse modalità, che naturalmente prevedono livelli di complessità e di calcolo crescenti e che partono dall’utilizzo di sistemi di analisi piuttosto semplificati basati sull’uso di un’unica variabile. Tali sistemi, noti anche come analisi ABC, prevedono come output finale
  • 24. 24 l’identificazione di una sorta di piramide della clientela al cui vertice ricadono in genere i clienti più redditizi. Qualora si volesse approfondire ulteriormente l’analisi, si potrebbero utilizzare due variabili e attraverso queste costruire le cosiddette ‘matrici portafoglio clienti’. È possibile prevedere anche l’applicazione di analisi a tre o più variabili (cosiddette analisi multivariate) che a fronte di una metodologia di calcolo molto articolata, sono in grado di fornire informazioni più dettagliate sul valore prospettico e attuale dei clienti presenti nel portafoglio aziendale. Nell’ambito delle tecniche che prevedono l’uso di una sola variabile per valutare l’importanza dei clienti presenti nel portafoglio aziendale (cosiddetta analisi ABC), solitamente la più utilizzata si basa sul calcolo del fatturato generato in un determinato periodo di tempo. In quest’ottica i clienti vengono classificati in ordine decrescente in base al fatturato da loro generato; solitamente, si rileva, confermando il famoso Principio di Pareto, che il 20% della clientela genera l’80% del fatturato totale. Dall’analisi può risultare che, all’interno della categoria dei clienti ‘top’, esistono dei clienti diamante che pur rappresentando una minima parte del portafoglio (circa il 5%) sono in grado di garantire il 20-25% del fatturato complessivo. Sebbene da un punto di vista concettuale l’analisi ABC si presenti come una tematica facilmente comprensibile, ciò che invece può risultare complesso nella sua applicazione, riguarda la definizione del numero di classi in cui suddividere il portafoglio e conseguentemente stabilire le soglie di fatturato che distinguono una classe dall’altra. I metodi di calcolo possono essere diversi e di conseguenza risulta necessario verificare di volta in volta quale si adatta meglio alle caratteristiche e al profilo dell’azienda che effettua l’analisi. L’analisi ABC può essere utilmente integrata affiancando al fatturato anche altre informazioni, tra cui, innanzitutto, quelle relative ai costi e ai margini di contribuzione e in tal modo essere in grado di predisporre le cosiddette ‘matrici portafoglio clienti’, basate appunto sull’uso di due variabili. La rappresentazione a matrice presenta il primario vantaggio, rispetto al metodo ABC, di affinare l’analisi e anche di facilitare l’identificazione dei clienti attribuendo ai diversi quadranti colori e nomi facilmente distinguibili. La criticità, in questo caso, risiede nella selezione delle variabili da utilizzare in ascissa e ordinata, tra le innumerevoli basi informative a disposizione dell’impresa e adeguatamente presenti nel customer database. Anche in questo caso, ogni impresa dovrà classificare i propri
  • 25. 25 clienti selezionando le due variabili ritenute come più qualificanti per il proprio business; nella figura sono riportate una serie di voci che, opportunamente incrociate, possono consentire la costruzione di infinite matrici attraverso cui classificare la clientela aziendale. Figura n. 3 – Variabili di classificazione dell’importanza della clientela Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 In linea di massima è possibile raggruppare le matrici di analisi della clientela in tre macro-categorie, ovvero le: - matrici di analisi della profittabilità dei clienti. Queste matrici si basano sull’impiego di variabili di natura economica e si prefiggono di identificare quei clienti che contribuiscono maggiormente alla creazione di un valore economico (o che al contrario depauperano il capitale aziendale); - matrici di analisi della situazione competitiva dei clienti. Attraverso queste matrici si vuole stimare la competitività dei clienti nei loro rispettivi mercati di riferimento e anche la complessità nel presidiare i rapporti con i clienti, soprattutto laddove esista una forte concorrenza che si rivolge alla medesima base di clienti; - matrici di analisi della relazione con i clienti. La valutazione delle relazioni con i singoli clienti può essere rappresentata anche con variabili non necessariamente di natura economica (ad esempio, con il livello di soddisfazione, il numero di reclami, della facilità gestionale, ecc.), ma che comunque consentano di esprimere il potenziale comportamento del cliente. Tra le matrici che nel tempo si sono affermate maggiormente, anche per effettuare tipologie di clienti rappresentate, vi è sicuramente quella basata sul
  • 26. 26 livello di soddisfazione e fedeltà. In particolare, i clienti rispetto a queste due variabili relazionali possono essere classificati in quattro tipologie: - apostoli, ovvero quelli che si dimostrano completamente soddisfatti, sia delle prestazioni fondamentali che di quelle accessorie e al tempo stesso manifestano un’assoluta fedeltà nei confronti dell’impresa; - ostaggi, cioè clienti fortemente insoddisfatti dell’offerta aziendale che, tuttavia a causa delle scarse alternative d’offerta o per costi di transazione elevati, continuano la relazione con l’impresa; - mercenari, cioè coloro che pur manifestando un buon livello di soddisfazione sono fortemente attratti da altre offerte (caratterizzati in genere da prezzi più bassi) dimostrando in tal senso un basso livello di affezione nei confronti dell’impresa; - terroristi, ovvero clienti profondamente insoddisfatti che avendo alternative di acquisto abbandonano l’impresa e attivano al tempo stesso un intenso processo di passaparola negativo. Figura n. 4 – Tipologie di clienti e relazioni tra la soddisfazione e la fedeltà Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 Un’altra matrice altrettanto efficace, soprattutto quando le informazioni disponibili ne consentono la costruzione, è quella basata sulle seguenti variabili:
  • 27. 27 - size of wallet (dimensione del portafoglio), ovvero l’ammontare di risorse che il cliente destina all’acquisto di un determinato bene o servizio. In tal senso, il cliente può essere classificato come un cosiddetto ‘big spender’ o in un ‘light spender’ a seconda che il suo budget sia rispettivamente di grandi o di piccole entità; - share of wallet (quota di portafoglio), ovvero la quota parte delle spese relative a un bene/servizio destinate specificamente all’impresa fornitrice che effettua l’analisi. Si dirà che la quota di portafoglio è elevata se il cliente si rivolge esclusivamente o quasi all’impresa che effettua l’analisi che nei fatti diventa l’unica fornitrice del bene/servizio; all’opposto, si avrà una quota portafoglio estremamente ridotta quando l’impresa che effettua l’analisi fornisce una quota marginale se confrontata con quella di altre imprese concorrenti. In base alla posizione del cliente nella matrice (come mostrato in figura), si potranno definire le strategie di fidelizzazione più efficaci. Ad esempio, nei confronti dei clienti ad alta quota di portafoglio ma bassa spesa complessiva (in basso a destra nella matrice), potrebbe essere funzionale attuare azioni di fidelizzazione o proposte che incentivino la spesa media (cosiddetto up-selling); al contrario, nei confronti dei clienti con bassa quota di portafoglio ed elevata spesa (in alto a sinistra), potrebbe essere utile indirizzare proposte di cross- selling che siano in grado di incrementare la quota di portafoglio ed erodere in tal modo quote di vendita alle imprese concorrenti.
  • 28. 28 Figura n. 5 – Matrice di classificazione della clientela in base all’ammontare di spesa e alla ripartizione tra fornitori Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 Un altro criterio utilizzato per individuare i clienti più strategici è il cosiddetto FRM (Frequency-Recency-Monetary), che si basa sull’uso di tre variabili: 1. la cosiddetta frequency si riferisce alla frequenza di acquisto imputabile a uno specifico periodo di tempo; 2. la recency invece è legata all’ultimo acquisto effettuato; 3. la monetary riguarda l’ammontare monetario degli acquisti generato nello stesso periodo di tempo. Per arrivare a una stima del potenziale del cliente, sarà innanzitutto necessario indicizzare le tre variabili che altrimenti non potrebbero essere confrontate avendo unità di misura differenti (la frequenza ha come unità di misura il numero di volte, la recency adotta come unità la data di acquisto e la monetary utilizza una valuta). In aggiunta all’analisi statica della clientela e alle costruzioni delle matrici o delle piramidi, l’impresa può eseguire anche un’analisi dinamica e in tal modo verificare gli spostamenti (cosiddette ‘migrazioni’) che ogni singolo cliente potrebbe aver effettuato tra un periodo e un altro e soprattutto identificare verso quale classe è migrato. In particolare, è possibile individuare, cinque differenti flussi di migrazione all’interno di un portafoglio clienti (come mostrato in figura): - tasso di clienti statici, ovvero che restano nella classe di partenza;
  • 29. 29 - tasso di clienti in crescita, cioè che migrano verso classi superiori; - tasso di clienti in calo, cioè che migrano verso classi inferiori; - tasso di defezione, ovvero di clienti che abbandonano definitivamente l’impresa; - tasso di acquisizione, cioè nuovi clienti acquisiti nel periodo. Figura n. 6 – L’analisi dinamica della clientela Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013 La complessità dei fenomeni di acquisto e di consumo da tenere sotto controllo, nonché l’aumentare della pressione competitiva di numerosi settori industriali, ha stimolato le imprese nell’individuare nuove e più approfondite modalità di misurazione della fedeltà della clientela e in generale del valore dei singoli clienti. Nell’organizzare un quadro sintetico di strumenti o nel costruire un cosiddetto “cruscotto di monitoraggio” della fedeltà, è necessario che vi sia la chiara consapevolezza che i singoli indicatori forniscono informazioni parziali e spesso non comparabili tra loro. In tal senso, la situazione ideale sarebbe quella di predisporre un sistema formalizzato, basato su misurazioni continuative e sull’uso contestuale di strumenti di natura e significato diverso. Gli indicatori più frequentemente utilizzati sono (Iasevoli, 2000; Kumar, 2008): il Customer Retention Rate, l’anzianità media della clientela, il Churn Rate e la probabilità di riacquisto. Tra gli indicatori che stimano la fedeltà in termini passati e che si riferiscono al portafoglio complessivo (o una parte di esso), vi è innanzitutto il Customer Retention Rate (CRR), che esprime il numero di clienti rimasti fedeli a fine periodo rispetto a
  • 30. 30 quelli che esistevano ad inizio periodo e ai nuovi clienti acquisiti. Nonostante il CRR sia utile per fornire una chiara visione del portafoglio clienti, questo tasso non offre indicazioni circa l’importanza dei clienti che hanno abbandonato/continuato la relazione. Partendo dal CRR è possibile stimare un altro indicatore “passato” della fedeltà, ovvero “l’anzianità media della clientela”, che identifica la durata media in anni della relazione (si ottiene sottraendo da 1 il CRR). Un altro indicatore piuttosto simile al CRR è il cosiddetto Churn Rate ovvero quello che stima il tasso di abbandono della clientela a favore di uno specifico concorrente; in tal caso, servendosi anche di apposite matrici definite di “acquisizione-defezione” è possibile stimare quanta parte della clientela sia migrata verso un concorrente. Analogamente potrà essere stimato anche il numero dei clienti, rispetto al totale portafoglio, che è stato acquisito dai concorrenti (Acquisition Rate). Tra gli indicatori che invece tendono a stimare la fedeltà prospettica è utile introdurre la cosiddetta “Probabilità attiva” (P-active), ovvero la probabilità che il cliente resti attivo anche nei mesi successivi. Un indicatore ugualmente finalizzato alla stima della fedeltà futura che si basa e che si basa sempre sugli acquisti passati è il cosiddetto “Interpurchase Time”, ovvero il tempo medio che intercorre tra un acquisto e quello successivo. Ogni singolo cliente può rappresentare una fonte di generazione di valore per l’impresa che può essere stimata attraverso il calcolo del cosiddetto Customer Life Time Value (cltv). Una stima piuttosto semplificata del cltv è la seguente: valore medio acquisto unitario x durata media della relazione. 2.1.2 Gli strumenti orientati alla fidelizzazione La consapevolezza dell’importanza di gestire efficacemente le relazioni con i clienti e di controllare e contrastare la crescente mobilità dei clienti nel mercato più competitivi, ha spinto le imprese nell’individuare e creare nuove azioni di fidelizzazione che si basassero sul valore generato nel tempo dai singoli clienti. Al giorno d’oggi, la casistica di strumenti si è indubbiamente arricchita al punto che si possono effettuare anche delle classificazioni; innanzitutto, gli strumenti relazionali possono essere utilmente suddivisi in due macro-categorie in base ai benefici offerti ai clienti (Bhattacharya e Bolton, 2000; Dabholkar, Johnston e Cathey, 1994): - Strumenti che offrono prevalentemente benefici di natura economica, come ad esempio, i servizi aggiuntivi gratuiti, premi o sconti economici;
  • 31. 31 - Strumenti che offrono benefici di natura prevalentemente immateriale e sociale, come ad esempio le partecipazioni a forum, l’iscrizione a club, premi per la partecipazione ad eventi, ecc. Questi stessi strumenti potrebbero essere suddivisi anche in base al momento in cui viene erogato il beneficio (Dowing e Uncles, 1997), ovvero in strumenti che forniscono un vantaggio immediato al cliente rispetto a quelli che invece richiedono un periodo più ampio (ad esempio i programmi fedeltà) prima che il cliente ne possa ottenere il possesso. Un’ulteriore classificazione degli strumenti è quella basata sugli obiettivi di gestione e ottimizzazione delle relazioni coi clienti; in particolare, si possono immaginare tre differenti categorie: - Strumenti finalizzati all’allungamento della durata della relazione, che corrispondono ai tentativi di consolidare la fedeltà e la probabilità che il cliente continui il più a lungo possibile la relazione con l’impresa; - Strumenti finalizzati ad estendere l’ampiezza della relazione, che interessano le modalità per favorire il cosiddetto cross-buying, vale a dire l’acquisto da parte del cliente di prodotti/servizi aziendali differenti da quelli già utilizzati; - Strumenti finalizzati ad estendere la profondità della relazione, cioè che favoriscono una frequenza di uso e di acquisto più intensa o comunque che riguardano le decisioni di aggiornare o acquistare prodotti premium price rispetto a quelli di minor costo. Un’ulteriore classificazione delle azioni di fidelizzazione e di gestione delle relazioni è quella che distingue gli strumenti in funzione del grado di impatto organizzativo e della capacità di sfruttare le competenze distintive aziendali (azioni strategiche o tattiche) e in base alla fase della relazione e alle risposte attese (azioni pro-attive o reattive). In tal senso si possono identificare quattro differenti macro-categorie di azioni: - strategiche proattive, ovvero strumenti che perseguono la finalità di gestire il cliente soprattutto nelle prime fasi della relazione e ad accrescere il valore erogato rispetto alla concorrenza (ad esempio welcome call, istruzioni personalizzate all’uso, strumenti informativi dedicati, ecc.) o a prevenire problemi o intenzioni di abbandono (customer club, panel, forum clienti, ecc.) o comunque ad accrescere la percezione e la soddisfazione nei
  • 32. 32 confronti delle prestazioni ricevute (incentivi al riacquisto, iniziative di member get member, ecc.). - strategiche-reattive, cioè azioni finalizzate a una gestione tempestiva e personalizzata di un eventuale problema procurato del cliente; si includono in questa categoria le azioni di gestione dell’assistenza e dei reclami di customer service, le operazioni di rifacimento e sostituzione dei prodotti; - tattiche proattive, cioè azioni finalizzate a ridurre il cosiddetto “attrition” anche creando barriere al passaggio verso un altro concorrente. In quest’ultima categoria rientra la maggioranza dei programmi di fidelizzazione tradizionali, come le iniziative di bundling di prodotto/servizio o di cliente (si tende a legare fra di loro i clienti appartenenti allo stesso nucleo familiare, alla stessa azienda, ecc.), o l’innalzamento dei cosiddetti costi di transazione (penali, vincoli temporali di contratto, ecc.); - tattiche reattive, di cui fanno parte le classiche azioni di gestione autorevole di un’eventuale disdetta. Rientrano in questo ambito, ad esempio, le telefonate o programmi di mailing molto personalizzati tesi sostanzialmente a ridurre l’insoddisfazione dei clienti e quindi l’eventuale passaparola negativo o anche quelle azioni finalizzate a recuperare i clienti (cosiddette azioni win-back) basate sull’offerta di soluzioni più vantaggiose per il cliente. Figura n. 7 – Strumenti per la gestione Fonte: Marketing. Il management orientato al mercato, A. Mattiacci e A. Pastore, HOEPLI 2013
  • 33. 33 2.2 Le componenti del marketing esperienziale Negli ultimi anni sono state formulate teorie di marketing che cercano, attraverso l’offerta di esperienze, di far percepire ai clienti un valore aggiunto connesso con l’acquisto di beni e servizi. Le imprese, inoltre, investono sempre più massicciamente nel punto vendita come luogo speciale attraverso il quale l’impresa può soddisfare i consumatori e differenziarsi dai concorrenti. Secondo Fabris [2003] ciò è dovuto al fatto che gli individui sono sempre più maturi, esigenti e selettivi nei consumi e danno per scontato le caratteristiche e i benefit funzionali, la qualità dei prodotti e una immagine di marca positiva. Secondo Schmitt [1999b] quello che vogliono sono prodotti, comunicazione e campagne di marketing che tocchino i loro sensi e il loro cuore e stimolino la loro mente. Vogliono prodotti, comunicazione e campagne con i quali relazionarsi e che possano incorporare nel loro stile di vita. Vogliono prodotti, comunicazione e campagne di marketing che forniscano un’esperienza. Va ricordato inoltre che affianco al mutamento del comportamento del consumatore si assiste ad crescente saturazione e massificazione dell’offerta di beni e servizi [Pine e Gilmore, 2000] e della comunicazione, il che rende necessaria un’azione più decisa, da parte delle imprese, per far percepire e cogliere le proprie offerte. La coevoluzione del comportamento del consumatore e dell’ambiente competitivo sembra spingere le imprese alla spettacolarizzazione della marca [Codeluppi, 2000b] e all’utilizzo di strategie commerciali che “cercano di far sperimentare al consumatore delle sensazioni fisiche ed emotive durante l’esperienza con il prodotto e la marca” [Codeluppi, 2001]. In questo contesto trova spazio il “marketing esperienziale”, che sostiene la necessità, per le imprese, di offrire esperienze ed emozioni al consumatore per soddisfarlo ed emozionarlo favorendo così l’acquisto e il consumo del prodotto bene o prodotto servizio “esperienziato”. Il marketing esperienziale si basa sul presupposto che le scelte del consumatore sono dettate dall’inconscio, allineandosi così con quanto, da tempo, sostengono i migliori studiosi delle scienze cognitive: il consumatore non si comporta sempre in modo razionale, anzi nel processo d’acquisto diventa determinante il fattore emozionale. I sostenitori del marketing esperienziale ritengono che, in questo modo, il consumatore torna al centro dell’attenzione: un rivoluzionario ritorno alla mission storica del marketing. L’approccio più autorevole di “marketing esperienziale” è sicuramente quello elaborato da Bernd Schmitt [1999a, 1999b, 2003]. Secondo Schmitt, che prende spunto da concezioni di carattere neurobiologico e psicologico e sulla base
  • 34. 34 del contributo di Steven Pinked egli sottolinea la natura modulare della mente e sostiene che l’esperienza non debba essere considerata da un punto di vista unitario, bensì da uno modulare. L’esperienza emerge, quindi, dall’interazione delle distinte aree funzionali specializzate. Questa considerazione offre, secondo Schmitt una metafora significativa e una lezione pratica per il marketing esperienziale. Le esperienze possono essere suddivise in differenti tipologie e provocate da stimolazioni differenti. Secondo Schmitt [1999a e 1999b] anche nell’ambito dei consumi, dunque, l’esperienza può essere scomposta in più moduli (tipi di esperienze). Questo autore elabora allora uno schema concettuale per la stimolazione di esperienze costituito dal Strategic Experiential Modules (SEMs) [Schmitt, 1999]: Sense Experiences (SENSE): ha il compito di fornire al consumatore un’esperienza sensoriale attraverso un coinvolgimento poli-sensoriale: vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Feel Experiences (FEEL): ha il compito di fornire al consumatore un’esperienza di tipo affettivo del consumatore con il brand aziendale con l’obiettivo di accrescere la fedeltà. Per far ciò, l’impresa deve essere in grado di suscitare nell’individuo stati d’animo, emozioni e sentimenti di varia natura e intensità, ma comunque positivi. Alcuni autori, parlano in questo caso di marketing emozionale, legato sia al marketing esperienziale, sia al marketing poli-sensoriale in una sorta di circolo, che ha come obiettivo finale far vivere un’esperienza al consumatore, quando si trova nella fase dell’acquisto e del consumo. Think Experiences (THINK): stimola l’intelletto dell’individuo, attivando esperienze creative, cognitive e di problem solving. Act Experiences (ACT): spinge l’individuo a vivere esperienze relative al corpo, aderire a uno stile di vita e interagire con altri individui. L’obiettivo è arricchire la vita del consumatore, migliorando le sue esperienze fisiche e mostrandogli modi alternativi di agire; Relate Experiences (RELATE): ingloba anche gli aspetti di SENSE, FEEL, THINK e ACT. Questo modulo mette in relazione l’individuo con un ampio contesto socio- culturale, stimolando le relazioni sociali che coinvolgono il brand. In questo modo l’impresa può proporre il proprio brand come nuova base delle relazioni sociali, portando il consumatore a relazionarsi con gli altri individui attraverso l’acquisto e l’uso dei propri prodotti. Lo scopo finale è la creazione di una brand community, nella quale la marca è assunta come centro di organizzazione sociale e il
  • 35. 35 consumatore ricopre un ruolo attivo. Esistono numerosi punti di contatto fra questo approccio e il tribal marketing. Per stimolare uno o più moduli, l’impresa deve ricorrere ai fornitori/strumenti o Experience Provider (Ex-Pro), che costituiscono una sorta di leve esperienziali: comunicazione; identità visiva/verbale e brand; presentazione del prodotto; co- branding; luoghi fisici; sito web e nuovi media; persone. Con queste leve o strumenti/fornitori l’impresa può stimolare uno o più moduli, dando così origine a diversi tipi di offerta. In particolare, si possono costruire: un’esperienza mono- modulare, derivante dall’attivazione di un solo modulo; un’esperienza poli-modulare derivante dall’attivazione di più moduli; un’esperienza olistica, risultante dall’interazione di tutti i moduli e obiettivo dichiarato dell’marketing esperienziale. Schmitt fornisce, infine, uno schema concettuale da utilizzare nel processo di costruzione dell’esperienza: l’Experiential Wheel, che attraverso una rappresentazione grafica dei moduli e dei collegamenti possibili fra di essi evidenzia l’ordine consigliato di stimolazione. Il punto di partenza è il Sense, in grado di attrarre e motivare il consumatore. Si va così dal Feel al Relate attraverso una crescente complessità di stimolazioni emozionali. In questa logica l’impresa può scegliere se stimolare i moduli gradualmente, passando da un’esperienza mono- modulare a una olistica, o contemporaneamente, creando da subito un’esperienza olistica. Schmitt consiglia di adottare la prima soluzione per sviluppare prodotti già esistenti e la seconda per lanciare prodotti nuovi. Il secondo strumento manageriale proposto da Schmitt è l’Experiential Grid (fig. 8). Esso mette in relazione i diversi moduli e le diverse leve (fornitori/strumenti) e permette, in questo modo, di studiare i quattro aspetti centrali nella gestione dell’esperienza: - L’intensità. Si riferisce all’uso di uno specifico Ex-Pro per stimolare uno specifico SEM. Graficamente, è rappresentato dall’autore all’interno di ogni cella della griglia. L’impresa deve valutare il giusto livello di stimolazione, scegliendo se intensificare o moderare la propria offerta; - La portata. Si riferisce all’uso di più Ex-Pro per stimolare uno stesso SEM. E’ rappresentabile con una freccia orizzontale che indica la compartecipazione di più fornitori su uno stesso modulo. L’impresa può, quindi, stabilire se arricchire o ridurre l’insieme di stimolo che afferiscono ad uno specifico SEM, utilizzando uno o più Ex-Pro;
  • 36. 36 - La profondità. Si riferisce all’utilizzo di uno stesso Ex-Pro per stimolare più SEM. E’ rappresentabile con una freccia verticale che indica l’influenza di un fornitore sui diversi moduli dell’esperienza. L’impresa deve stabilire se fare agire gli stimoli di uno specifico Ex-Pro su uno o più SEM; - Il legame. Si riferisce alle relazioni previste fra gli elementi della griglia. E’ rappresentato graficamente con una curva che taglia trasversalmente le celle. L’impresa deve capire quale relazione creare tra i vari SEM e i vari Ex-Pro, scegliendo se collegarli o separarli. Figura n. 8 – La griglia esperienziale Fonte: Schmitt, 1999 2.2.1 L’evoluzione del rapporto verso un approccio CEM Negli anni ’90 le aziende hanno man mano riconosciuto l’importanza di “orientarsi al cliente” e “farsi guidare dal mercato”, invece che restare focalizzati sul prodotto. Orientarsi al cliente e lasciarsi guidare dal mercato rappresenta l’essenza del marketing concept. Kotler, noto studioso di marketing, afferma che “il raggiungimento di obiettivi dell’impresa presuppone la determinazione dei bisogni e dei desideri dei mercati-obiettivo, nonché il loro soddisfacimento efficace ed efficiente della concorrenza” (1993, p. 29). Gli studiosi del marketing hanno creato un modello nel quale le aziende mettono in pratica il marketing concept. Si tratta del marketing orientation scale, ovvero di una scala di orientamento al mercato. La scala è composta da venti elementi che le aziende utilizzano per valutare in che misura esse sono focalizzate sul cliente e sul mercato e comprende tre sotto-componenti:
  • 37. 37 - La produzione delle informazioni: ovvero la raccolta di informazioni attraverso ricerche di mercato, informazioni sui bisogni dei clienti, ecc. - La distribuzione delle informazioni: ovvero la diffusione delle informazioni raccolte; - La capacità di risposta: l’agire sulla base delle informazioni raccolte per soddisfare i clienti. Il marketing tradizionale si focalizzava sul prodotto e sulle vendite. Le azioni di marketing venivano attuate attraverso le “4 P” focalizzandosi sul prodotto, il confezionamento, il prezzo, la promozione e la distribuzione. I clienti venivano visti come semplici decisori razionali, quando invece questi ultimi acquistano un qualcosa perché vengono guidati da un’emozione. L’approccio alla customer satisfaction si presenta come orientato al cliente, ma nella realtà non lo è. Si crede che la soddisfazione del cliente determini la sua fedeltà, ma in realtà non è così. Ciò che manca a questo approccio è la considerazione di tutte le dimensioni esperienziali del consumo che interessano al consumatore. Queste riguardano sia il modo in cui il prodotto fa sentire il cliente, sia le associazioni emozionali che questi possono avere con lo stesso. Il concetto di soddisfazione è orientato al risultato. L’esperienza, invece, è orientata al processo. L’esperienza dello shopping, ad esempio, si focalizza sul design del punto vendita, del personale o come ci si sente mentre si fanno acquisti. L’esperienza obbliga a prendere in considerazione i dettagli che determinano infine la soddisfazione. Quest’ultima differenzierà l’azienda dai concorrenti, esaltandola agli occhi dei clienti. Il CRM non si focalizza sulla costruzione di relazioni, ma sulle transazioni. Si focalizza su quelle informazioni che sono importanti per l’impresa ma che solo occasionalmente aiutano a definire le azioni del cliente, stabilendo raramente un legame emozionale col cliente. I tre approcci analizzati (marketing concept, customer satisfaction e CRM) dimostrano i loro evidenti limiti, distogliendo il manager dal focalizzarsi realmente sul cliente. Quello di cui i manager hanno bisogno è un approccio che prenda sul serio il cliente, fornendo una visione totale dell’esperienza di quest’ultimo. Si permetterebbe così al manager di creare prodotti o servizi che soddisfano costantemente il cliente, procurando così profitti all’impresa. Il customer experience management è questo tipo di approccio. È un’idea di soddisfazione orientata al processo. Prima e dopo la vendita, esso fornisce valore ai
  • 38. 38 clienti trasmettendo informazioni e interazioni che fanno nascere esperienze irresistibili. Costituisce la fedeltà dei clienti e aggiunge valore all’impresa. Il CEM inoltre guarda anche all’interno e all’esterno dell’organizzazione, facendo attenzione all’esperienza del dipendente: per creare nel cliente un’esperienza piacevole, i dipendenti dovranno essere motivati e competenti nel loro lavoro. Il marketing esperienziale si basa su quattro aspetti: - L’esperienza del cliente: queste esperienze si verificano in seguito all’affrontare o al superare situazioni. Sono stimolazioni indotte ai sensi, alla mente e uniscono l’azienda e la marca allo stile di vita del cliente. - L’esame del contesto di consumo: chi adotta il marketing esperienziale crea sinergie ed è interessato al significato di contesto di consumo. Esaminare quest’ultimo equivale a concepire un mutamento dell’opportunità di mercato. Questo tipo di pensiero esamina il significato di uno specifico contesto di consumo nel suo ampio contesto socio-culturale. Il cliente non valuta ogni prodotto come un articolo a sé stante ma si domanda in che modo ogni prodotto rientra nel contesto complessivo di consumo e quali sono le esperienze fornite dal contesto. Un’altra differenza cruciale è credere che le opportunità migliori per esercitare un’influenza sulla marca si manifestino durante il consumo. Queste esperienze sono le determinanti chiave della soddisfazione e fedeltà del cliente. - I clienti come animali razionali ed emozionali: per chi adotta il marketing esperienziale, i clienti agiscono oltre che razionalmente, anche emozionalmente. Ciò significa che frequentemente i clienti sono guidati dalle emozioni. Inoltre, è utile pensare ai clienti come animali il cui apparato fisico e mentale si è evoluto, al fine di risolvere, i problemi affrontati dai loro antenati. I clienti vogliono essere intrattenuti, sollecitati e coinvolti emotivamente. - L’ecletticismo di metodi e strumenti: per chi adotta il marketing esperienziale i metodi e gli strumenti sono diversi. Il marketing esperienziale è eclettico. Si deve sfruttare quello che sembra più adatto a ottenere buone idee, si deve essere esplorativi e in seguito bisogna capire di quanto la metodologia sia valida e attendibile. Alcuni metodi e strumenti possono essere analitici e quantitativi, altri più intuitivi, altri ancora verbali e visivi. In questo caso non c’è un dogma da seguire, ma tutto dipende dall’obiettivo.
  • 39. 39 Il CEM è composto da quattro fasi basilari in cui il manager gode di una certa flessibilità nell’ordine di implementazione di queste ultime: - Analizzare il mondo esperienziale del cliente: per i mercati business-to- consumer, è necessario analizzare il contesto socio-culturale nel quale i consumatori agiscono, considerando i loro bisogni, desideri e stili di vita. Per i mercati business-to-business si deve invece analizzare il contesto industriale, considerando tutte quelle variabili che potrebbero incidere sull’esperienza dei clienti. Il management deve mettere in relazione le tendenze generali dello stile di vita e dell’industria con i contesti d’uso e con la marca. - Costruire la piattaforma esperienziale: la piattaforma esperienziale è il punto chiave di collegamento tra la strategia e l’implementazione. Tale piattaforma include una descrizione, dinamica, multisensoriale e multidimensionale dell’esperienza desiderata, alla quale ci si riferisce qui come posizionamento esperienziale. Essa, inoltre, specifica il valore che il cliente può aspettarsi dal prodotto e culmina in un tema d’implementazione che coordina le iniziative di marketing e comunicazione. - Progettare l’esperienza di marca: dopo aver definito la piattaforma esperienziale, il management deve implementarla nell’esperienza di marca. Tale esperienza include anzitutto gli attributi esperienziali e l’estetica del prodotto. Essa fa, inoltre, riferimento al fascino sensoriale e affettivo del logo, dei codici di marca, del packaging e dei punti di vendita. Infine, a completare l’esperienza di marca ci sono le immagini e i messaggi esperienziali presenti nella pubblicità. - Strutturare la relazione con il cliente: La piattaforma esperienziale deve essere anche implementata per quanto riguarda le relazioni con il cliente. Tali relazioni sono dinamiche e interattive e riguardano tutti i tipi di scambio e di contatto con il cliente. Il contenuto e lo stile di queste relazioni vanno progettati in modo che il cliente riceva le informazioni e il servizio desiderati. La progettazione di questi deve incorporare elementi come la voce, l’atteggiamento e deve garantire una certa consistenza esperienziale nel corso del tempo e la coerenza tra i vari punti di contatto.
  • 40. 40 2.2.2 L’approccio di Pine & Gilmore Analizzando i modi in cui un cliente può essere coinvolto nell'esperienza, Pine e Gilmore (1999) hanno identificato due dimensioni: il livello di partecipazione dei clienti e il loro coinvolgimento. Il livello di partecipazione può variare da attivo a passivo. La partecipazione attiva, in cui il consumatore gioca un ruolo chiave ed ha effetto sulla performance, e la partecipazione passiva, che non ha alcun effetto sulle prestazioni dell’esperienza. Il tipo di coinvolgimento va dall’assorbimento, in cui il consumatore è assorbito da un evento o da una performance ma resta passivo nell’interazione, all’immersione, in cui il consumatore è avvolto con tutti i sensi nell’esperienza. L'osservazione di un evento è assorbimento, mentre la partecipazione personale è immersione. Se si osserva il livello di partecipazione e il tipo di coinvolgimento, quattro domini di esperienza possono essere identificati (Pine e Gilmore, 1999): • Intrattenimento: quando il cliente è osservatore passivo che assorbe l'evento attraverso i sensi; • Esperienza educativa: quando il cliente assorbe l'evento, ma con partecipazione attiva; • Esperienza estetica: quando il cliente è coinvolto nell'evento o ambiente, ma senza alcun effetto sulla prestazione dell'esperienza; • Evasione: quando il cliente partecipa attivamente o è coinvolto nell'evento o nell'ambiente. Tutti i domini di esperienza, neanche individualmente o in combinazione (ad es. intrattenimento ed esperienza estetica) possono costituire una specifica esperienza e le aziende devono considerare tutti i tipi per creare la completa esperienza del cliente.
  • 41. 41 Figura n. 9 – La mappa di Pine e Gilmore Fonte: B. Joseph Pine II, James H. Gilmore, L’economia delle esperienze, 2015 2.3 Customer journey Al giorno d'oggi, i clienti interagiscono con aziende attraverso molti punti di contatto, durante il tempo trascorso nell'esperienza. La complessità della gestione dei punti di contatto aumenta il numero crescente di canali e media che sono usati per l'interazione. Berry, Carbone e Haeckel (2002) descrivono il periodo come "Viaggio del cliente", dalle aspettative che i clienti hanno prima che l'esperienza inizi, al momento in cui finisce. Per molto tempo, maggiore attenzione è stata data per consentire un'esperienza positiva nei punti di contatto. Tuttavia, il percorso del cliente è molto più critico per le aziende (Lemon and Verhoef, 2016). Si afferma che oggi il viaggio del cliente è altrettanto importante per il cliente e il prodotto (Edelman e Singer, 2015). Secondo la ricerca e il lavoro di consulenza svolto da Rawson, Duncan e Jones (2013), le aziende che hanno sapientemente gestito l'intera esperienza hanno raggiunto una maggiore soddisfazione del cliente, minore attrito da parte dei clienti, aumento delle entrate e maggiore soddisfazione dei dipendenti. La ricerca mostra che le prestazioni del viaggio del cliente hanno una correlazione più forte del 30-40% con soddisfazione del cliente rispetto alle prestazioni nei punti di contatto. Il viaggio del cliente può essere mostrato (Figura 10) (Lemon and Verhoef, 2016, p. 77) come processo che si estende oltre il tempo prima dell'acquisto, durante l’acquisto e il tempo dopo l'acquisto. È un processo iterativo e dinamico.
  • 42. 42 Figura n. 10 – Le fasi del customer journey Fonte: Lemon e Verhoef, 2016 Nella prima fase, analizzando il processo di acquisto, i bisogni vengono riconosciuti, vengono richieste le informazioni pertinenti e viene presa una decisione. Questa fase coinvolge tutti gli aspetti del cliente interagendo con il marchio, la categoria e l’ambiente. Secondo la letteratura tradizionale del marketing, la fase di pre-acquisto è caratterizzata da comportamenti come riconoscimento, ricerca e considerazione del bisogno. Nella seconda fase, l'acquisto si verifica e include gli aspetti di contatto diretto con il marchio e il suo ambiente. È caratterizzato da comportamenti come la scelta, l'ordinazione e il pagamento. Tale fase ha ricevuto una notevole quantità di attenzione nella letteratura di marketing, che si è concentrata su come le attività del marketing (ad es. il marketing mix [Kotler and Keller 2015]) e l'ambiente e l'atmosfera (ad es. il panorama dei servizi [Bitner 1990], l'ambiente di servizio [Berry, Carbone e Haeckel 2002]) influenzano la decisione di acquisto. La terza fase include l'uso, il coinvolgimento dopo l'acquisto e le richieste di servizio. In questa fase, l'interazione con il marchio e l'ambiente dopo l'acquisto è attivo. Questa fase include comportamenti come utilizzo e consumo, impegno post acquisto, e richieste di servizio. Simile allo stadio pre-acquisto, teoricamente, questa fase potrebbe estendersi temporaneamente dall'acquisto fino alla fine della vita del cliente. In pratica, questa fase copre aspetti dell'esperienza del cliente dopo l'acquisto
  • 43. 43 che si riferiscono in qualche modo al marchio o al prodotto/servizio stesso. Il prodotto stesso diventa un punto di contatto critico in questo palcoscenico. La ricerca su questa terza fase si è concentrata sull'esperienza di consumo (ad esempio Holbrook e Hirschman 1982); recupero del servizio (ad es. Kelley e Davis 1994); e decisioni per restituire prodotti (ad es. Wood 2001), riacquistare (ad es. Bolton 1998), o cercare varietà (ad esempio, McAlister e Pessemier 1982), come così come altri comportamenti non acquisiti come il passaparola e altre forme di coinvolgimento dei clienti (ad es. Van Doorn et al. 2010). La recente ricerca manageriale ha esteso questo processo per includere il "ciclo di fidelizzazione" come parte del complesso percorso decisionale del cliente (ad es. Court et al. 2009), suggerendo che durante la fase post-acquisto, può verificarsi un trigger che porta alla fedeltà del cliente (tramite riacquisto e ulteriore impegno) o ricomincia il processo, con il cliente che rientra nella fase di pre-acquisto e considera le alternative. Le aziende dovrebbero cercare di comprendere le prospettive dell'azienda e del percorso di acquisto del cliente, identificando gli aspetti chiave di ogni fase. In secondo luogo, le aziende dovrebbero iniziare a identificare gli specifici elementi o punti di contatto che si verificano durante il viaggio. In terzo luogo, le aziende dovrebbero tentare di identificare punti trigger specifici che portano i clienti a continuare o interrompere l'acquisto. Figura n. 11 – Touchpoints del customer journey Fonte: L’esperienza nella prospettiva del customer journey, DISAQ, 2018 Al fine di gestire il viaggio del cliente, è necessario conoscere tutte le fasi dell’acquisto, gli aspetti chiave di ogni fase, i punti di contatto e gli elementi nei touchpoints, nonché i luoghi specifici in cui interruzioni o continuazioni del viaggio del cliente possono verificarsi. Lemon e Verhoef (2016) hanno identificato quattro tipi di punti di contatto. I primi tipi sono i punti di contatto che appartengono al marchio e che sono stati creati e gestiti dall'azienda. Questi possono essere i media
  • 44. 44 che controllano il marchio e qualsiasi elemento del marketing mix del marchio. I secondi tipi sono punti di contatto di proprietà dei partner, che sono stati creati e gestiti congiuntamente dalla società e dai partner. Questi possono essere partner sotto forma di agenzie, partner nella distribuzione e simili. Il tipo successivo sono i punti di contatto di proprietà del cliente come tutte le attività svolte dal cliente e che non sono sotto l'influenza o il controllo dell'azienda, dei partner o di qualcun altro. Questi possono essere il riconoscimento dei bisogni o altre decisioni e comportamenti durante il processo di acquisto. I punti di contatto sociali o esterni significano che ci sono altri fattori importanti per l’esperienza del cliente. Questi possono essere altri clienti, amici, famiglia, influenza dei social media e simili. È importante sottolineare l'importanza delle capacità analitiche dei big data per comprendere e personalizzare potenzialmente il viaggio del cliente (vedi anche Verhoef, Kooge e Walk 2016; Wedel e Kannan 2016). 2.4 Il ruolo delle emozioni Gran parte delle decisioni di acquisto e consumo non sono frutto di una valutazione consapevole, razionale e logica. Anzi, tutte le volte che ci ritroviamo a fare scelte siamo inconsciamente coinvolti in una tempesta di emozioni positive o negative ed è in base a queste che decidiamo di cedere o resistere all’acquisto. Le emozioni rappresentano una parte essenziale e rappresentano il modo in cui si contestualizza una scelta d’acquisto. I consumatori, quindi, decidono partendo da quelle informazioni disponibili e che hanno più pregnanza affettiva ed emotiva. Oggi, grazie alle ricerche neuroscientifiche, questo passaggio ha segnato un vero e proprio cambiamento epocale. Damasio, neuroscienziato contemporaneo, offre una nuova visione dell’uomo che decide, inquadrando le emozioni come elementi base del buon funzionamento della mente. La ragione non funzionerebbe bene senza le emozioni. Il cervello consapevole selezionerebbe le informazioni necessarie per una spiegazione razionale delle scelte emotive e la razionalità agirebbe per trovare, a posteriori, la giustificazione delle decisioni prese. Damasio, dunque, definisce le emozioni vere e proprie dimensioni cognitive: i consumatori non sarebbero macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano. È una nuova prospettiva che spiega l’acquisto di impulso e l’inintenzionalità delle nostre decisioni.
  • 45. 45 La pregnanza affettiva o l’emozione può essere analizzata attraverso le risposte neuro-psicofisiologiche: come l’attivazione di alcune parti del cervello. L’emozione è l’insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono indotti in miriadi di organi, dai terminali delle cellule nervose sotto il controllo di un apposito sistema del cervello. Accanto alle tradizionali metodologie si affiancano sempre più strumenti in grado di analizzare questo substrato biologico. La spiegazione risiede nell’analisi del rapporto tra il dato in sé, l’organismo nel suo complesso e l’ambiente in cui l’organismo agisce. Alla base del neuromarketing, vi sono due elementi caratterizzanti: da una parte la consapevolezza che le scelte di acquisto sono fatte grazie al sistema adattivo delle emozioni. Dall’altra la convinzione che i segnali psicofisiologici e neurologici possano in qualche modo essere registrati, permettendo di arricchire con utili informazioni gli esiti delle indagini sul consumatore. Queste tecniche di indagine hanno permesso di mappare il cervello offrendo precise informazioni riguardo le funzioni cerebrali in merito alle decisioni di acquisto del consumatore. Alla base delle decisioni degli individui si trova la dimensione soggettiva dell’esperienza. Questo mondo è ancora in gran parte misterioso e solo recentemente è stato preso in considerazione grazie allo sviluppo di nuove tecniche. I consumatori di oggi sono sempre più interessati all’aspetto soggettivo dei prodotti, al punto che la consistenza materiale è quasi diventata irrilevante. Ci sono due aspetti diversi dell’esperienza soggettiva: il primo è frutto delle interazioni tra il mondo esterno e le relazioni intersoggettive, la comunicazione. In secondo luogo, le neuroscienze reputano che l’esperienza soggettiva sia una proprietà dei neuroni, anche se, per potersi sviluppare, il cervello richiede un corpo inserito in una rete di relazioni. Altrettanto sfuggevoli sono le emozioni. Emozioni e sentimenti sono definiti come stati dell’organismo attivati da strutture biologiche specializzate. I due termini esprimono la natura duplice del soggetto: da un lato la capacità di compiere azioni e dall’altro quello di provare soggettivamente qualcosa durante queste azioni. Dal punto di vista neurologico, le emozioni possono essere viste come ‘stati’ prodotti da un ‘segnale di rifiuto’, generati da quei particolari stimoli che un essere vivente deve essere in grado di riconoscere in quanto legati a situazioni critiche per la sua sopravvivenza. Le emozioni, dunque, dipendono da alcune strutture nervose molto antiche e specializzate, come l’amigdala e il talamo.