SlideShare ist ein Scribd-Unternehmen logo
1 von 124
LA SCOPERTA DELLA COMPLESSITÀ
Nicola Pionetti
Free from Copyright
CONOSCI TE STESSO
PREFAZIONE
Se dicessi che l’insieme di queste ricerche filosofiche, a cui consegno almeno una decina di anni di
studi, riflessioni, fatiche quotidiane, di tentativi di capire il mondo, di capirmi io, di capire gli altri, con
qualche successo in un mare misterioso di non-senso, ha una funzione esistenziale, rischierei di essere
travisato. Dall’inizio alla fine l’aspetto superficiale di questa silloge di testi eterogenei, scritti in modi, con
scopi, ed in contingenze differenti, è quello di un testo argomentativo, che, da punti di attacco distinti,
mira a mostrare/dimostrare una tesi: comprendere la natura peculiare della COMPLESSITÀ è necessario per
poter agire sensatamente nel mondo ad ogni livello; non farlo significa accontentarsi di un’immagine
semplicistica del mondo, rifiutando uno sguardo sul reale (e su noi stessi) veramente adulto, euristico e
necessario per la praxis. Eppure la “forma emotiva profonda” del testo non ha nulla a che fare con
l’incedere piano, lineare, talvolta chiaro e talvolta oscuro in parte persino al suo autore: la forma
emotiva è drammatica, tragica. Tutti, prima o poi si trovano spiritualmente perturbati, percossi dal
fremito, dal dubbio filosofico. Non necessariamente lo riconosciamo in tutta la sua drammaticità,
fortunatamente non tutti abbiamo speso gli anni migliori per tentare di “venirne a capo” nelle aule dei
dipartimenti di filosofia, la cui persistenza è ancora oggi probabilmente prova più lampante
dell’insolubilità delle “domande fondamentali” che ne motivarono la creazione. Io l’ho fatto. Ho
passato ogni giorno ad interrogarmi, ad utilizzare ed applicare i concetti appresi nelle scuole a quello che
sentivo al bar, o a messa, o a casa. Per anni non “ho staccato”, più volte mi sono sentito solo, molto
solo, perché è un lavoro matto, disperatissimo e impossibile. Credo il modo peggiore possibile per
studiare filosofia, dal punto di vista della vita. Se gli studi liceali mi lasciarono le domande «cosa è la
verità?» ed «esiste un metodo rigoroso per essere veridici avendo ragione sempre?» e ancora «chi, tra
tutti questi tizi che mi parlano attorno/addosso da quando sono nato ha ragione? Dice qualcosa?
Mente? Sa qualcosa...» come le stelle comete da seguire, indagare, risolvere e analizzare lungo gli anni di
studio filosofico presso le università di Bologna di Pavia, solo ora vedo che il tentativo di dare una
esaustiva soluzione a tutte queste questioni attraverso il punto d’attacco della filosofia analitica del
linguaggio, per quanto eccitante e anche meglio impostato rispetto a tutti quelli concorrenti, lasciava a
desiderare. Non ha soddisfatto le questioni esistenziali, le “ragioni profonde”, coperte, relegate, oltre
una fragile lastra wittgensteiniana. Eppure questa via, la “via logicista” l’ho percorsa veramente fino in
fondo – con tutte le potenzialità e tutti i limiti cognitivi che ho – e certamente mi ha formato; ma non
ha potuto saziare quell’ansia di conoscenza. Le ansie, le inquietudini non sono seti che si estinguono
con i libri: magari si leniscono, più spesso si amplificano. E quella sete non era, forse, originariamnte sete
di sapere. Era in origine un normale, normalissimo, bisogno d’amore.
Ed anche nella quotidianità devo dire che le provocazioni, gli stimoli, gli scambi di idee sono stati il
pungolo che sempre mi faceva dire: vai avanti, approfondisci, non sei pronto per “batterlo ora questo
tizio” in termini teorici o logici, ma un giorno prenderai la parola e dirai la tua, spiegando le ragioni, e “li
stenderai tutti”. C’era anche parecchia voglia di rivincita tipica del ragazzino timido che ero (che sono?)
nelle scelte che hanno direzionato la mia formazione. Proprio per questo scopo gli anni all’università di
Bologna, segnati dalla costruzione della mia competence epistemologica mi sono stati molto utili, certo di
più dei mesi investiti nello studio della logica matematica e della filosofia analitica del linguaggio. Nel
presente testo, in cui finalmente PRENDO LA PAROLA E DICO LA MIA, non a caso la tesi di fondo è di caratura
epistemologica: bisogna capire la peculiare natura dei sistemi complessi, e sviluppare/accettare una
adeguata epistemologia della complessità.
Tra gli stimoli quotidiani che più mi hanno segnato ed incuriosito da sempre ricorderò l’abitudine di
guardare tutte le sere i dibattiti politici alla TV, fino a tardi, e la passione per la politica. Osservare quei
signori in TV discutere, accalorarsi, argomentare, sostenere tesi, fare buoni e cattivi ragionamenti ecc…
sono sicuro che determinò il primo sorgere della domanda della mia vita:
CHI HA RAGIONE?
Mi interessavano due aspetti della politica. Prima di tutto doveva proprio essere una cosa
fondamentale che determinava la nostra vita, dunque un campo da studiare e comprendere con la
massima serietà possibile, date le ricadute che aveva sulla vita; ed al riguardo l’essere cresciuto
quotidianamente, insieme, a contatto, con la ditta di famiglia - una piccola azienda di posa in opera di
parquet che considero come una seconda sorella - queste ricadute me le ha manifestate ogni giorno.
Secondariamente della politica mi colpiva l’aspetto logico-dialettico sia dei dibattiti in TV sia nelle vivaci
assemblee di politica locale. Come già detto il tentativo risoluzione per via logica e filosofico-analitica
della “faccenda” mi conduceva ad esiti sterili, o meglio nessun dibattito soddisfaceva i criteri di validità
argomentativa, e le poche formule-ben-formate proferite dai “politicians” erano circondate da formule
enunciative intrattabili, dal punto di vista formale. Tentai una sola volta l’analisi logica di un consiglio
comunale locale ma tutto si bloccò subito: lì il sangue scorre piuttosto che le argomentazioni lineari.
Nella presente raccolta di scritti, nonostante l’eterogeneità dei testi, emerge un tema comune: la
complessità. L’idea che dunque si è fatta largo in me in questi anni è che fondamentalmente i “tizi della
televisione” i politici, ma anche l’uomo della strada che al bar parla di politica – ed anch’io finché non
me ne sono accorto – incorrano in un comune errore, da Friedrich August von Hayek chiamato
costruttivismo, che dal punto di vista epistemologico consiste nel non riconoscere la peculiarità dei sistemi
complessi e dal punto di vista psicologico/soggettivo nel proiettare il dogma atavico della ragione
lineare sui sistemi complessi, fraintendendone la natura, compiendo un vero abuso della ragione; mi
accorgo dunque che gli anni bolognesi in particolare mi sono serviti per venire a capo di una serie di
faccende che mi provocavano, sfidavano o che semplicemente mi avevano sempre affascinato.
L’obiezione fondamentale che rivolgo dunque a quei signori della TV (di allora, come di oggi e senza
distinzione alcuna di partito), e a molti “esperti” di politica siano essi dietro a uno schermo, dietro ai
banchi di un’assemblea deliberativa o davanti al bancone di un bar è nella sua semplicità questa:
QUANDO PARLATE E SOPRATTUTTO DELIBERATE VOTANDO LEGGI STATE
SBAGLIANDO IL MODELLO TEORICO. TRATTATE, VI RAPPRESENTATE IL
COMPLEXUS SOCIOECONOMICO, CHE DI FATTO HA UNA NATURA SISTEMICA,
COME SE FOSSE UN TUTTO DI NATURA INSIEMISTICA, O NELLA MIGLIORE DELLE
IPOTESI UN COSTRUTTO LINEARE E MECCANICISTICO. MA CON UN MODELLO
TEORICO DELLA SEZIONE DI REALTÀ SU CUI INTENDETE INCIDERE (1) NON
CONOSCETE SU CHE COSA DELIBERATE (2) SIETE SOSTANZIALMENTE DESTINATI
ALL’INSUCCESSO NEL RAGGIUNGIMENTO DEI VOSTRI DESIDERATA. DI
QUALSIASI TIPO ESSI SIANO.
Questo nucleo concettuale centrale supporta tutti i cinque testi raccolti nel presente volume.
Il Postcriptum del 2014 ripercorre un po’ il mio iter mentis, a partire dalle fondamentale “conversione”
hayekiana, rappresentata dalla pubblicazione di Breviario Liberale, che nei suoi evidenti limiti
“giovanilistici”, segnò per me un chiarimento concettuale fondamentale. È in questo Postcriptum che
mi sono accorto dell’esistenza di quel nucleo concettuale centrale che supportava tutte gli scritti in esso
citati e che, come si può in esso leggere, non erano ancora stati pubblicati. Prima d’ora.
Mente un’anarchia ordinata, con titolo mutuato da un affascinante testo dell’antropologo Edward E.
Evans Pritchard è una congettura di filosofia della mente, e nulla di più, che cerca di immaginare
un’alternativa non-razionalista alla nostra autoimmagine della mente “lineare”, utilizzando il paradigma
della Sinergetica sviluppato dal fisico teorico Hermann Haken. Sulla scia di riflessioni Humeane, la
mente infatti non necessariamente deve avere un Io/concettualizzatore centralista che operi
linearmente sui contenuti mentali: è infatti possibile immaginare il flusso di coscienza come
un’emergenza spontanea da un sistema complesso di elementi.
Il testo Filosofia dell’Ordine Spontaneo, inizia a spostare, ad ampliare, il discorso della complessità al suo
giusto livello: quello di paradigma scientifico. Passando in rassegna diversi campi di ricerca si tenta di
evidenziare come il paradigma della complessità regni come modello valido in tante distinte regioni
della scienza.
Uno di questi è certamente l’ecologia. Nonostante l’incedere pamphlettistico di Miseria
dell’Ambientalismo, talora segnato a sua volta da voglia di provocare il lettore, il contenuto centrale è lo
stesso: l’ambientalismo mainstream e radicale pensa all’ecosistema in termini non-sistemici, come se fosse
un ente linearmente conoscibile e modificabile dall’uomo o dai governi umani.
La scoperta della Sistemica con la lettura di Ludwig von Bertalanffy è la base del modo in cui oggi, e
solo oggi dopo un percorso personale e faticoso, esistenziale appunto, vedo – mi sforzo di vedere - i
problemi originari della mia riflessione, che accesero la mia sete di sapere. Questo mio punto di
osservazione è sintetizzato in Riflessioni Libere sulla Teoria Generale dei Sistemi. Questo scritto credo
proprio rappresenti il limite massimo raggiunto dalla mia capacità filosofica ed epistemologica di
conoscere. Il termine di un’avventura conoscitiva emozionante, faticosa e degna, credo, di essere
condivisa.
Se al termine di quest’avventura di questo viaggio personale spontaneo e, diciamolo pure, anche
ampiamente “impressionistico” nell’universo della complessità sono giunto ad ipotizzare di essere io
stesso n sistema complesso non-lineare - cioè fondamentalmente qualcosa che deve probabilmente
ricadere al di là del sensatamente dicibile e conoscibile, nel mistico wittgensteiniano - non rimpiango e
non rimpiangerò mai un secondo investito in questa ricerca esistenziale, considerandola come un
fallimento perché l’esito è: V’È DEL MISTICO. Bisogna averla percorsa tutta fino in fondo la Scala di Sofia,
bisogna averlo sentito ogni singolo istante della vita il senso di vertigine, di terrore di cadere nel nulla, il
sentimento, il rischio, di essere nulla, per godersi «quel senso di libertà e di vita che sento, in me,
bruciare.»
Prof. Nicola Pionetti
BREVIARIO LIBERALE: POSTSCRIPTUM ALLA PRIMA EDIZIONE
Premessa
Non intelligendo fit omnia
Cinque anni sono passati dai giorni in cui mettevo nero su bianco, dopo una vita passata a studiare il
Mondo, cioè ad amarlo a mio modo, le mie idee sulla realtà storica e politica in cui il caso ha voluto che
io nascessi.
Non so chi abbia detto che siamo più figli dei nostri tempi che dei nostri padri: francamente rileggendo ora
quanto scrivevo del mio Paese, l’Italia, nel 2009, non mi sentivo affatto figlio né dei “padri miei”, né
tantomeno di questo “benedetto assurdo belpaese”. Anzi passati i primi 3 anni di università a studiare
logica, filosofia della scienza e del linguaggio, e accendendo la televisione o andando a qualche
assemblea politica locale, avevo chiara l’impressione di vivere in un Mondo Sottosopra. Se una delle
ragioni per cui mi ero orientato verso gli studi di logica formale era capire cosa fosse la verità, se
esistesse, cosa significhi aver ragione etc., se di fronte ai dibattiti in TV mi chiedevo prima «chi ha
ragione?», ma nel senso già prefilosofico di «esiste un metodo obiettivo per determinare chi dei politici
in studio sta ragionando, dialogando bene, o dice il vero?», la risposta che mi davo nel libro del 2009 di
fatto era: «Cari signori, vi ho ascoltato tutti, pazientemente, ogni sera dal 1994 al 2009, e mi sono
accorto che parlate di cose che non potete conoscere, promettete cose che non saprete realizzare,
mentite sapendo di mentire, o, ciò che è peggio e più inquieta, mentite senza sapere di farlo».
Il mio Breviario Liberale, già dal sottotitolo contro tutte le caste, parla chiaramente di una forte critica,
giovanilistica quanto si voglia, contro la presuntuosa conoscenza che i gubernatores millantano in TV dai
pulpiti o dai rostri dell’era 2.0, ma che in effetti non detengono. L’aspetto di quel libro, al netto
dell’andare un po’ manicheo e pamphlettistico, è ancora oggi per me quello di una onesta presa di
posizione, assolutamente critica, proprio perché fatta senza alcun secondo fine e a cui guardo ancora
come una traccia valida. Questo perché il cuore argomentativo del testo non era affatto vincolato alla
contingenza politica, la lista dei partiti o dei politici in voga allora, quello era semmai il materiale
empirico: il nucleo era un’argomentazione di ordine epistemologico. La critica alla “presunzione di
conoscere”, vero peccato originale della scienza politica occidentale, stigmatizzato a fuoco da Friedrich
August von Hayek, è quel nucleo centrale.
Se anch’io avevo pensato – almeno un po’ – che studiando, ovvero accumulando more and more
knowledge avrei accumulato more and more power, la realtà dei miei studi filosofici ed il continuo lavoro di
confronto critico con la vita di tutti i giorni e l’attualità politica, economica e sociale, mi misero allora di
fronte ad una risposta contraria: più uno approfondisce lo studio di quel tipo di conoscenza e di quel
mix di competenze richieste per il “Buon Governo”, più deve ammettere a se stesso e al mondo che il
potere dei governanti di fare ciò che l’elettore medio chiede loro è pari a zero. Non possono creare
lavoro, non possono far smettere le crisi economiche, non possono renderci felici, non possono
eliminare la povertà, non possono regalarci il benessere che ci fanno balenare davanti agli occhi a pochi
mesi dalle elezioni.
Possono al contrario generare mali e tragedie senza fine quei governanti che non riconoscano la
complessità della società e dell’economia che sono chiamati a “governare”. E che non si accorgano del
loro reale e strutturale status ignorantiae. Che, a ben guardare, non siano socraticamente filosofi.
Eppure l’opinione che il Governo sappia, possa e debba sistemare tutto ciò che non va, regna
indisturbata e come incontrastata da tutte le smentite quotidiane con cui la realtà stessa la dovrebbe
scandalizzare.
Tornare a ribadire la posizione già espressa, con eventuali migliorie, avrebbe già di per sé valore.
Smentire un’opinione pericolosa ampiamente diffusa tra governanti e governati, che si alimenta in un
circolo vizioso patologico, è utile al pensiero e al Paese.
Ma la ragione di questo Post Scriptum risiede principalmente nella voglia di mostrare le nuove
direzioni che il mio pensiero ha imboccato dopo quell’iniziale presa di posizione. Se vogliamo questo
scritto va inteso anche come la revisione delle mie precedenti tesi, e anche come il loro aggiornamento
o anche compimento sul piano epistemologico.
La presunzione di conoscere: la critica al costruttivismo
Tutto il Breviario ruota attorno alla critica avanzata a Friedrich A. von Hayek al costruttivismo. Poiché
questo è un termine coniato da Hayek, e io lo ho ripreso senza alterarne di molto il campo semantico, e
poiché questo termine ha in altri campi teorici usi diversi da quello qui proposto, è opportuno avanzare
una sua migliore definizione. In più testi Hayek critica la “visione costruttivistica” nell’ambito
dell’economia politica, e delle scienze sociali in genere; essenzialmente per l’economista austriaco questa
visione riduce, semplifica – e banalizza – la complessità che il sistema socioeconomico esprime,
pensando ad esso come ad una “macchina”, ovvero ad un assemblato fatto di tante componenti, e che,
quasi fosse progettato da un ingegnere infallibile ed onnisciente, funziona proprio per questa ragione in
modo armonioso e razionale. Proprio perché è fatto da uomini che sono «razionali». Mercato, società e
le altre istituzioni sociali sarebbero dunque fatti, costruiti (di qui il termine costruttivismo) dagli uomini
che, agendo in modo deliberato, ovvero scegliendo mezzi adeguati in vista di fini da loro ritenuti
razionali, darebbero vita a questo meccanismo regolare e retto da regole che, almeno in linea di
principio, sono tutte esplicitabili. Come di un orologio meccanico possiamo conoscere con precisione il
comportamento complessivo, così potremmo fare del complesso socioeconomico.
È esattamente questa, né più né meno, la grave presunzione di conoscere, che risiede secondo
Hayek in un uso irragionevole della ragione, che pretende di applicare in modo miope schematismi
epistemici nati altrove (ad esempio in seno al razionalismo cartesiano o positivista) ad un campo
refrattario a farsi descrivere da essi. Con il curioso effetto di aumentare la lamentela riguardo la
debolezza fondazionale delle scienze sociali, proprio nel momento in cui non se ne riconosce ab origine
la natura peculiare. C’è insomma un misconoscimento del livello di irriducibile complessità che si
trovano di fronte il politico, il sociologo o l’economista quando tentano di conoscere a fondo il loro
“oggetto”.
Ma quest’uso irragionevole della ragione, per citare direttamente Hayek porta a credere che gli
uomini si sarebbero accordati per costruire razionalmente ed intenzionalmente le istituzioni sociali; ed
anche un correlato terribile e dannoso, ovvero l’idea che l’uomo sia anche nelle condizioni di «poterle
alterare a suo piacimento in modo che soddisfino i suoi desideri o le sue aspirazioni.»1
Dalla
presunzione di conoscere a fondo i meccanismi economico-sociali, alla presunzione di sapere come
intervenire in essi per ottenere desiderata qualsiasi il passo è breve. Il passaggio logico che i
costruttivisti/razionalisti fanno è anche semplice: dalla presunzione di conoscere passano alla
presunzione di poter fare.
Hayek intende, a mio avviso, bloccare sul nascere questa china scivolosa, alla maniera elegante e
fastidiosissima (per gli avversari) dei liberali, ovvero togliendo con garbo e decisione ogni inclinazione
alla china stessa. E lasciando il re nudo, con tutta la sua ignoranza e la sua umana impotenza, esibito al
ludibrio coram populo.
Il modo in cui lo fa, ovvero parlando del concetto di ordine spontaneo, riconoscendo che la razionalità
e l’armonia si possono dare – ed in effetti si danno perlopiù – in assenza di un progetto deliberato da
parte di un soggetto che ad un certo punto delibera di organizzare le cose così-o-così, è elegante oltre
che epistemologicamente valido. L’idea di Hayek di abbinare al costruttivismo il concetto greco di taxis,
ovvero di ordine deliberato, razionalmente e volontariamente costruito da qualcuno o qualcosa (gli
uomini, il governo, le leggi), e alla new form of rationality, ovvero quella della complessità irriducibile, e del
suo pieno riconoscimento, il concetto di cosmos, ovvero di ordine immanente, fu forse una delle più
stimolanti fonti di nuove riflessioni per il mio pensiero.
Questa breve ripresa del cuore critico del mio Breviario Liberale, mi dà già la possibilità di mettere a
fuoco meglio punti che allora non vedevo con tanta chiarezza. Era chiaro che quasi tutti i politici che
sentivo pontificare dai pulpiti mediatici avevano torto. Ed era allora finalmente chiaro il perché:
pensavano di avere una profonda intelligenza – nel senso etimologico di leggere dentro – della realtà
storico-politica, e del momento economico, dei destini della patria e del cosmo intero forse. Li ricordo i
loro augusti volti, le loro fronti diafane, tutte tese ad esplorarle queste profondità del reale, ricordo le
rughe delle loro fronti: avreste potuto vedere i loro lobi cerebrali surriscaldati da anni buttati a erigere
acrobatici ponti argomentativi su piloni fatti di nulla, o lontani anni luce dalla realtà. Un nulla cognitivo,
un vuoto epistemologico spaventoso. Parlavano di pezzi realtà leggendone sottosezioni limitate alla luce
di pezzi di “teorie” o di schegge impazzite di visioni politiche estinte. Non meraviglia che le coalizioni
di allora riflettessero nella loro fragilità tutta questa frantumazione teorica.
Hayek, allora come oggi per me, portava un po’ di chiarezza. Buttava via gli specchi infranti e
restaurava la ragione, nelle sue legittime pretese, nei suoi giusti confini.
Le mie “incursioni” nella pensiero della complessità
Gli anni successivi alla pubblicazione del Breviario li ho dedicati a “mettere a punto” una visione
teorica più soddisfacente sul tema della complessità, per ancorare le originali intuizioni di ordine
spontaneo, contrapposizione cosmos/taxis, sistemi autoregolanti, ad uno sfondo teorico più saldo.
Per quanto mi sembrassero del tutto evidenti le tesi hayekiane, e così ragionevole la sua critica al
costruttivismo, giustificarle razionalmente non è per nulla immediato. Farlo richiede una teoria della
complessità, e non mi bastava certo disegnare schemi o, tantomeno andare a caccia di conferme
storiche per mostrare il malfunzionamento dei sistemi socialisti, presi ad emblema della centralizzazione
e della “presunzione di conoscere” da parte del governo centrale. Si trattava insomma di attuare un
cambio di paradigma, mio in primis, e come ogni cambio di prospettiva non è richiesto direttamente dai
dati empirici (o storici), si impone spesso per vie extralogiche.
La mia ricerca del paradigma giusto per meglio mettere a fuoco le intuizioni hayekiane del 2006, si
rivolse prima di tutto alla Sinergetica di Hermann Haken. Fisico teorico, studioso della teoria del Laser,
Haken propose un’interpretazione del funzionamento del dispositivo Laser, che mi pareva riutilizzabile
per il mio problema della complessità. In estrema sintesi Haken sostiene che l’emissione del fascio dal
tubo Laser avviene dopo un processo di selezione spontaneo, non prevedibile, in cui tra i tanti fasci
luminosi continuamente riflessi tra le due estremità a specchio del tubo Laser, improvvisamente uno –
l’ordinatore – inizia a “prevalere su” tutti gli altri – gli asserviti – in un processo che termina con
l’emissione del raggio laser a grandissime energie. L’elemento che mi affascinò della proposta di Haken
fu il fatto che evidentemente era spiegato un fenomeno di auto-ordinamento spontaneo di un sistema
complesso di elementi, che non richiedeva l’intervento di un agente esterno ad esso, o di un elemento
che ad un certo punto direzionasse gli eventi. L’altro forte punto di fascino che, ad esempio nel suo
libro Nel Senso della Sinergetica, Haken mi mise davanti agli occhi fu l’invito ad estendere lo sguardo della
Sinergetica oltre il campo originario della fisica, per il quale era nato. Haken fa alcuni esempi di
estensione alla fisiologia del movimento, alla chimica, e all’economia teorica.
Grazie alla lettura di Haken, iniziai a capire che il problema della presunzione di conoscere, e della
necessità di una comprensione più soddisfacente della complessità, che avevo incontrato in campo
politico ed economico, non era affatto limitato a quest’area di sapere. Tutto allora mi parlava di
complessità, dai sistemi sociali ed economici, alla biologia all’astronomia, dal corpo umano fino alla
psiche umana.
Mente un’anarchia ordinata (2010), fu il primo frutto, mai pubblicato, di questo trend di pensiero; in esso
rifacendomi alla filosofia della mente di David Hume e criticando il razionalismo kantiano, cercavo di
offrire, con gli strumenti teorici della Sinergetica, alcuni tentativi di spiegazione di eventi mentali senza
ricorrere però all’idea di un “ordinatore centrale” a una “unità centrale di elaborazione” che regolasse la
mente. Proprio come Haken faceva con il suo Laser. Rileggendo quella ricerca ora sorrido un po’, ma
mi colpisce come in fondo, come ho sempre fatto nei miei studi, la prima cosa che avevo sottomano
per verificarli fossi io stesso. In questo caso la mia mente, che mi parla ogni istante di complessità, da
quando guardo un fiore, a quando vedo un volto, a quando eseguo due volte lo stesso pezzo al
pianoforte e provo tuttavia emozioni differenti. Dalla stessa persona che prima amo e dieci giorni dopo,
o dieci secondi dopo, magari mi è indifferente. Ma non è la sede questa per entrare nei dettagli di quella
ricerca, che fu in complesso insoddisfacente dal lato epistemologico e troppo soggettivistica.
In Filosofia dell’Ordine Spontaneo, scritto tra 2011 e 2012, e non edito, passavo in rassegna tanti campi
di sapere, economia, sociologia, fisica, cosmologia, psicologia, informatica, urbanistica, e cercavo di
catalogare alcuni esempi di spontaneous order selezionati dai differenti campi scientifici, facendo emergere
una più chiara visione del fenomeno. Insoddisfatto ormai dalla Sinergetica, effettivamente paradigma
troppo hard-science per le scienze sociali e umane in genere, cominciavo ad approcciare il problema della
complessità attraverso uno sguardo sistemico, quello che al momento mi convince maggiormente;
allora lo facevo analizzando gli esempi di complessità catalogati attraverso le categorie filosofiche di olos
e pan (complesso che “eccede le parti” e complesso che “equivale alla somma delle parti”). Ora dopo lo
studio dei testi base della Sistemica, tra cui i lavori di Ludwig von Bertalanffy, rileggo in quella
contrapposizione la dicotomia sistema/insieme, sistema/macchina, emergenze/proprietà analitiche.
Liberatomi della Sinergetica, che mi era servita per ampliare lo sguardo ad altri campi di ricerca
entrando in un’ottica inter/transdisciplinare, ritornavo ad Hayek ed andavo oltre prefigurando la
Sistemica, che non avevo ancora assimilato come prospettiva teorica.
Con l’ecologia, ovvero con l’applicazione della visione hayekiana ad essa, mi andò meglio sul piano
teorico. Nel 2012 chiudevo un libretto sempre dall’andare pamphlettistico intitolato Miseria
dell’Ambientalismo. Qui il complexus era l’ambiente, il sistema di esseri viventi ed elementi naturali, con i
vari sistemi di autoregolazione che sa esprimere, ed i “presuntuosi”, ovvero quelli che credono di
conoscere l’ambiente come se fosse un organismo semplice, e migliorabile, erano gli “ambientalisti”.
L’ambiente è complesso, cercare di ravvisare causalità lineari, o correlazioni semplici in esso significa
“far fuori”, misconoscere la sua irriducibile complessità. Pensare di modificare macrofenomeni come la
temperatura terrestre con un uso più responsabile dell’automobile, è plausibile, quanto lo era credere
che un governo possa migliorare qualcosa, ma ingenuo, perché non ha alcuna fondazione
epistemologica e razionale. Cade vittima della impietosa ghigliottina epistemologica di Hayek.
Tentativi, indagini serie, corse avanti e fughe teoriche, hanno caratterizzato il mio percorso
concettuale dopo la pubblicazione di Breviario Liberale. La voglia e l’insuccesso di “fare sistema”, “fare
teoria” unificata, sono stati il mio cruccio più grande in questi anni. E anche quello che mi spinse ad
abbandonare le ricerche su quei brogliacci di appunti, in cui le buone idee, ed i buoni propositi, rari
nantes in gurgite vasto, vagavano in un mare oscuro e inquinato. Ma ogni tanto ripensavo a come salvarli
da quel caos. La lettura di Teoria Generale dei Sistemi di Ludwig von Bertalanffy, fu l’occasione per farlo.
La scoperta della Sistemica: da von Hayek a von Bertalanffy
La prima lettura del fondamentale lavoro di Ludwig von Bertalanffy intitolato Teoria Generale dei
Sistemi, mi mise nelle condizioni di esplicitare finalmente molti dei concetti che in modo opaco già
impiegavo per indagare l’ignoto mondo della complessità, e, soprattutto, la sua resistenza a farsi
conoscere, la sua radicale ed irriducibile diversità dallo sguardo e dall’analisi consueta.
Von Bertalanffy, biologo teorico, studioso e padre fondatore della Sistemica, mette a fuoco le
potenzialità esplicative del concetto di sistema dapprima prendendo in analisi il suo campo teorico,
ovvero la biologia, ed in particolare lo studio del metabolismo, e quindi avanza la congettura ardita di
estendere, in modo matematicamente rigoroso tale concetto anche alle scienze umane ed alla psicologia,
alla storia ed all’economia. Ovvero non troppo diversamente da quanto faceva – o meglio farà alcuni
anni dopo – Hermann Haken con la sua Sinergetica, ma con più chances di successo.
L’idea primitiva della Sistemica è di abbandonare l’approccio analitico nello studio dei fenomeni
complessi. Questa mossa richiede però un cambio d’impostazione, di sguardo, di paradigma.
Innanzitutto alla nozione di insieme di elementi, è sostituita quella di sistema, definito come «insieme di
elementi in interazione reciproca». Pensare ad un complesso come ad un insieme di elementi, che
stanno giustapposti a formare un aggregato, è ben diverso dal concepirlo in termini di un network che
connette tali elementi. Questo shift concettuale è a ben guardare la base del mio modo di guardare la
realtà ora. È su questa base che ora capisco meglio il senso epistemologico della critica hayekiana al
costruttivismo: la presunzione dei politici, l’oggetto di anni di critiche interiori e silenziose, stava (e sta)
proprio nel non volerla capire che non stanno giocando con Lego, quando si sbizzarriscono a tassarci o
pianificare, o a promettere paradisi in terra. Hanno a che fare con un ente molto più complesso,
irriducibilmente complesso, che schianta sistematicamente i loro desiderata, i loro sogni, i loro piani o
progetti. Presumono che le istituzioni sociali ed economiche siano assemblati modificabili da uomini
(loro) perché sono “fatti” da uomini. Uomini dotati di più potere politico, i governanti, ci portano – e si
inducono – a pensare che avranno anche più potere cognitivo, più intelligenza dell’economia e della
società: quale terribile errore! Il premier ne sa tanto quanto me, che sono qui nella profonda provincia
dell’Italia del Nord – benché magari abbia qualche statistica più aggiornata – e dubito che per il fatto
che è diventato smisuratamente più potente di me, sia anche diventato un superuomo capace di
indagare le profondità di un complesso sistema socioeconomico, come quello italiano, scorgendone at a
glance le articolazioni intestine e fondando così le sue pretese di migliorarlo pianificando, e di governarlo
fuori dai marosi della crisi. Eppure quanto tutti i termini politici relativi all’arte di governare riflettano
una mentalità semplicistica, riduzionistica e costruttivista è lampante, pensiamo allo stesso termine
governare, che rimanda alla radice greca di kubernetes, il timoniere della barca; il termine guidare che fa
pensare ad un veicolo. Ma anche tante metafore applicate allo Stato sono tarate dal razionalismo
riduzionista. Tra le più curiose ed errate che si sono sentite negli ultimi decenni cito soltanto quella
dello Stato-azienda. Un’azienda è effettivamente una struttura deliberatamente costruita (è frutto di taxis)
per vivere dinamicamente in un mercato competitivo. Lo stato è una struttura deliberatamente costruita per
vivere monopolisticamente su una regione spaziale, nella quale insiste – o resiste a stento – un sistema
economico e sociale. Sistema sulle cui articolazioni e dinamiche interne i governanti:
1. Non sanno quasi nulla;
2. Non possono stabilire alcun piano di intervento.
Questi due punti grazie alla teoria generale dei sistemi di von Bertalanffy, sono a mio avviso, ben
messi a fuoco. Sul fondamentale ed irresolubile stato di ignoranza il biologo ci dice che la complessità
di un sistema matematico, utile a descrivere, ad esempio con equazioni differenziali, un sistema
biologico cresce esponenzialmente al crescere del numero di elementi dello stesso. Ora, ipotizzando che
il complexus socioeconomico, ovvero il network di interazioni di individui, di scambi informativi espliciti
ed indiretti tra di essi, sia ben rappresentato dal concetto di sistema, così come definito da von
Bertalanffy, ecco che mi appare ora meglio fondata l’obiezione epistemologica di von Hayek al
razionalismo costruttivista: chi ci governa non può conoscere o rappresentarsi con esattezza la
complessità dell’alveare brulicante di uomini, menti, microsistemi, mercati, nel loro incessante lavorio
quotidiano, non può prevederne il decorso perché, come con sufficiente sicurezza ha mostrato Karl
Raimund Popper in Miseria dello Storicismo, leggi storiche di sviluppo non ne possiamo astrarre dal
decorso degli eventi storici poiché esso è aperto ai capricci del caso, non direzionato linearmente e
ovviamente in divenire2
. Questo rende chiaro anche il fatto che chi ha l’onere del governo, non “sa cosa
fare”, non riesce a pianificare interventi in modo razionale.
Un sistema, evidenzia von Bertalanffy, sa esprimere un comportamento globale, complessivo che
non è né riducibile al comportamento delle parti componenti, né deducibile da una conoscenza accurata
di esse, né prevedibile in funzione di esse. Ha un comportamento olistico, cosa che è l’aspetto più
interessante ovviamente, alla conoscenza del quale lo studio analitico delle parti componenti non offre
contributi. Spesso ci si riferisce a questo livello di comportamento metacomplesso con il termine emergenza.
Le proprietà tipicamente sistemiche, che non sono proprie di alcun elemento del sistema, vengono
definite proprietà emergenti. Ora è a questo livello globale, olistico, emergente che mirano i politici quando
fanno promesse o piani legittimi di “interesse generale”, del tipo far smettere la crisi o migliorare
l’economia. Ma il paradosso è che non lo possono fare né direttamente, perché quelle proprietà – il
benessere economico, la crescita del PIL, il benessere generale di un Paese etc. – propriamente non
esistono, nel senso che una proprietà emergente non si appunta su un ente unico e “manipolabile”, né
indirettamente, poiché pensare di agire sugli elementi di un sistema per ottenere effetti globali ed
emergenti, significa presupporre l’esistenza di una causalità di tipo lineare tra il livello down e quello top
che semplicemente non regge.
Come ho scritto in Riflessioni libere sulla teoria dei sistemi, ricerca del 2012 non pubblicata, la conquista
più preziosa per me che lo sguardo sistemico mi ha offerto, è senz’altro l’abbandono del modello di
causalità lineare. Un sistema complesso non è intelligibile con un modello di causalità lineare. I politici
presuppongono che lo sia – tranne i pochi vagamente informati dell’esistenza del liberismo, che
attualmente non so dove siedano in parlamento – e usano schemi causali veramente stilizzati e ridicoli,
per piacere all’elettore medio. Non lineare è quel tipo di causalità in cui un sistema di elementi è
percorso da catene causali che, oltre a correre parallelamente, si intersecano magari più volte, creando
flussi causali anch’essi complessi. Non lineare è il tipo di causalità in cui preponderante è il fenomeno
del feedback: il comportamento di un elemento A influenza il comportamento di un elemento B, e
questo a sua volta retroagisce sull’elemento A. E quindi pensare la società e l’economia come se fossero
complessi analitici, ed intervenire tatticamente in essi, significa vederli attraverso uno specchio infranto,
composto di frammenti distorcenti.
Macchine e sistemi: il decadimento sistemico
Bertalanffy analizzando l’evoluzione a cui va incontro un embrione nella sua formazione, in Teoria
Generale dei Sistemi evidenzia come esso parta da uno stato in cui si comporta come un sistema, ad
esempio reagendo come totalità alle stimolazioni ambientali, sino ad uno stato terminale in cui si
comporta come un aggregato di sistemi giustapposti, perdendo quindi quella “globalità” originaria. A
livello causale il processo che il biologo chiama segregazione progressiva parte da quella complessa e non-
lineare, per giungere ad uno stato terminale in cui vi sono catene causali indipendenti o debolmente
interagenti. Si passa tendenzialmente da uno stato sistemico ad uno stato di macchina.
A differenza di un sistema, una macchina non esprime un comportamento emergente, globalmente
reattivo rispetto alle perturbazioni ambientali. È ben descritta dal consueto paradigma analitico: si può
inferire il comportamento complessivo dell’aggregato meccanico dal comportamento individuale delle
parti componenti. Seguendo lo sguardo di Bertalanffy che mi invitava ad osservare come uno stesso
“ente” come un embrione, andasse incontro ad una evoluzione funzionale, strutturale e
comportamentale, ovvero che lo stesso ente durante il processo di segregazione è prima un sistema, poi
perde gradualmente globalità, ed infine diventa una macchina, o meglio un aggregato di microsistemi, e
in linea teorica può decadere allo stato di insieme, ho elaborato il concetto di “decadimento sistemico”. Un
sistema può decadere, perdere le sue proprietà emergenti, le sue funzioni di regolabilità globale, e
diventare un aggregato di parti individuali non interagenti. Insiemi, macchine e sistemi non sono
dunque enti diversi: sono tre strutturazioni o fasi diverse della stessa ontologia. Sono fasi di
organizzazione ontologica, che esibiscono comportamenti e proprietà distintive e identificanti.
La tendenza alla fuga d’idee filosofica mi spinge ora a passare, dal piano epistemologico iniziale, che
vedeva la teoria dei sistemi come un valido “attrezzo concettuale” per disporre di un’immagine della
complessità socioeconomica, psichica, biologica etc., al piano delle congetture ontologiche. Vorrei e non
vorrei…Vorrei sostenere che l’ontologia è in realtà sistemica, che “tutto è sistema”. Nel senso che evitando
di moltiplicare il numero di enti praeter necessitatem, sembra ragionevole pensare che anche le cose che
non hanno l’aspetto “vitale”, “globale”, “propriamente sistemico”, e che stanno lì come gli oggetti
inanimati siano in realtà sistemi decaduti, o elementi di sistemi una volta attivi, e pronti a riattivarsi.
Vorrei e non vorrei essere più competente in campo scientifico o filosofico per argomentare che il
concetto di sistema è una generalizzazione del concetto di ente così come la Teoria della Relatività di
Einstein è una generalizzazione della Teoria della Gravitazione Universale di Newton. Nel senso che –
per farla corta – un sistema può comportarsi come una cosa, ma una cosa non può comportarsi come
un sistema.
Vorrei ma non posso. Appartengo a quella nobile scuola filosofica che in Italia non ha gran seguito,
che ha una tale venerazione per il lavoro degli scienziati veri, una tale curiosità per ciò che fanno, una
tale ammirazione per le loro ricerche ed i loro metodi di lavoro, che proprio non posso, non ce la faccio
ad abbandonarmi in simili deliri su ciò che c’è per davvero, sull’essere e il non essere, la sostanza e le
più profonde verità.
Conclusione
La congettura con cui termino questa revisione delle mie idee si vuole dunque limitare al solo piano
epistemologico. Come epistemologica era l’obiezione fondamentale di Friedrich August von Hayek al
costruttivismo, all’uso irragionevole della ragione, che ipersemplifica per conoscere, finendo per sapere
poco o nulla delle istituzioni sociali ed economiche e per danneggiarle.
Se l’economia è un sistema (complesso, non lineare, autoorganizzante…), e se chi la governa
(sovrano, parlamento, burocrazia…) non riconosce questa complessità, perché non paga elettoralmente,
o perché non ci arriva proprio a capirla, e poi interviene con dei provvedimenti che impattano
sull’economia, ecco che va ad alterare inevitabilmente il comportamento del sistema economico, la sua
reattività, trasformandolo in modo anche irreversibile e imprevedibile. Un governo con tutta la sua
sottostruttura burocratica è un corpo alieno inserito in un sistema socioeconomico di per sé vitale;
alieno perché è davvero una macchina, nel senso visto prima, pensata da qualcuno per fare qualcosa,
ma è inserito in – e succhia soldi ed energie da – un sistema complesso che è continuamente stressato
da questo cancro e da tutte le sue sottometastasi (regioni, province, comuni…) che ci offrono servizi –
quasi sempre scadenti – in regime monopolistico. Ma soprattutto fa pagare la sua rigidità di macchina
complicata e farraginosa, mantiene la sua struttura burocratica ed il suo potere, provocando proprio, a
mio avviso, un fenomeno di decadimento sistemico nell’esosistema socioeconomico che lo “ospita”. Un sistema
economico potenzialmente vitale, continuamente alterato dall’intervento statale, vessato da una
pressione fiscale INTOLLERABILE, da leggi INCOMPRENSIBILI, concepite (forse) in origine per
mettere ordine e “migliorare le cose”, può decadere verso lo stato segregato, facendo venir meno la
capacità di reagire globalmente, ed elasticamente ad eventuali perturbazioni esterne, come crisi dei
mercati finanziari, o altri eventi negativi provenienti dall’esterno.
Prima dunque di buttarVi in diatribe sui valori, sulle ideologie, creando pollai mediatici che ho visto
fin troppo nei miei 30 anni di vita, o di metterVi a trasformare il Paese o il mondo intero in un luogo
che risponda ai vostri canoni, piani o programmi, ricordateVi bene che la realtà ha delle sue regole, e che
LE DOVETE riconoscere e rispettare.
Per il bene del Paese, please, abbassate le tasse, please non agitatevi, non concepite più piani umoristici,
interventi onirici e azioni infantili; e, please:
Laissez-nous faire!
Note
1. F. A. von Hayek, Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, trad. it. Armando, Roma,
1988, p. 271.
2. Prima di scegliere il concetto di sistema come “attrezzo teorico” per descrivere il complexus
scioeconomico, cercavo di ragionare in questo modo, informale, ma non del tutto peregrino: perché
l’economia pianificata non funziona? È spenta, non reattiva, e non competitiva? Perché tutto o quasi
passa per un “centro cognitivo e decisionale” unico. Perché le economie non pianificate sono più
vitali e prestanti? Perché quell’accentramento cognitivo e decisionale è molto meno pressante. O
distribuito, disperso, tra milioni di individui, come dice Hayek. Il ragionamento contrastivo
proseguiva mostrando che in linea di principio un sovrano onnisciente ed onnipotente avrebbe potuto
pianificare gli eventi economici e governare in vista di goals specifici una nazione. Allora la
immaginavo solo sul piano pratico l’impossibilità, poiché nessun uomo, o premier, o capo supremo,
o sultano, o re, avrebbe mai disposto in effetti di una tale onniscienza e onnipotenza. Oggi credo che
l’impossibilità sia eminentemente epistemica: un leader politico, un collegio di leaders, o
un’assemblea irriducibilmente non potranno mai conoscere poco più di una vaga eco lontana di
quella complessità sistemica che non supponevano esistere, quando dai pulpiti mediatici, mi
promettevano vaghi paradisi terrestri, che in mente avevano, e che, con imposte tasse e balzelli,
devastavano, noncuranti del fatto che gli elementi del sistema non erano “omini” del Lego, ma
uomini vivi dotati di un cuore.
MENTE: UN’ANARCHIA ORDINATA
Premessa
Una ricerca sulla mente umana è sempre in buona sostanza un’operazione autobiografica. In fondo
quando Locke, Hume e Kant scrivevano le loro ricerche sulla mente non facevano altro che raccontare
come funzionava la loro e pretendere che la mente di tutti funzionasse proprio come la loro. Basta
pensare a Cartesio: la scoperta del cogito non giunge forse all’interno di quella straordinaria opera
autobiografica che sono le Meditazioni Metafisiche? C’è ancora spazio oggi per ricerche autobiografiche
di questo tipo? E parlo naturalmente dopo la rivoluzione che ha portato la psicologia a staccarsi dalla
filosofia ed a diventare una scienza autonoma. Tuttavia proprio nell’ambito della “scienza dell’anima”
prevalgono tante impostazioni giustapposte: basti pensare alle molte scuole di psicoterapia che sono
state inventate e operano nelle nostra città. Questa pluralità mi conforta: se c’è un dibattito in corso,
anch’io come filosofo posso dire la mia. La mia proposta sarà una rielaborazione creativa di cose
probabilmente già dette; ma non procedo a lume di candela: il mio punto di riferimento è la Sinergetica
di Herman Haken, un paradigma scientifico nato negli anni ‘60 nell’ambito della fisica applicata, ma che
ha trovato notevoli esiti in tanti altri campi di ricerca, tra cui la neuropsicologia.
Nell’ambito della filosofia della mente mi pare che il modello della sinergetica trovi un fertile campo
di applicazione in grado di rivoluzionare l’immagine che ognuno di noi ha della sua mente. Il modello di
mente che i miei pensieri, ed il mio gusto, preferiscono potrebbe certo valere solo per la mia mente. Mi
sono già confrontato con alcuni professori di filosofia della mente sulla mia proposta e ne ho ricevuto
pareri contrastanti: per uno la “riforma sinergetica” della mente che vado proponendo di fatto svuota di
senso qualsiasi topografia o “psico-geografia” della mente (si pensi al modello kantiano). Per un altro
l’idea non era poi molto originale: in fondo – e questo lo riconosco sinceramente – Daniel Dennett ha
proposto un modello assai simile alla sinergetica della mente (il modello Pandemonium). L’ultimo
professore mi ha consigliato di rileggermi Hume e di ripartire da lì: «in Hume – mi ha detto – come
nell’Iliade, c’è tutto». Ho seguito il suo prezioso consiglio e così è nata questa ricerca.
Se il mio intento fosse una mera escursione teorica nei reconditi della mente francamente avresti
sprecato il tuo tempo nel leggere questo libro che non sarebbe nemmeno degno di un piccolo rogo
humeano. Questa ricerca teorica ha chiare ambizioni pratiche, applicative. Certo non potrò dedicare ché
alcune illustrazioni alla spiegazione delle potenziali applicazioni della psicosinergetica. Mi concentrerò
in particolare sulla formulazione di una nuova proposta di couseling relazionale, sull’economia, e sulle
applicazioni nel campo delle teorie del risarcimento del “danno” mentale.
Molte delle idee che ho prodotto su questo ultimo punto derivano in qualche senso non ben
sondabile dal mio attuale lavoro di mediatore assicurativo. Ritengo illuminanti, fertili e assai avanzate le
conclusioni a cui sono giunto in questo campo. È essenzialmente per l’importanza che attribuisco a
queste conclusioni applicative (assai “cariche” di teoria) che ho deciso di pubblicare le mie ricerche che
avrei altrimenti tenuto in giacenza (come tante altre mille idee e bozze incompiute di scritti) nei cassetti
della mia scrivania.
A questo punto so di essermi esposto mille critiche: ma non è questo che temo. Mi fa paura solo
l’irragione, la non-logica e chi nella sua inutile vita non ha mai deciso di rischiare nemmeno per un
secondo.
PSICOSINERGETICA TEORICA
Il problema della mente
Explanandum
Nel porre correttamente la questione della mente è importante identificare in modo chiaro e non
ambiguo l’explanandum. Il dramma della filosofia della mente è proprio il fatto che tra i filosofi non vi è
stata concordia nell’individuare l’obiectum delle ricerche sull’intelletto: in questo risiede essenzialmente la
difficoltà nel mettere in dialogo fertile i vari autori che soffrono il più delle volte di un autismo
filosofico desolante. C’è dialogo se c’è un terreno terminologico comune e preliminare utile affinché i
contendenti si intendano.
L’oggetto della filosofia della mente è quell’insieme di fenomeni che interessano il nostro animo. A
questi eventi mentali i filosofi hanno dato i nomi più svariati ed hanno immaginato nei modi più diversi
il loro funzionamento. L’oggetto della presente ricerca è “tutto ciò di cui siamo coscienti”, tutto ciò che
affiora al livello della cognizione. Le moderne teorie psicanalitiche pontificano sull’inconscio ma cosa
ne sappiamo di questo campo? Ovvio: nulla proprio perchè non ne siamo consci. La nostra indagine
verterà dunque su tutti quei fenomeni che non i filosofi ma l’uomo della strada riconosce “ospitare”
nella sua mente. Sono fenomeni consci, e in quanto tali “studiabili”:
§ Identificazione di un oggetto.
§ Fenomeni simili, opposti, uguali
§ Ricordi
§ Previsioni
§ Idea di Causa-effetto
§ Sogni
§ Effetto-isteresi, variazione di qualità
§ Spazio
§ Tempo
§ Intelligenza
§ Dialogo interiore e ragionamento
Questi sono solo alcuni dei nomi che sono stati affidati agli eventi mentali consci. Per focalizzarci
più chiaramente possiamo prendere un evento come le emozioni: pare, ad una prima osservazione, che
poco c’entrino con la dimensione del conscio, in quanto in fondo sono eventi che “non controlliamo”
che si impongono all’io conscio. Tuttavia “conscio” non è sinonimo di “razionalmente controllato”: i
sentimenti possono benissimo avere cause profonde ed inconsce – su cui nulla possiamo dire – ma noi
li percepiamo, li “sentiamo” solo nella misura in cui affiorano alla nostra coscienza. Lo stesso vale per le
volizioni: magari prodotte da ciechi istinti a noi ci si presentano sempre nella modalità del conscio. Per
semplificare il lavoro chiameremo le determinazioni della lista precedente semplicemente fenomeni
mentali o fenomeni.
Explanans
Definito l’oggetto di ogni indagine sulla mente umana è necessario avanzare delle teorie che
spieghino i fenomeni summenzionati. Naturalmente una teoria è tanto più accettabile quanto più
economica è nelle sue assunzioni ontologiche e quanto più è esplicativa: una teoria va bene se fa il più
col meno. È questo il fondamentale principio di parsimonia detto rasoio di Ockham. E nelle teorie della
mente, probabilmente per una certa “volatilità” dell’explanandum, se ne sono viste e sentite di tutti i
colori sia dalla prospettiva psicologica che da quella filosofica: è chiaro che serve un metro che ci
consenta, se è possibile, di trovare il bandolo della matassa tra tutte le teorie della mente. Se riusciremo
a trovare le “opzioni di fondo” i “partiti politici” ai quali i filosofi e gli psicologi si rifanno avremo già
fatto un grande servizio portando un po’ d’ordine tra le filosofie della mente.
C’è un’osservazione da fare prima di procedere sempre in merito all’explanans: in nessun modo una
teoria della mente va ritenuta la CAUSA dei fenomeni mentali analizzati. L’immagine positivistica che
vede negli enti teorici delle ontologie reali è ormai ampiamente superata: le teorie della mente sono
congetture puramente teoriche sul funzionamento della mente e non ne sono la causa, così come la teoria
di Newton non è ovviamente la “causa” del moto dei corpi celesti.
Un po’ d’ordine tra le teorie della mente
Francis Bacon ci ha lanciato un ammonimento chiaro: prima fate luce, poi verranno i frutti.
Seguiremo il suo prezioso consiglio. Per portare un po’ di luce, un po’ d’ordine nel mare magnum delle
theories of mind dovremo operare una più o meno garbata pressione semantica sui filosofi che
prenderemo in esame: come detto infatti ogni indagine sulla mente umana soffre un po’ di autismo
semantico.
Come la regola aurea del rasoio ci insegna dovremo non considerare teorie pleonastiche e poco
esplicative ed andare a caccia delle “opzioni di fondo” che sono state seguite dai maggiori teorici in
epoca moderna e contemporanea. Come emerge subito ad una rapida lettura degli autori critici, che
hanno rivolto le armi della ragione contro se stessi, contro la loro anima, le opzioni non sono infinite.
Come funziona la mente? Come conosce la mente? Come ci spieghiamo i fenomeni mentali? La prima
opzione che accomuna gli autori cosiddetti razionalisti (da Cartesio a Kant) suona più o meno così:
Nella mente c’è un io (la coscienza) che ha la facoltà di conoscere, volere, agire, patire.
In questa opzione 1 si spiegano i fenomeni attribuendoli ad una entità (agente/funzione/ente) che
ha delle determinate proprietà. È questa una spiegazione che ha avuto successo anche nella common sense
theory.
L’opzione 2 la dobbiamo dedurre facendo una qualche forzatura teorica sugli empiristi, soprattutto
su David Hume. La mente, secondo questa visione, è una sorta di contenitore di idee che sono
autonome e già strutturate cognitivamente:
L’io conoscente non esiste: esistono solo le idee che sono in “lotta” tra loro e di volta in volta si affermano.
Affiora al livello del conscio dunque l’idea o la volizione che si afferma. Dissoluzione dell’io e
autonomizzazione dei contenuti cognitivi: queste sono le caratteristiche principali dell’opzione 2.
Le teorie della mente, secondo la mia proposta, possono dunque essere ordinate su una scala che
varia in funzione del rapporto tra io e idee (contenuti cognitivi). Tutto dipende dalle nostre opzioni
teoriche riguardo queste due polarità. Per fare emergere la dialettica di fondo tra opzione 1 e 2 è utile
stilizzare un po’ queste soluzioni, portarle egli estremi: in fondo come detto le opzioni di fondo in
filosofia della mente sono riconducibili ad una scala che varia in funzione di quanto esplicativamente
“importanti” siano per noi ora l’“io” ora le “idee”. Se la soluzione 2 era “solo le idee esistono”,
possiamo all’altro estremo stilizzare un’opzione ontologica altrettanto radicale ed antitetica: “solo l’io
esiste”. Ecco una schematizzazione di quanto intendo dire:
§ A Solo l’io esiste (ed le idee non esistono)
§ …
§ …
§ …
§ B Solo le idee esistono (e l’io non esiste)
Le soluzioni intermedie – esistono sia l’io che le idee - sono naturalmente quelle più praticate dai
teorici perché sono più semplici – benché ontologicamente antieconomiche – ma ogni pensatore ha la
sua preferenza: Cartesio sostanzializza l’io e indebolisce le idee, Hume indebolisce radicalmente l’io e
rafforza le idee, Kant fa dell’io-penso una “funzione” e dei fenomeni delle semplici apparenze. Il rapporto
tra “io-penso” e idea, nel senso in cui lo sto configurando, può credo ben essere chiarito da una
metafora politica. L’io è lo Stato ed le idee sono gli individui. Allora l’opzione A - solo l’io esiste – la
possiamo riformulare come “solo lo Stato esiste” ovvero per intenderci qualcosa come un sistema
socialista estremo che non lascia alcun spazio alla libertà d’azione degli individui. Al contrario l’opzione
B – solo le idee esistono – diventa: lo Stato non esiste (si è dissolto) solo gli individui esistono: si tratta
di un sistema libertario altrettanto radicale1
. Ma la metafora funziona bene anche e soprattutto nei gradi
intermedi. Ecco come possiamo riformulare la nostra scala comparativa:
§A Solo l’io esiste / Solo lo Stato esiste
§…
§…
§…
§B Solo i le idee esistono / Solo gli individui esistono
In medio, naturalmente, c’è tutto. In campo politico questo è evidentemente vero perchè anche il
socialismo più becero e radicale non potrà mai demolire del tutto gli individui (quantunque aspiri
chiaramente a farlo) e l’anarcocapitalismo è di difficile realizzazione. Ma nel campo delle teorie della
mente non abbiamo a che fare con limiti empirici di questo tipo: tutte le opzioni intermedie ed estreme
sono legittime.
Possiamo dire che i due rebbi estremi della forchetta proposta rappresentano soluzioni monistiche,
in quanto ci dicono in sostanza che esistono enti di tipo omogeneo (o solo l’io o solo i fenomeni). Nel
mezzo è l’interregno delle “soluzioni” dualistiche: esistono sia l’io, sia le idee, sia lo stato, sia i cittadini;
tuttavia le teorie dualistiche della mente variano a seconda di quanta importanza esplicativa si ripartisca
di volta in volta tra io e idee. Utilizziamo ancora la metafora politica:
§ A Solo l’io esiste / Solo lo Stato esiste [Socialismo]
§ …
§ Cartesio (il cogito è una sostanza) [Nazionalsocialismo]
§ …
§ Kant (l’io-penso unifica i fenomeni) [Dottrina sociale della Chiesa]
§ …
§ Hume (libero gioco delle idee) [Liberalismo Hayekiano]
§ …
§ B Solo le idee esistono/ Solo gli individui esistono [Libertarismo]
Ora, lo schematismo proposto vuole offrire una idea generale del rapporto politico tra funzioni
mentali e contenuti cognitivi, quindi non vale la pena di entrare troppo nei dettagli delle associazioni.
Basti notare che, partendo dallo stato A e procedendo verso lo stato B l’entità politica centrale (l’io) si
indebolisce ontologicamente – mentre si rafforzano gli individui (idee) – ed il contrario avviene
naturalmente procedendo da B verso A.
Sul monismo dell’io
Non conosco autori che abbiano sostenuto questa prospettiva. Si tratta di un’opzione piuttosto
radicale che di fatto taglia alla base qualsiasi possibilità cognitiva. Equivale infatti a sostenere che l’io è
una sostanza che non ha a che fare con pensieri o contenuti cognitivi. Ma il fatto che noi abbiamo o
che vi siano pensieri/volizioni contenuti è evidente. Qualcuno come fa Berkeley potrebbe sostenere
che questi fenomeni siano mere apparenze inviate da Dio o da qualche demone, ma sarebbero tuttavia
qualcosa di altro rispetto all’io penso. Di fatto questo monismo non spiega per nulla come si generi o si
giustifichi la conoscenza. Nemmeno nel sogno viviamo una situazione di questo tipo, ovvero una
coscienza senza contenuti; saremmo sprofondati in un solipsismo disperante e vuoto. Questa
alternativa, presa in esame teoricamente, richiede dunque di essere scartata per ragioni di economia
esplicativa e funzionalità teorica. Oltre per il deficit euristico da cui è segnata.
Dualismo io/idee
In questo interregno tra i due estremi monistici si colloca la common sense theory che fa tuttavia una
“strana coppia” con il mainstream filosofico occidentale. Cartesio, Leibniz e Kant vanno collocati in
questa fascia o famiglia di teorie. E li possiamo etichettare come “razionalisti” nel senso che tutti, chi
più, chi meno, attribuiscono all’intelletto, all’io, una funzione operativa e attiva nella
formazione/emersione della “cosa conosciuta”, che sta alle facoltà conoscitive come un contenuto sta
ad un contenitore. Come, appunto, un cogitatum sta ad un cogitans. Ed è un modo di pensare così diffuso
e di successo che solo metterlo in questione sembra impossibile od insolito. «Se c’è un pensiero serve
qualcuno che pensa» mi ha detto una mia collega; «per confrontare due figure e accorgersi che sono simili è necessario
un medium che unifica e raffronta» ed altre simili cose.
Ma interroghiamoci in modo onesto su questa presunta soluzione. Cosa ci dice in generale il
pensiero razionalista? Che noi abbiamo un “io” che opera su dei contenuti ed eventualmente produce
giudizi. Cioè, semplificando, che noi conosciamo perché abbiamo una facoltà conoscitiva. È come
spiegare che un farmaco cura dicendo che ha la vis curativa, evidentemente non spieghiamo niente in
questo modo. Quindi sostenere:
se c’è un pensiero serve qualcuno che pensa»
non aggiunge assolutamente nulla, non spiega niente di come funzioni la nostra conoscenza. È una
definizione circolare e autoreferenziale. Allora tanto vale non complicarsi la vita e dire che l’occhio vede
perché ha la proprietà visiva e che l’orecchio sente perché ha il potere di sentire. In fondo la soluzione
razionalista è una degenerazione della common sense theory: postulare l’esistenza di un intelletto conoscente
è solo apparentemente più raffinato di postulare che l’uomo conosce perché conosce.
Ma i guai per il razionalismo sono solo agli inizi. In fondo questa soluzione dualistica oltre a non
spiegare per niente i fenomeni consci incorre in un paradosso a mio avviso devastante ed
insormontabile: è il paradosso che ho chiamato “dello zappatore”. Illustrarlo, seppur brevemente,
renderà palese l’insostenibilità di qualsiasi opzione dualistica in filosofia della mente, che esiga di
spiegare i fenomeni impiegando sia le idee sia l’io.
Il paradosso dello zappatore
Per un buon osservatore, filosofo o meno, guardare una persona al lavoro è sempre fonte di
meraviglia. Osservare un anziano zappatore che coltiva la sua piccola porzione di mondo, che la cura, la
irriga, mette a dimora le piantine e attende che crescano è fonte di meraviglia e allo stesso tempo di
mille domande. Cosa fa effettivamente lo zappatore? La risposta sembra facile:
§ guarda l’orto;
§ decide cosa fare (per esempio piantare insalata in un dato punto);
§ va a comprare i semi;
§ li mette a dimora;
§ innaffia;
§ raccoglie i frutti del suo lavoro;
§ cioè:v
§ conosce
§ decide
§ prevede gli effetti delle sue azioni
E invece cosa succede alla materia, alla terra, ai semi? Subisce le azioni dello zappatore. Cioè si
modifica in corrispondenza alle azioni del coltivatore. Ad una prima indagine dunque, come emerge,
siamo portati a supporre che lo zappatore sia dotato di diverse facoltà:
§ volontà;
§ capacità cognitive;
§ razionalità;
e naturalmente libertà d’azione. Questa è esattamente la teoria del common sense, l’immagine che
grossomodo ciascuno di noi entro i primi 10 anni di vita, adotta di se stesso, se non altro per ragioni
pratiche. Tuttavia questa teoria ad una analisi teoretica più approfondita si rivela contraddittoria.
Ora, lo zappatore conosce/vuole/ragiona/è libero. Quello che mi preme mettere in luce qui è che
questi quattro verbi sono transitivi, non certo da un punto di vista grammaticale, ma dal punto di vista
semantico/concettuale. Lo zappatore infatti:
§ conosce qualcosa,
§ vuole qualcosa,
§ ragiona su/di qualcosa,
§ è libero di scegliere qualcosa,
insomma le sue facoltà si applicano su contenuti che stanno, è questa l’idea del common sense, alle
facoltà come gli oggetti stanno all’occhio che vede. In questo frangente mi interessa dimostrare che tra
la facoltà mentale ed il suo contenuto esista una discrasia per quanto di piccolo livello. Se infatti,
conoscere è sempre conoscere qualcosa, volere è sempre volere qualcosa, inevitabilmente si crea uno iato
– delle cui devastanti implicazioni il common sense è poco consapevole – tra io conoscente e conosciuto,
tra io volente e voluto, tra io senziente e sentito. Si tratta di un dualismo insanabile tra agente e
paziente.
Procediamo con ordine. Tutti (o quasi) considererebbero ragionevole supporre che lo zappatore
abbia al suo interno un quid, chiamiamolo mente, che viene colpito dalle percezioni, che le elabora, che
infine assume delle decisioni. Si suppone in fondo che queste facoltà (attive o passive) siano un
qualcosa che è affetto dalle sensazioni, e dalle volizioni, che comanda il corpo ed attraverso il corpo
porta a compimento le azioni deliberate. Ma anche volizioni/sensazioni/deliberazioni sono un qualcosa
che o viene introiettato dai sensi oppure si genera all’interno della mente. Non ci interessa in questo
frangente l’origine di questo materiale. Questa teoria “di primo movimento”2
sul rapporto
zappatore/realtà presuppone che lo zappatore sia un agente razionale che “ordina” del materiale:
presuppone che la mente sia un ordinatore razionale, una entità pensante e operante, una entità attiva e
ricettiva un “io operativo”. E quindi cosa fa lo zappatore secondo questa teoria?
§ Guarda l’orto – SI FORMA DELLE IDEE;
§ Decide cosa fare – ADOTTA DELLE VOLONTÀ;
§ Va a comprare i semi – SCEGLIE TRA DIVERSE AZIONI;
È ricettivo (1) è attivo (2, 3). Appunto È. Tutto il resto (volontà/azioni/pensieri) deve prima colpire
questa sostanza che lui è. E dunque quello che egli è (IO) è radicalmente altro da quello che è ciò che lo
colpisce o che egli si rappresenta. Dunque una cosa così semplice come interpretare l’azione di uno
zappatore ci porta, mi pare, ad un insanabile paradosso, il “rompicapo” dello zappatore. Ecco come lo
possiamo presentare:
§ Lo zappatore guarda l’orto.
§ Lo zappatore si fa un’immagine dell’orto
§ Nella sua mente si crea l’idea dell’orto
§ La sua facoltà conoscitiva, il suo io, vede l’idea.
Come fa la facoltà conoscitiva a conoscere l’idea? Se ne farà una “copia” così come l’occhio ha fatto
una copia dell’oggetto reale.
§ La facoltà conoscitiva si rappresenta l’idea, ne fa una copia (è l’occhio interiore) ne è colpita.
§ All’interno della facoltà conoscitiva si crea l’idea dell’idea dell’oggetto esterno.
La facoltà conoscitiva è dunque fatta di 2 parti una ricettiva che immagazzina l’idea dell’idea ed una
attiva che conosce.
§ Il problema si riproduce ad infinitum.
§ La conoscenza dunque non è possibile.
Quindi lo zappatore non può conoscere e non riesce ad agire. Quindi la common theory sul
funzionamento del rapporto tra io e fenomeni mentali è fallace in quanto per spiegare la facoltà
conoscitiva presuppone una facoltà conoscitiva di livello superiore. È come spiegare il funzionamento
della mente umana supponendo che all’interno ci sia un “omino” che conosce e vuole. Già ma come fa
questo “omino” a conoscere: ovvio avrà un omino dentro di sé, che avrà un omino dentro di sé e così
via...
Alla base di questi problemi di “riverbero” - mi vengono in mente certi specchi posti l’uno di fronte
all’altro - è il dualismo di fondo tra io conoscente (sia entità/facoltà/funzione ordinatrice o altro) e
fenomeno (sia esso cosa/oggetto/percezione/volizione). Il nostro obiettivo critico non è naturalmente
(solo) il senso comune ma ce la prendiamo con i massimi filosofi che sono incorsi senza accorgersene
in questo paradosso tipico di qualsiasi dualismo razionalista.
L’opzione dualistica è proprio la condizione migliore per il proliferare dell’effetto-riverbero, ed in
definitiva non spiega niente. E l’esistenza di uno iato, di uno scarto tra io cogitans e fenomeno cogitatum è
insanabile. Certo alcuni razionalisti come Kant, forse consci del fatto che il dualismo è una soluzione
che non regge, hanno tentato di saturare artatamente questo iato inserendo tutta una serie di strutture
operative, categorie, forme pure e simili ma il dualismo resta. Anche in Kant in fondo chi tira le fila del
teatro della mente è sempre l’io-penso, questo burattinaio. L’intelletto, al contrario della sensibilità, in
Kant ha una funzione operativa, attiva evidente nella strutturazione dei giudizi. Definirei questa
variatione sul tema serializzazione del cogito; ma cosa pensa l’Io penso? Ovvio pensa dei pensieri che
principieranno e deriveranno pure da tutto quella trafila burocratica fatta di forme pure e categorie, ma
pensa dei contenuti cognitivi. E come fa l’io-penso a pensare dei pensieri? È chiaro che siamo da capo,
il dualismo è insaturabile.
La retta via per avere un’immagine corretta del funzionamento della mente non può che essere
l’abbandono del dualismo io/fenomeni, strada già tracciata da David Hume: se dare sostanza al solo io
non ha alcun senso e distribuire la sostanza tra io e fenomeni è insostenibile, non resta che la soluzione
libertaria ed impervia: solo le idee esistono con buona pace del mainstream razionalista e dell’immagine
quotidiana che ciascuno ha della sua mente.
Monismo delle idee
Va da sé: l’opzione che resta (esistono solo le idee) è quella adottata nella mia ricerca. Per sviluppare
appieno l’idea che la mente sia in sostanza un sistema anarchico, complesso, non lineare ma in grado di
produrre un ordine spontaneo, mi sono avvalso della teoria sinergetica, applicandola alla filosofia della
mente: ecco spiegato il senso del termine “psicosinergetica”. Nata a cavallo tra anni ‘60 e ‘70, grazie
all’opera di Herman Haken, la sinergetica rappresenta un vero e proprio paradigma scientifico in senso
Kuhniano in grado di dare una spiegazione unitaria, elegante ed economica a problemi teorici
affacciatisi nelle discipline più disparate.
Tornando all’opzione “monismo delle idee”: se la mente è un “contenitore” di idee che si
autoorganizzano (vedremo come nel seguito) e che non sono “governate da un io centrale e
“socialista”, resta aperto il problema di spiegare come avvenga questo fondamentale processo
autoorganizzante. Sfrutteremo qui tutte le potenzialità della sinergetica applicate a classici problemi
della psicologia e della filosofia della mente (percezioni, ricordi, emozioni…) per avere un’immagine
generale di un modello, in vista, come già detto delle importanti applicazioni e ricadute pratiche della
psicosinergetica.
IDEE E SINERGETICA
Nel delineare una teoria sinergetica della mente, ovvero nel dare un’estensione ed un significato
all’opzione “monismo delle idee” ci serviremo spesso di immagini o di un linguaggio metaforico.
Questo al solo fine di rendere più chiaro il nostro modello: una presentazione assiomatica non
raggiungerebbe altrettanto bene questo scopo. Il fine è dare una presentazione intuitiva della teoria
sinergetica. Solo un’osservazione: che statuto epistemologico ha la nostra teoria sulle idee? Per
rispondere a questa domanda bisognerebbe essere già esperti di sinergetica: per ora basti dire che è
un’idea, molto articolata e fertile, un paradigma che mi si è presentato tutto assieme - eideticamente –
come un’intuizione istantanea. Per me è stata una “conversione” che mi ha imposto di rivedere tutti i
miei convincimenti filosofici, fisici, politici ed in generale la mia visione del mondo. Da quest’intuizione
in poi è stato un susseguirsi di deduzioni, applicazioni, estensioni dell’idea originaria. Evocare pretese
hegeliane di autocomprensione dello spirito è sempre un po’ antipatico, almeno personalmente, e
tuttavia è una tara di cui non si riesce a liberare alcuna teoria della mente, sia essa monistica, dualistica o
pluralistica: dobbiamo forse rinunciare a parlare di quanto appartiene alla nostra coscienza? Basti una
annotazione pratica per controbattere a questa conclusione: tante persone hanno problemi mentali.
Dobbiamo forse rinunciare a curarli? E per curarli non serve forse una immagine, una teoria, un
modello di funzionamento della mente?
Il modello teorico
Ontologia
Ogni teoria ha la sua ontologia, ovvero quella sezione che si occupa degli enti di cui si occupa la
teoria. Ma dare un’ontologia, come ci insegna la logica formale, non significa impegnarsi sulla “realtà”
di questa ontologia. Se sto costruendo una teoria per spiegare il comportamento meccanico dei corpi
celesti posso ammettere nella mia ontologia teorica il concetto di forza. Ciò non significa che al termine
‘forza’ corrisponda qualcosa o che la forza esiste davvero: queste sono questioni metafisiche. In più
un’ontologia è tanto migliore quanto più è “scarsa” ed economica: meno enti contiene, coeteris paribus,
tanto più è preferibile.
L’ontologia su cui verterà la nostra teoria, è molto scarna e questo è già un punto a favore. Contiene
un solo tipo di enti, che abbiamo variamente designato come “atomi cognitivi”, “elementi ultimi” o
IDEE. Ne abbiamo postulato l’esistenza per spiegare i fenomeni e per superare il paradosso dello
zappatore. Già ma cosa dobbiamo intendere propriamente per “idea”? Purtroppo in questo caso
l’etimo greco non viene in nostro soccorso: “idea” rimanda al paradigma del “vedere”; ciò ci induce a
pensare che l’idea sia qualcosa che si vede e che vi sia un quid vedente che la veda. Cioè in altre parole
che esista un io cosciente che vede le idee. Nulla di più lontano dalla nostra concezione. Come la fisica
newtoniana postula l’esistenza dei corpi celesti, come la chimica postula l’esistenza degli atomi e la
geometria dei punti, la sinergetica postula l’esistenza dei suoi elementi ultimi: le idee. La domanda “cosa
sono le idee” è metafisica ed insolubile: come già detto le idee sono enti teorici esattamente come i
punti in geometria. E propongo di trattarli proprio come punti cognitivi portatori di un minimum
semantico.
Moto caotico e campi di forza
I fenomeni coscienti, dei quali stiamo cercando una spiegazione unitaria, sono caratterizzati da
un’alta volatilità, da un susseguirsi rapido, quasi istantaneo, da un flusso inarrestabile e velocissimo.
Immagini, pensieri, parole, volontà, scelte, si susseguono continuamente, si rincorrono, aumentano
d’intensità, occupano tutto il nostro conscio ed infine decadono soppiantati da altri fenomeni mentali.
Per spiegare questo mondo mutevole ogni teoria della mente che si rispetti deve dunque incorporare un
elemento dinamico, cinematico.
Nella teoria sinergetica le idee non sono dunque enti teorici statici3
, immobili ma sono agitate da un
continuo moto caotico che le porta ad incontrarsi, scontrarsi, associarsi per brevi periodi ed infine a
dissociarsi. Le idee si comportano dunque come elementi di un sistema complesso (pensiamo ad una
massa gassosa). L’affermarsi dell’approccio sistemico in campo teorico ha rappresentato una profonda
rivoluzione nel paradigma scientifico: l’oggetto teorico non viene più pensato come isolato me ne
vengono studiate le interrelazioni con altri elementi. Le sinergie.
Come già premesso possiamo impiegare vari modelli teorici per descrivere la dinamica delle idee, per
renderla intellegibile: possiamo pensare alle idee come a delle particelle in moto browniano, dei pianeti,
dei magneti in grado di creare dei campi di forza: ma si tratta come detto di metafore teoriche.
Un’immagine che ho trovato molto allettante, benché vada presa cum grano, è la metafora chimica: le
idee sarebbero degli atomi in moto caotico che sono caratterizzati dallo scontro, dalla repentina
creazione e rottura dei legami chimici. Ma come detto non fossilizziamoci su una metafora in se priva di
contenuto reale.
Per approcciare più specificamente il nostro “iperuranio dinamico”, e per illustrare come un moto
caotico di idee e di associazioni di idee possa spiegare i fenomeni coscienti è giunto il momento di
illustrare il processo standard della dinamica delle idee: si tratta del ciclo sinergetico.
Il ciclo sinergetico
Procederemo nelle prossime pagine ad una presentazione ordinata del ciclo sinergetico standard o
“naturale”. Ci atterremo rigorosamente alla distinzione tra explanans ed explanandum avanzata nella
prima parte della ricerca. Dapprima sarà evidenziato il fenomeno mentale (l’explanandum), quindi la
proposta sinergetica congetturata per darne le ragioni.
I. Stato isotropo
Non percepisco, non avverto:
§ pensieri
§ impressioni
§ immagini
§ suoni
§ sensazioni
§ sentimenti
§ volizioni
§ deliberazioni
§ dialogo interno
§ giudizi
Questo stato è tipico del sonno profondo o degli stati di vuoto mentale, di sospensione del pensiero
cosciente che ognuno di noi può sperimentare non solo nel periodo notturno – naturalmente non nella
fase onirica – ma anche nel corpo della giornata.
Proposta sinergetica
Non emerge distintamente alcuna idea. Lo spazio sinergetico si presenta come un plasma omogeneo nel
quale non è presente alcuna idea: è un tutto confuso ed indistinguibile. È per così dire la materia di cui
sono fatte le idee, che emergeranno in seguito, ma in uno stato molto denso. Possiamo del pari figurarci
questo stato come un “vuoto” d’idee: la sostanza non cambia.
§
Ora, in generale noi non percepiamo “stati” ma variazioni: percepiamo variazioni di dolore, di
pressione, di calore. L’esempio classico è l’effetto “uomo-sdraiato”: percepiamo la variazione di
pressione sul nostro corpo per quei tre secondi che ci servono per coricarci, poi è come se ci
dimenticassimo di esser coricati: torniamo a percepirlo se compiamo un moto relativo rispetto al letto.
Idem avviene per la visione: se fissiamo intensamente una luce di una lampadina vedremo che negli
istanti successivi si formeranno degli aloni scuri: è la prova del fatto, per dirla empiristicamente, che il
nostro occhio compie continue “scansioni” della lampadina, continui movimenti: ci accorgiamo dei Δx.
È come quando muore una persona cara: per i primi tempi percepiamo la mancanza di un’idea a cui ci
eravamo abituati, poi il ricordo si assesta e ci si presenta con un aspetto più costante, frutto di una
dolorosa “elaborazione” del distacco.
II. Fase di emersione delle idee
“Oscuro e confuso”. Sono queste le due parole con cui la filosofia moderna ha designato questo
stato mentale. Abbiamo in questa fase del processo conscio delle “piccole percezioni”: le volontà si
fanno strada tra mille oscurità, tra mille pensieri concorrenti. Il flusso conscio è ridotto al minimo, non
è un fiume impetuoso. I pensieri sono corrotti e labili, le immagini fratte e caleidoscopiche, il dialogo
interno caotico, le argomentazioni ridotte a visioni. È lo stato tipico del dormiveglia o se vogliamo è la fase
in cui si trova immersa, benché nel pieno del giorno, la mente del bambino che non ha visioni nitide ma
solo intuizioni confuse.
Proposta sinergetica
In questa fase le idee emergono dal plasma originario. È come all’origine del cosmo: all’inizio c’era
un plasma densissimo, poi casualmente emergono delle “anisotropie”, delle “singolarità”: emergono le
idee. Tuttavia esse sono deboli, il loro campo di forza è appena affermato ed è efficacemente
contrastato dalle forze caotiche che animano il fluido viscoso nel quale le idee sono immerse. Se
ammettiamo che in origine vi fosse il vuoto resta aperta l’opzione empirista che le idee vengano nella
nostra mente da un “altrove”.
§
Come già osservato noi siamo consci solamente di una certa classe di fenomeni: immagini, suoni,
parole, ragionamenti. L’empirismo usa fare una distinzione tra eventi causati dall’esterno – David Hume
parla di impressioni – e sensazioni interne (di riflessione). Ma questa distinzione è totalmente fallace; noi
infatti non sappiamo donde provengano i fenomeni mentali, noi sappiamo solamente che abbiamo
questi fenomeni e basta. Fainomena nuda tenemus. La sinergetica non si sbilancia sull’origine delle idee,
non si chiede se vengano da un fuori metafisico e da un dentro, da Dio o da chissà quale iperuranio. La
sinergetica è un paradigma che può esser declinato in vari modi.
III. Idea-ordinatore: campi di forza
Alla coscienza si presentano alcune impressioni, alcuni pensieri, o alcune volontà più chiare rispetto
allo stato precedente e soprattutto si presentano alternandosi con massima velocità: ora un pensiero,
ora un altro, ora una volizione ora un’altra. In questa fase il flusso di coscienza prende una certa
consistenza eppure non sono possibili sequenze di ragionamenti lunghe: piuttosto si presentano
intuizioni isolate, benché già con un buon grado di chiarezza e distinzione. Manca del tutto
l’articolazione logica.
Proposta sinergetica
Le idee emerse creano dei campi di forza che si vanno rafforzando. In questa fase le idee ingaggiano
una vera e propria “lotta per la sopravvivenza”: ora prevale un’idea che vincola a se, attraverso il suo
campo di forza, un’idea “perdente”, ora l’idea perdente prende la sua rivincita. È una fase in cui le
strutture ordinate iniziano ad emergere dal moto caotico delle idee, ma non hanno ancora la forza per
stabilizzarsi.
§
È questa una fase centrale del ciclo sinergetico4
. Le idee sono in competizione fra loro, ma
diversamente dall’evoluzione biologica non prevale affatto la più “adatta”: la vittoria di un’idea
piuttosto che d’un altra è un fatto del tutto casuale, non premeditato, non sensato. Perché ad un certo
punto ci viene in mente una data parola, poi un’immagine e poi un suono? Poiché il “logico” è
istituito/definito dall’attività mentale – dalla dialettica delle idee – e nella sua definizione gioca un ruolo
essenziale l’abitudine con cui certe idee si presentano stabilmente associate, è ovvio che la dinamica
delle idee non segue alcuna logica. Le idee attraverso i loro campi di forza giocano il ruolo di
ORDINATORE. Contrastando la tendenza verso il caos che le idee, nel loro “moto”, rivelano, iniziano
ad emergere delle labili strutture ordinate grazie alle idee stesse. L’idea ordinatrice che prevale in una
data fase è in grado di ASSERVIRE altre idee, di attrarle a se, di vincolarle. Ed in questa fase, per quanto
labile e transitoria, i fenomeni mentali si susseguono già con una certa dose di chiarezza. I fenomeni più
estesi, più articolati, come il ragionamento o la dinamica volizione/soddisfacimento non sono ancora
possibili. Possiamo chiamare questa fase, momento degli ordinatori deboli. La dinamica sinergetica
ORDINATORE/ASSERVIMENTO, è dunque in grado di avanzare una spiegazione sul modo in cui
da uno stato di cose del tutto casuale e senza seguire alcuna logica prestabilita, sia possibile l’emersione
di strutture relativamente stabili ed ordinate; di spiegare come l’ordine emerga dal caos senza la
necessità di alcun ente ordinatore razionale (quali sarebbero un un ego cogitans o una facoltà sintetica).
IV. Asservimento
Un fenomeno mentale (volizione, deliberazione, immagine, ricordo) si presenta alla coscienza con
un buon grado di nitidezza. Ad esempio emerge chiaramente l’immagine di un oggetto chiaramente
distinguibile, pensiamo ad una mela. Tuttavia il “molteplice cosciente” – i fenomeni mentali – si
presentano come un continuum piuttosto denso: come un “tutto strutturato”. Anche nel caso in cui
l’immagine della mela si presenti chiaramente, essa è per così dire in questa fase accompagnata da mille
altri fenomeni: parole, ricordi5
, intuizioni. Dunque in questa fase percepiamo certo un fenomeno con
“chiarezza e distinzione” benché si tratti in realtà di un fenomeno che al più emerge da uno sfondo
oscuro e confuso. Pertanto noi non percepiamo ancora un fenomeno isolato ma una struttura di
fenomeni ordinata o meglio la variazione di tale struttura.
Proposta sinergetica
Dalla durissima competizione tra idee ordinatrici emerge un’idea vincente non perché essa sia in se
più forte – tutte le idee sono in se omogenee – ma perché per puro caso il campo di forza da essa
creato è stato ed è in grado di ASSERVIRE altre idee, che sono risultate perdenti, e che tuttavia
entrano in gioco nei fenomeni mentali: spiegano il fatto della “densità” fenomenica. L’idea vincente si
va rafforzando nella misura in cui è in grado di asservire altre idee. Ora, ogni idea (anche quelle
asservite) crea un campo di forza suo. Quando va emergendo un ordinatore vincente i legami che le
idee asservite avevano creato con altre idee da esse dipendenti si rompono.
V. Evento ordinato
Un fenomeno mentale (pensiero, impressione, immagine, suono, sentimento, volizione, parola) si
presenta al massimo della sua chiarezza alla nostra coscienza. Si presenta ormai quasi indipendente dallo
sfondo confuso che accompagna le nostre percezioni. Emerge ad esempio la parola “amore”. Questa è
una fase in cui l’evento mentale si presenta non “al culmine della forza” (che sarebbe uno stato) ma al
culmine del suo rafforzamento (noi percepiamo solo “Δx”). In questa fase i fenomeni si presentano
associati con una certa abituale costanza: nascono i ragionamenti che non sono altro che parole
stabilmente associate6
. Nasce anche il fenomeno del dialogo interiore.
Proposta sinergetica
Tra le tante idee in competizione l’idea-ordinatore vincente estende sempre più attorno a sé il suo
campo di forza ed è in grado di asservire sempre più idee. Va notato che attorno ad essa si va
strutturando un nucleo relativamente stabile, che ha legami interni piuttosto forti. In questo nucleo che
in qualche misura protegge l’idea-ordinatore dalle tendenze caotiche contrastanti – ricordiamo che le idee
sono in un continuo moto casuale e che le strutture ordinate che si creano restano comunque piuttosto
labili – le idee asservite sono saldamente vincolate all’idea emersa. Attorno a questo nucleo i legami
divengono sempre più deboli e periferici. Per quanto riguarda i ragionamenti si crea in questa fase una
continua e solida transizione tra asservente ed asserviti che crea anche il fenomeno del dialogo interiore.
VI. Decadimento
Dopo aver raggiunto la massima fase di chiarezza i fenomeni mentali vanno incontro ad un rapido
ridimensionamento del loro portato cosciente. Superato il climax cognitivo, per esempio raggiunto
l’apice di una determinata volizione, il periodo di massimo rafforzamento, la volizione va incontro ad
una riduzione, solitamente successiva ad un fenomeno-soddisfacimento7
. Così hanno modo di emergere
altre tendenze prima sopite e il ciclo sinergetico può riavviarsi.
Proposta sinergetica
Il campo di forza creato dall’idea vincente va rapidamente perdendo la sua capacità attrattiva e le
idee asservite riprendono la loro autonomia tornando gradualmente ad asservire altre idee tramite i
rispettivi campi di forza. Si riapre una fase degli ordinatori-deboli, ed una nuova competizione tra idee.
Osservazioni
Ora, noi possiamo riguardare allo schema del ciclo sinergetico considerandolo come una
TRANSIZIONE DI FASE. In fisica una transizione di fase è un cambiamento macroscopico,
osservabile dello stato di una sostanza. Per esempio l’acqua a 0 gradi ghiaccia ed a 100 evapora, tra 1 e
99 gradi resta allo stato liquido. Proprio come queste temperature rappresentano delle soglie critiche
oltre le quali la materia si ri-organizza, anche nel ciclo sinergetico abbiamo a che fare con fasi critiche di
questo tipo. Ecco una descrizione di tali transizioni di fase:
1) La prima transizione di fase avviene quando le idee emergono: si passa chiaramente da uno stato
omogeneo ad uno stato discreto, nel quale le idee iniziano a distinguersi. Lo stato discreto perdura
per una certa fase nel quale le idee si mettono in competizione tra loro. Possiamo associare questa
prima transizione al passaggio da uno stato omogeneo allo stato gassoso. Nel nuovo stato gassoso le
idee sono animate da un continuo moto caotico: si incontrano, si associano, si disperdono, si
rafforzano, si indeboliscono con una velocità impressionante. I loro campi di forza si mettono in
competizione per affermarsi.
2) Un’idea per puro caso emerge ed è ha la capacità di asservire tutte le altre. L’idea vincitrice –
l’ordinatore – va come costruendo attorno a se un “feudo” sempre più saldo. Possiamo paragonare
questo processo alla cristallizzazione: attorno ad un nucleo centrale si costruisce una struttura
sempre più solida, che tuttavia è in continua fluttuazione: mantiene la sua elasticità8
. Questa è la fase
dell’“ordinatore vincente”. Per dirla con una metafora politica siamo passati da uno stato anarchico
all’affermazione di un monarca.
3) “Liquefazione”. La struttura dinamica saldamente organizzata attorno all’ordinatore si va
disgregando: i legami con l’attrattore centrale si indeboliscono; gli asserviti riprendono la loro
autonomia, i loro campi di forza riprendono una relativa autonomia.
4) I campi energetici si indeboliscono e decadono. Le idee tornano ad essere monadi isolate.
Come identifichiamo un oggetto?
La fase dell’affermazione di un’idea, fase nella quale il campo di forza generato da quest’idea va
progressivamente aggregando delle altre idee, merita qualche considerazione in più. Questo perché a
livello percettivo questo processo mira a spiegare come i fenomeni mentali si mostrino in tutta la loro
chiarezza. O per dirla empiristicamente è il processo cognitivo che porta all’identificazione dell’oggetto,
o della volizione, o di una specifica sensazione. Come abbiamo già avuto modo di notare,
contrariamente a quanto certa mistica anacoretica ci indurrebbe a pensare, i fenomeni che si presentano
alla nostra coscienza non sono affatto stabili, si susseguono in un turbinare velocissimo, ora
compaiono, ora si affermano ora si confondono ora richiamano altri fenomeni. Noi percepiamo il
mutamento, i Δx. L’occhio non è mai fermo: serve un moto relativo tra percipiente e percepito, per
dirla in termini razionalistici: se fissiamo il sole negli istanti successivi noteremo un’aura di aloni scuri.
Non sono altro che le differenti impressioni retiniche del sole, create dal moto del nostro occhio. A me
è capitato di soffrire un dolore molto intenso: arriva ad “ondate” prima si intensifica, evoca certe
rappresentazioni, poi si indebolisce. Mai cessa. O meglio quando cessa non lo sento più. È un processo
analogo alla scintillazione stellare: l’ob-iectum pare esso stesso agitato da una continua forza. E quando
non accade ciò è l’osservatore a muoversi. Ora, a mio parere il modello sinergetico che abbiamo messo
in campo spiega in modo assai elegante questo fenomeno, chiamiamolo della “mutevolezza” del nostro
cosciente. Ma richiede di essere meglio specificato il tipo di struttura dinamica che l’idea ordinatrice
crea attorno a se. Possiamo ben usare una metafora biologica. L’idea vincente rappresenta il
filamento di DNA di una cellula. Quest’idea centrale è in grado di legare a se piuttosto stabilmente una
serie di altre idee che vanno a costituire la “protective-belt” che si struttura attorno all’idea-vincente.
Anche qui la metafora non tragga in inganno: il fatto che certe idee entrino a far parte di questa
struttura saldamente legata all’idea ordinatrice è del tutto casuale. Attorno ancora a questa protective-belt,
che è anch’essa una struttura tutt’altro che statica, c’è quell’insieme di idee assai variabile che costituisce
la PERIFERIA; di questa area fanno parte tutte le note che non sono essenziali all’identificazione del
contenuto cognitivo: variazioni di qualità, quantità, colore, relazioni di spazio e tempo9
. Tutte le
associazioni di idee che non sono essenziali all’identità dell’oggetto appartengono a quest’area.
Ciò detto. Come identifichiamo un volto? Naturalmente, esclusa l’ipotesi humeana dell’esistenza di
idee complesse, dobbiamo riconoscere che al fenomeno volto corrisponde un explanans ideale
aggregato: un aggregato dinamico di idee. Vincerà dapprima l’idea di volto10
(idea ordinatore) che
strutturerà attorno a se un nucleo fatto dell’idea di naso, dell’idea di occhio, dell’idea di guancia. Ora
prima si presenterà l’idea di volto (compare un volto), poi quella di naso (compare un naso), poi vedrò
gli altri fenomeni legati al fenomeno/volto. Poi eventualmente ancora il volto nel suo complesso.
Insomma alla mia coscienza apparirà dapprima il fenomeno-ordinatore poi gli asserviti appartenenti al
nucleo, poi ancora il volto. Questo è manifesto quando guardiamo un’opera d’arte: ora la nostra
attenzione si fissa su un particolare, ora su un altro, ora sull’intera opera: non mai paga si muove
costantemente. Dal punto di vista della sinergetica questa variazione significa una cosa semplice: che a
turno le idee del nocciolo diventano ordinatori vincenti, ed a loro volta asserviscono, ad esempio l’idea
di volto.
È anche possibile che qualche idea periferica si rafforzi a tal punto da essere inclusa nel nucleo ed
arrivare ad intaccare l’identità stessa del costrutto d’idee. Per esempio quando un uomo invecchia è
possibile che una persona che lo avesse visto tanti anni prima non lo riconosca più. Cosa è avvenuto?
L’idea apparentemente periferica dell’età di un uomo è giunta a minare l’essenza stessa dell’oggetto, di
quell’individualità che esso è. Analogo discorso può valere per le note di spazio e tempo: chi
riconoscerebbe un medesimo pezzo musicale nel sentire le prime tre battute e le ultime tre del Bolero di
Ravel?
Ecco una schematizzazione della dinamica che anima i costrutti d’idee, riportante anche l’esempio
dell’identificazione del volto:
Img 1
Fenomeni simili, opposti, uguali
Ogni critica della mente deve confrontarsi con questi problemi, che sono della massima importanza
gnoseologica: senza di essi la nostra conoscenza non sarebbe neppure possibile. Riconoscere le
regolarità, e le differenze è essenziale per muoverci in un mondo, che altrimenti sarebbe una selva
oscura priva di senso o significato.
Fenomeni simili
Riconosco che due oggetti sono simili. Ad esempio vedo due triangoli e noto che essi hanno
entrambi tre angoli, che sono acuti, cha hanno tre lati, ed altre simili qualità. Due fenomeni simili hanno
un “quid” in comune.
Proposta sinergetica
Img. 2
Emergono insieme le idee 1 e 2. Esse hanno in comune le idee asservite A, B e C. Le idee vincenti 1
e 2 hanno in comune il seguente “quid”: tre idee condivise.
Fenomeni diversi
Due immagini differenti appaiono alla mia coscienza
Proposta sinergetica
Si affermano due idee che hanno pochissimi asserviti in comune.
§
Due immagini, due ricordi, due sensazioni, proprio per la complessità e la ricchezza che caratterizza
l’aggregato fenomenico, non sono mai del tutto differenti. Trovatemi due oggetti che non abbiano
alcunché in comune. Se non altro avranno in comune il fatto d’esistere.
Fenomeni opposti
Appaiono due sentimenti, due immagini del tutto contrastanti. Tali paiono piacere e dolore, bianco e
nero, notte e giorno.
Proposta sinergetica
Img. 3
Le idee 1 e 2 hanno in comune un numero relativamente ridottissimo di idee (in questo caso l’idea
D)
§
Gli opposti sono in realtà fenomeni “pochissimo simili”, in fondo per istituire una comparazione tra
termini si richiede che essi abbiano pur qualcosa in comunemente. Bianco e nero sono note cromatiche.
Il buio è assenza di luce, il piacere – e su questo torneremo parlando della temporalità – è assenza di
dolore.
Fenomeni uguali
Vedo due palle da biliardo entrambe della stessa forma, colore, nello stesso luogo: riconosco che
sono eguali
Proposta sinergetica
Img. 4
Le idee 1 e 2 hanno in comune moltissime idee-asservite
§
I fenomeni uguali sono fenomeni “moltissimo simili”: hanno tanto in comune ma non tutto.
Quantomeno hanno “periferie” diverse: la loro posizione spaziale sarà distinta altrimenti sarebbero un
unico oggetto.
Ricordi
Per spiegare l’esistenza dei ricordi non è forse d’uopo supporre che esista un io percipiente che
perdura identico nel tempo e che ospita in sé queste percezioni più languide che sono i ricordi? La
psicosinergetica, come già visto, attacca frontalmente la possibilità stessa d’esistenza d’un siffatto io. Ma
lo fa a ragione. Chiediamoci candidamente che cosa è un ricordo. L’unica risposta che trovo è che esso
è un’immagine languida, debole, quasi una eco secondaria e che noi riferiamo al passato. Ma facciamo
tutto ciò nel momento presente. Ovvero il ricordo è humeanamente idea presente. Ricordare è
ricostruire al momento presente. Perché proiettiamo nel passato queste immagini deboli? Ma cosa
propriamente noi ne proiettiamo nel passato? Non l’immagine stessa ma piuttosto la causa. E pensiamo
che quell’immagine languida che è il lampadario di camera mia, che ora presentemente ricordo, sia stata
causata in me da qualcosa che ho veduto nel passato. Da una sub-stantia che dunque esiste
indipendentemente da me. Ma la verità è che io non ho alcuna cognizione di una tale sostanza
indipendente: io ho a che far solamente con fenomeni attuali che, per così dire, stanno nella mia
coscienza ora, o in un “intorno” strettissimo dell’hic et nunc.
Quando ricordo qualcosa, dunque, propriamente ho a che fare con null’altro che immagini deboli,
associate alle presenti. Dal punto di vista della sinergetica come interpretiamo il fenomeno del ricordo?
Vi è un’idea presente che ha asservito un’idea secondaria a cui corrisponde il fenomeno ricordato.
Resta un punto da sciogliere. Come mai pare che certe idee ne richiamino costantemente altre? Come
mai tutte le volte che vedo il lampo mi aspetto il tuono? Che senso ha, in altre parole la relazione di
causa-effetto?
Previsioni
Se i ricordi sono idee un po’ più illanguidite, stessa immagine vale anche per le previsioni, intese
come idee proiettate nel futuro. Se ricordare è ricostruire nel presente, egualmente, e più intuitivamente
che nel caso del ricordo, prevedere è prefigurare hic et nunc. Come vedremo la fiducia che il passato
“funzioni” come il futuro da questo punto di vista è sinergeticamente spiegabile come un errore della
mente: prendere le idee-ricordi come idee-previsioni. Si crea una sorta di melange tra previsione e
ricordo, melting ben raffigurato nella dimensione onirica. Il sogno è sempre stato letto nella più diverse
culture come immagine e rielaborazione del passato – si pensi agli eventi del giorno prima – e come
prefigurazione del futuro (si pensi ai sogni o alle visioni dei profeti). Ma questo mix unico tra ciò che
non c’è più e ciò che ci sarà, non può che avvenire, per dirla aristotelicamente, in funzione di qualcosa
che è già in atto: quel sottile ed ineffabile segmento cursorio che è il presente.
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità
La scoperta della complessità

Weitere ähnliche Inhalte

Ähnlich wie La scoperta della complessità

Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdf
Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdfSchelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdf
Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdffrank0071
 
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdf
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdfcome gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdf
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdfnadine benedetti
 
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italia
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in ItaliaShadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italia
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italiasusan george
 
Comportamento del gregge
Comportamento del greggeComportamento del gregge
Comportamento del greggeMatteo Aluigi
 
Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)guestd2cda06
 
Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)guestd2cda06
 
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -infocannizzaro
 
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.Fausto Intilla
 
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]sabbioso
 
citazioni da classici e altri testi utili.pdf
citazioni da classici e altri testi utili.pdfcitazioni da classici e altri testi utili.pdf
citazioni da classici e altri testi utili.pdfnadine benedetti
 
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdfCITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdfnadine benedetti
 
citazioni utili......................pdf
citazioni utili......................pdfcitazioni utili......................pdf
citazioni utili......................pdfnadine benedetti
 
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdfCITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdfnadine benedetti
 
citazioni da libri universitari e da classici.pdf
citazioni da libri universitari e da classici.pdfcitazioni da libri universitari e da classici.pdf
citazioni da libri universitari e da classici.pdfnadine benedetti
 
Facebook e la pop-filosofia
Facebook e la pop-filosofiaFacebook e la pop-filosofia
Facebook e la pop-filosofiaEdoardo Acotto
 
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLO
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLORICERCA ENOGRAFICA - PINARELLO
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLOalepina91
 
Elementi Di Retorica Aristotelica
Elementi Di Retorica AristotelicaElementi Di Retorica Aristotelica
Elementi Di Retorica AristotelicaGiancarlo Polenghi
 
elenco di libri molto utili a tutti..pdf
elenco di libri molto utili a tutti..pdfelenco di libri molto utili a tutti..pdf
elenco di libri molto utili a tutti..pdfnadine benedetti
 

Ähnlich wie La scoperta della complessità (20)

Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdf
Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdfSchelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdf
Schelling, F. W. J. - L'empirismo filosofico e altri scritti [ocr] [1967].pdf
 
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdf
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdfcome gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdf
come gestire emozioni e sensazioni fisiche spiacevoli.pdf
 
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italia
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in ItaliaShadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italia
Shadowing me stessa - una vita agro-dolce passata in Italia
 
Perlappunto numero 0
Perlappunto numero 0Perlappunto numero 0
Perlappunto numero 0
 
Comportamento del gregge
Comportamento del greggeComportamento del gregge
Comportamento del gregge
 
Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)
 
Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)Lettera a cartesio (2)
Lettera a cartesio (2)
 
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -
INTRODUCTION TO PHILOSOPHY -
 
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.
ALTER EGO. Riflessioni ed aforismi del cuore e della mente.
 
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]
Ricoprimenti tematici - Enciclopedia Einaudi [1982]
 
citazioni da classici e altri testi utili.pdf
citazioni da classici e altri testi utili.pdfcitazioni da classici e altri testi utili.pdf
citazioni da classici e altri testi utili.pdf
 
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdfCITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PERCORSO DI MATURAZIONE.pdf
 
citazioni utili......................pdf
citazioni utili......................pdfcitazioni utili......................pdf
citazioni utili......................pdf
 
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdfCITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdf
CITAZIONI UTILI PER AVVIARE UN PROCESSO DI MATURAZIONE.pdf
 
citazioni da libri universitari e da classici.pdf
citazioni da libri universitari e da classici.pdfcitazioni da libri universitari e da classici.pdf
citazioni da libri universitari e da classici.pdf
 
Facebook e la pop-filosofia
Facebook e la pop-filosofiaFacebook e la pop-filosofia
Facebook e la pop-filosofia
 
Platone
PlatonePlatone
Platone
 
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLO
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLORICERCA ENOGRAFICA - PINARELLO
RICERCA ENOGRAFICA - PINARELLO
 
Elementi Di Retorica Aristotelica
Elementi Di Retorica AristotelicaElementi Di Retorica Aristotelica
Elementi Di Retorica Aristotelica
 
elenco di libri molto utili a tutti..pdf
elenco di libri molto utili a tutti..pdfelenco di libri molto utili a tutti..pdf
elenco di libri molto utili a tutti..pdf
 

Mehr von Nicola Lorenzo Pionetti

Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...
Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...
Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...Nicola Lorenzo Pionetti
 
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdf
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdfmonarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdf
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdfNicola Lorenzo Pionetti
 
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdf
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdfL'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdf
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdfNicola Lorenzo Pionetti
 
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdf
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdfI caratteri generaeli dell'illuminismo.pdf
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdfNicola Lorenzo Pionetti
 
I poteri politici in europa occidentale.pdf
I poteri politici in europa occidentale.pdfI poteri politici in europa occidentale.pdf
I poteri politici in europa occidentale.pdfNicola Lorenzo Pionetti
 

Mehr von Nicola Lorenzo Pionetti (20)

Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...
Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...
Trasformazioni e sviluppi. dalla seconda rivoluzione industriale alla società...
 
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdf
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdfmonarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdf
monarchia, papato e impero in Europa - La guerra dei cent'anni.pdf
 
L'età Giolittiana.pdf
L'età Giolittiana.pdfL'età Giolittiana.pdf
L'età Giolittiana.pdf
 
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdf
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdfL'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdf
L'espansione demografica dell'Europa XI - XII secolo.pdf
 
Il governo delle città i comuni.pdf
Il governo delle città i comuni.pdfIl governo delle città i comuni.pdf
Il governo delle città i comuni.pdf
 
Il fascismo.pdf
Il fascismo.pdfIl fascismo.pdf
Il fascismo.pdf
 
Telesio.pdf
Telesio.pdfTelesio.pdf
Telesio.pdf
 
Nicola Cusano.pdf
Nicola Cusano.pdfNicola Cusano.pdf
Nicola Cusano.pdf
 
Marsilio Ficinop.pdf
Marsilio Ficinop.pdfMarsilio Ficinop.pdf
Marsilio Ficinop.pdf
 
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdf
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdfI caratteri generaeli dell'illuminismo.pdf
I caratteri generaeli dell'illuminismo.pdf
 
Hume.pdf
Hume.pdfHume.pdf
Hume.pdf
 
Galilei.pdf
Galilei.pdfGalilei.pdf
Galilei.pdf
 
Bruno.pdf
Bruno.pdfBruno.pdf
Bruno.pdf
 
La rivoluzione americana.pdf
La rivoluzione americana.pdfLa rivoluzione americana.pdf
La rivoluzione americana.pdf
 
la primavera dei lumi.pdf
la primavera dei lumi.pdfla primavera dei lumi.pdf
la primavera dei lumi.pdf
 
La prima guerra mondiale.pdf
La prima guerra mondiale.pdfLa prima guerra mondiale.pdf
La prima guerra mondiale.pdf
 
I poteri politici in europa occidentale.pdf
I poteri politici in europa occidentale.pdfI poteri politici in europa occidentale.pdf
I poteri politici in europa occidentale.pdf
 
Il nazismo.pdf
Il nazismo.pdfIl nazismo.pdf
Il nazismo.pdf
 
Il Rinascimento.pdf
Il Rinascimento.pdfIl Rinascimento.pdf
Il Rinascimento.pdf
 
3.3.1. La prima Guerra Mondiale.pdf
3.3.1. La prima Guerra Mondiale.pdf3.3.1. La prima Guerra Mondiale.pdf
3.3.1. La prima Guerra Mondiale.pdf
 

Kürzlich hochgeladen

Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptxLorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptxlorenzodemidio01
 
Scrittura seo e scrittura accessibile
Scrittura seo e scrittura accessibileScrittura seo e scrittura accessibile
Scrittura seo e scrittura accessibileNicola Rabbi
 
Quadrilateri e isometrie studente di liceo
Quadrilateri e isometrie studente di liceoQuadrilateri e isometrie studente di liceo
Quadrilateri e isometrie studente di liceoyanmeng831
 
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione Civica
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione CivicaPresentazioni Efficaci e lezioni di Educazione Civica
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione CivicaSalvatore Cianciabella
 
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptxLorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptxlorenzodemidio01
 
Confronto tra Sparta e Atene classiche.ppt
Confronto tra Sparta e Atene classiche.pptConfronto tra Sparta e Atene classiche.ppt
Confronto tra Sparta e Atene classiche.pptcarlottagalassi
 
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptx
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptxdescrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptx
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptxtecongo2007
 
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptx
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptxLorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptx
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptxlorenzodemidio01
 
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptxLorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptxlorenzodemidio01
 
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptx
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptxdiscorso generale sulla fisica e le discipline.pptx
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptxtecongo2007
 
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptx
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptxDescrizione Piccolo teorema di Talete.pptx
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptxtecongo2007
 

Kürzlich hochgeladen (11)

Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptxLorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita di Cristoforo Colombo.pptx
 
Scrittura seo e scrittura accessibile
Scrittura seo e scrittura accessibileScrittura seo e scrittura accessibile
Scrittura seo e scrittura accessibile
 
Quadrilateri e isometrie studente di liceo
Quadrilateri e isometrie studente di liceoQuadrilateri e isometrie studente di liceo
Quadrilateri e isometrie studente di liceo
 
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione Civica
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione CivicaPresentazioni Efficaci e lezioni di Educazione Civica
Presentazioni Efficaci e lezioni di Educazione Civica
 
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptxLorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptx
Lorenzo D'Emidio_Vita e opere di Aristotele.pptx
 
Confronto tra Sparta e Atene classiche.ppt
Confronto tra Sparta e Atene classiche.pptConfronto tra Sparta e Atene classiche.ppt
Confronto tra Sparta e Atene classiche.ppt
 
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptx
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptxdescrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptx
descrizioni della antica civiltà dei sumeri.pptx
 
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptx
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptxLorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptx
Lorenzo D'Emidio_Francesco Petrarca.pptx
 
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptxLorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
 
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptx
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptxdiscorso generale sulla fisica e le discipline.pptx
discorso generale sulla fisica e le discipline.pptx
 
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptx
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptxDescrizione Piccolo teorema di Talete.pptx
Descrizione Piccolo teorema di Talete.pptx
 

La scoperta della complessità

  • 1. LA SCOPERTA DELLA COMPLESSITÀ Nicola Pionetti
  • 4. PREFAZIONE Se dicessi che l’insieme di queste ricerche filosofiche, a cui consegno almeno una decina di anni di studi, riflessioni, fatiche quotidiane, di tentativi di capire il mondo, di capirmi io, di capire gli altri, con qualche successo in un mare misterioso di non-senso, ha una funzione esistenziale, rischierei di essere travisato. Dall’inizio alla fine l’aspetto superficiale di questa silloge di testi eterogenei, scritti in modi, con scopi, ed in contingenze differenti, è quello di un testo argomentativo, che, da punti di attacco distinti, mira a mostrare/dimostrare una tesi: comprendere la natura peculiare della COMPLESSITÀ è necessario per poter agire sensatamente nel mondo ad ogni livello; non farlo significa accontentarsi di un’immagine semplicistica del mondo, rifiutando uno sguardo sul reale (e su noi stessi) veramente adulto, euristico e necessario per la praxis. Eppure la “forma emotiva profonda” del testo non ha nulla a che fare con l’incedere piano, lineare, talvolta chiaro e talvolta oscuro in parte persino al suo autore: la forma emotiva è drammatica, tragica. Tutti, prima o poi si trovano spiritualmente perturbati, percossi dal fremito, dal dubbio filosofico. Non necessariamente lo riconosciamo in tutta la sua drammaticità, fortunatamente non tutti abbiamo speso gli anni migliori per tentare di “venirne a capo” nelle aule dei dipartimenti di filosofia, la cui persistenza è ancora oggi probabilmente prova più lampante dell’insolubilità delle “domande fondamentali” che ne motivarono la creazione. Io l’ho fatto. Ho passato ogni giorno ad interrogarmi, ad utilizzare ed applicare i concetti appresi nelle scuole a quello che sentivo al bar, o a messa, o a casa. Per anni non “ho staccato”, più volte mi sono sentito solo, molto solo, perché è un lavoro matto, disperatissimo e impossibile. Credo il modo peggiore possibile per studiare filosofia, dal punto di vista della vita. Se gli studi liceali mi lasciarono le domande «cosa è la verità?» ed «esiste un metodo rigoroso per essere veridici avendo ragione sempre?» e ancora «chi, tra tutti questi tizi che mi parlano attorno/addosso da quando sono nato ha ragione? Dice qualcosa? Mente? Sa qualcosa...» come le stelle comete da seguire, indagare, risolvere e analizzare lungo gli anni di studio filosofico presso le università di Bologna di Pavia, solo ora vedo che il tentativo di dare una esaustiva soluzione a tutte queste questioni attraverso il punto d’attacco della filosofia analitica del linguaggio, per quanto eccitante e anche meglio impostato rispetto a tutti quelli concorrenti, lasciava a desiderare. Non ha soddisfatto le questioni esistenziali, le “ragioni profonde”, coperte, relegate, oltre una fragile lastra wittgensteiniana. Eppure questa via, la “via logicista” l’ho percorsa veramente fino in fondo – con tutte le potenzialità e tutti i limiti cognitivi che ho – e certamente mi ha formato; ma non ha potuto saziare quell’ansia di conoscenza. Le ansie, le inquietudini non sono seti che si estinguono con i libri: magari si leniscono, più spesso si amplificano. E quella sete non era, forse, originariamnte sete di sapere. Era in origine un normale, normalissimo, bisogno d’amore. Ed anche nella quotidianità devo dire che le provocazioni, gli stimoli, gli scambi di idee sono stati il pungolo che sempre mi faceva dire: vai avanti, approfondisci, non sei pronto per “batterlo ora questo tizio” in termini teorici o logici, ma un giorno prenderai la parola e dirai la tua, spiegando le ragioni, e “li stenderai tutti”. C’era anche parecchia voglia di rivincita tipica del ragazzino timido che ero (che sono?) nelle scelte che hanno direzionato la mia formazione. Proprio per questo scopo gli anni all’università di Bologna, segnati dalla costruzione della mia competence epistemologica mi sono stati molto utili, certo di più dei mesi investiti nello studio della logica matematica e della filosofia analitica del linguaggio. Nel presente testo, in cui finalmente PRENDO LA PAROLA E DICO LA MIA, non a caso la tesi di fondo è di caratura epistemologica: bisogna capire la peculiare natura dei sistemi complessi, e sviluppare/accettare una adeguata epistemologia della complessità.
  • 5. Tra gli stimoli quotidiani che più mi hanno segnato ed incuriosito da sempre ricorderò l’abitudine di guardare tutte le sere i dibattiti politici alla TV, fino a tardi, e la passione per la politica. Osservare quei signori in TV discutere, accalorarsi, argomentare, sostenere tesi, fare buoni e cattivi ragionamenti ecc… sono sicuro che determinò il primo sorgere della domanda della mia vita: CHI HA RAGIONE? Mi interessavano due aspetti della politica. Prima di tutto doveva proprio essere una cosa fondamentale che determinava la nostra vita, dunque un campo da studiare e comprendere con la massima serietà possibile, date le ricadute che aveva sulla vita; ed al riguardo l’essere cresciuto quotidianamente, insieme, a contatto, con la ditta di famiglia - una piccola azienda di posa in opera di parquet che considero come una seconda sorella - queste ricadute me le ha manifestate ogni giorno. Secondariamente della politica mi colpiva l’aspetto logico-dialettico sia dei dibattiti in TV sia nelle vivaci assemblee di politica locale. Come già detto il tentativo risoluzione per via logica e filosofico-analitica della “faccenda” mi conduceva ad esiti sterili, o meglio nessun dibattito soddisfaceva i criteri di validità argomentativa, e le poche formule-ben-formate proferite dai “politicians” erano circondate da formule enunciative intrattabili, dal punto di vista formale. Tentai una sola volta l’analisi logica di un consiglio comunale locale ma tutto si bloccò subito: lì il sangue scorre piuttosto che le argomentazioni lineari. Nella presente raccolta di scritti, nonostante l’eterogeneità dei testi, emerge un tema comune: la complessità. L’idea che dunque si è fatta largo in me in questi anni è che fondamentalmente i “tizi della televisione” i politici, ma anche l’uomo della strada che al bar parla di politica – ed anch’io finché non me ne sono accorto – incorrano in un comune errore, da Friedrich August von Hayek chiamato costruttivismo, che dal punto di vista epistemologico consiste nel non riconoscere la peculiarità dei sistemi complessi e dal punto di vista psicologico/soggettivo nel proiettare il dogma atavico della ragione lineare sui sistemi complessi, fraintendendone la natura, compiendo un vero abuso della ragione; mi accorgo dunque che gli anni bolognesi in particolare mi sono serviti per venire a capo di una serie di faccende che mi provocavano, sfidavano o che semplicemente mi avevano sempre affascinato. L’obiezione fondamentale che rivolgo dunque a quei signori della TV (di allora, come di oggi e senza distinzione alcuna di partito), e a molti “esperti” di politica siano essi dietro a uno schermo, dietro ai banchi di un’assemblea deliberativa o davanti al bancone di un bar è nella sua semplicità questa: QUANDO PARLATE E SOPRATTUTTO DELIBERATE VOTANDO LEGGI STATE SBAGLIANDO IL MODELLO TEORICO. TRATTATE, VI RAPPRESENTATE IL COMPLEXUS SOCIOECONOMICO, CHE DI FATTO HA UNA NATURA SISTEMICA, COME SE FOSSE UN TUTTO DI NATURA INSIEMISTICA, O NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI UN COSTRUTTO LINEARE E MECCANICISTICO. MA CON UN MODELLO TEORICO DELLA SEZIONE DI REALTÀ SU CUI INTENDETE INCIDERE (1) NON CONOSCETE SU CHE COSA DELIBERATE (2) SIETE SOSTANZIALMENTE DESTINATI ALL’INSUCCESSO NEL RAGGIUNGIMENTO DEI VOSTRI DESIDERATA. DI QUALSIASI TIPO ESSI SIANO. Questo nucleo concettuale centrale supporta tutti i cinque testi raccolti nel presente volume. Il Postcriptum del 2014 ripercorre un po’ il mio iter mentis, a partire dalle fondamentale “conversione” hayekiana, rappresentata dalla pubblicazione di Breviario Liberale, che nei suoi evidenti limiti “giovanilistici”, segnò per me un chiarimento concettuale fondamentale. È in questo Postcriptum che
  • 6. mi sono accorto dell’esistenza di quel nucleo concettuale centrale che supportava tutte gli scritti in esso citati e che, come si può in esso leggere, non erano ancora stati pubblicati. Prima d’ora. Mente un’anarchia ordinata, con titolo mutuato da un affascinante testo dell’antropologo Edward E. Evans Pritchard è una congettura di filosofia della mente, e nulla di più, che cerca di immaginare un’alternativa non-razionalista alla nostra autoimmagine della mente “lineare”, utilizzando il paradigma della Sinergetica sviluppato dal fisico teorico Hermann Haken. Sulla scia di riflessioni Humeane, la mente infatti non necessariamente deve avere un Io/concettualizzatore centralista che operi linearmente sui contenuti mentali: è infatti possibile immaginare il flusso di coscienza come un’emergenza spontanea da un sistema complesso di elementi. Il testo Filosofia dell’Ordine Spontaneo, inizia a spostare, ad ampliare, il discorso della complessità al suo giusto livello: quello di paradigma scientifico. Passando in rassegna diversi campi di ricerca si tenta di evidenziare come il paradigma della complessità regni come modello valido in tante distinte regioni della scienza. Uno di questi è certamente l’ecologia. Nonostante l’incedere pamphlettistico di Miseria dell’Ambientalismo, talora segnato a sua volta da voglia di provocare il lettore, il contenuto centrale è lo stesso: l’ambientalismo mainstream e radicale pensa all’ecosistema in termini non-sistemici, come se fosse un ente linearmente conoscibile e modificabile dall’uomo o dai governi umani. La scoperta della Sistemica con la lettura di Ludwig von Bertalanffy è la base del modo in cui oggi, e solo oggi dopo un percorso personale e faticoso, esistenziale appunto, vedo – mi sforzo di vedere - i problemi originari della mia riflessione, che accesero la mia sete di sapere. Questo mio punto di osservazione è sintetizzato in Riflessioni Libere sulla Teoria Generale dei Sistemi. Questo scritto credo proprio rappresenti il limite massimo raggiunto dalla mia capacità filosofica ed epistemologica di conoscere. Il termine di un’avventura conoscitiva emozionante, faticosa e degna, credo, di essere condivisa. Se al termine di quest’avventura di questo viaggio personale spontaneo e, diciamolo pure, anche ampiamente “impressionistico” nell’universo della complessità sono giunto ad ipotizzare di essere io stesso n sistema complesso non-lineare - cioè fondamentalmente qualcosa che deve probabilmente ricadere al di là del sensatamente dicibile e conoscibile, nel mistico wittgensteiniano - non rimpiango e non rimpiangerò mai un secondo investito in questa ricerca esistenziale, considerandola come un fallimento perché l’esito è: V’È DEL MISTICO. Bisogna averla percorsa tutta fino in fondo la Scala di Sofia, bisogna averlo sentito ogni singolo istante della vita il senso di vertigine, di terrore di cadere nel nulla, il sentimento, il rischio, di essere nulla, per godersi «quel senso di libertà e di vita che sento, in me, bruciare.» Prof. Nicola Pionetti BREVIARIO LIBERALE: POSTSCRIPTUM ALLA PRIMA EDIZIONE
  • 7. Premessa Non intelligendo fit omnia Cinque anni sono passati dai giorni in cui mettevo nero su bianco, dopo una vita passata a studiare il Mondo, cioè ad amarlo a mio modo, le mie idee sulla realtà storica e politica in cui il caso ha voluto che io nascessi. Non so chi abbia detto che siamo più figli dei nostri tempi che dei nostri padri: francamente rileggendo ora quanto scrivevo del mio Paese, l’Italia, nel 2009, non mi sentivo affatto figlio né dei “padri miei”, né tantomeno di questo “benedetto assurdo belpaese”. Anzi passati i primi 3 anni di università a studiare logica, filosofia della scienza e del linguaggio, e accendendo la televisione o andando a qualche assemblea politica locale, avevo chiara l’impressione di vivere in un Mondo Sottosopra. Se una delle ragioni per cui mi ero orientato verso gli studi di logica formale era capire cosa fosse la verità, se esistesse, cosa significhi aver ragione etc., se di fronte ai dibattiti in TV mi chiedevo prima «chi ha ragione?», ma nel senso già prefilosofico di «esiste un metodo obiettivo per determinare chi dei politici in studio sta ragionando, dialogando bene, o dice il vero?», la risposta che mi davo nel libro del 2009 di fatto era: «Cari signori, vi ho ascoltato tutti, pazientemente, ogni sera dal 1994 al 2009, e mi sono accorto che parlate di cose che non potete conoscere, promettete cose che non saprete realizzare, mentite sapendo di mentire, o, ciò che è peggio e più inquieta, mentite senza sapere di farlo». Il mio Breviario Liberale, già dal sottotitolo contro tutte le caste, parla chiaramente di una forte critica, giovanilistica quanto si voglia, contro la presuntuosa conoscenza che i gubernatores millantano in TV dai pulpiti o dai rostri dell’era 2.0, ma che in effetti non detengono. L’aspetto di quel libro, al netto dell’andare un po’ manicheo e pamphlettistico, è ancora oggi per me quello di una onesta presa di posizione, assolutamente critica, proprio perché fatta senza alcun secondo fine e a cui guardo ancora come una traccia valida. Questo perché il cuore argomentativo del testo non era affatto vincolato alla contingenza politica, la lista dei partiti o dei politici in voga allora, quello era semmai il materiale empirico: il nucleo era un’argomentazione di ordine epistemologico. La critica alla “presunzione di conoscere”, vero peccato originale della scienza politica occidentale, stigmatizzato a fuoco da Friedrich August von Hayek, è quel nucleo centrale. Se anch’io avevo pensato – almeno un po’ – che studiando, ovvero accumulando more and more knowledge avrei accumulato more and more power, la realtà dei miei studi filosofici ed il continuo lavoro di confronto critico con la vita di tutti i giorni e l’attualità politica, economica e sociale, mi misero allora di fronte ad una risposta contraria: più uno approfondisce lo studio di quel tipo di conoscenza e di quel mix di competenze richieste per il “Buon Governo”, più deve ammettere a se stesso e al mondo che il potere dei governanti di fare ciò che l’elettore medio chiede loro è pari a zero. Non possono creare lavoro, non possono far smettere le crisi economiche, non possono renderci felici, non possono eliminare la povertà, non possono regalarci il benessere che ci fanno balenare davanti agli occhi a pochi mesi dalle elezioni. Possono al contrario generare mali e tragedie senza fine quei governanti che non riconoscano la complessità della società e dell’economia che sono chiamati a “governare”. E che non si accorgano del loro reale e strutturale status ignorantiae. Che, a ben guardare, non siano socraticamente filosofi. Eppure l’opinione che il Governo sappia, possa e debba sistemare tutto ciò che non va, regna indisturbata e come incontrastata da tutte le smentite quotidiane con cui la realtà stessa la dovrebbe scandalizzare. Tornare a ribadire la posizione già espressa, con eventuali migliorie, avrebbe già di per sé valore. Smentire un’opinione pericolosa ampiamente diffusa tra governanti e governati, che si alimenta in un circolo vizioso patologico, è utile al pensiero e al Paese. Ma la ragione di questo Post Scriptum risiede principalmente nella voglia di mostrare le nuove direzioni che il mio pensiero ha imboccato dopo quell’iniziale presa di posizione. Se vogliamo questo scritto va inteso anche come la revisione delle mie precedenti tesi, e anche come il loro aggiornamento o anche compimento sul piano epistemologico.
  • 8. La presunzione di conoscere: la critica al costruttivismo Tutto il Breviario ruota attorno alla critica avanzata a Friedrich A. von Hayek al costruttivismo. Poiché questo è un termine coniato da Hayek, e io lo ho ripreso senza alterarne di molto il campo semantico, e poiché questo termine ha in altri campi teorici usi diversi da quello qui proposto, è opportuno avanzare una sua migliore definizione. In più testi Hayek critica la “visione costruttivistica” nell’ambito dell’economia politica, e delle scienze sociali in genere; essenzialmente per l’economista austriaco questa visione riduce, semplifica – e banalizza – la complessità che il sistema socioeconomico esprime, pensando ad esso come ad una “macchina”, ovvero ad un assemblato fatto di tante componenti, e che, quasi fosse progettato da un ingegnere infallibile ed onnisciente, funziona proprio per questa ragione in modo armonioso e razionale. Proprio perché è fatto da uomini che sono «razionali». Mercato, società e le altre istituzioni sociali sarebbero dunque fatti, costruiti (di qui il termine costruttivismo) dagli uomini che, agendo in modo deliberato, ovvero scegliendo mezzi adeguati in vista di fini da loro ritenuti razionali, darebbero vita a questo meccanismo regolare e retto da regole che, almeno in linea di principio, sono tutte esplicitabili. Come di un orologio meccanico possiamo conoscere con precisione il comportamento complessivo, così potremmo fare del complesso socioeconomico. È esattamente questa, né più né meno, la grave presunzione di conoscere, che risiede secondo Hayek in un uso irragionevole della ragione, che pretende di applicare in modo miope schematismi epistemici nati altrove (ad esempio in seno al razionalismo cartesiano o positivista) ad un campo refrattario a farsi descrivere da essi. Con il curioso effetto di aumentare la lamentela riguardo la debolezza fondazionale delle scienze sociali, proprio nel momento in cui non se ne riconosce ab origine la natura peculiare. C’è insomma un misconoscimento del livello di irriducibile complessità che si trovano di fronte il politico, il sociologo o l’economista quando tentano di conoscere a fondo il loro “oggetto”. Ma quest’uso irragionevole della ragione, per citare direttamente Hayek porta a credere che gli uomini si sarebbero accordati per costruire razionalmente ed intenzionalmente le istituzioni sociali; ed anche un correlato terribile e dannoso, ovvero l’idea che l’uomo sia anche nelle condizioni di «poterle alterare a suo piacimento in modo che soddisfino i suoi desideri o le sue aspirazioni.»1 Dalla presunzione di conoscere a fondo i meccanismi economico-sociali, alla presunzione di sapere come intervenire in essi per ottenere desiderata qualsiasi il passo è breve. Il passaggio logico che i costruttivisti/razionalisti fanno è anche semplice: dalla presunzione di conoscere passano alla presunzione di poter fare. Hayek intende, a mio avviso, bloccare sul nascere questa china scivolosa, alla maniera elegante e fastidiosissima (per gli avversari) dei liberali, ovvero togliendo con garbo e decisione ogni inclinazione alla china stessa. E lasciando il re nudo, con tutta la sua ignoranza e la sua umana impotenza, esibito al ludibrio coram populo. Il modo in cui lo fa, ovvero parlando del concetto di ordine spontaneo, riconoscendo che la razionalità e l’armonia si possono dare – ed in effetti si danno perlopiù – in assenza di un progetto deliberato da parte di un soggetto che ad un certo punto delibera di organizzare le cose così-o-così, è elegante oltre che epistemologicamente valido. L’idea di Hayek di abbinare al costruttivismo il concetto greco di taxis, ovvero di ordine deliberato, razionalmente e volontariamente costruito da qualcuno o qualcosa (gli uomini, il governo, le leggi), e alla new form of rationality, ovvero quella della complessità irriducibile, e del suo pieno riconoscimento, il concetto di cosmos, ovvero di ordine immanente, fu forse una delle più stimolanti fonti di nuove riflessioni per il mio pensiero. Questa breve ripresa del cuore critico del mio Breviario Liberale, mi dà già la possibilità di mettere a fuoco meglio punti che allora non vedevo con tanta chiarezza. Era chiaro che quasi tutti i politici che sentivo pontificare dai pulpiti mediatici avevano torto. Ed era allora finalmente chiaro il perché: pensavano di avere una profonda intelligenza – nel senso etimologico di leggere dentro – della realtà storico-politica, e del momento economico, dei destini della patria e del cosmo intero forse. Li ricordo i loro augusti volti, le loro fronti diafane, tutte tese ad esplorarle queste profondità del reale, ricordo le rughe delle loro fronti: avreste potuto vedere i loro lobi cerebrali surriscaldati da anni buttati a erigere acrobatici ponti argomentativi su piloni fatti di nulla, o lontani anni luce dalla realtà. Un nulla cognitivo,
  • 9. un vuoto epistemologico spaventoso. Parlavano di pezzi realtà leggendone sottosezioni limitate alla luce di pezzi di “teorie” o di schegge impazzite di visioni politiche estinte. Non meraviglia che le coalizioni di allora riflettessero nella loro fragilità tutta questa frantumazione teorica. Hayek, allora come oggi per me, portava un po’ di chiarezza. Buttava via gli specchi infranti e restaurava la ragione, nelle sue legittime pretese, nei suoi giusti confini.
  • 10. Le mie “incursioni” nella pensiero della complessità Gli anni successivi alla pubblicazione del Breviario li ho dedicati a “mettere a punto” una visione teorica più soddisfacente sul tema della complessità, per ancorare le originali intuizioni di ordine spontaneo, contrapposizione cosmos/taxis, sistemi autoregolanti, ad uno sfondo teorico più saldo. Per quanto mi sembrassero del tutto evidenti le tesi hayekiane, e così ragionevole la sua critica al costruttivismo, giustificarle razionalmente non è per nulla immediato. Farlo richiede una teoria della complessità, e non mi bastava certo disegnare schemi o, tantomeno andare a caccia di conferme storiche per mostrare il malfunzionamento dei sistemi socialisti, presi ad emblema della centralizzazione e della “presunzione di conoscere” da parte del governo centrale. Si trattava insomma di attuare un cambio di paradigma, mio in primis, e come ogni cambio di prospettiva non è richiesto direttamente dai dati empirici (o storici), si impone spesso per vie extralogiche. La mia ricerca del paradigma giusto per meglio mettere a fuoco le intuizioni hayekiane del 2006, si rivolse prima di tutto alla Sinergetica di Hermann Haken. Fisico teorico, studioso della teoria del Laser, Haken propose un’interpretazione del funzionamento del dispositivo Laser, che mi pareva riutilizzabile per il mio problema della complessità. In estrema sintesi Haken sostiene che l’emissione del fascio dal tubo Laser avviene dopo un processo di selezione spontaneo, non prevedibile, in cui tra i tanti fasci luminosi continuamente riflessi tra le due estremità a specchio del tubo Laser, improvvisamente uno – l’ordinatore – inizia a “prevalere su” tutti gli altri – gli asserviti – in un processo che termina con l’emissione del raggio laser a grandissime energie. L’elemento che mi affascinò della proposta di Haken fu il fatto che evidentemente era spiegato un fenomeno di auto-ordinamento spontaneo di un sistema complesso di elementi, che non richiedeva l’intervento di un agente esterno ad esso, o di un elemento che ad un certo punto direzionasse gli eventi. L’altro forte punto di fascino che, ad esempio nel suo libro Nel Senso della Sinergetica, Haken mi mise davanti agli occhi fu l’invito ad estendere lo sguardo della Sinergetica oltre il campo originario della fisica, per il quale era nato. Haken fa alcuni esempi di estensione alla fisiologia del movimento, alla chimica, e all’economia teorica. Grazie alla lettura di Haken, iniziai a capire che il problema della presunzione di conoscere, e della necessità di una comprensione più soddisfacente della complessità, che avevo incontrato in campo politico ed economico, non era affatto limitato a quest’area di sapere. Tutto allora mi parlava di complessità, dai sistemi sociali ed economici, alla biologia all’astronomia, dal corpo umano fino alla psiche umana. Mente un’anarchia ordinata (2010), fu il primo frutto, mai pubblicato, di questo trend di pensiero; in esso rifacendomi alla filosofia della mente di David Hume e criticando il razionalismo kantiano, cercavo di offrire, con gli strumenti teorici della Sinergetica, alcuni tentativi di spiegazione di eventi mentali senza ricorrere però all’idea di un “ordinatore centrale” a una “unità centrale di elaborazione” che regolasse la mente. Proprio come Haken faceva con il suo Laser. Rileggendo quella ricerca ora sorrido un po’, ma mi colpisce come in fondo, come ho sempre fatto nei miei studi, la prima cosa che avevo sottomano per verificarli fossi io stesso. In questo caso la mia mente, che mi parla ogni istante di complessità, da quando guardo un fiore, a quando vedo un volto, a quando eseguo due volte lo stesso pezzo al pianoforte e provo tuttavia emozioni differenti. Dalla stessa persona che prima amo e dieci giorni dopo, o dieci secondi dopo, magari mi è indifferente. Ma non è la sede questa per entrare nei dettagli di quella ricerca, che fu in complesso insoddisfacente dal lato epistemologico e troppo soggettivistica. In Filosofia dell’Ordine Spontaneo, scritto tra 2011 e 2012, e non edito, passavo in rassegna tanti campi di sapere, economia, sociologia, fisica, cosmologia, psicologia, informatica, urbanistica, e cercavo di catalogare alcuni esempi di spontaneous order selezionati dai differenti campi scientifici, facendo emergere una più chiara visione del fenomeno. Insoddisfatto ormai dalla Sinergetica, effettivamente paradigma troppo hard-science per le scienze sociali e umane in genere, cominciavo ad approcciare il problema della complessità attraverso uno sguardo sistemico, quello che al momento mi convince maggiormente; allora lo facevo analizzando gli esempi di complessità catalogati attraverso le categorie filosofiche di olos e pan (complesso che “eccede le parti” e complesso che “equivale alla somma delle parti”). Ora dopo lo
  • 11. studio dei testi base della Sistemica, tra cui i lavori di Ludwig von Bertalanffy, rileggo in quella contrapposizione la dicotomia sistema/insieme, sistema/macchina, emergenze/proprietà analitiche. Liberatomi della Sinergetica, che mi era servita per ampliare lo sguardo ad altri campi di ricerca entrando in un’ottica inter/transdisciplinare, ritornavo ad Hayek ed andavo oltre prefigurando la Sistemica, che non avevo ancora assimilato come prospettiva teorica. Con l’ecologia, ovvero con l’applicazione della visione hayekiana ad essa, mi andò meglio sul piano teorico. Nel 2012 chiudevo un libretto sempre dall’andare pamphlettistico intitolato Miseria dell’Ambientalismo. Qui il complexus era l’ambiente, il sistema di esseri viventi ed elementi naturali, con i vari sistemi di autoregolazione che sa esprimere, ed i “presuntuosi”, ovvero quelli che credono di conoscere l’ambiente come se fosse un organismo semplice, e migliorabile, erano gli “ambientalisti”. L’ambiente è complesso, cercare di ravvisare causalità lineari, o correlazioni semplici in esso significa “far fuori”, misconoscere la sua irriducibile complessità. Pensare di modificare macrofenomeni come la temperatura terrestre con un uso più responsabile dell’automobile, è plausibile, quanto lo era credere che un governo possa migliorare qualcosa, ma ingenuo, perché non ha alcuna fondazione epistemologica e razionale. Cade vittima della impietosa ghigliottina epistemologica di Hayek. Tentativi, indagini serie, corse avanti e fughe teoriche, hanno caratterizzato il mio percorso concettuale dopo la pubblicazione di Breviario Liberale. La voglia e l’insuccesso di “fare sistema”, “fare teoria” unificata, sono stati il mio cruccio più grande in questi anni. E anche quello che mi spinse ad abbandonare le ricerche su quei brogliacci di appunti, in cui le buone idee, ed i buoni propositi, rari nantes in gurgite vasto, vagavano in un mare oscuro e inquinato. Ma ogni tanto ripensavo a come salvarli da quel caos. La lettura di Teoria Generale dei Sistemi di Ludwig von Bertalanffy, fu l’occasione per farlo.
  • 12. La scoperta della Sistemica: da von Hayek a von Bertalanffy La prima lettura del fondamentale lavoro di Ludwig von Bertalanffy intitolato Teoria Generale dei Sistemi, mi mise nelle condizioni di esplicitare finalmente molti dei concetti che in modo opaco già impiegavo per indagare l’ignoto mondo della complessità, e, soprattutto, la sua resistenza a farsi conoscere, la sua radicale ed irriducibile diversità dallo sguardo e dall’analisi consueta. Von Bertalanffy, biologo teorico, studioso e padre fondatore della Sistemica, mette a fuoco le potenzialità esplicative del concetto di sistema dapprima prendendo in analisi il suo campo teorico, ovvero la biologia, ed in particolare lo studio del metabolismo, e quindi avanza la congettura ardita di estendere, in modo matematicamente rigoroso tale concetto anche alle scienze umane ed alla psicologia, alla storia ed all’economia. Ovvero non troppo diversamente da quanto faceva – o meglio farà alcuni anni dopo – Hermann Haken con la sua Sinergetica, ma con più chances di successo. L’idea primitiva della Sistemica è di abbandonare l’approccio analitico nello studio dei fenomeni complessi. Questa mossa richiede però un cambio d’impostazione, di sguardo, di paradigma. Innanzitutto alla nozione di insieme di elementi, è sostituita quella di sistema, definito come «insieme di elementi in interazione reciproca». Pensare ad un complesso come ad un insieme di elementi, che stanno giustapposti a formare un aggregato, è ben diverso dal concepirlo in termini di un network che connette tali elementi. Questo shift concettuale è a ben guardare la base del mio modo di guardare la realtà ora. È su questa base che ora capisco meglio il senso epistemologico della critica hayekiana al costruttivismo: la presunzione dei politici, l’oggetto di anni di critiche interiori e silenziose, stava (e sta) proprio nel non volerla capire che non stanno giocando con Lego, quando si sbizzarriscono a tassarci o pianificare, o a promettere paradisi in terra. Hanno a che fare con un ente molto più complesso, irriducibilmente complesso, che schianta sistematicamente i loro desiderata, i loro sogni, i loro piani o progetti. Presumono che le istituzioni sociali ed economiche siano assemblati modificabili da uomini (loro) perché sono “fatti” da uomini. Uomini dotati di più potere politico, i governanti, ci portano – e si inducono – a pensare che avranno anche più potere cognitivo, più intelligenza dell’economia e della società: quale terribile errore! Il premier ne sa tanto quanto me, che sono qui nella profonda provincia dell’Italia del Nord – benché magari abbia qualche statistica più aggiornata – e dubito che per il fatto che è diventato smisuratamente più potente di me, sia anche diventato un superuomo capace di indagare le profondità di un complesso sistema socioeconomico, come quello italiano, scorgendone at a glance le articolazioni intestine e fondando così le sue pretese di migliorarlo pianificando, e di governarlo fuori dai marosi della crisi. Eppure quanto tutti i termini politici relativi all’arte di governare riflettano una mentalità semplicistica, riduzionistica e costruttivista è lampante, pensiamo allo stesso termine governare, che rimanda alla radice greca di kubernetes, il timoniere della barca; il termine guidare che fa pensare ad un veicolo. Ma anche tante metafore applicate allo Stato sono tarate dal razionalismo riduzionista. Tra le più curiose ed errate che si sono sentite negli ultimi decenni cito soltanto quella dello Stato-azienda. Un’azienda è effettivamente una struttura deliberatamente costruita (è frutto di taxis) per vivere dinamicamente in un mercato competitivo. Lo stato è una struttura deliberatamente costruita per vivere monopolisticamente su una regione spaziale, nella quale insiste – o resiste a stento – un sistema economico e sociale. Sistema sulle cui articolazioni e dinamiche interne i governanti: 1. Non sanno quasi nulla; 2. Non possono stabilire alcun piano di intervento. Questi due punti grazie alla teoria generale dei sistemi di von Bertalanffy, sono a mio avviso, ben messi a fuoco. Sul fondamentale ed irresolubile stato di ignoranza il biologo ci dice che la complessità di un sistema matematico, utile a descrivere, ad esempio con equazioni differenziali, un sistema biologico cresce esponenzialmente al crescere del numero di elementi dello stesso. Ora, ipotizzando che il complexus socioeconomico, ovvero il network di interazioni di individui, di scambi informativi espliciti ed indiretti tra di essi, sia ben rappresentato dal concetto di sistema, così come definito da von Bertalanffy, ecco che mi appare ora meglio fondata l’obiezione epistemologica di von Hayek al razionalismo costruttivista: chi ci governa non può conoscere o rappresentarsi con esattezza la complessità dell’alveare brulicante di uomini, menti, microsistemi, mercati, nel loro incessante lavorio quotidiano, non può prevederne il decorso perché, come con sufficiente sicurezza ha mostrato Karl
  • 13. Raimund Popper in Miseria dello Storicismo, leggi storiche di sviluppo non ne possiamo astrarre dal decorso degli eventi storici poiché esso è aperto ai capricci del caso, non direzionato linearmente e ovviamente in divenire2 . Questo rende chiaro anche il fatto che chi ha l’onere del governo, non “sa cosa fare”, non riesce a pianificare interventi in modo razionale. Un sistema, evidenzia von Bertalanffy, sa esprimere un comportamento globale, complessivo che non è né riducibile al comportamento delle parti componenti, né deducibile da una conoscenza accurata di esse, né prevedibile in funzione di esse. Ha un comportamento olistico, cosa che è l’aspetto più interessante ovviamente, alla conoscenza del quale lo studio analitico delle parti componenti non offre contributi. Spesso ci si riferisce a questo livello di comportamento metacomplesso con il termine emergenza. Le proprietà tipicamente sistemiche, che non sono proprie di alcun elemento del sistema, vengono definite proprietà emergenti. Ora è a questo livello globale, olistico, emergente che mirano i politici quando fanno promesse o piani legittimi di “interesse generale”, del tipo far smettere la crisi o migliorare l’economia. Ma il paradosso è che non lo possono fare né direttamente, perché quelle proprietà – il benessere economico, la crescita del PIL, il benessere generale di un Paese etc. – propriamente non esistono, nel senso che una proprietà emergente non si appunta su un ente unico e “manipolabile”, né indirettamente, poiché pensare di agire sugli elementi di un sistema per ottenere effetti globali ed emergenti, significa presupporre l’esistenza di una causalità di tipo lineare tra il livello down e quello top che semplicemente non regge. Come ho scritto in Riflessioni libere sulla teoria dei sistemi, ricerca del 2012 non pubblicata, la conquista più preziosa per me che lo sguardo sistemico mi ha offerto, è senz’altro l’abbandono del modello di causalità lineare. Un sistema complesso non è intelligibile con un modello di causalità lineare. I politici presuppongono che lo sia – tranne i pochi vagamente informati dell’esistenza del liberismo, che attualmente non so dove siedano in parlamento – e usano schemi causali veramente stilizzati e ridicoli, per piacere all’elettore medio. Non lineare è quel tipo di causalità in cui un sistema di elementi è percorso da catene causali che, oltre a correre parallelamente, si intersecano magari più volte, creando flussi causali anch’essi complessi. Non lineare è il tipo di causalità in cui preponderante è il fenomeno del feedback: il comportamento di un elemento A influenza il comportamento di un elemento B, e questo a sua volta retroagisce sull’elemento A. E quindi pensare la società e l’economia come se fossero complessi analitici, ed intervenire tatticamente in essi, significa vederli attraverso uno specchio infranto, composto di frammenti distorcenti.
  • 14. Macchine e sistemi: il decadimento sistemico Bertalanffy analizzando l’evoluzione a cui va incontro un embrione nella sua formazione, in Teoria Generale dei Sistemi evidenzia come esso parta da uno stato in cui si comporta come un sistema, ad esempio reagendo come totalità alle stimolazioni ambientali, sino ad uno stato terminale in cui si comporta come un aggregato di sistemi giustapposti, perdendo quindi quella “globalità” originaria. A livello causale il processo che il biologo chiama segregazione progressiva parte da quella complessa e non- lineare, per giungere ad uno stato terminale in cui vi sono catene causali indipendenti o debolmente interagenti. Si passa tendenzialmente da uno stato sistemico ad uno stato di macchina. A differenza di un sistema, una macchina non esprime un comportamento emergente, globalmente reattivo rispetto alle perturbazioni ambientali. È ben descritta dal consueto paradigma analitico: si può inferire il comportamento complessivo dell’aggregato meccanico dal comportamento individuale delle parti componenti. Seguendo lo sguardo di Bertalanffy che mi invitava ad osservare come uno stesso “ente” come un embrione, andasse incontro ad una evoluzione funzionale, strutturale e comportamentale, ovvero che lo stesso ente durante il processo di segregazione è prima un sistema, poi perde gradualmente globalità, ed infine diventa una macchina, o meglio un aggregato di microsistemi, e in linea teorica può decadere allo stato di insieme, ho elaborato il concetto di “decadimento sistemico”. Un sistema può decadere, perdere le sue proprietà emergenti, le sue funzioni di regolabilità globale, e diventare un aggregato di parti individuali non interagenti. Insiemi, macchine e sistemi non sono dunque enti diversi: sono tre strutturazioni o fasi diverse della stessa ontologia. Sono fasi di organizzazione ontologica, che esibiscono comportamenti e proprietà distintive e identificanti. La tendenza alla fuga d’idee filosofica mi spinge ora a passare, dal piano epistemologico iniziale, che vedeva la teoria dei sistemi come un valido “attrezzo concettuale” per disporre di un’immagine della complessità socioeconomica, psichica, biologica etc., al piano delle congetture ontologiche. Vorrei e non vorrei…Vorrei sostenere che l’ontologia è in realtà sistemica, che “tutto è sistema”. Nel senso che evitando di moltiplicare il numero di enti praeter necessitatem, sembra ragionevole pensare che anche le cose che non hanno l’aspetto “vitale”, “globale”, “propriamente sistemico”, e che stanno lì come gli oggetti inanimati siano in realtà sistemi decaduti, o elementi di sistemi una volta attivi, e pronti a riattivarsi. Vorrei e non vorrei essere più competente in campo scientifico o filosofico per argomentare che il concetto di sistema è una generalizzazione del concetto di ente così come la Teoria della Relatività di Einstein è una generalizzazione della Teoria della Gravitazione Universale di Newton. Nel senso che – per farla corta – un sistema può comportarsi come una cosa, ma una cosa non può comportarsi come un sistema. Vorrei ma non posso. Appartengo a quella nobile scuola filosofica che in Italia non ha gran seguito, che ha una tale venerazione per il lavoro degli scienziati veri, una tale curiosità per ciò che fanno, una tale ammirazione per le loro ricerche ed i loro metodi di lavoro, che proprio non posso, non ce la faccio ad abbandonarmi in simili deliri su ciò che c’è per davvero, sull’essere e il non essere, la sostanza e le più profonde verità.
  • 15. Conclusione La congettura con cui termino questa revisione delle mie idee si vuole dunque limitare al solo piano epistemologico. Come epistemologica era l’obiezione fondamentale di Friedrich August von Hayek al costruttivismo, all’uso irragionevole della ragione, che ipersemplifica per conoscere, finendo per sapere poco o nulla delle istituzioni sociali ed economiche e per danneggiarle. Se l’economia è un sistema (complesso, non lineare, autoorganizzante…), e se chi la governa (sovrano, parlamento, burocrazia…) non riconosce questa complessità, perché non paga elettoralmente, o perché non ci arriva proprio a capirla, e poi interviene con dei provvedimenti che impattano sull’economia, ecco che va ad alterare inevitabilmente il comportamento del sistema economico, la sua reattività, trasformandolo in modo anche irreversibile e imprevedibile. Un governo con tutta la sua sottostruttura burocratica è un corpo alieno inserito in un sistema socioeconomico di per sé vitale; alieno perché è davvero una macchina, nel senso visto prima, pensata da qualcuno per fare qualcosa, ma è inserito in – e succhia soldi ed energie da – un sistema complesso che è continuamente stressato da questo cancro e da tutte le sue sottometastasi (regioni, province, comuni…) che ci offrono servizi – quasi sempre scadenti – in regime monopolistico. Ma soprattutto fa pagare la sua rigidità di macchina complicata e farraginosa, mantiene la sua struttura burocratica ed il suo potere, provocando proprio, a mio avviso, un fenomeno di decadimento sistemico nell’esosistema socioeconomico che lo “ospita”. Un sistema economico potenzialmente vitale, continuamente alterato dall’intervento statale, vessato da una pressione fiscale INTOLLERABILE, da leggi INCOMPRENSIBILI, concepite (forse) in origine per mettere ordine e “migliorare le cose”, può decadere verso lo stato segregato, facendo venir meno la capacità di reagire globalmente, ed elasticamente ad eventuali perturbazioni esterne, come crisi dei mercati finanziari, o altri eventi negativi provenienti dall’esterno. Prima dunque di buttarVi in diatribe sui valori, sulle ideologie, creando pollai mediatici che ho visto fin troppo nei miei 30 anni di vita, o di metterVi a trasformare il Paese o il mondo intero in un luogo che risponda ai vostri canoni, piani o programmi, ricordateVi bene che la realtà ha delle sue regole, e che LE DOVETE riconoscere e rispettare. Per il bene del Paese, please, abbassate le tasse, please non agitatevi, non concepite più piani umoristici, interventi onirici e azioni infantili; e, please: Laissez-nous faire!
  • 16. Note 1. F. A. von Hayek, Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, trad. it. Armando, Roma, 1988, p. 271. 2. Prima di scegliere il concetto di sistema come “attrezzo teorico” per descrivere il complexus scioeconomico, cercavo di ragionare in questo modo, informale, ma non del tutto peregrino: perché l’economia pianificata non funziona? È spenta, non reattiva, e non competitiva? Perché tutto o quasi passa per un “centro cognitivo e decisionale” unico. Perché le economie non pianificate sono più vitali e prestanti? Perché quell’accentramento cognitivo e decisionale è molto meno pressante. O distribuito, disperso, tra milioni di individui, come dice Hayek. Il ragionamento contrastivo proseguiva mostrando che in linea di principio un sovrano onnisciente ed onnipotente avrebbe potuto pianificare gli eventi economici e governare in vista di goals specifici una nazione. Allora la immaginavo solo sul piano pratico l’impossibilità, poiché nessun uomo, o premier, o capo supremo, o sultano, o re, avrebbe mai disposto in effetti di una tale onniscienza e onnipotenza. Oggi credo che l’impossibilità sia eminentemente epistemica: un leader politico, un collegio di leaders, o un’assemblea irriducibilmente non potranno mai conoscere poco più di una vaga eco lontana di quella complessità sistemica che non supponevano esistere, quando dai pulpiti mediatici, mi promettevano vaghi paradisi terrestri, che in mente avevano, e che, con imposte tasse e balzelli, devastavano, noncuranti del fatto che gli elementi del sistema non erano “omini” del Lego, ma uomini vivi dotati di un cuore.
  • 18. Premessa Una ricerca sulla mente umana è sempre in buona sostanza un’operazione autobiografica. In fondo quando Locke, Hume e Kant scrivevano le loro ricerche sulla mente non facevano altro che raccontare come funzionava la loro e pretendere che la mente di tutti funzionasse proprio come la loro. Basta pensare a Cartesio: la scoperta del cogito non giunge forse all’interno di quella straordinaria opera autobiografica che sono le Meditazioni Metafisiche? C’è ancora spazio oggi per ricerche autobiografiche di questo tipo? E parlo naturalmente dopo la rivoluzione che ha portato la psicologia a staccarsi dalla filosofia ed a diventare una scienza autonoma. Tuttavia proprio nell’ambito della “scienza dell’anima” prevalgono tante impostazioni giustapposte: basti pensare alle molte scuole di psicoterapia che sono state inventate e operano nelle nostra città. Questa pluralità mi conforta: se c’è un dibattito in corso, anch’io come filosofo posso dire la mia. La mia proposta sarà una rielaborazione creativa di cose probabilmente già dette; ma non procedo a lume di candela: il mio punto di riferimento è la Sinergetica di Herman Haken, un paradigma scientifico nato negli anni ‘60 nell’ambito della fisica applicata, ma che ha trovato notevoli esiti in tanti altri campi di ricerca, tra cui la neuropsicologia. Nell’ambito della filosofia della mente mi pare che il modello della sinergetica trovi un fertile campo di applicazione in grado di rivoluzionare l’immagine che ognuno di noi ha della sua mente. Il modello di mente che i miei pensieri, ed il mio gusto, preferiscono potrebbe certo valere solo per la mia mente. Mi sono già confrontato con alcuni professori di filosofia della mente sulla mia proposta e ne ho ricevuto pareri contrastanti: per uno la “riforma sinergetica” della mente che vado proponendo di fatto svuota di senso qualsiasi topografia o “psico-geografia” della mente (si pensi al modello kantiano). Per un altro l’idea non era poi molto originale: in fondo – e questo lo riconosco sinceramente – Daniel Dennett ha proposto un modello assai simile alla sinergetica della mente (il modello Pandemonium). L’ultimo professore mi ha consigliato di rileggermi Hume e di ripartire da lì: «in Hume – mi ha detto – come nell’Iliade, c’è tutto». Ho seguito il suo prezioso consiglio e così è nata questa ricerca. Se il mio intento fosse una mera escursione teorica nei reconditi della mente francamente avresti sprecato il tuo tempo nel leggere questo libro che non sarebbe nemmeno degno di un piccolo rogo humeano. Questa ricerca teorica ha chiare ambizioni pratiche, applicative. Certo non potrò dedicare ché alcune illustrazioni alla spiegazione delle potenziali applicazioni della psicosinergetica. Mi concentrerò in particolare sulla formulazione di una nuova proposta di couseling relazionale, sull’economia, e sulle applicazioni nel campo delle teorie del risarcimento del “danno” mentale. Molte delle idee che ho prodotto su questo ultimo punto derivano in qualche senso non ben sondabile dal mio attuale lavoro di mediatore assicurativo. Ritengo illuminanti, fertili e assai avanzate le conclusioni a cui sono giunto in questo campo. È essenzialmente per l’importanza che attribuisco a queste conclusioni applicative (assai “cariche” di teoria) che ho deciso di pubblicare le mie ricerche che avrei altrimenti tenuto in giacenza (come tante altre mille idee e bozze incompiute di scritti) nei cassetti della mia scrivania. A questo punto so di essermi esposto mille critiche: ma non è questo che temo. Mi fa paura solo l’irragione, la non-logica e chi nella sua inutile vita non ha mai deciso di rischiare nemmeno per un secondo.
  • 21. Explanandum Nel porre correttamente la questione della mente è importante identificare in modo chiaro e non ambiguo l’explanandum. Il dramma della filosofia della mente è proprio il fatto che tra i filosofi non vi è stata concordia nell’individuare l’obiectum delle ricerche sull’intelletto: in questo risiede essenzialmente la difficoltà nel mettere in dialogo fertile i vari autori che soffrono il più delle volte di un autismo filosofico desolante. C’è dialogo se c’è un terreno terminologico comune e preliminare utile affinché i contendenti si intendano. L’oggetto della filosofia della mente è quell’insieme di fenomeni che interessano il nostro animo. A questi eventi mentali i filosofi hanno dato i nomi più svariati ed hanno immaginato nei modi più diversi il loro funzionamento. L’oggetto della presente ricerca è “tutto ciò di cui siamo coscienti”, tutto ciò che affiora al livello della cognizione. Le moderne teorie psicanalitiche pontificano sull’inconscio ma cosa ne sappiamo di questo campo? Ovvio: nulla proprio perchè non ne siamo consci. La nostra indagine verterà dunque su tutti quei fenomeni che non i filosofi ma l’uomo della strada riconosce “ospitare” nella sua mente. Sono fenomeni consci, e in quanto tali “studiabili”: § Identificazione di un oggetto. § Fenomeni simili, opposti, uguali § Ricordi § Previsioni § Idea di Causa-effetto § Sogni § Effetto-isteresi, variazione di qualità § Spazio § Tempo § Intelligenza § Dialogo interiore e ragionamento Questi sono solo alcuni dei nomi che sono stati affidati agli eventi mentali consci. Per focalizzarci più chiaramente possiamo prendere un evento come le emozioni: pare, ad una prima osservazione, che poco c’entrino con la dimensione del conscio, in quanto in fondo sono eventi che “non controlliamo” che si impongono all’io conscio. Tuttavia “conscio” non è sinonimo di “razionalmente controllato”: i sentimenti possono benissimo avere cause profonde ed inconsce – su cui nulla possiamo dire – ma noi li percepiamo, li “sentiamo” solo nella misura in cui affiorano alla nostra coscienza. Lo stesso vale per le volizioni: magari prodotte da ciechi istinti a noi ci si presentano sempre nella modalità del conscio. Per semplificare il lavoro chiameremo le determinazioni della lista precedente semplicemente fenomeni mentali o fenomeni.
  • 22. Explanans Definito l’oggetto di ogni indagine sulla mente umana è necessario avanzare delle teorie che spieghino i fenomeni summenzionati. Naturalmente una teoria è tanto più accettabile quanto più economica è nelle sue assunzioni ontologiche e quanto più è esplicativa: una teoria va bene se fa il più col meno. È questo il fondamentale principio di parsimonia detto rasoio di Ockham. E nelle teorie della mente, probabilmente per una certa “volatilità” dell’explanandum, se ne sono viste e sentite di tutti i colori sia dalla prospettiva psicologica che da quella filosofica: è chiaro che serve un metro che ci consenta, se è possibile, di trovare il bandolo della matassa tra tutte le teorie della mente. Se riusciremo a trovare le “opzioni di fondo” i “partiti politici” ai quali i filosofi e gli psicologi si rifanno avremo già fatto un grande servizio portando un po’ d’ordine tra le filosofie della mente. C’è un’osservazione da fare prima di procedere sempre in merito all’explanans: in nessun modo una teoria della mente va ritenuta la CAUSA dei fenomeni mentali analizzati. L’immagine positivistica che vede negli enti teorici delle ontologie reali è ormai ampiamente superata: le teorie della mente sono congetture puramente teoriche sul funzionamento della mente e non ne sono la causa, così come la teoria di Newton non è ovviamente la “causa” del moto dei corpi celesti.
  • 23. Un po’ d’ordine tra le teorie della mente Francis Bacon ci ha lanciato un ammonimento chiaro: prima fate luce, poi verranno i frutti. Seguiremo il suo prezioso consiglio. Per portare un po’ di luce, un po’ d’ordine nel mare magnum delle theories of mind dovremo operare una più o meno garbata pressione semantica sui filosofi che prenderemo in esame: come detto infatti ogni indagine sulla mente umana soffre un po’ di autismo semantico. Come la regola aurea del rasoio ci insegna dovremo non considerare teorie pleonastiche e poco esplicative ed andare a caccia delle “opzioni di fondo” che sono state seguite dai maggiori teorici in epoca moderna e contemporanea. Come emerge subito ad una rapida lettura degli autori critici, che hanno rivolto le armi della ragione contro se stessi, contro la loro anima, le opzioni non sono infinite. Come funziona la mente? Come conosce la mente? Come ci spieghiamo i fenomeni mentali? La prima opzione che accomuna gli autori cosiddetti razionalisti (da Cartesio a Kant) suona più o meno così: Nella mente c’è un io (la coscienza) che ha la facoltà di conoscere, volere, agire, patire. In questa opzione 1 si spiegano i fenomeni attribuendoli ad una entità (agente/funzione/ente) che ha delle determinate proprietà. È questa una spiegazione che ha avuto successo anche nella common sense theory. L’opzione 2 la dobbiamo dedurre facendo una qualche forzatura teorica sugli empiristi, soprattutto su David Hume. La mente, secondo questa visione, è una sorta di contenitore di idee che sono autonome e già strutturate cognitivamente: L’io conoscente non esiste: esistono solo le idee che sono in “lotta” tra loro e di volta in volta si affermano. Affiora al livello del conscio dunque l’idea o la volizione che si afferma. Dissoluzione dell’io e autonomizzazione dei contenuti cognitivi: queste sono le caratteristiche principali dell’opzione 2. Le teorie della mente, secondo la mia proposta, possono dunque essere ordinate su una scala che varia in funzione del rapporto tra io e idee (contenuti cognitivi). Tutto dipende dalle nostre opzioni teoriche riguardo queste due polarità. Per fare emergere la dialettica di fondo tra opzione 1 e 2 è utile stilizzare un po’ queste soluzioni, portarle egli estremi: in fondo come detto le opzioni di fondo in filosofia della mente sono riconducibili ad una scala che varia in funzione di quanto esplicativamente “importanti” siano per noi ora l’“io” ora le “idee”. Se la soluzione 2 era “solo le idee esistono”, possiamo all’altro estremo stilizzare un’opzione ontologica altrettanto radicale ed antitetica: “solo l’io esiste”. Ecco una schematizzazione di quanto intendo dire: § A Solo l’io esiste (ed le idee non esistono) § … § … § … § B Solo le idee esistono (e l’io non esiste) Le soluzioni intermedie – esistono sia l’io che le idee - sono naturalmente quelle più praticate dai teorici perché sono più semplici – benché ontologicamente antieconomiche – ma ogni pensatore ha la sua preferenza: Cartesio sostanzializza l’io e indebolisce le idee, Hume indebolisce radicalmente l’io e rafforza le idee, Kant fa dell’io-penso una “funzione” e dei fenomeni delle semplici apparenze. Il rapporto tra “io-penso” e idea, nel senso in cui lo sto configurando, può credo ben essere chiarito da una metafora politica. L’io è lo Stato ed le idee sono gli individui. Allora l’opzione A - solo l’io esiste – la possiamo riformulare come “solo lo Stato esiste” ovvero per intenderci qualcosa come un sistema socialista estremo che non lascia alcun spazio alla libertà d’azione degli individui. Al contrario l’opzione B – solo le idee esistono – diventa: lo Stato non esiste (si è dissolto) solo gli individui esistono: si tratta di un sistema libertario altrettanto radicale1 . Ma la metafora funziona bene anche e soprattutto nei gradi intermedi. Ecco come possiamo riformulare la nostra scala comparativa: §A Solo l’io esiste / Solo lo Stato esiste
  • 24. §… §… §… §B Solo i le idee esistono / Solo gli individui esistono In medio, naturalmente, c’è tutto. In campo politico questo è evidentemente vero perchè anche il socialismo più becero e radicale non potrà mai demolire del tutto gli individui (quantunque aspiri chiaramente a farlo) e l’anarcocapitalismo è di difficile realizzazione. Ma nel campo delle teorie della mente non abbiamo a che fare con limiti empirici di questo tipo: tutte le opzioni intermedie ed estreme sono legittime. Possiamo dire che i due rebbi estremi della forchetta proposta rappresentano soluzioni monistiche, in quanto ci dicono in sostanza che esistono enti di tipo omogeneo (o solo l’io o solo i fenomeni). Nel mezzo è l’interregno delle “soluzioni” dualistiche: esistono sia l’io, sia le idee, sia lo stato, sia i cittadini; tuttavia le teorie dualistiche della mente variano a seconda di quanta importanza esplicativa si ripartisca di volta in volta tra io e idee. Utilizziamo ancora la metafora politica: § A Solo l’io esiste / Solo lo Stato esiste [Socialismo] § … § Cartesio (il cogito è una sostanza) [Nazionalsocialismo] § … § Kant (l’io-penso unifica i fenomeni) [Dottrina sociale della Chiesa] § … § Hume (libero gioco delle idee) [Liberalismo Hayekiano] § … § B Solo le idee esistono/ Solo gli individui esistono [Libertarismo] Ora, lo schematismo proposto vuole offrire una idea generale del rapporto politico tra funzioni mentali e contenuti cognitivi, quindi non vale la pena di entrare troppo nei dettagli delle associazioni. Basti notare che, partendo dallo stato A e procedendo verso lo stato B l’entità politica centrale (l’io) si indebolisce ontologicamente – mentre si rafforzano gli individui (idee) – ed il contrario avviene naturalmente procedendo da B verso A.
  • 25. Sul monismo dell’io Non conosco autori che abbiano sostenuto questa prospettiva. Si tratta di un’opzione piuttosto radicale che di fatto taglia alla base qualsiasi possibilità cognitiva. Equivale infatti a sostenere che l’io è una sostanza che non ha a che fare con pensieri o contenuti cognitivi. Ma il fatto che noi abbiamo o che vi siano pensieri/volizioni contenuti è evidente. Qualcuno come fa Berkeley potrebbe sostenere che questi fenomeni siano mere apparenze inviate da Dio o da qualche demone, ma sarebbero tuttavia qualcosa di altro rispetto all’io penso. Di fatto questo monismo non spiega per nulla come si generi o si giustifichi la conoscenza. Nemmeno nel sogno viviamo una situazione di questo tipo, ovvero una coscienza senza contenuti; saremmo sprofondati in un solipsismo disperante e vuoto. Questa alternativa, presa in esame teoricamente, richiede dunque di essere scartata per ragioni di economia esplicativa e funzionalità teorica. Oltre per il deficit euristico da cui è segnata.
  • 26. Dualismo io/idee In questo interregno tra i due estremi monistici si colloca la common sense theory che fa tuttavia una “strana coppia” con il mainstream filosofico occidentale. Cartesio, Leibniz e Kant vanno collocati in questa fascia o famiglia di teorie. E li possiamo etichettare come “razionalisti” nel senso che tutti, chi più, chi meno, attribuiscono all’intelletto, all’io, una funzione operativa e attiva nella formazione/emersione della “cosa conosciuta”, che sta alle facoltà conoscitive come un contenuto sta ad un contenitore. Come, appunto, un cogitatum sta ad un cogitans. Ed è un modo di pensare così diffuso e di successo che solo metterlo in questione sembra impossibile od insolito. «Se c’è un pensiero serve qualcuno che pensa» mi ha detto una mia collega; «per confrontare due figure e accorgersi che sono simili è necessario un medium che unifica e raffronta» ed altre simili cose. Ma interroghiamoci in modo onesto su questa presunta soluzione. Cosa ci dice in generale il pensiero razionalista? Che noi abbiamo un “io” che opera su dei contenuti ed eventualmente produce giudizi. Cioè, semplificando, che noi conosciamo perché abbiamo una facoltà conoscitiva. È come spiegare che un farmaco cura dicendo che ha la vis curativa, evidentemente non spieghiamo niente in questo modo. Quindi sostenere: se c’è un pensiero serve qualcuno che pensa» non aggiunge assolutamente nulla, non spiega niente di come funzioni la nostra conoscenza. È una definizione circolare e autoreferenziale. Allora tanto vale non complicarsi la vita e dire che l’occhio vede perché ha la proprietà visiva e che l’orecchio sente perché ha il potere di sentire. In fondo la soluzione razionalista è una degenerazione della common sense theory: postulare l’esistenza di un intelletto conoscente è solo apparentemente più raffinato di postulare che l’uomo conosce perché conosce. Ma i guai per il razionalismo sono solo agli inizi. In fondo questa soluzione dualistica oltre a non spiegare per niente i fenomeni consci incorre in un paradosso a mio avviso devastante ed insormontabile: è il paradosso che ho chiamato “dello zappatore”. Illustrarlo, seppur brevemente, renderà palese l’insostenibilità di qualsiasi opzione dualistica in filosofia della mente, che esiga di spiegare i fenomeni impiegando sia le idee sia l’io.
  • 27. Il paradosso dello zappatore Per un buon osservatore, filosofo o meno, guardare una persona al lavoro è sempre fonte di meraviglia. Osservare un anziano zappatore che coltiva la sua piccola porzione di mondo, che la cura, la irriga, mette a dimora le piantine e attende che crescano è fonte di meraviglia e allo stesso tempo di mille domande. Cosa fa effettivamente lo zappatore? La risposta sembra facile: § guarda l’orto; § decide cosa fare (per esempio piantare insalata in un dato punto); § va a comprare i semi; § li mette a dimora; § innaffia; § raccoglie i frutti del suo lavoro; § cioè:v § conosce § decide § prevede gli effetti delle sue azioni E invece cosa succede alla materia, alla terra, ai semi? Subisce le azioni dello zappatore. Cioè si modifica in corrispondenza alle azioni del coltivatore. Ad una prima indagine dunque, come emerge, siamo portati a supporre che lo zappatore sia dotato di diverse facoltà: § volontà; § capacità cognitive; § razionalità; e naturalmente libertà d’azione. Questa è esattamente la teoria del common sense, l’immagine che grossomodo ciascuno di noi entro i primi 10 anni di vita, adotta di se stesso, se non altro per ragioni pratiche. Tuttavia questa teoria ad una analisi teoretica più approfondita si rivela contraddittoria. Ora, lo zappatore conosce/vuole/ragiona/è libero. Quello che mi preme mettere in luce qui è che questi quattro verbi sono transitivi, non certo da un punto di vista grammaticale, ma dal punto di vista semantico/concettuale. Lo zappatore infatti: § conosce qualcosa, § vuole qualcosa, § ragiona su/di qualcosa, § è libero di scegliere qualcosa, insomma le sue facoltà si applicano su contenuti che stanno, è questa l’idea del common sense, alle facoltà come gli oggetti stanno all’occhio che vede. In questo frangente mi interessa dimostrare che tra la facoltà mentale ed il suo contenuto esista una discrasia per quanto di piccolo livello. Se infatti, conoscere è sempre conoscere qualcosa, volere è sempre volere qualcosa, inevitabilmente si crea uno iato – delle cui devastanti implicazioni il common sense è poco consapevole – tra io conoscente e conosciuto, tra io volente e voluto, tra io senziente e sentito. Si tratta di un dualismo insanabile tra agente e paziente. Procediamo con ordine. Tutti (o quasi) considererebbero ragionevole supporre che lo zappatore abbia al suo interno un quid, chiamiamolo mente, che viene colpito dalle percezioni, che le elabora, che infine assume delle decisioni. Si suppone in fondo che queste facoltà (attive o passive) siano un qualcosa che è affetto dalle sensazioni, e dalle volizioni, che comanda il corpo ed attraverso il corpo porta a compimento le azioni deliberate. Ma anche volizioni/sensazioni/deliberazioni sono un qualcosa che o viene introiettato dai sensi oppure si genera all’interno della mente. Non ci interessa in questo
  • 28. frangente l’origine di questo materiale. Questa teoria “di primo movimento”2 sul rapporto zappatore/realtà presuppone che lo zappatore sia un agente razionale che “ordina” del materiale: presuppone che la mente sia un ordinatore razionale, una entità pensante e operante, una entità attiva e ricettiva un “io operativo”. E quindi cosa fa lo zappatore secondo questa teoria? § Guarda l’orto – SI FORMA DELLE IDEE; § Decide cosa fare – ADOTTA DELLE VOLONTÀ; § Va a comprare i semi – SCEGLIE TRA DIVERSE AZIONI; È ricettivo (1) è attivo (2, 3). Appunto È. Tutto il resto (volontà/azioni/pensieri) deve prima colpire questa sostanza che lui è. E dunque quello che egli è (IO) è radicalmente altro da quello che è ciò che lo colpisce o che egli si rappresenta. Dunque una cosa così semplice come interpretare l’azione di uno zappatore ci porta, mi pare, ad un insanabile paradosso, il “rompicapo” dello zappatore. Ecco come lo possiamo presentare: § Lo zappatore guarda l’orto. § Lo zappatore si fa un’immagine dell’orto § Nella sua mente si crea l’idea dell’orto § La sua facoltà conoscitiva, il suo io, vede l’idea. Come fa la facoltà conoscitiva a conoscere l’idea? Se ne farà una “copia” così come l’occhio ha fatto una copia dell’oggetto reale. § La facoltà conoscitiva si rappresenta l’idea, ne fa una copia (è l’occhio interiore) ne è colpita. § All’interno della facoltà conoscitiva si crea l’idea dell’idea dell’oggetto esterno. La facoltà conoscitiva è dunque fatta di 2 parti una ricettiva che immagazzina l’idea dell’idea ed una attiva che conosce. § Il problema si riproduce ad infinitum. § La conoscenza dunque non è possibile. Quindi lo zappatore non può conoscere e non riesce ad agire. Quindi la common theory sul funzionamento del rapporto tra io e fenomeni mentali è fallace in quanto per spiegare la facoltà conoscitiva presuppone una facoltà conoscitiva di livello superiore. È come spiegare il funzionamento della mente umana supponendo che all’interno ci sia un “omino” che conosce e vuole. Già ma come fa questo “omino” a conoscere: ovvio avrà un omino dentro di sé, che avrà un omino dentro di sé e così via... Alla base di questi problemi di “riverbero” - mi vengono in mente certi specchi posti l’uno di fronte all’altro - è il dualismo di fondo tra io conoscente (sia entità/facoltà/funzione ordinatrice o altro) e fenomeno (sia esso cosa/oggetto/percezione/volizione). Il nostro obiettivo critico non è naturalmente (solo) il senso comune ma ce la prendiamo con i massimi filosofi che sono incorsi senza accorgersene in questo paradosso tipico di qualsiasi dualismo razionalista. L’opzione dualistica è proprio la condizione migliore per il proliferare dell’effetto-riverbero, ed in definitiva non spiega niente. E l’esistenza di uno iato, di uno scarto tra io cogitans e fenomeno cogitatum è insanabile. Certo alcuni razionalisti come Kant, forse consci del fatto che il dualismo è una soluzione che non regge, hanno tentato di saturare artatamente questo iato inserendo tutta una serie di strutture operative, categorie, forme pure e simili ma il dualismo resta. Anche in Kant in fondo chi tira le fila del teatro della mente è sempre l’io-penso, questo burattinaio. L’intelletto, al contrario della sensibilità, in Kant ha una funzione operativa, attiva evidente nella strutturazione dei giudizi. Definirei questa variatione sul tema serializzazione del cogito; ma cosa pensa l’Io penso? Ovvio pensa dei pensieri che principieranno e deriveranno pure da tutto quella trafila burocratica fatta di forme pure e categorie, ma pensa dei contenuti cognitivi. E come fa l’io-penso a pensare dei pensieri? È chiaro che siamo da capo, il dualismo è insaturabile.
  • 29. La retta via per avere un’immagine corretta del funzionamento della mente non può che essere l’abbandono del dualismo io/fenomeni, strada già tracciata da David Hume: se dare sostanza al solo io non ha alcun senso e distribuire la sostanza tra io e fenomeni è insostenibile, non resta che la soluzione libertaria ed impervia: solo le idee esistono con buona pace del mainstream razionalista e dell’immagine quotidiana che ciascuno ha della sua mente.
  • 30. Monismo delle idee Va da sé: l’opzione che resta (esistono solo le idee) è quella adottata nella mia ricerca. Per sviluppare appieno l’idea che la mente sia in sostanza un sistema anarchico, complesso, non lineare ma in grado di produrre un ordine spontaneo, mi sono avvalso della teoria sinergetica, applicandola alla filosofia della mente: ecco spiegato il senso del termine “psicosinergetica”. Nata a cavallo tra anni ‘60 e ‘70, grazie all’opera di Herman Haken, la sinergetica rappresenta un vero e proprio paradigma scientifico in senso Kuhniano in grado di dare una spiegazione unitaria, elegante ed economica a problemi teorici affacciatisi nelle discipline più disparate. Tornando all’opzione “monismo delle idee”: se la mente è un “contenitore” di idee che si autoorganizzano (vedremo come nel seguito) e che non sono “governate da un io centrale e “socialista”, resta aperto il problema di spiegare come avvenga questo fondamentale processo autoorganizzante. Sfrutteremo qui tutte le potenzialità della sinergetica applicate a classici problemi della psicologia e della filosofia della mente (percezioni, ricordi, emozioni…) per avere un’immagine generale di un modello, in vista, come già detto delle importanti applicazioni e ricadute pratiche della psicosinergetica.
  • 31. IDEE E SINERGETICA Nel delineare una teoria sinergetica della mente, ovvero nel dare un’estensione ed un significato all’opzione “monismo delle idee” ci serviremo spesso di immagini o di un linguaggio metaforico. Questo al solo fine di rendere più chiaro il nostro modello: una presentazione assiomatica non raggiungerebbe altrettanto bene questo scopo. Il fine è dare una presentazione intuitiva della teoria sinergetica. Solo un’osservazione: che statuto epistemologico ha la nostra teoria sulle idee? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe essere già esperti di sinergetica: per ora basti dire che è un’idea, molto articolata e fertile, un paradigma che mi si è presentato tutto assieme - eideticamente – come un’intuizione istantanea. Per me è stata una “conversione” che mi ha imposto di rivedere tutti i miei convincimenti filosofici, fisici, politici ed in generale la mia visione del mondo. Da quest’intuizione in poi è stato un susseguirsi di deduzioni, applicazioni, estensioni dell’idea originaria. Evocare pretese hegeliane di autocomprensione dello spirito è sempre un po’ antipatico, almeno personalmente, e tuttavia è una tara di cui non si riesce a liberare alcuna teoria della mente, sia essa monistica, dualistica o pluralistica: dobbiamo forse rinunciare a parlare di quanto appartiene alla nostra coscienza? Basti una annotazione pratica per controbattere a questa conclusione: tante persone hanno problemi mentali. Dobbiamo forse rinunciare a curarli? E per curarli non serve forse una immagine, una teoria, un modello di funzionamento della mente?
  • 33. Ontologia Ogni teoria ha la sua ontologia, ovvero quella sezione che si occupa degli enti di cui si occupa la teoria. Ma dare un’ontologia, come ci insegna la logica formale, non significa impegnarsi sulla “realtà” di questa ontologia. Se sto costruendo una teoria per spiegare il comportamento meccanico dei corpi celesti posso ammettere nella mia ontologia teorica il concetto di forza. Ciò non significa che al termine ‘forza’ corrisponda qualcosa o che la forza esiste davvero: queste sono questioni metafisiche. In più un’ontologia è tanto migliore quanto più è “scarsa” ed economica: meno enti contiene, coeteris paribus, tanto più è preferibile. L’ontologia su cui verterà la nostra teoria, è molto scarna e questo è già un punto a favore. Contiene un solo tipo di enti, che abbiamo variamente designato come “atomi cognitivi”, “elementi ultimi” o IDEE. Ne abbiamo postulato l’esistenza per spiegare i fenomeni e per superare il paradosso dello zappatore. Già ma cosa dobbiamo intendere propriamente per “idea”? Purtroppo in questo caso l’etimo greco non viene in nostro soccorso: “idea” rimanda al paradigma del “vedere”; ciò ci induce a pensare che l’idea sia qualcosa che si vede e che vi sia un quid vedente che la veda. Cioè in altre parole che esista un io cosciente che vede le idee. Nulla di più lontano dalla nostra concezione. Come la fisica newtoniana postula l’esistenza dei corpi celesti, come la chimica postula l’esistenza degli atomi e la geometria dei punti, la sinergetica postula l’esistenza dei suoi elementi ultimi: le idee. La domanda “cosa sono le idee” è metafisica ed insolubile: come già detto le idee sono enti teorici esattamente come i punti in geometria. E propongo di trattarli proprio come punti cognitivi portatori di un minimum semantico.
  • 34. Moto caotico e campi di forza I fenomeni coscienti, dei quali stiamo cercando una spiegazione unitaria, sono caratterizzati da un’alta volatilità, da un susseguirsi rapido, quasi istantaneo, da un flusso inarrestabile e velocissimo. Immagini, pensieri, parole, volontà, scelte, si susseguono continuamente, si rincorrono, aumentano d’intensità, occupano tutto il nostro conscio ed infine decadono soppiantati da altri fenomeni mentali. Per spiegare questo mondo mutevole ogni teoria della mente che si rispetti deve dunque incorporare un elemento dinamico, cinematico. Nella teoria sinergetica le idee non sono dunque enti teorici statici3 , immobili ma sono agitate da un continuo moto caotico che le porta ad incontrarsi, scontrarsi, associarsi per brevi periodi ed infine a dissociarsi. Le idee si comportano dunque come elementi di un sistema complesso (pensiamo ad una massa gassosa). L’affermarsi dell’approccio sistemico in campo teorico ha rappresentato una profonda rivoluzione nel paradigma scientifico: l’oggetto teorico non viene più pensato come isolato me ne vengono studiate le interrelazioni con altri elementi. Le sinergie. Come già premesso possiamo impiegare vari modelli teorici per descrivere la dinamica delle idee, per renderla intellegibile: possiamo pensare alle idee come a delle particelle in moto browniano, dei pianeti, dei magneti in grado di creare dei campi di forza: ma si tratta come detto di metafore teoriche. Un’immagine che ho trovato molto allettante, benché vada presa cum grano, è la metafora chimica: le idee sarebbero degli atomi in moto caotico che sono caratterizzati dallo scontro, dalla repentina creazione e rottura dei legami chimici. Ma come detto non fossilizziamoci su una metafora in se priva di contenuto reale. Per approcciare più specificamente il nostro “iperuranio dinamico”, e per illustrare come un moto caotico di idee e di associazioni di idee possa spiegare i fenomeni coscienti è giunto il momento di illustrare il processo standard della dinamica delle idee: si tratta del ciclo sinergetico.
  • 35. Il ciclo sinergetico Procederemo nelle prossime pagine ad una presentazione ordinata del ciclo sinergetico standard o “naturale”. Ci atterremo rigorosamente alla distinzione tra explanans ed explanandum avanzata nella prima parte della ricerca. Dapprima sarà evidenziato il fenomeno mentale (l’explanandum), quindi la proposta sinergetica congetturata per darne le ragioni.
  • 36. I. Stato isotropo Non percepisco, non avverto: § pensieri § impressioni § immagini § suoni § sensazioni § sentimenti § volizioni § deliberazioni § dialogo interno § giudizi Questo stato è tipico del sonno profondo o degli stati di vuoto mentale, di sospensione del pensiero cosciente che ognuno di noi può sperimentare non solo nel periodo notturno – naturalmente non nella fase onirica – ma anche nel corpo della giornata. Proposta sinergetica Non emerge distintamente alcuna idea. Lo spazio sinergetico si presenta come un plasma omogeneo nel quale non è presente alcuna idea: è un tutto confuso ed indistinguibile. È per così dire la materia di cui sono fatte le idee, che emergeranno in seguito, ma in uno stato molto denso. Possiamo del pari figurarci questo stato come un “vuoto” d’idee: la sostanza non cambia. § Ora, in generale noi non percepiamo “stati” ma variazioni: percepiamo variazioni di dolore, di pressione, di calore. L’esempio classico è l’effetto “uomo-sdraiato”: percepiamo la variazione di pressione sul nostro corpo per quei tre secondi che ci servono per coricarci, poi è come se ci dimenticassimo di esser coricati: torniamo a percepirlo se compiamo un moto relativo rispetto al letto. Idem avviene per la visione: se fissiamo intensamente una luce di una lampadina vedremo che negli istanti successivi si formeranno degli aloni scuri: è la prova del fatto, per dirla empiristicamente, che il nostro occhio compie continue “scansioni” della lampadina, continui movimenti: ci accorgiamo dei Δx. È come quando muore una persona cara: per i primi tempi percepiamo la mancanza di un’idea a cui ci eravamo abituati, poi il ricordo si assesta e ci si presenta con un aspetto più costante, frutto di una dolorosa “elaborazione” del distacco.
  • 37. II. Fase di emersione delle idee “Oscuro e confuso”. Sono queste le due parole con cui la filosofia moderna ha designato questo stato mentale. Abbiamo in questa fase del processo conscio delle “piccole percezioni”: le volontà si fanno strada tra mille oscurità, tra mille pensieri concorrenti. Il flusso conscio è ridotto al minimo, non è un fiume impetuoso. I pensieri sono corrotti e labili, le immagini fratte e caleidoscopiche, il dialogo interno caotico, le argomentazioni ridotte a visioni. È lo stato tipico del dormiveglia o se vogliamo è la fase in cui si trova immersa, benché nel pieno del giorno, la mente del bambino che non ha visioni nitide ma solo intuizioni confuse. Proposta sinergetica In questa fase le idee emergono dal plasma originario. È come all’origine del cosmo: all’inizio c’era un plasma densissimo, poi casualmente emergono delle “anisotropie”, delle “singolarità”: emergono le idee. Tuttavia esse sono deboli, il loro campo di forza è appena affermato ed è efficacemente contrastato dalle forze caotiche che animano il fluido viscoso nel quale le idee sono immerse. Se ammettiamo che in origine vi fosse il vuoto resta aperta l’opzione empirista che le idee vengano nella nostra mente da un “altrove”. § Come già osservato noi siamo consci solamente di una certa classe di fenomeni: immagini, suoni, parole, ragionamenti. L’empirismo usa fare una distinzione tra eventi causati dall’esterno – David Hume parla di impressioni – e sensazioni interne (di riflessione). Ma questa distinzione è totalmente fallace; noi infatti non sappiamo donde provengano i fenomeni mentali, noi sappiamo solamente che abbiamo questi fenomeni e basta. Fainomena nuda tenemus. La sinergetica non si sbilancia sull’origine delle idee, non si chiede se vengano da un fuori metafisico e da un dentro, da Dio o da chissà quale iperuranio. La sinergetica è un paradigma che può esser declinato in vari modi.
  • 38. III. Idea-ordinatore: campi di forza Alla coscienza si presentano alcune impressioni, alcuni pensieri, o alcune volontà più chiare rispetto allo stato precedente e soprattutto si presentano alternandosi con massima velocità: ora un pensiero, ora un altro, ora una volizione ora un’altra. In questa fase il flusso di coscienza prende una certa consistenza eppure non sono possibili sequenze di ragionamenti lunghe: piuttosto si presentano intuizioni isolate, benché già con un buon grado di chiarezza e distinzione. Manca del tutto l’articolazione logica. Proposta sinergetica Le idee emerse creano dei campi di forza che si vanno rafforzando. In questa fase le idee ingaggiano una vera e propria “lotta per la sopravvivenza”: ora prevale un’idea che vincola a se, attraverso il suo campo di forza, un’idea “perdente”, ora l’idea perdente prende la sua rivincita. È una fase in cui le strutture ordinate iniziano ad emergere dal moto caotico delle idee, ma non hanno ancora la forza per stabilizzarsi. § È questa una fase centrale del ciclo sinergetico4 . Le idee sono in competizione fra loro, ma diversamente dall’evoluzione biologica non prevale affatto la più “adatta”: la vittoria di un’idea piuttosto che d’un altra è un fatto del tutto casuale, non premeditato, non sensato. Perché ad un certo punto ci viene in mente una data parola, poi un’immagine e poi un suono? Poiché il “logico” è istituito/definito dall’attività mentale – dalla dialettica delle idee – e nella sua definizione gioca un ruolo essenziale l’abitudine con cui certe idee si presentano stabilmente associate, è ovvio che la dinamica delle idee non segue alcuna logica. Le idee attraverso i loro campi di forza giocano il ruolo di ORDINATORE. Contrastando la tendenza verso il caos che le idee, nel loro “moto”, rivelano, iniziano ad emergere delle labili strutture ordinate grazie alle idee stesse. L’idea ordinatrice che prevale in una data fase è in grado di ASSERVIRE altre idee, di attrarle a se, di vincolarle. Ed in questa fase, per quanto labile e transitoria, i fenomeni mentali si susseguono già con una certa dose di chiarezza. I fenomeni più estesi, più articolati, come il ragionamento o la dinamica volizione/soddisfacimento non sono ancora possibili. Possiamo chiamare questa fase, momento degli ordinatori deboli. La dinamica sinergetica ORDINATORE/ASSERVIMENTO, è dunque in grado di avanzare una spiegazione sul modo in cui da uno stato di cose del tutto casuale e senza seguire alcuna logica prestabilita, sia possibile l’emersione di strutture relativamente stabili ed ordinate; di spiegare come l’ordine emerga dal caos senza la necessità di alcun ente ordinatore razionale (quali sarebbero un un ego cogitans o una facoltà sintetica).
  • 39. IV. Asservimento Un fenomeno mentale (volizione, deliberazione, immagine, ricordo) si presenta alla coscienza con un buon grado di nitidezza. Ad esempio emerge chiaramente l’immagine di un oggetto chiaramente distinguibile, pensiamo ad una mela. Tuttavia il “molteplice cosciente” – i fenomeni mentali – si presentano come un continuum piuttosto denso: come un “tutto strutturato”. Anche nel caso in cui l’immagine della mela si presenti chiaramente, essa è per così dire in questa fase accompagnata da mille altri fenomeni: parole, ricordi5 , intuizioni. Dunque in questa fase percepiamo certo un fenomeno con “chiarezza e distinzione” benché si tratti in realtà di un fenomeno che al più emerge da uno sfondo oscuro e confuso. Pertanto noi non percepiamo ancora un fenomeno isolato ma una struttura di fenomeni ordinata o meglio la variazione di tale struttura. Proposta sinergetica Dalla durissima competizione tra idee ordinatrici emerge un’idea vincente non perché essa sia in se più forte – tutte le idee sono in se omogenee – ma perché per puro caso il campo di forza da essa creato è stato ed è in grado di ASSERVIRE altre idee, che sono risultate perdenti, e che tuttavia entrano in gioco nei fenomeni mentali: spiegano il fatto della “densità” fenomenica. L’idea vincente si va rafforzando nella misura in cui è in grado di asservire altre idee. Ora, ogni idea (anche quelle asservite) crea un campo di forza suo. Quando va emergendo un ordinatore vincente i legami che le idee asservite avevano creato con altre idee da esse dipendenti si rompono.
  • 40. V. Evento ordinato Un fenomeno mentale (pensiero, impressione, immagine, suono, sentimento, volizione, parola) si presenta al massimo della sua chiarezza alla nostra coscienza. Si presenta ormai quasi indipendente dallo sfondo confuso che accompagna le nostre percezioni. Emerge ad esempio la parola “amore”. Questa è una fase in cui l’evento mentale si presenta non “al culmine della forza” (che sarebbe uno stato) ma al culmine del suo rafforzamento (noi percepiamo solo “Δx”). In questa fase i fenomeni si presentano associati con una certa abituale costanza: nascono i ragionamenti che non sono altro che parole stabilmente associate6 . Nasce anche il fenomeno del dialogo interiore. Proposta sinergetica Tra le tante idee in competizione l’idea-ordinatore vincente estende sempre più attorno a sé il suo campo di forza ed è in grado di asservire sempre più idee. Va notato che attorno ad essa si va strutturando un nucleo relativamente stabile, che ha legami interni piuttosto forti. In questo nucleo che in qualche misura protegge l’idea-ordinatore dalle tendenze caotiche contrastanti – ricordiamo che le idee sono in un continuo moto casuale e che le strutture ordinate che si creano restano comunque piuttosto labili – le idee asservite sono saldamente vincolate all’idea emersa. Attorno a questo nucleo i legami divengono sempre più deboli e periferici. Per quanto riguarda i ragionamenti si crea in questa fase una continua e solida transizione tra asservente ed asserviti che crea anche il fenomeno del dialogo interiore.
  • 41. VI. Decadimento Dopo aver raggiunto la massima fase di chiarezza i fenomeni mentali vanno incontro ad un rapido ridimensionamento del loro portato cosciente. Superato il climax cognitivo, per esempio raggiunto l’apice di una determinata volizione, il periodo di massimo rafforzamento, la volizione va incontro ad una riduzione, solitamente successiva ad un fenomeno-soddisfacimento7 . Così hanno modo di emergere altre tendenze prima sopite e il ciclo sinergetico può riavviarsi. Proposta sinergetica Il campo di forza creato dall’idea vincente va rapidamente perdendo la sua capacità attrattiva e le idee asservite riprendono la loro autonomia tornando gradualmente ad asservire altre idee tramite i rispettivi campi di forza. Si riapre una fase degli ordinatori-deboli, ed una nuova competizione tra idee.
  • 42. Osservazioni Ora, noi possiamo riguardare allo schema del ciclo sinergetico considerandolo come una TRANSIZIONE DI FASE. In fisica una transizione di fase è un cambiamento macroscopico, osservabile dello stato di una sostanza. Per esempio l’acqua a 0 gradi ghiaccia ed a 100 evapora, tra 1 e 99 gradi resta allo stato liquido. Proprio come queste temperature rappresentano delle soglie critiche oltre le quali la materia si ri-organizza, anche nel ciclo sinergetico abbiamo a che fare con fasi critiche di questo tipo. Ecco una descrizione di tali transizioni di fase: 1) La prima transizione di fase avviene quando le idee emergono: si passa chiaramente da uno stato omogeneo ad uno stato discreto, nel quale le idee iniziano a distinguersi. Lo stato discreto perdura per una certa fase nel quale le idee si mettono in competizione tra loro. Possiamo associare questa prima transizione al passaggio da uno stato omogeneo allo stato gassoso. Nel nuovo stato gassoso le idee sono animate da un continuo moto caotico: si incontrano, si associano, si disperdono, si rafforzano, si indeboliscono con una velocità impressionante. I loro campi di forza si mettono in competizione per affermarsi. 2) Un’idea per puro caso emerge ed è ha la capacità di asservire tutte le altre. L’idea vincitrice – l’ordinatore – va come costruendo attorno a se un “feudo” sempre più saldo. Possiamo paragonare questo processo alla cristallizzazione: attorno ad un nucleo centrale si costruisce una struttura sempre più solida, che tuttavia è in continua fluttuazione: mantiene la sua elasticità8 . Questa è la fase dell’“ordinatore vincente”. Per dirla con una metafora politica siamo passati da uno stato anarchico all’affermazione di un monarca. 3) “Liquefazione”. La struttura dinamica saldamente organizzata attorno all’ordinatore si va disgregando: i legami con l’attrattore centrale si indeboliscono; gli asserviti riprendono la loro autonomia, i loro campi di forza riprendono una relativa autonomia. 4) I campi energetici si indeboliscono e decadono. Le idee tornano ad essere monadi isolate.
  • 43. Come identifichiamo un oggetto? La fase dell’affermazione di un’idea, fase nella quale il campo di forza generato da quest’idea va progressivamente aggregando delle altre idee, merita qualche considerazione in più. Questo perché a livello percettivo questo processo mira a spiegare come i fenomeni mentali si mostrino in tutta la loro chiarezza. O per dirla empiristicamente è il processo cognitivo che porta all’identificazione dell’oggetto, o della volizione, o di una specifica sensazione. Come abbiamo già avuto modo di notare, contrariamente a quanto certa mistica anacoretica ci indurrebbe a pensare, i fenomeni che si presentano alla nostra coscienza non sono affatto stabili, si susseguono in un turbinare velocissimo, ora compaiono, ora si affermano ora si confondono ora richiamano altri fenomeni. Noi percepiamo il mutamento, i Δx. L’occhio non è mai fermo: serve un moto relativo tra percipiente e percepito, per dirla in termini razionalistici: se fissiamo il sole negli istanti successivi noteremo un’aura di aloni scuri. Non sono altro che le differenti impressioni retiniche del sole, create dal moto del nostro occhio. A me è capitato di soffrire un dolore molto intenso: arriva ad “ondate” prima si intensifica, evoca certe rappresentazioni, poi si indebolisce. Mai cessa. O meglio quando cessa non lo sento più. È un processo analogo alla scintillazione stellare: l’ob-iectum pare esso stesso agitato da una continua forza. E quando non accade ciò è l’osservatore a muoversi. Ora, a mio parere il modello sinergetico che abbiamo messo in campo spiega in modo assai elegante questo fenomeno, chiamiamolo della “mutevolezza” del nostro cosciente. Ma richiede di essere meglio specificato il tipo di struttura dinamica che l’idea ordinatrice crea attorno a se. Possiamo ben usare una metafora biologica. L’idea vincente rappresenta il filamento di DNA di una cellula. Quest’idea centrale è in grado di legare a se piuttosto stabilmente una serie di altre idee che vanno a costituire la “protective-belt” che si struttura attorno all’idea-vincente. Anche qui la metafora non tragga in inganno: il fatto che certe idee entrino a far parte di questa struttura saldamente legata all’idea ordinatrice è del tutto casuale. Attorno ancora a questa protective-belt, che è anch’essa una struttura tutt’altro che statica, c’è quell’insieme di idee assai variabile che costituisce la PERIFERIA; di questa area fanno parte tutte le note che non sono essenziali all’identificazione del contenuto cognitivo: variazioni di qualità, quantità, colore, relazioni di spazio e tempo9 . Tutte le associazioni di idee che non sono essenziali all’identità dell’oggetto appartengono a quest’area. Ciò detto. Come identifichiamo un volto? Naturalmente, esclusa l’ipotesi humeana dell’esistenza di idee complesse, dobbiamo riconoscere che al fenomeno volto corrisponde un explanans ideale aggregato: un aggregato dinamico di idee. Vincerà dapprima l’idea di volto10 (idea ordinatore) che strutturerà attorno a se un nucleo fatto dell’idea di naso, dell’idea di occhio, dell’idea di guancia. Ora prima si presenterà l’idea di volto (compare un volto), poi quella di naso (compare un naso), poi vedrò gli altri fenomeni legati al fenomeno/volto. Poi eventualmente ancora il volto nel suo complesso. Insomma alla mia coscienza apparirà dapprima il fenomeno-ordinatore poi gli asserviti appartenenti al nucleo, poi ancora il volto. Questo è manifesto quando guardiamo un’opera d’arte: ora la nostra attenzione si fissa su un particolare, ora su un altro, ora sull’intera opera: non mai paga si muove costantemente. Dal punto di vista della sinergetica questa variazione significa una cosa semplice: che a turno le idee del nocciolo diventano ordinatori vincenti, ed a loro volta asserviscono, ad esempio l’idea di volto. È anche possibile che qualche idea periferica si rafforzi a tal punto da essere inclusa nel nucleo ed arrivare ad intaccare l’identità stessa del costrutto d’idee. Per esempio quando un uomo invecchia è possibile che una persona che lo avesse visto tanti anni prima non lo riconosca più. Cosa è avvenuto? L’idea apparentemente periferica dell’età di un uomo è giunta a minare l’essenza stessa dell’oggetto, di quell’individualità che esso è. Analogo discorso può valere per le note di spazio e tempo: chi riconoscerebbe un medesimo pezzo musicale nel sentire le prime tre battute e le ultime tre del Bolero di Ravel? Ecco una schematizzazione della dinamica che anima i costrutti d’idee, riportante anche l’esempio dell’identificazione del volto: Img 1
  • 44. Fenomeni simili, opposti, uguali Ogni critica della mente deve confrontarsi con questi problemi, che sono della massima importanza gnoseologica: senza di essi la nostra conoscenza non sarebbe neppure possibile. Riconoscere le regolarità, e le differenze è essenziale per muoverci in un mondo, che altrimenti sarebbe una selva oscura priva di senso o significato.
  • 45. Fenomeni simili Riconosco che due oggetti sono simili. Ad esempio vedo due triangoli e noto che essi hanno entrambi tre angoli, che sono acuti, cha hanno tre lati, ed altre simili qualità. Due fenomeni simili hanno un “quid” in comune. Proposta sinergetica Img. 2 Emergono insieme le idee 1 e 2. Esse hanno in comune le idee asservite A, B e C. Le idee vincenti 1 e 2 hanno in comune il seguente “quid”: tre idee condivise.
  • 46. Fenomeni diversi Due immagini differenti appaiono alla mia coscienza Proposta sinergetica Si affermano due idee che hanno pochissimi asserviti in comune. § Due immagini, due ricordi, due sensazioni, proprio per la complessità e la ricchezza che caratterizza l’aggregato fenomenico, non sono mai del tutto differenti. Trovatemi due oggetti che non abbiano alcunché in comune. Se non altro avranno in comune il fatto d’esistere.
  • 47. Fenomeni opposti Appaiono due sentimenti, due immagini del tutto contrastanti. Tali paiono piacere e dolore, bianco e nero, notte e giorno. Proposta sinergetica Img. 3 Le idee 1 e 2 hanno in comune un numero relativamente ridottissimo di idee (in questo caso l’idea D) § Gli opposti sono in realtà fenomeni “pochissimo simili”, in fondo per istituire una comparazione tra termini si richiede che essi abbiano pur qualcosa in comunemente. Bianco e nero sono note cromatiche. Il buio è assenza di luce, il piacere – e su questo torneremo parlando della temporalità – è assenza di dolore.
  • 48. Fenomeni uguali Vedo due palle da biliardo entrambe della stessa forma, colore, nello stesso luogo: riconosco che sono eguali Proposta sinergetica Img. 4 Le idee 1 e 2 hanno in comune moltissime idee-asservite § I fenomeni uguali sono fenomeni “moltissimo simili”: hanno tanto in comune ma non tutto. Quantomeno hanno “periferie” diverse: la loro posizione spaziale sarà distinta altrimenti sarebbero un unico oggetto.
  • 49. Ricordi Per spiegare l’esistenza dei ricordi non è forse d’uopo supporre che esista un io percipiente che perdura identico nel tempo e che ospita in sé queste percezioni più languide che sono i ricordi? La psicosinergetica, come già visto, attacca frontalmente la possibilità stessa d’esistenza d’un siffatto io. Ma lo fa a ragione. Chiediamoci candidamente che cosa è un ricordo. L’unica risposta che trovo è che esso è un’immagine languida, debole, quasi una eco secondaria e che noi riferiamo al passato. Ma facciamo tutto ciò nel momento presente. Ovvero il ricordo è humeanamente idea presente. Ricordare è ricostruire al momento presente. Perché proiettiamo nel passato queste immagini deboli? Ma cosa propriamente noi ne proiettiamo nel passato? Non l’immagine stessa ma piuttosto la causa. E pensiamo che quell’immagine languida che è il lampadario di camera mia, che ora presentemente ricordo, sia stata causata in me da qualcosa che ho veduto nel passato. Da una sub-stantia che dunque esiste indipendentemente da me. Ma la verità è che io non ho alcuna cognizione di una tale sostanza indipendente: io ho a che far solamente con fenomeni attuali che, per così dire, stanno nella mia coscienza ora, o in un “intorno” strettissimo dell’hic et nunc. Quando ricordo qualcosa, dunque, propriamente ho a che fare con null’altro che immagini deboli, associate alle presenti. Dal punto di vista della sinergetica come interpretiamo il fenomeno del ricordo? Vi è un’idea presente che ha asservito un’idea secondaria a cui corrisponde il fenomeno ricordato. Resta un punto da sciogliere. Come mai pare che certe idee ne richiamino costantemente altre? Come mai tutte le volte che vedo il lampo mi aspetto il tuono? Che senso ha, in altre parole la relazione di causa-effetto?
  • 50. Previsioni Se i ricordi sono idee un po’ più illanguidite, stessa immagine vale anche per le previsioni, intese come idee proiettate nel futuro. Se ricordare è ricostruire nel presente, egualmente, e più intuitivamente che nel caso del ricordo, prevedere è prefigurare hic et nunc. Come vedremo la fiducia che il passato “funzioni” come il futuro da questo punto di vista è sinergeticamente spiegabile come un errore della mente: prendere le idee-ricordi come idee-previsioni. Si crea una sorta di melange tra previsione e ricordo, melting ben raffigurato nella dimensione onirica. Il sogno è sempre stato letto nella più diverse culture come immagine e rielaborazione del passato – si pensi agli eventi del giorno prima – e come prefigurazione del futuro (si pensi ai sogni o alle visioni dei profeti). Ma questo mix unico tra ciò che non c’è più e ciò che ci sarà, non può che avvenire, per dirla aristotelicamente, in funzione di qualcosa che è già in atto: quel sottile ed ineffabile segmento cursorio che è il presente.