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LETTERATURA ITALIANA
DAL LATINO AL VOLGARE
INDOVINELLOVERONESE
Interpretazione
Se pareba boves,alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba,etnegro sèmen seminaba
Traduzione
Teneva davantia sé i buoi,arava bianchiprati,
e un bianco aratro teneva e un nero semeseminava
PLACITO CAPUANO
Il Placito Capuano, risalenteal 960 d.C. viene comunemente considerato l’atto di nascita dell’ italiano
volgare. Fa parte di un gruppo di verbali processuali registrati tra il 960 e il 963 riguardanti delle
controversielegateal possesso di alcuneterre, tra l’abbazia di benedettina di Montecassino e il proprietario
terriero Rodelgrimo d’Aquino.Ciò che rende particolare questo documento è l’intenzionalità con cui viene
usato il volgare.La testimonianza a favoredei benedettini infatti non è registrata in latino volgarizzato o
contenente errori rispetto alla norma, ma in una lingua nuova ed autonoma, che perla prima volta possiede
la necessaria dignità per apparire in un documento.Ecco come si presenta la partescritta in volgare
all’interno del testo in latino:“Facemmo restareinnanzi a noi il predetto Mari chierico e monaco e lo
amonimmo che sotto il timor di Dio ci precisasse quel che della questionesapesse in verità. Egli, tenendo in
mano la predetta memoria prodotta dal sopramenzionato Rodelgrimo, e toccandola con l’altra mano,rese la
seguente testimonianza:La parte in volgare:« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le
possette parte sancti Benedicti.»(Capua, marzo 960)
« So che quelle terre,entro quei confini che qui si descrivono, trent’anni le ha tenute in possesso
l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto » .Il Placito Capuano, risalenteappunto al 960 d.C. viene
comunementeconsiderato l’atto di nascita dell’ italiano v olgare. Non solo,ma modellò stilisticamente la
prosa non su modelli italiani, ma direttamentesullo stile ciceroniano.
LA POSTILLA AMIATINA
«Ista cartula est de caput coctu
ille adiuvet de illu rebottu
qui mal consiliu li mise in corpu»
(Testo originale in volgare)
«Questa carta è di Capocotto
lo aiuti da quel ribaldo
che gli mise in corpo un cattivo consiglio»
ISCRIZIONESAN CLEMENTE
L'iscrizione descrive il dialogo di quattro personaggi raffigurati nell'affresco cui si riferisce. L'episodio è
tratto dalla Passio Sancti Clementis: Sisinnio ordina ai suoi servi di trascinare in prigione san Clemente,
ma questi si è in realtà liberato e i due servitori non stanno trascinando il santo, ma una pesante
colonna, senza avvedersene.
Diverse sono le lezioni sull'attribuzione delle frasi ai personaggi; la seguente è tra le più accreditate:
 SISINIUM: "Fili de le pute, traite".
 GOSMARIUS: "Albertel, trai".
 ALBERTELLUS: "Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!"
 SANCTUS CLEMENS: "Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis".
Accettando questa lezione, la traduzione in lingua italiana contemporanea sarebbe la seguente:
 SISINNIO: "Figli di puttana, tirate!"
 GOSMARIO: "Albertello, tira!".
 ALBERTELLO: "Poniti dietro a lui col palo, Carboncello!".
 SAN CLEMENTE: "A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi".
La presenza di parole che, poste vicino alle sagome dei personaggi, rappresenta il suono del loro
parlato è un espediente che secoli dopo diverrà usuale nel fumetto[1]
.
LETTERATURA RELIGIOSA DEL 200
CANTICODI FRATESOLE
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno,
et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,de te, Altissimo, porta
significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le
tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et
robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi
fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et
tribulatione.
Beati quelli che ’l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate
PARAFRASI
Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione.
A te solo, Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionare il tuo nome.
Lodato sii, che tu sia lodato, o mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente il fratello sole, la
luce del giorno, tu ci illumini tramite lui. Il sole è bello, radioso, e splendendo simboleggia la tua
importanza, o Altissimo, Sommo Signore.
Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, lucenti, preziose e belle.
Lodato sii, o mio Signore, per fratello vento, per l’aria, per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno,
rendo grazie per ogni tempo tramite il quale mantieni in vita le tue creature.
Che tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura.
Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, tramite il quale illumini la notte. Il fuoco è bello, giocondo,
vigoroso e forte.
Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci nutre e ci mantiene: produce frutti
colorati, fiori ed erba.
Lodato sii, o mio Signore, per coloro che perdonano in nome del tuo amore e sopportano infermità e
sofferenze.
Beati quelli che sopporteranno tutto questo con serenità, perché saranno ricompensati da te, o
Altissimo.
Lodato sii mio Signore per la morte del corpo, dalla quale nessun essere umano può fuggire, guai a
quelli che moriranno nel peccato mortale.
Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. La seconda morte, non
farà loro alcun male.
Lodate e benedite il mio Signore, rendete grazie e servitelo con grande umiltà.
O SEGNOR, PER CORTESIA ( JAPONE DE TODI )
DONNA DE PARADISO ( JACOPONE DE TODI )
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O Signor,per cortesia,
manname la malsanìa!
A mme la freve quartana,
la contina e la terzana,
la doppla cotidïana
co la granne ydropesia.
A mme venga mal de dente,
mal de capo e mal de ventre;
a lo stomaco dolur’ pognenti
e ’n canna la squinanzia.
Mal dell’occhi e doglia de flanco
e la postema al canto manco;
tiseco me ionga enn alto
e d’onne tempo fernosìa.
Aia ’l fecato rescaldato,
la melza grossa e ’l ventr’enflato
e llo polmone sia ’mplagato
cun gran tòssa e parlasia.
A mme venga le fistelle
con migliaia de carvuncilli,
e li granci se sian quelli
che tutto replen ne sia.
A mme venga la podraga
(mal de cóglia sì me agrava),
la bisinteria sia plaga
e le morroite a mme sse dìa.
O Signore,per favore, mandami la malattia [la lebbra]!
A me la febbre quartana,la febbre continua e quella terzana,e quella
volte in un giorno,insieme alla grave idropisia.
Mi venga il mal di denti, il mal di testa e di ventre, mi vengano dolori pu
stomaco e l'angina alla gola.
[Mi venga] male agli occhi e dolore al fianco [mal di reni], l'ascesso al l
cuore]; mi venga anche la tisi e la frenesia [il delirio]in ogni momento.
Che io abbia il fegato infiammato,la milza ingrossata,il ventre gonfio;
piagato da grande tosse e paralisi.
Mi vengano le fistole con migliaia di pustole,e i cancri siano tali che io
ripieno.
Mi venga la podagra,il male ai testicoli aggravi il mio stato; mi sia piag
mi vengano le emorroidi.
Mi venga l'asma,e vi si aggiunga lo spasimo;mi venga la rabbia del ca
cancrena in bocca.
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A mme venga ’l mal de l’asmo,
iongasecce quel del pasmo;
como a can me venga el rasmo,
entro ’n vocca la grancia.
A mme lo morbo caduco
de cadere enn acqua e ’n foco
e ià mai non trovi loco,
che eo afflitto non ce sia.
A mme venga cechetate,
mutezza e sordetate,
la miseria e povertate
e d’onne tempo entrapparìa.
Tanto sia ’l fetor fetente
che non sia null’om vivente,
che non fuga da me dolente,
posto en tanta enfermaria.
En terrebele fossato,
che Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.
Gelo, grando e tempestate,
fulgure,troni e oscuritate;
e non sia nulla aversitate,
che me non aia en sua bailìa.
Le demonia enfernali
sì mme sian dati a menestrali,
che m’essèrcino en li mali,
ch’e’ ho guadagnati a mea follia.
Enfin del mondo a la finita
sì mme duri questa vita
e poi, a la scivirita,
dura morte me sse dìa.
Allegom’en sseppultura
un ventr’i lupo en voratura
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogarìa.
Li miracul’ po’ la morte,
chi cce vene aia le scorte
e le deversazioni forte
con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode mentovare
sì sse deia stupefare
Mi venga il mal caduco [l'epilessia]e mi faccia finire nell'acqua e nel fu
trovare alcun luogo in cui non sia afflitto.
Mi venga la cecità, possa io diventare muto e sordo;possa io essere m
subire un continuo rattrappimento.
Possa io emanare un tale fetore che nessun uomo vivente non fugga s
colpito da una tale malattia.
Che io sia abbandonato da ogni buona compagnia in quel terribile foss
chiamato Riguerci [un affluente del Tevere, un tempo luogo noto per la
[Mi colpiscano]gelo,grandine,tempeste,folgori,tuoni, oscurità,e non
avverso che non mi abbia in suo potere.
Che i demoni dell'inferno mi siano dati come infermieri,e che mi infligg
che con i miei peccati mi sono meritato.
Sino alla fine del mondo duri per me questa vita, e poi, quando il corpo
corpo, mi venga data una morte crudele.
Scelgo come mia sepoltura il ventre di un lupo che mi abbia divorato,e
miei resti defecati da quello tra spineti e roveti.
[Questi] i miei miracoli dopo la morte:chi viene dove sono i miei resti p
scorta [di spiriti maligni]e dure persecuzioni con terribili pensieri.
Ogni uomo che mi sente menzionare deve restare inorridito e farsi il se
per evitare un brutto incontro per la strada.
O mio Signore,tutti i tormenti che ho elencato non sono una vendetta e
creasti per il tuo amore,io ti ho villanamente ucciso [con la crocifission
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«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».
«Come essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».
«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».
«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».
«Soccurre,donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».
«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».
«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».
«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».
Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è
catturato.
Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo
stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»
Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato
Cristo, la mia speranza,visto che non ha commesso
peccato?»
Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l'ha venduto,
avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran
guadagno».
Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena!
Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».
Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano
addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno
consegnato a Pilato».
Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti
posso dimostrare che è accusato a torto».
Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama
re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del
senato».
Maria: «Viprego di ascoltarmi,pensate al mio dolore!
Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».
Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi
compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è
proclamato re!».
Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio,
chi dà conforto al mio cuore angosciato?
Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi
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e co la croce sé segnare,
che reo escuntro no i sia en via.
Signor meo,non n’è vendetta
tutta la pena ch’e’ aio ditta,
ché me creasti en tua diletta
et eo t’ho morto a villania.
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«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».
«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».
«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».
«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».
«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».
«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?
Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».
«O mamma,o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».
«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».
«Mamma,perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».
«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.
C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato
allattato?».
Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla,
ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».
Maria: «Croce,cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa
lo accuserai,visto che non ha commessoalcun peccato?».
Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il
tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia
martirizzato».
Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemivedere come lo
hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».
Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l'hanno stesa
su un braccio della croce; l'hanno spaccata con un chiodo,
tanto gliel'hanno conficcato.
Gli prendono l'altra mano e la stendono sull'altro braccio
della croce,e il dolore brucia, ancora più accresciuto.
Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno;
aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».
Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia,
figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio
delicato?
Avrebberofatto meglio a strapparmiil cuore, visto che è
posto anch'esso in croce e sta lì straziato!».
Cristo: «Mamma,dove sei venuta? Miinfliggi una ferita
mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi
uccide».
Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito!
Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».
Cristo: «Mamma,perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga
qui, che assistii miei compagni che ho acquistatonel
mondo».
Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non
voglio andarmene finché mi esce ancora voce.
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mat’e figlio affocato!».
«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core si à furato».
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?
Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.
Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».
Possiamo noi avere un'unica sepoltura, figlio di mamma
infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio
ucciso!».
Cristo: «Mamma colcuore afflitto, ti affido nelle mani di
Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio
acquisito.
Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine
pietà, poiché ha il cuore così trafitto».
Maria: «Figlio, l'anima ti è uscita dal corpo, figlio della
smarrita,figlio della disperata, figlio avvelenato[ucciso]!
Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi
rivolgo? Mihai davveroabbandonata!
Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio,
perché il mondo ti ha così disprezzato?
Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la
gente ti ha trattato in malo modo.
Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il
coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.
Che la madre muoia insieme al figlio, afferratidalla stessa
morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi
crocifissi!»
POESIA DIDATTICO-RELIGIOSA DEL NORD:
DE BABILONIA CIVITAE INFERNALI
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Mai no fo veçù unca per nexun tempo
logo né altra cosa cotanto puçolento,
ké millo meia e plu da la longa se sento
la puça e lo fetor ke d’entro quel poço enxo.
Asai g’è làçó bisse, liguri, roschi e serpenti,
vipere e basalischi e dragoni mordenti:
a cui plui ke rasuri taia la lengue e li denti,
e tuto ’l tempo manja e sempr’ è famolenti.
Lì è li demonii cun li grandi bastoni,
ke ge speça li ossi, le spalle e li galoni,
li quali è cento tanto plu nigri de carboni,
Non fu mai visto in nessun tempo un luogo o un'altra
cosa altrettanto puzzolente, poiché da più di mille miglia
di distanza si sente la puzza e il fetore che escono da
quel pozzo.
Laggiù vi sono molte bisce, ramarri, rospi e serpenti,
vipere e basilischi e dragoni che mordono, la cui lingua e
i cui denti tagliano più dei rasoi e mangiano tutto il tempo
e sono sempre affamati.
Lì ci sono i diavoli con grandi bastoni, che [ai dannati]
spezzano le ossa, le spalle e i fianchi, ed essi sono cento
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s’el no mento li diti de li sancti sermoni.
Tant à orribel volto quella crudel compagna,
k’el n’ave plu plaser per valle e per montagna
esro scovai de spine da Roma enfin en Spagna
enanço k’encontrarne un sol en la campagna:
ch'i' çeta tutore, la sera e la doman,
fora per la boca orribel fogo çamban,
la testa igi à cornua e pelose le man,
et urla como luvi e baia como can.
Ma poi ke l’omo è lì e igi l’à en soa cura,
en un’aqua lo meto k’è de sì gran fredura
ke un dì ge par un anno, segundo la scriptura,
enanço k’eli el meta en logo de calura.
E quand ell’ è al caldo, al fredo el voravo esro,
tanto ge pare ’l dur, fer, forto et agresto,
dond el non è mai livro per nexun tempo adesso
de planto e de grameça e de gran pena apresso.
Staganto en quel tormento, sovra ge ven un cogo,
ço è Balçabù, de li peçor del logo,
ke lo meto a rostir, com’un bel porco, al fogo,
en un gran spe’ de fer per farlo tosto cosro.
E po’ prendo aqua e sal e caluçen e vin
e fel e fort aseo e tosego e venin
e sì ne faso un solso ke tant e bon e fin
ca ognunca cristïan sì ’n guardo el Re divin.
A lo re de l’inferno per gran don lo trameto,
et el lo guarda dentro e molto cria al messo:
"E’ no ge ne daria" ço diso "un figo seco,
ké la carno è crua e ’l sango è bel e fresco.
Mo tornagel endreo vïaçament e tosto,
e dige a quel fel cogo k’el no me par ben coto,
e k’el lo debia metro col cavo en çó stravolto
entro quel fogo ch’ardo sempro mai çorno e noito.
E stretament ancor dige da la mia parto
k’el no me’l mando plui, mo sempro lì lo lasso,
né no sia negligento né pegro en questo fato,
k’el sì è ben degno d’aver quel mal et altro".
De ço k’el g’e mandà no ge desplase ’l miga,
mai en un fogo lo meto, ch’ardo de sì fer’ guisa
ke quanta çent è al mondo ke soto lo cel viva,
no ne poria amorçar pur sol una faliva.
volte più neri del carbone, se non mentono i detti dei
santi sermoni.
Quella crudele compagnia ha un volto così orribile, che è
più piacevole per valli e montagne essere frustati con
spine da Roma fino alla Spagna, piuttosto di incontrarne
uno solo nella campagna:
perché essi gettano sempre, sera e mattina, fuori dalla
bocca un orribile fuoco diabolico, e hanno la testa
cornuta e le mani pelose, e urlano come lupi e abbaiano
come cani.
Ma non appena l'uomo è lì ed essi ce l'hanno in cura, lo
mettono dentro un'acqua che è così fredda che un giorno
gli sembra un anno, secondo la Sacra Scrittura, prima
che lo mettano in un luogo caldo.
E quando il dannato è al caldo, vorrebbe essere al
freddo,
tanto gli pare duro, fiero, difficile a sopportare, per cui egli
non è mai libero in nessun tempo dal pianto e dalla
sventura e da grandi pene.
Mentre il dannato è in quel tormento, viene sopra di lui un
cuoco, cioè Belzebù, uno dei peggiori del luogo, che lo
mette ad arrostire sul fuoco come un bel porco, in un
grande spiedo di ferro per farlo cuocere in fretta.
E poi prende acqua e sale e fuliggine e vino e fiele e
aceto forte, e tossico e veleno, e ne fa una salsa che è
tanto buona e squisita che il Re divino ne preservi ogni
cristiano.
Lo trasmettono al re dell'Inferno come gran dono, e
quello lo guarda dentro e grida forte al messo: "Non darei
- dice- un fico secco per questo, perché la carne è cruda
e il sangue è ancora fresco.
Ma riportatelo indietro subito e presto, e dite a quel
fellone di cuoco che non mi sembra ben cotto, e lo deve
mettere col capo rivolto in giù dentro quel fuoco che arde
sempre giorno e notte.
E ditegli ancora precisamente da parte mia che non me
lo mandi più, ma lo lasci sempre lì, e non sia negligente o
pigro nel far questo, perché il dannato è ben degno di
avere quel male e molto altro".
Ciò che gli è comandato non gli dispiace affatto, anzi lo
mette in un fuoco che arde in modo tale che tutta la gente
LA SCUOLA SICILIANA :
SOLLICITANDO UN POCO MEO SAVERE ( IACOPO MOSTACCI)
Solicitando un poco meo savere
e con lui mi vogliendo diletare,
un dubio che mi misi ad avere,
a voi lo mando per determinare.
5 On’omo dice c’amor à potere
e gli coraggi distringe ad amare,
ma eo no [li] lo voglio consentire,
però c’amore no parse ni pare.
Ben trova l’om una amorositate
10 la quale par che nasca di piacere,
e zo vol dire om che sia amore.
Eo no li saccio altra qualitate,
ma zo che è, da voi [lo] voglio audire,
però ven faccio sentenz[ï]atore.
PARAFRASI
Stimolando un poco il mio pensiero e volendomi divertire con lui, mi è sorto un dubbio che vi
sottopongo perché lo sciogliate. In genere si dice che l’amore è potente e costringe i cuori ad amare,
ma questo io non lo condivido, perché l’amore non si è mai veduto, e non si vede. Si trova, è vero,
una disposizione ad amare, che sembra nascere dal piacere, e la si vuol definire amore. Ma io non le
riconosco nessun’altra qualità, e vorrei sentire da voi di che cosa si tratti: perciò vi chiedo di fare da
giudice.
AMORE E’ UN(O) DESIO
(GIACOMO DA LENTINI)
4
8
11
Amore è unodesi[o]che ven da’ core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.
Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:
ché li occhi rapresenta[n]a lo core
d’onni cosa che vedenbonoe rio
com’è formata natural[e]mente;
e lo cor, che di zo è concepitore,
che vive nel mondo sotto il cielo non ne potrebbe
smorzare una sola favilla.
14 imagina, e [li] piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.
PARAFRASI
L'amore è un desiderio che proviene dal cuore per abbondanza di grande bellezza; e gli occhi in
primo luogo generano l'amore, mentre il cuore gli dà nutrimento [lo alimenta].
Può accadere talvolta che uno si innamori senza vedere l'oggetto del proprio sentimento, ma
quell'amore che stringe con forza è quello che nasce dalla vista degli occhi: infatti gli occhi
raffigurano al cuore la bontà e la cattiveria di ogni cosa che vedono, come essa è formata in
modo naturale;
e il cuore, che concepisce questo, immagina, e quel desiderio gli piace: e questo amore è quello
che regna fra la gente.
CIELO D’ALCAMO
ROSA FRESCA AULENTISSIMA
Rosa fresca aulentissima è un contrasto composto da 32 strofe nel quale Cielo d’Alcamo mette in scena il dialogo tra un
giullare e una fanciulla. Nel corso del dialogo il giullare avanza richieste d’amore e la fanciulla ribatte con rifiuti, dapprima
risoluti, poi via via meno convinti, fino alla resa finale. Il testo è costruitoin forma radicalmente “contrastiva”, vale a dire come
un serrato“botta e risposta”nel quale c’è una perfetta corrispondenza tra strofe e battute dei personaggi e una perfetta
alternanza tra le voci dei due protagonisti.Il componimento nasce come parodia delle situazioni, delle immagini e del
linguaggio della poesia illustre di scuola siciliana e provenzale. L’intento parodisticoviene perseguitodall’autore per mezzo
della commistione di registri linguisticie letteraridiversi, vale a dire mescolandogli stilemi della lirica aulica (e il volgare
siciliano illustre, riccodi francesismi), con le forme marcatamente dialettali del registrobasso. Attraverso la lingua “mista”dei
protagonisti l’autore caratterizza in maniera comica la situazione, che viene a presentarsi al lettore come il maldestrotentativo
di due zotici di imitare i modelli di seduzione cortesi, tipici degli ambienti aristocratici.
GIULLARE:
«Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;
<< Oh fresca rosa profumatissima che appari all’arrivo dell’estate, le donne ti desiderano, sia le fanciulle che le donne
sposate, tirami via da questi fuochi, se ne hai la volontà (se t’este a bolontate: lett. se la cosa ti sta a volontà).
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia».
A causa tua non ho pace (abento: requie, pace, riposo) né di notte che di giorno, pensando sempre a voi, mia amata! >>
FANCIULLA:
«Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
l’abere d’esto secolo tutto quanto asembrare:
<< Se ti tormenti a causa mia, è la follia che te lo fa fare, potresti arare il mare, seminare ai venti, radunare tutta la ricchezza di
questo mondo:
avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m’aritonno».
eppure non mi potresti avere in questa vita, piuttosto mi rado i capelli >>
GIULLARE:
«Se li cavelli artónniti, avanti foss’io morto,
ca’n issi sí mi pèrdera lo solaccio e ’l diporto.
Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto,
<< Se ti tagli i capelli, che io possa morire prima, perché insieme a loro mi perderei il diletto e la gioia, quando passo di qui e ti
vedo, fresca rosa di giardino,
bono conforto dónimi tuttore:
poniamo che s’ajúnga il nostro amore».
mi procuri sempre una piacevole gioia, decidiamo che ad essa si aggiunga il nostro amore >>.
FANCIULLA:
«Che ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti:
se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t’arigolgano questi forti correnti.
<< Che vi si aggiunga il nostro amore nonvoglio che mi piaccia, se ti trova qui mio padre con gli altri miei familiari, bada bene
che questi rapidi corridori non ti acchiappino!
Pubblicità
Como ti seppe bona la venuta,
consiglio che ti guardi a la partuta».
Visto che sei stato fortunato al tuo arrivo, ti consiglio di star attento alla partenza! >>
GIULLARE:
«Se i tuoi parenti trovanmi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèttonci di dumili’ agostari:
non mi toccara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.
<< Sei i tuoi familiari mi trovano, e che mi possono fare? Ci metto una multa di duemila augustali: tuo padre non mi
toccherebbe per tutto l’oro che è contenuto in Bari!
Viva lo ‘mperadore, grazi’ a Deo!
Intendi, bella, quel che ti dico eo?»
Viva l’imperatore e grazie a Dio! Capisci, bella, quello che sto dicendo? >>
FANCIULLA:
«Tu me no lasci vivere né sera né maitino.
Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino.
Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,
<< Tu non mi lasci vivere né di sera né di mattina,sono una donna che possiede bisanti d’oro e oro massamutino, se tu mi
donassi tanto oro quanto ne ha Saladino,
e per ajunta quant’ha lo soldano,
toccare me non pòteri a la mano».
e in aggiunta quanto ne ha il Sultano, non mi potresti toccare nemmeno sulla mano. >>
GIULLARE:
«Molte sono le femine c’hanno dura la testa,
e l’omo con parabole l’adímina e amonesta:
tanto intorno procazzala fin che·ll’ha in sua podesta.
<< Sono molte le donne che hanno la testadura e l’uomocon le parole le domina e le persuade: la incalza tanto tutt’intorno
finché non l’ha in suo potere.
Femina d’omo non si può tenere:
guàrdati, bella, pur de ripentere».
Una donna non può fare a meno di un uomo, bada, bella, di non dovertene pentire. >>
FANCIULLA:
«K’eo ne pur ripentésseme? davanti foss’io aucisa
ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
Aersera passàstici, correnno a la distesa.
<< Che io me ne penta? Piuttosto io venga uccisa!Che nessuna donna onesta sia rimproverata a causa mia! Tempo fa sei
passato di qui correndo a tutto spiano:
Pubblicità
Aquístati riposa, canzonieri:
le tue parole a me non piaccion gueri».
prenditi un po’ di riposo, cantastorie, le tue parole a me non piacciono affatto! >>
GIULLARE:
«Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core,
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
Femina d’esto secolo tanto non amai ancore
<< Quanti sono i dolori che mi hai messonel cuore, anche solopensandocidurante il giorno, quandoesco!Non ho mai amato
una donna di questo mondo
quant’amo teve, rosa invidïata:
ben credo che mi fosti distinata».
quanto amo te, rosa desiderata: ho ragione di credere che tu sia stata destinata a me. >>
FANCIULLA:
«Se distinata fósseti, caderia de l’altezze,
ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
Se tutto adiveníssemi, tagliàrami le trezze,
<< Se ti fossi stata destinata farei una bella caduta, perché sarebbe sprecata con te la mia bellezza, se mi accadesse tutto ciò,
mi taglierei le trecce,
e consore m’arenno a una magione,
avanti che m’artocchi ’n la persone».
e mi faccio suora in un convento, prima che tu possa toccare la mia persona! >>
GIULLARE:
«Se tu consore arènneti, donna col viso cleri,
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
per tanta prova vencerti fàralo volontieri.
<< Se tu ti fai suora, oh donna col viso luminoso, io vengoa quel monastero e mi faccio frate, per vincerti con una simile
prova (d’amore) lo farei volentieri.
Conteco stao la sera e lo maitino:
Besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino».
Starei con te mattina e sera, è necessario che io ti tenga sotto la mia egemonia >>
FANCIULLA:
«Boimè tapina misera, com’ao reo distinato!
Geso Cristo l’altissimo del tutto m’è airato:
concepístimi a abàttare in omo blestiemato.
<< Ohimé, sventurata e infelice, che brutta sorte ho avuto!GesùCristol’altissimo è completamente adirato con me! Mi hai
concepita perché mi imbattessi in un uomo blasfemo!
Cerca la terra ch’este granne assai,
chiú bella donna di me troverai».
Percorri la terra, che è assai grande e troverai una donna più bella di me. >>
GIULLARE:
«Cercat’ajo Calabrïa, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonïa e tutta Barberia:
<< Ho frugato la Calabria, la Toscana, e la Lombardia, la Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e la Siria, la Germania e
Babilonia e tutta l’Africa Berbera,
donna non ci trovai tanto cortese,
per che sovrana di meve te prese».
e non vi ho trovato una donna tanto cortese, per cui ho scelto te come mia sovrana. >>
FANCIULLA:
«Poi tanto trabagliàstiti, faccioti meo pregheri
che tu vadi adomànnimi a mia mare e a mon peri.
Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri,
<< Dal momentoche ti sei tanto affaticato, ti faccio una richiesta, che tu mi vada a chiedere in sposa a mia madre e a mio
padre. Se ti fanno l’onore di concedermi a te, portami al monastero
e sposami davanti da la jente;
e poi farò le tuo comannamente».
e sposami davanti alla gente, e poi eseguirò le tue volontà >>
GIULLARE:
«Di ciò che dici, vítama, neiente non ti bale,
ca de le tuo parabole fatto n’ho ponti e scale.
Penne penzasti mettere, sonti cadute l’ale;
<<Le cose che tu dici, oh mia vita, non ti aiuterannoin alcun modo, perché io di parole come le tue ne ho sentite tante, pensavi
di tirar fuori il piumaggio e invece sei rimasta senza neppure le ali!
e dato t’ajo la bolta sottana.
Dunque, se poti, tèniti villana».
Ed io ti ho dato il colpo di grazia, perciò, finché ti è possibile, continua a comportarti da donna rustica!>>
PERO’ C’AMOR NON SI PUO’ VEDERE (PIER DELLA VIGNA)
PERO' CH'AMORE NO SI PO' VEDERE...
Però ch'amore no si pò vedere
e no si tratta corporalmente,
manti[5] ne son di sì folle sapere
che credono ch'amore sïa nïente. 4
Ma po' ch'amore si face sentire
dentro al cor signoreggiare[6] la gente,
molto maggiore presio[7] de[ve] avere
che se 'l vedessen visibilmente. 8
Per la vertute de la calamita
come lo ferro at[i]ra no si vede,
ma si lo tira signorevolmente; 11
e questa cosa a credere mi 'nvita
ch'amore sia[8]; e dami grande fede
che tuttor sia creduto[9] fra la gente. 14
VISTO CHE L'AMORE NON SI PUÒ VEDERE
Visto che l'amore non si può vedere
e non si tocca come un corpo,
molti son di così folle idea
che credono che l'amore sia niente.
Ma non appena l'amore si fa sentire
comandare gli uomini dentro il cuore,
molto più pregio deve avere
che lo si vedesse di persona.
Proprio come la forza della calamita
non si vede come attiri il ferro
eppure lo attira con forza irresistibile;
e questo fatto mi spinge a credere
che l'amore esista; e mi dà grande certezza
che sempre la gente a lui obbedisca.
MERAVIGLIOSAMENTE
( IACOPO DA LENTINI )
Meravigliosa-mente
un amor mi distringe,
e mi tene ad ogn’ora.
Com’om, che pone mente
5 in altro exemplo pinge
la simile pintura,
così, bella, facc’eo,
che ’nfra lo core meo
porto la tua figura.
10 In cor par ch’eo vi porti,
pinta come parete,
e non pare difore.
O Deo, co’ mi par forte
non so se lo sapete,
15 con’ v’amo di bon core;
ch’eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso,
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
20 dipinsi una pintura,
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo ’n quella figura,
e par ch’eo v’aggia davante;
25 come quello che crede
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m’arde una doglia,
com’ om che ten lo foco
30 a lo suo seno ascoso,
e quanto più lo ’nvoglia,
allora arde più loco,
non pò star incluso:
similemente eo ardo,
35 quando pass’e non guardo
a voi, vis’ amoroso.
S’eo guardo, quando passo,
inver’ voi no mi giro,
bella, per risguardare;
40 andando, ad ogni passo
getto un gran sospiro
ca facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c’a pena mi conoscio,
45 tanto bella mi pare.
Assai v’aggio laudato,
madonna, in tutte parti,
di bellezze c’avete.
Non so se v’è contato
50 ch’eo lo faccia per arti,
che voi pur v’ascondete:
sacciatelo per singa
zo ch’eo no dico a linga,
quando voi mi vedite.
55 Canzonetta novella,
va’ canta nuova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogn’amorosa,
60 bionda più c’auro fino:
“Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino”.
PARAFRASI
Un amore mi avvince in modo straordinario e mi possiede in ogni momento. Come chi osserva
attentamente un modello ne dipinge la copia esatta, così, bella, faccio io, che nel mio cuore porto la
tua immagine. Sembra che io vi porti nel cuore, ritratta proprio come voi siete, e all’esterno non
traspare (nulla). Oh Dio, quanto mi sembri crudele non so se lo sappiate, come io vi ami con tutto il
cuore; perché io ho tanto ritegno che vi guardo soltato di nascosto, e non vi manifesto il mio amore.
Per questo grande desiderio ho dipinto un ritratto, bello, somigliante a voi, e quando non vi vedo
guardo in quell’immagine, e mi sembra che io vi abbia davanti a me: come chi crede di salvarsi
grazie alla propria fede, benché non veda dinanzi a sé (ciò in cui crede). Nel cuore mi brucia un
dolore, come a uno che abbia un fuoco nascosto nel proprio seno, e quanto più lo nasconde, tanto
più esso vi arde, non potendo restare rinchiuso: allo stesso modo io brucio, quando passo e non vi
guardo, viso amoroso. Se guardo, quando passo, non mi volto verso di voi, bella, per guardare di
nuovo. Mentre vado, a ogni passo emetto un gran sospiro, che mi fa singhiozzare; e certamente mi
affanno molto, tanto che a stento mi riconosco, tanto bella mi appari. Vi ho molto lodata, madonna,
dovunque, per le bellezze che avete. Non so se vi abbiano raccontato che io lo faccia ad arte, dato
che voi continuate a nascondervi: apprendetelo attraverso segni esteriori, quello che non vi dico a
voce, quando mi vedete. Canzonetta appena nata, va’ a cantare una cosa straordinaria; alzati di buon
mattino, davanti alla più bella, fiore di ogni innamorata, più bella dell’oro puro: “Il vostro amore, che
è prezioso, concedetelo al Notaio, che è nato a Lentini”.

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Letteratura italiana

  • 1. LETTERATURA ITALIANA DAL LATINO AL VOLGARE INDOVINELLOVERONESE Interpretazione Se pareba boves,alba pratàlia aràba et albo versòrio teneba,etnegro sèmen seminaba Traduzione Teneva davantia sé i buoi,arava bianchiprati, e un bianco aratro teneva e un nero semeseminava PLACITO CAPUANO Il Placito Capuano, risalenteal 960 d.C. viene comunemente considerato l’atto di nascita dell’ italiano volgare. Fa parte di un gruppo di verbali processuali registrati tra il 960 e il 963 riguardanti delle controversielegateal possesso di alcuneterre, tra l’abbazia di benedettina di Montecassino e il proprietario terriero Rodelgrimo d’Aquino.Ciò che rende particolare questo documento è l’intenzionalità con cui viene usato il volgare.La testimonianza a favoredei benedettini infatti non è registrata in latino volgarizzato o contenente errori rispetto alla norma, ma in una lingua nuova ed autonoma, che perla prima volta possiede la necessaria dignità per apparire in un documento.Ecco come si presenta la partescritta in volgare all’interno del testo in latino:“Facemmo restareinnanzi a noi il predetto Mari chierico e monaco e lo amonimmo che sotto il timor di Dio ci precisasse quel che della questionesapesse in verità. Egli, tenendo in mano la predetta memoria prodotta dal sopramenzionato Rodelgrimo, e toccandola con l’altra mano,rese la seguente testimonianza:La parte in volgare:« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.»(Capua, marzo 960) « So che quelle terre,entro quei confini che qui si descrivono, trent’anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto » .Il Placito Capuano, risalenteappunto al 960 d.C. viene comunementeconsiderato l’atto di nascita dell’ italiano v olgare. Non solo,ma modellò stilisticamente la prosa non su modelli italiani, ma direttamentesullo stile ciceroniano. LA POSTILLA AMIATINA «Ista cartula est de caput coctu ille adiuvet de illu rebottu qui mal consiliu li mise in corpu» (Testo originale in volgare) «Questa carta è di Capocotto lo aiuti da quel ribaldo che gli mise in corpo un cattivo consiglio» ISCRIZIONESAN CLEMENTE L'iscrizione descrive il dialogo di quattro personaggi raffigurati nell'affresco cui si riferisce. L'episodio è tratto dalla Passio Sancti Clementis: Sisinnio ordina ai suoi servi di trascinare in prigione san Clemente, ma questi si è in realtà liberato e i due servitori non stanno trascinando il santo, ma una pesante colonna, senza avvedersene.
  • 2. Diverse sono le lezioni sull'attribuzione delle frasi ai personaggi; la seguente è tra le più accreditate:  SISINIUM: "Fili de le pute, traite".  GOSMARIUS: "Albertel, trai".  ALBERTELLUS: "Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!"  SANCTUS CLEMENS: "Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis". Accettando questa lezione, la traduzione in lingua italiana contemporanea sarebbe la seguente:  SISINNIO: "Figli di puttana, tirate!"  GOSMARIO: "Albertello, tira!".  ALBERTELLO: "Poniti dietro a lui col palo, Carboncello!".  SAN CLEMENTE: "A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi". La presenza di parole che, poste vicino alle sagome dei personaggi, rappresenta il suono del loro parlato è un espediente che secoli dopo diverrà usuale nel fumetto[1] . LETTERATURA RELIGIOSA DEL 200 CANTICODI FRATESOLE Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che ’l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male. Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate PARAFRASI Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione. A te solo, Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionare il tuo nome. Lodato sii, che tu sia lodato, o mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente il fratello sole, la luce del giorno, tu ci illumini tramite lui. Il sole è bello, radioso, e splendendo simboleggia la tua importanza, o Altissimo, Sommo Signore. Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, lucenti, preziose e belle.
  • 3. Lodato sii, o mio Signore, per fratello vento, per l’aria, per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno, rendo grazie per ogni tempo tramite il quale mantieni in vita le tue creature. Che tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura. Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, tramite il quale illumini la notte. Il fuoco è bello, giocondo, vigoroso e forte. Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci nutre e ci mantiene: produce frutti colorati, fiori ed erba. Lodato sii, o mio Signore, per coloro che perdonano in nome del tuo amore e sopportano infermità e sofferenze. Beati quelli che sopporteranno tutto questo con serenità, perché saranno ricompensati da te, o Altissimo. Lodato sii mio Signore per la morte del corpo, dalla quale nessun essere umano può fuggire, guai a quelli che moriranno nel peccato mortale. Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. La seconda morte, non farà loro alcun male. Lodate e benedite il mio Signore, rendete grazie e servitelo con grande umiltà. O SEGNOR, PER CORTESIA ( JAPONE DE TODI ) DONNA DE PARADISO ( JACOPONE DE TODI ) 5 10 15 20 25 O Signor,per cortesia, manname la malsanìa! A mme la freve quartana, la contina e la terzana, la doppla cotidïana co la granne ydropesia. A mme venga mal de dente, mal de capo e mal de ventre; a lo stomaco dolur’ pognenti e ’n canna la squinanzia. Mal dell’occhi e doglia de flanco e la postema al canto manco; tiseco me ionga enn alto e d’onne tempo fernosìa. Aia ’l fecato rescaldato, la melza grossa e ’l ventr’enflato e llo polmone sia ’mplagato cun gran tòssa e parlasia. A mme venga le fistelle con migliaia de carvuncilli, e li granci se sian quelli che tutto replen ne sia. A mme venga la podraga (mal de cóglia sì me agrava), la bisinteria sia plaga e le morroite a mme sse dìa. O Signore,per favore, mandami la malattia [la lebbra]! A me la febbre quartana,la febbre continua e quella terzana,e quella volte in un giorno,insieme alla grave idropisia. Mi venga il mal di denti, il mal di testa e di ventre, mi vengano dolori pu stomaco e l'angina alla gola. [Mi venga] male agli occhi e dolore al fianco [mal di reni], l'ascesso al l cuore]; mi venga anche la tisi e la frenesia [il delirio]in ogni momento. Che io abbia il fegato infiammato,la milza ingrossata,il ventre gonfio; piagato da grande tosse e paralisi. Mi vengano le fistole con migliaia di pustole,e i cancri siano tali che io ripieno. Mi venga la podagra,il male ai testicoli aggravi il mio stato; mi sia piag mi vengano le emorroidi. Mi venga l'asma,e vi si aggiunga lo spasimo;mi venga la rabbia del ca cancrena in bocca.
  • 4. 30 35 40 45 50 55 60 65 A mme venga ’l mal de l’asmo, iongasecce quel del pasmo; como a can me venga el rasmo, entro ’n vocca la grancia. A mme lo morbo caduco de cadere enn acqua e ’n foco e ià mai non trovi loco, che eo afflitto non ce sia. A mme venga cechetate, mutezza e sordetate, la miseria e povertate e d’onne tempo entrapparìa. Tanto sia ’l fetor fetente che non sia null’om vivente, che non fuga da me dolente, posto en tanta enfermaria. En terrebele fossato, che Riguerci è nomenato, loco sia abandonato da onne bona compagnia. Gelo, grando e tempestate, fulgure,troni e oscuritate; e non sia nulla aversitate, che me non aia en sua bailìa. Le demonia enfernali sì mme sian dati a menestrali, che m’essèrcino en li mali, ch’e’ ho guadagnati a mea follia. Enfin del mondo a la finita sì mme duri questa vita e poi, a la scivirita, dura morte me sse dìa. Allegom’en sseppultura un ventr’i lupo en voratura e l’arliquie en cacatura en espineta e rogarìa. Li miracul’ po’ la morte, chi cce vene aia le scorte e le deversazioni forte con terrebel fantasia. Onn’om che m’ode mentovare sì sse deia stupefare Mi venga il mal caduco [l'epilessia]e mi faccia finire nell'acqua e nel fu trovare alcun luogo in cui non sia afflitto. Mi venga la cecità, possa io diventare muto e sordo;possa io essere m subire un continuo rattrappimento. Possa io emanare un tale fetore che nessun uomo vivente non fugga s colpito da una tale malattia. Che io sia abbandonato da ogni buona compagnia in quel terribile foss chiamato Riguerci [un affluente del Tevere, un tempo luogo noto per la [Mi colpiscano]gelo,grandine,tempeste,folgori,tuoni, oscurità,e non avverso che non mi abbia in suo potere. Che i demoni dell'inferno mi siano dati come infermieri,e che mi infligg che con i miei peccati mi sono meritato. Sino alla fine del mondo duri per me questa vita, e poi, quando il corpo corpo, mi venga data una morte crudele. Scelgo come mia sepoltura il ventre di un lupo che mi abbia divorato,e miei resti defecati da quello tra spineti e roveti. [Questi] i miei miracoli dopo la morte:chi viene dove sono i miei resti p scorta [di spiriti maligni]e dure persecuzioni con terribili pensieri. Ogni uomo che mi sente menzionare deve restare inorridito e farsi il se per evitare un brutto incontro per la strada. O mio Signore,tutti i tormenti che ho elencato non sono una vendetta e creasti per il tuo amore,io ti ho villanamente ucciso [con la crocifission
  • 5. 5 10 15 20 25 30 35 40 45 «Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è preso Iesù Cristo beato. Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ò flagellato». «Come essere porria, che non fece follia, Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?». «Madonna, ello è traduto, Iuda sì ll’à venduto; trenta denar’ n’à auto, fatto n’à gran mercato». «Soccurri, Madalena, ionta m’è adosso piena! Cristo figlio se mena, como è annunzïato». «Soccurre,donna, adiuta, cà ’l tuo figlio se sputa e la gente lo muta; òlo dato a Pilato». «O Pilato, non fare el figlio meo tormentare, ch’eo te pòzzo mustrare como a ttorto è accusato». «Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege, secondo la nostra lege contradice al senato». «Prego che mm’entennate, nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate de que avete pensato». «Traiàn for li latruni, che sian soi compagnuni; de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!». «O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi dà consiglio al cor me’ angustïato? Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi? Figlio, perché t’ascundi al petto o’ si lattato?». Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato. Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.» Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza,visto che non ha commesso peccato?» Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l'ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno». Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato». Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato». Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto». Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato». Maria: «Viprego di ascoltarmi,pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato». Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!». Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato? Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi 70 e co la croce sé segnare, che reo escuntro no i sia en via. Signor meo,non n’è vendetta tutta la pena ch’e’ aio ditta, ché me creasti en tua diletta et eo t’ho morto a villania.
  • 6. 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 «Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce, ove la vera luce déi essere levato». «O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci aponerai, che no n’à en sé peccato?». «Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato». «Se i tollit’el vestire, lassatelme vedere, com’en crudel firire tutto l’ò ensanguenato». «Donna, la man li è presa, ennella croc’è stesa; con un bollon l’ò fesa, tanto lo ’n cci ò ficcato. L’altra mano se prende, ennella croce se stende e lo dolor s’accende, ch’è plu multiplicato. Donna, li pè se prènno e clavellanse al lenno; onne iontur’aprenno, tutto l’ò sdenodato». «Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, chi me tt’à morto, figlio meo dilicato? Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto, ch’ennella croce è tratto, stace descilïato!». «O mamma,o’ n’èi venuta? Mortal me dà’ feruta, cà ’l tuo plagner me stuta, ch’el veio sì afferato». «Figlio, ch’eo m’aio anvito, figlio, pat’e mmarito! Figlio, chi tt’à firito? Figlio, chi tt’à spogliato?». «Mamma,perché te lagni? Voglio che tu remagni, che serve mei compagni, ch’êl mondo aio aquistato». «Figlio, questo non dire! Voglio teco morire, non me voglio partire fin che mo ’n m’esc’ el fiato. C’una aiàn sepultura, figlio de mamma scura, trovarse en afrantura rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?». Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato». Maria: «Croce,cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai,visto che non ha commessoalcun peccato?». Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato». Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemivedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite». Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l'hanno stesa su un braccio della croce; l'hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel'hanno conficcato. Gli prendono l'altra mano e la stendono sull'altro braccio della croce,e il dolore brucia, ancora più accresciuto. Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato». Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato? Avrebberofatto meglio a strapparmiil cuore, visto che è posto anch'esso in croce e sta lì straziato!». Cristo: «Mamma,dove sei venuta? Miinfliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide». Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?». Cristo: «Mamma,perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assistii miei compagni che ho acquistatonel mondo». Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.
  • 7. 105 110 115 120 125 130 135 mat’e figlio affocato!». «Mamma col core afflitto, entro ’n le man’ te metto de Ioanni, meo eletto; sia to figlio appellato. Ioanni, èsto mea mate: tollila en caritate, àginne pietate, cà ’l core si à furato». «Figlio, l’alma t’è ’scita, figlio de la smarrita, figlio de la sparita, figlio attossecato! Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio, figlio, e a ccui m’apiglio? Figlio, pur m’ài lassato! Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo, figlio, perché t’à el mondo, figlio, cusì sprezzato? Figlio dolc’e placente, figlio de la dolente, figlio àte la gente mala mente trattato. Ioanni, figlio novello, morto s’è ’l tuo fratello. Ora sento ’l coltello che fo profitizzato. Che moga figlio e mate d’una morte afferrate, trovarse abraccecate mat’e figlio impiccato!». Possiamo noi avere un'unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!». Cristo: «Mamma colcuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito. Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto». Maria: «Figlio, l'anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita,figlio della disperata, figlio avvelenato[ucciso]! Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mihai davveroabbandonata! Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato? Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo. Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato. Che la madre muoia insieme al figlio, afferratidalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!» POESIA DIDATTICO-RELIGIOSA DEL NORD: DE BABILONIA CIVITAE INFERNALI 90 95 Mai no fo veçù unca per nexun tempo logo né altra cosa cotanto puçolento, ké millo meia e plu da la longa se sento la puça e lo fetor ke d’entro quel poço enxo. Asai g’è làçó bisse, liguri, roschi e serpenti, vipere e basalischi e dragoni mordenti: a cui plui ke rasuri taia la lengue e li denti, e tuto ’l tempo manja e sempr’ è famolenti. Lì è li demonii cun li grandi bastoni, ke ge speça li ossi, le spalle e li galoni, li quali è cento tanto plu nigri de carboni, Non fu mai visto in nessun tempo un luogo o un'altra cosa altrettanto puzzolente, poiché da più di mille miglia di distanza si sente la puzza e il fetore che escono da quel pozzo. Laggiù vi sono molte bisce, ramarri, rospi e serpenti, vipere e basilischi e dragoni che mordono, la cui lingua e i cui denti tagliano più dei rasoi e mangiano tutto il tempo e sono sempre affamati. Lì ci sono i diavoli con grandi bastoni, che [ai dannati] spezzano le ossa, le spalle e i fianchi, ed essi sono cento
  • 8. 100 105 110 115 120 125 130 135 140 s’el no mento li diti de li sancti sermoni. Tant à orribel volto quella crudel compagna, k’el n’ave plu plaser per valle e per montagna esro scovai de spine da Roma enfin en Spagna enanço k’encontrarne un sol en la campagna: ch'i' çeta tutore, la sera e la doman, fora per la boca orribel fogo çamban, la testa igi à cornua e pelose le man, et urla como luvi e baia como can. Ma poi ke l’omo è lì e igi l’à en soa cura, en un’aqua lo meto k’è de sì gran fredura ke un dì ge par un anno, segundo la scriptura, enanço k’eli el meta en logo de calura. E quand ell’ è al caldo, al fredo el voravo esro, tanto ge pare ’l dur, fer, forto et agresto, dond el non è mai livro per nexun tempo adesso de planto e de grameça e de gran pena apresso. Staganto en quel tormento, sovra ge ven un cogo, ço è Balçabù, de li peçor del logo, ke lo meto a rostir, com’un bel porco, al fogo, en un gran spe’ de fer per farlo tosto cosro. E po’ prendo aqua e sal e caluçen e vin e fel e fort aseo e tosego e venin e sì ne faso un solso ke tant e bon e fin ca ognunca cristïan sì ’n guardo el Re divin. A lo re de l’inferno per gran don lo trameto, et el lo guarda dentro e molto cria al messo: "E’ no ge ne daria" ço diso "un figo seco, ké la carno è crua e ’l sango è bel e fresco. Mo tornagel endreo vïaçament e tosto, e dige a quel fel cogo k’el no me par ben coto, e k’el lo debia metro col cavo en çó stravolto entro quel fogo ch’ardo sempro mai çorno e noito. E stretament ancor dige da la mia parto k’el no me’l mando plui, mo sempro lì lo lasso, né no sia negligento né pegro en questo fato, k’el sì è ben degno d’aver quel mal et altro". De ço k’el g’e mandà no ge desplase ’l miga, mai en un fogo lo meto, ch’ardo de sì fer’ guisa ke quanta çent è al mondo ke soto lo cel viva, no ne poria amorçar pur sol una faliva. volte più neri del carbone, se non mentono i detti dei santi sermoni. Quella crudele compagnia ha un volto così orribile, che è più piacevole per valli e montagne essere frustati con spine da Roma fino alla Spagna, piuttosto di incontrarne uno solo nella campagna: perché essi gettano sempre, sera e mattina, fuori dalla bocca un orribile fuoco diabolico, e hanno la testa cornuta e le mani pelose, e urlano come lupi e abbaiano come cani. Ma non appena l'uomo è lì ed essi ce l'hanno in cura, lo mettono dentro un'acqua che è così fredda che un giorno gli sembra un anno, secondo la Sacra Scrittura, prima che lo mettano in un luogo caldo. E quando il dannato è al caldo, vorrebbe essere al freddo, tanto gli pare duro, fiero, difficile a sopportare, per cui egli non è mai libero in nessun tempo dal pianto e dalla sventura e da grandi pene. Mentre il dannato è in quel tormento, viene sopra di lui un cuoco, cioè Belzebù, uno dei peggiori del luogo, che lo mette ad arrostire sul fuoco come un bel porco, in un grande spiedo di ferro per farlo cuocere in fretta. E poi prende acqua e sale e fuliggine e vino e fiele e aceto forte, e tossico e veleno, e ne fa una salsa che è tanto buona e squisita che il Re divino ne preservi ogni cristiano. Lo trasmettono al re dell'Inferno come gran dono, e quello lo guarda dentro e grida forte al messo: "Non darei - dice- un fico secco per questo, perché la carne è cruda e il sangue è ancora fresco. Ma riportatelo indietro subito e presto, e dite a quel fellone di cuoco che non mi sembra ben cotto, e lo deve mettere col capo rivolto in giù dentro quel fuoco che arde sempre giorno e notte. E ditegli ancora precisamente da parte mia che non me lo mandi più, ma lo lasci sempre lì, e non sia negligente o pigro nel far questo, perché il dannato è ben degno di avere quel male e molto altro". Ciò che gli è comandato non gli dispiace affatto, anzi lo mette in un fuoco che arde in modo tale che tutta la gente
  • 9. LA SCUOLA SICILIANA : SOLLICITANDO UN POCO MEO SAVERE ( IACOPO MOSTACCI) Solicitando un poco meo savere e con lui mi vogliendo diletare, un dubio che mi misi ad avere, a voi lo mando per determinare. 5 On’omo dice c’amor à potere e gli coraggi distringe ad amare, ma eo no [li] lo voglio consentire, però c’amore no parse ni pare. Ben trova l’om una amorositate 10 la quale par che nasca di piacere, e zo vol dire om che sia amore. Eo no li saccio altra qualitate, ma zo che è, da voi [lo] voglio audire, però ven faccio sentenz[ï]atore. PARAFRASI Stimolando un poco il mio pensiero e volendomi divertire con lui, mi è sorto un dubbio che vi sottopongo perché lo sciogliate. In genere si dice che l’amore è potente e costringe i cuori ad amare, ma questo io non lo condivido, perché l’amore non si è mai veduto, e non si vede. Si trova, è vero, una disposizione ad amare, che sembra nascere dal piacere, e la si vuol definire amore. Ma io non le riconosco nessun’altra qualità, e vorrei sentire da voi di che cosa si tratti: perciò vi chiedo di fare da giudice. AMORE E’ UN(O) DESIO (GIACOMO DA LENTINI) 4 8 11 Amore è unodesi[o]che ven da’ core per abondanza di gran piacimento; e li occhi in prima genera[n] l’amore e lo core li dà nutricamento. Ben è alcuna fiata om amatore senza vedere so’namoramento, ma quell’amor che stringe con furore da la vista de li occhi ha nas[ci]mento: ché li occhi rapresenta[n]a lo core d’onni cosa che vedenbonoe rio com’è formata natural[e]mente; e lo cor, che di zo è concepitore, che vive nel mondo sotto il cielo non ne potrebbe smorzare una sola favilla.
  • 10. 14 imagina, e [li] piace quel desio: e questo amore regna fra la gente. PARAFRASI L'amore è un desiderio che proviene dal cuore per abbondanza di grande bellezza; e gli occhi in primo luogo generano l'amore, mentre il cuore gli dà nutrimento [lo alimenta]. Può accadere talvolta che uno si innamori senza vedere l'oggetto del proprio sentimento, ma quell'amore che stringe con forza è quello che nasce dalla vista degli occhi: infatti gli occhi raffigurano al cuore la bontà e la cattiveria di ogni cosa che vedono, come essa è formata in modo naturale; e il cuore, che concepisce questo, immagina, e quel desiderio gli piace: e questo amore è quello che regna fra la gente. CIELO D’ALCAMO ROSA FRESCA AULENTISSIMA Rosa fresca aulentissima è un contrasto composto da 32 strofe nel quale Cielo d’Alcamo mette in scena il dialogo tra un giullare e una fanciulla. Nel corso del dialogo il giullare avanza richieste d’amore e la fanciulla ribatte con rifiuti, dapprima risoluti, poi via via meno convinti, fino alla resa finale. Il testo è costruitoin forma radicalmente “contrastiva”, vale a dire come un serrato“botta e risposta”nel quale c’è una perfetta corrispondenza tra strofe e battute dei personaggi e una perfetta alternanza tra le voci dei due protagonisti.Il componimento nasce come parodia delle situazioni, delle immagini e del linguaggio della poesia illustre di scuola siciliana e provenzale. L’intento parodisticoviene perseguitodall’autore per mezzo della commistione di registri linguisticie letteraridiversi, vale a dire mescolandogli stilemi della lirica aulica (e il volgare siciliano illustre, riccodi francesismi), con le forme marcatamente dialettali del registrobasso. Attraverso la lingua “mista”dei protagonisti l’autore caratterizza in maniera comica la situazione, che viene a presentarsi al lettore come il maldestrotentativo di due zotici di imitare i modelli di seduzione cortesi, tipici degli ambienti aristocratici. GIULLARE: «Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state, le donne ti disiano, pulzell’ e maritate: tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate; << Oh fresca rosa profumatissima che appari all’arrivo dell’estate, le donne ti desiderano, sia le fanciulle che le donne sposate, tirami via da questi fuochi, se ne hai la volontà (se t’este a bolontate: lett. se la cosa ti sta a volontà). per te non ajo abento notte e dia, penzando pur di voi, madonna mia». A causa tua non ho pace (abento: requie, pace, riposo) né di notte che di giorno, pensando sempre a voi, mia amata! >> FANCIULLA:
  • 11. «Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare. Lo mar potresti arompere, a venti asemenare, l’abere d’esto secolo tutto quanto asembrare: << Se ti tormenti a causa mia, è la follia che te lo fa fare, potresti arare il mare, seminare ai venti, radunare tutta la ricchezza di questo mondo: avere me non pòteri a esto monno; avanti li cavelli m’aritonno». eppure non mi potresti avere in questa vita, piuttosto mi rado i capelli >> GIULLARE: «Se li cavelli artónniti, avanti foss’io morto, ca’n issi sí mi pèrdera lo solaccio e ’l diporto. Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto, << Se ti tagli i capelli, che io possa morire prima, perché insieme a loro mi perderei il diletto e la gioia, quando passo di qui e ti vedo, fresca rosa di giardino, bono conforto dónimi tuttore: poniamo che s’ajúnga il nostro amore». mi procuri sempre una piacevole gioia, decidiamo che ad essa si aggiunga il nostro amore >>. FANCIULLA: «Che ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti: se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti, guarda non t’arigolgano questi forti correnti. << Che vi si aggiunga il nostro amore nonvoglio che mi piaccia, se ti trova qui mio padre con gli altri miei familiari, bada bene che questi rapidi corridori non ti acchiappino! Pubblicità Como ti seppe bona la venuta, consiglio che ti guardi a la partuta». Visto che sei stato fortunato al tuo arrivo, ti consiglio di star attento alla partenza! >> GIULLARE: «Se i tuoi parenti trovanmi, e che mi pozzon fare? Una difensa mèttonci di dumili’ agostari: non mi toccara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari. << Sei i tuoi familiari mi trovano, e che mi possono fare? Ci metto una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per tutto l’oro che è contenuto in Bari!
  • 12. Viva lo ‘mperadore, grazi’ a Deo! Intendi, bella, quel che ti dico eo?» Viva l’imperatore e grazie a Dio! Capisci, bella, quello che sto dicendo? >> FANCIULLA: «Tu me no lasci vivere né sera né maitino. Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino. Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino, << Tu non mi lasci vivere né di sera né di mattina,sono una donna che possiede bisanti d’oro e oro massamutino, se tu mi donassi tanto oro quanto ne ha Saladino, e per ajunta quant’ha lo soldano, toccare me non pòteri a la mano». e in aggiunta quanto ne ha il Sultano, non mi potresti toccare nemmeno sulla mano. >> GIULLARE: «Molte sono le femine c’hanno dura la testa, e l’omo con parabole l’adímina e amonesta: tanto intorno procazzala fin che·ll’ha in sua podesta. << Sono molte le donne che hanno la testadura e l’uomocon le parole le domina e le persuade: la incalza tanto tutt’intorno finché non l’ha in suo potere. Femina d’omo non si può tenere: guàrdati, bella, pur de ripentere». Una donna non può fare a meno di un uomo, bada, bella, di non dovertene pentire. >> FANCIULLA: «K’eo ne pur ripentésseme? davanti foss’io aucisa ca nulla bona femina per me fosse ripresa! Aersera passàstici, correnno a la distesa. << Che io me ne penta? Piuttosto io venga uccisa!Che nessuna donna onesta sia rimproverata a causa mia! Tempo fa sei passato di qui correndo a tutto spiano: Pubblicità Aquístati riposa, canzonieri: le tue parole a me non piaccion gueri». prenditi un po’ di riposo, cantastorie, le tue parole a me non piacciono affatto! >> GIULLARE:
  • 13. «Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core, e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore! Femina d’esto secolo tanto non amai ancore << Quanti sono i dolori che mi hai messonel cuore, anche solopensandocidurante il giorno, quandoesco!Non ho mai amato una donna di questo mondo quant’amo teve, rosa invidïata: ben credo che mi fosti distinata». quanto amo te, rosa desiderata: ho ragione di credere che tu sia stata destinata a me. >> FANCIULLA: «Se distinata fósseti, caderia de l’altezze, ché male messe fòrano in teve mie bellezze. Se tutto adiveníssemi, tagliàrami le trezze, << Se ti fossi stata destinata farei una bella caduta, perché sarebbe sprecata con te la mia bellezza, se mi accadesse tutto ciò, mi taglierei le trecce, e consore m’arenno a una magione, avanti che m’artocchi ’n la persone». e mi faccio suora in un convento, prima che tu possa toccare la mia persona! >> GIULLARE: «Se tu consore arènneti, donna col viso cleri, a lo mostero vènoci e rènnomi confleri: per tanta prova vencerti fàralo volontieri. << Se tu ti fai suora, oh donna col viso luminoso, io vengoa quel monastero e mi faccio frate, per vincerti con una simile prova (d’amore) lo farei volentieri. Conteco stao la sera e lo maitino: Besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino». Starei con te mattina e sera, è necessario che io ti tenga sotto la mia egemonia >> FANCIULLA: «Boimè tapina misera, com’ao reo distinato! Geso Cristo l’altissimo del tutto m’è airato: concepístimi a abàttare in omo blestiemato. << Ohimé, sventurata e infelice, che brutta sorte ho avuto!GesùCristol’altissimo è completamente adirato con me! Mi hai concepita perché mi imbattessi in un uomo blasfemo!
  • 14. Cerca la terra ch’este granne assai, chiú bella donna di me troverai». Percorri la terra, che è assai grande e troverai una donna più bella di me. >> GIULLARE: «Cercat’ajo Calabrïa, Toscana e Lombardia, Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria, Lamagna e Babilonïa e tutta Barberia: << Ho frugato la Calabria, la Toscana, e la Lombardia, la Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e la Siria, la Germania e Babilonia e tutta l’Africa Berbera, donna non ci trovai tanto cortese, per che sovrana di meve te prese». e non vi ho trovato una donna tanto cortese, per cui ho scelto te come mia sovrana. >> FANCIULLA: «Poi tanto trabagliàstiti, faccioti meo pregheri che tu vadi adomànnimi a mia mare e a mon peri. Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri, << Dal momentoche ti sei tanto affaticato, ti faccio una richiesta, che tu mi vada a chiedere in sposa a mia madre e a mio padre. Se ti fanno l’onore di concedermi a te, portami al monastero e sposami davanti da la jente; e poi farò le tuo comannamente». e sposami davanti alla gente, e poi eseguirò le tue volontà >> GIULLARE: «Di ciò che dici, vítama, neiente non ti bale, ca de le tuo parabole fatto n’ho ponti e scale. Penne penzasti mettere, sonti cadute l’ale; <<Le cose che tu dici, oh mia vita, non ti aiuterannoin alcun modo, perché io di parole come le tue ne ho sentite tante, pensavi di tirar fuori il piumaggio e invece sei rimasta senza neppure le ali! e dato t’ajo la bolta sottana. Dunque, se poti, tèniti villana». Ed io ti ho dato il colpo di grazia, perciò, finché ti è possibile, continua a comportarti da donna rustica!>>
  • 15. PERO’ C’AMOR NON SI PUO’ VEDERE (PIER DELLA VIGNA) PERO' CH'AMORE NO SI PO' VEDERE... Però ch'amore no si pò vedere e no si tratta corporalmente, manti[5] ne son di sì folle sapere che credono ch'amore sïa nïente. 4 Ma po' ch'amore si face sentire dentro al cor signoreggiare[6] la gente, molto maggiore presio[7] de[ve] avere che se 'l vedessen visibilmente. 8 Per la vertute de la calamita come lo ferro at[i]ra no si vede, ma si lo tira signorevolmente; 11 e questa cosa a credere mi 'nvita ch'amore sia[8]; e dami grande fede che tuttor sia creduto[9] fra la gente. 14 VISTO CHE L'AMORE NON SI PUÒ VEDERE Visto che l'amore non si può vedere e non si tocca come un corpo, molti son di così folle idea che credono che l'amore sia niente. Ma non appena l'amore si fa sentire comandare gli uomini dentro il cuore, molto più pregio deve avere che lo si vedesse di persona. Proprio come la forza della calamita non si vede come attiri il ferro eppure lo attira con forza irresistibile; e questo fatto mi spinge a credere che l'amore esista; e mi dà grande certezza che sempre la gente a lui obbedisca. MERAVIGLIOSAMENTE ( IACOPO DA LENTINI ) Meravigliosa-mente un amor mi distringe, e mi tene ad ogn’ora. Com’om, che pone mente 5 in altro exemplo pinge la simile pintura, così, bella, facc’eo, che ’nfra lo core meo porto la tua figura. 10 In cor par ch’eo vi porti, pinta come parete, e non pare difore. O Deo, co’ mi par forte non so se lo sapete, 15 con’ v’amo di bon core; ch’eo son sì vergognoso
  • 16. ca pur vi guardo ascoso, e non vi mostro amore. Avendo gran disio, 20 dipinsi una pintura, bella, voi simigliante, e quando voi non vio guardo ’n quella figura, e par ch’eo v’aggia davante; 25 come quello che crede salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante. Al cor m’arde una doglia, com’ om che ten lo foco 30 a lo suo seno ascoso, e quanto più lo ’nvoglia, allora arde più loco, non pò star incluso: similemente eo ardo, 35 quando pass’e non guardo a voi, vis’ amoroso. S’eo guardo, quando passo, inver’ voi no mi giro, bella, per risguardare; 40 andando, ad ogni passo getto un gran sospiro ca facemi ancosciare; e certo bene ancoscio, c’a pena mi conoscio, 45 tanto bella mi pare. Assai v’aggio laudato, madonna, in tutte parti, di bellezze c’avete. Non so se v’è contato 50 ch’eo lo faccia per arti, che voi pur v’ascondete: sacciatelo per singa zo ch’eo no dico a linga, quando voi mi vedite. 55 Canzonetta novella, va’ canta nuova cosa; lèvati da maitino davanti a la più bella, fiore d’ogn’amorosa, 60 bionda più c’auro fino: “Lo vostro amor, ch’è caro, donatelo al Notaro ch’è nato da Lentino”. PARAFRASI Un amore mi avvince in modo straordinario e mi possiede in ogni momento. Come chi osserva attentamente un modello ne dipinge la copia esatta, così, bella, faccio io, che nel mio cuore porto la tua immagine. Sembra che io vi porti nel cuore, ritratta proprio come voi siete, e all’esterno non traspare (nulla). Oh Dio, quanto mi sembri crudele non so se lo sappiate, come io vi ami con tutto il cuore; perché io ho tanto ritegno che vi guardo soltato di nascosto, e non vi manifesto il mio amore. Per questo grande desiderio ho dipinto un ritratto, bello, somigliante a voi, e quando non vi vedo guardo in quell’immagine, e mi sembra che io vi abbia davanti a me: come chi crede di salvarsi grazie alla propria fede, benché non veda dinanzi a sé (ciò in cui crede). Nel cuore mi brucia un
  • 17. dolore, come a uno che abbia un fuoco nascosto nel proprio seno, e quanto più lo nasconde, tanto più esso vi arde, non potendo restare rinchiuso: allo stesso modo io brucio, quando passo e non vi guardo, viso amoroso. Se guardo, quando passo, non mi volto verso di voi, bella, per guardare di nuovo. Mentre vado, a ogni passo emetto un gran sospiro, che mi fa singhiozzare; e certamente mi affanno molto, tanto che a stento mi riconosco, tanto bella mi appari. Vi ho molto lodata, madonna, dovunque, per le bellezze che avete. Non so se vi abbiano raccontato che io lo faccia ad arte, dato che voi continuate a nascondervi: apprendetelo attraverso segni esteriori, quello che non vi dico a voce, quando mi vedete. Canzonetta appena nata, va’ a cantare una cosa straordinaria; alzati di buon mattino, davanti alla più bella, fiore di ogni innamorata, più bella dell’oro puro: “Il vostro amore, che è prezioso, concedetelo al Notaio, che è nato a Lentini”.