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“Un giorno vennero a prendere gli zingari e mi fece piacere
perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e non dissi nulla
perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato
perché mi erano fastidiosi.
Vennero a prendere anche i comunisti ed io non dissi nulla
perché non ero comunista.
Alla fine vennero a prendere me e non c’era
rimasto più nessuno a protestare”.
Berthold Brecht
Dopo le prime strofe avrei voluto aggiungerne una mia , prima della conclusione:
“Vennero a prendere pure i disabili ed io non dissi nulla, perché ero sano”
Ho paura “che vengano a prendere anche me”, perché in una società in
cui c’è meno posto per le categorie marginali e deboli «alla fine» c’è
meno posto anche per chi si sente sicuro della sua italianità, della sua
cultura, della sua religione e della sua normalità.
“Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro celeste”, non
significa fare l’elemosina e dare qualcosa a qualcuno per levarsi
d’impiccio e acquietarsi la coscienza, ma significa avere il cuore nei
miseri, com-patire le loro miserie, con-dividere con i miseri ciò che
abbiamo. Siamo chiamati ad alimentare in senso valoriale una cultura di
attenzione agli emarginati e a realizzare istituzioni, leggi e servizi in grado
di tutelare le persone che in senso strettamente economico, ideologico e
politico sono un peso, in sintesi, a rendere più umana e vivibile la nostra
città.
DUE CASI SIGNIFICATIVI
Il 28 maggio 2010 sul Corriere del Veneto è stata pubblicata una notizia che ha
sollevato attenzione a livello internazionale: ‘la Regione Veneto si prepara ad
escludere i disabili intellettivi dalle liste per il trapianto degli organi (Delibera di
giunta n. 851 del 31 marzo 2009)'.
Passando in rassegna la Costituzione Italiana (art. 3 e art. 32), la Convenzione sui
diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite, ratificata dal Parlamento
italiano nel marzo 2009, le linee guida delle società nazionali e internazionali di
trapianti d'organo e le pubblicazioni scientifiche sui risultati dei trapianti in
persone con disabilità intellettiva, il gruppo del Dr. Panocchia afferma che non
esiste un razionale per escludere dal trapianto le persone con disabilità
intellettiva.
Puntualmente l’assessore Luca Coletto ha replicato dicendo che “un sistema di
trapianti all’avanguardia come il nostro (Veneto) ha il dovere, e lo fa, di porsi tutti
i problemi che possano portare al fallimento o alla cattiva riuscita di un trapianto
anche perché, come tutti sanno, nessuno al mondo dispone di tanti organi quanti
sono i richiedenti”.
DUE CASI SIGNIFICATIVI
Tutti sappiamo che le risorse sanitarie sono limitate e potremmo un
giorno trovarci in molti a concorrere per usufruire di un trapianto o di
una terapia intensiva disponibili per pochi.
Ci sentiamo più tutelati se pensiamo che sarà un medico, “in scienza e
coscienza”, ad operare una scelta dettata dalla necessità del momento,
piuttosto che un legislatore “di parte” a imporre criteri discriminatori di
natura socio-economica, forse addirittura informati da ideologie
eugenetiche o da malcelato razzismo.
DUE CASI SIGNIFICATIVI
• L’infanticidio è un diritto delle donne, lo sostengono Albero Giubilini e Francesca
Minerva, due bioeticisti italiani che lavorano come ricercatori in Australia, sul
Journal of Medical Ethics del 23 febbraio 2012, in un articolo dal titolo
eloquente: “L’aborto dopo la nascita: perché il bambino dovrebbe vivere?
• Si legge nell’abstract che precede l’articolo: “L'aborto è largamente accettato per
ragioni che non hanno nulla a che fare con la salute del feto. Dimostrando che, al
pari del feto, il neonato non ha lo status morale di una reale persona umana, gli
autori sostengono che l'aborto dopo la nascita (cioe' l'infanticidio) dovrebbe
essere permesso in tutti i casi in cui e' permesso l'aborto, inclusi i casi in cui il
neonato non e' portatore di disabilità. Noi affermiamo - scrivono chiaro e tondo i
due autori - che l'uccisione di un neonato potrebbe essere eticamente
ammissibile in tutte le circostanze in cui lo è l'aborto. Tali circostanze includono i
casi in cui il neonato ha il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile,
ma il benessere della famiglia è a rischio”.
DUE CASI SIGNIFICATIVI
• Se è legittimo per le leggi uccidere un feto di tre mesi, non si vede perché lo Stato
non debba permettere di fare lo stesso con un neonato handicappato, oppure
con un neonato normodotato, ma che risulta essere un peso
economico/sociale/psicologico insopportabile per la sua famiglia.
• Quanto tempo dopo la nascita è "eticamente lecito" uccidere i bambini?
Giubilini e Minerva lasciano questa domanda a neurologi e psicologi, ma
suggeriscono di non porsi limiti di tempo troppo vincolanti, visto che talvolta per
diagnosticare la disabilità di un bambino possono sono essere necessari diversi
mesi. Se proprio si vuol adottare un discrimine per porre un limite all’infanticidio
propongono quanto segue: «ci vogliono almeno un paio di settimane perché il
bambino diventi auto-cosciente. A quel punto da persona potenziale diventa una
persona in senso pieno, e l'infanticidio potrebbe non essere più consentito».
DUE CASI SIGNIFICATIVI
• Sotto il profilo etico la mancata consapevolezza che ha un neonato è confrontabile con
quella di una persona malata o anziana non in grado di comprendere, riconoscere e
autogestirsi. Operando in modo estensivo, come hanno fatto i due ricercatori, allora
potremmo eliminare tutti i disabili gravi, i malati di Alzheimer in stato avanzato, etc.
• Si deve riflettere sul fatto che con tali disumane teorie bioetiche, ispirata al noto bioeticista
australiano Peter Singer, siamo retrocessi a un costume in auge nel mondo precristiano
quando i bambini affetti da disabilità venivano gettati dalla rupe Tarpea di Roma o
abbandonati sul monte Taigeto a Sparta, con l’aggravante che oggi si teorizza la stessa fine
per ragioni anche di carattere economico, psicologico e sociale.
• Siamo ormai di fronte alla fine di un universo di idee che potevano riconoscersi nella
tradizione umana e civile di ispirazione ebraico-cristiana che era arrivata fino alle grandi
Carte internazionali del dopoguerra : la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”
dell’ONU e la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Nel ricordo scottante
dell’olocausto di Hitler e della selezione genetica attuata dal dottor Josef Mengele, veniva
riaffermato il valore assoluto del diritto alla vita , primo e fonte di tutti i diritti.
Oggi, nella stagione del relativismo e dell’individualismo, la vita non appare più un
valore assoluto e la si qualifica con l’aggettivo “degna” che la relativizza. Nella visione
del positivismo efficientistico e dell’utilitarismo, la vita “degna” deve avere i
connotati della “perfezione” psico-fisica e dell’utilità socio-economica, senza le quali
non meriterebbe la pena di nascere né di continuare a vivere.
I bioeticisti divisi in due fronti contrapposti:
• Coloro che ritengono di dover attribuire lo “status di persona”, con tutti i diritti
che ne conseguono, a tutti gli appartenenti alla specie umana
indipendentemente da ogni tipo di discrimine (di salute, di nascita , di abilità, di
etnia, di condizioni economiche, di religione, di qualità morale, ecc.) e questi
parlano sempre di “dignità di ogni persona umana”.
• Quelli che ritengono opportuno limitare lo “status di persona” solo agli individui
della specie umana che soddisfano alcuni criteri quali l’autocoscienza, la
capacità di provare dolore, le condizioni di salute e di vita, il peso economico o
emotivo per le altre persone, ecc. motivando che solo soddisfacendo detti
criteri potrebbero condurre “una vita degna di essere vissuta”.
• Certo dire che ogni appartenente alla specie umana ha lo status di persona è un
assunto logico non dimostrabile, è una convenzione raggiunta dal genere umano
dopo millenni di esperienza e di riflessione, sostenuto da molte delle grandi
riflessioni filosofiche e religiose dell’occidente e dell’oriente, ma anche limitare lo
status di persona solo a chi ha “una vita degna di essere vissuta” è parimenti un
assunto logico indimostrabile, perfino “interessato”.
• E’ chiaro per tutti che introducendo un discrimine qualsiasi nell’attribuzione
dello status di persona si autorizza l’introduzione di qualsiasi altro discrimine
che sia coerente con le convinzioni più disparate e con gli interessi politici ed
economici più diversi.
• La vita sempre, e tanto più in presenza della disabilità e dell’emarginazione, è
un impegno serio e difficile che esige la forza e la solidarietà di tutti anche nella
consapevolezza della fragilità che accompagna l’esistenza di ognuno.
Madre Teresa di Calcutta ha scritto: “La vita è tristezza, superala. La vita è gioia,
condividila. La vita è una lotta, accettala. La vita è un’avventura, rischiala. La
vita è la vita, difendila”.
TERMINOLOGIA
La classificazione internazionale dell’OMS delle menomazioni, disabilità handicap
(ICDH: International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap) nel
1980 distingue i termini come segue:
• Menomazione = danno funzionale di un apparato corporeo o di una funzione
psicologica o fisiologica (Impairment: compromissione o lesione), es. paralisi degli
arti inferiori.
• Disabilità = perdita di capacità considerate normali per un essere umano,
conseguenti alla menomazione (Disability: riduzione parziale o totale della
capacità di compiere un’azione), es. incapacità di deambulazione autonoma.
• Handicap = svantaggi esistenziali conseguenti (Handicap: riduzione della capacità
di svolgere un ruolo a seguito della menomazione e della disabilità conseguente);
es. inabilità a muoversi in maniera autonoma nel proprio ambiente di vita.
• Nel 2001 l’OMS pubblica un secondo documento intitolato International Classification of
Functioning, Disability and Health (ICF [ICIDH-2]), indicativo di un cambiamento sostanziale:
nella classificazione e nella terminologia non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o
funzionale, senza prima rapportarlo in chiave positiva allo stato di «salute» e al
«funzionamento» della persona. L’OMS fornisce un’ampia analisi dello stato di salute degli
individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di
disabilità intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
• Il documento sulla Riabilitazione del Comitato Nazionale per la Bioetica del 17 marzo 2007
esorta ad usare una terminologia che non identifichi il soggetto con la malattia di cui
soffre o con la propria carenza di abilità e suggerisce di anteporre ad ogni etichetta più o
meno patologica il termine “persona”. Qualsiasi termine che identifichi uno stato di
incapacità o una patologia è soggetto ad usura e a continua riformulazione, ma, al di là di
ogni etichetta, il termine “Persona” e la dignità valoriale che comporta resterà sempre
immutato
• Il termine Minorato indica una categoria giuridica di soggetti che, equiparati ai minori,
necessitano di tutela legale.
• Il termina Handicappato proviene dall’ippica agonistica ed indica un cavallo
particolarmente dotato che corre in gare di categoria inferiore e viene tenuto fermo
alla partenza, mediante la mano (hand) che impugna la briglia per un dato tempo, in
modo che lo svantaggio accumulato lo equipari alle prestazioni dei cavalli meno dotati.
Il termine è stato assunto nella legislazione italiana (Legge quadro 104/92) e indica i
soggetti che possono godere di una serie di diritti/facilitazioni economiche, fiscali,
scolastiche, lavorative, ecc. per ridurre il loro svantaggio esistenziale.
• Il termine Invalido è un epiteto che qualifica unicamente l’inabilità al lavoro e il diritto
alla pensione della Previdenza sociale
• La legislazione sanitaria della Regione Toscana autorizza le strutture assistenziali e
riabilitative ad accogliere i Disabili fisici, psichici e sensoriali.
• In ambito neuropsichiatrico si parla di:
Disabilità sensoriale (cecità, sordità); Disabilità motoria : paralisi (tetraplegia,
paraplegia, emiplegia), distrofie muscolari; Disabilità neuropsichica : ritardi del
neurosviluppo, deficit intellettivi, insufficienze mentali, autismo infantile precoce,
sindromi cromosomiche e genetiche, ecc.
• Il termine Disabile intellettivo è una specificazione scientifica della generica terminologia
sanitaria, indicante una categoria di persone molto numerosa (2-4 %della popolazione
italiana) che manifestano entro i primi anni di vita un deficit cognitivo e dello sviluppo ,
dovuto a trauma prenatale, perinatale o postnatale, oppure a danni tossicologici, oppure ad
anomalie cromosomiche e genetiche o a deprivazione culturale. Si caratterizza per un
Quoziente intellettivo inferiore a 70 e per difficoltà nel funzionamento adattivo. La disabilità
intellettiva è una categoria meta-sindromica. Spesso la disabilità intellettiva è associata a
patologie fisiche, psichiche e sensoriali. Il termine disabilità intellettiva è un conio recente
che sta ugualmente per essere superato, oggi si comincia a parlare di Disturbo dello
sviluppo intellettivo (gruppo di lavoro per la nuova classificazione ICD-11; DSM V).
• Questa categoria di persone nell’ottocento venivano chiamati in senso popolare e
stigmatizzante Deficienti, Stupidi, Scemi, all’inizio del 900 si cominciò ad utilizzare un
termine di carattere più medico: Dementi alalici (deficit mentale e difficoltà di
comunicazione e linguaggio). A metà novecento il termine elettivo in senso medico divenne
Frenastenici (deboli di mente), e nel dopoguerra si cominciò ad usare il termine Oligofrenici
(con poche risorse mentali).
• Infine dal 1990 in poi si cominciò a parlare di Ritardo mentale, termine poi superato perché
estende la diagnosi di ritardo nella funzione mentale logico-deduttiva, rilevato con la
misurazione del Quoziente Intellettivo (Q.I.), a tutte le altre funzioni dell’intelligenza
(emotiva, affettiva, estetica, relazionale, ecc.) che invece potrebbero essere, e spesso lo
sono, integralmente possedute.
• Oggi nel mondo delle associazioni dei familiari e di categoria, si usa più
diffusamente il termine Diversamente abile, ma da molti viene considerato un
termine “pietistico”, ipocrita e comunque discriminante, come dire
“diversamente giovane” per i vecchi o “diversamente intelligente” per i dementi.
• Il termine Psicotico, o più correttamente di “Persona affetta da psicosi”, indica
un soggetto affetto da malattia cronica della psiche (in generale include sintomi
quali delirio e allucinazioni, come anche eloquio e comportamento disorganizzati,
e gravi distorsioni della realtà: Schizofrenia, Disturbo delirante, Disturbo
schizofreniforme, Disturbo schizoaffettivo, Disturbo psicotico breve, ecc.) senza
compromissione dell’intelligenza, in antichità venivano bollati come “folli”,
“matti”, “pazzi” e relegati nei manicomi.
• La Demenza è un’affezione che si riscontra in persone con deficit cognitivo
tardivo e degenerativo ( es. Alzheimer e demenze senili).
• Si parla di Deficit cognitivo post traumatico conseguente a lesioni neurologiche
dovute a trauma (es. cadute, incidenti stradali, ecc.), a danni neurologici da
encefalite, da malattie cerebrovascolari, ecc.
Il tema della povertà/disabilità e quello dell’intervento assistenziale
attraversano l’intera storia dell’umanità.
NEL MEDIOEVO
• Non esisteva alcun intervento organizzato delle autorità locali. Chi
prestava assistenza erano le numerose istituzioni di beneficenza gestite
prevalentemente dalla Chiesa (es. Le Misericordie, Gli Spedali dei
Monasteri [es. Bigallo], ecc.).
• Il disabile e il bisognoso venivano visti come rappresentanti di Cristo:
sopravvivevano grazie alla carità senza però essere segregati,
Indubbiamente erano marginali, ma non esclusi.
• Con il XIV sec. si delinea un peggioramento delle condizioni sociali e
sanitarie anche causa aumento demografico e di diffuse pandemie (peste
nera). Attorno al 1350 si assumono le prime misure “contro” i bisognosi.
Si delinea la distinzioni fra bisognosi “buoni e “cattivi”.
DAGLI ULTIMI ANNI DEL 1400 AGLI INIZI DEL 1700
• Ulteriore aumento della popolazione e progressiva eliminazione regime
agrario
• Inizia il processo di industrializzazione ed un crescente impoverimento
delle masse che suscita timore nei gruppi borghesi e nobiliari.
Conseguenza: proliferano ordinanze e provvedimenti legislativi con
funzioni di controllo sociale. Cambiano quindi le immagine del povero e
del disabile.
• La seconda metà del 500, sulla scia dei provvedimenti legislativi, è
caratterizzata dal «grande internamento dei poveri e degli alienati
mentali» per rispondere alla esigenza di “igiene e controllo sociale”.
• La Riforma protestante e la colpevolizzazione del bisognoso (calvinismo).
• La Poor Law (1601) voluta da Elisabetta 1°è la legge più importante che
attribuisce ad ogni comunità locale la responsabilità per l’assistenza ai
poveri e dei disabili non autosufficienti
XVIII secolo
• Periodo di svolta grazie all’Illuminismo, movimento di idee che fa perno
sui valori della ragione, contro l’ignoranza, i pregiudizi, l’intolleranza.
Queste idee portano a sostenere il DIRITTO del cittadino inabile e
indigente a ricevere cure e assistenza anche gratuite dallo Stato.
• Si manifesta uno spirito nuovo che trova fondamento nelle opere di
Rousseau sull’origine storica e non naturale della disuguaglianza fra gli
uomini.
• Idee che verranno riprese con la rivoluzione americana ma soprattutto
con quella francese quando si riconobbero i diritti fondamentali
dell’uomo e si afferma il dovere dello Stato di tutelare tali diritti.
IN ITALIA
Ritardo nella nascita della previdenza sociale (ultimi due decenni 800 e la prima
guerra mondiale) causa:
1. ritardo della realizzazione processo di industrializzazione e mutamenti sociali
connessi, rispetto ad altri paesi europei
2. Unificazione dell’Italia avvenuta solo nel 1870
3. La classe dirigente, dopo l’unità d’Italia, non aveva intrapreso con decisione le
riforme strutturali
Al momento dell’unificazione d’Italia il sistema assistenziale registra che nel
corso dei secoli l’iniziativa privata, con una preminente presenza della
Chiesa, aveva fatto sorgere numerosissime istituzioni di beneficenza
(ospedali, orfanotrofi, istituti di ricovero…)
Negli anni successivi all’unificazione si afferma l’ideologia della “beneficenza
Legale” (interventi assistenziali finanziati mediante imposizione fiscale) che
avrebbero dovuto sostituire l’intervento pubblico a quello della Chiesa.
1870-1900
• Peggioramento delle condizioni materiali dei ceti popolari per gli elevati costi
umani dell’industrializzazione
• I problemi sociali si pongono anche in termini politico-economici, con una
progressiva presa di coscienza da parte dei lavoratori(questione sociale).Si
affermano nuove idee: marxismo, socialismo, dottrina sociale cristiana.
• Lo Stato assicurare un intervento assistenziale minimo agli indigenti che reggerà
fino a quando le masse popolari acquistano maggiore consapevolezza dei loro
diritti arrivando, anche attraverso il diritto di voto, a rivendicare migliori garanzie
e tutele.
• Per rispondere a tali rivendicazioni gli Stati cercheranno di affrontare i problemi
dei lavoratori non più in maniera solo assistenziale, ma con la nascita della
previdenza sociale (forma di risparmio sul salario al fine di conseguire prestazioni
certe al verificarsi degli eventi assicurati, mediante la sostituzione o l’integrazione
dei redditi dei lavoratori).
LA LEGGE CRISPI 1890
• Realizza una parziale laicizzazione delle opere pie attribuendo loro personalità
giuridica e trasformandole in Istituti pubblici di assistenza e beneficenza (IPAB) (a
Firenze: IPAB Sant’Ambrogio per i disabili, IPAB di San Salvi per malati di mente,
IPAB Montedomini per i vecchi e IPAB degli Innocenti per i bimbi abbandonati)
che dovevano dimostrare di avere mezzi economici adeguati per le finalità
istituzionali, predisponendo bilanci preventivi e consuntivi. Ogni atto
amministrativo doveva essere sottoposto a controllo.
• Introduce anche il domicilio di soccorso prevedendo che il soccorso del cittadino
indigente spetta al Comune dove questi ha dimorato, in modo abbastanza
continuativo, negli ultimi 5 anni, e il domicilio di provenienza, per sollevare da
costi aggiuntivi i Comuni che ospitano gli assistiti nei ricoveri del proprio
territorio, imputando l’onere del loro sostentamento ai Comuni di provenienza.
DAL 1918 AL 1948
• Dal 1919 fino ai primi anni 70 si registra una progressiva creazione di enti assistenziali
con incentivazione dell’assistenza specifica riservata a determinate categorie(invalidi,
ciechi, orfani ..)
• Il regime fascista decide di dare il via, nel quadro della politica cosiddetta corporativa,
ad un sistema assicurativo-previdenziale in grado di assicurare, tra l’altro, l’assistenza
sanitaria ai lavoratori. Con regio decreto 6 luglio 1933 n. 1033, viene così istituito
l’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (Inail), con regio
decreto 4 ottobre 1935 n. 1825 l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), con
legge 19 gennaio 1942 n. 22 l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i
dipendenti statali (Enpas) e con legge 11 gennaio 1943 n. 138 l’Istituto nazionale di
assicurazione contro le malattie (Inam).
• Nel dopoguerra, la speranza nella costruzione di una società più giusta in cui anche
l’assistenza sia in grado di rispondere ai problemi dei cittadini. Speranza che trova
riconoscimento nella Carta Costituzionale del 1948 dove verranno sanciti i diritti civili
e politici sulla base di un unico fondamento costituito dal primato della PERSONA
UMANA (Articolo 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana).
L’ASSISTENZA IN ITALIA NEGLI ANNI 50
• in Italia prosegue la politica di sviluppo della protezione assicurativa-previdenziale
contro le malattie e gli infortuni.
• Con altre leggi sono istituiti numerosi enti mutualistici per varie categorie di
professionisti: pensionati dello stato (1953), coltivatori diretti (1954), artigiani (1956),
commercianti (1960), ai quali si aggiungono un’altra miriade di enti minori. Come se
ciò non bastasse, continuano a proliferare piccolissime realtà mutualistiche di fabbrica
o di azienda.
1. Assistenza generica assicurata da numerose istituzioni di beneficenza. Lo Stato
inizialmente ha un ruolo di integrazione e coordinamento della beneficenza privata
2. Assistenza specifica garantita da numerosi enti pubblici (circa 40.000!) che si
dividevano in Enti territoriali (ECA: Ente Comunale Assistenza, province) ed Enti
pubblici nazionali(ENAOLI: Ente Nazionale Orfani dei Lavoratori Italiani; ONMI:
Opera Nazionale Maternità e Infanzia; UIC: Unione Italiana Ciechi, ecc.) che agivano
sul piano della discrezionalità e non del diritto. Intervenivano in virtù
dell’appartenenza ad una categoria giuridica (cieco, invalido, orfano ..). Erano
strutture estremamente burocratizzate e verticistiche.
I finanziamenti erano assegnati non in base alle esigenze da soddisfare, ma in
relazione alla capacità dei diversi gruppi di ottenere maggiori risorse (potere di
pressione). La forma tipica di assistenza era rappresentata oltre che da interventi di
natura economica, anche dai ricoveri in istituto.
LE CASSE MUTUE
Ciò determina l’apparire di forme assistenziali profondamente diverse tra loro,
incontrollabili sia sotto il profilo della qualità delle prestazioni erogate sia della
spesa sanitaria.
Il rafforzamento delle cosiddette “casse mutue di previdenza contro le malattie”,
ognuna rigorosamente all’oscuro delle attività dell’altra (prova ne è che
un’indagine del Ministero della Sanità rivela che le persone assistite ammontano
a 68.427.112, sedici milioni in più di quanto conta l’intera popolazione italiana),
determina, insieme ad una positiva seppur caotica espansione delle risposte ai
bisogni sanitari della società italiana, che sta rapidamente conoscendo “il
benessere”, una anomala frammentazione delle strutture e una dispersiva
utilizzazione dei professionisti. In questo modo, come previsto, si alimenta la
sperequazione e la disuguaglianza sociali, tutto il contrario cioè di quanto
stabilisce la Costituzione, e, in secondo luogo, si inasprisce pesantemente il
fabbisogno finanziario atto a mantenere funzionante l’intero sistema.
GLI ANNI 70: LA STAGIONE DELLE GRANDI RIFORME. IL DPR 616/77
Il DPR 616/77 prosegue il processo di trasferimento alle Regioni
(istituite nel 1970), province e comuni, di varie funzioni
amministrative fino ad allora esercitate a livello centrale dallo Stato e
previste dall’art 117 della costituzione, quali l’assistenza sanitaria.
Punti chiave:
• Vengono soppressi ECA (Enti Comunali di Assistenza) e IPAB (Istituti Pubblica
Assistenza e Beneficienza)
• Sono attribuite ai comuni funzioni attinenti in materia di interesse locale
• Il comune singolo o associato è riconosciuto titolare delle funzioni amministrative
relative alla gestione dei servizi socio-sanitari in forma integrata
Campi di intervento:
• Beneficenza pubblica
• Assistenza sanitaria e ospedaliera
• Alcune prestazioni già svolte dal Ministero di Grazia e Giustizia
Anni ’80-’90: LE UNITA’ SANITARIE LOCALI (USL)
La legge 23 dicembre 1978 n. 833 costituisce il corollario o, per meglio dire, il punto
normativo terminale di un progressivo lavoro di straordinaria modificazione
dell’organizzazione sanitaria nel nostro Paese. Essa si basa sull’istituzione di un Servizio
Sanitario Nazionale, avente le seguenti caratteristiche essenziali:
• un sistema generalizzato o, per meglio dire, universale, che riguarda la totalità della
popolazione;
• un sistema unificato perché un solo contributo copre l’insieme dei rischi;
• un sistema uniforme, poiché garantisce le stesse prestazioni a tutti gli interessati.
• due percorsi diversi tra Sanità ed Assistenza sociale
• differenziazione tra Regioni in ordine alla organizzazione della Sanità e dei Servizi
Sociali
Alla gestione unitaria della tutela della salute, come recita l’articolo 10, si provvede in
modo uniforme sull’intero territorio nazionale, mediante una rete completa di Unità
sanitarie locali (USL), qualificate come il complesso dei presidi, dei servizi e dei servizi dei
comuni, singoli o associati, e delle comunità montane. Il finanziamento del Servizio
Sanitario Nazionale avviene tramite il Fondo Sanitario Nazionale, determinato
annualmente con la legge di approvazione del bilancio dello Stato.
LE AZIENDE SANITARIE LOCALI (ASL)
• Negli anni ’80, per eliminare alcune distorsioni del sistema sono emanate piccole
leggi di modifica della 833 e, tra l’altro, sono istituiti i ticket per frenare una spesa
ed un consumo sanitario, che si stanno facendo sempre più pesanti.
• Questi provvedimenti non servono ad allontanare dalla pubblica opinione l’idea
che il Servizio Sanitario sia tra i maggiori responsabili del dissesto finanziario nel
quale versa il Paese.
• Nel 1987, la risposta, da parte del governo consiste nella presentazione di un
progetto di legge che introduce nella sanità il concetto “aziendale” che diventa
attuativo con i decreti legislativi 502/1992 e 517/1993 che sanciscono la
trasformazione delle USL in ASL, cioè in enti giuridici che provvedono in parte al
proprio autofinanziamento (in parte rimane impegnato anche il fondo centrale
del SSN) e all’erogazioni dei servizi socio sanitari secondo logiche per certi versi
assimilabili a quelle di mercato.
Storia delle associazioni dei familiari in Toscana
Nella società agricola precedente la rivoluzione industriale il disabile aveva un
posto ed una dignità precisa, ma con l’avvento del progresso tecnico – scientifico
e il conseguente affermarsi dell’efficientismo economico e delle ideologie
eugenetiche, la disabilità è divenuta una vergogna da nascondere. Nascono le
grandi Istituzioni per il ricovero e la segregazione (a Firenze: San Salvi,
Cottolengo, Istituto Umberto 1°, ecc.) , addirittura in alcuni paesi si pianificano e
si praticano i primi grandi stermini di massa dei disabili e dei malati di mente
(Stati Uniti con Madison Grant, Germania con Hitler e Mengele e Giappone).
Nel secondo dopo guerra, grazie al cambio di valori legato alle grandi carte dei
diritti dell’uomo, i familiari cominciano a costituirsi in associazioni per l’assistenza
e la tutela dei propri figli disabili, a Firenze in particolare nascono AMIG, AIABA,
ODA, PAMAPI, in Italia ANFFAS, AIAS, ecc. Anche la Legge 833 del 1978 che
istituisce la sanità regionale, nell’ «ex articolo 26», prevede la trasformazione
degli Istituti di ricovero per disabili in Istituti di Riabilitazione secondo le nuove
concezioni definite nella carta costituzionale e attuate nella riforma socio-
sanitaria.
.
Storia delle associazioni dei familiari in Toscana
Negli ultimi 20 anni si è superata totalmente la cultura della vergogna e
dell’esclusione sociale per entrare pienamente nelle logica della «inclusione
sociale» e del «dopo di noi», questi sono gli obiettivi delle nuove associazioni dei
familiari dei disabili impegnate nella tutela dei diritti di cittadinanza dei propri
congiunti (a Firenze: CUI ragazzi del Sole, Il Sipario, Trisomia 21, Casadasé, ecc.).
Vedi Carta dei diritti del disabile, Convenzione ONU 2006.
Il limite insuperabile di ogni associazione di familiari è l’autoreferenzialità dei
fondatori, spesso condizionati dai propri interessi particolari e dai limiti di natura
«anagrafica»: nel tempo, per sopravvivere e perpetuare le proprie finalità, hanno
necessità di appoggiarsi o di consociarsi con Enti pubblici o con grandi Istituzioni
di volontariato (Misericordia, Umanitas, Comuni, Pubbliche Assistenze, ecc.).
Nascono così, dal 2008 in poi, le Fondazioni di scopo a capitale misto o solo
privato.

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Progetto Sportello Unico Disabilità - 1 - Fondamenti filosofici e storici (Lombardi)

  • 1.
  • 2. “Un giorno vennero a prendere gli zingari e mi fece piacere perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e non dissi nulla perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Vennero a prendere anche i comunisti ed io non dissi nulla perché non ero comunista. Alla fine vennero a prendere me e non c’era rimasto più nessuno a protestare”. Berthold Brecht Dopo le prime strofe avrei voluto aggiungerne una mia , prima della conclusione: “Vennero a prendere pure i disabili ed io non dissi nulla, perché ero sano”
  • 3. Ho paura “che vengano a prendere anche me”, perché in una società in cui c’è meno posto per le categorie marginali e deboli «alla fine» c’è meno posto anche per chi si sente sicuro della sua italianità, della sua cultura, della sua religione e della sua normalità. “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro celeste”, non significa fare l’elemosina e dare qualcosa a qualcuno per levarsi d’impiccio e acquietarsi la coscienza, ma significa avere il cuore nei miseri, com-patire le loro miserie, con-dividere con i miseri ciò che abbiamo. Siamo chiamati ad alimentare in senso valoriale una cultura di attenzione agli emarginati e a realizzare istituzioni, leggi e servizi in grado di tutelare le persone che in senso strettamente economico, ideologico e politico sono un peso, in sintesi, a rendere più umana e vivibile la nostra città.
  • 4. DUE CASI SIGNIFICATIVI Il 28 maggio 2010 sul Corriere del Veneto è stata pubblicata una notizia che ha sollevato attenzione a livello internazionale: ‘la Regione Veneto si prepara ad escludere i disabili intellettivi dalle liste per il trapianto degli organi (Delibera di giunta n. 851 del 31 marzo 2009)'. Passando in rassegna la Costituzione Italiana (art. 3 e art. 32), la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite, ratificata dal Parlamento italiano nel marzo 2009, le linee guida delle società nazionali e internazionali di trapianti d'organo e le pubblicazioni scientifiche sui risultati dei trapianti in persone con disabilità intellettiva, il gruppo del Dr. Panocchia afferma che non esiste un razionale per escludere dal trapianto le persone con disabilità intellettiva. Puntualmente l’assessore Luca Coletto ha replicato dicendo che “un sistema di trapianti all’avanguardia come il nostro (Veneto) ha il dovere, e lo fa, di porsi tutti i problemi che possano portare al fallimento o alla cattiva riuscita di un trapianto anche perché, come tutti sanno, nessuno al mondo dispone di tanti organi quanti sono i richiedenti”.
  • 5. DUE CASI SIGNIFICATIVI Tutti sappiamo che le risorse sanitarie sono limitate e potremmo un giorno trovarci in molti a concorrere per usufruire di un trapianto o di una terapia intensiva disponibili per pochi. Ci sentiamo più tutelati se pensiamo che sarà un medico, “in scienza e coscienza”, ad operare una scelta dettata dalla necessità del momento, piuttosto che un legislatore “di parte” a imporre criteri discriminatori di natura socio-economica, forse addirittura informati da ideologie eugenetiche o da malcelato razzismo.
  • 6. DUE CASI SIGNIFICATIVI • L’infanticidio è un diritto delle donne, lo sostengono Albero Giubilini e Francesca Minerva, due bioeticisti italiani che lavorano come ricercatori in Australia, sul Journal of Medical Ethics del 23 febbraio 2012, in un articolo dal titolo eloquente: “L’aborto dopo la nascita: perché il bambino dovrebbe vivere? • Si legge nell’abstract che precede l’articolo: “L'aborto è largamente accettato per ragioni che non hanno nulla a che fare con la salute del feto. Dimostrando che, al pari del feto, il neonato non ha lo status morale di una reale persona umana, gli autori sostengono che l'aborto dopo la nascita (cioe' l'infanticidio) dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui e' permesso l'aborto, inclusi i casi in cui il neonato non e' portatore di disabilità. Noi affermiamo - scrivono chiaro e tondo i due autori - che l'uccisione di un neonato potrebbe essere eticamente ammissibile in tutte le circostanze in cui lo è l'aborto. Tali circostanze includono i casi in cui il neonato ha il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile, ma il benessere della famiglia è a rischio”.
  • 7. DUE CASI SIGNIFICATIVI • Se è legittimo per le leggi uccidere un feto di tre mesi, non si vede perché lo Stato non debba permettere di fare lo stesso con un neonato handicappato, oppure con un neonato normodotato, ma che risulta essere un peso economico/sociale/psicologico insopportabile per la sua famiglia. • Quanto tempo dopo la nascita è "eticamente lecito" uccidere i bambini? Giubilini e Minerva lasciano questa domanda a neurologi e psicologi, ma suggeriscono di non porsi limiti di tempo troppo vincolanti, visto che talvolta per diagnosticare la disabilità di un bambino possono sono essere necessari diversi mesi. Se proprio si vuol adottare un discrimine per porre un limite all’infanticidio propongono quanto segue: «ci vogliono almeno un paio di settimane perché il bambino diventi auto-cosciente. A quel punto da persona potenziale diventa una persona in senso pieno, e l'infanticidio potrebbe non essere più consentito».
  • 8. DUE CASI SIGNIFICATIVI • Sotto il profilo etico la mancata consapevolezza che ha un neonato è confrontabile con quella di una persona malata o anziana non in grado di comprendere, riconoscere e autogestirsi. Operando in modo estensivo, come hanno fatto i due ricercatori, allora potremmo eliminare tutti i disabili gravi, i malati di Alzheimer in stato avanzato, etc. • Si deve riflettere sul fatto che con tali disumane teorie bioetiche, ispirata al noto bioeticista australiano Peter Singer, siamo retrocessi a un costume in auge nel mondo precristiano quando i bambini affetti da disabilità venivano gettati dalla rupe Tarpea di Roma o abbandonati sul monte Taigeto a Sparta, con l’aggravante che oggi si teorizza la stessa fine per ragioni anche di carattere economico, psicologico e sociale. • Siamo ormai di fronte alla fine di un universo di idee che potevano riconoscersi nella tradizione umana e civile di ispirazione ebraico-cristiana che era arrivata fino alle grandi Carte internazionali del dopoguerra : la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” dell’ONU e la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Nel ricordo scottante dell’olocausto di Hitler e della selezione genetica attuata dal dottor Josef Mengele, veniva riaffermato il valore assoluto del diritto alla vita , primo e fonte di tutti i diritti.
  • 9. Oggi, nella stagione del relativismo e dell’individualismo, la vita non appare più un valore assoluto e la si qualifica con l’aggettivo “degna” che la relativizza. Nella visione del positivismo efficientistico e dell’utilitarismo, la vita “degna” deve avere i connotati della “perfezione” psico-fisica e dell’utilità socio-economica, senza le quali non meriterebbe la pena di nascere né di continuare a vivere. I bioeticisti divisi in due fronti contrapposti: • Coloro che ritengono di dover attribuire lo “status di persona”, con tutti i diritti che ne conseguono, a tutti gli appartenenti alla specie umana indipendentemente da ogni tipo di discrimine (di salute, di nascita , di abilità, di etnia, di condizioni economiche, di religione, di qualità morale, ecc.) e questi parlano sempre di “dignità di ogni persona umana”. • Quelli che ritengono opportuno limitare lo “status di persona” solo agli individui della specie umana che soddisfano alcuni criteri quali l’autocoscienza, la capacità di provare dolore, le condizioni di salute e di vita, il peso economico o emotivo per le altre persone, ecc. motivando che solo soddisfacendo detti criteri potrebbero condurre “una vita degna di essere vissuta”.
  • 10. • Certo dire che ogni appartenente alla specie umana ha lo status di persona è un assunto logico non dimostrabile, è una convenzione raggiunta dal genere umano dopo millenni di esperienza e di riflessione, sostenuto da molte delle grandi riflessioni filosofiche e religiose dell’occidente e dell’oriente, ma anche limitare lo status di persona solo a chi ha “una vita degna di essere vissuta” è parimenti un assunto logico indimostrabile, perfino “interessato”. • E’ chiaro per tutti che introducendo un discrimine qualsiasi nell’attribuzione dello status di persona si autorizza l’introduzione di qualsiasi altro discrimine che sia coerente con le convinzioni più disparate e con gli interessi politici ed economici più diversi. • La vita sempre, e tanto più in presenza della disabilità e dell’emarginazione, è un impegno serio e difficile che esige la forza e la solidarietà di tutti anche nella consapevolezza della fragilità che accompagna l’esistenza di ognuno. Madre Teresa di Calcutta ha scritto: “La vita è tristezza, superala. La vita è gioia, condividila. La vita è una lotta, accettala. La vita è un’avventura, rischiala. La vita è la vita, difendila”.
  • 11. TERMINOLOGIA La classificazione internazionale dell’OMS delle menomazioni, disabilità handicap (ICDH: International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap) nel 1980 distingue i termini come segue: • Menomazione = danno funzionale di un apparato corporeo o di una funzione psicologica o fisiologica (Impairment: compromissione o lesione), es. paralisi degli arti inferiori. • Disabilità = perdita di capacità considerate normali per un essere umano, conseguenti alla menomazione (Disability: riduzione parziale o totale della capacità di compiere un’azione), es. incapacità di deambulazione autonoma. • Handicap = svantaggi esistenziali conseguenti (Handicap: riduzione della capacità di svolgere un ruolo a seguito della menomazione e della disabilità conseguente); es. inabilità a muoversi in maniera autonoma nel proprio ambiente di vita.
  • 12. • Nel 2001 l’OMS pubblica un secondo documento intitolato International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF [ICIDH-2]), indicativo di un cambiamento sostanziale: nella classificazione e nella terminologia non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo in chiave positiva allo stato di «salute» e al «funzionamento» della persona. L’OMS fornisce un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. • Il documento sulla Riabilitazione del Comitato Nazionale per la Bioetica del 17 marzo 2007 esorta ad usare una terminologia che non identifichi il soggetto con la malattia di cui soffre o con la propria carenza di abilità e suggerisce di anteporre ad ogni etichetta più o meno patologica il termine “persona”. Qualsiasi termine che identifichi uno stato di incapacità o una patologia è soggetto ad usura e a continua riformulazione, ma, al di là di ogni etichetta, il termine “Persona” e la dignità valoriale che comporta resterà sempre immutato
  • 13. • Il termine Minorato indica una categoria giuridica di soggetti che, equiparati ai minori, necessitano di tutela legale. • Il termina Handicappato proviene dall’ippica agonistica ed indica un cavallo particolarmente dotato che corre in gare di categoria inferiore e viene tenuto fermo alla partenza, mediante la mano (hand) che impugna la briglia per un dato tempo, in modo che lo svantaggio accumulato lo equipari alle prestazioni dei cavalli meno dotati. Il termine è stato assunto nella legislazione italiana (Legge quadro 104/92) e indica i soggetti che possono godere di una serie di diritti/facilitazioni economiche, fiscali, scolastiche, lavorative, ecc. per ridurre il loro svantaggio esistenziale. • Il termine Invalido è un epiteto che qualifica unicamente l’inabilità al lavoro e il diritto alla pensione della Previdenza sociale • La legislazione sanitaria della Regione Toscana autorizza le strutture assistenziali e riabilitative ad accogliere i Disabili fisici, psichici e sensoriali. • In ambito neuropsichiatrico si parla di: Disabilità sensoriale (cecità, sordità); Disabilità motoria : paralisi (tetraplegia, paraplegia, emiplegia), distrofie muscolari; Disabilità neuropsichica : ritardi del neurosviluppo, deficit intellettivi, insufficienze mentali, autismo infantile precoce, sindromi cromosomiche e genetiche, ecc.
  • 14. • Il termine Disabile intellettivo è una specificazione scientifica della generica terminologia sanitaria, indicante una categoria di persone molto numerosa (2-4 %della popolazione italiana) che manifestano entro i primi anni di vita un deficit cognitivo e dello sviluppo , dovuto a trauma prenatale, perinatale o postnatale, oppure a danni tossicologici, oppure ad anomalie cromosomiche e genetiche o a deprivazione culturale. Si caratterizza per un Quoziente intellettivo inferiore a 70 e per difficoltà nel funzionamento adattivo. La disabilità intellettiva è una categoria meta-sindromica. Spesso la disabilità intellettiva è associata a patologie fisiche, psichiche e sensoriali. Il termine disabilità intellettiva è un conio recente che sta ugualmente per essere superato, oggi si comincia a parlare di Disturbo dello sviluppo intellettivo (gruppo di lavoro per la nuova classificazione ICD-11; DSM V). • Questa categoria di persone nell’ottocento venivano chiamati in senso popolare e stigmatizzante Deficienti, Stupidi, Scemi, all’inizio del 900 si cominciò ad utilizzare un termine di carattere più medico: Dementi alalici (deficit mentale e difficoltà di comunicazione e linguaggio). A metà novecento il termine elettivo in senso medico divenne Frenastenici (deboli di mente), e nel dopoguerra si cominciò ad usare il termine Oligofrenici (con poche risorse mentali). • Infine dal 1990 in poi si cominciò a parlare di Ritardo mentale, termine poi superato perché estende la diagnosi di ritardo nella funzione mentale logico-deduttiva, rilevato con la misurazione del Quoziente Intellettivo (Q.I.), a tutte le altre funzioni dell’intelligenza (emotiva, affettiva, estetica, relazionale, ecc.) che invece potrebbero essere, e spesso lo sono, integralmente possedute.
  • 15. • Oggi nel mondo delle associazioni dei familiari e di categoria, si usa più diffusamente il termine Diversamente abile, ma da molti viene considerato un termine “pietistico”, ipocrita e comunque discriminante, come dire “diversamente giovane” per i vecchi o “diversamente intelligente” per i dementi. • Il termine Psicotico, o più correttamente di “Persona affetta da psicosi”, indica un soggetto affetto da malattia cronica della psiche (in generale include sintomi quali delirio e allucinazioni, come anche eloquio e comportamento disorganizzati, e gravi distorsioni della realtà: Schizofrenia, Disturbo delirante, Disturbo schizofreniforme, Disturbo schizoaffettivo, Disturbo psicotico breve, ecc.) senza compromissione dell’intelligenza, in antichità venivano bollati come “folli”, “matti”, “pazzi” e relegati nei manicomi. • La Demenza è un’affezione che si riscontra in persone con deficit cognitivo tardivo e degenerativo ( es. Alzheimer e demenze senili). • Si parla di Deficit cognitivo post traumatico conseguente a lesioni neurologiche dovute a trauma (es. cadute, incidenti stradali, ecc.), a danni neurologici da encefalite, da malattie cerebrovascolari, ecc.
  • 16. Il tema della povertà/disabilità e quello dell’intervento assistenziale attraversano l’intera storia dell’umanità. NEL MEDIOEVO • Non esisteva alcun intervento organizzato delle autorità locali. Chi prestava assistenza erano le numerose istituzioni di beneficenza gestite prevalentemente dalla Chiesa (es. Le Misericordie, Gli Spedali dei Monasteri [es. Bigallo], ecc.). • Il disabile e il bisognoso venivano visti come rappresentanti di Cristo: sopravvivevano grazie alla carità senza però essere segregati, Indubbiamente erano marginali, ma non esclusi. • Con il XIV sec. si delinea un peggioramento delle condizioni sociali e sanitarie anche causa aumento demografico e di diffuse pandemie (peste nera). Attorno al 1350 si assumono le prime misure “contro” i bisognosi. Si delinea la distinzioni fra bisognosi “buoni e “cattivi”.
  • 17. DAGLI ULTIMI ANNI DEL 1400 AGLI INIZI DEL 1700 • Ulteriore aumento della popolazione e progressiva eliminazione regime agrario • Inizia il processo di industrializzazione ed un crescente impoverimento delle masse che suscita timore nei gruppi borghesi e nobiliari. Conseguenza: proliferano ordinanze e provvedimenti legislativi con funzioni di controllo sociale. Cambiano quindi le immagine del povero e del disabile. • La seconda metà del 500, sulla scia dei provvedimenti legislativi, è caratterizzata dal «grande internamento dei poveri e degli alienati mentali» per rispondere alla esigenza di “igiene e controllo sociale”. • La Riforma protestante e la colpevolizzazione del bisognoso (calvinismo). • La Poor Law (1601) voluta da Elisabetta 1°è la legge più importante che attribuisce ad ogni comunità locale la responsabilità per l’assistenza ai poveri e dei disabili non autosufficienti
  • 18. XVIII secolo • Periodo di svolta grazie all’Illuminismo, movimento di idee che fa perno sui valori della ragione, contro l’ignoranza, i pregiudizi, l’intolleranza. Queste idee portano a sostenere il DIRITTO del cittadino inabile e indigente a ricevere cure e assistenza anche gratuite dallo Stato. • Si manifesta uno spirito nuovo che trova fondamento nelle opere di Rousseau sull’origine storica e non naturale della disuguaglianza fra gli uomini. • Idee che verranno riprese con la rivoluzione americana ma soprattutto con quella francese quando si riconobbero i diritti fondamentali dell’uomo e si afferma il dovere dello Stato di tutelare tali diritti.
  • 19. IN ITALIA Ritardo nella nascita della previdenza sociale (ultimi due decenni 800 e la prima guerra mondiale) causa: 1. ritardo della realizzazione processo di industrializzazione e mutamenti sociali connessi, rispetto ad altri paesi europei 2. Unificazione dell’Italia avvenuta solo nel 1870 3. La classe dirigente, dopo l’unità d’Italia, non aveva intrapreso con decisione le riforme strutturali Al momento dell’unificazione d’Italia il sistema assistenziale registra che nel corso dei secoli l’iniziativa privata, con una preminente presenza della Chiesa, aveva fatto sorgere numerosissime istituzioni di beneficenza (ospedali, orfanotrofi, istituti di ricovero…) Negli anni successivi all’unificazione si afferma l’ideologia della “beneficenza Legale” (interventi assistenziali finanziati mediante imposizione fiscale) che avrebbero dovuto sostituire l’intervento pubblico a quello della Chiesa.
  • 20. 1870-1900 • Peggioramento delle condizioni materiali dei ceti popolari per gli elevati costi umani dell’industrializzazione • I problemi sociali si pongono anche in termini politico-economici, con una progressiva presa di coscienza da parte dei lavoratori(questione sociale).Si affermano nuove idee: marxismo, socialismo, dottrina sociale cristiana. • Lo Stato assicurare un intervento assistenziale minimo agli indigenti che reggerà fino a quando le masse popolari acquistano maggiore consapevolezza dei loro diritti arrivando, anche attraverso il diritto di voto, a rivendicare migliori garanzie e tutele. • Per rispondere a tali rivendicazioni gli Stati cercheranno di affrontare i problemi dei lavoratori non più in maniera solo assistenziale, ma con la nascita della previdenza sociale (forma di risparmio sul salario al fine di conseguire prestazioni certe al verificarsi degli eventi assicurati, mediante la sostituzione o l’integrazione dei redditi dei lavoratori).
  • 21. LA LEGGE CRISPI 1890 • Realizza una parziale laicizzazione delle opere pie attribuendo loro personalità giuridica e trasformandole in Istituti pubblici di assistenza e beneficenza (IPAB) (a Firenze: IPAB Sant’Ambrogio per i disabili, IPAB di San Salvi per malati di mente, IPAB Montedomini per i vecchi e IPAB degli Innocenti per i bimbi abbandonati) che dovevano dimostrare di avere mezzi economici adeguati per le finalità istituzionali, predisponendo bilanci preventivi e consuntivi. Ogni atto amministrativo doveva essere sottoposto a controllo. • Introduce anche il domicilio di soccorso prevedendo che il soccorso del cittadino indigente spetta al Comune dove questi ha dimorato, in modo abbastanza continuativo, negli ultimi 5 anni, e il domicilio di provenienza, per sollevare da costi aggiuntivi i Comuni che ospitano gli assistiti nei ricoveri del proprio territorio, imputando l’onere del loro sostentamento ai Comuni di provenienza.
  • 22. DAL 1918 AL 1948 • Dal 1919 fino ai primi anni 70 si registra una progressiva creazione di enti assistenziali con incentivazione dell’assistenza specifica riservata a determinate categorie(invalidi, ciechi, orfani ..) • Il regime fascista decide di dare il via, nel quadro della politica cosiddetta corporativa, ad un sistema assicurativo-previdenziale in grado di assicurare, tra l’altro, l’assistenza sanitaria ai lavoratori. Con regio decreto 6 luglio 1933 n. 1033, viene così istituito l’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (Inail), con regio decreto 4 ottobre 1935 n. 1825 l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), con legge 19 gennaio 1942 n. 22 l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti statali (Enpas) e con legge 11 gennaio 1943 n. 138 l’Istituto nazionale di assicurazione contro le malattie (Inam). • Nel dopoguerra, la speranza nella costruzione di una società più giusta in cui anche l’assistenza sia in grado di rispondere ai problemi dei cittadini. Speranza che trova riconoscimento nella Carta Costituzionale del 1948 dove verranno sanciti i diritti civili e politici sulla base di un unico fondamento costituito dal primato della PERSONA UMANA (Articolo 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana).
  • 23. L’ASSISTENZA IN ITALIA NEGLI ANNI 50 • in Italia prosegue la politica di sviluppo della protezione assicurativa-previdenziale contro le malattie e gli infortuni. • Con altre leggi sono istituiti numerosi enti mutualistici per varie categorie di professionisti: pensionati dello stato (1953), coltivatori diretti (1954), artigiani (1956), commercianti (1960), ai quali si aggiungono un’altra miriade di enti minori. Come se ciò non bastasse, continuano a proliferare piccolissime realtà mutualistiche di fabbrica o di azienda. 1. Assistenza generica assicurata da numerose istituzioni di beneficenza. Lo Stato inizialmente ha un ruolo di integrazione e coordinamento della beneficenza privata 2. Assistenza specifica garantita da numerosi enti pubblici (circa 40.000!) che si dividevano in Enti territoriali (ECA: Ente Comunale Assistenza, province) ed Enti pubblici nazionali(ENAOLI: Ente Nazionale Orfani dei Lavoratori Italiani; ONMI: Opera Nazionale Maternità e Infanzia; UIC: Unione Italiana Ciechi, ecc.) che agivano sul piano della discrezionalità e non del diritto. Intervenivano in virtù dell’appartenenza ad una categoria giuridica (cieco, invalido, orfano ..). Erano strutture estremamente burocratizzate e verticistiche. I finanziamenti erano assegnati non in base alle esigenze da soddisfare, ma in relazione alla capacità dei diversi gruppi di ottenere maggiori risorse (potere di pressione). La forma tipica di assistenza era rappresentata oltre che da interventi di natura economica, anche dai ricoveri in istituto.
  • 24. LE CASSE MUTUE Ciò determina l’apparire di forme assistenziali profondamente diverse tra loro, incontrollabili sia sotto il profilo della qualità delle prestazioni erogate sia della spesa sanitaria. Il rafforzamento delle cosiddette “casse mutue di previdenza contro le malattie”, ognuna rigorosamente all’oscuro delle attività dell’altra (prova ne è che un’indagine del Ministero della Sanità rivela che le persone assistite ammontano a 68.427.112, sedici milioni in più di quanto conta l’intera popolazione italiana), determina, insieme ad una positiva seppur caotica espansione delle risposte ai bisogni sanitari della società italiana, che sta rapidamente conoscendo “il benessere”, una anomala frammentazione delle strutture e una dispersiva utilizzazione dei professionisti. In questo modo, come previsto, si alimenta la sperequazione e la disuguaglianza sociali, tutto il contrario cioè di quanto stabilisce la Costituzione, e, in secondo luogo, si inasprisce pesantemente il fabbisogno finanziario atto a mantenere funzionante l’intero sistema.
  • 25. GLI ANNI 70: LA STAGIONE DELLE GRANDI RIFORME. IL DPR 616/77 Il DPR 616/77 prosegue il processo di trasferimento alle Regioni (istituite nel 1970), province e comuni, di varie funzioni amministrative fino ad allora esercitate a livello centrale dallo Stato e previste dall’art 117 della costituzione, quali l’assistenza sanitaria. Punti chiave: • Vengono soppressi ECA (Enti Comunali di Assistenza) e IPAB (Istituti Pubblica Assistenza e Beneficienza) • Sono attribuite ai comuni funzioni attinenti in materia di interesse locale • Il comune singolo o associato è riconosciuto titolare delle funzioni amministrative relative alla gestione dei servizi socio-sanitari in forma integrata Campi di intervento: • Beneficenza pubblica • Assistenza sanitaria e ospedaliera • Alcune prestazioni già svolte dal Ministero di Grazia e Giustizia
  • 26. Anni ’80-’90: LE UNITA’ SANITARIE LOCALI (USL) La legge 23 dicembre 1978 n. 833 costituisce il corollario o, per meglio dire, il punto normativo terminale di un progressivo lavoro di straordinaria modificazione dell’organizzazione sanitaria nel nostro Paese. Essa si basa sull’istituzione di un Servizio Sanitario Nazionale, avente le seguenti caratteristiche essenziali: • un sistema generalizzato o, per meglio dire, universale, che riguarda la totalità della popolazione; • un sistema unificato perché un solo contributo copre l’insieme dei rischi; • un sistema uniforme, poiché garantisce le stesse prestazioni a tutti gli interessati. • due percorsi diversi tra Sanità ed Assistenza sociale • differenziazione tra Regioni in ordine alla organizzazione della Sanità e dei Servizi Sociali Alla gestione unitaria della tutela della salute, come recita l’articolo 10, si provvede in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, mediante una rete completa di Unità sanitarie locali (USL), qualificate come il complesso dei presidi, dei servizi e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane. Il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale avviene tramite il Fondo Sanitario Nazionale, determinato annualmente con la legge di approvazione del bilancio dello Stato.
  • 27. LE AZIENDE SANITARIE LOCALI (ASL) • Negli anni ’80, per eliminare alcune distorsioni del sistema sono emanate piccole leggi di modifica della 833 e, tra l’altro, sono istituiti i ticket per frenare una spesa ed un consumo sanitario, che si stanno facendo sempre più pesanti. • Questi provvedimenti non servono ad allontanare dalla pubblica opinione l’idea che il Servizio Sanitario sia tra i maggiori responsabili del dissesto finanziario nel quale versa il Paese. • Nel 1987, la risposta, da parte del governo consiste nella presentazione di un progetto di legge che introduce nella sanità il concetto “aziendale” che diventa attuativo con i decreti legislativi 502/1992 e 517/1993 che sanciscono la trasformazione delle USL in ASL, cioè in enti giuridici che provvedono in parte al proprio autofinanziamento (in parte rimane impegnato anche il fondo centrale del SSN) e all’erogazioni dei servizi socio sanitari secondo logiche per certi versi assimilabili a quelle di mercato.
  • 28. Storia delle associazioni dei familiari in Toscana Nella società agricola precedente la rivoluzione industriale il disabile aveva un posto ed una dignità precisa, ma con l’avvento del progresso tecnico – scientifico e il conseguente affermarsi dell’efficientismo economico e delle ideologie eugenetiche, la disabilità è divenuta una vergogna da nascondere. Nascono le grandi Istituzioni per il ricovero e la segregazione (a Firenze: San Salvi, Cottolengo, Istituto Umberto 1°, ecc.) , addirittura in alcuni paesi si pianificano e si praticano i primi grandi stermini di massa dei disabili e dei malati di mente (Stati Uniti con Madison Grant, Germania con Hitler e Mengele e Giappone). Nel secondo dopo guerra, grazie al cambio di valori legato alle grandi carte dei diritti dell’uomo, i familiari cominciano a costituirsi in associazioni per l’assistenza e la tutela dei propri figli disabili, a Firenze in particolare nascono AMIG, AIABA, ODA, PAMAPI, in Italia ANFFAS, AIAS, ecc. Anche la Legge 833 del 1978 che istituisce la sanità regionale, nell’ «ex articolo 26», prevede la trasformazione degli Istituti di ricovero per disabili in Istituti di Riabilitazione secondo le nuove concezioni definite nella carta costituzionale e attuate nella riforma socio- sanitaria. .
  • 29. Storia delle associazioni dei familiari in Toscana Negli ultimi 20 anni si è superata totalmente la cultura della vergogna e dell’esclusione sociale per entrare pienamente nelle logica della «inclusione sociale» e del «dopo di noi», questi sono gli obiettivi delle nuove associazioni dei familiari dei disabili impegnate nella tutela dei diritti di cittadinanza dei propri congiunti (a Firenze: CUI ragazzi del Sole, Il Sipario, Trisomia 21, Casadasé, ecc.). Vedi Carta dei diritti del disabile, Convenzione ONU 2006. Il limite insuperabile di ogni associazione di familiari è l’autoreferenzialità dei fondatori, spesso condizionati dai propri interessi particolari e dai limiti di natura «anagrafica»: nel tempo, per sopravvivere e perpetuare le proprie finalità, hanno necessità di appoggiarsi o di consociarsi con Enti pubblici o con grandi Istituzioni di volontariato (Misericordia, Umanitas, Comuni, Pubbliche Assistenze, ecc.). Nascono così, dal 2008 in poi, le Fondazioni di scopo a capitale misto o solo privato.