1. Nell’ultimo decennio la cultura
imprenditoriale in Italia ha
evidenziato una forte crescita
grazie soprattutto allo stimolo
arrivato dalle start-up.
Un’ampia parte della letteratura
scientifica internazionale
evidenzia che nelle economie
mature, come quella italiana, lo
sviluppo e la crescita
economica sono strettamente
correlate alla creazione di
nuove imprese, in particolare
nel settore high-tech. Questo è
inoltre confermato da recenti
studi economici relativi ai
mercati di Stati Uniti ed Europa,
dove le start-up giocano una
parte sempre più consistente
nella formazione del PIL.
START-UP, MOTORE
DELLA CRESCITA
In particolare, secondo le
ricerche della Kauffman
Foundation, una tra le più
importanti istituzioni al mondo
per la promozione
dell’imprenditorialità, nonché
principale sponsor dell’iniziativa
Startup America lanciata dal
Presidente Obama e promotrice
della Global Entrepreneurship
Week, nel periodo tra il 1980 ed
il 2005 la maggior parte dei
nuovi posti di lavoro creati negli
USA provenivano da aziende con
meno di 5 anni di vita. Sempre
secondo queste ricerche, le
aziende con un solo anno di vita
creano circa un milione di posti
di lavoro ogni anno.
Nel nostro paese le cose
sembrano rimanere qualche
passo indietro sia in termini di
nuove start-up che vengono
create ogni anno sia in termini
di investimenti in capitale di
rischio in queste realtà, anche se
ci sono degli elementi positivi
che vanno evidenziati. A partire
dalla maggiore sensibilità della
classe politica, che con il Decreto
Crescita 2.0 ha introdotto
semplificazioni a livello
normativo e burocratico e
incentivi fiscali che favoriscono
gli investimenti di privati e
aziende. A questo si affianca il
lavoro svolto soprattutto dalle
università che forniscono
strumenti e percorsi dedicati ai
laureandi, neolaureati e post
laurea che desiderano
intraprendere la via
imprenditoriale.
Se a quanto sopra si aggiunge il
rinnovato interesse manifestato
da investitori istituzionali,
venture capital, incubatori e
business angel, tutto questo
contribuisce allo sviluppo
MISSIONFLEET NoN solo flotte
34 | APRILE-MAGGIO 2015
N
IL SISTEMA DELLE START-UP
C’è molto interesse aorno alle start-up anche da parte di soggei istituzionali.
Ma per “diventare grandi” è necessario possedere alcuni requisiti in termini di idee,
business model, team e capacità di crescita e di finanziamento.
dell’ecosistema necessario
affinché anche l’Italia diventi
terreno fertile di competenze ed
eccellenze in questa rivoluzione
imprenditoriale.
UN CASO PRATICO
Di questo tema abbiamo parlato
con Francesca Sernissi, CEO e
co-fondatrice di BioCare
Provider – start-up innovativa
nata nell’ambito dell’Università
di Pisa e della Scuola Superiore
Sant’Anna – per approfondirne i
principali aspetti, in particolare
cosa significa essere un giovane
imprenditore in Italia, quale
impegno richieda e quali sono le
reali opportunità di successo.
MISSIONFLEET - Partiamo dalla
forte attenzione dedicata alle
start-up da parte di numerosi e
diversi soggetti: incubatori,
business angel, fondi di
investimento e aziende. Perché
tanto interesse?
F. SERNISSI - Negli ultimi tre anni
la “moda delle start-up” – come
spesso si legge soprattutto su
internet o sulle riviste
tecnologiche – è approdata anche
in Italia, complici la crisi
economica e la conseguente
assenza di posti di lavoro, uniti a
incentivi e sgravi fiscali concessi a
chi “investe” nelle startup. Anche
le università hanno giocato un
ruolo importante, quasi da
protagonista direi, nello spingere
neo-laureati e neo-dottori di
diMassimoGhetti
2. MISSIONFLEET NoN solo flotte
APRILE-MAGGIO 2015 | 35
ricerca verso quello che un tempo
era visto come il nemico
dell’indipendenza accademica: il
business. Questo perché da
qualche tempo le università
vengono valutate anche in base
alla capacità che hanno di
generare spin-off tramite un
processo di trasferimento
tecnologico. Eppure, da che
mondo è mondo, start-up e spin-
off sono sempre esistiti.
Quanto è oggi valorizzato il
ruolo delle start-up in Italia in
paragone al contesto
internazionale? Voi avete
partecipato a “contest”
internazionali, che differenza
di approccio avete rilevato?
L’approccio è sicuramente
diverso se confrontiamo USA
con Europa e ho un piccolo
aneddoto che rende bene l’idea.
Un collega conosciuto durante il
dottorato – che ha iniziato a
sviluppare le sua idea
imprenditoriale poco dopo di me
– ha ottenuto un finanziamento
importante da un business angel
americano. Entrambi ci siamo
successivamente ritrovati a
presentare le nostre rispettive
richieste di spin-off
all’Università di Pisa e la
commissione ha avuto problemi
con la sua domanda perché, a
differenza della mia, non
conteneva un business plan
dettagliato. Lavorando negli
USA si era formato soprattutto
focalizzandosi sul fare bene il
suo lavoro, senza doversi
preoccupare di aspetti
burocratici. Questo per dire che
negli USA se l’idea è bella e il
team è di valore, il business plan
diventa secondario ai fini della
valutazione della start-up. La
mia sensazione invece è che in
Italia, come pure in altri paesi
europei, talvolta ci si focalizzi
troppo sugli incartamenti che
diventano una “prova” della
validità del progetto prima di
iniziare ad investire. Il
fallimento qui da noi non è
ancora socialmente ammesso,
mentre negli USA fallire e
imparare da ciò che non è
andato bene è considerato parte
del processo di sviluppo
imprenditoriale.
Stanno emergendo nuove
tecnologie ed applicazioni
soprattutto quelle cosiddette
“smart” e “connesse”. Qual è il
ruolo delle start-up in questo
percorso di innovazione?
La start-up non è
necessariamente una società
innovativa. Se parliamo di
società innovative in ambito ICT
con fondatori relativamente
giovani e quindi nativi digitali,
va da sé che l’esigenza di creare
un mondo totalmente
interconnesso risulti sempre più
una necessità, direi quasi
fisiologica. Penso che l’Internet
of Things – o come lo chiamano
adesso, Internet of Everything –
sia scaturito proprio da un
cambiamento della visione del
mondo che, a partire dalla
domotica nelle nostre case e
dalla cosiddette smart cities, si
promuove sempre più grazie alle
start-up innovative. Basta
pensare alla dilagante diffusione
delle start-up che producono o
lavorano con stampanti 3D, per
non parlare delle app che
comandano praticamente tutto.
Molte aziende, anche
multinazionali, stanno sempre
di più sviluppando
collaborazioni con
start-up se non
addirittura le stanno
incubando al loro
interno. Quali sono,
dalla vostra
prospettiva, le
opportunità di queste
partnership? Cosa è
cambiato rispetto a quando la
ricerca e l’innovazione si
faceva “in casa”?
I vantaggi per la grande azienda
sono indubbi: un team già
consolidato di giovani esperti del
settore, naturalmente aperti
all’innovazione, che ha costi
minori rispetto ad assumere e
formare le stesse professionalità
singolarmente. Accade sempre
più spesso anche il fenomeno
inverso: gruppi di R&D interni
all’azienda che creano uno spin-
off che prende poi il volo anziché
rimanere un ramo d’azienda.
Per fare innovazione è
necessario disporre del budget
adeguato, che negli ultimi anni
non sempre è stato
disponibile. Perché dovrebbe
essere diverso investire in
start-up?
Perché gli start-upper sono
prima di tutto imprenditori.
Spesso lo dimentichiamo, ma un
imprenditore, a differenza di chi
sceglie deliberatamente di
lavorare alle dipendenze di altri,
è per sua natura incline al
rischio ed è disposto ad investire
egli stesso nell’idea in cui crede e
FRANCESCA
SERNISSI, CEO
DI BIOCARE
PROVIDER
L’ECOSISTEMA DELLE «START-UP»
FUNDING SERVIZI
• Investitori Istituzionali • Incubatori ed acceleratori
• Business Angels & Family Officer • Parchi scientifici e tecnologici
• Piattaforme di Crowdfunding • Spazi di Coworking
• Bandi Pubblici e di Enti Privati • FabLab
• Start-up competition & Hackathon • Start-up competition & Hackathon
Fonte: Osservatori Digital Innovation – MIP Politecnico; Startupitalia
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36 | APRILE-MAGGIO 2015
soprattutto crescere come
azienda, creando nuovi posti di
lavoro sul territorio e potendo
garantire nel tempo un buon
incremento occupazionale. Se la
partnership con un player
importante potesse aiutarmi
in questa impresa, avrei
comunque raggiunto un
obiettivo straordinariamente
significativo.
Veniamo al vostro specifico
ambito di riferimento,
l’healthcare. Quale
opportunità ci avete visto e che
ruolo vorreste giocare?
L’healthcare sta evolvendo molto
rapidamente e ha iniziato questo
processo con l’avvento di
internet prima e di smartphone
e tablet subito dopo. Avere dei
pazienti – o per usare il termine
più corretto, assistiti – più
consapevoli e informati significa
sviluppare un approccio
innovativo alle terapie e nuovi
modelli di business. Con la
nostra soluzione (www.drdrin.it)
anche noi ci abbiamo visto
essenzialmente l’opportunità di
portare un po’ d’aria fresca in un
sistema sanitario spesso
bistrattato. In questo settore la
rivoluzione è difficile e forse
neanche tanto auspicabile.
Essere fra i promotori di un
cambiamento graduale che,
partendo dal basso, sia in grado
di investire piano piano tutte le
gerarchie istituzionali
sovrastanti, che peraltro hanno
già cominciato ad accorgersi dei
benefici che le nuove tecnologie
della digital e mobile health
comporta anche per loro: questo
il ruolo che vorremmo giocare.
Quali sono i principali ostacoli
che avete incontrato e
i suggerimenti per i nuovi
start-upper?
L’ostacolo principale è
rappresentato dal fundraising.
A questo segue la burocrazia,
che permea ogni istituzione
pubblica o privata con cui
un’azienda italiana – start-up o
meno – deve necessariamente
confrontarsi durante il proprio
cammino. Infine la
frammentazione dell’offerta per
le start-up. Troppi gli incubatori,
acceleratori, poli tecnologici e
community che si prefiggono di
supportare i team, spesso ancora
troppo immaturi per capire chi
possa essere realmente in grado
di dare loro quel supporto di cui
talvolta non sanno neanche di
aver bisogno. Troppe le iniziative
che promettono visibilità e
opportunità, ma finiscono con
l’essere unicamente un esercizio
per imparare a fare il mestiere
dell’imprenditore.
Per concludere, quali sono gli
ingredienti principali che
avete rilevato studiando casi di
successo che vedete come
esempi da seguire?
Obiettivi chiari, sviluppo lean,
capitali e sede esteri, ricerca e
sviluppo italiani. Oggi penso che
siano questi gli ingredienti giusti
per dare vita ad una start-up che
possa raggiungere il successo in
tempi compatibili con la sua
stessa vita.
di cui, come spesso accade, si
innamora. Niente di più
vantaggioso per un’azienda che
vuole investire in R&D ma non
può sostenere i costi elevati e
soprattutto i rischi di una
riorganizzazione interna.
Parlando con diversi start-
upper sembra che il sogno di
molti sia essere acquisiti da
uno dei Big Player (Facebook,
Google, etc). È davvero sempre
così?
Talvolta gli start-upper partono
con questo sogno, ma siamo
realisti! Sappiamo bene che solo
pochi ce la fanno e non può
certo essere quello il driver.
Penso che nella maggior parte
dei casi, se uno dei Big Player
acquisisce una start-up sia quasi
per un piacevole “incidente” di
percorso o, per chi ci crede, che
fosse destino. Per quanto mi
riguarda, non mi sono mai posta
obiettivi di questo tipo anche se
una minuscola parte di me,
quella più sognatrice,
chiaramente ancora ci spera. Ciò
che mi fa muovere invece ogni
giorno è il sogno più concreto di
raggiungere un pubblico ampio
e di risolvere almeno in parte
qualcuno dei suoi pain. Ma
ALCUNI INGREDIENTI PER IL SUCCESSO
1. “It’s all about execution” è il refrain della Silicon Valley. Ma occorre costruire
un progetto avendo chiarezza di idee e basandosi su un business model solido
2. “Grazie al talento puoi vincere una partita ma ci vuole tutta la squadra per
vincere il campionato” (Michael Jordan) È più facile che un progetto abbia
successo se esiste il giusto mix di competenze nel team che lo porta avanti
3. Durante la prima fase di una start-up il valore è legato quasi esclusivamente al
potenziale di crescita, alle dimensioni del mercato accessibile e alla
“scalabilità” del progetto
4. Quanto più si chiede ora agli investitori (e implicitamente si valuta la società o il
progetto) tanto più domani si dovrà dimostrare di avere una valutazione ancora
più alta. Significa che si deve crescere molto e in fretta (“Go big or go home”)
5. Secondo una ricerca condotta dalla rivista Business Insider, il 60% degli
imprenditori afferma che la mancanza di un sufficiente paracadute finanziario
ad un certo momento è stato per loro un grave problema