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Introduzione alla geologia dell’Appennino Ligure-Emiliano
Piero Elter
L'Appennino Settentrionale risulta dalla sovrapposizione tettonica di due grandi insiemi, diversi per
litologia, struttura ed origine paleogeografica: un Insieme Esterno Umbro-toscano ed un Insieme Interno
Ligure-emiliano.
L'insieme Esterno è costituito essenzialmente da uno zoccolo continentale, appartenente alla Placca
Apula (Adriatico-Padana Auctt.) su cui poggiano, anche se scollate e deformate, le successioni
mesozoico-terziarie che ne rappresentano l'originale copertura sedimentaria.
L'insieme Interno consta di una serie di unità tettoniche che, per la presenza di ofioliti (rocce ignee
basiche ed ultrabasiche tipiche della litosfera oceanica) si sono invece originate in un oceano
estendendosi eventualmente anche sulla parte più assottigliata dei margini continentali adiacenti (vedere
i capitoli sulle ofioliti). Queste unità hanno comunque abbandonato il loro substrato originario, che è
scomparso in subduzione, per sovrascorrere da ovest verso est (vergenza appenninica) sull'Insieme
Esterno, che ha avuto ruolo di avampaese, costituendo perciò una coltre alloctona.
Da un punto di vista geodinamico più generale l'Oceano Ligure (o Ligure-piemontese se si tiene conto del
suo prolungamento nelle Alpi), da cui sono derivate queste unità, costituiva la separazione fra continente
iberico-europeo da un lato e continente apulo-africano dall'altro, i cui margini hanno rappresentato gli
avampaesi rispettivi delle Alpi e dell'Appennino. Dalla sua subduzione hanno avuto origine unità alloctone
obdotte con vergenza opposta, nell'una e nell'altra catena. La storia strutturale dell'Insieme Ligure-
emiliano è perciò complessa: una parte delle unità tettoniche che lo costituiscono, prima di essere
implicata nella tettonica miocenica a vergenza appenninica (apula), ha partecipato, nelle fasi deformative
precoci, anche a deformazioni alpine a convergenza principalmente europea.
L'insieme esterno umbro-toscano
Comprende diverse "zone" caratterizzate da successioni stratigrafiche simili tra loro che rappresentano la
copertura sedimentaria del margine apulo, vale a dire di quello sud-orientale originato dall'apertura
infracontinentale dell'Oceano Ligure. Questo fenomeno è stato preceduto da un processo di riftìng, in cui
la litosfera continentale ha subito una trazione che l'ha assottigliata meccanicamente, prima della sua
lacerazione.
Le successioni rispecchiano perciò un'evoluzione in cui da una situazione di rift continentale si passa a
quella di margine, prima passivo e poi attivo con l'inizio dell'orogenesi. A un Trias trasgressivo e spesso
evaporitico segue una serie di piattaforma al Giurassico inferiore. Lo sprofondamento e la fratturazione di
quest'ultima lascia il posto alla sedimentazione di calcari pelagici con batimetria variabile, che si
manifesta per la presenza di serie condensate accanto ad altre bacinali. Al Giurassico superiore in
seguito all'apertura oceanica compare la sedimentazione di Diaspri e Calcari a Calpionelle, che
dall'Oceano Ligure si estende anche sul margine continentale. Seguono poi (Cretaceo-Eocene) le marne,
in facies pelagica, della Scaglia, che ricoprono uniformando la morfologia del fondo marino, divenuto
tettonicamente passivo.
Infine al Terziario si verifica un avvenimento rivoluzionario: la sedimentazione che era stata finora
essenzialmente carbonatica, via via più pelagica e priva di significativi apporti terrigeni, diviene
improvvisamente clastica con potenti formazioni di torbiditi arenacee che compaiono prima nelle zone più
occidentali per poi spostarsi progressivamente verso quelle orientali.
Anche se alimentate longitudinalmente da rilievi relativamente lontani, il loro carattere di depositi di
avanfossa in relazione con l'avanzare dell'orogenesi nell'Appennino, è molto evidente ed anch'essi
prendono il nome di flysch (Macigno s.l.).
La differenza di età e di facies tra questi flysch costituisce uno dei caratteri più appariscenti che portano
alla distinzione dei due grandi domini in cui si suddivide l'insieme Esterno: il Dominio Toscano,
caratterizzato dalla Formazione del Macigno, e il Dominio Umbro, caratterizzato dalla Formazione
Marnoso-arenacea.
Dal punto di vista tettonico il Dominio Toscano comprende due unità sovrapposte (Toscanidi). Quella
inferiore affiora principalmente nella Finestra tettonica delle Apuane ed è costituita da una successione
metamorfica che comprende il basamento paleozoico e su questo tutta la copertura dal Trias fino al
Macigno (tradizionalmente ma erroneamente chiamato Pseudomacigno). Quella superiore è la Falda
Toscana, priva di un metamorfismo palese e costituita dall'accavallamento sulla prima di tutta la
successione di copertura a partire dalle evaporiti del Trias, fino ai potenti sedimenti torbiditici del
Macigno.
Il Dominio Umbro, anche se piegato, manifestamente scollato e avanscorso sul suo basamento (che
peraltro è conosciuto solo in sondaggio) è generalmente considerato come autoctono.
Per essere completi si deve aggiungere che, in una zona compresa fra il fronte della Falda Toscana (che
corrisponde approssimativamente al crinale appenninico) e il Dominio Umbro su cui esso si accavalla,
compare il Complesso arenaceo di M. Cervarola (Unità Cervarola).
Questo, anche se comprende alcuni elementi tettonici di origine probabilmente più interna, costituisce
essenzialmente una zona intermedia fra Macigno e Marnoso-arenacea (del Dominio Umbro).
La migrazione dell'avanfossa e l'Unità di Canetolo
L'età delle formazioni arenacee di cui al capitolo precedente, diviene progressivamente più recente dalla più
interna (SO) alla più esterna (NE).
Il Macigno risullta infatti compreso fra l'Oligocene medio e il Miocene inferiore, le Arenarie di M.Cervarola,
più esterne, vanno dall'Oligocene superiore a tutto il Miocene inferiore; la Marnoso-arenacea, ancora più
esterna, è interamente compresa nel Miocene medio. Si delinea così un'avanfossa di torbiditi che migra
progressivamente verso l'esterno, davanti all'avanzare del fronte orogenetico, in un primo tempo costituito
dalle Liguridi, poi anche dalla Falda Toscana. Questo carattere di avanfossa è evidenziato dall'arrivo dei
primi elementi alloctoni che si mettono in posto gravitativamente come frane sottomarine (olistostromi) o
addirittura come fronti di elementi tettonici che prima si intercalano, poi si sovrappongono alle arenarie del
bacino antistante. I primi elementi alloctoni sono costituiti dal "Complesso Subliguride" fra cui la cosidetta
"Unità di Canetolo", nella quale mancano quasi totalmente le ofioliti.
In realtà, a parte la sua suddivisione in elementi tettonici minori (sotto unità), questa falda è un complesso
composito nella cui successione compaiono almeno due gruppi di formazioni con grado di alloctonia diverso
(alloctone e semialloctone). Si può così distinguere un gruppo basale, che comprende le Argille e calcari di
Canetolo-Cirone (Paleocene-Eocene) e le formazioni calcaree del Groppo del Vescovo, di Vico e del Penice
(denominazioni locali e probabilmente variazioni laterali di uno stesso flysch eocenico a dominante
carbonatica), in cui è riconoscibile un'affinità ligure esterna e perciò una ben marcata alloctonia. Un secondo
gruppo comprende invece lembi di potenti formazioni arenacee (Arenarie di Petrignacola ed Arenarie di
Ponte Bratica), più estesi nelle parti più esterne della falda (vaI Parma, vaI d'Aveto) e ridotti a sporadiche e
sottili lenti altrove. Questi lembi per l'età compresa tra l'Oligocene inferiore e l'inizio del Miocene, e
prescindendo da un rilevante contenuto in clasti di vulcaniti andesitiche (peculiari delle Arenarie di
Petrignacola), si avvicinano molto di più ai flysch arenacei del Dominio Esterno.
Anche se i primitivi rapporti fra le formazioni dei due gruppi sono stati in parte modificati dalle vicissitudini
successive, che hanno prodotto anche una loro suddivisione in sotto unità tettoniche, pare certo che le
formazioni arenacee si siano sedimentate in discordanza sulla serie basale già mobilizzata.
L'origine dell'Unità di Canetolo rimane per alcuni aspetti ancora un po' enigmatica. Un'ipotesi suggestiva è
che si abbia a che fare con il contenuto di una prima avanfossa di flysch, situata all'interno del bacino del
Macigno toscano, in cui sopraggiungeva il primo fronte alloctono, costituito dalle Argille e calcari di Canetolo
e dai flysch calcarei eocenici associati. Su questo fronte si sedimentavano in discordanza i flysch arenacei di
Ponte Bratica e di Petrignacola (quest'ultimo alimentato da un rilievo in cui era attivo anche un vulcanismo
calco-alcalino). Il tutto doveva poi essere rimobilizzato nelle fasi tettoniche successive (fasi toscane) e
spinto, con il progredire dell'orogenesi, prima sopra al Macigno e poi (una volta individuata la Falda Toscana
e superato il fronte di quest'ultima mentre avanzava anche il grosso delle Liguridi) anche nella nuova
avanfossa rappresentata dal bacino del Cervarola.
Per questa ragione anche il "complesso del Cervarola" appare composito ed è interessato da vistose
manifestazioni di tettonica sinsedimentaria. I sedimenti propri della fossa, noti come Arenarie di M. Cervarola
(cui corrispondono più a N le formazioni di Pracchiola e quelle di San Salvatore), risultano infatti affetti da
una deformazione penecontemporanea la cui manifestazione principale è un progressivo rovesciamento in
sinforme del bordo interno del bacino sotto la spinta del fronte alloctono (toscano e ligure); il processo
avviene mentre continuano a giungere elementi associati alle Argille e calcari di Canetolo, provenienti dalla
prima avanfossa interna o anche strappati alla parte sommitale del Macigno.
Rapporti fra insiemi esterno (toscanidi) ed interno (liguridi) nell'appennino ligure-emiliano
Se si prescinde dai lembi di ricoprimento isolati dall'erosione e dalle finestre tettoniche, esiste una
grossolana corrispondenza fra il limite geologico, che corrisponde alla sovrapposizione delle Liguridi sulle
Toscanidi, e quello orografico-amministrativo (con la sola eccezione dei due promontori che delimitano il
Golfo di La Spezia) fra Toscana e Liguria. Questo limite corre poi subito a NE del crinale appenninico anche
fra Toscana ed Emilia. Gli elementi strutturali appartenenti al Dominio Esterno, cioè le unità del Dominio
Toscano, messi a nudo dall'erosione e forse anche dalle distensioni tettoniche tardive, affiorano perciò
prevalentemente in Toscana, mentre in Liguria ed Emilia sono di gran lunga dominanti i terreni dell'Insieme
Ligure e cioè le Unità Liguri alloctone.
Questa disposizione ha evidentemente un significato strutturale ed è schematizzata nel blocco-diagramma
della Fig. 1. La successione triassico-oligocenica della Falda Toscana, insieme alla sottile coltre dell'Unità di
Canetolo, costituisce i due promontori spezzini e gran parte dei Monti della Lunigiana e della Garfagnana,
avvolgendo come una sciarpa l'elevato nucleo metamorfico delle Apuane ed essendo avviluppata a sua
volta dalle Unità Liguri.
Fig. 1 - Schema della sovrapposizione tettonica delle principali unità presenti nell’Appennino Settentrionale.
La Finestra delle Apuane appare perciò come una culminazione strutturale, denudata dall'erosione, e
circondata da una serie di involucri concentrici costituiti dalle varie unità tettoniche sovrastanti. Nel
complesso si tratta di un andamento di tipo periclinale dovuto all'immersione assiale verso NO con cui le
Apuane e le altre unità del Dominio Toscano si immergono al di sotto della immensa coltre alloctona ligure.
Questa struttura, che costituisce l'ossatura principale della catena, e che è accompagnata da strutture minori
con comportamento analogo, è complicata da sistemi di faglie distensive di direzione appenninica che
l'hanno in parte collassata originando al suo interno dei graben in cui sono conservate le coperture tettoniche
liguri. Il maggiore di questi graben corrisponde all'alta valle della Magra ed è stato anche la sede dei "laghi
villafranchiani" di Pontremoli e di Olivola. A NO del Golfo di La Spezia e della Lunigiana le strutture toscane
scompaiono, come si è detto, al di sotto delle Liguridi che dominano quasi incontrastate in tutto l'Appennino
Ligure-emiliano. Questa grande coltre alloctona è interrotta solamente da alcune Finestre dove l'erosione ha
messo a nudo strutture appartenenti all'insieme sottostante (Fig. 1).
La Finestra di M. Zuccone, nell'alta valle del Taro, mostra un'anticlinale in cui l'Unità di Canetolo sormonta la
parte superiore del Macigno toscano, dopo aver alimentato alcuni olistostromi in quest'ultimo. Nella Finestra
di Bobbio, al di sotto di un impilamento di sottounità appartenenti all'Unità di Canetolo, il F. Trebbia ha
profondamente inciso un complesso ben correlabile con quello del Cervarola. Il motivo strutturale è
rappresentato da una sinclinale plurichilometrica che ripiega le Arenarie di San Salvatore. Il fianco interno
rovesciato di questa struttura è tagliato in discordanza dall'arrivo penecontemporaneo di elementi alloctoni
dell'Unità di Canetolo, accompagnati da lembi di formazioni provenienti dalle parti più interne della stessa
avanfossa (Sotto Unità di Coli). Nella Finestra di Salsomaggiore infine, posta quasi al margine della Pianura
Padana, affiora un flysch arenaceo miocenico medio che potrebbe rappresentare un lontano prolungamento
della formazione Marnoso-arenacea umbra.
La presenza di queste finestre dimostra la generale alloctonia dell'insieme Ligure dal mare fino alla Pianura
Padana e, in una certa misura, il continuare, al di sotto di questa coltre, delle zone paleogeografico-strutturali
in cui l'insieme Esterno è stato suddiviso più a SE.
L'insieme interno (o Dominio) ligure
Comprende due domini detti rispettivamente Ligure Interno e Ligure Esterno (Liguridi), separati da un
contatto tettonico lungo il quale il primo si accavalla solo parzialmente sul secondo, poggiando per il resto
anche direttamente sulla Falda Toscana con l'interposizione della sola Unità di Canetolo.
Pur essendo entrambi caratterizzati dalla presenza di ofioliti, queste assumono un diverso significato nell'uno
e nell'altro dominio. Le Liguridi Interne hanno caratteristiche sicuramente oceaniche in quanto le maggiori
masse ofiolitiche si trovano ancora in posizione primaria alla base della successione sedimentaria: esse
rappresentano pertanto frammenti del fondo marino mesozoico. I primi sedimenti che le ricoprono e che
datano l'apertura dell'oceano, sono diaspri del Giurassico superiore.
Nelle Liguridi Esterne non si conoscono ofioliti che costituiscano sicuramente la base della successione,
essendo questa ultima scollata dalla sua originaria base evidentemente in corrispondenza di formazioni
argillose del Cretaceo medio-superiore (i cosiddetti "Complessi di base"). Le ofioliti compaiono invece come
masse, anche di dimensioni plurichilometriche (talvolta accompagnate da residui di una copertura
giurassico-cretacica mt.), scivolate in gran parte nel bacino di sedimentazione ligure del Cretacico sup. e
pertanto intercalate in quei sedimenti. Esse sono sempre accompagnate da un vistoso detritismo
sottomarino (debris-flows, slides blocks, ecc.) costituito da un misto di elementi ofiolitici e sedimentari e sono
esse stesse da considerarsi come megaclasti rimaneggiati.
Queste ofioliti dislocate ed in un certo senso estranee alla successione, mentre non danno alcuna
indicazione sulla natura del substrato originario del bacino, sono invece un indizio della vicinanza di un
rilievo oceanico tettonicamente attivo, situato verosimilmente al limite fra Ligure Interno ed Esterno.
A questo rilievo ipotetico, i cui primi prodotti compaiono dall'inizio del cretaceo superiore e che avrebbe in
qualche modo separato i due domini, è stato dato il nome di "Ruga del Bracco".
Il Dominio Ligure Interno
Comprende tre unità tettoniche sovrapposte: l'Unità Colli Tavarone-Serò, l'Unità Bracco-Val Graveglia e
l'Unità Gottero. (Supergruppo della Vai di Vara Auct.)
Nell'Unità Bracco-Val Graveglia è rappresentata la parte basale della successione con le ofioliti: queste
compaiono spesso come nuclei di grandi pieghe coricate, sormontate dalla loro copertura sedimentaria (si
veda il capitolo sulle ofioliti).
Fra le ofioliti si puo distinguere una "base" di peridotiti con inglobate masse magmatiche di gabbri ed
ultramafiti cumulitiche. Su questo substrato, già deformato in ambiente oceanico, poggiano in discordanza i
basalti che sono invece concordanti con i sedimenti soprastanti e fanno perciò parte della copertura. Le
condizioni sono quelle di un fondo accidentato da un'attività tettonica precoce collegabile con le fasi iniziali di
apertura e di espansione oceanica. Ne sono indizi le rapide variazioni di spessore, la marcata discontinuità
dei basalti e la presenza di detritismo ofiolitico (oficalciti, Brecce di case Boeno, di M. Capra, M. Rossola, M.
Zenone, ecc.) che denota la presenza di scarpate attive.
La copertura sedimentaria è costituita alla base da Diaspri del Giurassico superiore in parte intercalati ai
basalti.
Questi sono seguiti da Calcari a Calpionelle nel Cretaceo basale e poi da argille profonde cui si intercalano
strati di calcilutiti torbiditiche (Argille a palombini) che si estendono fino all'inizio del Cretaceo superiore.
I termini inferiori di questa successione risentono ancora della morfologia irregolare del fondo oceanico, con
discontinuità e rapide variazioni di spessore tendenzialmente coincidenti con quelle dei basalti. Queste
condizioni perdurano fino all'inizio del cretaceo ma cessano con le Argille a palombini che livellano le
asperità, sedimentandosi uniformemente su tutto il fondo.
Infine la successione termina con forte discontinuità nella sedimentazione a causa del contatto tettonico con
le altre unità, oppure perché sormontata in discordanza e profondamente canalizzata da una formazione
caotica di età paleocenica (Formazione di Colli-Tavarone) contenente blocchi e debris flows di ofioliti e di
elementi della loro copertura sedimentaria (anche piu recenti delle Argille a palombini). Questo nuovo
detritismo ofiolitico, che come vedremo è comune anche alle altre Unità Liguri Interne, si differenzia
nettamente dal precedente e appare come la ripercussione di movimenti orogenetici convergenti e della
surrezione di nuovi rilievi che potrebbero rappresentare un'ulteriore evoluzione della cosiddetta "Ruga del
Bracco" (da non confondere con l'U. Bracco).
Le Unità Gottero e Colli Tavarone(-Serò) sono invece costituite da successioni scollate, in genere in
corrispondenza delle Argille a palombini, e comprendono anche termini più recenti che non compaiono
nell'Unità Bracco-Vai Graveglia.
Nell'Unità Gottero le Argille a palombini sono seguite, a partire dal Santoniano, dalla Formazione della Val
Lavagna che passa a sua volta alle Arenarie di M. Gottero (Campaniano sup.-Maastrichtiano). Si tratta di
due potenti formazioni torbiditiche, prima in facies distale e poi decisamente prossimale con alimentazione
meridionale (Massiccio Sardo-Corso?).
Nell'Unità Colli-Tavarone(-Serò) le Argille a palombini sono sormontate dai soli Scisti della VaI Lavagna e
solo localmente da pochi strati di Arenarie del Gottero.
Ambedue le successioni si chiudono a tetto con la comparsa degli "scisti a blocchi" paleocenici che
contengono clasti ofiolitici e sedimentari, apparentemente più prossimali nell'Unità Colli-Tavarone(-Serò)
(Formazione di Colli-Tavarone) e più distali in quella del Gottero (Formazione di Giaiette).
Il Dominio Ligure Esterno
Vi si distinguono abitualmente dei Complessi di base (vedere più avanti), di età per lo più compresa fra
l'Albiano ed il Campaniano inferiore (ma che in certi casi sale anche più in alto), e delle formazioni
torbiditiche a dominante calcarea conosciute come flysch ad elmintoidi (Campaniano-Paleocene). Queste,
solo nella fascia più esterna, sono seguite da altri flysch, anch'essi calcarei, di età paleocenico-eocenica.
Questo dominio comprende esclusivamente unità alloctone che, scollate principalmente nei Complessi di
base, hanno abbandonato completamente il loro substrato originario, che pertanto non è conosciuto e la cui
natura totalmente o parzialmente oceanica, oppure continentale assottigliata, è soltanto oggetto di ipotesi.
La lunga storia tettonica precedente, contemporanea e posteriore alla sua messa in posto sull'insieme
Esterno, ha scomposto questo dominio, separandone talvolta i diversi termini della successione, in unità
tettoniche variamente impilate o giustapposte tra loro. Queste, pur essendo collegate da una evidente
"parentela", mostrano anche differenze tali nella litologia o nelle sequenze che hanno permesso di
identificarle, benché i rapporti paleogeografici originari non siano sempre di facile ricostruzione.
In linea di massima si possono distinguere due Zone paleogeografiche principali.
Una, costituita dalla fascia piu direttamente in contatto con le Liguridi Interne, ha caratteristiche più
marcatamente liguri. Vi compare un Complesso di base (Complesso M. Penna-Casanova-M. Veri), in parte
eteropico di un flysch ad elmintoidi (Flysch di Ottone), caratterizzato da un abbondante detritismo con
enormi olistoliti, olistostromi e torbiditi provenienti da altre successioni ofiolitiche (ofioliti e loro copertura
sedimentaria).
Nella zona più esterna, chiamata anche Emiliana (o Ligure-emiliana per le situazioni intermedie), compaiono
invece unità tettoniche (M. Caio, Solignano, M. Cassio, ecc.) in cui i clasti ofiolitici diventano una
componente occasionale o sono addirittura assenti. Nei “Complessi di base" compaiono invece estese
formazioni terrigene silicoclastiche, quali le Arenarie di Ostia e di Scabiazza, di provenienza continentale.
Fra queste sono particolarmente noti i Conglomerati dei Salti del Diavolo (Campaniano inf.) ai cui ciottoli è
stata da tempo attribuita una provenienza da settori nord-occidentali del promontorio continentale apulo-
austroalpino (sudalpino-Zona Insubrica).
Infine, mentre nella zona più interna la sedimentazione termina con il flysch ad elmintoidi alla fine del
Maastrichtiano o all'inizio del Paleocene, nella Zona Emiliana la successione si completa con potentissimi
flysch paleocenico-eocenici che, dopo essersi parzialmente sedimentati sul flysch ad elmintoidi, sono stati in
buona parte scollati per costituire unità a se stanti (M. Sporno, Farmi d'Olmo, Val Luretta, Pietra dei Giorgi,
ecc).
E’ probabile che fra queste due zone, caratterizzate soprattutto da apporti detritici di provenienza opposta,
esistesse un originario rapporto di eteropia. Questo è tuttavia mascherato dalla presenza di una zona
intermedia (Zona di Berceto o della Media vai Taro), con significato soprattutto tettonico, in cui ad elementi di
"complessi di base" di tipo esterno (Arenaria di Ostia, Argille di San Siro) se ne associano altri con grandi
masse di ofioliti, verosimilmente di origine interna e riallacciabili alla Successione M. Penna-Casanova-M.
Veri (Unità Ottone-casanova).
Ricostruzione bidimensionale delle unità tettoniche citate
L'evoluzione tettonica
L'edificazione del settore settentrionale della Catena appenninica è il risultato di una storia strutturale
complessa le cui fasi possono essere raggruppate in due cicli principali ben distinti fra loro.
Il primo comprende le cosiddette Fasi liguri ed ha interessato esclusivamente l'insieme interno, prima che si
verificasse la sua traslazione sull'avampaese toscano. Esso si conclude con la "trasgressione" eocenica
superiore-oligocenica del Bacino Terziario Piemontese sulle Liguridi Interne e del suo corrispondente (un pò
più distale), rappresentato dalla Successione Epiligure, sul Liguride Esterno.
Il secondo ciclo comprende le Fasi dette toscane (che si manifestano per tutto il Miocene) e corrisponde alla
messa in posto delle Liguridi, in gran parte già strutturate nel ciclo precedente, sull'insieme Esterno e alla
contemporanea evoluzione tettonica di quest'ultimo.
Questo ciclo in Toscana si conclude, nel Tortoniano sup., con la trasgressione del Bacino Neoautoctono del
volterrano, che segna qui la fine delle traslazioni orizzontali. La Fase toscana è seguita da manifestazioni di
tettonica distensiva che si traducono in grandi faglie, parallele alla costa tirrenica, ed in evidente relazione
con l'apertura di questo mare.
Nei domini più esterni continua invece la tettonica compressiva con estesi piegamenti e con ulteriori
traslazioni, almeno in parte gravitative, della coltre ligure.
Le ultime deformazioni interessano il Pliocene inferiore e sono ancora riconoscibili nelle strutture frontali
sepolte sotto la Pianura Padana.
Evoluzione tettonica del Ligure Interno
La tettonica del Dominio Ligure Interno si differenzia da quella del Ligure Esterno soprattutto per una
maggiore deformazione delle strutture che si palesa anche in un leggero metamorfismo in facies da anchi a
epizonale.
A parte la traslazione certamente più tardiva che ha portato la falda del Gottero a sopravanzare le sottostanti
Unità Bracco e Colli-Tavarone (-Serò) per sovrascorrere direttamente, per oltre trenta chilometri, sul Ligure
Esterno o addirittura sulla Falda Toscana, l'essenziale della tettonica precede la deposizione del Bacino
Terziario Piemontese ed è perciò interamente ascrivibile alle Fasi liguri.
Questa tettonica è strettamente dipendente da quella delle vicine Alpi Occidentali e Marittime a cui le Liguridi
Interne sono del resto saldate dal bacino terziario stesso.
Le prime deformazioni del fondo oceanico, di cui la sola testimonianza nell'Appennino è rappresentata dal
detritismo ofiolitico, sono forse correlabili con la più documentata tettonica eoalpina delle Alpi.
Le deformazioni più visibili, sigillate dalla trasgressione eocenica sup.-oligocenica, sono invece chiaramente
coeve con quelle mesoalpine tanto più che, come nelle Alpi Marittime, l'edificio è sormontato da una falda di
flysch ad elmintoidi: la Falda di M. Antola.
L'evoluzione tettonica si è sviluppata in tre fasi. La prima, caratterizzata da pieghe isoclinali compresse e
sinmetamorfiche, corrisponde alla formazione di un primo impilamento di Unità Liguri Esterne su cui
sovrascorre anche l'Unità di M. Antola. Soprattutto per analogia con le Alpi, appare probabile che questa
prima fase abbia avuto una vergenza europea.
Una seconda fase è consistita in un ulteriore raccorciamento che ha ripiegato i contatti tettonici formati nella
fase precedente.
La terza fase corrisponde a delle superfici di taglio lungo cui si sono verificati dei sovrascorrimenti in senso
opposto (retrocarreggiamenti) che hanno ancora modificato la geometria portandola ad una situazione ormai
simile all'attuale. In effetti, a parte alcuni scorrimenti più tardivi, attribuibili alle Fasi toscane, come quello già
menzionato della Unità Gottero, la catena non subirà modifiche sostanziali negli sviluppi orogenetici
successivi.
Evoluzione tettonica del Ligure Esterno
Le Unità Liguri Esterne sono apparentemente meno intensamente deformate, in quanto prevalgono le
pieghe aperte a grande raggio e solo raramente si osserva una scistosità penetrativa.
Il contatto fra Ligure Interno ed Esterno si presenta come una superficie di accavallamento, relativamente
raddrizzata, che corre approssimativamente lungo una linea che va da Ottone, in Vai Trebbia, fino a Sarzana
e oltre.
Questa è superata solo dal locale, anche se esteso, avanscorrimento della già citata Falda di M. Gottero. Al
di sotto di questa superficie il margine interno del flysch ad elmintoidi (Zona Ottone-S. Stefano-Zignago)
appare rovesciato in probabile relazione con l'accavallamento citato. Si tratta però di un motivo ricorrente
nello stile tettonico del Ligure Esterno che si ritrova anche altrove.
Fra le deformazioni che interessano le unità di tutto il flysch ad elmintoidi sono state certamente prevalenti le
grandi pieghe coricate come mostra la grande estensione longitudinale e trasversale di serie rovesciate che
compaiono lungo tutte le sezioni. Queste serie rovesciate mancano frequentemente di un raccordo con i
rispettivi fianchi normali, senza che esistano sintomi di un'erosione che ne abbia determinato la scomparsa.
Si tratta più probabilmente di pieghe che sono state smembrate da una tettonica verosimilmente gravitativa,
che ha separato i fianchi inversi da quelli normali. In questo processo è stata probabilmente determinante la
presenza al nucleo delle pieghe delle formazioni argillose e caotiche che costituivano i "complessi di base".
Si hanno così successioni diritte o rovesciate, che sono andate a costituire delle unità tettoniche indipendenti
di cui non è sempre facile ricostruire l'organizzazione e la provenienza originaria, anche se continuità
longitudinale, posizione geometrica e caratteristiche lito logiche permettono di distinguerle.
Introduzione alla geologia dell'Emilia-Romagna
di Giorgio Zanzucchi
Per comprendere compiutamente i processi geologici, e in particolare quelli che danno origine ai rilievi
montani che oggi vediamo, occorre predisporre la mente ad accettare concetti che non sono sempre
intuitivi o sufficientemente noti.
Richiamiamoli qui brevemente, rimandando per una più
completa esposizione ai capitoli che trattano le forze della
natura e le rocce.
I continenti che "galleggiano" su di un profondo substrato,
costituito da rocce ad alta temperatura, vengono trascinati
passivamente da correnti convettive che hanno sede appunto
nella parte superiore del mantello terrestre (astenosfera), a
profondità variabili tra 50 e 250 chilometri. Questi lenti
movimenti sono responsabili della separazione di zolle
continentali, come anche della loro collisione.
Quei fanghi e sedimenti che si trovano intrappolati nella morsa
delle placche continentali, vengono corrugati, profondamente
deformati, strizzati o addirittura scollati e spostati di chilometri dalla loro sede originaria. Altri vengono
inghiottiti in profonde fosse e poi riciclati, trasformati e rifusi in allungate zone di subduzione che
partecipano alla parte discendente delle correnti convettive.
Quanto detto sopra non deve tuttavia fare pensare che solamente i fanghi e i sedimenti imbevuti di acqua
(marina) possano deformarsi e piegarsi, occorre invece considerare come il fattore tempo influisca in modo
determinante sulla "plastificazione" di rocce durissime, quando queste siano sottoposte a sforzi continui che
agiscano con una lentezza quasi inconcepibile, provocando spostamenti anche di pochi millimetri all'anno.
È solo rendendosi ben conto che ciò avviene in tempi geologici, misurati in milioni di anni, che si possono
comprendere da una parte le azioni di minuto modellamento delle rocce e dall'altra gli scorrimenti e gli
accavallamenti su aree estesissime e su distanze di decine e centinaia di chilometri.
Nei brevi tempi storici dell'uomo non possiamo prendere coscienza di ciò, avvertendo soltanto gli sporadici
sussulti di un incessante movimento sotto forma di terremoti o eruzioni vulcaniche.
Occorre infine, sempre e comunque, considerare i processi geologici in continua evoluzione e
concomitanza: così ad esempio è importante tener presente che ad ogni emersione di masse rocciose
corrisponde l'immediata aggressione da parte degli agenti esogeni, con conseguente degradazione,
trasporto e conclusiva deiezione dei materiali clastici nelle aree più depresse o nei bacini marini a formare
nuovi complessi sedimentari.
In questo capitolo si vuole tentare di schematizzare l'evoluzione geologica del territorio regionale e
tratteggiare quelli che si ritengono i principali fatti che hanno formato e deformato quelle rocce che ora
costituiscono i nostri rilievi appenninici. È quasi superfluo ricordare che, al di sotto dei nostri abitati, delle
nostre strade, delle nostre campagne e montagne, sono sempre presenti quelle stesse rocce che vediamo,
poco più lontano, affiorare nelle scarpate o lungo i corsi d'acqua.
Nella parte occidentale della Regione (Tav. 1) hanno grande sviluppo le formazioni alloctone cosiddette
Liguridi, mentre in quella orientale, dalla valle del Santerno in poi, hanno predominio le formazioni
autoctone delle unità tosco-umbro-romagnole. Le prime sono costituite da rocce di varia natura,
sedimentate in un profondo mare (Bacino ligure) ubicato tra l'odierna Corsica e la costa tirrenica, in un
periodo di tempo compreso tra il Giurassico superiore e l'Eocene medio, cioè tra 150 e 45 milioni di anni fa
circa. Soprattutto nella fascia montuosa ligure-emiliana, sono frequenti anche le rocce derivate dalla
solidificazione di lave basaltiche sottomarine, legate alle dorsali oceaniche, e perfino "scaglie" di un
profondo e antico substrato (mantello), che per il loro colore scuro e verdastro (ofioliti) e per la loro
resistenza alla erosione, ora spiccano nel paesaggio dell'alto e medio Appennino. Sono le uniche rocce non
sedimentarie, insieme a pochi blocchi di granito, che vengono classificate come "ignee", cioè solidificate da
"fusi" superficiali e/o profondi.
Tav. 1 . Schema geologico semplificato dell'Appennino settentrionale nel quale vengono indicati i principali
protagonisti della struttura geologica del territorio emiliano-romagnolo. Le linee più spese indicano i contatti
tettonici importanti (da Mutti et.al. 1975, semplificata)
Unità Umbro-Marchigiane
Complesso M. Modino-M-Cervarola
Unità Toscane
Depositi neoautoctoni
Sucessione epiligure
Unità liguri
Le seconde comprendono una successione di rocce esclusivamente di origine sedimentaria e di natura
prevalentemente carbonatica, depositate in ambiente meno profondo con precipitazione di gessi, anidriti e
cloruri a seguito dell'esteso processo di evaporazione di un grande mare. Verso la fine dell'Era Mesozoica
si ebbe una lentissima deposizione di fanghi rossi che proseguì anche nella prima parte dell'Era Terziaria,
preparando il letto alle arenarie del Macigno e della Marnoso-arenacea.
Queste due diverse successioni litologiche (di rocce) prendono la denominazione di Dominio ligure
(alloctono) e Dominio toscano (autoctono) (Tav. 2).
TAV. 2. Evoluzione geologica dei versante emiliano dell'Appennino
settentrionale da 25-30 milioni di anni ad oggi. Numeri uguali di
asterischi indicano uguali porzioni rocciose. la diversa colorazione
distingue l'autoctono dall'alloctono e ripete quella dello schema
geologico di tav. 1.
La catena alpina era in gran parte "strutturata" e in via di lento sollevamento, quando il mare copriva ancora
la futura "dorsale appenninica" in formazione. Questa stava ricoprendosi di depositi sabbiosi, prima di essere
invasa da occidente da chilometri e chilometri cubi di altre rocce e di fanghi non ancora bene litificati (cfr.
"alloctono liguride").
Evoluzione geodinamica della regione nel quadro geologico della penisola italiana
Nel periodo che va da circa 25 milioni di anni fa ad oggi, che vide gran parte delle unità del Dominio ligure
(Liguridi) riversarsi sulla "Placca Apulia" (o Placca insubro-padana) ancora in gran parte sommersa dal
mare, tutto il nostro territorio si stava deformando come strizzato in una colossale morsa tra l'Europa e
l'Africa, ruotando inoltre da occidente ad oriente, con un fulcro più o meno ubicato nell'odierna Liguria (Tav.
3).
Tav. 3. Evoluzione spaziale e temporale
della rotazione antioraria della "catena
appenninica" in formazione da 30
milioni di anni ad oggi (da Rehault,
mascle e Boillot, 1984)
Il blocco sardo-corso, che già si era staccato dalla Spagna e dalla Francia una trentina di milioni di anni fa,
continuò a ruotare in senso antiorario fino a raggiungere la sua attuale posizione intorno a 18 milioni di anni
or sono mentre la sua appendice meridionale continuò a migrare fino a posizionarsi all’estremo sud della
penisola (Calabria e Sicilia).
Tutti questi fenomeni si svilupparono negli ultimi 6-7 milioni di anni, fintanto che l'ossatura del nostro paese
non emerse definitivamente dal mare, ricoperta, a guisa di una muscolatura, dalle "crete" e dalle sabbie che
erano il prodotto più diretto della erosione della catena stessa e sedimentate in quel mare che la circondava
ad ovest, a sud e ad est.
La nostra penisola prendeva forma e da quella specie di arcipelago che era, divenne la nostra terra.
La catena ligure, l'avampaese tosco-romagnolo e l’avanfossa padana
Per l'effetto "morsa" e per le rotazioni verso est dei bacini marini in via di colmamento, ad iniziare da circa 25
milioni di anni or sono, a causa dell'avanzare della catena ligure verso oriente, il fondale autoctono che ne
veniva ricoperto si andava deprimendo schiacciato dall'enorme peso (Tav. 2). Esso era inoltre
contemporaneamente percorso da veloci masse d'acqua, torbide per l'elevato contenuto in sabbie, che
provenivano da lontani settori nord-occidentali (vedere freccia puntolata in Tav. 2) sui quali probabilmente
"parcheggiavano" in vaste e instabili aree sottomarine. Questi (ri-) sedimenti sabbiosi (torbiditi) accumulati in
allungate fosse marine parallele al fronte della sommersa "catena ligure" avanzante, si depositarono con
spessori di molte centinaia di metri ed estensione di migliaia di chilometri quadrati.
Dalla cartina geologica (Tav. 1), dallo schema evolutivo (Tav. 2) e da quanto sopra anticipato, si desume
che nell'Appennino settentrionale e, quindi, nella nostra regione, coesistono due enormi "insiemi" di rocce
aventi origine e storia diverse. Uno di questi, alloctono, proviene da zone estranee a quella nella quale oggi
si trova (Unità liguri); l'altro, rimasto più o meno ancorato al suo substrato (Unità toscane), è ampiamente
ricoperto dal primo.
Le Unità liguri, con ofioliti, sono presenti con grande estensione nel settore occidentale della regione (Tav.
1), dalla Liguria e dall'Oltrepò pavese fino all'Appennino bolognese; le Unità toscane occupano tutto il crinale
emiliano dal Passo di Cirone (PR) a SE del Passo della Cisa, fino alla valle del Torrente Sillaro (BO), da
dove si estendono verso nord a comprendere la montagna e collina forlivese e proseguono verso SE oltre la
valle del Torrente Marecchia.
Da questa sintetica panoramica, risalta la grandiosità del fenomeno di ricoprimento tettonico delle Unità liguri
alloctone (si tratta di decine di migliaia di chilometri cubi di roccia!) su quelle toscane (e umbro-marchigiane)
autoctone. Questo fatto, ormai perfettamente dimostrato da decenni di ricerche geologiche, va completato
con un'ulteriore importante informazione circa le modalità di "messa in posto" delle unità alloctone e i tempi
del loro movimento (Tav. 2). I primi sedimenti arenacei (Macigno) delle Unità toscane furono ricoperti per
fenomeni tettonici dalle Unità liguri, intorno a 30 milioni di anni fa in quella parte del bacino (marino) toscano
che ora si trova affiorante sulle coste del Mar Ligure e del Mar Tirreno settentrionale.
Il Macigno del crinale appenninico, invece, venne "invaso" più tardi, dopo circa cinque milioni di anni, mentre
le arenarie più esterne (cfr. arenarie del Cervarola e Marnoso-arenacea romagnola) furono ricoperte dai 20
ai 10 milioni di anni fa e, ancora dopo, quelle affioranti sul bordo appenninico romagnolo. L’ampiezza media
di tale bacino marino, detto "avanfossa", non poteva essere inferiore ai 150-200 chilometri nel senso
dell'avanzata delle unità alloctone, per cui risulterebbe una velocità (!) del ricoprimento da parte delle Unità
liguri, di circa un cm all'anno.
Assolutamente importante sottolineare che tale gigantesco fenomeno di ricoprimento da parte delle Unità
liguri, avveniva in ambiente sottomarino, come dimostrato dai sedimenti marini deposti su di esse. Di mano
in mano che queste unità alloctone sovrascorrevano sopra il Macigno e poi sulla Marnoso-arenacea (Tav. 2)
ne interrompevano la sedimentazione sabbiosa alimentata dai quadranti occidentali tramite correnti di
torbidità.
I sedimenti marnosi e arenacei che si depositavano sulle Unità liguri in movimento verso nord-est, sotto il
livello del mare, prendono il nome di "Epiliguri" o anche di "Successione Ranzano-Bismantova" (Tavv. 1 e 2).
Il sollevamento della Catena appenninica
L’avanzata del ricoprimento ligure terminò in tempi diversi da luogo a luogo, ma quasi sempre in
corrispondenza della odierna fascia collinare, in un periodo di tempo compreso tra i 10 e i 5 milioni di anni fa,
dopo di che partecipò insieme al substrato autoctono a nuovi fenomeni di sollevamento e sovrascorrimento
verso la zona padana (fig. 1). È così che durante e dopo queste ultime fasi tettoniche, iniziò il lentissimo
sollevamento dell'edificio geologico così strutturato, ad iniziare dal lato tirrenico con progressione graduale
verso l'odierna Pianura Padana, allora occupata dal mare plio-pleistocenico.
FIG. 1. Il fronte di scorrimento tettonico delle arenarie di Monte Cervarola, presso Rocca
Corneta nell'alto Appennino bolognese. Sullo sfondo Sestola col suo castello (foto
Zanzucchi).
I tempi di questi sollevamento sono lentissimi, valutabili in frazioni di millimetri all'anno! Già dal primo
elevarsi al di sopra del livello del mare, l'erosione inizia a intaccare profondamente quelle dorsali in
emersione, esponendo i detriti della catena in formazione all'attività di trasporto dei primi corsi d'acqua
appenninici.
Nella "avanfossa padana", cioè in quella depressione ancora in parte occupata dal mare (Adriatico) tali detriti
(fini e grossolani), drenati dai rilievi, iniziano a costruire quei delta (conoidi) che andavano ad "affogarsi" ed
esaurirsi nel mare o più spesso nelle paludi padane. Il sommarsi di questi fenomeni a quelli già sviluppati nel
versante alpino portò al completo colmamento del "Golfo padano".
In questo ultimo mezzo milione di anni, nella Catena alpina colossali fenomeni di glacialismo svilupparono
"lingue glaciali" che, arrivando fino alla Pianura Padana, costruirono grandiosi anfiteatri morenici, all'interno
dei quali potevano poi formarsi estese conche lacustri come quella del Lago di Garda e degli altri laghi
subalpini.
FIG. 2. La conca giacio-nivale di "Lama di Mezzo" (Monte Sillano-Il Monte) nell'alto
Appennino reggiano. Sullo sfondo, il Monte Ventasso e la Val Secchia (foto Zanzucchi).
Sull'Appennino la fase glaciale ebbe sviluppo molto tempo dopo, tra i 70.000 e i 10.000 anni fa (fase Val
Parma cfr. Wurm), in quanto l'altezza della Catena non era ancora tale da permettere l'accumulo nivale
necessario per l'alimentazione delle lingue glaciali (fig. 2). È tuttavia da segnalare che in alcune valli
appenniniche sono noti depositi morenici lasciati da ghiacciai di notevoli dimensioni, come ad esempio in Val
Parma, ove tali tracce consentono di ricostruire un apparato paragonabile all'attuale ghiacciaio della Brenva
o del Miage, nel massiccio del Monte Bianco.
RAPPORTO
DISSESTO
IDROGEOLOGICO
IN ITALIA 2018
popolazione
industrie e
servizi
beni
culturali
famiglie
edifici
COMUNI
RISCHIO FRANE RISCHIO ALLUVIONI
1.281.970 6.183.364
2,2%* 10,4%*
82.948 596.254
1,7%* 12,4%*
11.712 31.137
5,8%* 15,3%*
550.723
3,8%*
538.034 2.648.499
2,2%* 10,8%*
1.351.578
9,3%*
7.275
91,1%+
SU UNA SUPERFICIE NAZIONALE
DI 302.066 KMQ IL 16,6% È MAPPATO
NELLE CLASSI A MAGGIORE PERICOLOSITÀ
(50.117 KMQ)
* % RIFERITA AL TOTALE ITALIA
Fonte dati: Elaborazione ISPRA su Mosaicature nazionali di pericolosità per frane e alluvioni, ISPRA 2017
15° Censimento popolazione e abitazioni, ISTAT 2011
9° Censimento industria e servizi, ISTAT 2011; Vincoli in Rete, ISCR 2018
Bologna, 14 Novembre 2008
cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
Servizio Geologico
• Terminologia
• Utilizzo della cartografia ( Pianificazione e gestione del territorio)
• Prospettive future
• Cartografia
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cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
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Landslide: the movement of a mass of rock, debris or earth down a slope
(Cruden 1991)
• Il termine inglese è traducibile in italiano con “Franamento” o con
“Frana”, e ciò ha generato una certa confusione terminologica:
•Franamento: movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante;
•Frana: deposito di roccia, terra o detrito generato da un franamento;
1.Terminologia : Cosa è una frana
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cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
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La classificazione per tipologia di movimento usata dalla RER è quella di
segue le indicazioni di Cruden & Varnes, 1996, riprese e leggermente
modificate dal Progetto IFFI – Inventario dei fenomeni franosi in Italia;
•Crollo
•Ribaltamento
•Scivolamento rotazionale
•Scivolamento traslativo
•Espansione
•Colamento lento
•Colamento rapido
•Sprofondamento
•Complesso
2.Terminologia : Classificazione tipologica dei fenomeni franosi
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Colate di detrito : 0.2 %
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Crolli e ribaltamenti : <1 %
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Colamenti di fango : 26.2 %
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Scorrimenti rotazionali e traslativi : 49,8 %
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Frane complesse : 23,3 %
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3. Terminologia : Classificazione per stato di attività dei fenomeni
franosi ( da Cruden & Varnes)
• attiva: attualmente in movimento
• sospesa: si è mossa entro l’ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente
• riattivata: di nuovo attiva dopo essere stata inattiva
• inattiva: si è mossa per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale.
Le frane inattive si possono dividere ulteriormente in:
• quiescente: frana inattiva che può essere riattivata dalle sue cause originarie
• naturalmente stabilizzata: frana inattiva che è stata protetta dalle sue cause originarie
senza interventi antropici
• artificialmente stabilizzata: frana inattiva che è stata protetta dalle sue cause originarie da
apposite misure di stabilizzazione
• relitta: frana inattiva che si è sviluppata in condizioni geomorfologiche o climatiche considerevolmente
diverse da quelle attuali.
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Servizio Geologico
Problemi relativi alla classificazione per stato di attività:
1. Le Frane attive “scadono” dopo 1 anno;
Rimedio:
Nella Cartografia della AdB del Fiume Po le Frane attive restano tali per 30
anni convenzionalmente dopo l’ultima riattivazione/attivazione;
Nella cartografia regionale lo stato di attività non viene aggiornato
annualmente
Nella Cartografia Regionale le frane attive sono in realtà da
intendersi come frane di recente attivazione;
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Problemi relativi alla classificazione per stato di attività:
2. La metodologia di misura influenza la attribuzione dello stato.
Soluzione:
E’ fondamentale specificare la metodologia di rilevamento dello stato di attività.
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R=P*E*V
P - PERICOLOSITA‘
probabilità che si verifichi una frana in
un dato intervallo di tempo
E – ELEMENTI A RISCHIO
valore degli elementi a rischio
V - VULNERABILITA'
capacità degli elementi a rischio di
sopportare le sollecitazioni esercitate
dall’evento
Interventi strutturali di difesa del
suolo
Pianificazione Territoriale e
Urbanistica
Consolidamenti di abitati e
infrastrutture
Piani di emergenza ( breve termine)
R - RISCHIO
probabilità che possa avvenire un fenomeno
franoso in un determinato luogo e in un dato intervallo
di tempo potenzialmente dannoso per gli elementi
esposti
STRATEGIE POSSIBILI DI MITIGAZIONE:
L’obiettivo principale che si propone la Regione nel settore della difesa del
Suolo è la mitigazione del Rischio;
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Lo sviluppo di cartografie regionali sul dissesto è finalizzato alla
conoscenza della pericolosità da frana del territorio.
Allo stato attuale non è ancora pronta una valutazione quantitativa di
pericolosità. Tuttavia esistono prodotti che consentono di formulare
comunque previsioni parziali sui futuri movimenti di frane:
• Cartografia del dissesto a scala 1:10000
Descrizione dettagliata della dimensione spaziale dei fenomeni
• Archivio storico dei movimenti franosi
Descrizione dettagliata della evoluzione temporale dei fenomeni
PREVISIONE
A LUNGO
TERMINE
PREVISIONE
A BREVE
TERMINE
• Modello previsionale di innesco legato al superamento di
soglie pluviometriche
Individuazione delle aree potenzialmente interessabili da fenomeni
• Monitoraggi strumentali
Individuazione puntuale dei movimenti in atto
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INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
Modalità di
aggiornamento
Modalità di
aggiornamento
Tavoli di lavoro con Enti locali
Segnalazioni varie
Archivio storico movimenti franosi
MetodologiaMetodologia
Rilevamento sul terreno
+ fotointerpretazione
Rilevamento sul terreno
+ fotointerpretazione
Origine dei DatiOrigine dei Dati
Carta Geologica 1:10000Carta Geologica 1:10000
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Carta Geologica 1:10000
Frane attive Frane quiescentisubstrato affioramenti
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Contenuto della Banca
Dati Geologica
Contenuto della Banca
Dati Geologica
COPERTURE QUATERNARIECOPERTURE QUATERNARIE
GEOLOGIAGEOLOGIA
GEOMORFOLOGIAGEOMORFOLOGIA
AFFIORAMENTIAFFIORAMENTI
RISORSERISORSE
ZONE CATACLASTICHEZONE CATACLASTICHE
ELEMENTI STRUTTURALIELEMENTI STRUTTURALI
OSSERVAZIONI PUNTUALIOSSERVAZIONI PUNTUALI
L’Inventario del Dissesto è uno strato della Banca Dati Geologica
INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
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CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
Sono mappati solo gli accumuli di frana : mancano i coronamenti
(spesso sono affioramenti) e eventuali aree di trasporto;
sui crolli mancano le aree sorgenti;
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Depositi di frana suddivisi per stato di attività:
Deposito di frana stabilizzata o relitta
Deposito di frana quiescente
Deposito di frana attiva
Depositi di frana suddivisi per tipologia:
Deposito di frana per scivolamento
Deposito di frana per espansione laterale
Deposito di frana per colamento lento
Deposito di frana per colamento rapido
Deposito di frana complessa
Deposito di frana per scivolamento in blocco o DGPV
Deposito di frana per crollo e/o ribaltamento
Depositi di versante s.l:
Possono essere Frane ma necessitano di approfondimenti conoscitivi con ulteriori strumenti
oltre al rilievo di campagna e alla fotointerpretazione.
CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm
CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm
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Estensione della cartografia
dell’Inventario del dissesto 1:10000
Estensione della cartografia
dell’Inventario del dissesto 1:10000
Numero di frane: 70.057 Oltre il 95% delle frane attive sono
riattivazioni di frane precedenti
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Oltre il 95% delle frane attive sono costituite da riattivazioni di frane precedenti:
La Carta del dissesto è già di fatto una carta di previsione a lungo termine perchè
individua già le aree di probabile futura (ri)attivazione .
• La carta del dissesto è considerata uno strumento fondamentale per la strategia
regionale di mitigazione del rischio a lungo termine; essa agisce sulla Esposizione degli
elementi a rischio;
• La Carta è formalmente condivisa tra RER e tutte le Province;
• Definisce direttamente nei PTCP i limiti di trasformazione urbanistica ;
Valore della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000Valore della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000
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Servizio Geologico
Limiti della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000Limiti della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000
1. Limiti di qualità del dato ( il rilevamento è soggettivo e affidato a geologi di diversa
esperienza)
2. Limiti di aggiornamento del Dato ( la cartografia viene aggiornata continuamente ma
non omogeneamente) ;
Problemi dell’uso della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 nella
pianificazione territoriale
Problemi dell’uso della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 nella
pianificazione territoriale
1. la Cartografia è usata e trasferita nella pianificazione talvolta senza una sufficiente
gradualità di vincolo di uso del territorio e senza tenere conto dei limiti sopra citati;
2. Norme rigide e non graduali ( es: Frane quiescenti tutte uguali ; Destinazioni d’uso diverse
non previste;)
3. difficoltà normativa di prevedere nella pianificazione un rischio accettabile e una
conseguente assunzione di responsabilità;
4. Sovrapposizione di norme da parte di Enti e Autorità diverse;
5. Difficoltà nella modifica della cartografia da parte dei Comuni e dei soggetti privati;
6. Onere della prova a carico del soggetto su cui ricade il vincolo territoriale;
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Servizio Geologico
L’ Archivio storico dei movimenti franosi: finalità:
Quasi tutte le frane alternano lunghe fasi di inattività con brevi di attività;
Una cartografia derivata dal rilevamento geologico registra solo lo stato di
attività di un periodo recente ma non è in grado di fornire ulteriori
informazioni:
L’archivio storico ha il fine di integrare la cartografia di tali informazioni
Bologna, 14 Novembre 2008
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Servizio Geologico
L’ Archivio storico dei movimenti franosi
http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm
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Servizio Geologico
data di attivazione (con precisione variabile); dati a partire dal Medioevo
• localizzazione;
• principali caratteristiche descrittive del fenomeno;
• cause dell’innesco;
• gli effetti sul territorio e sulle opere antropiche;
Attualmente, sono censiti e georiferiti 8200 eventi, di cui 5968 con data a precisione
mensile.
Oltre il 95% dei movimenti ricadono su frane preesistenti:
L’ Archivio storico dei movimenti franosi: contenuto
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cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
Servizio Geologico
Previsioni a breve termine ( 1-5 gg)
Previsioni areali su ambiti estesi ( almeno 1000 Kmq)
• Modello previsionale di innesco legato al superamento di
soglie pluviometriche
Previsioni puntuali su singole frane:
• Monitoraggi strumentali :
•Allo stato attuale non esiste una rete di monitoraggio in grado di
anticipare futuri movimenti.
•In totale sono censiti circa 450 strumenti di misura spostamenti
funzionanti
•Strumenti non adatti ( misure discontinue)
•Strumenti insufficienti per oltre 400 aree a rischio elevato e molto elevato
•Costi ancora molto elevati ( circa 50.000 Euro per località)
Bologna, 14 Novembre 2008
cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
Servizio Geologico
3,5%
modello previsionale di innesco legato al superamento di soglie
pluviometriche
Asse X: Altezza di pioggia antecedente ( ultimi 30 gg.)
Asse Y: Altezza di pioggia prevista o in atto ( max 5 gg.)
Basato sulla analisi di migliaia di eventi datati e ubicati contenuti nell’Archivio storico dei movimenti franosi
e sulla conseguente determinazione di soglie pluviometriche minime necessarie all’ innesco
.
Pn (Pioggia cumulata, pioggia prevista)
CRITICITA’
MODERATA
CRITICITA’
ORDINARIA
CRITICITA’
ELEVATA
Previsioni a breve termine ( 1-5 gg)
Bologna, 14 Novembre 2008
cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
Servizio Geologico
Il modello è aggiornato giornalmente e disponibile ( richiesta password) su
http://www.smr.arpa.emr.it/prodotti/ e costituisce uno strumento di uso quotidiano che
consente a ARPA SIM di emettere eventuali avvisi di criticità:
Previsioni a breve termine ( 1-5 gg)
Bologna, 14 Novembre 2008
cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli
Servizio Geologico
Gli avvisi di criticità costituiscono la
premessa per l’allertamento di
Protezione civile e le procedure
connesse alla mitigazione del Rischio
imminente.
Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
Le frane
Premessa - il problema delle frane
Cartografia di base e tematica
Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia
Indagini, monitoraggio
Dati sul dissesto relativi al territorio regionale
Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni
Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture
Elaborazioni statistiche
Galleria foto
Premessa - IL PROBLEMA DELLE FRANE NELL'APPENNINO EMILIANO-ROMAGNOLO
L'entita del "problema frane" e lo stato delle nostre conoscenze
Le frane e la pianificazione territoriale
Cause dei fenomeni franosi
Caratteristiche dei fenomeni franosi
Bibliografia
L’entità del "problema frane" e lo stato delle nostre conoscenze
Le frane costituiscono un male cronico che affligge il territorio appenninico da sempre. Spesso il cittadino non direttamente
interessato sottovaluta quanto le frane condizionino la sua stessa vita causando, per esempio, continue interruzioni alla viabilità,
lesioni alle infrastrutture, perdita di terreno agricolo e, nei casi peggiori, distruzione di edifici ed addirittura perdite di vite umane.
In effetti la maggiore conoscenza di cui oggi disponiamo delinea un quadro da molti inaspettato. L’Italia condivide con USA, India e
Giappone il primato delle maggiori perdite economiche dovute alle frane. Per ognuno di questi Paesi i "costi delle frane" (diretti e
indiretti) assommano ad una cifra che oscilla tra 1 e 5 miliardi di dollari all’anno (SCHUSTER, 1996).
Secondo una interessante ricerca del Servizio Geologico Nazionale (CATENACCI, 1992) gli stanziamenti per le emergenze
idrogeologicche dal dopoguerra al 1990 assommano a ben 33.300 miliardi di lire (ben 5.925 solo per il quadriennio 1986-1990).
Anche il costo in termini di vite umane è disarmante: il dissesto idrogeologico in Italia ha ucciso poco meno dei terremoti; dal
dopoguerra al 1990 il numero delle vittime è di 3.488 (di cui 54 solo nella nostra Regione) contro le 4.160 cusate dai terremoti.
Con la Legge 183/89 la legislazione nazionale ha recepito il principio secondo cui "conoscere è prevenire"; l’articolo 2 stabilisce
l’istituzione di SIT (Sistemi Informativi Territoriali o Data Base) nazionali e regionali, nonché la "...formazione e aggiornamento di
carte tematiche del territorio..." al fine della difesa del suolo.
La Regione Emilia-Romagna all’inizio degli anni ‘70 aveva anticipato di fatto questa norma, con la stesura della Carta del Dissesto
1:25.000 (1976-1982) realizzata prevalentemente tramite aerofotointerpretazione e recepita nel Piano Territoriale Paesistico
Regionale.
L’inventario estensivo e sistematico a scala 1:10.000 dei fenomeni di dissesto geologico che interessano l’Appennino emiliano-
romagnolo si deve all’imponente lavoro di rilevamento della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, eseguito nell’arco
di un quindicennio (1980-1995) ad opera di numerosi rilevatori in collaborazione con Istituti universitari di Bologna, Firenze, Modena,
Padova, Parma, Pavia, Pisa e con il CNR di Pisa. Ad essi si deve il rilevamento "a tappeto" di oltre 35.000 frane in tutta la Regione.
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Nei primi anni ’90 il Servizio Cartografico e Geologico iniziò il censimento dei dissesti della Regione Emilia-Romagna, "estraendo"
ricontrollando e aggiornando i dati geologici di base alla scala 1:10.000 che per estensione, dettaglio e qualità non ha eguali in Italia.
Un primo prodotto di questa revisione è stato l’Atlante dei centri abitati instabili dell’Emilia-Romagna (1993), redatto nell’ambito del
programma SCAI del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche e finalizzato a fornire un quadro conoscitivo
dettagliato per tutti i centri abitati da consolidare o trasferire ai sensi della L. 445/1908 o segnalati comunque al Dipartimento della
Protezione Civile (Legge 120/1987). Quasi contemporanea è la pubblicazione della Carta del Dissesto Geologico Attuale: Foglio 218
SE "Carpineti " (1994) redatta dal Servizio Cartografico e Geologico in collaborazione col Servizio Provinciale Difesa del Suolo di
Reggio Emilia.
Il prosieguo dei lavori da parte del Servizio sopracitato ha portato inoltre all’elaborazione della Carta dell’Inventario del Dissesto
1:25.000, ormai disponibile e digitalizzata per tutta la Regione.
Un ulteriore sviluppo di questa documentazione ha condotto infine alla stesura della Cartografia della Pericolosità da frana ai fini di
Protezione Civile 1:25.000 disponibile in forma numerica.
Da questi numerosi dati emerge una prima importante considerazione, confermata anche dalle verifiche di cui si tratterà più avanti:
la quasi totalità dei danni da frana dipende dalla riattivazione di corpi franosi la cui genesi è legata alle vicissitudini remote del nostro
Appennino.
Gran parte di questi corpi di frana si sono generati in occasione di fasi ed eventi climatici (e forse tettonici) estremi, verificatisi
migliaia di anni fa. Ci sono motivi per ritenere che le grandi frane dell’alto Appennino emiliano abbiano età che possa anche
superare gli 8.000 anni (questo dato è stato misurato tramite datazione assoluta per la Frana di Succiso in Provincia di Reggio
Emilia).
La conoscenza della distribuzione degli antichi corpi di frana consente, quindi, di ridurre o prevenire la quasi totalità dei dissesti.
Se l’Italia è una delle quattro nazioni più franose al mondo, l’Appennino emiliano è, con grande probabilità, la zona piu franosa
d’Italia, come era già stato riconosciuto sin dai primi autori che si sono occupati di censimento dei dissesti a livello nazionale
(Almagià, 1907). A conferma di questa affermazione riportiamo alcuni dati desunti dall’Inventario del Dissesto (1997) relativi alle
percentuali di territorio in frana ed al numero di dissesti del territorio collinare-montano delle province della Regione:
Provincia PC PR RE MO BO RA FO RN
Superficie totale Provincia kmq 2.587 3.447 2.290 2.688 3.702 1.859 2.378 534
Superficie territorio collinare-montano kmq 1.780 2.584 1.274 1.410 2.310 571 2.246 510
Superficie totale dei dissesti kmq 474 687 315 356 405 42 272 39
% totale dei dissesti
(le percentuali sono calcolate
solo sul territorio collinare-montano)
26,6 26,6 24,7 25,2 17,6 7,4 12,1 7,6
Numero totale dei vari dissesti presenti in ogni
Provincia
4.129 7.839 4.660 3.873 8.151 938 6.329 975
Alcuni comuni emiliani presentano percentuali del territorio in frana superiori al 40 % e uno al di sopra del 50% (Farini d’Olmo - PC).
La percentuale totale dei dissesti rappresenta quantitativamente ciò che viene definito come Indice di Franosità, ossia il rapporto tra
superfice di territorio afflitto da frane in relazione all’estensione complessiva dell’entità territoriale presa in considerazione (es:
Provincia, Comune,).
L’Indice di Franosità è quindi un parametro che ci permette di quantificare la probabilità del verificarsi di frane all’interno di un certo
territorio e quindi la pericolosità relativa propria di quel territorio.
Un altro usuale parametro significativo è l’intensità dei fenomeni attesi che è direttamente legata alla velocità di traslazione della
massa franosa.
Nella Carta dell’Inventario del Dissesto in scala 1:25:000 è intrinsecamente presente una grossolana indicazione dell’intensità dei
fenomeni: le frane di crollo ad intensità alta sono separate da tutte le altre che si possono considerare a intensità medio-bassa (si
tratta in prevalenza di colate e scivolamenti a lenta evoluzione che solo raramente rappresentano un vero pericolo per la vita
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umana).
Altrove, come sulle Alpi, la minore diffusione probabilità si accompagna ad una maggiore Intensità, dovuta sostanzialmente alla
maggiore velocità dei fenomeni traslativi (es:Crolli, Debris Flows).
La diffusione in Emilia-Romagna è comunque tale da costituire un considerevole ostacolo, sia tecnico che economico allo sviluppo
di una moderna società. Per quanto riguarda la distribuzione del fenomeno sul territorio regionale, 1’appennino emiliano, in virtù
della maggiore diffusione di litotipi argillosi, risulta molto più colpito di quello romagnolo (ad esempio i 4/5 dei centri abitati instabili si
trovano ad ovest del Torrente Sillaro).
Le frane e la pianificazione territoriale
La grande maggioranza dei danni causati da movimenti franosi avviene per riattivazione di corpi di frana già esistenti (in alcune aree
si può stimare nella quasi totalità dei casi), su cui incautamente sono stati edificati centri abitati e infrastrutture per un’errata
valutazione della pericolosità dei siti il più delle volte poco acclivi, spesso coltivati e complessivamente "invitanti" per una
espansione edificatoria, oppure per la mancanza di una memoria storica dei movimenti franosi (riattivazioni in tempi pluridecennali o
secolari).
Il fatto che la maggior parte dei fenomeni siano riattivazioni di frane preesistenti ha conseguenze molto importanti perchè permette
di costruire una cartografia dei dissesti duratura nel tempo e quindi di effettiva utilità pianificatoria.
Allo scopo di quantificare tale affermazione e di verificare l’evoluzione dello stato di attività dei dissesti stessi nel periodo 1954/1994
(età rispettivamente del primo e dell’ultimo volo aereo ad alta quota disponibili presso l’Archivio Cartografico) sono state scelte tre
aree campione nell’Appennino bolognese sulle quali, tramite fotointerpretazione, sono state comparate le frane esistenti e il loro
grado di attività : dallo studio di 129 frane il risultato è stato la mancanza di fenomeni di neoformazione nel periodo considerato,
mentre il numero di frane visibilmente attive è calato del 26 %.
Da tale studio (evidentemente parziale per numero e distribuzione rispetto all’intero territorio regionale) si può comunque cogliere
una tendenza valida per tutto 1’Appennino emiliano-romagnolo: la possibilità di una agevole e stabi1e delimitazione areale delle
frane e 1a presenza di una stasi nel grado di attività del fenomeno sino al 1994. Tale stasi ha coinciso con la fase di espansione
edilizia più forte mai avvenuta sul nostro Appennino (in particolare gli anni ’60 e ’70) e di conseguenza ha portato a una
sottovalutazione del rischio a lungo termine.
Nel periodo 1994/1997 si è verificata la riattivazione di una lunga serie di frane che permanevano in una condizione di quiescienza
da decenni, almeno in parte attribuibile a precipitazioni di particolare intensità. Il verificarsi di fenomeni meterologici eccezionali
anche nello scenario italiano (si pensi agli eventi del Piemonte 1994 e della Versilia 1996) e le previsioni ormai sufficientemente
dimostrate di un progressivo cambiamento climatico a scala mondiale, hanno così riproposto urgentemente il problema del dissesto
idrogeologico.
Sulla base di ta1i considerazioni la precisa conoscenza della distribuzione e della tipologia dei dissesti costituisce la premessa di
qualsiasi scelta di pianificazione territoriale e quindi di ordinato sviluppo anche economico della montagna.
Cause dei fenomeni franosi
Le cause dei fenomeni franosi si dividono in:
q predisponenti che rendono il territorio più o meno sensibile all’innesco di fenomeni franosi;
q determinanti che provocano la rottura dello stato di equilibrio di un versante.
Cause predisponenti. Considerando la situazione geologica della Regione e sulla base di quanto già detto, risulta che le cause
predisponenti più ricorrenti si individuano nella presenza di:
q accumuli di frane preesistenti, costituiti da litotipi già mobilizzati, possiedono caratteristiche meccaniche più scadenti della
roccia in posto e possono essere sede preferenziale di nuovi movimenti, Come già più volte rimarcato, 1a grande parte delle
frane attive si sviluppa in questo contesto, rendendo le paleofrane oggetti preferenziali nella progettazione di reti e sistemi di
monitoraggio; la riattivazione parossistica di questi corpi franosi è infatti preceduta da una accellerazione dei movimenti che
si può misurare con appropriata strumentazione, rendendo così possibile un vero e proprio pronostico temporale.
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q depositi superficiali sciolti, poco addensati o poco coesivi, di origine detritica, colluviale o residuale.
q formazioni prevalentemente argillose, spesso a struttura caotica, intensamente scompaginate e commiste ad altre litologie.
Almeno i 2/3 dell’appennino emiliano e una parte minore dell’appennino romagnolo sono formati da queste rocce, i cui
minerali argillosi assorbono acqua degradandosi, con conseguente diminuzione della resistenza alle tensioni che la forza di
gravità esercita naturalmente sui versanti. Il ripetersi di cicli stagionali umidi–secchi provoca così un continuo disequilibrio
delle porzioni più superficiali dei versanti, che tendono a scendere verso valle.
q rocce "tenere" ( poco cementate) e/o intensamente fratturate e/o recanti livelli plastici ad assetto sfavorevole rispetto ai pendi,
lungo i qua1i si possono determinare scivolamenti. Intere porzioni di versante possono scivolare in b1occo e
successivamente disarticolarsi;
q reticolo idrografico in disequilibrio, quindi in erosione, che determina versanti eccessivamente acclivi in rapporto ai caratteri di
resistenza delle rocce che li costituiscono. Una causa delle condizioni di disequilibrio può essere imputata al sollevamento
neotettonico che ha contraddistinto anche negli ultimi 10.000 anni gran parte del nostro appennino.
q interventi antropici; che modificano uno stato di equilibrio precedente con disboscamento, opere edilizie, infrastrutturali, talora
anche a carattere ambientale (briglie, ecc.), cave e miniere, determinando presupposti di dissesto a qualsiasi scala. A ciò si
aggiungono pratiche colturali intensive e pascolo indiscriminato.
Cause determinanti. Si individuano sostanzialmente in:
q precipitazioni intense e/o prolungate e repentino scioglimento delle nevi. Possiamo considerare due casi: a) piogge intense e
brevi (ore o giorni) danno luogo a frane superficiali (prof.< 4 m) e generalmente molto diffuse (ad esempio Piemonte 1994 e
Versilia 1996). Per l’Italia diversi autori hanno stabilito che la soglia di precipitazione per ottenere l’innesco delle frane
superficiali è del 10-15% della Precipitazione Media Annua in uno o, eccezionalmente, due giorni; b) piogge con intensità
nella norma stagionale, ma protratte o comunque distribuite con una certa frequenza ed intensità nell’arco di diverse decine
di giorni, determinano l’innesco di frane profonde. Per le frane profonde non è possibile stabilire una soglia di innesco
generalizzata ma bisogna valutarla caso per caso. Si arriva, al limite, alle grandi frane, che possono essere profonde sino a
oltre 100 metri , per le quali l’alternarsi delle fasi di attività e quiescenza è regolata dalle variazioni climatiche su periodi di
diversi anni.
L’esperienza insegna che nella grande maggioranza dei casi per le frane la cui profondità si attesta intorno a 15-25 metri -che è il
caso più frequente- le condizioni "tipiche" di innesco siano caratterizzate da un periodo di piogge persistenti (15-20 gg), ma rientranti
nella norma stagionale, a cui si "sovrappone" un evento di carattere eccezionale di breve durata (2, 3 giorni);
q terremoti di magnitudo superiore a 4, questo valore è stato stabilito dagli autori statunitensi che dispongono di una vasta
casistica nella regione californiana circostante la nota "Faglia di S.Andrea". Casi di questo tipo, nell’Appennino reggiano-
modenese, sono le frane di Fellicarolo del 1779, di Febbio del 1920 e di Caselle di Fanano del 1952. Occorre però ricordare
che l’innesco delle frane è determinato anche dalla "risposta sismica locale": anche con magnitudo inferiori a 4 si possono
avere particolari effetti di amplificazione che possono produrre Intensità Sismiche Locali sufficienti, come nel caso della frana
di Caselle che si innescò con una Magnitudo di solo 3.3.
Caratteristiche dei fenomeni franosi
Pur essendo presenti nella letteratura scientifica inernazionale criteri di suddivisione dei fenomeni franosi largamenti usati
(VARNES, 1978), il Servizio Cartografico e Geologico della Regione Emilia-Romagna ha adottato una classificazione che deriva
dall’impostazione data al rilevamento geologico di base della cartografia 1:10.000 non finalizzata fin dall’inizio all’analisi specifica dei
dissesti. Di conseguenza la suddivisione dei fenomeni gravitativi , qui di seguito riportata, appare abbastanza semplificata ed
improntata in prevalenza alla definizione del grado di attività e, solo parzialmente, alla tipologia della frana.
Frane attive: si tratta di dissesti in cui sono evidenti segni di movimento in atto o recente, indipendentemente dall’ entità e dalla
velocità dello stesso; i segni possono essere molto evidenti (lesioni a manufatti, scarsa vegetazione, terreno smosso) oppure
percepibili solo attraverso strumenti di precisione (inclinometri, estensimetri, ecc,), così come la velocità di movimento può essere
molto variabile. L’attività può essere continua o, più spesso, intermittente ad andamento stagionale. Le frane attive non sono state
ulteriormente suddivise per tipologia del fenomeno (scorrimenti, colate ecc.) ad esclusione delle frane di crollo per la loro
caratteristica peculiare di avere riattivazioni improvvise e una velocità di movimento tale da renderle pericolose per la vita umana. Le
aree cartografate come frane attive sono da considerarsi inutilizzabili per tutti gli usi ad esclusione dell’uso agricolo qualora non
peggiorativo delle condizioni di stabilita delle aree interessate.
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Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
Frane quiescenti: si tratta di frane senza indizi di movimento in atto o recente. Generalmente si presentano con profili regolari,
vegetazione con grado di sviluppo analogo a quello delle aree circostanti non in frana, assenza di terreno smosso e assenza di
lesioni recenti a manufatti, quali edifici o strade. Analogamente alle frane attive, non sono state fatte ulteriori suddivisioni per
tipologia, ad esclusione degli scivolamenti di blocchi cartografati a parte per la caratteristica di avere conservato un ordine
stratigrafico all’intemo. E’ da sottolineare che il fatto di non avere registrato movimenti in tempi recenti, o addirittura di non avere
alcun dato storico di movimenti su una frana non esclude a priori la riattivazione della stessa. Gli esempi di alcune riattivazioni di
grandi frane degli ultimi anni (in particolare nel 1994) nell’Appennino emiliano sono illuminanti: la Frana di Corniglio (PR) si e
rimossa dopo vari decenni di quiescenza (le ricerche storiche riscontrano un tempo di ritorno all’incirca secolare); la parte inferiore
della Lavina di Roncovetro (Canossa - RE) si è riattivata nel 1994 dopo circa un secolo di quiescenza; la Frana di Valestra
(Carpineti - RE) ha tempi di ritorno all’incirca venticinquennali (1945, 1969, 1997). Vanno citate inoltre le riattivazioni delle
paleofrane di Silla e di Maranina (Gaggio Montano – BO) e Cà di Sotto (San Benedetto Val di Sambro – BO), con tempi di ritorno di
oltre quaranta anni.
L’uso del suolo in queste aree andrebbe limitato alla agricoltura; ogni uso urbano o produttivo andrebbe valutato con estrema
attenzione e consapevolezza per la potenziale riattivazione dei movimenti franosi.
Scivolamenti in blocchi: con questo termine si è inteso definire quelle aree, frane a tutti gli effetti, costituite da masse più o meno
grandi che , pur scivolate lungo un versante, conservano al loro interno una coerenza stratigrafica simile a quella della roccia di
provenienza. Gli scivolamenti di blocchi interessano rocce litoidi (arenarie, rocce ofiolitiche e calcari), spesso nella parte alta dei
versanti e su vaste superfici, sono in grande prevalenza in stato di attività quiescente.
Frane di crollo: le frane di crollo interessano esclusivamente rocce litoidi e sono state isolate dalle altre a causa del potenziale
pericolo per l’incolumità dell’uomo, dato dalla estrema velocità di sviluppo del fenomeno (rotolamento e ribaltamento di massi) che
può addirittura precludere possibilità di fuga. Per le loro caratteristiche intrinseche esse sono da considerarsi attive
permanentemente, sia pure in modo intermittente.
Depositi di versante s.l.: si tratta di accumuli di detrito su versante la cui attribuzione a frane permane incerta mancando spesso i
caratteri di forma tipici delle frane stesse : potrebbero essere solo lembi residuali di accumuli più estesi smantellati dall’erosione ,
oppure anche accumuli di detrito provocati da ruscellamento superficiale o da soliflusso.
Depositi morenici: sono accumuli di detrito localizzati nelle aree più alte dell’appennino attribuibili per morfologia e tipo di materiale
ad apparati glaciali . La loro distinzione da frane vere e proprie è spesso problematica in quanto frequentemente essi si presentano
rimobilizzati ulteriormente lungo i versanti, pertanto la loro presenza potrebbe essere sovrastimata.
Nell’Inventario del Dissesto (1997) sono inoltre state inserite in legenda tre voci che riguardano altri tipi di depositi , di origine
alluvionale, non legati alla dinamica gravitativa di versante, ma comunque utili alla comprensione della evoluzione complessiva dei
versanti:
q Alvei fluviali e depositi alluvionali in evoluzione: la perimetrazione delle aree abitualmente occupate dai fiumi o invase dalle
piene, oltre che essere di riferimento morfologico per la comprensione della carta, è utile per segnalare quali frane siano in
diretta interazione con i fiumi e quindi soggette a riattivazioni per erosioni di sponda e/o capaci potenzialmente di occludere
anche parzialmente l’alveo.
q Depositi alluvionali terrazzati: si tratta dei depositi prevalentemente ghiaioso sabbiosi depositati dai fiumi nella loro evoluzione
a varie quote dai fondovalle attuali. Non sono sede di dissesti se non localmente ai margini. Sono stati inseriti nella carta
come elementi morfologici di riferimento.
q Conoidi alluvionali intravallive: sono i depositi dei torrenti minori in corrispondenza dello sbocco di valli e vallecole ove la
diminuzione di pendenza provoca la sedimentazione del materiale trasportato dall’acqua. Sono inseriti come elementi
morfologici di riferimento e non sono stati distinti per grado di evoluzione.
Bibliografia
AA.VV. (1976-1982) - Carta del Dissesto a scala 1:25.000 (edizione non a stampa)
AA.VV. (1982-1997) - Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo a scala 1.10.000; a cura del Servizio Cartografico e
Geologico della Regione Emila-Romagna. ed. SELCA Firenze e ORDIS Piacenza.
ALMAGIA’ R. (1907) - Studi geografici sopra le frane in Italia.Vol. I, Parte Generale; Mem. Soc. Geogr. It., 13.
C.N.R., G.N.D.C.I., REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1993) - Atlante dei Centri Abitati Instabili dell’Emilia-Romagna. a cura di A.
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (5 di 6)19/09/2005 17.23.44
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Annovi & G. Simoni. Programma speciale SCAI, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma.
REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1994): Note illustrative della Carta del Dissesto Geologico Attuale; Foglio 218 SE "Carpineti". a cura
di G.Bertolini , ed. SELCA Firenze.
REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1982-1995) - Carta dell’Inventario del Dissesto a scala 1:25.000, a cura di M.Pizziolo, 1997;
edizione in forma digitale
CATENACCI V. (1992) - Il dissesto geologico e geoambientale in Italia dal dopoguerra al 1990. Mem.Descr. della Carta Geologica
d’Italia (a cura del Serv. Geol. Naz.), vol. XLVII.
SHUSTER R.L. (1996) - Socioeconomic significance of landslides. In: Landslides: investigation and mitigation (1996) Transportation
research board.p. 13-33.
Varnes D.J. (1978) - Slope Movement Types and Processes. In: Landslides: Analysis and control. Transportation Research Board,
National Academy of Sciences, Special Report 176, Chapter 2.
CREDITS
e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it
ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (6 di 6)19/09/2005 17.23.44
Frane cartografia, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
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Cartografia tematica - carta del dissesto in scala 1:25.000 anni 1978 - 1982
Cartografia tematica - carta inventario in scala 1:25.000 anni 1996 - 1998
Cartografia tematica - carta della pericolosità da frana in scala 1:25.000 anni 1998 - 1999
Cartografia tematica - carta della stabilità dei versanti in scala 1:25.000
CREDITS
e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it
ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran1.htm19/09/2005 17.27.11
Frane Carta Dissesto, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
Le frane - Carta del dissesto 1:25.000 anni 1978 - 1982
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Quadro di unione delle Carta del
dissesto 1:25.000, diponibili. (immagine
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Carta del dissesto 1:25.000 anni 1978 - 1982
anni di elaborazione: 1976 - 1979
anni di edizione: 1977 - 1982
Copertura territoriale
Territorio collinare-montano (Appennino emiliano-romagnolo)
Base topografica
Edizione I.G.M.
Metodologia di realizzazione
Tramite fotointerpretazione (riprese aeree 1976/’78, scala fotogrammi 1:13.000
circa) con controlli sul terreno.
Carta del dissesto, scala 1:25.000.
Particolare del foglio
72 II NO "Gropparello" (prov. di Piacenza)
(immagine252 Kb)
Reperibilità
Archivio Cartografico della Regione Emilia-Romagna
(vedi quadro d’unione: Carte del dissesto disponibili)
Contenuti e caratteristiche tecniche
La carta ha lo scopo di individuare e classificare in maniera sistematica le forme del territorio che sono legate a fenomeni di
erosione e di dissesto recenti o antichi.
Le forme di dissesto rilevate sono state distinte in tre categorie principali:
a) morfometria (principali forme dei versanti),
b) forme e i processi di erosione idrica che interessano i pendii e le aste fluviali,
c) forme dovute a movimenti di massa distinti sulla base dei processi e dell’età.
Questa cartografia è stata recepita integralmente nel Piano Paesistico Regionale, vincolando tutte le aree in frana.
Inoltre è stata acquisita in elaboratore alla fine degli anni ottanta, ed è attualmente disponibile in formato ARC/INFO.
CREDITS
e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it
ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/frcadis.htm (1 di 2)19/09/2005 17.27.35
Frane indagini, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
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Monitoraggio
Interventi di consolidamento
La grande quantità di frane impone di indirizzare i finanziamenti in lavori di efficacia comprovata sia tecnicamente che
scientificamente.
Per questo motivo la Regione Emilia-Romagna ha fatto proprio l'approccio metodologico che si può descrivere con tre parole:
Indagini, Monitoraggio, Consolidamento.
Un ruolo importante in questo campo è, svolto da 8 Servizi Provinciali Difesa del Suolo (SPDS) distribuiti sul territorio.
Indagini
Le indagini geognostiche vengono progettate e dirette dai geologi dei Servizi Provinciali di Difesa del Suolo (SPDS).
Lo scopo è individuare profondità e forma della base del corpo di frana, la profondità della superficie piezometrica e i caratteri
geomeccanici dei terreni coinvolti. Questi dati serviranno a costruire un modello teorico del corpo di frana, su cui verranno simulati in
via teorica gli effetti degli interventi.
Per lo più vengono eseguiti sondaggi a carotaggio continuo e prospezioni sismiche rifrazione e riflessione). Generalmente si
indagano spessori che si aggirano generalmente intorno a 20-30 metri; in qualche caso (Corniglio e Valestra) si sono raggiunte
profondità superiori a 100 metri.
Monitoraggio
Sulla base di diversi casi noti e ben studiati, avvenuti in diversi Paesi nell'ultimo mezzo secolo, i geologi sono in grado di
diagnosticare il rischio e prevedere il comportamento della maggior parte delle frane quiescenti, per mezzo della misura continua di
alcuni parametri.
La rete di monitoraggio per il controllo dei movimenti franosi, gestita direttamente dai Servizi Provinciali di Difesa del Suolo, è
composta da più di 300 inclinometri e 200 piezometri distribuiti su molte decine di frane.
Questa time-series di dati copre ormai la decina di anni e rappresenta un patrimonio prezioso per comprendere i meccanismi che
sovrintendono alla riattivazione.
L’inclinometro più profondo si trova a Corniglio; esso supera i 150 metri e trasmette via modem i dati misurati automaticamente.
Diversi piezometri sono monitorati con strumenti a lettura automatica.
Il monitoraggio geodetico è condotto frequentemente, in qualche caso con l'ausilio del GPS.
Ogni ora, i sensori remoti idro-pluviometrici trasmettono dati via radio nei nostri uffici.
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran2.htm (1 di 2)19/09/2005 17.28.11
Frane indagini, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
Interventi di consolidamento
I Servizi Provinciali per la Difesa del Suolo sono preposti alla progettazione e direzione degli interventi di consolidamento.
Gli interventi vanno dalla piccola gabbionata alla grande rete di pozzi drenanti.
Si tratta, in genere, di interventi di drenaggio sotterraneo e di sostegno strutturale del versante. I nostri Servizi Provinciali progettano
e dirigono oltre un centinaio di questi interventi ogni anno.
Plottaggio
della
"carta di
pericolosità
relativa
della
frana"
Sistema
Inclinometrico
Automatizzato
(foto di
Giorgio
Lollino, CNR-
IRPI, Torino).
CREDITS
e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it
ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002
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Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
LE FRANE - dati sul dissesto relativi al territorio regionale
Premessa - il problema delle frane
Cartografia di base e tematica
Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia
Indagini, monitoraggio
Dati sul dissesto relativi al territorio regionale
Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni
Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture
Elaborazioni statistiche
Galleria foto
Dati sul dissesto relativi al territorio regionale
Dissesto da frane totale
Dissesto da frane totale suddiviso per Province
Chilometri di infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane
Base dati dell'Inventario del Dissesto
La base dati Glossario dei termini
Dizionario dei dati Elaborazioni
Infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane suddiviso per Province
Chilometri di infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane
Distribuzione
delle frane attive
e quiescenti
(immagine 42Kb)
Carta della franosità
nei territori comunali
(immagine 125Kb)
L’Inventario del Dissesto è stato disegnato su supporti cartacei (eliocopie in macchina piana) appartenenti alla cartografia CTR in
scala 1:25.000, esistente in due edizioni diverse: provvisoria e definitiva.
L’80% delle tavole appartiene all’edizione provvisoria, che deriva dalla riduzione fotomeccanica alla scala 1:25.000 e
dall’assemblaggio di precisione di quattro fogli della CTR alla scala 1:10.000. Tali tavole presentano tracciato il reticolo di Gauss-
Boaga.
Le restanti tavole appartengono all’edizione definitiva, che deriva da un complesso processo di classificazione e ridisegno
dell’edizione più aggiornata della CTR. Tali tavole presentano tracciato il reticolo chilometrico UTM.
Le tavole 1:25.000 che coprono il territorio collinare-montano della Regione sono 91; alcune di queste hanno un campo cartografico
più vasto dello standard, poichè lungo il confine regionale, nel caso di piccole porzioni di territorio di tavole adiacenti, è stato allestito
un solo supporto; nel caso della base dati, invece, è stato costruito un file per ciascuna singola tavola, per quanto piccola fosse la
porzione di territorio sottesa.
La base dati
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran3.htm (1 di 5)19/09/2005 17.28.31
Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
La base dati dell’Inventario del Dissesto (1997) nasce dalla rasterizzazione e successiva vettorializzazione semiautomatica dei
supporti cartacei descritti. La calibrazione e la rettifica dei files è stata eseguita, tramite trasformazione affine a sei parametri, sui
quattro vertici della carta e su nove punti interni, nel rispettivo sistema di riferimento. Le coordinate finali dei files sono state
uniformate al sistema UTM.
I dati sono stati strutturati in due "coperture" ARC/INFO, una poligonale e una lineare. I poligoni rappresentano i fenomeni di
dissesto e gli elementi morfologici, classificati secondo le tipologie descritte nel capitolo precedente; le linee delle coperture
rappresentano le frecce che indicano le direzioni di movimento dei diversi fenomeni franosi o delle conoidi, il loro utilizzo è di pura
vestizione grafica di output.
Le tabelle FR<n.tav.>N0.PAT e FC<n.tav.>L0.AAT, di seguito riportate, descrivono le due coperture. Nella FR<n.tav.>N0.PAT il
campo FR-COD contiene il medesimo codice con cui le frane e gli elementi morfologici sono classificati nella banca dati geologica,
attualmente gestita dal Servizio Cartografico e Geologico; il campo FR-SIGLA riporta la sigla con cui i medesimi poligoni sono
classificati sulle carte geologiche dell’Appennino Emiliano Romagnolo in scala 1:10.000. Il campo COD-RER contiene una
numerazione dei poligoni progressiva univoca sull’intero territorio regionale.
Dizionario dei dati
Chiave primaria : FR<n.tav.>P0-ID
TABELLA TIPO DI COPERTURA
FR<n.tav.>N0.PAT Poligoni di frane e depositi
Nome Campo Descrizione dato Tipo Lung
FR<n.sez.>N0-ID Identificatore del poligono di frana INT 11
FR-COD Tipologia del poligono INT 2
FR-SIGLA Sigla stampata sulla carta di origine C 2
FR-TIPO Tipologia del poligono rispetto all’acquisizione C 3
COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta
l’area regionale
INT 6
Glossario dei termini
Nome Campo Descrizione dato Valore
FR<n.tav.>N0-ID Identificatore del poligono di frana e deposito
FR-COD Tipologia del poligono:
frana attiva FR1
frana quiesciente FR2
deposito di versante DT1
deposito di geliflusso DT3
frana di crollo DT4
alveo fluviale FF0
deposito alluvionale terrazzato TF
deposito morenico AR
conoide alluvionale intravalliva CN
scivolamento in blocchi SB
FR-SIGLA Sigla stampata nelle carte di origine:
frana attiva a1
frana quiesciente a2
deposito di versante a3
deposito di geliflusso a5
frana di crollo a6
alveo fluviale b1
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Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile.
deposito alluvionale terrazzato bn
deposito morenico c4
conoide alluvionale intravalliva cn
scivolamento in blocchi sb
COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area
regionale 1 - 999999
Nella FC<n.tav.>L0.AAT, il campo FC-TIPO classifica i vari tipi di frecce che indicano la direzione di movimento dei diversi fenomeni
franosi o conoidi; il campo COD-RER riporta il numero progressivo del poligono a cui appartiene la freccia.
Dizionario dei dati
Chiave primaria : FRL*ID
TABELLA TIPO DI COPERTURA
FC<n.tav.>L0.AAT Frecce per le frane e le conoidi
Nome Campo Descrizione dato Tipo Lung
FC<n.tav.>L0-ID Identificatore dell’arco INT 11
FC-TIPO Tipologia della freccia INT 1
COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta
l’area regionale del poligono a cui appartiene
la freccia
INT 6
Glossario dei termini
Nome Campo Descrizione dato Valore
FC<n.tav.>L0-ID Identificatore dell’arco 1 -
99999999999
FC-TIPO Tipologia della freccia:
freccia di frana attiva 1
freccia di frana quiescente 2
freccia di conoide 3
COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area regionale
del poligono a cui appartiene la freccia
1 - 999999
La struttura è volutamente semplice, perchè deve essere considerata la struttura base di un inventario dei fenomeni di dissesto,
dove l’elemento grafico, che rappresenta il singolo fenomeno, è reso riconoscibile in maniera univoca sull’intero territorio regionale.
La regione possiede un cospicuo patrimonio di informazioni legate ai dissesti, di pertinenza di vari servizi, organizzate in catasti
alfanumerici, che dovranno integrare la banca dati, per renderla il più possibile applicativa; va citato, come uno dei tanti esempi
possibili, il catasto degli interventi effettuti dai Servizi Provinciali Difesa del Suolo (ex Geni Civili) sui singoli movimenti franosi.
Elaborazioni
Questo volume contiene una serie di tabelle i cui valori sono il frutto di una prima elaborazione di tipo statistico eseguita sulla base
dati dell’Inventario del Dissesto nella sua attuale struttura e versione (1997).
Le elaborazioni sono state eseguite mediante l’uso dei Sistemi Informativi Geografici (ARC/INFO) che offrono la possibilità di
integrare e manipolare una cospicua quantità di dati territoriali.
Oltre alla base dati dell’Inventario del Dissesto è stata utilizzata quella tratta dai tematismi topografici della CTR in scala 1:10.000,
(anch’essa gestita dal Servizo Cartografico e Geologico) in particolare gli strati dei limiti amministrativi e di tutta la viabilità (stradale
e ferroviaria).
http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran3.htm (3 di 5)19/09/2005 17.28.31
Rischio idrogeologico (Appennino resiliente)
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  • 1.
  • 2. Introduzione alla geologia dell’Appennino Ligure-Emiliano Piero Elter L'Appennino Settentrionale risulta dalla sovrapposizione tettonica di due grandi insiemi, diversi per litologia, struttura ed origine paleogeografica: un Insieme Esterno Umbro-toscano ed un Insieme Interno Ligure-emiliano. L'insieme Esterno è costituito essenzialmente da uno zoccolo continentale, appartenente alla Placca Apula (Adriatico-Padana Auctt.) su cui poggiano, anche se scollate e deformate, le successioni mesozoico-terziarie che ne rappresentano l'originale copertura sedimentaria. L'insieme Interno consta di una serie di unità tettoniche che, per la presenza di ofioliti (rocce ignee basiche ed ultrabasiche tipiche della litosfera oceanica) si sono invece originate in un oceano estendendosi eventualmente anche sulla parte più assottigliata dei margini continentali adiacenti (vedere i capitoli sulle ofioliti). Queste unità hanno comunque abbandonato il loro substrato originario, che è scomparso in subduzione, per sovrascorrere da ovest verso est (vergenza appenninica) sull'Insieme Esterno, che ha avuto ruolo di avampaese, costituendo perciò una coltre alloctona. Da un punto di vista geodinamico più generale l'Oceano Ligure (o Ligure-piemontese se si tiene conto del suo prolungamento nelle Alpi), da cui sono derivate queste unità, costituiva la separazione fra continente iberico-europeo da un lato e continente apulo-africano dall'altro, i cui margini hanno rappresentato gli avampaesi rispettivi delle Alpi e dell'Appennino. Dalla sua subduzione hanno avuto origine unità alloctone obdotte con vergenza opposta, nell'una e nell'altra catena. La storia strutturale dell'Insieme Ligure- emiliano è perciò complessa: una parte delle unità tettoniche che lo costituiscono, prima di essere implicata nella tettonica miocenica a vergenza appenninica (apula), ha partecipato, nelle fasi deformative precoci, anche a deformazioni alpine a convergenza principalmente europea. L'insieme esterno umbro-toscano Comprende diverse "zone" caratterizzate da successioni stratigrafiche simili tra loro che rappresentano la copertura sedimentaria del margine apulo, vale a dire di quello sud-orientale originato dall'apertura infracontinentale dell'Oceano Ligure. Questo fenomeno è stato preceduto da un processo di riftìng, in cui la litosfera continentale ha subito una trazione che l'ha assottigliata meccanicamente, prima della sua lacerazione. Le successioni rispecchiano perciò un'evoluzione in cui da una situazione di rift continentale si passa a quella di margine, prima passivo e poi attivo con l'inizio dell'orogenesi. A un Trias trasgressivo e spesso evaporitico segue una serie di piattaforma al Giurassico inferiore. Lo sprofondamento e la fratturazione di quest'ultima lascia il posto alla sedimentazione di calcari pelagici con batimetria variabile, che si manifesta per la presenza di serie condensate accanto ad altre bacinali. Al Giurassico superiore in seguito all'apertura oceanica compare la sedimentazione di Diaspri e Calcari a Calpionelle, che dall'Oceano Ligure si estende anche sul margine continentale. Seguono poi (Cretaceo-Eocene) le marne, in facies pelagica, della Scaglia, che ricoprono uniformando la morfologia del fondo marino, divenuto tettonicamente passivo. Infine al Terziario si verifica un avvenimento rivoluzionario: la sedimentazione che era stata finora essenzialmente carbonatica, via via più pelagica e priva di significativi apporti terrigeni, diviene improvvisamente clastica con potenti formazioni di torbiditi arenacee che compaiono prima nelle zone più occidentali per poi spostarsi progressivamente verso quelle orientali. Anche se alimentate longitudinalmente da rilievi relativamente lontani, il loro carattere di depositi di avanfossa in relazione con l'avanzare dell'orogenesi nell'Appennino, è molto evidente ed anch'essi prendono il nome di flysch (Macigno s.l.). La differenza di età e di facies tra questi flysch costituisce uno dei caratteri più appariscenti che portano alla distinzione dei due grandi domini in cui si suddivide l'insieme Esterno: il Dominio Toscano, caratterizzato dalla Formazione del Macigno, e il Dominio Umbro, caratterizzato dalla Formazione Marnoso-arenacea.
  • 3. Dal punto di vista tettonico il Dominio Toscano comprende due unità sovrapposte (Toscanidi). Quella inferiore affiora principalmente nella Finestra tettonica delle Apuane ed è costituita da una successione metamorfica che comprende il basamento paleozoico e su questo tutta la copertura dal Trias fino al Macigno (tradizionalmente ma erroneamente chiamato Pseudomacigno). Quella superiore è la Falda Toscana, priva di un metamorfismo palese e costituita dall'accavallamento sulla prima di tutta la successione di copertura a partire dalle evaporiti del Trias, fino ai potenti sedimenti torbiditici del Macigno. Il Dominio Umbro, anche se piegato, manifestamente scollato e avanscorso sul suo basamento (che peraltro è conosciuto solo in sondaggio) è generalmente considerato come autoctono. Per essere completi si deve aggiungere che, in una zona compresa fra il fronte della Falda Toscana (che corrisponde approssimativamente al crinale appenninico) e il Dominio Umbro su cui esso si accavalla, compare il Complesso arenaceo di M. Cervarola (Unità Cervarola). Questo, anche se comprende alcuni elementi tettonici di origine probabilmente più interna, costituisce essenzialmente una zona intermedia fra Macigno e Marnoso-arenacea (del Dominio Umbro). La migrazione dell'avanfossa e l'Unità di Canetolo L'età delle formazioni arenacee di cui al capitolo precedente, diviene progressivamente più recente dalla più interna (SO) alla più esterna (NE). Il Macigno risullta infatti compreso fra l'Oligocene medio e il Miocene inferiore, le Arenarie di M.Cervarola, più esterne, vanno dall'Oligocene superiore a tutto il Miocene inferiore; la Marnoso-arenacea, ancora più esterna, è interamente compresa nel Miocene medio. Si delinea così un'avanfossa di torbiditi che migra progressivamente verso l'esterno, davanti all'avanzare del fronte orogenetico, in un primo tempo costituito dalle Liguridi, poi anche dalla Falda Toscana. Questo carattere di avanfossa è evidenziato dall'arrivo dei primi elementi alloctoni che si mettono in posto gravitativamente come frane sottomarine (olistostromi) o addirittura come fronti di elementi tettonici che prima si intercalano, poi si sovrappongono alle arenarie del bacino antistante. I primi elementi alloctoni sono costituiti dal "Complesso Subliguride" fra cui la cosidetta "Unità di Canetolo", nella quale mancano quasi totalmente le ofioliti. In realtà, a parte la sua suddivisione in elementi tettonici minori (sotto unità), questa falda è un complesso composito nella cui successione compaiono almeno due gruppi di formazioni con grado di alloctonia diverso (alloctone e semialloctone). Si può così distinguere un gruppo basale, che comprende le Argille e calcari di Canetolo-Cirone (Paleocene-Eocene) e le formazioni calcaree del Groppo del Vescovo, di Vico e del Penice (denominazioni locali e probabilmente variazioni laterali di uno stesso flysch eocenico a dominante carbonatica), in cui è riconoscibile un'affinità ligure esterna e perciò una ben marcata alloctonia. Un secondo gruppo comprende invece lembi di potenti formazioni arenacee (Arenarie di Petrignacola ed Arenarie di Ponte Bratica), più estesi nelle parti più esterne della falda (vaI Parma, vaI d'Aveto) e ridotti a sporadiche e sottili lenti altrove. Questi lembi per l'età compresa tra l'Oligocene inferiore e l'inizio del Miocene, e prescindendo da un rilevante contenuto in clasti di vulcaniti andesitiche (peculiari delle Arenarie di Petrignacola), si avvicinano molto di più ai flysch arenacei del Dominio Esterno. Anche se i primitivi rapporti fra le formazioni dei due gruppi sono stati in parte modificati dalle vicissitudini successive, che hanno prodotto anche una loro suddivisione in sotto unità tettoniche, pare certo che le formazioni arenacee si siano sedimentate in discordanza sulla serie basale già mobilizzata. L'origine dell'Unità di Canetolo rimane per alcuni aspetti ancora un po' enigmatica. Un'ipotesi suggestiva è che si abbia a che fare con il contenuto di una prima avanfossa di flysch, situata all'interno del bacino del Macigno toscano, in cui sopraggiungeva il primo fronte alloctono, costituito dalle Argille e calcari di Canetolo e dai flysch calcarei eocenici associati. Su questo fronte si sedimentavano in discordanza i flysch arenacei di Ponte Bratica e di Petrignacola (quest'ultimo alimentato da un rilievo in cui era attivo anche un vulcanismo calco-alcalino). Il tutto doveva poi essere rimobilizzato nelle fasi tettoniche successive (fasi toscane) e spinto, con il progredire dell'orogenesi, prima sopra al Macigno e poi (una volta individuata la Falda Toscana e superato il fronte di quest'ultima mentre avanzava anche il grosso delle Liguridi) anche nella nuova avanfossa rappresentata dal bacino del Cervarola.
  • 4. Per questa ragione anche il "complesso del Cervarola" appare composito ed è interessato da vistose manifestazioni di tettonica sinsedimentaria. I sedimenti propri della fossa, noti come Arenarie di M. Cervarola (cui corrispondono più a N le formazioni di Pracchiola e quelle di San Salvatore), risultano infatti affetti da una deformazione penecontemporanea la cui manifestazione principale è un progressivo rovesciamento in sinforme del bordo interno del bacino sotto la spinta del fronte alloctono (toscano e ligure); il processo avviene mentre continuano a giungere elementi associati alle Argille e calcari di Canetolo, provenienti dalla prima avanfossa interna o anche strappati alla parte sommitale del Macigno. Rapporti fra insiemi esterno (toscanidi) ed interno (liguridi) nell'appennino ligure-emiliano Se si prescinde dai lembi di ricoprimento isolati dall'erosione e dalle finestre tettoniche, esiste una grossolana corrispondenza fra il limite geologico, che corrisponde alla sovrapposizione delle Liguridi sulle Toscanidi, e quello orografico-amministrativo (con la sola eccezione dei due promontori che delimitano il Golfo di La Spezia) fra Toscana e Liguria. Questo limite corre poi subito a NE del crinale appenninico anche fra Toscana ed Emilia. Gli elementi strutturali appartenenti al Dominio Esterno, cioè le unità del Dominio Toscano, messi a nudo dall'erosione e forse anche dalle distensioni tettoniche tardive, affiorano perciò prevalentemente in Toscana, mentre in Liguria ed Emilia sono di gran lunga dominanti i terreni dell'Insieme Ligure e cioè le Unità Liguri alloctone. Questa disposizione ha evidentemente un significato strutturale ed è schematizzata nel blocco-diagramma della Fig. 1. La successione triassico-oligocenica della Falda Toscana, insieme alla sottile coltre dell'Unità di Canetolo, costituisce i due promontori spezzini e gran parte dei Monti della Lunigiana e della Garfagnana, avvolgendo come una sciarpa l'elevato nucleo metamorfico delle Apuane ed essendo avviluppata a sua volta dalle Unità Liguri. Fig. 1 - Schema della sovrapposizione tettonica delle principali unità presenti nell’Appennino Settentrionale. La Finestra delle Apuane appare perciò come una culminazione strutturale, denudata dall'erosione, e circondata da una serie di involucri concentrici costituiti dalle varie unità tettoniche sovrastanti. Nel
  • 5. complesso si tratta di un andamento di tipo periclinale dovuto all'immersione assiale verso NO con cui le Apuane e le altre unità del Dominio Toscano si immergono al di sotto della immensa coltre alloctona ligure. Questa struttura, che costituisce l'ossatura principale della catena, e che è accompagnata da strutture minori con comportamento analogo, è complicata da sistemi di faglie distensive di direzione appenninica che l'hanno in parte collassata originando al suo interno dei graben in cui sono conservate le coperture tettoniche liguri. Il maggiore di questi graben corrisponde all'alta valle della Magra ed è stato anche la sede dei "laghi villafranchiani" di Pontremoli e di Olivola. A NO del Golfo di La Spezia e della Lunigiana le strutture toscane scompaiono, come si è detto, al di sotto delle Liguridi che dominano quasi incontrastate in tutto l'Appennino Ligure-emiliano. Questa grande coltre alloctona è interrotta solamente da alcune Finestre dove l'erosione ha messo a nudo strutture appartenenti all'insieme sottostante (Fig. 1). La Finestra di M. Zuccone, nell'alta valle del Taro, mostra un'anticlinale in cui l'Unità di Canetolo sormonta la parte superiore del Macigno toscano, dopo aver alimentato alcuni olistostromi in quest'ultimo. Nella Finestra di Bobbio, al di sotto di un impilamento di sottounità appartenenti all'Unità di Canetolo, il F. Trebbia ha profondamente inciso un complesso ben correlabile con quello del Cervarola. Il motivo strutturale è rappresentato da una sinclinale plurichilometrica che ripiega le Arenarie di San Salvatore. Il fianco interno rovesciato di questa struttura è tagliato in discordanza dall'arrivo penecontemporaneo di elementi alloctoni dell'Unità di Canetolo, accompagnati da lembi di formazioni provenienti dalle parti più interne della stessa avanfossa (Sotto Unità di Coli). Nella Finestra di Salsomaggiore infine, posta quasi al margine della Pianura Padana, affiora un flysch arenaceo miocenico medio che potrebbe rappresentare un lontano prolungamento della formazione Marnoso-arenacea umbra. La presenza di queste finestre dimostra la generale alloctonia dell'insieme Ligure dal mare fino alla Pianura Padana e, in una certa misura, il continuare, al di sotto di questa coltre, delle zone paleogeografico-strutturali in cui l'insieme Esterno è stato suddiviso più a SE. L'insieme interno (o Dominio) ligure Comprende due domini detti rispettivamente Ligure Interno e Ligure Esterno (Liguridi), separati da un contatto tettonico lungo il quale il primo si accavalla solo parzialmente sul secondo, poggiando per il resto anche direttamente sulla Falda Toscana con l'interposizione della sola Unità di Canetolo. Pur essendo entrambi caratterizzati dalla presenza di ofioliti, queste assumono un diverso significato nell'uno e nell'altro dominio. Le Liguridi Interne hanno caratteristiche sicuramente oceaniche in quanto le maggiori masse ofiolitiche si trovano ancora in posizione primaria alla base della successione sedimentaria: esse rappresentano pertanto frammenti del fondo marino mesozoico. I primi sedimenti che le ricoprono e che datano l'apertura dell'oceano, sono diaspri del Giurassico superiore. Nelle Liguridi Esterne non si conoscono ofioliti che costituiscano sicuramente la base della successione, essendo questa ultima scollata dalla sua originaria base evidentemente in corrispondenza di formazioni argillose del Cretaceo medio-superiore (i cosiddetti "Complessi di base"). Le ofioliti compaiono invece come masse, anche di dimensioni plurichilometriche (talvolta accompagnate da residui di una copertura giurassico-cretacica mt.), scivolate in gran parte nel bacino di sedimentazione ligure del Cretacico sup. e pertanto intercalate in quei sedimenti. Esse sono sempre accompagnate da un vistoso detritismo sottomarino (debris-flows, slides blocks, ecc.) costituito da un misto di elementi ofiolitici e sedimentari e sono esse stesse da considerarsi come megaclasti rimaneggiati. Queste ofioliti dislocate ed in un certo senso estranee alla successione, mentre non danno alcuna indicazione sulla natura del substrato originario del bacino, sono invece un indizio della vicinanza di un rilievo oceanico tettonicamente attivo, situato verosimilmente al limite fra Ligure Interno ed Esterno. A questo rilievo ipotetico, i cui primi prodotti compaiono dall'inizio del cretaceo superiore e che avrebbe in qualche modo separato i due domini, è stato dato il nome di "Ruga del Bracco". Il Dominio Ligure Interno Comprende tre unità tettoniche sovrapposte: l'Unità Colli Tavarone-Serò, l'Unità Bracco-Val Graveglia e l'Unità Gottero. (Supergruppo della Vai di Vara Auct.)
  • 6. Nell'Unità Bracco-Val Graveglia è rappresentata la parte basale della successione con le ofioliti: queste compaiono spesso come nuclei di grandi pieghe coricate, sormontate dalla loro copertura sedimentaria (si veda il capitolo sulle ofioliti). Fra le ofioliti si puo distinguere una "base" di peridotiti con inglobate masse magmatiche di gabbri ed ultramafiti cumulitiche. Su questo substrato, già deformato in ambiente oceanico, poggiano in discordanza i basalti che sono invece concordanti con i sedimenti soprastanti e fanno perciò parte della copertura. Le condizioni sono quelle di un fondo accidentato da un'attività tettonica precoce collegabile con le fasi iniziali di apertura e di espansione oceanica. Ne sono indizi le rapide variazioni di spessore, la marcata discontinuità dei basalti e la presenza di detritismo ofiolitico (oficalciti, Brecce di case Boeno, di M. Capra, M. Rossola, M. Zenone, ecc.) che denota la presenza di scarpate attive. La copertura sedimentaria è costituita alla base da Diaspri del Giurassico superiore in parte intercalati ai basalti. Questi sono seguiti da Calcari a Calpionelle nel Cretaceo basale e poi da argille profonde cui si intercalano strati di calcilutiti torbiditiche (Argille a palombini) che si estendono fino all'inizio del Cretaceo superiore. I termini inferiori di questa successione risentono ancora della morfologia irregolare del fondo oceanico, con discontinuità e rapide variazioni di spessore tendenzialmente coincidenti con quelle dei basalti. Queste condizioni perdurano fino all'inizio del cretaceo ma cessano con le Argille a palombini che livellano le asperità, sedimentandosi uniformemente su tutto il fondo. Infine la successione termina con forte discontinuità nella sedimentazione a causa del contatto tettonico con le altre unità, oppure perché sormontata in discordanza e profondamente canalizzata da una formazione caotica di età paleocenica (Formazione di Colli-Tavarone) contenente blocchi e debris flows di ofioliti e di elementi della loro copertura sedimentaria (anche piu recenti delle Argille a palombini). Questo nuovo detritismo ofiolitico, che come vedremo è comune anche alle altre Unità Liguri Interne, si differenzia nettamente dal precedente e appare come la ripercussione di movimenti orogenetici convergenti e della surrezione di nuovi rilievi che potrebbero rappresentare un'ulteriore evoluzione della cosiddetta "Ruga del Bracco" (da non confondere con l'U. Bracco). Le Unità Gottero e Colli Tavarone(-Serò) sono invece costituite da successioni scollate, in genere in corrispondenza delle Argille a palombini, e comprendono anche termini più recenti che non compaiono nell'Unità Bracco-Vai Graveglia. Nell'Unità Gottero le Argille a palombini sono seguite, a partire dal Santoniano, dalla Formazione della Val Lavagna che passa a sua volta alle Arenarie di M. Gottero (Campaniano sup.-Maastrichtiano). Si tratta di due potenti formazioni torbiditiche, prima in facies distale e poi decisamente prossimale con alimentazione meridionale (Massiccio Sardo-Corso?). Nell'Unità Colli-Tavarone(-Serò) le Argille a palombini sono sormontate dai soli Scisti della VaI Lavagna e solo localmente da pochi strati di Arenarie del Gottero. Ambedue le successioni si chiudono a tetto con la comparsa degli "scisti a blocchi" paleocenici che contengono clasti ofiolitici e sedimentari, apparentemente più prossimali nell'Unità Colli-Tavarone(-Serò) (Formazione di Colli-Tavarone) e più distali in quella del Gottero (Formazione di Giaiette). Il Dominio Ligure Esterno Vi si distinguono abitualmente dei Complessi di base (vedere più avanti), di età per lo più compresa fra l'Albiano ed il Campaniano inferiore (ma che in certi casi sale anche più in alto), e delle formazioni torbiditiche a dominante calcarea conosciute come flysch ad elmintoidi (Campaniano-Paleocene). Queste, solo nella fascia più esterna, sono seguite da altri flysch, anch'essi calcarei, di età paleocenico-eocenica. Questo dominio comprende esclusivamente unità alloctone che, scollate principalmente nei Complessi di base, hanno abbandonato completamente il loro substrato originario, che pertanto non è conosciuto e la cui natura totalmente o parzialmente oceanica, oppure continentale assottigliata, è soltanto oggetto di ipotesi. La lunga storia tettonica precedente, contemporanea e posteriore alla sua messa in posto sull'insieme Esterno, ha scomposto questo dominio, separandone talvolta i diversi termini della successione, in unità
  • 7. tettoniche variamente impilate o giustapposte tra loro. Queste, pur essendo collegate da una evidente "parentela", mostrano anche differenze tali nella litologia o nelle sequenze che hanno permesso di identificarle, benché i rapporti paleogeografici originari non siano sempre di facile ricostruzione. In linea di massima si possono distinguere due Zone paleogeografiche principali. Una, costituita dalla fascia piu direttamente in contatto con le Liguridi Interne, ha caratteristiche più marcatamente liguri. Vi compare un Complesso di base (Complesso M. Penna-Casanova-M. Veri), in parte eteropico di un flysch ad elmintoidi (Flysch di Ottone), caratterizzato da un abbondante detritismo con enormi olistoliti, olistostromi e torbiditi provenienti da altre successioni ofiolitiche (ofioliti e loro copertura sedimentaria). Nella zona più esterna, chiamata anche Emiliana (o Ligure-emiliana per le situazioni intermedie), compaiono invece unità tettoniche (M. Caio, Solignano, M. Cassio, ecc.) in cui i clasti ofiolitici diventano una componente occasionale o sono addirittura assenti. Nei “Complessi di base" compaiono invece estese formazioni terrigene silicoclastiche, quali le Arenarie di Ostia e di Scabiazza, di provenienza continentale. Fra queste sono particolarmente noti i Conglomerati dei Salti del Diavolo (Campaniano inf.) ai cui ciottoli è stata da tempo attribuita una provenienza da settori nord-occidentali del promontorio continentale apulo- austroalpino (sudalpino-Zona Insubrica). Infine, mentre nella zona più interna la sedimentazione termina con il flysch ad elmintoidi alla fine del Maastrichtiano o all'inizio del Paleocene, nella Zona Emiliana la successione si completa con potentissimi flysch paleocenico-eocenici che, dopo essersi parzialmente sedimentati sul flysch ad elmintoidi, sono stati in buona parte scollati per costituire unità a se stanti (M. Sporno, Farmi d'Olmo, Val Luretta, Pietra dei Giorgi, ecc). E’ probabile che fra queste due zone, caratterizzate soprattutto da apporti detritici di provenienza opposta, esistesse un originario rapporto di eteropia. Questo è tuttavia mascherato dalla presenza di una zona intermedia (Zona di Berceto o della Media vai Taro), con significato soprattutto tettonico, in cui ad elementi di "complessi di base" di tipo esterno (Arenaria di Ostia, Argille di San Siro) se ne associano altri con grandi masse di ofioliti, verosimilmente di origine interna e riallacciabili alla Successione M. Penna-Casanova-M. Veri (Unità Ottone-casanova). Ricostruzione bidimensionale delle unità tettoniche citate L'evoluzione tettonica L'edificazione del settore settentrionale della Catena appenninica è il risultato di una storia strutturale complessa le cui fasi possono essere raggruppate in due cicli principali ben distinti fra loro. Il primo comprende le cosiddette Fasi liguri ed ha interessato esclusivamente l'insieme interno, prima che si verificasse la sua traslazione sull'avampaese toscano. Esso si conclude con la "trasgressione" eocenica superiore-oligocenica del Bacino Terziario Piemontese sulle Liguridi Interne e del suo corrispondente (un pò più distale), rappresentato dalla Successione Epiligure, sul Liguride Esterno.
  • 8. Il secondo ciclo comprende le Fasi dette toscane (che si manifestano per tutto il Miocene) e corrisponde alla messa in posto delle Liguridi, in gran parte già strutturate nel ciclo precedente, sull'insieme Esterno e alla contemporanea evoluzione tettonica di quest'ultimo. Questo ciclo in Toscana si conclude, nel Tortoniano sup., con la trasgressione del Bacino Neoautoctono del volterrano, che segna qui la fine delle traslazioni orizzontali. La Fase toscana è seguita da manifestazioni di tettonica distensiva che si traducono in grandi faglie, parallele alla costa tirrenica, ed in evidente relazione con l'apertura di questo mare. Nei domini più esterni continua invece la tettonica compressiva con estesi piegamenti e con ulteriori traslazioni, almeno in parte gravitative, della coltre ligure. Le ultime deformazioni interessano il Pliocene inferiore e sono ancora riconoscibili nelle strutture frontali sepolte sotto la Pianura Padana. Evoluzione tettonica del Ligure Interno La tettonica del Dominio Ligure Interno si differenzia da quella del Ligure Esterno soprattutto per una maggiore deformazione delle strutture che si palesa anche in un leggero metamorfismo in facies da anchi a epizonale. A parte la traslazione certamente più tardiva che ha portato la falda del Gottero a sopravanzare le sottostanti Unità Bracco e Colli-Tavarone (-Serò) per sovrascorrere direttamente, per oltre trenta chilometri, sul Ligure Esterno o addirittura sulla Falda Toscana, l'essenziale della tettonica precede la deposizione del Bacino Terziario Piemontese ed è perciò interamente ascrivibile alle Fasi liguri. Questa tettonica è strettamente dipendente da quella delle vicine Alpi Occidentali e Marittime a cui le Liguridi Interne sono del resto saldate dal bacino terziario stesso. Le prime deformazioni del fondo oceanico, di cui la sola testimonianza nell'Appennino è rappresentata dal detritismo ofiolitico, sono forse correlabili con la più documentata tettonica eoalpina delle Alpi. Le deformazioni più visibili, sigillate dalla trasgressione eocenica sup.-oligocenica, sono invece chiaramente coeve con quelle mesoalpine tanto più che, come nelle Alpi Marittime, l'edificio è sormontato da una falda di flysch ad elmintoidi: la Falda di M. Antola. L'evoluzione tettonica si è sviluppata in tre fasi. La prima, caratterizzata da pieghe isoclinali compresse e sinmetamorfiche, corrisponde alla formazione di un primo impilamento di Unità Liguri Esterne su cui sovrascorre anche l'Unità di M. Antola. Soprattutto per analogia con le Alpi, appare probabile che questa prima fase abbia avuto una vergenza europea. Una seconda fase è consistita in un ulteriore raccorciamento che ha ripiegato i contatti tettonici formati nella fase precedente. La terza fase corrisponde a delle superfici di taglio lungo cui si sono verificati dei sovrascorrimenti in senso opposto (retrocarreggiamenti) che hanno ancora modificato la geometria portandola ad una situazione ormai simile all'attuale. In effetti, a parte alcuni scorrimenti più tardivi, attribuibili alle Fasi toscane, come quello già menzionato della Unità Gottero, la catena non subirà modifiche sostanziali negli sviluppi orogenetici successivi. Evoluzione tettonica del Ligure Esterno Le Unità Liguri Esterne sono apparentemente meno intensamente deformate, in quanto prevalgono le pieghe aperte a grande raggio e solo raramente si osserva una scistosità penetrativa. Il contatto fra Ligure Interno ed Esterno si presenta come una superficie di accavallamento, relativamente raddrizzata, che corre approssimativamente lungo una linea che va da Ottone, in Vai Trebbia, fino a Sarzana e oltre. Questa è superata solo dal locale, anche se esteso, avanscorrimento della già citata Falda di M. Gottero. Al di sotto di questa superficie il margine interno del flysch ad elmintoidi (Zona Ottone-S. Stefano-Zignago)
  • 9. appare rovesciato in probabile relazione con l'accavallamento citato. Si tratta però di un motivo ricorrente nello stile tettonico del Ligure Esterno che si ritrova anche altrove. Fra le deformazioni che interessano le unità di tutto il flysch ad elmintoidi sono state certamente prevalenti le grandi pieghe coricate come mostra la grande estensione longitudinale e trasversale di serie rovesciate che compaiono lungo tutte le sezioni. Queste serie rovesciate mancano frequentemente di un raccordo con i rispettivi fianchi normali, senza che esistano sintomi di un'erosione che ne abbia determinato la scomparsa. Si tratta più probabilmente di pieghe che sono state smembrate da una tettonica verosimilmente gravitativa, che ha separato i fianchi inversi da quelli normali. In questo processo è stata probabilmente determinante la presenza al nucleo delle pieghe delle formazioni argillose e caotiche che costituivano i "complessi di base". Si hanno così successioni diritte o rovesciate, che sono andate a costituire delle unità tettoniche indipendenti di cui non è sempre facile ricostruire l'organizzazione e la provenienza originaria, anche se continuità longitudinale, posizione geometrica e caratteristiche lito logiche permettono di distinguerle.
  • 10. Introduzione alla geologia dell'Emilia-Romagna di Giorgio Zanzucchi Per comprendere compiutamente i processi geologici, e in particolare quelli che danno origine ai rilievi montani che oggi vediamo, occorre predisporre la mente ad accettare concetti che non sono sempre intuitivi o sufficientemente noti. Richiamiamoli qui brevemente, rimandando per una più completa esposizione ai capitoli che trattano le forze della natura e le rocce. I continenti che "galleggiano" su di un profondo substrato, costituito da rocce ad alta temperatura, vengono trascinati passivamente da correnti convettive che hanno sede appunto nella parte superiore del mantello terrestre (astenosfera), a profondità variabili tra 50 e 250 chilometri. Questi lenti movimenti sono responsabili della separazione di zolle continentali, come anche della loro collisione. Quei fanghi e sedimenti che si trovano intrappolati nella morsa delle placche continentali, vengono corrugati, profondamente deformati, strizzati o addirittura scollati e spostati di chilometri dalla loro sede originaria. Altri vengono inghiottiti in profonde fosse e poi riciclati, trasformati e rifusi in allungate zone di subduzione che partecipano alla parte discendente delle correnti convettive. Quanto detto sopra non deve tuttavia fare pensare che solamente i fanghi e i sedimenti imbevuti di acqua (marina) possano deformarsi e piegarsi, occorre invece considerare come il fattore tempo influisca in modo determinante sulla "plastificazione" di rocce durissime, quando queste siano sottoposte a sforzi continui che agiscano con una lentezza quasi inconcepibile, provocando spostamenti anche di pochi millimetri all'anno. È solo rendendosi ben conto che ciò avviene in tempi geologici, misurati in milioni di anni, che si possono comprendere da una parte le azioni di minuto modellamento delle rocce e dall'altra gli scorrimenti e gli accavallamenti su aree estesissime e su distanze di decine e centinaia di chilometri. Nei brevi tempi storici dell'uomo non possiamo prendere coscienza di ciò, avvertendo soltanto gli sporadici sussulti di un incessante movimento sotto forma di terremoti o eruzioni vulcaniche. Occorre infine, sempre e comunque, considerare i processi geologici in continua evoluzione e concomitanza: così ad esempio è importante tener presente che ad ogni emersione di masse rocciose corrisponde l'immediata aggressione da parte degli agenti esogeni, con conseguente degradazione, trasporto e conclusiva deiezione dei materiali clastici nelle aree più depresse o nei bacini marini a formare nuovi complessi sedimentari. In questo capitolo si vuole tentare di schematizzare l'evoluzione geologica del territorio regionale e tratteggiare quelli che si ritengono i principali fatti che hanno formato e deformato quelle rocce che ora costituiscono i nostri rilievi appenninici. È quasi superfluo ricordare che, al di sotto dei nostri abitati, delle nostre strade, delle nostre campagne e montagne, sono sempre presenti quelle stesse rocce che vediamo, poco più lontano, affiorare nelle scarpate o lungo i corsi d'acqua. Nella parte occidentale della Regione (Tav. 1) hanno grande sviluppo le formazioni alloctone cosiddette Liguridi, mentre in quella orientale, dalla valle del Santerno in poi, hanno predominio le formazioni autoctone delle unità tosco-umbro-romagnole. Le prime sono costituite da rocce di varia natura, sedimentate in un profondo mare (Bacino ligure) ubicato tra l'odierna Corsica e la costa tirrenica, in un periodo di tempo compreso tra il Giurassico superiore e l'Eocene medio, cioè tra 150 e 45 milioni di anni fa circa. Soprattutto nella fascia montuosa ligure-emiliana, sono frequenti anche le rocce derivate dalla solidificazione di lave basaltiche sottomarine, legate alle dorsali oceaniche, e perfino "scaglie" di un profondo e antico substrato (mantello), che per il loro colore scuro e verdastro (ofioliti) e per la loro resistenza alla erosione, ora spiccano nel paesaggio dell'alto e medio Appennino. Sono le uniche rocce non sedimentarie, insieme a pochi blocchi di granito, che vengono classificate come "ignee", cioè solidificate da "fusi" superficiali e/o profondi.
  • 11. Tav. 1 . Schema geologico semplificato dell'Appennino settentrionale nel quale vengono indicati i principali protagonisti della struttura geologica del territorio emiliano-romagnolo. Le linee più spese indicano i contatti tettonici importanti (da Mutti et.al. 1975, semplificata) Unità Umbro-Marchigiane Complesso M. Modino-M-Cervarola Unità Toscane Depositi neoautoctoni Sucessione epiligure Unità liguri Le seconde comprendono una successione di rocce esclusivamente di origine sedimentaria e di natura prevalentemente carbonatica, depositate in ambiente meno profondo con precipitazione di gessi, anidriti e cloruri a seguito dell'esteso processo di evaporazione di un grande mare. Verso la fine dell'Era Mesozoica si ebbe una lentissima deposizione di fanghi rossi che proseguì anche nella prima parte dell'Era Terziaria, preparando il letto alle arenarie del Macigno e della Marnoso-arenacea. Queste due diverse successioni litologiche (di rocce) prendono la denominazione di Dominio ligure (alloctono) e Dominio toscano (autoctono) (Tav. 2).
  • 12. TAV. 2. Evoluzione geologica dei versante emiliano dell'Appennino settentrionale da 25-30 milioni di anni ad oggi. Numeri uguali di asterischi indicano uguali porzioni rocciose. la diversa colorazione distingue l'autoctono dall'alloctono e ripete quella dello schema geologico di tav. 1. La catena alpina era in gran parte "strutturata" e in via di lento sollevamento, quando il mare copriva ancora la futura "dorsale appenninica" in formazione. Questa stava ricoprendosi di depositi sabbiosi, prima di essere invasa da occidente da chilometri e chilometri cubi di altre rocce e di fanghi non ancora bene litificati (cfr. "alloctono liguride"). Evoluzione geodinamica della regione nel quadro geologico della penisola italiana Nel periodo che va da circa 25 milioni di anni fa ad oggi, che vide gran parte delle unità del Dominio ligure (Liguridi) riversarsi sulla "Placca Apulia" (o Placca insubro-padana) ancora in gran parte sommersa dal mare, tutto il nostro territorio si stava deformando come strizzato in una colossale morsa tra l'Europa e l'Africa, ruotando inoltre da occidente ad oriente, con un fulcro più o meno ubicato nell'odierna Liguria (Tav. 3). Tav. 3. Evoluzione spaziale e temporale della rotazione antioraria della "catena appenninica" in formazione da 30 milioni di anni ad oggi (da Rehault, mascle e Boillot, 1984)
  • 13. Il blocco sardo-corso, che già si era staccato dalla Spagna e dalla Francia una trentina di milioni di anni fa, continuò a ruotare in senso antiorario fino a raggiungere la sua attuale posizione intorno a 18 milioni di anni or sono mentre la sua appendice meridionale continuò a migrare fino a posizionarsi all’estremo sud della penisola (Calabria e Sicilia). Tutti questi fenomeni si svilupparono negli ultimi 6-7 milioni di anni, fintanto che l'ossatura del nostro paese non emerse definitivamente dal mare, ricoperta, a guisa di una muscolatura, dalle "crete" e dalle sabbie che erano il prodotto più diretto della erosione della catena stessa e sedimentate in quel mare che la circondava ad ovest, a sud e ad est. La nostra penisola prendeva forma e da quella specie di arcipelago che era, divenne la nostra terra. La catena ligure, l'avampaese tosco-romagnolo e l’avanfossa padana Per l'effetto "morsa" e per le rotazioni verso est dei bacini marini in via di colmamento, ad iniziare da circa 25 milioni di anni or sono, a causa dell'avanzare della catena ligure verso oriente, il fondale autoctono che ne veniva ricoperto si andava deprimendo schiacciato dall'enorme peso (Tav. 2). Esso era inoltre contemporaneamente percorso da veloci masse d'acqua, torbide per l'elevato contenuto in sabbie, che provenivano da lontani settori nord-occidentali (vedere freccia puntolata in Tav. 2) sui quali probabilmente "parcheggiavano" in vaste e instabili aree sottomarine. Questi (ri-) sedimenti sabbiosi (torbiditi) accumulati in allungate fosse marine parallele al fronte della sommersa "catena ligure" avanzante, si depositarono con spessori di molte centinaia di metri ed estensione di migliaia di chilometri quadrati. Dalla cartina geologica (Tav. 1), dallo schema evolutivo (Tav. 2) e da quanto sopra anticipato, si desume che nell'Appennino settentrionale e, quindi, nella nostra regione, coesistono due enormi "insiemi" di rocce aventi origine e storia diverse. Uno di questi, alloctono, proviene da zone estranee a quella nella quale oggi si trova (Unità liguri); l'altro, rimasto più o meno ancorato al suo substrato (Unità toscane), è ampiamente ricoperto dal primo. Le Unità liguri, con ofioliti, sono presenti con grande estensione nel settore occidentale della regione (Tav. 1), dalla Liguria e dall'Oltrepò pavese fino all'Appennino bolognese; le Unità toscane occupano tutto il crinale emiliano dal Passo di Cirone (PR) a SE del Passo della Cisa, fino alla valle del Torrente Sillaro (BO), da dove si estendono verso nord a comprendere la montagna e collina forlivese e proseguono verso SE oltre la valle del Torrente Marecchia. Da questa sintetica panoramica, risalta la grandiosità del fenomeno di ricoprimento tettonico delle Unità liguri alloctone (si tratta di decine di migliaia di chilometri cubi di roccia!) su quelle toscane (e umbro-marchigiane) autoctone. Questo fatto, ormai perfettamente dimostrato da decenni di ricerche geologiche, va completato con un'ulteriore importante informazione circa le modalità di "messa in posto" delle unità alloctone e i tempi del loro movimento (Tav. 2). I primi sedimenti arenacei (Macigno) delle Unità toscane furono ricoperti per fenomeni tettonici dalle Unità liguri, intorno a 30 milioni di anni fa in quella parte del bacino (marino) toscano che ora si trova affiorante sulle coste del Mar Ligure e del Mar Tirreno settentrionale. Il Macigno del crinale appenninico, invece, venne "invaso" più tardi, dopo circa cinque milioni di anni, mentre le arenarie più esterne (cfr. arenarie del Cervarola e Marnoso-arenacea romagnola) furono ricoperte dai 20 ai 10 milioni di anni fa e, ancora dopo, quelle affioranti sul bordo appenninico romagnolo. L’ampiezza media di tale bacino marino, detto "avanfossa", non poteva essere inferiore ai 150-200 chilometri nel senso dell'avanzata delle unità alloctone, per cui risulterebbe una velocità (!) del ricoprimento da parte delle Unità liguri, di circa un cm all'anno. Assolutamente importante sottolineare che tale gigantesco fenomeno di ricoprimento da parte delle Unità liguri, avveniva in ambiente sottomarino, come dimostrato dai sedimenti marini deposti su di esse. Di mano in mano che queste unità alloctone sovrascorrevano sopra il Macigno e poi sulla Marnoso-arenacea (Tav. 2) ne interrompevano la sedimentazione sabbiosa alimentata dai quadranti occidentali tramite correnti di torbidità. I sedimenti marnosi e arenacei che si depositavano sulle Unità liguri in movimento verso nord-est, sotto il livello del mare, prendono il nome di "Epiliguri" o anche di "Successione Ranzano-Bismantova" (Tavv. 1 e 2).
  • 14. Il sollevamento della Catena appenninica L’avanzata del ricoprimento ligure terminò in tempi diversi da luogo a luogo, ma quasi sempre in corrispondenza della odierna fascia collinare, in un periodo di tempo compreso tra i 10 e i 5 milioni di anni fa, dopo di che partecipò insieme al substrato autoctono a nuovi fenomeni di sollevamento e sovrascorrimento verso la zona padana (fig. 1). È così che durante e dopo queste ultime fasi tettoniche, iniziò il lentissimo sollevamento dell'edificio geologico così strutturato, ad iniziare dal lato tirrenico con progressione graduale verso l'odierna Pianura Padana, allora occupata dal mare plio-pleistocenico. FIG. 1. Il fronte di scorrimento tettonico delle arenarie di Monte Cervarola, presso Rocca Corneta nell'alto Appennino bolognese. Sullo sfondo Sestola col suo castello (foto Zanzucchi). I tempi di questi sollevamento sono lentissimi, valutabili in frazioni di millimetri all'anno! Già dal primo elevarsi al di sopra del livello del mare, l'erosione inizia a intaccare profondamente quelle dorsali in emersione, esponendo i detriti della catena in formazione all'attività di trasporto dei primi corsi d'acqua appenninici. Nella "avanfossa padana", cioè in quella depressione ancora in parte occupata dal mare (Adriatico) tali detriti (fini e grossolani), drenati dai rilievi, iniziano a costruire quei delta (conoidi) che andavano ad "affogarsi" ed esaurirsi nel mare o più spesso nelle paludi padane. Il sommarsi di questi fenomeni a quelli già sviluppati nel versante alpino portò al completo colmamento del "Golfo padano". In questo ultimo mezzo milione di anni, nella Catena alpina colossali fenomeni di glacialismo svilupparono "lingue glaciali" che, arrivando fino alla Pianura Padana, costruirono grandiosi anfiteatri morenici, all'interno dei quali potevano poi formarsi estese conche lacustri come quella del Lago di Garda e degli altri laghi subalpini.
  • 15. FIG. 2. La conca giacio-nivale di "Lama di Mezzo" (Monte Sillano-Il Monte) nell'alto Appennino reggiano. Sullo sfondo, il Monte Ventasso e la Val Secchia (foto Zanzucchi). Sull'Appennino la fase glaciale ebbe sviluppo molto tempo dopo, tra i 70.000 e i 10.000 anni fa (fase Val Parma cfr. Wurm), in quanto l'altezza della Catena non era ancora tale da permettere l'accumulo nivale necessario per l'alimentazione delle lingue glaciali (fig. 2). È tuttavia da segnalare che in alcune valli appenniniche sono noti depositi morenici lasciati da ghiacciai di notevoli dimensioni, come ad esempio in Val Parma, ove tali tracce consentono di ricostruire un apparato paragonabile all'attuale ghiacciaio della Brenva o del Miage, nel massiccio del Monte Bianco.
  • 16. RAPPORTO DISSESTO IDROGEOLOGICO IN ITALIA 2018 popolazione industrie e servizi beni culturali famiglie edifici COMUNI RISCHIO FRANE RISCHIO ALLUVIONI 1.281.970 6.183.364 2,2%* 10,4%* 82.948 596.254 1,7%* 12,4%* 11.712 31.137 5,8%* 15,3%* 550.723 3,8%* 538.034 2.648.499 2,2%* 10,8%* 1.351.578 9,3%* 7.275 91,1%+ SU UNA SUPERFICIE NAZIONALE DI 302.066 KMQ IL 16,6% È MAPPATO NELLE CLASSI A MAGGIORE PERICOLOSITÀ (50.117 KMQ) * % RIFERITA AL TOTALE ITALIA Fonte dati: Elaborazione ISPRA su Mosaicature nazionali di pericolosità per frane e alluvioni, ISPRA 2017 15° Censimento popolazione e abitazioni, ISTAT 2011 9° Censimento industria e servizi, ISTAT 2011; Vincoli in Rete, ISCR 2018
  • 17. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico • Terminologia • Utilizzo della cartografia ( Pianificazione e gestione del territorio) • Prospettive future • Cartografia
  • 18. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Landslide: the movement of a mass of rock, debris or earth down a slope (Cruden 1991) • Il termine inglese è traducibile in italiano con “Franamento” o con “Frana”, e ciò ha generato una certa confusione terminologica: •Franamento: movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante; •Frana: deposito di roccia, terra o detrito generato da un franamento; 1.Terminologia : Cosa è una frana
  • 19. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico La classificazione per tipologia di movimento usata dalla RER è quella di segue le indicazioni di Cruden & Varnes, 1996, riprese e leggermente modificate dal Progetto IFFI – Inventario dei fenomeni franosi in Italia; •Crollo •Ribaltamento •Scivolamento rotazionale •Scivolamento traslativo •Espansione •Colamento lento •Colamento rapido •Sprofondamento •Complesso 2.Terminologia : Classificazione tipologica dei fenomeni franosi
  • 20. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Colate di detrito : 0.2 %
  • 21. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Crolli e ribaltamenti : <1 %
  • 22. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Colamenti di fango : 26.2 %
  • 23. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Scorrimenti rotazionali e traslativi : 49,8 %
  • 24. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Frane complesse : 23,3 %
  • 25. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico 3. Terminologia : Classificazione per stato di attività dei fenomeni franosi ( da Cruden & Varnes) • attiva: attualmente in movimento • sospesa: si è mossa entro l’ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente • riattivata: di nuovo attiva dopo essere stata inattiva • inattiva: si è mossa per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale. Le frane inattive si possono dividere ulteriormente in: • quiescente: frana inattiva che può essere riattivata dalle sue cause originarie • naturalmente stabilizzata: frana inattiva che è stata protetta dalle sue cause originarie senza interventi antropici • artificialmente stabilizzata: frana inattiva che è stata protetta dalle sue cause originarie da apposite misure di stabilizzazione • relitta: frana inattiva che si è sviluppata in condizioni geomorfologiche o climatiche considerevolmente diverse da quelle attuali.
  • 26. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Problemi relativi alla classificazione per stato di attività: 1. Le Frane attive “scadono” dopo 1 anno; Rimedio: Nella Cartografia della AdB del Fiume Po le Frane attive restano tali per 30 anni convenzionalmente dopo l’ultima riattivazione/attivazione; Nella cartografia regionale lo stato di attività non viene aggiornato annualmente Nella Cartografia Regionale le frane attive sono in realtà da intendersi come frane di recente attivazione;
  • 27. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Problemi relativi alla classificazione per stato di attività: 2. La metodologia di misura influenza la attribuzione dello stato. Soluzione: E’ fondamentale specificare la metodologia di rilevamento dello stato di attività.
  • 28. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico R=P*E*V P - PERICOLOSITA‘ probabilità che si verifichi una frana in un dato intervallo di tempo E – ELEMENTI A RISCHIO valore degli elementi a rischio V - VULNERABILITA' capacità degli elementi a rischio di sopportare le sollecitazioni esercitate dall’evento Interventi strutturali di difesa del suolo Pianificazione Territoriale e Urbanistica Consolidamenti di abitati e infrastrutture Piani di emergenza ( breve termine) R - RISCHIO probabilità che possa avvenire un fenomeno franoso in un determinato luogo e in un dato intervallo di tempo potenzialmente dannoso per gli elementi esposti STRATEGIE POSSIBILI DI MITIGAZIONE: L’obiettivo principale che si propone la Regione nel settore della difesa del Suolo è la mitigazione del Rischio;
  • 29. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Lo sviluppo di cartografie regionali sul dissesto è finalizzato alla conoscenza della pericolosità da frana del territorio. Allo stato attuale non è ancora pronta una valutazione quantitativa di pericolosità. Tuttavia esistono prodotti che consentono di formulare comunque previsioni parziali sui futuri movimenti di frane: • Cartografia del dissesto a scala 1:10000 Descrizione dettagliata della dimensione spaziale dei fenomeni • Archivio storico dei movimenti franosi Descrizione dettagliata della evoluzione temporale dei fenomeni PREVISIONE A LUNGO TERMINE PREVISIONE A BREVE TERMINE • Modello previsionale di innesco legato al superamento di soglie pluviometriche Individuazione delle aree potenzialmente interessabili da fenomeni • Monitoraggi strumentali Individuazione puntuale dei movimenti in atto
  • 30. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000 Modalità di aggiornamento Modalità di aggiornamento Tavoli di lavoro con Enti locali Segnalazioni varie Archivio storico movimenti franosi MetodologiaMetodologia Rilevamento sul terreno + fotointerpretazione Rilevamento sul terreno + fotointerpretazione Origine dei DatiOrigine dei Dati Carta Geologica 1:10000Carta Geologica 1:10000
  • 31. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Carta Geologica 1:10000 Frane attive Frane quiescentisubstrato affioramenti
  • 32. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Contenuto della Banca Dati Geologica Contenuto della Banca Dati Geologica COPERTURE QUATERNARIECOPERTURE QUATERNARIE GEOLOGIAGEOLOGIA GEOMORFOLOGIAGEOMORFOLOGIA AFFIORAMENTIAFFIORAMENTI RISORSERISORSE ZONE CATACLASTICHEZONE CATACLASTICHE ELEMENTI STRUTTURALIELEMENTI STRUTTURALI OSSERVAZIONI PUNTUALIOSSERVAZIONI PUNTUALI L’Inventario del Dissesto è uno strato della Banca Dati Geologica INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000
  • 33. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000 Sono mappati solo gli accumuli di frana : mancano i coronamenti (spesso sono affioramenti) e eventuali aree di trasporto; sui crolli mancano le aree sorgenti;
  • 34. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Depositi di frana suddivisi per stato di attività: Deposito di frana stabilizzata o relitta Deposito di frana quiescente Deposito di frana attiva Depositi di frana suddivisi per tipologia: Deposito di frana per scivolamento Deposito di frana per espansione laterale Deposito di frana per colamento lento Deposito di frana per colamento rapido Deposito di frana complessa Deposito di frana per scivolamento in blocco o DGPV Deposito di frana per crollo e/o ribaltamento Depositi di versante s.l: Possono essere Frane ma necessitano di approfondimenti conoscitivi con ulteriori strumenti oltre al rilievo di campagna e alla fotointerpretazione. CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000 http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm CONTENUTO DELL’INVENTARIO DEL DISSESTO 1:10.000 http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm
  • 35. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Estensione della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 Estensione della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 Numero di frane: 70.057 Oltre il 95% delle frane attive sono riattivazioni di frane precedenti
  • 36. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Oltre il 95% delle frane attive sono costituite da riattivazioni di frane precedenti: La Carta del dissesto è già di fatto una carta di previsione a lungo termine perchè individua già le aree di probabile futura (ri)attivazione . • La carta del dissesto è considerata uno strumento fondamentale per la strategia regionale di mitigazione del rischio a lungo termine; essa agisce sulla Esposizione degli elementi a rischio; • La Carta è formalmente condivisa tra RER e tutte le Province; • Definisce direttamente nei PTCP i limiti di trasformazione urbanistica ; Valore della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000Valore della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000
  • 37. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Limiti della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000Limiti della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 1. Limiti di qualità del dato ( il rilevamento è soggettivo e affidato a geologi di diversa esperienza) 2. Limiti di aggiornamento del Dato ( la cartografia viene aggiornata continuamente ma non omogeneamente) ; Problemi dell’uso della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 nella pianificazione territoriale Problemi dell’uso della cartografia dell’Inventario del dissesto 1:10000 nella pianificazione territoriale 1. la Cartografia è usata e trasferita nella pianificazione talvolta senza una sufficiente gradualità di vincolo di uso del territorio e senza tenere conto dei limiti sopra citati; 2. Norme rigide e non graduali ( es: Frane quiescenti tutte uguali ; Destinazioni d’uso diverse non previste;) 3. difficoltà normativa di prevedere nella pianificazione un rischio accettabile e una conseguente assunzione di responsabilità; 4. Sovrapposizione di norme da parte di Enti e Autorità diverse; 5. Difficoltà nella modifica della cartografia da parte dei Comuni e dei soggetti privati; 6. Onere della prova a carico del soggetto su cui ricade il vincolo territoriale;
  • 38. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico L’ Archivio storico dei movimenti franosi: finalità: Quasi tutte le frane alternano lunghe fasi di inattività con brevi di attività; Una cartografia derivata dal rilevamento geologico registra solo lo stato di attività di un periodo recente ma non è in grado di fornire ulteriori informazioni: L’archivio storico ha il fine di integrare la cartografia di tali informazioni
  • 39. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico L’ Archivio storico dei movimenti franosi http://geo.regione.emilia-romagna.it/dissesto/test.htm
  • 40. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico data di attivazione (con precisione variabile); dati a partire dal Medioevo • localizzazione; • principali caratteristiche descrittive del fenomeno; • cause dell’innesco; • gli effetti sul territorio e sulle opere antropiche; Attualmente, sono censiti e georiferiti 8200 eventi, di cui 5968 con data a precisione mensile. Oltre il 95% dei movimenti ricadono su frane preesistenti: L’ Archivio storico dei movimenti franosi: contenuto
  • 41. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Previsioni a breve termine ( 1-5 gg) Previsioni areali su ambiti estesi ( almeno 1000 Kmq) • Modello previsionale di innesco legato al superamento di soglie pluviometriche Previsioni puntuali su singole frane: • Monitoraggi strumentali : •Allo stato attuale non esiste una rete di monitoraggio in grado di anticipare futuri movimenti. •In totale sono censiti circa 450 strumenti di misura spostamenti funzionanti •Strumenti non adatti ( misure discontinue) •Strumenti insufficienti per oltre 400 aree a rischio elevato e molto elevato •Costi ancora molto elevati ( circa 50.000 Euro per località)
  • 42. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico 3,5% modello previsionale di innesco legato al superamento di soglie pluviometriche Asse X: Altezza di pioggia antecedente ( ultimi 30 gg.) Asse Y: Altezza di pioggia prevista o in atto ( max 5 gg.) Basato sulla analisi di migliaia di eventi datati e ubicati contenuti nell’Archivio storico dei movimenti franosi e sulla conseguente determinazione di soglie pluviometriche minime necessarie all’ innesco . Pn (Pioggia cumulata, pioggia prevista) CRITICITA’ MODERATA CRITICITA’ ORDINARIA CRITICITA’ ELEVATA Previsioni a breve termine ( 1-5 gg)
  • 43. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Il modello è aggiornato giornalmente e disponibile ( richiesta password) su http://www.smr.arpa.emr.it/prodotti/ e costituisce uno strumento di uso quotidiano che consente a ARPA SIM di emettere eventuali avvisi di criticità: Previsioni a breve termine ( 1-5 gg)
  • 44. Bologna, 14 Novembre 2008 cartografia e strumenti di consultazione dei dissesti Sismico e dei Suoli Servizio Geologico Gli avvisi di criticità costituiscono la premessa per l’allertamento di Protezione civile e le procedure connesse alla mitigazione del Rischio imminente.
  • 45. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Le frane Premessa - il problema delle frane Cartografia di base e tematica Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia Indagini, monitoraggio Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture Elaborazioni statistiche Galleria foto Premessa - IL PROBLEMA DELLE FRANE NELL'APPENNINO EMILIANO-ROMAGNOLO L'entita del "problema frane" e lo stato delle nostre conoscenze Le frane e la pianificazione territoriale Cause dei fenomeni franosi Caratteristiche dei fenomeni franosi Bibliografia L’entità del "problema frane" e lo stato delle nostre conoscenze Le frane costituiscono un male cronico che affligge il territorio appenninico da sempre. Spesso il cittadino non direttamente interessato sottovaluta quanto le frane condizionino la sua stessa vita causando, per esempio, continue interruzioni alla viabilità, lesioni alle infrastrutture, perdita di terreno agricolo e, nei casi peggiori, distruzione di edifici ed addirittura perdite di vite umane. In effetti la maggiore conoscenza di cui oggi disponiamo delinea un quadro da molti inaspettato. L’Italia condivide con USA, India e Giappone il primato delle maggiori perdite economiche dovute alle frane. Per ognuno di questi Paesi i "costi delle frane" (diretti e indiretti) assommano ad una cifra che oscilla tra 1 e 5 miliardi di dollari all’anno (SCHUSTER, 1996). Secondo una interessante ricerca del Servizio Geologico Nazionale (CATENACCI, 1992) gli stanziamenti per le emergenze idrogeologicche dal dopoguerra al 1990 assommano a ben 33.300 miliardi di lire (ben 5.925 solo per il quadriennio 1986-1990). Anche il costo in termini di vite umane è disarmante: il dissesto idrogeologico in Italia ha ucciso poco meno dei terremoti; dal dopoguerra al 1990 il numero delle vittime è di 3.488 (di cui 54 solo nella nostra Regione) contro le 4.160 cusate dai terremoti. Con la Legge 183/89 la legislazione nazionale ha recepito il principio secondo cui "conoscere è prevenire"; l’articolo 2 stabilisce l’istituzione di SIT (Sistemi Informativi Territoriali o Data Base) nazionali e regionali, nonché la "...formazione e aggiornamento di carte tematiche del territorio..." al fine della difesa del suolo. La Regione Emilia-Romagna all’inizio degli anni ‘70 aveva anticipato di fatto questa norma, con la stesura della Carta del Dissesto 1:25.000 (1976-1982) realizzata prevalentemente tramite aerofotointerpretazione e recepita nel Piano Territoriale Paesistico Regionale. L’inventario estensivo e sistematico a scala 1:10.000 dei fenomeni di dissesto geologico che interessano l’Appennino emiliano- romagnolo si deve all’imponente lavoro di rilevamento della Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, eseguito nell’arco di un quindicennio (1980-1995) ad opera di numerosi rilevatori in collaborazione con Istituti universitari di Bologna, Firenze, Modena, Padova, Parma, Pavia, Pisa e con il CNR di Pisa. Ad essi si deve il rilevamento "a tappeto" di oltre 35.000 frane in tutta la Regione. http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (1 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 46. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Nei primi anni ’90 il Servizio Cartografico e Geologico iniziò il censimento dei dissesti della Regione Emilia-Romagna, "estraendo" ricontrollando e aggiornando i dati geologici di base alla scala 1:10.000 che per estensione, dettaglio e qualità non ha eguali in Italia. Un primo prodotto di questa revisione è stato l’Atlante dei centri abitati instabili dell’Emilia-Romagna (1993), redatto nell’ambito del programma SCAI del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche e finalizzato a fornire un quadro conoscitivo dettagliato per tutti i centri abitati da consolidare o trasferire ai sensi della L. 445/1908 o segnalati comunque al Dipartimento della Protezione Civile (Legge 120/1987). Quasi contemporanea è la pubblicazione della Carta del Dissesto Geologico Attuale: Foglio 218 SE "Carpineti " (1994) redatta dal Servizio Cartografico e Geologico in collaborazione col Servizio Provinciale Difesa del Suolo di Reggio Emilia. Il prosieguo dei lavori da parte del Servizio sopracitato ha portato inoltre all’elaborazione della Carta dell’Inventario del Dissesto 1:25.000, ormai disponibile e digitalizzata per tutta la Regione. Un ulteriore sviluppo di questa documentazione ha condotto infine alla stesura della Cartografia della Pericolosità da frana ai fini di Protezione Civile 1:25.000 disponibile in forma numerica. Da questi numerosi dati emerge una prima importante considerazione, confermata anche dalle verifiche di cui si tratterà più avanti: la quasi totalità dei danni da frana dipende dalla riattivazione di corpi franosi la cui genesi è legata alle vicissitudini remote del nostro Appennino. Gran parte di questi corpi di frana si sono generati in occasione di fasi ed eventi climatici (e forse tettonici) estremi, verificatisi migliaia di anni fa. Ci sono motivi per ritenere che le grandi frane dell’alto Appennino emiliano abbiano età che possa anche superare gli 8.000 anni (questo dato è stato misurato tramite datazione assoluta per la Frana di Succiso in Provincia di Reggio Emilia). La conoscenza della distribuzione degli antichi corpi di frana consente, quindi, di ridurre o prevenire la quasi totalità dei dissesti. Se l’Italia è una delle quattro nazioni più franose al mondo, l’Appennino emiliano è, con grande probabilità, la zona piu franosa d’Italia, come era già stato riconosciuto sin dai primi autori che si sono occupati di censimento dei dissesti a livello nazionale (Almagià, 1907). A conferma di questa affermazione riportiamo alcuni dati desunti dall’Inventario del Dissesto (1997) relativi alle percentuali di territorio in frana ed al numero di dissesti del territorio collinare-montano delle province della Regione: Provincia PC PR RE MO BO RA FO RN Superficie totale Provincia kmq 2.587 3.447 2.290 2.688 3.702 1.859 2.378 534 Superficie territorio collinare-montano kmq 1.780 2.584 1.274 1.410 2.310 571 2.246 510 Superficie totale dei dissesti kmq 474 687 315 356 405 42 272 39 % totale dei dissesti (le percentuali sono calcolate solo sul territorio collinare-montano) 26,6 26,6 24,7 25,2 17,6 7,4 12,1 7,6 Numero totale dei vari dissesti presenti in ogni Provincia 4.129 7.839 4.660 3.873 8.151 938 6.329 975 Alcuni comuni emiliani presentano percentuali del territorio in frana superiori al 40 % e uno al di sopra del 50% (Farini d’Olmo - PC). La percentuale totale dei dissesti rappresenta quantitativamente ciò che viene definito come Indice di Franosità, ossia il rapporto tra superfice di territorio afflitto da frane in relazione all’estensione complessiva dell’entità territoriale presa in considerazione (es: Provincia, Comune,). L’Indice di Franosità è quindi un parametro che ci permette di quantificare la probabilità del verificarsi di frane all’interno di un certo territorio e quindi la pericolosità relativa propria di quel territorio. Un altro usuale parametro significativo è l’intensità dei fenomeni attesi che è direttamente legata alla velocità di traslazione della massa franosa. Nella Carta dell’Inventario del Dissesto in scala 1:25:000 è intrinsecamente presente una grossolana indicazione dell’intensità dei fenomeni: le frane di crollo ad intensità alta sono separate da tutte le altre che si possono considerare a intensità medio-bassa (si tratta in prevalenza di colate e scivolamenti a lenta evoluzione che solo raramente rappresentano un vero pericolo per la vita http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (2 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 47. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. umana). Altrove, come sulle Alpi, la minore diffusione probabilità si accompagna ad una maggiore Intensità, dovuta sostanzialmente alla maggiore velocità dei fenomeni traslativi (es:Crolli, Debris Flows). La diffusione in Emilia-Romagna è comunque tale da costituire un considerevole ostacolo, sia tecnico che economico allo sviluppo di una moderna società. Per quanto riguarda la distribuzione del fenomeno sul territorio regionale, 1’appennino emiliano, in virtù della maggiore diffusione di litotipi argillosi, risulta molto più colpito di quello romagnolo (ad esempio i 4/5 dei centri abitati instabili si trovano ad ovest del Torrente Sillaro). Le frane e la pianificazione territoriale La grande maggioranza dei danni causati da movimenti franosi avviene per riattivazione di corpi di frana già esistenti (in alcune aree si può stimare nella quasi totalità dei casi), su cui incautamente sono stati edificati centri abitati e infrastrutture per un’errata valutazione della pericolosità dei siti il più delle volte poco acclivi, spesso coltivati e complessivamente "invitanti" per una espansione edificatoria, oppure per la mancanza di una memoria storica dei movimenti franosi (riattivazioni in tempi pluridecennali o secolari). Il fatto che la maggior parte dei fenomeni siano riattivazioni di frane preesistenti ha conseguenze molto importanti perchè permette di costruire una cartografia dei dissesti duratura nel tempo e quindi di effettiva utilità pianificatoria. Allo scopo di quantificare tale affermazione e di verificare l’evoluzione dello stato di attività dei dissesti stessi nel periodo 1954/1994 (età rispettivamente del primo e dell’ultimo volo aereo ad alta quota disponibili presso l’Archivio Cartografico) sono state scelte tre aree campione nell’Appennino bolognese sulle quali, tramite fotointerpretazione, sono state comparate le frane esistenti e il loro grado di attività : dallo studio di 129 frane il risultato è stato la mancanza di fenomeni di neoformazione nel periodo considerato, mentre il numero di frane visibilmente attive è calato del 26 %. Da tale studio (evidentemente parziale per numero e distribuzione rispetto all’intero territorio regionale) si può comunque cogliere una tendenza valida per tutto 1’Appennino emiliano-romagnolo: la possibilità di una agevole e stabi1e delimitazione areale delle frane e 1a presenza di una stasi nel grado di attività del fenomeno sino al 1994. Tale stasi ha coinciso con la fase di espansione edilizia più forte mai avvenuta sul nostro Appennino (in particolare gli anni ’60 e ’70) e di conseguenza ha portato a una sottovalutazione del rischio a lungo termine. Nel periodo 1994/1997 si è verificata la riattivazione di una lunga serie di frane che permanevano in una condizione di quiescienza da decenni, almeno in parte attribuibile a precipitazioni di particolare intensità. Il verificarsi di fenomeni meterologici eccezionali anche nello scenario italiano (si pensi agli eventi del Piemonte 1994 e della Versilia 1996) e le previsioni ormai sufficientemente dimostrate di un progressivo cambiamento climatico a scala mondiale, hanno così riproposto urgentemente il problema del dissesto idrogeologico. Sulla base di ta1i considerazioni la precisa conoscenza della distribuzione e della tipologia dei dissesti costituisce la premessa di qualsiasi scelta di pianificazione territoriale e quindi di ordinato sviluppo anche economico della montagna. Cause dei fenomeni franosi Le cause dei fenomeni franosi si dividono in: q predisponenti che rendono il territorio più o meno sensibile all’innesco di fenomeni franosi; q determinanti che provocano la rottura dello stato di equilibrio di un versante. Cause predisponenti. Considerando la situazione geologica della Regione e sulla base di quanto già detto, risulta che le cause predisponenti più ricorrenti si individuano nella presenza di: q accumuli di frane preesistenti, costituiti da litotipi già mobilizzati, possiedono caratteristiche meccaniche più scadenti della roccia in posto e possono essere sede preferenziale di nuovi movimenti, Come già più volte rimarcato, 1a grande parte delle frane attive si sviluppa in questo contesto, rendendo le paleofrane oggetti preferenziali nella progettazione di reti e sistemi di monitoraggio; la riattivazione parossistica di questi corpi franosi è infatti preceduta da una accellerazione dei movimenti che si può misurare con appropriata strumentazione, rendendo così possibile un vero e proprio pronostico temporale. http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (3 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 48. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. q depositi superficiali sciolti, poco addensati o poco coesivi, di origine detritica, colluviale o residuale. q formazioni prevalentemente argillose, spesso a struttura caotica, intensamente scompaginate e commiste ad altre litologie. Almeno i 2/3 dell’appennino emiliano e una parte minore dell’appennino romagnolo sono formati da queste rocce, i cui minerali argillosi assorbono acqua degradandosi, con conseguente diminuzione della resistenza alle tensioni che la forza di gravità esercita naturalmente sui versanti. Il ripetersi di cicli stagionali umidi–secchi provoca così un continuo disequilibrio delle porzioni più superficiali dei versanti, che tendono a scendere verso valle. q rocce "tenere" ( poco cementate) e/o intensamente fratturate e/o recanti livelli plastici ad assetto sfavorevole rispetto ai pendi, lungo i qua1i si possono determinare scivolamenti. Intere porzioni di versante possono scivolare in b1occo e successivamente disarticolarsi; q reticolo idrografico in disequilibrio, quindi in erosione, che determina versanti eccessivamente acclivi in rapporto ai caratteri di resistenza delle rocce che li costituiscono. Una causa delle condizioni di disequilibrio può essere imputata al sollevamento neotettonico che ha contraddistinto anche negli ultimi 10.000 anni gran parte del nostro appennino. q interventi antropici; che modificano uno stato di equilibrio precedente con disboscamento, opere edilizie, infrastrutturali, talora anche a carattere ambientale (briglie, ecc.), cave e miniere, determinando presupposti di dissesto a qualsiasi scala. A ciò si aggiungono pratiche colturali intensive e pascolo indiscriminato. Cause determinanti. Si individuano sostanzialmente in: q precipitazioni intense e/o prolungate e repentino scioglimento delle nevi. Possiamo considerare due casi: a) piogge intense e brevi (ore o giorni) danno luogo a frane superficiali (prof.< 4 m) e generalmente molto diffuse (ad esempio Piemonte 1994 e Versilia 1996). Per l’Italia diversi autori hanno stabilito che la soglia di precipitazione per ottenere l’innesco delle frane superficiali è del 10-15% della Precipitazione Media Annua in uno o, eccezionalmente, due giorni; b) piogge con intensità nella norma stagionale, ma protratte o comunque distribuite con una certa frequenza ed intensità nell’arco di diverse decine di giorni, determinano l’innesco di frane profonde. Per le frane profonde non è possibile stabilire una soglia di innesco generalizzata ma bisogna valutarla caso per caso. Si arriva, al limite, alle grandi frane, che possono essere profonde sino a oltre 100 metri , per le quali l’alternarsi delle fasi di attività e quiescenza è regolata dalle variazioni climatiche su periodi di diversi anni. L’esperienza insegna che nella grande maggioranza dei casi per le frane la cui profondità si attesta intorno a 15-25 metri -che è il caso più frequente- le condizioni "tipiche" di innesco siano caratterizzate da un periodo di piogge persistenti (15-20 gg), ma rientranti nella norma stagionale, a cui si "sovrappone" un evento di carattere eccezionale di breve durata (2, 3 giorni); q terremoti di magnitudo superiore a 4, questo valore è stato stabilito dagli autori statunitensi che dispongono di una vasta casistica nella regione californiana circostante la nota "Faglia di S.Andrea". Casi di questo tipo, nell’Appennino reggiano- modenese, sono le frane di Fellicarolo del 1779, di Febbio del 1920 e di Caselle di Fanano del 1952. Occorre però ricordare che l’innesco delle frane è determinato anche dalla "risposta sismica locale": anche con magnitudo inferiori a 4 si possono avere particolari effetti di amplificazione che possono produrre Intensità Sismiche Locali sufficienti, come nel caso della frana di Caselle che si innescò con una Magnitudo di solo 3.3. Caratteristiche dei fenomeni franosi Pur essendo presenti nella letteratura scientifica inernazionale criteri di suddivisione dei fenomeni franosi largamenti usati (VARNES, 1978), il Servizio Cartografico e Geologico della Regione Emilia-Romagna ha adottato una classificazione che deriva dall’impostazione data al rilevamento geologico di base della cartografia 1:10.000 non finalizzata fin dall’inizio all’analisi specifica dei dissesti. Di conseguenza la suddivisione dei fenomeni gravitativi , qui di seguito riportata, appare abbastanza semplificata ed improntata in prevalenza alla definizione del grado di attività e, solo parzialmente, alla tipologia della frana. Frane attive: si tratta di dissesti in cui sono evidenti segni di movimento in atto o recente, indipendentemente dall’ entità e dalla velocità dello stesso; i segni possono essere molto evidenti (lesioni a manufatti, scarsa vegetazione, terreno smosso) oppure percepibili solo attraverso strumenti di precisione (inclinometri, estensimetri, ecc,), così come la velocità di movimento può essere molto variabile. L’attività può essere continua o, più spesso, intermittente ad andamento stagionale. Le frane attive non sono state ulteriormente suddivise per tipologia del fenomeno (scorrimenti, colate ecc.) ad esclusione delle frane di crollo per la loro caratteristica peculiare di avere riattivazioni improvvise e una velocità di movimento tale da renderle pericolose per la vita umana. Le aree cartografate come frane attive sono da considerarsi inutilizzabili per tutti gli usi ad esclusione dell’uso agricolo qualora non peggiorativo delle condizioni di stabilita delle aree interessate. http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (4 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 49. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Frane quiescenti: si tratta di frane senza indizi di movimento in atto o recente. Generalmente si presentano con profili regolari, vegetazione con grado di sviluppo analogo a quello delle aree circostanti non in frana, assenza di terreno smosso e assenza di lesioni recenti a manufatti, quali edifici o strade. Analogamente alle frane attive, non sono state fatte ulteriori suddivisioni per tipologia, ad esclusione degli scivolamenti di blocchi cartografati a parte per la caratteristica di avere conservato un ordine stratigrafico all’intemo. E’ da sottolineare che il fatto di non avere registrato movimenti in tempi recenti, o addirittura di non avere alcun dato storico di movimenti su una frana non esclude a priori la riattivazione della stessa. Gli esempi di alcune riattivazioni di grandi frane degli ultimi anni (in particolare nel 1994) nell’Appennino emiliano sono illuminanti: la Frana di Corniglio (PR) si e rimossa dopo vari decenni di quiescenza (le ricerche storiche riscontrano un tempo di ritorno all’incirca secolare); la parte inferiore della Lavina di Roncovetro (Canossa - RE) si è riattivata nel 1994 dopo circa un secolo di quiescenza; la Frana di Valestra (Carpineti - RE) ha tempi di ritorno all’incirca venticinquennali (1945, 1969, 1997). Vanno citate inoltre le riattivazioni delle paleofrane di Silla e di Maranina (Gaggio Montano – BO) e Cà di Sotto (San Benedetto Val di Sambro – BO), con tempi di ritorno di oltre quaranta anni. L’uso del suolo in queste aree andrebbe limitato alla agricoltura; ogni uso urbano o produttivo andrebbe valutato con estrema attenzione e consapevolezza per la potenziale riattivazione dei movimenti franosi. Scivolamenti in blocchi: con questo termine si è inteso definire quelle aree, frane a tutti gli effetti, costituite da masse più o meno grandi che , pur scivolate lungo un versante, conservano al loro interno una coerenza stratigrafica simile a quella della roccia di provenienza. Gli scivolamenti di blocchi interessano rocce litoidi (arenarie, rocce ofiolitiche e calcari), spesso nella parte alta dei versanti e su vaste superfici, sono in grande prevalenza in stato di attività quiescente. Frane di crollo: le frane di crollo interessano esclusivamente rocce litoidi e sono state isolate dalle altre a causa del potenziale pericolo per l’incolumità dell’uomo, dato dalla estrema velocità di sviluppo del fenomeno (rotolamento e ribaltamento di massi) che può addirittura precludere possibilità di fuga. Per le loro caratteristiche intrinseche esse sono da considerarsi attive permanentemente, sia pure in modo intermittente. Depositi di versante s.l.: si tratta di accumuli di detrito su versante la cui attribuzione a frane permane incerta mancando spesso i caratteri di forma tipici delle frane stesse : potrebbero essere solo lembi residuali di accumuli più estesi smantellati dall’erosione , oppure anche accumuli di detrito provocati da ruscellamento superficiale o da soliflusso. Depositi morenici: sono accumuli di detrito localizzati nelle aree più alte dell’appennino attribuibili per morfologia e tipo di materiale ad apparati glaciali . La loro distinzione da frane vere e proprie è spesso problematica in quanto frequentemente essi si presentano rimobilizzati ulteriormente lungo i versanti, pertanto la loro presenza potrebbe essere sovrastimata. Nell’Inventario del Dissesto (1997) sono inoltre state inserite in legenda tre voci che riguardano altri tipi di depositi , di origine alluvionale, non legati alla dinamica gravitativa di versante, ma comunque utili alla comprensione della evoluzione complessiva dei versanti: q Alvei fluviali e depositi alluvionali in evoluzione: la perimetrazione delle aree abitualmente occupate dai fiumi o invase dalle piene, oltre che essere di riferimento morfologico per la comprensione della carta, è utile per segnalare quali frane siano in diretta interazione con i fiumi e quindi soggette a riattivazioni per erosioni di sponda e/o capaci potenzialmente di occludere anche parzialmente l’alveo. q Depositi alluvionali terrazzati: si tratta dei depositi prevalentemente ghiaioso sabbiosi depositati dai fiumi nella loro evoluzione a varie quote dai fondovalle attuali. Non sono sede di dissesti se non localmente ai margini. Sono stati inseriti nella carta come elementi morfologici di riferimento. q Conoidi alluvionali intravallive: sono i depositi dei torrenti minori in corrispondenza dello sbocco di valli e vallecole ove la diminuzione di pendenza provoca la sedimentazione del materiale trasportato dall’acqua. Sono inseriti come elementi morfologici di riferimento e non sono stati distinti per grado di evoluzione. Bibliografia AA.VV. (1976-1982) - Carta del Dissesto a scala 1:25.000 (edizione non a stampa) AA.VV. (1982-1997) - Carta Geologica dell’Appennino Emiliano-Romagnolo a scala 1.10.000; a cura del Servizio Cartografico e Geologico della Regione Emila-Romagna. ed. SELCA Firenze e ORDIS Piacenza. ALMAGIA’ R. (1907) - Studi geografici sopra le frane in Italia.Vol. I, Parte Generale; Mem. Soc. Geogr. It., 13. C.N.R., G.N.D.C.I., REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1993) - Atlante dei Centri Abitati Instabili dell’Emilia-Romagna. a cura di A. http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (5 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 50. Frane - premessa,Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Annovi & G. Simoni. Programma speciale SCAI, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma. REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1994): Note illustrative della Carta del Dissesto Geologico Attuale; Foglio 218 SE "Carpineti". a cura di G.Bertolini , ed. SELCA Firenze. REGIONE EMILIA-ROMAGNA (1982-1995) - Carta dell’Inventario del Dissesto a scala 1:25.000, a cura di M.Pizziolo, 1997; edizione in forma digitale CATENACCI V. (1992) - Il dissesto geologico e geoambientale in Italia dal dopoguerra al 1990. Mem.Descr. della Carta Geologica d’Italia (a cura del Serv. Geol. Naz.), vol. XLVII. SHUSTER R.L. (1996) - Socioeconomic significance of landslides. In: Landslides: investigation and mitigation (1996) Transportation research board.p. 13-33. Varnes D.J. (1978) - Slope Movement Types and Processes. In: Landslides: Analysis and control. Transportation Research Board, National Academy of Sciences, Special Report 176, Chapter 2. CREDITS e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002 http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/franepr.htm (6 di 6)19/09/2005 17.23.44
  • 51. Frane cartografia, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Le frane - cartografia di base e tematica Premessa - il problema delle frane Cartografia di base e tematica Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia Indagini, monitoraggio Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture Elaborazioni statistiche Galleria foto Cartografia di base e tematica Cartografia tematica - carta del dissesto in scala 1:25.000 anni 1978 - 1982 Cartografia tematica - carta inventario in scala 1:25.000 anni 1996 - 1998 Cartografia tematica - carta della pericolosità da frana in scala 1:25.000 anni 1998 - 1999 Cartografia tematica - carta della stabilità dei versanti in scala 1:25.000 CREDITS e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002 http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran1.htm19/09/2005 17.27.11
  • 52. Frane Carta Dissesto, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Le frane - Carta del dissesto 1:25.000 anni 1978 - 1982 Premessa - il problema delle frane Quadro di unione delle Carta del dissesto 1:25.000, diponibili. (immagine 152 Kb) Cartografia di base e tematica Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia Indagini, monitoraggio Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture Galleria foto Carta del dissesto 1:25.000 anni 1978 - 1982 anni di elaborazione: 1976 - 1979 anni di edizione: 1977 - 1982 Copertura territoriale Territorio collinare-montano (Appennino emiliano-romagnolo) Base topografica Edizione I.G.M. Metodologia di realizzazione Tramite fotointerpretazione (riprese aeree 1976/’78, scala fotogrammi 1:13.000 circa) con controlli sul terreno. Carta del dissesto, scala 1:25.000. Particolare del foglio 72 II NO "Gropparello" (prov. di Piacenza) (immagine252 Kb) Reperibilità Archivio Cartografico della Regione Emilia-Romagna (vedi quadro d’unione: Carte del dissesto disponibili) Contenuti e caratteristiche tecniche La carta ha lo scopo di individuare e classificare in maniera sistematica le forme del territorio che sono legate a fenomeni di erosione e di dissesto recenti o antichi. Le forme di dissesto rilevate sono state distinte in tre categorie principali: a) morfometria (principali forme dei versanti), b) forme e i processi di erosione idrica che interessano i pendii e le aste fluviali, c) forme dovute a movimenti di massa distinti sulla base dei processi e dell’età. Questa cartografia è stata recepita integralmente nel Piano Paesistico Regionale, vincolando tutte le aree in frana. Inoltre è stata acquisita in elaboratore alla fine degli anni ottanta, ed è attualmente disponibile in formato ARC/INFO. CREDITS e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002 http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/frcadis.htm (1 di 2)19/09/2005 17.27.35
  • 53. Frane indagini, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Le frane - indagini, monitoraggio Premessa - il problema delle frane Cartografia di base e tematica Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia Indagini, monitoraggio Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture Elaborazioni statistiche Galleria foto Indagini, monitoraggio Indagini Monitoraggio Interventi di consolidamento La grande quantità di frane impone di indirizzare i finanziamenti in lavori di efficacia comprovata sia tecnicamente che scientificamente. Per questo motivo la Regione Emilia-Romagna ha fatto proprio l'approccio metodologico che si può descrivere con tre parole: Indagini, Monitoraggio, Consolidamento. Un ruolo importante in questo campo è, svolto da 8 Servizi Provinciali Difesa del Suolo (SPDS) distribuiti sul territorio. Indagini Le indagini geognostiche vengono progettate e dirette dai geologi dei Servizi Provinciali di Difesa del Suolo (SPDS). Lo scopo è individuare profondità e forma della base del corpo di frana, la profondità della superficie piezometrica e i caratteri geomeccanici dei terreni coinvolti. Questi dati serviranno a costruire un modello teorico del corpo di frana, su cui verranno simulati in via teorica gli effetti degli interventi. Per lo più vengono eseguiti sondaggi a carotaggio continuo e prospezioni sismiche rifrazione e riflessione). Generalmente si indagano spessori che si aggirano generalmente intorno a 20-30 metri; in qualche caso (Corniglio e Valestra) si sono raggiunte profondità superiori a 100 metri. Monitoraggio Sulla base di diversi casi noti e ben studiati, avvenuti in diversi Paesi nell'ultimo mezzo secolo, i geologi sono in grado di diagnosticare il rischio e prevedere il comportamento della maggior parte delle frane quiescenti, per mezzo della misura continua di alcuni parametri. La rete di monitoraggio per il controllo dei movimenti franosi, gestita direttamente dai Servizi Provinciali di Difesa del Suolo, è composta da più di 300 inclinometri e 200 piezometri distribuiti su molte decine di frane. Questa time-series di dati copre ormai la decina di anni e rappresenta un patrimonio prezioso per comprendere i meccanismi che sovrintendono alla riattivazione. L’inclinometro più profondo si trova a Corniglio; esso supera i 150 metri e trasmette via modem i dati misurati automaticamente. Diversi piezometri sono monitorati con strumenti a lettura automatica. Il monitoraggio geodetico è condotto frequentemente, in qualche caso con l'ausilio del GPS. Ogni ora, i sensori remoti idro-pluviometrici trasmettono dati via radio nei nostri uffici. http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran2.htm (1 di 2)19/09/2005 17.28.11
  • 54. Frane indagini, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. Interventi di consolidamento I Servizi Provinciali per la Difesa del Suolo sono preposti alla progettazione e direzione degli interventi di consolidamento. Gli interventi vanno dalla piccola gabbionata alla grande rete di pozzi drenanti. Si tratta, in genere, di interventi di drenaggio sotterraneo e di sostegno strutturale del versante. I nostri Servizi Provinciali progettano e dirigono oltre un centinaio di questi interventi ogni anno. Plottaggio della "carta di pericolosità relativa della frana" Sistema Inclinometrico Automatizzato (foto di Giorgio Lollino, CNR- IRPI, Torino). CREDITS e-mail: webgeol@regione.emilia-romagna.it ultimo aggiornamento: 13 maggio 2002 http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran2.htm (2 di 2)19/09/2005 17.28.11
  • 55. Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. LE FRANE - dati sul dissesto relativi al territorio regionale Premessa - il problema delle frane Cartografia di base e tematica Ricerca storica sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia Indagini, monitoraggio Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dati sul dissesto relativi alle provincie e comuni Dati sul dissesto relativi alle infrastrutture Elaborazioni statistiche Galleria foto Dati sul dissesto relativi al territorio regionale Dissesto da frane totale Dissesto da frane totale suddiviso per Province Chilometri di infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane Base dati dell'Inventario del Dissesto La base dati Glossario dei termini Dizionario dei dati Elaborazioni Infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane suddiviso per Province Chilometri di infrastrutture viarie interessate da dissesto da frane Distribuzione delle frane attive e quiescenti (immagine 42Kb) Carta della franosità nei territori comunali (immagine 125Kb) L’Inventario del Dissesto è stato disegnato su supporti cartacei (eliocopie in macchina piana) appartenenti alla cartografia CTR in scala 1:25.000, esistente in due edizioni diverse: provvisoria e definitiva. L’80% delle tavole appartiene all’edizione provvisoria, che deriva dalla riduzione fotomeccanica alla scala 1:25.000 e dall’assemblaggio di precisione di quattro fogli della CTR alla scala 1:10.000. Tali tavole presentano tracciato il reticolo di Gauss- Boaga. Le restanti tavole appartengono all’edizione definitiva, che deriva da un complesso processo di classificazione e ridisegno dell’edizione più aggiornata della CTR. Tali tavole presentano tracciato il reticolo chilometrico UTM. Le tavole 1:25.000 che coprono il territorio collinare-montano della Regione sono 91; alcune di queste hanno un campo cartografico più vasto dello standard, poichè lungo il confine regionale, nel caso di piccole porzioni di territorio di tavole adiacenti, è stato allestito un solo supporto; nel caso della base dati, invece, è stato costruito un file per ciascuna singola tavola, per quanto piccola fosse la porzione di territorio sottesa. La base dati http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran3.htm (1 di 5)19/09/2005 17.28.31
  • 56. Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. La base dati dell’Inventario del Dissesto (1997) nasce dalla rasterizzazione e successiva vettorializzazione semiautomatica dei supporti cartacei descritti. La calibrazione e la rettifica dei files è stata eseguita, tramite trasformazione affine a sei parametri, sui quattro vertici della carta e su nove punti interni, nel rispettivo sistema di riferimento. Le coordinate finali dei files sono state uniformate al sistema UTM. I dati sono stati strutturati in due "coperture" ARC/INFO, una poligonale e una lineare. I poligoni rappresentano i fenomeni di dissesto e gli elementi morfologici, classificati secondo le tipologie descritte nel capitolo precedente; le linee delle coperture rappresentano le frecce che indicano le direzioni di movimento dei diversi fenomeni franosi o delle conoidi, il loro utilizzo è di pura vestizione grafica di output. Le tabelle FR<n.tav.>N0.PAT e FC<n.tav.>L0.AAT, di seguito riportate, descrivono le due coperture. Nella FR<n.tav.>N0.PAT il campo FR-COD contiene il medesimo codice con cui le frane e gli elementi morfologici sono classificati nella banca dati geologica, attualmente gestita dal Servizio Cartografico e Geologico; il campo FR-SIGLA riporta la sigla con cui i medesimi poligoni sono classificati sulle carte geologiche dell’Appennino Emiliano Romagnolo in scala 1:10.000. Il campo COD-RER contiene una numerazione dei poligoni progressiva univoca sull’intero territorio regionale. Dizionario dei dati Chiave primaria : FR<n.tav.>P0-ID TABELLA TIPO DI COPERTURA FR<n.tav.>N0.PAT Poligoni di frane e depositi Nome Campo Descrizione dato Tipo Lung FR<n.sez.>N0-ID Identificatore del poligono di frana INT 11 FR-COD Tipologia del poligono INT 2 FR-SIGLA Sigla stampata sulla carta di origine C 2 FR-TIPO Tipologia del poligono rispetto all’acquisizione C 3 COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area regionale INT 6 Glossario dei termini Nome Campo Descrizione dato Valore FR<n.tav.>N0-ID Identificatore del poligono di frana e deposito FR-COD Tipologia del poligono: frana attiva FR1 frana quiesciente FR2 deposito di versante DT1 deposito di geliflusso DT3 frana di crollo DT4 alveo fluviale FF0 deposito alluvionale terrazzato TF deposito morenico AR conoide alluvionale intravalliva CN scivolamento in blocchi SB FR-SIGLA Sigla stampata nelle carte di origine: frana attiva a1 frana quiesciente a2 deposito di versante a3 deposito di geliflusso a5 frana di crollo a6 alveo fluviale b1 http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran3.htm (2 di 5)19/09/2005 17.28.31
  • 57. Frane dati regionali, Servizio Geologico Sismico e dei Suoli, Assessorato Difesa del Suolo e della Costa. Protezione Civile. deposito alluvionale terrazzato bn deposito morenico c4 conoide alluvionale intravalliva cn scivolamento in blocchi sb COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area regionale 1 - 999999 Nella FC<n.tav.>L0.AAT, il campo FC-TIPO classifica i vari tipi di frecce che indicano la direzione di movimento dei diversi fenomeni franosi o conoidi; il campo COD-RER riporta il numero progressivo del poligono a cui appartiene la freccia. Dizionario dei dati Chiave primaria : FRL*ID TABELLA TIPO DI COPERTURA FC<n.tav.>L0.AAT Frecce per le frane e le conoidi Nome Campo Descrizione dato Tipo Lung FC<n.tav.>L0-ID Identificatore dell’arco INT 11 FC-TIPO Tipologia della freccia INT 1 COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area regionale del poligono a cui appartiene la freccia INT 6 Glossario dei termini Nome Campo Descrizione dato Valore FC<n.tav.>L0-ID Identificatore dell’arco 1 - 99999999999 FC-TIPO Tipologia della freccia: freccia di frana attiva 1 freccia di frana quiescente 2 freccia di conoide 3 COD-RER Numerazione progressiva univoca su tutta l’area regionale del poligono a cui appartiene la freccia 1 - 999999 La struttura è volutamente semplice, perchè deve essere considerata la struttura base di un inventario dei fenomeni di dissesto, dove l’elemento grafico, che rappresenta il singolo fenomeno, è reso riconoscibile in maniera univoca sull’intero territorio regionale. La regione possiede un cospicuo patrimonio di informazioni legate ai dissesti, di pertinenza di vari servizi, organizzate in catasti alfanumerici, che dovranno integrare la banca dati, per renderla il più possibile applicativa; va citato, come uno dei tanti esempi possibili, il catasto degli interventi effettuti dai Servizi Provinciali Difesa del Suolo (ex Geni Civili) sui singoli movimenti franosi. Elaborazioni Questo volume contiene una serie di tabelle i cui valori sono il frutto di una prima elaborazione di tipo statistico eseguita sulla base dati dell’Inventario del Dissesto nella sua attuale struttura e versione (1997). Le elaborazioni sono state eseguite mediante l’uso dei Sistemi Informativi Geografici (ARC/INFO) che offrono la possibilità di integrare e manipolare una cospicua quantità di dati territoriali. Oltre alla base dati dell’Inventario del Dissesto è stata utilizzata quella tratta dai tematismi topografici della CTR in scala 1:10.000, (anch’essa gestita dal Servizo Cartografico e Geologico) in particolare gli strati dei limiti amministrativi e di tutta la viabilità (stradale e ferroviaria). http://www.regione.emilia-romagna.it/geologia/fran3.htm (3 di 5)19/09/2005 17.28.31