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Storia del genere dall’età alessandrina all’età imperiale.
I suoi esponente e la sua evoluzione.
Un lavoro di
Eleonora Bompieri
L’epigramma, dal greco ἐπί-γραφὼ
(letteralmente: "scrivere su", "scrivere
sopra"), è un'iscrizione funeraria o
commemorativa, destinata ad essere
incisa su materiali durevoli quali la
pietra e il bronzo: da questa
circostanza deriva il carattere della
brevità, conservatosi anche quando
l'epigramma divenne un vero e proprio
genere letterario in età ellenistica e
bizantina trattando temi diversi. La
loro funzionalità pratica ottenne una
veste metrica che li distinse da una
semplice iscrizione.
La denominazione
Le origini a noi note dell’epigramma coincidono con i più antichi attestati della
scrittura alfabetica in Grecia.
La “Coppa di Nestore”, risalente agli ultimi decenni dell’VIII secolo avanti
Cristo, ne rappresenta l’esempio più antico a noi pervenuto:
« Io sono la bella coppa di Nestore,
chi berrà da questa coppa
subito lo prenderà il desiderio di Afrodite
dalla bella corona »
La Coppa di Nestore
Questa rudimentale poesia è
anonima, al pari di altri
componimenti analoghi, che
diventeranno sempre più frequenti
nei secoli successivi.
« ὦ ξεῖν', ἀγγέλλειν
Λακεδαιμονίοις ὅτι
τῇδε
κείμεθα τοῖς κείνων
ῥήμασι πειθόμενοι »
Simonide
Più tardi si affermò l’uso di trascrivere e
raccogliere i testi che apparivano più meritevoli di
conservazione per i loro pregi poetici. Sorsero così
le prime attribuzioni, di cui possono trovarsi
falsificazioni di età più tarda.
Queste raccolte segano l’ingresso dell’epigramma
nella letteratura; ma nel V secolo la sua
destinazione è pur sempre pubblica e ufficiale,
come dimostra l’impiego di epigrammi per
celebrare i caduti a difesa della patria, soprattutto
nelle guerre persiane come in questa epigrafe alle
Termopili attribuita a Simonide:
« O viandante,
annuncia agli Spartani
che qui noi giacciam
per aver obbedito alle
loro parole. »
Nel corso del IV secolo l’epigramma
assume una sempre più marcata
connotazione letteraria come risulta da
quelli attributi a Platone.
Essi si collocano nel quadro della
produzione lirica simposiale, pur
distaccandosi, nello stile, dalle leggi
compositive dell'epigramma,
caratterizzandosi invece come produzioni
artistiche autonome. Gli argomenti
trattati, solo vagamente avvicinabili alla
filosofia platonica e ruotano attorno ai
temi dell'amore, della bellezza, della
brevità delle gioie.
La destinazione pratica tende a
trasformarsi in un pretesto fittizio.
Platone epigrammista
Con l’Ellenismo l’epigramma ottiene una
definitiva consacrazione artistica e diventa un
genere letterario di primo rilievo. Come per gli
altri generi, la sua sede ormai è il libro; tuttavia
la simulazione di un uso pratico sopravvive
come residuo delle sue origini.
I motivi fondamentali dell’epigramma
rimangono l’iscrizione sepolcrale e l’offerta
votiva, la costruzione e la dedica di un edificio,
il ricordo e la celebrazione di una persona o di
un fatto.
L’epigramma letterario dell’Ellenismo sembra
estendere in un nuove direzioni certi spunti che
traevano origine dalle prime destinazioni del
genere: diventa così una sorta di concentrato di
temi e delle tendenze della poesia ellenistica.
L’evoluzione del genere
Accanto a questi temi si afferma con rilevanza l’amore, nella sua varietà di
prospettive. L’epigramma rappresenta la forma artistica dell’eros alessandrino: in
esso risuonano il senso di una realtà essenziale per l’esperienza umana, la nuova
dimensione di intimità e parità femminile nella coppia, la conquista di una libera
individualità interiore.
Non è facile individuare
come nell’epigramma si
fosse sviluppata la tematica
erotica: può darsi che un
precedente si debba
riconoscere nelle iscrizioni
di dedica alla persona
amata.
L’eros nell’epigramma
Quest’ambito tematico rimane pur sempre limitato, e i poeti riprendono gli
argomenti dagli altri autori o anche dalla propria opera in un continuo e sottile
gioco di variazione, dove l’importante è dare una forma più raffinata e acuminata
al già detto. Il virtuosismo formale, che è un cardine dell’estetica alessandrina,
trova nella misura concentrata ed essenziale dell’epigramma lo spazio più adatto
per l’espressione esatta e definitiva.
La struttura metrica più ricorrente è
il distico elegiaco, composto da un
esametro e da un pentametro, che nel
suo ritmo marcatamente binario
accentua gli effetti di simmetria e di
opposizione, in cui la concettuosità
dell’epigramma trova la sua forma
tipica.
L’uso del distico elegiaco
La convenzionalità dei mezzi formali e
la ripetitività degli argomenti possono
talvolta suscitare alla lettura un certo
senso di monotonia.
Nel carattere soggettivo dell’epigramma
si esprime una delle tendenze
fondamentali del mondo ellenistico: la
scoperta della condizione umana nella
quotidiana verità dei sentimenti intimi.
L o strumento rivelatore è la parola
artistica, ossia il momento definito in cui
il vigore della fantasia affronta il
confronto con la realtà.
Il valore della forma nella riflessione
La storia letteraria dell’epigramma greco
copre oltre un millennio, dal V secolo a.C.
al VI d.C. La produzione del genere fu
enorme, ma è possibile affermare che le
migliori fonti siano riuscite a conservarsi
nel tempo, per la maggior parte in un
unico manoscritto che ha la forma di un
antologia.
L’Antologia Palatina
Questa fu redatta in un’epoca collocabile intorno
alla metà del XI secolo d.C. e deve la sua
denominazione corrente di “Antologia Palatina” al
fatto che fu scoperta agli inizi del ‘600 nella
Biblioteca Palatina di Heidelberg.
La raccolta contiene circa 3700 epigrammi in cui vi
sono rappresentati circa 340 poeti, ma esiste anche
un cospicuo numero di testi anonimi.
L’Antologia Palatina è suddivisa in quindici libri. Ecco il contenuto dei singoli libri:
Il suo contenuto
• Libro I, epigrammi cristiani
• Libro II, descrizioni di statue
• Libro III, epigrammi relativi al ginnasio pubblico
di Cìzico (nella Tebaide) detto Zeuxippo
• Libro IV, proemi
• Libro V, epigrammi erotici
• Libro VI, epigrammi votivi
• Libro VII, epigrammi funebri
• Libro VIII, epigrammi di Gregorio di Nazianzio
• Libro IX, epigrammi descrittivi
• Libro X, epigrammi sentenziosi
• Libro XI, epigrammi conviviali e burleschi
• Libro XII, epigrammi pederotici
• Libro XIII, epigrammi in vari metri
• Libro XIV, epigrammi aritmetici, indovinelli e
oracoli
• Libro XV, epigrammi vari
Il suo ordianmento
All’interno di quest’ordinamento si
riconoscono sporadiche tracce di
un’originaria suddivisione per
autori e per temi, ma l’impressione
generale è quella di un colossale
accumulo che sopprime ogni
schema cronologico e assorbe le
singole personalità poetiche entro
una sorta di testo continuo e
collettivo, in cui unico criterio di
organizzazione vale soltanto
l’argomento dei singoli libri.
Qualche secolo dopo la formazione della Palatina, intorno al
1300, il monaco e filosofo bizantino Massimo Planude compose
un’altra antologia, giunta nel manoscritto dello stesso autore,
che dal nome di costui è detta Antologia Planudea.
L’Antologia Planudea
Essa è più breve della
Palatina, ma contiene 388
epigrammi che in quella non
sono riportati, e che nelle
edizioni vengono solitamente
raccolti in un libro XVI,
chiamato Appendix Planudea.
Queste antologie sono il risultato conclusivo di una serie di raccolte, che ebbero
verosimilmente inizio con le prime trascrizioni di epigrammi iscritti su monumenti
e oggetti. Poco si conosce intorno a queste collezioni e ai libri in cui i singoli autori
pubblicavano i propri epigrammi.
La prima antologia di epigrammi di cui si abbia una più esauriente conoscenza è la
cosiddetta “Corona” di Meleagro, I secolo a.C. In essa Meleagro aveva raccolto
epigrammi suoi e di altri quarantasei autori, sistemandoli in almeno quattro libri e
disponendoli per argomenti. All’interno di questa suddivisione le singole poesie si
susseguivano secondo un elaborato criterio di alternanze, corrispondenze e
opposizioni. Alla “Corona” egli aveva anteposto un proemio, conservato nel IV
libro della “Palatina”, in cui ogni poeta è accostato a un fiore o a una pianta.
La Corona
Nel I secolo d.C. il suo esempio fu continuato da Filippo di Tessalonica che
raccolse gli autori dopo Meleagro fino al suo tempo. Anch’egli vi premetteva un
proemio (pure compreso nel IV libro della “Palatina”), riprendendo la
caratterizzazione dei poeti secondo metafore botaniche, ma al cui interno
l’ordinamento degli autori era alfabetico.
Infine, particolare rilievo ebbe l’antologia formata all’inizio dell’età bizantina
(VI secolo) da Agatia. Questa portava il titolo di “Ciclo”, ed era disposta in sette
libri. La raccolta di Agatia comprendeva epigrammi di età antica, selezionati da
Meleagro e da Filippo, e altri poeti contemporanei.
Filippo di Tessalonica e il Ciclo di Agatia
Tutte queste raccolte, e in particolare
quelle di Meleagro, di Filippo e di
Agatia, confluirono a formare
l’ossatura dell’antologia di Costantino
Cefala, di cui sappiamo che nel 917 fu
“protopapas” (ossia “capo del clero”)
nel palazzo imperiale di Bisanzio.
La sua opera costituì il precedente
immediato della Palatina, posteriore di
circa un secolo, che ne ripete
sostanzialmente lo schema e ad essa
attinge gran parte del materiale,
peraltro integrandolo con altre raccolte
e aggiungendo i libri I-III, VIII e XV.
L’antologia di Costantino Cefala
Il III secolo a.C. vide una
straordinaria fioritura
dell’epigramma, per il numero e la
qualità degli autori che in esso si
cimentarono. Tra questi Callimaco,
vero maestro del genere, e Teocrito,
ma altri poeti composero
esclusivamente epigrammi, o sono
attualmente noti solo in questo
campo. In essi appare una complessa
varietà di tendenze, che hanno
suggerito una classificazione
secondo diverse scuole,
contraddistinte da peculiarità
tematiche e formali.
La fioritura del genere
Il criterio più rigoroso si limita a distinguere
due gruppi:
• quelli che scrivono in ionico, per lo più
provenienti dall’area orientale del mondo
greco;
epigrammisti che usano il dialetto dorico, in
genere originari della Grecia o dell’Italia
Meridionale;
• Si può aggiungere che, sebbene questi poeti
evitino di specializzarsi esclusivamente in un
singolo settore tematico, esiste una certa
comunanza di scelte e di maniere espressive tra
gli autori appartenenti all’una o all’altra delle
suddette aree linguistiche.
La sua classificazione
Nell’area dorica rientra Anite di Tegea in
Arcadia, vissuta agli albori dell’età ellenistica.
Nei ventuno epigrammi tramandati sotto il suo
nome, emergono alcuni temi di fondo: il
compianto sulla morte prematura o violenta di
giovani donne,la descrizione di paesaggi …
La commossa genuinità dei sentimenti e la gioia
di semplici diletti sono le caratteristiche dell’arte
di Anite, che sembra anticipare certi toni della
bucolica teocritea.
“"Straniero, qui sotto l'olmo, le membra affrante
ristora.
soave tra le verdi fronde l'aura sussurra;
gelida bevi l'acqua alla fonte; ristoro gradito
nella calura ardente questo è per i viandanti"
Anite di Tegea
Più o meno sua contemporanea fu un’altra poetessa
dell’area dorica, Nosside di Locri Epizefiria, sulla
costa della Calabria. Questa si dichiara erede di
Saffo. Il più noto e bello dei suoi dodici epigrammi
è un’ardente esaltazione dell’amore nei toni de
un’autentica immediatezza che è una degna eco del
grande modello.
Vi sono epigrammi letterari e celebrativi, ritratti di
amiche: il tutto nei modi di una grazia calcolata e
intrisa di femminile eleganza.
Anite di Tegea
“Non c'è nulla più dolce dell'amore.
Quale dolcezza lo supera? Sputo
anche il miele. Così Nòsside dice.
Solo chi non è amata da Cipride
non sa quali rose siano i suoi fiori.”
Appartenne alla corrente dorica pure Leonida di Taranto, vissuto tra il 320 e il 260
circa. Egli diede spazio alla miseria, a questo motivo autobiografico nei suoi versi
ma la maggior parte della sua produzione, sopravvissuta in un centinaio di
epigrammi, era costituita da dediche votive e da iscrizioni funerarie.
In esse è rigorosamente riprodotto un ambiente popolaresco e povero, ma sebbene
Leonida provi simpatia e pietà verso i suoi umili protagonisti, la sua poesia non è
un caso per parlare di un’intonazione popolare, tanto riesce difficile e inconsueta
la sua lingua, non certo alla portata di un pubblico comune.
A un analogo calcolo di rottura corrisponde una propensione per l’orrido e il
macabro, in cui Leonida esaspera la propria ricerca di effetti sorprendenti, e che
trova un parallelismo in certi aspetti dell’arte figurativa a lui contemporanea.
Leonida di Taranto
“ La vecchia asciuga-botti è qui,
Maronide, quell'ubriacona. A tutti ben
visibile un calice dell'Attica sul
tumulo. E lei sottoterra geme, nè per i
figli nè per suo marito, che in miseria
abbandonò, bensì per una cosa: è
Una poetica affatto opposta ispira l’opera di Asclepidedi Samo, attivo nei primi
decenni del III secolo.
Di lui restano quarantacinque epigrammi, di cui una decina di sospetta
autenticità, ma quest’esiguo complesso basta a rivelare un poeta di altissima
qualità. In esso compaiono i consueti motivi funerari, elogiativi, letterari: ma i
temi da lui prediletti sono il simposio e l’amore. Egli tratteggia avventure galanti
e raffinate scene di società, evoca momenti di autentica passione, nella felicità
dell’appagamento o nella delusione dell’abbandono.
Asclepide di Samo
Asclepide effonde generosamente la sua personalità nei suoi
versi, quanto nella resa dell’ironia quanta di quella della
malinconia.
Il suo stile è chiaro ed elegante, senza artifici né
compiacimenti eruditi; l’organizzazione strutturale dei suoi
epigrammi è di una perfetta essenzialità ed armonia.
“Il Vino e' spia dell'amore, ci diceva Nicagora di non
amare, ma lo tradirono i molti bicchieri, abbasso' il capo e
pianse:
neanche la corona di viole gli rimase stretta sul capo.”
Posidippo di Pella
Alla poetica di Asclepide sembra aderire Posidippo di
Pella in Macedonia, che ne riprese e variò molti spunti. La
sua personalità poetica risulta forse meno vigorosa ma nei
cerca venti epigrammi tramandati dall’Antologia Palatina
essa appare caratterizzata da un’estrema sapienza formale,
da aggraziate invenzioni, e da arguti tratti d’umorismo.
La notevole varietà degli argomenti dimostra l’estrema
versatilità della sua arte, che per ogni tema sa trovare
accenti nuovi, in cui Posidippo trapassa dalla commozione
al sorriso, dall’iperbole ironica al dettaglio esatto e
minuzioso.
“Questa pietra dura di Persia che contiene oro,
Per Demilo; e in cambio di un tenero bacio la bruna
Nicea di Coo lo ha ricevuto, amabile dono.”
La produzione epigrammatica continua ad
essere copiosa nei secoli in cui la civiltà
ellenistica declina, e si prepara l’avvento
dell’impero romano. Ma alla qualità non
corrisponde la qualità: emergono rare
personalità che seppero trovare un isolato
momento di poesia oppure introdurre nuove
tonalità, e un solo grande artista.
Questi è Meleagro di Gadara in Palestiana,
nato verso il 130, il quale è considerato
fondatore e principale esponente di una nuova
corrente dell’epigramma.
La personalità di Meleagro
A lui si deve la più antica delle raccolte
passate nell’antologia Palatina, la
cosiddetta “Corona”, e oltre a questo,
l’opera poetica di Meleagro
sopravvissuta comprende circa 130
epigrammi.
Il suo tema è l’amore nelle avventure
frivole e sensuali, nell’infinita
screziatura dei sentimenti. Meleagro è il
cantore lieve e leggiadro di una società
disincantata, che nel piacere dei sensi
trova l’espressione di un’individualità
emarginata dai meccanismi delle
strutture collettive, e dall’altro lato
riluttante a impegnarsi nella profondità
dei grandi problemi esistenziali.
La sua poetica
Negli epigrammi di Meleagro sfila una galleria di mercenarie
grazie, ciascuna con i suoi fascini; ma due donne soprattutto
ispirano i suoi momenti più teneri e artisticamente efficaci:
Zenofila ed Eliodora.
“L'anima mia mi dice di fuggire il desiderio di Eliodora,
ben conoscendo le lacrime e le gelosie di un tempo,
Lo dice; ma la forza di fuggire io non ho; mi avverte,
ma poi anch'essa, pur ammonendomi, senza pudore l'ama.”
“Vola zanzara, rapida messaggera, e le orecchie
di Zenofila appena sfiorando, sussurrale così:
«Sveglio ti aspetta; e tu, dimentica di chi t’ama,
dormi». Su, vola: vola, o amica delle Muse,
e parla sottovoce, perché non svegli il compagno
e susciti contro di me le angosce della gelosia.
ma se porterai la fanciulla, ti coprirò con pelle di leone,
o zanzara, e ti darò in mano la clava.”
L’eros nei suoi epigrammi
Tra i poeti anteriori a Meleagro merita ricordo Antipatro
detto Sidonio, nato a Tiro verso il 170.
“ Dov'è la tua mirabile bellezza,o dorica Corinto?
E le corone delle tue torri e le antiche ricchezze,i templi degli
Dèi, i tuoi palazzi? Dove le tue donne, dove le folle immense
del tuo popolo?
Nemmeno un segno rimane di te,infelicissima! Divorò tutto
a rapina la guerra. Solo noi Nereidi, figlie di Oceano,
immortali, come alcioni, siamo rimaste a piangere le tue
sventure. “
Tra i suoi circa ottantacinque epigrammi,
prevalentemente dediche ed epitafi in uno stile
manieristico e compassato, un genuino spirito poetico
vive nell’epigramma sulle rovine di Corinto, distrutta da
Roma nel 146: gli splendori della grande città sono stati
travolti dalla guerra, e soltanto le Nereidi rimangono a
gemere come alcioni sulle sue sventure.
Antipatro Sidonio
Durante l’impero di Roma, l’epigramma in lingua greca continua a dimostrare
una certa fertilità, soprattutto nei primi secoli. Accanto ai temi tradizionali affiora
qualche fermento di novità, sia negli argomenti sia nei toni dell’ispirazione
individuale.
Stabili rapporti con l’ambiente
romano, ormai avviato ad
assumere un ruolo di preminenza
anche nell’ambito culturale,
compaiono nella poetica
epigrammatica.
Nei componimenti di maggior
pregio poetico l’impronta è data
da una simpatica freschezza di
sentimenti, a cui corrisponde
un’organizzazione formale di
elegante semplicità.
Il nuovo ambito culturale
Al tempo di Nerone visse a Roma Lucillio, che fu
autore in proprio di circa centoventicinque
epigrammi. Egli fa dell’epigramma lo strumento di
un’intenzione satirica puntata su tipi generali e su
singoli individui. L’ironia nasce da situazioni
realistiche vividamente descritte, e le sue figurette
sono caricature, intrise della crudeltà necessaria alla
satira. Egli per molti aspetti appare un precursore
della figura dell’epigrammista latino.
“ Riccioli, trucco, belletto
cerone e denti hai comprato:
con la stessa spesa compravi una faccia nuova. ”
Lucillio e la satira
Nel II secolo visse Stratone di Sardi, a cui risale la silloge sull’amore pederotico
che confluì nel XII libro della Palatina. In questo sono compresi i suoi stessi
epigrammi, poco meno di cento, che non lasciano spazio all’aspetto idealizzante
attribuito dalla tradizione classica alla pederastia, per rivolgersi esclusivamente alla
fisicità del rapporto sensuale. Stratone padroneggia bene la tecnica del genere: al
suo tema è implicito il senso della fuggevolezza del tempo, che gli ispira
vendicative rivalse, e però anche qualche malinconia. Spesso la ricercatezza
formale non vale a riscattare l’oscenità dei suoi testi.
“Passando dal mercato delle corone, vidi
oggi un ragazzo che intrecciava dei fiori e
dei corimbi. E non passai di là senza ferita.
Fermandomi, gli chiesi un po' svagato:
"Quanto vuoi, dimmi, per la tua corona?“ si
fece rosso più dei fiori e subito rispose a
occhi bassi: "Su, allontanati, e non farti
vedere da mio padre". Comprai, così per
scusa, una ghirlanda. Con essa, a casa,
incoronai gli dei, pregando per avere quel
Stratone di Sardi
Un lavoro di
Eleonora Bompieri

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L'epigramma - Letteratura greca ( Epigram's History in Greek Literature)

  • 1. Storia del genere dall’età alessandrina all’età imperiale. I suoi esponente e la sua evoluzione. Un lavoro di Eleonora Bompieri
  • 2. L’epigramma, dal greco ἐπί-γραφὼ (letteralmente: "scrivere su", "scrivere sopra"), è un'iscrizione funeraria o commemorativa, destinata ad essere incisa su materiali durevoli quali la pietra e il bronzo: da questa circostanza deriva il carattere della brevità, conservatosi anche quando l'epigramma divenne un vero e proprio genere letterario in età ellenistica e bizantina trattando temi diversi. La loro funzionalità pratica ottenne una veste metrica che li distinse da una semplice iscrizione. La denominazione
  • 3. Le origini a noi note dell’epigramma coincidono con i più antichi attestati della scrittura alfabetica in Grecia. La “Coppa di Nestore”, risalente agli ultimi decenni dell’VIII secolo avanti Cristo, ne rappresenta l’esempio più antico a noi pervenuto: « Io sono la bella coppa di Nestore, chi berrà da questa coppa subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona » La Coppa di Nestore Questa rudimentale poesia è anonima, al pari di altri componimenti analoghi, che diventeranno sempre più frequenti nei secoli successivi.
  • 4. « ὦ ξεῖν', ἀγγέλλειν Λακεδαιμονίοις ὅτι τῇδε κείμεθα τοῖς κείνων ῥήμασι πειθόμενοι » Simonide Più tardi si affermò l’uso di trascrivere e raccogliere i testi che apparivano più meritevoli di conservazione per i loro pregi poetici. Sorsero così le prime attribuzioni, di cui possono trovarsi falsificazioni di età più tarda. Queste raccolte segano l’ingresso dell’epigramma nella letteratura; ma nel V secolo la sua destinazione è pur sempre pubblica e ufficiale, come dimostra l’impiego di epigrammi per celebrare i caduti a difesa della patria, soprattutto nelle guerre persiane come in questa epigrafe alle Termopili attribuita a Simonide: « O viandante, annuncia agli Spartani che qui noi giacciam per aver obbedito alle loro parole. »
  • 5. Nel corso del IV secolo l’epigramma assume una sempre più marcata connotazione letteraria come risulta da quelli attributi a Platone. Essi si collocano nel quadro della produzione lirica simposiale, pur distaccandosi, nello stile, dalle leggi compositive dell'epigramma, caratterizzandosi invece come produzioni artistiche autonome. Gli argomenti trattati, solo vagamente avvicinabili alla filosofia platonica e ruotano attorno ai temi dell'amore, della bellezza, della brevità delle gioie. La destinazione pratica tende a trasformarsi in un pretesto fittizio. Platone epigrammista
  • 6. Con l’Ellenismo l’epigramma ottiene una definitiva consacrazione artistica e diventa un genere letterario di primo rilievo. Come per gli altri generi, la sua sede ormai è il libro; tuttavia la simulazione di un uso pratico sopravvive come residuo delle sue origini. I motivi fondamentali dell’epigramma rimangono l’iscrizione sepolcrale e l’offerta votiva, la costruzione e la dedica di un edificio, il ricordo e la celebrazione di una persona o di un fatto. L’epigramma letterario dell’Ellenismo sembra estendere in un nuove direzioni certi spunti che traevano origine dalle prime destinazioni del genere: diventa così una sorta di concentrato di temi e delle tendenze della poesia ellenistica. L’evoluzione del genere
  • 7. Accanto a questi temi si afferma con rilevanza l’amore, nella sua varietà di prospettive. L’epigramma rappresenta la forma artistica dell’eros alessandrino: in esso risuonano il senso di una realtà essenziale per l’esperienza umana, la nuova dimensione di intimità e parità femminile nella coppia, la conquista di una libera individualità interiore. Non è facile individuare come nell’epigramma si fosse sviluppata la tematica erotica: può darsi che un precedente si debba riconoscere nelle iscrizioni di dedica alla persona amata. L’eros nell’epigramma
  • 8. Quest’ambito tematico rimane pur sempre limitato, e i poeti riprendono gli argomenti dagli altri autori o anche dalla propria opera in un continuo e sottile gioco di variazione, dove l’importante è dare una forma più raffinata e acuminata al già detto. Il virtuosismo formale, che è un cardine dell’estetica alessandrina, trova nella misura concentrata ed essenziale dell’epigramma lo spazio più adatto per l’espressione esatta e definitiva. La struttura metrica più ricorrente è il distico elegiaco, composto da un esametro e da un pentametro, che nel suo ritmo marcatamente binario accentua gli effetti di simmetria e di opposizione, in cui la concettuosità dell’epigramma trova la sua forma tipica. L’uso del distico elegiaco
  • 9. La convenzionalità dei mezzi formali e la ripetitività degli argomenti possono talvolta suscitare alla lettura un certo senso di monotonia. Nel carattere soggettivo dell’epigramma si esprime una delle tendenze fondamentali del mondo ellenistico: la scoperta della condizione umana nella quotidiana verità dei sentimenti intimi. L o strumento rivelatore è la parola artistica, ossia il momento definito in cui il vigore della fantasia affronta il confronto con la realtà. Il valore della forma nella riflessione
  • 10. La storia letteraria dell’epigramma greco copre oltre un millennio, dal V secolo a.C. al VI d.C. La produzione del genere fu enorme, ma è possibile affermare che le migliori fonti siano riuscite a conservarsi nel tempo, per la maggior parte in un unico manoscritto che ha la forma di un antologia. L’Antologia Palatina Questa fu redatta in un’epoca collocabile intorno alla metà del XI secolo d.C. e deve la sua denominazione corrente di “Antologia Palatina” al fatto che fu scoperta agli inizi del ‘600 nella Biblioteca Palatina di Heidelberg. La raccolta contiene circa 3700 epigrammi in cui vi sono rappresentati circa 340 poeti, ma esiste anche un cospicuo numero di testi anonimi.
  • 11. L’Antologia Palatina è suddivisa in quindici libri. Ecco il contenuto dei singoli libri: Il suo contenuto • Libro I, epigrammi cristiani • Libro II, descrizioni di statue • Libro III, epigrammi relativi al ginnasio pubblico di Cìzico (nella Tebaide) detto Zeuxippo • Libro IV, proemi • Libro V, epigrammi erotici • Libro VI, epigrammi votivi • Libro VII, epigrammi funebri • Libro VIII, epigrammi di Gregorio di Nazianzio • Libro IX, epigrammi descrittivi • Libro X, epigrammi sentenziosi • Libro XI, epigrammi conviviali e burleschi • Libro XII, epigrammi pederotici • Libro XIII, epigrammi in vari metri • Libro XIV, epigrammi aritmetici, indovinelli e oracoli • Libro XV, epigrammi vari
  • 12. Il suo ordianmento All’interno di quest’ordinamento si riconoscono sporadiche tracce di un’originaria suddivisione per autori e per temi, ma l’impressione generale è quella di un colossale accumulo che sopprime ogni schema cronologico e assorbe le singole personalità poetiche entro una sorta di testo continuo e collettivo, in cui unico criterio di organizzazione vale soltanto l’argomento dei singoli libri.
  • 13. Qualche secolo dopo la formazione della Palatina, intorno al 1300, il monaco e filosofo bizantino Massimo Planude compose un’altra antologia, giunta nel manoscritto dello stesso autore, che dal nome di costui è detta Antologia Planudea. L’Antologia Planudea Essa è più breve della Palatina, ma contiene 388 epigrammi che in quella non sono riportati, e che nelle edizioni vengono solitamente raccolti in un libro XVI, chiamato Appendix Planudea.
  • 14. Queste antologie sono il risultato conclusivo di una serie di raccolte, che ebbero verosimilmente inizio con le prime trascrizioni di epigrammi iscritti su monumenti e oggetti. Poco si conosce intorno a queste collezioni e ai libri in cui i singoli autori pubblicavano i propri epigrammi. La prima antologia di epigrammi di cui si abbia una più esauriente conoscenza è la cosiddetta “Corona” di Meleagro, I secolo a.C. In essa Meleagro aveva raccolto epigrammi suoi e di altri quarantasei autori, sistemandoli in almeno quattro libri e disponendoli per argomenti. All’interno di questa suddivisione le singole poesie si susseguivano secondo un elaborato criterio di alternanze, corrispondenze e opposizioni. Alla “Corona” egli aveva anteposto un proemio, conservato nel IV libro della “Palatina”, in cui ogni poeta è accostato a un fiore o a una pianta. La Corona
  • 15. Nel I secolo d.C. il suo esempio fu continuato da Filippo di Tessalonica che raccolse gli autori dopo Meleagro fino al suo tempo. Anch’egli vi premetteva un proemio (pure compreso nel IV libro della “Palatina”), riprendendo la caratterizzazione dei poeti secondo metafore botaniche, ma al cui interno l’ordinamento degli autori era alfabetico. Infine, particolare rilievo ebbe l’antologia formata all’inizio dell’età bizantina (VI secolo) da Agatia. Questa portava il titolo di “Ciclo”, ed era disposta in sette libri. La raccolta di Agatia comprendeva epigrammi di età antica, selezionati da Meleagro e da Filippo, e altri poeti contemporanei. Filippo di Tessalonica e il Ciclo di Agatia
  • 16. Tutte queste raccolte, e in particolare quelle di Meleagro, di Filippo e di Agatia, confluirono a formare l’ossatura dell’antologia di Costantino Cefala, di cui sappiamo che nel 917 fu “protopapas” (ossia “capo del clero”) nel palazzo imperiale di Bisanzio. La sua opera costituì il precedente immediato della Palatina, posteriore di circa un secolo, che ne ripete sostanzialmente lo schema e ad essa attinge gran parte del materiale, peraltro integrandolo con altre raccolte e aggiungendo i libri I-III, VIII e XV. L’antologia di Costantino Cefala
  • 17. Il III secolo a.C. vide una straordinaria fioritura dell’epigramma, per il numero e la qualità degli autori che in esso si cimentarono. Tra questi Callimaco, vero maestro del genere, e Teocrito, ma altri poeti composero esclusivamente epigrammi, o sono attualmente noti solo in questo campo. In essi appare una complessa varietà di tendenze, che hanno suggerito una classificazione secondo diverse scuole, contraddistinte da peculiarità tematiche e formali. La fioritura del genere
  • 18. Il criterio più rigoroso si limita a distinguere due gruppi: • quelli che scrivono in ionico, per lo più provenienti dall’area orientale del mondo greco; epigrammisti che usano il dialetto dorico, in genere originari della Grecia o dell’Italia Meridionale; • Si può aggiungere che, sebbene questi poeti evitino di specializzarsi esclusivamente in un singolo settore tematico, esiste una certa comunanza di scelte e di maniere espressive tra gli autori appartenenti all’una o all’altra delle suddette aree linguistiche. La sua classificazione
  • 19. Nell’area dorica rientra Anite di Tegea in Arcadia, vissuta agli albori dell’età ellenistica. Nei ventuno epigrammi tramandati sotto il suo nome, emergono alcuni temi di fondo: il compianto sulla morte prematura o violenta di giovani donne,la descrizione di paesaggi … La commossa genuinità dei sentimenti e la gioia di semplici diletti sono le caratteristiche dell’arte di Anite, che sembra anticipare certi toni della bucolica teocritea. “"Straniero, qui sotto l'olmo, le membra affrante ristora. soave tra le verdi fronde l'aura sussurra; gelida bevi l'acqua alla fonte; ristoro gradito nella calura ardente questo è per i viandanti" Anite di Tegea
  • 20. Più o meno sua contemporanea fu un’altra poetessa dell’area dorica, Nosside di Locri Epizefiria, sulla costa della Calabria. Questa si dichiara erede di Saffo. Il più noto e bello dei suoi dodici epigrammi è un’ardente esaltazione dell’amore nei toni de un’autentica immediatezza che è una degna eco del grande modello. Vi sono epigrammi letterari e celebrativi, ritratti di amiche: il tutto nei modi di una grazia calcolata e intrisa di femminile eleganza. Anite di Tegea “Non c'è nulla più dolce dell'amore. Quale dolcezza lo supera? Sputo anche il miele. Così Nòsside dice. Solo chi non è amata da Cipride non sa quali rose siano i suoi fiori.”
  • 21. Appartenne alla corrente dorica pure Leonida di Taranto, vissuto tra il 320 e il 260 circa. Egli diede spazio alla miseria, a questo motivo autobiografico nei suoi versi ma la maggior parte della sua produzione, sopravvissuta in un centinaio di epigrammi, era costituita da dediche votive e da iscrizioni funerarie. In esse è rigorosamente riprodotto un ambiente popolaresco e povero, ma sebbene Leonida provi simpatia e pietà verso i suoi umili protagonisti, la sua poesia non è un caso per parlare di un’intonazione popolare, tanto riesce difficile e inconsueta la sua lingua, non certo alla portata di un pubblico comune. A un analogo calcolo di rottura corrisponde una propensione per l’orrido e il macabro, in cui Leonida esaspera la propria ricerca di effetti sorprendenti, e che trova un parallelismo in certi aspetti dell’arte figurativa a lui contemporanea. Leonida di Taranto “ La vecchia asciuga-botti è qui, Maronide, quell'ubriacona. A tutti ben visibile un calice dell'Attica sul tumulo. E lei sottoterra geme, nè per i figli nè per suo marito, che in miseria abbandonò, bensì per una cosa: è
  • 22. Una poetica affatto opposta ispira l’opera di Asclepidedi Samo, attivo nei primi decenni del III secolo. Di lui restano quarantacinque epigrammi, di cui una decina di sospetta autenticità, ma quest’esiguo complesso basta a rivelare un poeta di altissima qualità. In esso compaiono i consueti motivi funerari, elogiativi, letterari: ma i temi da lui prediletti sono il simposio e l’amore. Egli tratteggia avventure galanti e raffinate scene di società, evoca momenti di autentica passione, nella felicità dell’appagamento o nella delusione dell’abbandono. Asclepide di Samo Asclepide effonde generosamente la sua personalità nei suoi versi, quanto nella resa dell’ironia quanta di quella della malinconia. Il suo stile è chiaro ed elegante, senza artifici né compiacimenti eruditi; l’organizzazione strutturale dei suoi epigrammi è di una perfetta essenzialità ed armonia. “Il Vino e' spia dell'amore, ci diceva Nicagora di non amare, ma lo tradirono i molti bicchieri, abbasso' il capo e pianse: neanche la corona di viole gli rimase stretta sul capo.”
  • 23. Posidippo di Pella Alla poetica di Asclepide sembra aderire Posidippo di Pella in Macedonia, che ne riprese e variò molti spunti. La sua personalità poetica risulta forse meno vigorosa ma nei cerca venti epigrammi tramandati dall’Antologia Palatina essa appare caratterizzata da un’estrema sapienza formale, da aggraziate invenzioni, e da arguti tratti d’umorismo. La notevole varietà degli argomenti dimostra l’estrema versatilità della sua arte, che per ogni tema sa trovare accenti nuovi, in cui Posidippo trapassa dalla commozione al sorriso, dall’iperbole ironica al dettaglio esatto e minuzioso. “Questa pietra dura di Persia che contiene oro, Per Demilo; e in cambio di un tenero bacio la bruna Nicea di Coo lo ha ricevuto, amabile dono.”
  • 24. La produzione epigrammatica continua ad essere copiosa nei secoli in cui la civiltà ellenistica declina, e si prepara l’avvento dell’impero romano. Ma alla qualità non corrisponde la qualità: emergono rare personalità che seppero trovare un isolato momento di poesia oppure introdurre nuove tonalità, e un solo grande artista. Questi è Meleagro di Gadara in Palestiana, nato verso il 130, il quale è considerato fondatore e principale esponente di una nuova corrente dell’epigramma. La personalità di Meleagro
  • 25. A lui si deve la più antica delle raccolte passate nell’antologia Palatina, la cosiddetta “Corona”, e oltre a questo, l’opera poetica di Meleagro sopravvissuta comprende circa 130 epigrammi. Il suo tema è l’amore nelle avventure frivole e sensuali, nell’infinita screziatura dei sentimenti. Meleagro è il cantore lieve e leggiadro di una società disincantata, che nel piacere dei sensi trova l’espressione di un’individualità emarginata dai meccanismi delle strutture collettive, e dall’altro lato riluttante a impegnarsi nella profondità dei grandi problemi esistenziali. La sua poetica
  • 26. Negli epigrammi di Meleagro sfila una galleria di mercenarie grazie, ciascuna con i suoi fascini; ma due donne soprattutto ispirano i suoi momenti più teneri e artisticamente efficaci: Zenofila ed Eliodora. “L'anima mia mi dice di fuggire il desiderio di Eliodora, ben conoscendo le lacrime e le gelosie di un tempo, Lo dice; ma la forza di fuggire io non ho; mi avverte, ma poi anch'essa, pur ammonendomi, senza pudore l'ama.” “Vola zanzara, rapida messaggera, e le orecchie di Zenofila appena sfiorando, sussurrale così: «Sveglio ti aspetta; e tu, dimentica di chi t’ama, dormi». Su, vola: vola, o amica delle Muse, e parla sottovoce, perché non svegli il compagno e susciti contro di me le angosce della gelosia. ma se porterai la fanciulla, ti coprirò con pelle di leone, o zanzara, e ti darò in mano la clava.” L’eros nei suoi epigrammi
  • 27. Tra i poeti anteriori a Meleagro merita ricordo Antipatro detto Sidonio, nato a Tiro verso il 170. “ Dov'è la tua mirabile bellezza,o dorica Corinto? E le corone delle tue torri e le antiche ricchezze,i templi degli Dèi, i tuoi palazzi? Dove le tue donne, dove le folle immense del tuo popolo? Nemmeno un segno rimane di te,infelicissima! Divorò tutto a rapina la guerra. Solo noi Nereidi, figlie di Oceano, immortali, come alcioni, siamo rimaste a piangere le tue sventure. “ Tra i suoi circa ottantacinque epigrammi, prevalentemente dediche ed epitafi in uno stile manieristico e compassato, un genuino spirito poetico vive nell’epigramma sulle rovine di Corinto, distrutta da Roma nel 146: gli splendori della grande città sono stati travolti dalla guerra, e soltanto le Nereidi rimangono a gemere come alcioni sulle sue sventure. Antipatro Sidonio
  • 28. Durante l’impero di Roma, l’epigramma in lingua greca continua a dimostrare una certa fertilità, soprattutto nei primi secoli. Accanto ai temi tradizionali affiora qualche fermento di novità, sia negli argomenti sia nei toni dell’ispirazione individuale. Stabili rapporti con l’ambiente romano, ormai avviato ad assumere un ruolo di preminenza anche nell’ambito culturale, compaiono nella poetica epigrammatica. Nei componimenti di maggior pregio poetico l’impronta è data da una simpatica freschezza di sentimenti, a cui corrisponde un’organizzazione formale di elegante semplicità. Il nuovo ambito culturale
  • 29. Al tempo di Nerone visse a Roma Lucillio, che fu autore in proprio di circa centoventicinque epigrammi. Egli fa dell’epigramma lo strumento di un’intenzione satirica puntata su tipi generali e su singoli individui. L’ironia nasce da situazioni realistiche vividamente descritte, e le sue figurette sono caricature, intrise della crudeltà necessaria alla satira. Egli per molti aspetti appare un precursore della figura dell’epigrammista latino. “ Riccioli, trucco, belletto cerone e denti hai comprato: con la stessa spesa compravi una faccia nuova. ” Lucillio e la satira
  • 30. Nel II secolo visse Stratone di Sardi, a cui risale la silloge sull’amore pederotico che confluì nel XII libro della Palatina. In questo sono compresi i suoi stessi epigrammi, poco meno di cento, che non lasciano spazio all’aspetto idealizzante attribuito dalla tradizione classica alla pederastia, per rivolgersi esclusivamente alla fisicità del rapporto sensuale. Stratone padroneggia bene la tecnica del genere: al suo tema è implicito il senso della fuggevolezza del tempo, che gli ispira vendicative rivalse, e però anche qualche malinconia. Spesso la ricercatezza formale non vale a riscattare l’oscenità dei suoi testi. “Passando dal mercato delle corone, vidi oggi un ragazzo che intrecciava dei fiori e dei corimbi. E non passai di là senza ferita. Fermandomi, gli chiesi un po' svagato: "Quanto vuoi, dimmi, per la tua corona?“ si fece rosso più dei fiori e subito rispose a occhi bassi: "Su, allontanati, e non farti vedere da mio padre". Comprai, così per scusa, una ghirlanda. Con essa, a casa, incoronai gli dei, pregando per avere quel Stratone di Sardi