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Evoluzione e analisi delle coperture convertibili
Laura Pacchioni
Tesi di Laurea di primo livello
Laura Pacchioni
matricola 746238
Scuola di Architettura e Società
Corso di Scienze dell’Architettura
A.A. 2012/2013
Relatrice: Alessandra Zanelli
ARCHITETTURA TRASFORMABILE
Evoluzione e analisi delle coperture convertibili
La tesi si compone di un’analisi storica dell’ evoluzione del-
le coperture trasformabili e di una rassegna critica dei di-
versi sistemi di copertura che sono stati proposti in questo
campo, analizzandone e confrontandone alcuni esempi
realizzati, in base a morfologia, caratteristiche cinemati-
che ed efficienza, sia in configurazione chiusa che aperta.
ABSTRACT
Abstract................................................................................................
Indice ..................................................................................................
1. Introduzione ....................................................................................
1.1 Trasformabilità, trasportabilità e adattabilità...................
1.2 Panoramica sulle conoscenze e sulla normativa attuali
2. Le origini...........................................................................................
2.1 Le tende.........................................................................
2.2 Il velarium.......................................................................
2.3 Le prime strutture mobili.................................................
3. Coperture trasformabili.....................................................................
3.1. Classificazione........................................................
3.1.1. Coperture trasformabili a membrana...........
INDICE
pag. 5
>> 7
>> 11
>> 12
>> 15
>> 19
>> 20
>> 25
>> 30
>> 35
>> 36
>> 42
3.1.1.1. struttura di supporto fissa.................
3.1.1.2. struttura di supporto mobile.............
3.1.2. coperture trasformabili a elementi rigidi........
3.1.2.1. pieghevoli........................................
3.1.2.2. telescopiche....................................
3.1.2.3. diaframmi........................................
3.1.2.4. pivotanti...........................................
3.2. Confronto................................................................
4. Progetti personali.............................................................................
4.1. Introduzione.....................................................
4.2. Microarchitectural Workshop..........................
4.3. LLA Workshop.................................................
4.4. Sedia Contesa.................................................
pag. 48
>> 62
>> 96
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>> 112
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5. Conclusioni.......................................................................................
5.1. Considerazioni e ipotesi di sviluppi futuri..............
Bibliografia............................................................................................
Sitografia..............................................................................................
Ringraziamenti.....................................................................................
pag. 131
>> 132
>> 135
>> 143
>> 149
“I nostri tempi richiedono maggior leggerezza, maggio-
re risparmio di energie, maggiori mobilità ed adattabilità;
in breve esigono costruzioni più in sintonia con la natura,
capaci al tempo stesso di non disattendere le domande di
sicurezza e protezione. Queste rinnovate richieste rendo-
no necessario un ulteriore sviluppo delle costruzioni legge-
re, quali tende, gusci, tendoni e coperture pneumatiche, e
promuovono anche l’applicazione di nuovi criteri di mobi-
lità, flessibilità e variabilità nelle costruzioni. Lo studio e la
ricerca di una “forma performante”, che sappia unire pun-
ti di vista etici ed estetici, porteranno una rinnovata com-
prensione della natura. É auspicabile che l’architettura di
domani sia di nuovo un’architettura essenziale, capace di
autogenerare la propria forma e di autoregolare i propri pro-
cessi in modo simile a quanto avviene nei sistemi viventi.”
Frei Otto Verso un’architettura minimale
1. INTRODUZIONE
12
1.1 Trasformabilità, trasportabilità e adattabilità
L’architettura viene generalmente per-
cepita come statica, immobile e perma-
nente nel tempo. Questa concezione
di oggetti pesanti, saldamente ancorati
al terreno, viene superata da un modo
di pensare l’architettura diverso, che la
vede leggera, mobile, trasportabile e
capace di cambiare forma e configura-
zione.
L’architettura trasformabile lascia liber-
tà a chi la utilizza di compiere in modo
reversibile veri e propri atti costruttivi,
come quello di coprire o scoprire uno
spazio o di ampliare o ridurre un volu-
me. Essa infine, pur nella variabilità de-
gli assetti che può garantire. Consente
anche un rassicurante e univoco lega-
me con il luogo su cui è costruita. [1]
A causa del crescente aumento di do-
mande per costruzioni che rispettino
criteri di flessibilità e adattabilità, negli
ultimi decenni, la ricerca e la sperimen-
tazione nel campo delle tensostrutture,
delle strutture trasformabili e/o traspor-
tabili si sta sviluppando e sta coinvol-
gendo sempre un maggior numero di
progettisti. Lo scopo è di riuscire a re-
alizzare spazi e oggetti dinamici, verso
un modo di costruire diverso, non più
inteso come azione irreversibile e per-
manente, ma che si adegui, di volta in
volta, elle esigenze di una società in
continuo e costante mutamento.
Le tensostrutture sono pertanto archi-
tetture leggere, flessibili, smontabili, an-
che retrattili e quindi immagazzinabili,
capaci di configurare spazi a carattere
permanente o semipermanente senza
operare pesanti modifiche di luoghi;
non escludendo la possibilità si realiz-
zare costruzioni permanenti e durevoli.
[2]
Le strutture trasformabili di dimensioni
ridotte sono oggetti mobili, smontabili e
[1] Zanelli, 2003
[2]Capasso, 1993
13
trasportabili, utilizzati in maniera tem-
poranea e in diverse occasioni, come
per esempio stand fieristici, tende d’e-
mergenza e tendoni militari. Esse sono
perciò autonome e utilizzabili, di volta
in volta, indifferentemente dal contesto.
Le coperture trasformabili progettate
per grandi aree sono invece dei sistemi
costruttivi generalmente permanenti e
fissi, con la possibilità però di essere ri-
mosse senza recare danni o demolizio-
ni all’edificio che vanno a servire. Infatti,
nella maggior parte dei casi, una co-
pertura di questo tipo viene realizzata
a posteriori rispetto a una costruzione
già esistente e deve quindi interagire e
integrarsi con essa senza alterarne la
struttura o la forma. Generalmente ven-
gono usate per edifici di grandi o mo-
deste dimensioni, come per esempio
stadi, centri commerciali o corti interne.
In entrambi i casi si tratta di strutture
convertibili capaci di cambiare la loro
configurazione attraverso dei passaggi
geometrici e cinematici per mezzo dei
quali coprire (o scoprire) l’area interna
o esterna di una costruzione nel minor
tempo possibile, con la possibilità co-
stante di poter invertire l’azione di movi-
mento in modo da poter assumere con-
figurazioni sempre reversibili. Il tempo
per passare da una all’altra e il periodo
tempo in cui essa debba restare in en-
trambe le configurazioni è uno dei crite-
ri chiave per la loro progettazione.
Le grandi coperture trasformabili han-
no l’obiettivo di riuscire ad adattarsi
a repentini cambiamenti atmosferici
per cui la movimentazione deve esse-
re veloce, nell’arco di qualche minuto.
Questa particolare abilità viene defini-
ta adattabilità climatica. Nel caso in cui
le condizioni metereologiche siano più
costanti e prevedibili o che la necessità
di coprire un’area sia calcolata per un
determinato arco temporale, si parla di
strutture che rispondono ad una adat-
tabilità stagionale, per cui il processo
di trasformazione può essere più lungo
e meno frequente. Sotto questa classe
rientrano la maggior parte delle grandi
coperture trasformabili realizzate prima
degli anni ‘70, poiché i meccanismi di
conversione, nonostante fossero pro-
gettati per rispondere a cambiamenti
atmosferici improvvisi, erano ancora
in fase di sperimentazione e i tempi
di apertura e chiusura superavano i
30 minuti. La reversibilità della struttu-
ra si limitava perciò ai soli momenti di
installazione e di disinstallazione della
stessa, assolvendo solo a un criterio di
reversibilità costruttiva.
14
La necessità di poter garantire e as-
sicurare la continuità di alcuni eventi
sportivi, ricreativi, culturali e religiosi,
che normalmente vengono vissuti com-
pletamente o parzialmente all’aria aper-
ta anche in caso di brutto tempo o di
condizioni inadeguate, ha fatto sì che ci
si interessasse sempre di più a questo
argomento. Una copertura trasforma-
bile riesce a garantire nei momenti di
bel tempo la possibilità di stare “a cielo
aperto”, con ventilazione e illuminazio-
ne naturali. Invece, in condizioni avver-
se, può proteggere gli utenti, sia che si
tratti di pioggia, vento, neve o anche di
irraggiamento solare elevato. Inoltre,
può dare riparo in quantità variabile allo
spazio sottostante e permette la possi-
bilità, a un numero sempre maggiore
di stadi, di far crescere sui propri cam-
pi erba naturale. Questo forte grado di
adattabilità è perciò determinante nella
scelta da parte degli investitori, che la
preferiscono alle coperture più tradi-
zionali fisse.Tetti retrattili non vengono
utilizzati solo in ambito sportivo, ma
anche per navi, spazi espositivi, ricre-
ativi e automobili, per non parlare delle
molte applicazioni di strutture retrattili di
cui viene fatto ampio uso in campo ae-
rospaziale. Anche gli spazi urbani e le
più comuni residenze private sfruttano
numerose tensostrutture di questo tipo.
1
2.Teli retrattili in abitazione privata
2
1. Copertura trasformabile di Wimbledon
15
1.2 Panoramica sulle conoscenze e sulla normativa attuali
In Italia, l’interesse e la conoscenza in
questo settore stanno crescendo, ma
a livello di pubblicazioni, informazioni
e letteratura si trova ancora una gran-
de carenza. Riuscire a reperire libri o
riviste è difficile e bisogna essere già
esperti nel campo per saper dove cer-
care, anche perché, la maggior parte di
questi non è in italiano, ma molto spes-
so in inglese, oppure anche in spagno-
lo, tedesco, francese o addirittura fiam-
mingo.
La maggior parte delle conoscenze ac-
quisite nel corso degli anni è stata for-
nita dell’Istituto per le Strutture Leggere
di Stoccarda (Institut für Leichte Flae-
chentragwerke, IL) e più recentemente
dall’Associazione Internazionale per le
Strutture Spaziali e a Schocche (IASS).
Frei Otto fondò l’Istituto di Stoccar-
da nel 1964 e ne fu a capo fino al suo
pensionamento, durante la sua carica
vennero pubblicati numerosi documenti
sull’architettura adattabile e le copertu-
re convertibili. La IASS ha invece fatto
sviluppare, sotto iniziativa del professor
Kazuo Ishii, un documento contenen-
te lo stato dell’arte e le linee generali
per la progettazione e la costruzione di
strutture retrattili a un gruppo di propri
specialisti chiamato Working Group nu-
mero 16. Il volume elaborato, intitolato
“Structural Desing of Retractable Struc-
tures” e uscito nel 2000 e fa parte della
serie “The Advances in Architecture”.
Lo scopo di queste pubblicazioni è di
aggiornare la letteratura presente sugli
avanzamenti in campi di recente esplo-
razione: dai sistemi di architettura vir-
tuale, ai materiali di nuova generazione
e, appunto, alle strutture e tensotrutture
mobili. Attraverso questi compendi le
conoscenze più recenti vengono diffu-
se ai progettisti che hanno così la pos-
sibilità di sfruttarne l’enorme potenziale
e sostituirle alle strutture tradizionali e
meno vantaggiose.
16
Anche l’aumento della richiesta da par-
te degli investitori di strutture trasfor-
mabili di grandi dimensioni ha portato
ad una loro presenza sempre maggiore
nelle città facendolo conoscere ad un
pubblico eterogeneo e non specializ-
zato, basti pensare al successo della
copertura retrattile di Wimbledon. No-
nostante la loro recente celebrità e dif-
fusione, in Europa non esiste ancora un
documento normativo che raccolga gli
standard a livello di materiali, calcoli e
teoria, esiste solo una norma, la prEN
13782: Temporary structures – Tents
– Safety, che concerne solamente le
procedure corrette per messa in eser-
cizio di strtture teporanee. Per le strut-
ture tensili esistono alcuni regolamenti
nazionali. In Italia è stata approvata nel
2002 la norma UNI 10949 Sicurezza
delle strutture per fiere e parchi diver-
timeto – Tende, strutture tessili tem-
poranee e/o itineranti, che ne indica le
principali regole per la progettazione, la
costruzione, il montaggio e la manuten-
zione. In piccola parte riguarda anche
le strutture retrattili, vi sono infatti alcu-
ne prescrizioni per le strutture portanti
fisse con membrane retrattili ed è spe-
cificato esplicitamente che le strutture a
ombrello ne sono escluse. [3]
Negli Stati Uniti la Società americana
degli ingegneri civili (ASCE) ha pubbli-
cato una guida sulla loro forma e ca-
ratteristiche e successivamente è stato
redatto un codice di pratica normativo.
Un’altra guida è stata fatta dall’asso-
ciazione delle strutture a membrana in
Giappone, ma senza ulteriori conse-
guenze.
La Commissione Europea ha dato dei
contributi al network Tensinet per pro-
durre la European Design Guide for
Tensile Surface Structures, che è stato
pubblicato nel 2004 e in seguito tradot-
to e ripubblicato in italiano nel 2007, a
cura di Alessandra Zanelli, responsabi-
le dell’associazione per l’Italia. [4]
Una normativa europea non è ancora
disponibile ma l’associazione sta lavo-
rando sulla preparazione dell’Euroodi-
ce sulle Strutture a Membrana.
Tensinet è un grande centro di ricerca
europeo sulle strutture a membrana,
molto attivo nel divulgare il sapere e gli
sviluppi in questo campo. Il gruppo si è
formato ufficialmente nel 2001 da Con-
sorzio composto da alcuni ricercatori e
rappresentati del settore che avevano
già lavorato anche con altri progetti del-
la Commissione Europea. Il team ora
conta più di 200 membri, tra architetti,
ingegneri, designer, produttori, appalta-
[4] Zanelli 2007
[3] Zanelli 2003
17
3
4
4. Locandina del Tensinet Symposium del 2013 a Instanbul
tori, costruttori, ricercatori, professori e
studenti. Oltre agli incarichi per la Com-
missione Europea il network svolge nu-
merose attività presso università di tutta
Europa per le quali ha avviato dei cicli
di seminari tematici annuali, di cui ven-
gono poi realizzate delle pubblicazioni,
workshops e concorsi. Ogni anno tutti
i membri si incontrano per un incontro
generale, ogni due anni viene pubbli-
cata la rivista TensiNews newsletter
e ogni tre si colloca l’evento Tensinet
Symposium. Fino ad adesso sono stati
in totale quattro i Simposi: il primo, De-
signing Tensile Architecture, si è tenuto
a Bruxelles nel 2003, il secondo, Ephe-
meral Architecture: Time And Textiles,
presso il Politecnico di Milano, nel 2007,
il terzo, Connecting Past and Future, a
Sofia nel 2010, e l’ultimo, “(Re)thinking
lightweight structures”, ha avuto luogo
a Instanbul nel maggio del 2013. L’as-
sociazione ha anche un proprio sito in-
ternet sul quale si trovano un database
di progetti, articoli, collegamenti ai pro-
duttori, ai progettisti, ai centri di ricerca
e software.
3. Locandina del Tensinet Symposium del 2007 a Milano
“Le proposte che conosciamo oggi, come molto avanzate e
tecnologicamente complesse, basate sulla trasformabilità,
sono tuttavia vecchie quanto lo è la civilizzazione.
Dal momento in cui l’uomo ha abbandonato le grotte e le
caverne per cercare condizioni di vita migliori, ha costruito
ripari che assemblava velocemente utilizzando, la maggior
parte delle volte, materiali trovati e pezzi facili da trasportare.
L’ architettura costruita con terra, canne, rami e pelli è la
più remota e antecedente forma di struttura mobile e velo-
cemente assemblabile e si collega direttamente con l’ argo-
mento di questa attuale ricerca.”
F. Escrig General Survey of deployability in architecture
2. LE ORIGINI
20
Le prime applicazioni di architettura tra-
sformabile risalgono alle prime forme di
rifugi realizzate da diverse civiltà che si
trovavano molto lontane tra di loro, ma
che usavano tecniche rudimentali mol-
to simili. In Russia, Siberia e Nord Ame-
rica sono state ritrovate diverse testi-
monianze, ma i più antichi insediamenti
mobili sono quelli delle popolazioni no-
madiche che vivevano sulle terrazze
fluviali del fiume Dniester, in un’area
a nord ovest del Mar Nero, durante l’e-
ra glaciale. Il reperto più datato a noi
pervenuto è stato ritrovato in Moldova
e si stima essere datato 44.000 a.C. Gli
spostamenti di questi gruppi erano dati
dall’inseguimento e dalla caccia alle
mandrie selvatiche della steppa du-
rante l’estate, mentre d’inverno sosta-
vano nelle vallate più riparate dai venti
glaciali. In mancanza di ripari naturali,
avevano bisogno di costruire dei rifugi
con le risorse disponibili che trovavano
nel luogo o che avevano con sé. E per
2.1 Le tende
proteggersi dal clima freddo e ostile,
le tende venivano riscaldate all’interno
con il carbone.
Tende e capanne occasionali veniva-
no assemblate rapidamente utilizzan-
do come struttura inizialmente ossa
di mammut e in seguito anche corna,
tronchi, rami o canne, coprendo poi con
terra, pelli animali, foglie o stuoia. Con
il progressivo miglioramento delle tec-
niche si arriva ad avere forme di tenda
più evolute, che rispondono alla basila-
re necessità per i popoli nomadi di poter
essere trasportabili: vengono di volta in
volta montate e smontate per essere
poi caricate sugli animali da soma, in
modo da poter essere utilizzate per tut-
to l’arco dell’anno, senza doverne co-
struire di nuove ad ogni spostamento.
L’adattabilità di questi sistemi si rivela
in varie modalità: le tende possono es-
sere collocate in ambienti molto diversi
21
tra loro e possono avere configurazioni
differenti in base al clima e alle neces-
sità. Le trasformazioni principali riguar-
dano la copertura, che può essere par-
zialmente chiusa o aperta, e il volume
interno, variando il numero di pali per
allargare o diminuire lo spazio. In base
alla situazione climatica quindi, si può
optare per avere una tenda meno ca-
piente, ma più resistente al forte vento,
oppure, più ampia e aperta nei periodi
caldi. La leggerezza, l’adattabilità e la
reversibilità sono concetti chiave della
loro progettazione ancora oggi.
Un esempio significativo è la tenda yur-
ta, che è stato utilizzata e viene usata
ancora oggi dai popoli nomadi che vivo-
no tra la Mongolia e e la Cina. Si tratta
della forma più evoluta di alcuni ripari
in legno dell’età preistorica che all fine
dell’età neolitica divennero delle tende
circolari, chiamate kurke, con struttura
a ombrello, composte da aste e teli su
forma conoidale. La yurta compare cir-
ca duemila anni fa e riprende le forme
di quest’ultima, con base circolare, svi-
luppo cilindrico e copertura conoidale,
anch’essa in legno e teli. Alla sua estre-
mità ha però un tetto a tronco di cono
sul quale poggia una semicalotta sfe-
rica apribile, che permette l’illuminazio-
ne, l’areazione naturali e anche la dif-
6.
7
9
5
9.Ricostruzione
tipo di rifugio tra
Moldavia e Ucrai-
na 40000 a.C.
8
5.Ricostruzione
tenda primitiva in
Ucraina
28000 a.C.
6.Ricostruzione
rifugio siberiano
40000 a.C.
8.Ricostruzione
tipo di rifugio tra
Moldavia e Ucrai-
na 40000 a.C.
7.Ricostruzione
tipo di rifugio tra
Moldavia e Ucrai-
na 40000 a.C.
22
fusione all’esterno dei fumi del focolare
interno. La sua forma, inoltre, è stata
ricavata preumibilmente attraverso ten-
tativi ed esperienza, poichè è partico-
larmente resistente e stabile rispetto ai
forti venti.
Il volume cilindrico ha la superficie la-
terale composta da un graticcio di aste
in legno di salice sottili, di 3x2 cm, in-
crociate a 45 gradi, con un’unico vano
che costituisce la porta di entrata. Dal
perimetro superiore, agli incroci delle
aste, sono legate con corde di pelo al-
tre aste più spesse, di 5 cm di diametro
e 3 metri di lunghezza, che formano la
copertura conoidale. Queste aste sono
incurvate alla base, dove si uniscono
alla base cilindrica, e diritte all’altra
estremità, dove vengono inserite all’in-
terno dell’anello di sommità in legno.
Perfar sì che una yurta sia abitabile per
almeno una famiglia deve avere circa
4 o 5 metri di diametro, con un minimo
di 130 aste per il graticcio di base e 65
per la copertura. Le tende per ospitare
più famiglie o utilizzate per feste o ce-
rimonie hanno invece almeno 10 metri
di diametro.
Gli accampamenti usavano diverse
configurazione di tende yurta in base ai
diversi utilizzi che se ne fanno durante
10
1212. Tenda tipi
10. Tenda yurta
11. Tenda bedu-
ina
11
23
tutto l’anno: nei periodi caldi e miti se
ne fa uso maggiormente per il bestiame
e la produzione di latticini e la copertu-
ra è fatta solo di pochi e leggeri teli di
feltro, nei periodi freddi e ventosi, viene
usata come vero e proprio riparo e vie-
ne coperta da una consistente sovrap-
posizione di strati di tessuto.
Il passaggio da un sito ad un altro degli
accampamenti di tende yurta comporta
il loro disassemblaggio e trasporto. Le
si riesce a smontare velocemente, in
meno di un’ ora, e successivamente i
graticci di aste vengono piegati in fasci
e caricati sui dorsi di animali da soma.
All’arrivo nel nuovo accampamento le
tende vengono rimontate: in genere per
ricostruirne una è necessaria un’ ora.
Altri esempi interessanti di tende tra-
sportabili e trasformabili di popoli no-
madi sono la tenda nera e il tipi indiano.
La prima è stata usata e viene ancora
utilizzata dai beduini nomadi del nord
Africa e del deserto del Sahara. Essa è
composta da uno o più pali, a seconda
della dimensione che si vuole ottenere,
e da bande di tela cucite tra loro, in stof-
fa di colore scruro in pelo di capra o di
lana mista di capra, pecora e cammello.
La struttura lavora sia in trazione che
15. Fotografia
tenda tipi
150.
13
13. Fotografia
tenda yurta
14. Fotografia
tenda beduina
14
15
24
come la yurta asiatica, il tipi indiano e lo
yaranga siberiano, si ritrovano gli ele-
menti alla base della progettazione del-
le strutture geodetiche contemporanee
e dei sistemi trasformabili. [5]
L’uso delle tende come forma abitativa
è documentata anche per i popoli egi-
ziani e siriani, che iniziarono ad utiliz-
zarla anche per scopi militari. In queste
zone sono state ritrovate altre tracce
di oggetti trasformabili: l’ ombrello e
la sedia a forbice. Di quest’ultima si i
sono trovati una tavoletta in terracotta
babilonese del 2000 a.C. e un dipinto
funerario egizio del 1460 a.C. che la
rappresentano. [6][6] Escrig, 1996
in compressione, poichè la copertura è
messa in tensione attraverso dei tiranti,
fatti da funi in legno o cuoio, ancorati
a terra, mentre il peso della copertura
è scaricato sui pali. La sua forma com-
plessa scaturisce dalla ricerca di de-
viare le forti correnti delle tempeste di
sabbia del deserto. Per gli spostamenti
pali, tessuto e corde vengono legati in-
sieme e caricati sui camelli.
La seconda è la tipica e più conosciuta
tenda usata dagli indiani d’america. Il
tipi è composto da una decina o dozzi-
na di lunghi rami posti in forma conoida-
le che si incrociano tra di loro al vertice.
Una tipi standard ha 2-3 m di diame-
tro ed un’altezza poso superiore.I pali
sono in betulla in numero non superio-
re a venti. Per il rivestimento vengono
usate pelli di bufalo ricavate da circa 20
esemplari. La copertura è formata nella
parte inferiore anche da pezzi di cortec-
cia di alberi. La ventilazione all’interno
è assicurata dall’intercapedine che si
forma all’incrocio dei bastoni. Durante
le migrazioni da un sito all’altro le aste
della struttura vengono montate e ca-
ricate su cavalli in modo da diventare
loro stesso un mezzo di trasporto per gli
oggetti e gli utensili della tribù.
Nelle forme strutturali autoportanti
[5] Zanelli 2003
25
La civiltà che ha affinato maggiormen-
te le tecniche nell’uso di membrane
retrattili in architettrura è stata la civiltà
romana. I romani infatti avevo una pro-
fonda conoscenza di questa tecnolo-
gia grazie alla grande esperienza nella
navigazione e grazie alla capacità dei
fabri navales di studiare e fare proprie
le tecnologie navali delle popolazioni
conquistate.
I velieri romani potevano essere di due
tipologie diverse: navi lunghe da guerra
oppure navi da carico per le spedizioni
commerciali, tra cui quelle lapidarie per
il trasporto di marmi e graniti per la co-
struzione di palazzi e templi. In entram-
bi i casi, l’imbarcazione era armata di
vele quadre, così chiamate per la loro
forma, infatti potevano essere rettan-
golari o trapezoidali, e per il fatto che
esse lavoravano ad angolo retto rispet-
to alla direzione di navigazione. La vela
veniva legata ad un pennone orizzon-
2.2 Il velarium
tale superiore e ad uno inferiore, per-
pendicolari all’albero, ed era messa in
tensione attraverso delle cime ancorate
al ponte, che venivano opportunamente
cerate per faciitarne lo scorrimento ne-
gli anelli in ferro disposti lungo gli alberi.
In questo modo il dispiegamento della
vela era più rapido e sciolto. Essa era
composta da vari teli di canapa cuciti
insieme e rinforzata ai bordi con delle
corde e nei punti di maggiore sforzo
con teli doppi.
La conoscenza e l’abilità con le quali i
romani dispiegavano e ripiegavano le
vele delle imbarcazioni vennero riutiliz-
zate anche per realizzare i primi siste-
mi convertibili di ombreggiamento che
riutilizzavano proprio le vele dismesse
delle navi per coprire grandi spazi. Fu
Vitruvio, in epoca augustea, a chiamare
appunto queste coperture velarium, a
causa del loro precedente utilizzo. L’e-
sperienza ottenuta dalle imbarcazioni
26
150.
16
16. Raffigurazione di un veliero romano su una mo-
neta del I secolo a.C.
17. Tipologie di strutture ligne di sostegno dei velaria
19
18.
18. Tasche in pie-
tra sul muro esterno
dell’Arena di Verona
19. Pietre forate di ag-
gancio nel teatro d’O-
range
21. Toldos spagnoli a Zalamea
de la Serena, 2009
20. Tempio di Karnak secondo Viollet
le-Duc
2120
17
27
a vela incoraggiò i romani nello speri-
mentare con vele che venissero aperte
e chiuse all’occorenza, piuttosto di tetti
a carattere permanente. Lo scopo era
di proteggere alcuni eventi o spazi dal-
la luce diretta del sole nei momenti più
caldi della giornata. In caso di pioggia o
di forte vento i velarium venivano chiusi
e ripiegati. Questa tecnologia si diffuse
anche in altre aree dell’Impero, come la
Gallia e le regioni del Nord, dove diver-
samente dalle zone mediterranee, i teli
venivano oppotunamente impermeabi-
lizzati con cera o grasso per resistere
anche alle pioggie.
I velaria si dividono in tre tipologie fon-
damentali in base alla strttura e alla
membrana.
La prima ha una struttura composta da
travi in legno sorrette da aste verticali o
fissate a sbalzo o sospese da funi, sulla
quale poggiano pannelli di teli discon-
tinui. Sul perimetro superiore dell’Are-
na di Verona si trovano delle tasche in
pietra che servivano appunto per l’inse-
rimento dei pali. Anche nel teatro d’O-
range si trovano specifiche pietre forate
per lo stesso scopo.
La seconda utilizza le vele dismesse
delle imbarcazioni. Inizialmente veni-
[7] Escrig, 1996
vano usate per ombreggiare gli spazi
interni della città. Fin dai tempi antichi
grandi tele di stoffa venivano dispiegate
nelle piazze, strade e all’interno di edi-
fici. Si possono notare anche in alcune
illustrazioni di Viollet le-Duc del tempio
di Karnak, in Egitto, delle grandi vele di
tessuto sul viale d’accesso. [7]
Questo tipo di ombreggiamento, diffuso
anche tra i Romani, veniva usato tra le
vie della città, nel foro e nelle corti priva-
te. Giulio Cesare, per esempio, durante
il suo mandato fece distendere lungo
tutto il Foro Romano e la via Sacra fino
al Campidoglio vele colorate ombreg-
gianti per manifestare la potenza e ric-
chezza di Roma. La magnificenza della
città veniva celebrata anche attraverso
le particolari decorazioni delle stoffe,
per esempio Nerone fece distendere
sul suo anfiteatro preziose stoffe in lino
decorate in blu e stelle d’oro.
Ancora oggi se ne trovano alcuni esem-
pi sull’area mediterranea. I toldos spa-
gnoli sono composti da tanti teli colorati
di varie forme, collegati alle estremità
superiori degli edifici tra un lato e l’al-
tro della via. Vengono aperti nei periodi
caldi e per festeggiare alcuni eventi lo-
cali nelle vie più turistiche e commercia-
li di piccole città.
28
22
22.Tre versioni
della tipologia di
velaria a vela
24
25. Ricostruzione
velaria e mecca-
nismi del velarium
dell’anfiteatro di
Pompei
24. Due tipologie
di velaria a tenda
23.Dinamiche a
scorrimento pa-
rallelo e del rag-
grupamento ra-
diale 23
25
29
La copertura a vela veniva utilizzata an-
che per coprire la cavea del teatro. In
base al tipo di tela che si aveva a dispo-
sizione si potevano realizzare tre diver-
si tipi di copertura. Nel caso di piccole
porzioni di tela queste venivano sospe-
se una a fianco all’altra al di sopra dello
spazio interno. Se si aveva disponibi-
lità di vele più grandi queste venivano
tagliate in forma trapezoidale e cucine
insieme per essere poi tese tra l’anello
esterno superiore e un anello interno
sospeso, a proteggere solo la parte del
pubblico. Se invece era possibile ave-
re una grande tela di vaste dimensioni
essa veniva disposta come una cupola
rovesciata a coprire tutto il teatro.
I metodi di scorrimento delle tele deri-
vavano dalle tecniche usate in ambito
navale, usando cavi cerati e anelli scor-
revoli sui margini delle tele. Per le vele
ad anello i movimento era di tipo rettili-
neo in avanti o all’indietro sui cavi. Per
la tipologia a cupola, invece, il moto era
di tipo radiale secondo due possibilità,
o dal centro verso l’esterno o dal peri-
mentro esterno verso l’interno.
Un esempio di grande impianto che usa
una copertura a vela anulare è il gran-
de anfiteatro di Pompei. Sul perimetro
esterno superiore erano i pali verticali,
inseriti in apposite tasche in pietra, che
servivano per sospendere la tela. Il ve-
larium era composto da lembi di stof-
fa rettangolari ai cui lati si trovano due
corde parallele che ne permettevano lo
scorrimento e il ripiegamento. Le tec-
nologie di dispiegamento e messa in
tensione della membrana derivava dal
sistema navale ed era costituito da due
ordini di corde differenti.
La terza tipologia di velaria è una ver-
sione archetipa della copertura a tenda
dei circhi. Infatti, in questo caso, una
copertura di stoffa veniva posta sopra
la cavea e veniva sorretta o da pali
verticali infissi al suo interno e sul pe-
rimetro, oppure veniva sospesa da cor-
de collegate ad altri pali sul perimetro
esterno del teatro.
Si presume che presso i romani le tipo-
logia più usata fosse quella ad anello
delle coperture a vela, poichè offriva
un maggior grado di ventilazione e di
dispersione del calore irradiato. Invece
in Gallia e nelle aree dai climi piovosi
erano preferite le soluzioni in cui veniva
coperta l’intera cavea.
30
E’ lecito ipotizzare che, durante il Me-
dioevo per i grandi lavori di costruzione
delle basiliche, si facesse uso di pon-
teggi mobili e facilmente smontabili.Del
periodo rinascimentale invece si han-
no testimonianze scritte dell’utilizzo e
del funzionamento di primitive strutture
mobili per il sostegno di oggetti. Grandi
invenzioni sono da atribuire a Leonardo
da Vinci, come un ombrello di grandi di-
mensioni, un sistema a pantografo per
il sollevamento di pesi, il progetto di un
ponte costituito da un unico pezzo mo-
dulare ripetuto e l’ala mobile e articola-
ta del primitivi progetti per un aeropla-
no. Altri tipi di ponti molto semplici sono
stati proposti da Palladio, Veranzio e
Primaticcio. [8]
Nella prima metà dell 1900 altre impor-
tanti strutture mobili vennero progetta-
te dall’ architetto statunitense Richard
Buckminster Fuller: le cupole geodeti-
che pieghevoli, le strutture in tensegrity
2.3 Le prime strutture mobili
e il Flying seedpot.
Le sfere geodetiche furono l’invenzio-
ne che lo resero noto al mondo scien-
tifico in particolar modo. La struttura
è composta da una complessa rete di
triangoli che la rendono molto fote strut-
turalmente, facile da costruire. e auto-
portante. La prima cupola progettata
nel 1949 aveva 12,80 metri di diamen-
tro ed era costituita da aste in alluminio
rivestite in plastica derivanti da pezzi di
tubi di aeromobili. Tra esse si trovava-
no delle cerniere che ne permettevano
l’impacchettamento. In configurazio-
ne chiusa, infatti, la sfera si presenta
come un fascio di elementi paralleli
facilmente trasportabili. Per azionare il
meccanismo di apertura è necessario
posizionare il mucchio in direzione ver-
ticale e applicare una forza di trazione
attraverso l’uso di corde applicate su
alcune cerniere. In questo modo si atti-
vano i pistoni pneumatici posti sui verti-
[8] Escrig, 1996
31
ci e responsabili del movimento. Al suo
interno, sull’intradosso, Fuller aveva
previsto una membrana in polietilene
trasparente, come isolamento termico.
L’idea di una struttura simile era nata
dal tentativo di risolvere il problema del-
la mancanza di alloggi sufficiente.
Nel 1954 ottenne il brevetto per le cu-
pole geodetiche e continuò a sperimen-
tare e progettare sfere dalle dimensioni
sempre più grandi, fino ad arrivare a
diametri di circa 120 metri, trasportabi-
li attraverso l’utilizzo di aerei. Nel 1968
ebbe anche l’idea stravagante di pro-
gettare una immensa cupola geodetica,
chiamata Dome City, di 3 chilometri di
diametro per la città di New York, con lo
scopo di mitigarne il clima.
In quegli stessi anni portò avanti anche
la ricerca di stutture che lavoravano con
alcuni elementi soggetti a compressio-
ne collegati con una fitta rete di cavi in
trazione, che chiamò tensegrity, parola
derivata dalla combinazione di tensio-
nal integrity (intergità, rigidezza tensio-
nale). La facilità e velocità di costruzio-
ne lo rendono un sistema trasportabile,
anche se non completamente trasfor-
mabile, poichè una volta assemblato le
forze in gioco sono misurate accurata-
mente per farlo stare rigido e fermo. Ul-
2 6 . F o t o g r a f i a
della prima cu-
pola geodetica di
Buckminster Ful-
ler26
27. Dome City27
28. Struttura in
Tensegrity di B.
Fuller28
32
30. Struttura Flying seedpot di B. Fuller
31
31.Teatro trasforbaile di Piñero
29
29. Struttura geodetica pieghevole di Hoberman, allievo di Fuller,
30
33
timamente però gli ultimi sviluppi hanno
affiancato al tensegrity dei meccanismi
elettrici capaci di diminuire e aumentare
la tensione all’interno dei cavi, in modo
da poter piegare e dispiegare la struttu-
ra. Questi meccanismi vengono studiati
e sperimentati a fondo soprattutto nel
campo dell’ingegneria aerospaziale e
sono stati fatti nunmerosi esperimenti
per testatarne il loro funzionamento.
Un’altra invenzione di Fuller è stata la
Flying Seedpot, una struttura pieghe-
vole di grandi dimensioni composta da
aste collegate da snodi. Il sistema de-
riva direttamente dagli studi fatti sulle
cupole geodetiche e le strutture tense-
grali. Non vennero però mai fatte vere e
proprie realizzazioni.
L’architetto che più si cimentò nello
studio dei sistemi ad aste pieghevoli fu
lo spagnolo Emilio Pérez Piñero. Pur-
troppo molti dei suoi lavori rimasero in-
compiuti poichè morì a soli trentasette
anni, nel 1972. Egli elaborò strutture
molto complesse costiuite da elementi
rigidi con snodi a tre o più membri di di-
mensioni abbastanza grandi da coprire
vaste aree e con superfici anche curvili-
nee. Tra i suoi progetti si ricordano il te-
atro itinerante presentato al Congresso
dello U.I.A. a Londra nel 1961, la cupo-
la reticolare trasportabile e dispiegabile
con un elicottero, la fila di sedute pie-
ghevoli, e la cupola a diframmi mobili
che rimase incompiuta.
Successivamente altri architetti e desi-
gners di fama internazionale iniziaromo
a progettare strutture mobili. Nel 1976
Ziegler studiò la costruzione di una cu-
pola geodetica pieghevole costituita
da snodi a forbice. Tre anni più tardi il
professor Escrig elaborò una copertura
retrattile a diaframmi semisferica e una
struttura a poliedro, con 20 venti fac-
ce, piegabile attraverso snodi a X tra le
aste. Nello stesso anno Calatrava por-
tò avanti altri studi su strutture simili al
Flying Seedpot.
“Modificare l’altezza di una torre come un’ antenna, allar-
gare l’estensione di una copertura come una nuvola o au-
mentare la lunghezza di un ponte come una molla è un’idea
entusiasmante. Costruire una torre, una copertua e un ponte
del genere è un’ enorme impresa.”
F. Escrig Structural Design of Retractable Roof Structures
3. COPERTURE TRASFORMABILI
36
3.1 Classificazione
Le coperture trasformabili non sono fa-
cili da classificare e ci sono stati svariati
tentativi nel carcare di riuscire a clas-
sificarle tutte secondo criteri precisi.
I continui progressi in questo campo
rendono ancora più complicato questo
processo. In alcuni casi, si rischia o di
non prendere in considerazione a priori
molte delle tipologie oppure, al contra-
rio, nela ricerca esagerata di ragguppa-
re insieme tutti i diversi tipi di strutture
convertibili secondo classi ben distin-
te, si cade nell’errore di una divisione
estrema tra le varie tipologie, per cui,
molte delle quali sono ibride, non si sa
sotto quale categoria collocarle.
Alcuni parametri base di classificazio-
ne possono essere la trasportabilità,
le dimensioni, il tipo di trasformabilità,
se manuale o elettrificata, e molti altri.
La divisione più generale e condivisa
riguarda l’utilizzo di membrane o quello
di materiali rigidi.
Una classificazione generale è stata
tuttavia elaborata dai ricercatori dell’I-
stituto per le Strutture Leggere dell’Uni-
versità di Stoccarda che attraverso una
semplice tabella analizzavano le coper-
ture convertibili secondo il sistema co-
struttivo impiegato, il tipo e la direzione
di movimento. Nel caso di struttura fis-
sa su cavi il movimento della membra-
na può essere di piegatura in direzione
parallela, centrale, circolare o periferi-
ca, opure se il moto è di avvolgimento,
questo può essere parallelo, circolare
o periferico. Se invece sia la struttura
che la membrana sono trasformabili al-
lora si può avere scorrimento parallelo
o circolare, piegatura paralella, centrale
o circolare oppure rotazione circolare.
Per le coperture a scocche invece sono
possibili tutte le configurazioni incrocia-
te di movimento e direzione.
Le tipologie trasformabili, nel cam-
po dell’architettura tessile, sono viste
37
32. Schema delle
tipologie costrut-
tive trasformabi-
li dell’Istituto di
Strutture Leggere
di Stoccarda32
38
Edificio tessile Seconda pelle tessile Membrana per interni Memb. per edifici Memb. per facciata
Edificio scocca Scocche per involucro Scocche per interniScocche per copertureScoccche infacciata
ApertoChiusoTrasformabileApertoChiusoTrasformabile
33
39
come sistema ibrido che costituisce
una classe a sè tra le due più classi-
che tipologie a configurazione aperta e
chiusa. Questa suddivisione in tre ca-
tegorie principali può essere utilizzata
anche per gli edifici, i rivestimenti e le
coperture in scocche di materiali rigidi.
Nel caso più ristretto dell’uso di tetti
retrattili per coprire le grandi aree de-
gli stadi, Kazuo Ishii ha sviluppato uno
schema specifico che sintetizza le so-
luzioni esistenti. La matrice ricorda per
i criteri utilizzati quella più generale di
Stoccarda, infatti si basa sul metodo
utilizzato, che può essere di sovrappo-
sizione, non sovrapposizione o piega-
tura, e tre direzioni di movimento: paral-
lela, centrale o verticale.
Esistono anche altre suddivisioni che
includono strutture convertibili ancora
più complesse, come i vari sistemi ibri-
di e il tensegrity. I parametri di divisio-
ne non sono più l’utilizzo o meno delle
membrana e il loro tipo di dispiegamen-
to, ma piuttosto i sistemi meccanici
attraverso i quali è possibile rendere
reversibile il movimento di apertura e
chiusura. Le coperture tessili sono per-
ciò solo una classe e vengono accomu-
nate qualsiasi sia la loro tipologia.
Nell’ultimo numero del 2001 della Rivi-
34
34. Classificazio-
ne tetti retrattili
per stadi secondo
K.Ishii, 2000
33. Classificazio-
ne architettura
tessile e a scoc-
che secondo A.
Zanelli, 2007
40
35
35. Schema di
classificazione
delle strutture re-
trattili sviluppato
dall’Istituto Tecni-
co di Haifa, Israe-
le, 2001
41
sta Internazione delle Strutture Spaziali
è stato pubblicato uno schema riassun-
tivo di tutte le strutture retrattili a invo-
lucro, ovvero autonome e indipenden-
ti. Esse sono divise in base al tipo di
meccanismo, se rigido o deformabile, e
in base alla morfologia, che comprende
strutture reticolari, continue, ad aste, a
superfici curve, sistemi a cavo-puntone
e membrane messe in tensione. In ogni
categoria esistono altre sottoclassi spe-
cifiche ad ogni tipo di struttura. Questa
tabella è molto interessante perchè
comprende anche le coperture geode-
tiche e i sistemi pneumatici, che sono
inseriti nella stessa famiglia degli invo-
lucri a membrana. In altri documenti, in-
vece, le strutture composte da elementi
tessili messi in tensione attraverso cavi
o tiranti e quelle gonfiabili ad aria com-
pressa sono nettamente distinte.
Anche un noto e importante professore
contemporaneo dell’Università di Sivi-
glia, Félix Escrig, molto attivo nella ri-
cerca e nella pubblicazione degli avan-
zamenti in questo campo, ha realizzato
una lista dei principali sistemi trasforma-
bili. In Mobile and Rapidly Assembled
Structures II, di cui è editore insieme
a C.A. Brebbia, divide le strutture re-
trattili in base alle tendenze costruttive
contemporanee piuttosto che secondo
schemi rigidi. Le famiglie principali da
lui individuate sono: le strutture tensili
ripieghevoli, le coperture in tensegrity, i
tetti retrattili a scocche, le strutture pie-
ghevoli ad elementi rigidi, gli ombrelli.
i sistemi mobili, le strutture a snodi im-
pacchettabili e i sistemi up and down.
In questa tesi ho preferito seguire la
classificazione, più classica e condivi-
sa, redatta dall’Istituto di Strutture Leg-
gere di Stoccarda. Si tratta però di uno
schema risalente agli anni ‘70 e quindi
con evidenti lacune per quanto riguarda
i progressi tecnologici attuali e le nuove
tipologie. Ho avuto perciò la necessità
di implementarlo in alcune parti, ag-
giungendo sistemi retrattili più recenti.
Dalla trattazione sono esclusi però i
sistemi pneumatici, in modo da focaliz-
zare l’attenzione sulle somiglianze e le
differenze tra coperture trasformabili a
membrana e a scocche.
42
3.1.1. Coperture trasformabili a membrana
La costruzione di sistemi tessili retrattili
deriva direttamente dalle forme perma-
nenti dell’architettura tessile. Le tenso-
strutture di piccole o medie dimensioni
sono pensate, in genere, per essere
montate in maniera fissa per un deter-
minato intervallo temporale, in occasio-
ne di qualche evento o periodo, e suc-
cessivamente smontate. Una copertura
trasformabile a membrana invece ha il
vantaggio di poter cambiare configura-
zione senza dover ricorrere al montag-
gio o smontaggio della stessa.
La progettazione di strutture trasforma-
bili è frutto di studi incrociati sulle prime
realizzazioni di tensostrutture e le dina-
miche degli antichi velaria romani. Il più
importante architetto, all’epoca delle
prime sperimentazioni, che si intterro-
gò sul loro funzionamento fu lo studio-
so tedesco Frei Otto. Assieme ai suoi
collaboratori realizzò nel 1955 la prima
tensostruttura interamente a membra-
na, con bordi in acciaio, per la Federal
Garden Exhibition a Kassel. Il padiglio-
ne per la musica, chiamato Bandstand,
era composto da una vela quadrango-
lare in tessuto dalla caratteristica forma
a sella, con due vertici opposti tirati ver-
so l’alto e legati a due pali in legno di
pino, e gli altri due ancorati a terra. La
membrana è in tessuto di cotone, misu-
ra 17,50 m in diagonale costituita e ha 1
mm di spessore. Ai suoi bordi presenta
delle tasche per il passaggio di cavi in
acciaio di 16 mm di spessore, in modo
da creare la necessaria pretensione.
Negli stessi anni Frei Otto incentivò in
campo universitario lo studio delle tec-
niche romane per il dispiegamento e ri-
piegamento dei velaria, promuovendo-
ne lo sviluppo e l’evoluzione attraverso
nuovi meccanismi meccanici ed elettrici
e l’utilizzo di membrane più performan-
ti. Meno di una decina di anni più tardi,
nella prima metà degli anni ‘60, venne-
ro costruite le prime coperture conver-
tibili anche di grandi dimensioni. Non si
tratta ancora di sistemi retrattili globali,
ma di membrane che vengono aperte
e ripiegate su una struttura di supporto
fissa e permanente.
Le primitive sperimentazioni di tipo re-
trattile si sovrappongono perciò ai pro-
gressi nel campo delle tensostrutture
43
a crattere permanente. Fu in questi
anni che l’Istituo di Strutture Leggere
di Stoccarda, fondato appunto da Frei
Otto nel 1964, che sviluppò lo schema
di classificazione delle diverse tipologie
costruttive attraverso test delle modali-
tà di movimento su modelli in scala.
Agli esordi vennero costruite perciò co-
perture non completamente trasforma-
bili perché costituite da una struttura
in cavi fissa per il sostegno e lo scor-
rimento della tela. Come per i velaria
romani le due principali modalità utiliz-
zate erano il dispiegamento rispetto a
travi parallele oppure l’apertura radiale
della membrana partendo da una confi-
gurazione sospesa e raccolta al centro
di un’area circolare. Le tre principali re-
alizzazioni di questo periodo realizzate
da Frei Otto e da suoi stretti collaoratori
racchiudono i momenti sgnificativi che
porteranno allo sviluppo delle tecnolo-
gie attuali dei sistemi trasformabili.
Il primo fra tutti fu la copertura per la
terrazza del casinò Masque du Fer a
Cannes, nel 1965. La struttura era com-
posta da un grande albero reticolare
molto stretto e talmente inclinato che
fece dubitare l’impresa produttrice della
sua fattibilità. Dalla cima dell’ albero è
collegato un elemento a imbuto rove-
36
3 6 . P a d i g l i o n e
della musica alla
Garden Exhibition
di Kassel 1955
37
37. Modello co-
pertura della ter-
razza del casinò
di Cannes con
tela in apertura
38
38. Modello co-
pertura della ter-
razza del casinò
di Cannes con
tela aperta
44
39
39. Copertura piscina Boulevard Carnot Parigi in apertura
40
40. Copertura piscina Boulevard Carnot Parigi aperta
41.a. b. c. Dettagli collegamento cavo.carrello-
copertura, dell’ancoraggio a terra con carrucola
e vista dell’interno della piscina di Parigi
41a
41b
41c
45
sciato per il raccoglimento della mem-
brana e dal suo perimetro parte una
rete di cavi fissa al terreno. Su di questi
scorrono gli otto spicchi della la tela at-
traverso un sistema di sedici carrucole
fisse e carrelli mobili. La sua estensione
da aperta era di 800 mq.
La copertura di la piscina al Boule-
vard Carnot di Parigi, di solo un anno
più tardi, utilizza la stessa tipologia, ma
migliora il sistema di movimentazione,
infatti sono utilizzati dei trattori elettrici
che servono anche per il tensionamen-
to della membrana a fine corsa. Il pro-
getto di Roger Tallibert che aveva lavo-
rato con Frei Otto a Cannes, fa parte
di una soluzione in risposta al concorso
indetto del governo francese a Parigi
per delle piscine copri-scopri. Lo spa-
zio coperto è di 1800 mq e il tempo di
conversione della tela è inferiore ai 12
minuti.
Nel 1959 venne indetto un altro concor-
so di idee dalla municipalità di Bad Her-
sfeld, in Germania, per la progettazione
di una copertura trasformabile per le
rovine del castello di Kloster, al fine
di poter garantire gli spettacoli all’aper-
to che si tengono annualmente nei mesi
tra maggio e agosto per il Festival del
teatro. I requisiti richiesti erano la non
alterazione delle preesistenze storiche
e degli spazi di scena, la pronta attiva-
zione di un sistema di copertura apribi-
le in caso di pioggia e la possibilità di
rimozione dell’intero sistema al di fuori
del periodo degli eventi della stagione
teatrale. Le soluzioni proposte però
non soddisfarono l’amministrazione co-
munale che dopo otto anni richiese allo
studio di progettazione EL di Berlino
(Entwicklungsstätte für den Leichtbau),
nel quale lavorava Frei Otto, un proget-
to esecutivo che combinasse i progetti
migliori del concorso.
La copertura venne realizzata solo 5
anni più tardi e si ispirava a quella di
Cannes. Per il sostegno venne proget-
tato un albero maestro di 32 metri di
altezza realizzato con un tubo di accio
spesso 20 mm e con un diametro ester-
no di 559 mm. Esso si trovava esterna-
mente alle mura, in modo da rispetta-
re i requisiti richiesti. Dalla cima erano
tese 16 funi in acciaio, 4 cavi di bordo
si collegavano direttamente ai pilastri-
ni minori di 11,5 metri, che si trovano
al vertice del perimetro rettangolare
dell’area da coprire. I cavi si dividevano
in 14 cavi-binario per lo scorrimento dei
carrelli di trascinamento della vela, e in
2 di equilibrio per la struttura. Inoltre la
tela era sostenuta nella parte superiore
46
interna da altri 6 punti di ancoraggio e
sospesa da terra tra gli 11 e i 16 metri.
Frei Otto sviluppò e migliorò il siste-
ma già usato a Cannes di apertura e
chiusura progettando una serie di trat-
tori semoventi che potevano muoversi
sui cavi binario nelle due direzioni. I
trattori potevano essere di due tipi: di
bordo,che si occupavano del trascina-
mento e tensionamento della membra-
na oppure intermedi, che si occupavano
del posizionamento dei punti di sospen-
sione interni ad essa. I meccanismi ele-
trici erano in grado di controllare e azio-
nare i carrelli sia simultaneamente che
singolarmente. I tempi di conversione di
questo sistema sono notevolmente in-
feriori rispetto ai 12 minuti per l’apertura
e chiusura della copertura di Cannes:
in soli 4 minuti la corte dell’abbazia di
Kloster viene coperta.
La membrana era formata da 5 pezzi
uniti tra loro in cotone con doppio strato
in PVC e fu sostiuita solo 25 anni dopo
con un tessuto unico in poliestere spal-
mato in PVC bianco. L’area coperta è di
1450 mq.
La continua ricerca di Frei Otto e dei
suoi collaboratori su questo tipologia
di strutture trasformabili, che si con-
centrava appunto sul dispiegamento di
42
42. Fasi di apertura della copertura dell’abbazi di Kloster
43
43. Fotografia della copertura dell’abbazia di Kloster
47
una membrana da un bozzolo centrale,
in cui questa era ripiegata, a un vasto
manto quando veniva aperta, mise le
basi per la seguente progettazione del-
lo Stadio Olimpico a Montreal, in oc-
casione dei giochi del 1976 ospitati in
Canada.
L’architetto francese Taillibert, infat-
ti, aveva previsto che la membrana di
copertura dovesse essere contenuta
all’interno di un’enorme torre inclinata,
alta 168 metri, a fianco dello stadio.
All’occorrenza essa doveva essere ri-
lasciata ed essere dispiegata attraver-
so dei cavi che correvano tra la torre
e il perimetro interno della copertura
fissa dello stadio. La membrana com-
pletamente estesa avrebbe avuto una
superficie di 24.000 metri quadri e un
peso di 400 tonnellate. Altri cavi all’in-
terno dell’anello ellissoidale in cemento
arato dello stadio avevano il compito
di tenderla una volta che tutti i margini
della tela venivano fissati. Tale copertu-
ra però non fu completata che ben un-
dici anni dopo, a causa del costo molto
elevato e a vari scioperi che rallentaro-
no la costruzione della torre. Successi-
vamente, ad opera ormai completata,
la membrana subì dei danneggiamenti
che portarono inevitabilmente alla sua
sostituzione tramite un tetto fisso.
45
45. Fasi di apertura della copertura dello stadio di Montreal
44
44. Fotografia della copertura dello stadio di Montreal
48
Le tecnologie di piegatura o avvolgi-
mento paralleli derivano direttamente
dagli antichi velaria romani e dai più
recenti toldos andalusi. Le coperture di
questo tipo sono preferibili in contesti
quali strade o corti interne, poichè i cavi
di scorrimento vengono fissati, in gene-
rale, sul perimetro superiore degli edifi-
ci che si affacciano sull’area da coprire.
Nella maggior parte dei casi la mem-
brana in posizione ritratta si trova af-
fiancata al lato lungo di una delle fac-
ciate adiacenti ed è piegata con un
metodo ad onda, che la divide in sottili
fasce continue come nel disegno della
lettera W.
Recentemente sono state realizzate
numerosisime coperture di questo tipo,
di dimensioni ridotte, soprattutto all’in-
terno di spazi privati. Negli ultimi 25
anni si distinguono due importanti pro-
getti a toldos per grandi aree pubbliche:
le coperture per la corte interna della
Moschea di Medina e per la corte del
palazzo municipale di Vienna.
Il toldo per la corte interna della
Moschea di Medina è stata progetta-
ta dallo studio SL con la direzione di
Bodo Rasch nel 1987. Il luogo è una
delle maggiori attrazioni a livello di tu-
rismo religioso per il credo islamico e
data la grande affluenza di pellegrini la
moschea originaria venne distrutta ne-
gli anni ‘70 per essere sostiuita da una
cinque volte più grande con il progetto
3.1.1.1. struttura di supporto fissa
Le tipologie di movimentazione possibi-
li della vela possono avere diverse dire-
zioni di scorrimento: parallelo. circolare,
centrale e periferico. Gli ultimi due casi
sono stati poco utilizzati e sperimentati
a causa di una maggiore funzionalità e
semplicità di realizzazione e movimen-
tazione dei primi due.
In una copertura trasformabile con
struttura di supporto fissa la conversio-
ne è data dall’apertura e chiusura della
membrana attraverso l’utilizzo di parti-
colari meccanismi che la dispiegano e
mettono in tensione scorrendo su dei
cavi tesi fissi e permanenti durante tutto
l’arco di vita della stessa.
Toldos
49
dell’architetto tradizionalista egiziano
Abdel Wahed El Wakil. Per la completa-
zione dell’opera fu commissionato allo
studio di Rasch il progetto per una co-
pertura trasformabile a membrana nel-
la grande corte interna di 1000 mq. Lo
scopo principale era di regolare e con-
trollare la temperatura sia nello spazio
interno che negli edifici adiacenti. Gli
schemi di funzionamento dimostrano
che per mezzo della chiusura dei toldos
e di un minimo di raffrescamento attivo
si riesce a ridurre la temperatura della
corte da quasi 45° a 30° e quella in-
terna degli edifici attorno da 33° a 26°,
aumentando di molto quindi il livello di
comfort. Al contrario, in inverno, la co-
pertura viene chiusa solo di notte, per
trattenere il calore accumulato al suo
interno durante il giorno.
Il sistema si compone di due parti a
membrana mobili a toldos e di una strut-
tura sospesa a cavi, perpendicolare alle
due travi reticolari in acciaio, parte por-
tante e fissa dell’intera copertura, che
si appoggiano alla parte superiore degli
edifici esistenti. La chiusura e apertura
sulla corte interna avviene tramite l’ac-
censione di argani elettrificati che, scor-
rendo sui cavi, trascinano le due parti a
toldos al di sotto degli stessi, reciproca-
mente dispiegando la membrana verso
46
46. Sezione tra-
sversale della
corte interna della
moschea
47. Schemi di fun-
zionamento del
controllo
microclimatico in-
terno
47
50
il centro dell’area o ripiegandola verso i
due lati perimetrali. I motori sono molto
veloci e il tempo di conversione è di soli
50 secondi.
La copertura tessile è costituita da due
strati di tessuto in poliestere traslucente
rivestito in PVC, collegati da una sotto-
struttura interna di profili tubolari in allu-
minio che sono responsabili della sua
configurazione a colmi e valli quando
chiusa e della piegatura a strette fasce
rettangolari quando aperta. In quest’ul-
timo caso, per proteggerla dalla sabbia
e dalla polvere, i toldos ripiegati si tro-
vano al di sotto delle due grandi travi di
sostegno.
La copertura della corte interna nel
palazzo municipale di Vienna è stata
progettata dall’architetto Silja Tillner in
collaborazione con lo studio di igegne-
ria Schlaich Bergermann und Partners
di Stoccarda nel 2000. Questo spazio
accoglie numerosi eventi pubblici citta-
dini durante il periodo estivo, ma il cli-
ma austriaco, anche in questo periodo,
è soggetto spesso a pioggie. Per que-
sto era necessario adottare una coper-
tura in modo da evitare il problema di
dover spostare o annullare spettacoli
e concerti. Inoltre, la tenda che veniva
usata fino a quel momento, in queste
48
48. Toldos piegati con corte a cielo aperto
49
49. Toldos in fase di chiusura sulla corte interna
51
occasioni non si coniugava con l’edifi-
cio del municipio ed era poco pratica da
montare.Invece, la copertura a toldos si
chiude in meno di 5 minuti e prende ri-
fermiento dai fronti del palazzo: si trova
sospesa al livello del primo marcapia-
no e l’andamento a creste e valli della
membrana ricalca la sequenza degli ar-
chi neogotici.
La struttura si divide in una parte fissa
e una mobile. La prima è composta da
due travi di bordo di 32,5 metri ancorate
tramite mensole in acciaio alle facciate
laterali interne del municipio a circa 5
metri di altezza e sulle quali sono posti
i binari di scorrimento. La parte scorre-
vole si divide in quattro travi reticolari in
acciaio di 33,7 metri con sezione trian-
golare rovesciata e rastremata ai bordi.
Ai due lati di ogni trave si trova un
trattore semovente elttrico che impri-
mono movimento alla struttura mobile
e trascinano avanti o indietro la mem-
brana. Queste travi a pancia di pesce
hanno sia la funzione di guida in fase
di apertura e chiusura della membrana,
sia funzione portante quando la tenso-
struttura è completamente chiusa e in
tensione. Sono disposte secondo un
passo costante di 11 metri per ripartire
in tre parti uguali in dimensioni e peso
tutta la copertura.
50
50. Copertura a toldos della corte interna del municipio di Vienna
52
51
51. Copertura ritratta
52.
52. Copertura estesa
53
53. Vista delle selle dall’interno
54.
54. Dettaglio dei binari e delle travi a pancia di pesce
55
55. Sezione trasversale
56
56. Sezione longitudinale
53
La membrana è in tessuto di poliestere
con rivestimento in PVC con una tra-
slucenza del 15% ed è formata da 323
pannelli individuali calcolati , pretagliati
e assemblati insieme in un unico pezzo.
Quando ripiegata a fisarmonica, il pac-
chetto che si forma è di 4 metri di lun-
ghezza e viene coperto da una tettoia
in vetro. Quando invece la tensostrut-
tura è completamente dispiegata copre
un’area di 1000 mq e si divide in nove
selle, tre per ogni intervallo tra le travi.
La tensione necessaria della membra-
na avviene attraverso dei cavi passanti
nelle tasche laterali interne che danno
la tipica forma sinuisoidale alle nove
selle che emulano al contrario la forma
delle travi reticolari.
Al di sotto di ogni cresta del tessuto
scorre un cavo collegato alle due estre-
mità a dei carelli che scorrono lungo i
binari laterali e che vengono trascinati
dai trattori delle travi reticolari. Invece,
per assicurare la necessaria rigidità alla
membrana e una sufficiente protezione
contro il vento, in corrispondenza di
ogni piega interna a V sono posizionati
degli spessi tubi a scopo sia di zavorra
che di sistema di drenaggio delle ac-
que. Infatti, ai due lati della membrana,
ad ogni compluvio corrisponde un plu-
viale in tessuto dentro al quale si tro-
va una catena fissata in alto, al tubo di
zavorra, e in basso ,alla pavimentazio-
ne della piazza, in corrispondenza dei
tombini preesistenti. Il sistema di scolo
delle acque è l’ultimo ad essere fissato,
quando la membrana viene dispiegata,
e il primo ad essere rimosso quando
viene richiusa.
La struttura è composta da sottili profili
in sezione circolare di colore bianco per
relazionarsi ancora di più alla traslucen-
za del tessuto.
Il concept d’ illuminazione artificiale
venne progettato in collaborazione con
il laboratorio Bartenbach. Il sistema lu-
minoso funziona attraverso delle sor-
genti posizionate secondo due moda-
lità diverse: una parte si trovano tra le
colonne dei portici laterali, un’altra ag-
giuntiva è collocata all’interno delle pie-
ghe a valle della membrana. L’energia
necessaria è fornita da dei collegamen-
ti elettrici montati sui tubi di zavorra.
54
57
57. Assonometria della copertura in posizione aperta
58
58. Pianta strutturale della copertura
59
59. Vista notturna
60 b
60. a.b.c.Dettagli del sistema di drenaggio, dei
tubi di zavorra e dei cavi di sostegno delle creste
60 c
60 a
55
Coperture a ragnatela
Questa categoria di coperture con-
vertibili deriva direttamente da quelle
progettate tra il 1960 e il 1980 da Frei
Otto. La loro evoluzione però ha com-
portato l’eliminazione del grande albero
necessario di sostegno a favore di una
maggiore leggerezza e sospensione.
Questa soluzione viene usata per aree
circolari e la membrana rimane raccolta
all’interno di un fulcro anulare per poi
espandersi radialmente.
La prima sperimentazione di questo
tipo avvenne per l’Arena di Saragozza
In Spagna da parte degli ingegneri della
Schlaich Bergermann and Partners nel
1988. L’arena veniva aperta al pubbli-
co in occasione delle poche corride e di
qualche altro raro evento. Questo spa-
zio non aveva esigenze di una copertu-
ra retrattile per far fronte a situazioni cli-
matiche avverse, ma venne realizzata
per riqualificare e promuovere questo
luogo, poco utilizzato e frequentato.
La copertura venne costruita nel 1994.
Trattandosi di un’arena il tetto doveva
essere necessariamente di tipo circola-
re e con un diametro di 100 metri. La
proposta studiata comprendeva una
parte fissa in tensostruttura che copriva
la porzione esterna e una retrattile inter-
na di 23 metri di diametro. La struttura è
composta da un sistema a ruota con un
fulcro cilindrico centrale in compressio-
ne, sospeso all’altezza del centro dell’a-
rena e collegato al perimetro interno
circolare della copertura fissa attraver-
so dei raggi fatti da cavi precompressi.
La membrana, completamente ritratta e
ripiegata, è appesa all’interno del volu-
me dei due anelli centrali collegati tra
loro mediante aste in compressione e
barre di stabilizzazione. Nel momen-
to dell’apertura da 16 motori elettrici
tirano alcuni punti del suo perimetro
scorrendo sui raggi inferiori. Quando il
tessuto raggiunge il perimetro interno
della copertura fissa alcuni tenditori la
mettono in posizione e la tendono per
assicurarne la rigidezza. In tre minuti
copre un’area di 1000 mq e il pubblico
reagisce alla sua apertura come a un
momento di spettacolo, paragonandola
all’apertura di un bocciolo. Il materiale
della membrana è stato sostituito die-
ci anni dopo a causa di un’usura data
dai raggi ultravioletti e da alcune lesioni
nelle linee di piega.
Recentemente, nel 2006, un progetto
simile, ma che ha una diversa com-
56
plessità, è stato realizzato per la for-
tezza di Kufstein. Dopo il restauro del-
le rovine e una campagna iniziata nel
1997 per riattivare questo posto come
centro culturale all’aria aperta, è stato
perciò indetto un bando per la progetta-
zione di una copertura che permettesse
di rispettare la scaletta degli spettacoli
in programma e la loro continuazione in
caso di pioggia nel grande cortile ester-
no di Josefburg.
Il requisito principale era di non intacca-
re in nessun modo le preesistenze stori-
che e perciò i progettisti hanno studiato
un sistema di cavi a raggiera sostenuto
da 15 colonnine di cui 5, che si sareb-
bero dovute appoggiare su alcune parti
laterali del fortino, sono state realizzate
come colonne “galleggianti”: si tratta di
colonne aventi solo la porzione supe-
riore e sospese grazie a 30 cavi diago-
nali collegati a quelle intere. La struttu-
ra che vi si appoggia è fatta a ruota di
bicletta, ovvero composta da un anello
centrale ed uno poligonale esterno for-
mato da 15 lati uguali che forma una
circonferenza di 52 metri. I 15 raggi che
li collegano si dividono in due gruppi di
cavi, quelli superiori e quelli inferiori,.
Partono entrambi dall’anello centrale
e si allontanano sempre più in maniera
crescente: quelli superiori si collegano
62
62. Dettagli: ri-
piegaento del-
la membrana e
anello centrale
61
61.Sezione del
sistema struttura-
le della copertura
con la membrana
ripiegata
63
63. Sistema di
cavi di sostegno e
controventamen-
to delle colonne
sospese
57
64
67. Sistema di
cavi per il soste-
gno e il contro-
ventamento delle
colonne galleg-
gianti67
6 5 . F o t o g r a f i a
dell’anello centra-
le con membrana
ripiegata65
6 6 . F o t o g r a f i a
dell’anello centra-
le con membrana
distesa66
64. Fasi di apertu-
ra della membra-
na vista da sotto
58
alla cima delle colonne, mentre quel-
li inferiori si attaccano all’incrocio tra i
pilastrini e l’anello esterno. Altre serie
di cavi connettono i raggi in direzione
verticale e stabilizzano le colonne sia
fluttuanti che non attraverso dei contro-
ventamenti. Questi lavorano sia in oriz-
zontale sulla circonferenza esterna che
in verticale lungo l’altezza dei pilastrini,
infatti dei cavi disposti diagonalmente
si trovano tra i punti superiori e quelli
dove passa la circonferenza immagi-
naria che taglia le colonne sospese.
L’immagine dall’esterno della struttura
ricorda quella di una corona galleggian-
te. Le forze interne che la sostengono
portano solo carichi di peso verticali, al
di fuori di quelli provenienti dall’azione
del vento, alle fondazioni.
La membrana è costituita da un tessuto
innovativo in PTFE ed ha una grande
resistenza agli sforzi. Ha una traspa-
renza del 40%, una durabilità di oltre
15 anni e una grande flessibilità ottima
per quando si trova in configurazione
raccolta al di sotto dell’anello centrale
di fulcro della struttura a ruota di bici-
cletta. Quando non viene utilizzata ,per
proteggerla dalla pioggia, è stata previ-
sta una piccola tettoia circolare in poli-
carbonato trasparente agganciata all’a-
nello centrale. Il tessuto è resistente ai
raggi ultravioletti, agli attacchi chimici di
tipo ambientale e allo sporco. Durante
l’apertura della membrana i 15 settori
tessili di cui è composta sono messi in
movimento nei loro punti più esterni da
motori elettrici e si espandono radial-
mente scorrendo sui raggi. Una volta
completamente dispiegata viene mes-
sa in tensione da 15 cilindrici idraulici.
Per il drenaggio delle acque pluviali
sono stati progettati dei pluviali flessi-
bili, fissati sulla membrana, in collega-
mento con un sistema di imbuti e ser-
batoi che portano l’acqua dalle colonne
fino ai condotti sulla pavimentazione.
La porzione del cortile copribile ha un’a-
rea di 2000 mq e il tempo di apertura e
chiusura della membrana è di soli 4 mi-
nuti. Inoltre, l’acustica di questo luogo
è migliorata in presenza della membra-
na dispiegata, e, data la frequenza di
concerti e spettacoli che vengono orga-
nizzati, viene aperta anche nei giorni
di bel tempo. Poichè molti eventi pren-
dono luogo anche in serata l’ambiente
viene enfatizzato sfruttando un’illumi-
nazione artificiale di vari colori percepi-
bile dall’intorno vicino.
59
69. Vista della for-
tezza di Kufstein
iluminata di notte69
68 d
68 a.b.c.d. Fasi
di apertura della
membrana vista
da sopra
68 c
68 b68 a
60
Una tipologia ibrida tra le coperture
scorrevoli parallelamente e quelle ad
apertura radiale sono i sistemi che im-
primono il movimento alla membrana
secondo direzioni libere. La membrana
è appesa ripiegata in una maniera simi-
le a quelle delle coperture a ragnatela,
ma non è raccolta come in questo caso
in un piccolo bozzolo, bensì è ripiegata
su una superficie più larga come per i
toldos.
Le realizzazioni di questo tipo sono più
numerose perchè pratiche per copri-
re aree di forme e contesti ambientali
differenti. Tra le prime coperture la più
importante è stata progettata da Bodo
Rasch nel 1989 per il teatro all’aperto
a Wiltz. Anche in questo caso si tratta
della necesssità di riparare gli spettaro-
ri e gli autori delle performance in caso
di pioggia, durante il periodo del festi-
val del teatro, che si tiene ogni estate,
ed ancora era richiesto che la struttura
non intaccasse le preesistenze stori-
che del castello di 380 anni. La forma
e il volume occupati dalla membrana
in configurazione aperta nascono dal-
lo studio e dall’analisi del contesto: la
morfologia rispecchia ricalca al contra-
rio quella dell’anfiteatro e la sua altezza
massima si raccorda con le scalinate,
che si trovano di fronte, per salire verso
il castello.
La struttura si divide tra una parte fatta
in alberi di acciaio, che si trovano sopra
la parte superiore della cavea dell’an-
fiteatro e protetta sotto ad una tettoia
fissa, e un’altra composta da due profili
tubolari in acciao posizionati ai lati del
palco nella parte più bassa del giardino.
Un set di cavi che parte dalla cima e si
allarga a semicerchio collega la prima
con la seconda. Quando la membrana
è ritratta i lembi perimetrali sono ripie-
gati e fissati a delle carrucole fissate sui
cavi e il tutto rimane coperto dal tetto
fisso. Durante la fase di apertura gli ar-
gani comandati elettronicamente trasci-
nano la tela e portano in posizione tutti
i punti di sospensione dei bordi per poi
pretensionarla in modo da farle assu-
mere la forma a sella. La conversione
avviene in pochi minuti e copre un’area
di 1340 mq.
Al termine di ogni stagione sistema
completo può essere facilmente smon-
tato e immagazzinato.
Sistema ibrido
61
70 a.b.c. Planime-
tria generale e se-
zioni trasversale e
longitudinale della
tensostruttura re-
trattile del castello
di WIltz
71 d
71 b
71 a.b.c.d. Fasi
di apertura della
membrana
71 c
71 a
70 a 70 c
70 b
62
3.1.1.2. struttura di supporto mobile
Negli anni Ottanta iniziano le prime spe-
rimentazioni riguardanti i sistemi aventi
sia la struttura che la membrana retrat-
tili, così da liberare lo spazio dall’ingom-
bro dei cavi e dalle strutture di supporto
fisse. In una copertura di questo tipo
la conversione della membrana è con-
trollata dal movimento della struttura di
supporto alla quale è collegata.
Le strutture di supporto mobili pos-
sono essere di due tiologie: strutture
completamente autonome e reversibi-
li, composte da aste con snodi che ne
permettono il movimento, oppure strut-
ture puntuali fisse funzionanti con brac-
e distese per coprire lo spazio sotto-
stante.
In alcuni spazi una copertura completa-
mente trasformabile è l’unica soluzione
per evitare alcuni svantaggi, come per
esempio la proiezione di ombre della
struttura portante fissa di una copertu-
ra convertibile a membrana, poichè in
qualche modo, potrebbero intralciare
la partita o lo spettacolo in corso. Un
Le coperture trasformabili con struttu-
ra pieghevole scorrevole somigliano
molto per la loro morfologia a quelle a
membrana con struttura fissa. Infatti,
anche in questo caso si tratta di una
struttura che si appoggia al perimetro
superiore interno, di una corte, di una
cavea o dele tribune di uno stadio, ma
comunque, molto spesso, di un edificio
esistente. La copertura costituita da fa-
sce ripiegate che vengono poi allargate
Strutture pieghevoli
ci mobili. In questo modo si garantisce
una vera e propria reversibilità della co-
pertura, che, in configurazione chiusa
e piegata, occupa lo spazio solo per la
porzione del perimetro dell’area da co-
prire, oppure, nel caso di coperture a
ombrello,occupa solo alcune posizioni
puntuali in modo da lasciare lo spazio
centrale libero, o quasi completamente
sgombro, e a cielo aperto.
63
esempio eclatante è la recente coper-
tura, realizzata nel 2009. per lo stadio
di Wimbledon All England Tennis
Club, in funzione dal 1922, dove una
soluzione del genere era assolutamen-
te richiesta. Il progetto è stato eseguito
dall’impresa Populus.
Il tetto di Wimbledon è formato da due
parti richiudibili e pieghevoli, una for-
mata da 4 campate e l’altra da 5, sui
due lati corti dello stadio, che, quando
azionate, si aprono simultaneamente e
si uniscono al centro. Ogni placca pie-
ghevole della struttura è rivestita da una
membrana saldata e sostenuta da dieci
travi in acciaio. Il tetto si apre scorrendo
su delle ruote trainate da motori aiuta-
ti da bracci e morsetti idraulici. In tutto
copre un’area di circa 77 metri e, con
la sua altezza, permette il gioco anche
a palle alte, fino a 16 metri. La mem-
brana utilizzata ha una superficie totale
di 5200 mq ed è realizzata in tessuto
Tenara di due qualità diverse, una che
lascia passare il 40% della luce solare
e l’altra solo il 20%.
Questa copertura ha riscontrato un
enorme successo, tanto da avere un
proprio profilo su Twitter per pubbliciz-
zare gli eventi e comunicare al pubblico
se e quando verrà utilizzata.
72
72. Schema di apertura e chiusura della copertura di Wimbledon
73
73. Fotografia della copertura in fase di apertura
74
74. Fotografia della copertura quasi completamente aperta
64
Le strutture estensibili o espandibi-
li sono composte da aste collegate
tra di loro attraverso particolari snodi
a forbice. Nonostante il loro funziona-
mento sia conosciuto fin dall’epoca di
Leondarso da Vinci, che ne studiò par-
ticolari applicazioni per il sollevamento
pesi, queste strutture sono state poco
utilizzate, se non per piccole coperture
cittadine. Per riparare aree di piccola
dimensione, come le zone esterne dei
ristoranti e bar, sono spesso usate ten-
de apribili con semplici meccanismi a
pantografo in direzione parallela. Molti
di questi dispositivi di ombreggiamen-
to sono montati facilmente a muro e la
membrana, attaccata alle due barre tra-
sversali di inizio e fine tra i due bracci,
viene srotolata e arrotolata automatica-
mente insieme al movimento di apertu-
ra e chiusura delle forbici.
L’utilizzo di strutture a forbice permette
di avere membrane ripiegabili su sup-
porti anch’essi ripiegabili. Un sistema a
forbice è formato da un numero di aste
collegate tra loro attraverso dei vincoli
che ne permettono la rotazione. Questo
comporta la possibilità sia di impacchet-
tamento che di completa estensione
della struttura. Si possono distinguere
due fasi: quella di espansione e quel-
la di servizio. Nella prima la struttura è
soggetta a una trasformazione di tipo
cinematico, nella seconda è in configu-
razione aperta e, applicando opportuni
vincoli, diventa resistente anche all’ ap-
plicazione dei carichi.
E’ necessaria avere una conoscenza
approfondita del legame tra geometria,
funzionamento cinematico e risposta
strutturale per realizzare coperture a
forbice. Lo snodo a X può assumere
diverse configurazioni, in base anche
alla tipologia di copertura che si vuole
ottenere.
Ogni asta è composta tre vincoli, uno
superiore e uno inferiore che determi-
nano la continuità della struttura, e uno
intermedio, che si trova all’incrocio di
ogni coppia di aste. In base alla dimen-
sione dello snodo a X e alla dimensione
delle aste si distinguono diverse tipo-
logie di legami: traslazionale, polare e
angolato.
Lo snodo traslazionale classico è costi-
tuito da due aste di dimensione uguale
con perno nel loro punto medio. Il loro
dispiegamento avviene in linea retta.
Strutture estensibili
65
Per avere un’apertura di tipo curvilineo
si possono usare due metodi: o utilizza-
re due barre di lunghezza diversa come
coppia di aste tipo (sistema traslazio-
nale curvo), oppure tenerle tutte della
stessa misura, avendo lo snodo ad X
tra di esse sempre nella stessa posizio-
ne, ma spostata rispetto al punto medio
dell’asta (sistema polare).
Hoberman, allievo di Buckminster Ful-
ler, utilizzò per le sue sperimentazioni
con le cupole geodetiche un altro tipo
di meccasnismo ad aste e snodi con
sviluppo curvilineo: il sistema angola-
to. Diversamente dagli altri casi, questo
metodo non utilizza barre rigide, ma
una coppia di elementi imperneati tra
di loro aventi un angolo fisso β quan-
do in configurazione completamente
aperta. In un sistema tridimensionale
composto da aste con snodi di Hober-
man la trasformazione avviene in ma-
niera centripeta, applicando delle forze
di trazione lungo direzioni radiali verso
l’esterno alla struttura chiusa. Il punto
verso cui convergono le rette immagi-
narie passanti tra l’incrocio superiore e
inferiore di ogni coppia di aste è infatti
lo stesso durante tutti i passaggi della
conversione. Strutturalmente la forma
che assume durante ogni fase rimane
rigida senza la necessità di sistemare
76
76. Piccola co-
pertura retrattile
mobile utilizzata
per spazi esterni
di bar
75
75. Disegni di Le-
onardo da Vinci di
strutture di solle-
vamento con in-
castri a forbice
66
α=γ/2
77
77. Schema delle tipologie di legami a forbice
sistema
traslazionale
piano
sistema
traslazionale
curvo
sistema
polare
sistema angolato
67
80
80. Modello di
copertura costitu-
ita da due archi
a forbice di Tom
Van Mele
81
81. Modello di co-
pertura ad arco
con struttura a
forbice e mem-
brana all’intra-
dosso di Tom Van
Mele
79
79. Modello di tri-
buna retrattile Ca-
brio dello studio
SL-Rasch, 1988
78
78 Differenza tra
sistema trasla-
zionale e sistema
polare
vincoli aggiuntivi, al contrario delle altre
tipologie a forbice.
Nel 1998 il gruppo tedesco SL-Rasch
GmbH realizza dei prototipi della tribu-
na retrattile “Cabrio” caratterizzata da
settori modulari costituiti da una coppia
di bracci retrattili a forbice connessi da
aste parallele sulle quali era collegata
una membrana in poliestere-pvc. Un
tipo di struttura retrattile a forbice, si-
mile a quella elaborata dallo studio di
Bodo Rasch, è divisa in due parti ad
arco a pantografo che, partendo dalle
due estremità fisse, si congiungono nel
punto centrale. A causa del loro peso e
dello stress dovuto alle continue aper-
ture e chiusure, queste strutture han-
no bisogno di elementi secondari, ad
esempio: archi fissi metallici, sostegni
rotanti, sistemi di apertura a bobina
oppure di sistemi formati da strutture
pneumatiche e cavi. Per schermare
l’interno si utilizzano delle membrane
disposte ortogonalmente agli archi, af-
finché la struttura possa continuare a
piegarsi ed estendersi il movimento del-
la membrana si deve conciliare a quello
delle forbici: il tessuto avrà allora un an-
damento ad onda (o a W) caratterizza-
to dal fatto che si aggrappa alternativa-
mente alle cerniere più basse e a quelle
più alte. Altrimenti, si può utilizzare una
68
82 g
82 a.b.c.d.e.f.g.h.. Fasi di apertura del sistema Estran 1
82 h
82 e
82 c
82 a
82 f
82 d
82 b
struttura a galleria che utilizza archi a
forbice con sistema polare collegati tra
di loro. In questo caso, dopo essere
stata opportunamente vincolata in posi-
zione aperta, ad essa viene fissata una
membrana all’intradosso.
Nel 2000 il gruppo venezuelano Estran
a.c. mise in produzione un nuovo tipo di
copertura trasformabile e trasportabile
ad aste per usi temporanei. il sistema
era frutto di ricerche iniziate nel 1987
e il prototipo prese il nome di Estran 1.
La struttura era formata da tre archi pa-
ralleli collegati tra di loro da 14 bracci.
Ogni arco era composto da 6 gruppi di
forbici. Il materiale usato era l’alluminio
per rendere la struttura il più leggero
possibile. In versione piegata occupava
uno spazio di 1 m x 1 m x 4,20 m e da
aperta la volta cilindrica assumeva 14
m di larghezza, 8 di lunghezza e pesa-
va 500 kg.
La seconda versione, Estran 1.1, è l’e-
voluzione della prima per un mercato
commerciale ed è stata perfezionata e
a livello di dimensioni dei componenti
per rispettare le norme europee di si-
curezza contro il vento e i carichi della
neve. Questo prototipo però usa quat-
tro archi, due maggiori di 16 m diametro
interno e due minori di 12,18 m, tutti pa-
69
87
89.Copertura pie-
ghevole a Tarata-
ra Falcon, Vene-
zuela, del gruppo
Estran, 2005
85
85-86 Assonome-
trie strutturali di
Estran 1 e Estran
1.1.
83-84 Modelli di
Estran1 e Estran
1.1.
83
8988
84
88. Fotografia di
un sistema Estran
1
87. Tpologie di
assemblaggio di
moduli di Estran
1.1
86
70
ralleli e collegati da 28 bracci perpendi-
colari . In circa cinque minuti è possibile
aprire la struttura attrverso l’ausilio di
circa 4 operatori e una gru. Ogni ad-
detto tira diagonalmente un vetice alla
base della struttura mentre nello stesso
momento il braccio della gru la solleva.
In seguito, viene fissata al terreno e
tutte le cerniere vengono bloccate. La
volta copre un’area di 186 mq e pesa
900 kg. Da piegata invece occupa 4,90
m x 1,40 m x 0,80 m. Per l’applicazione
della membrana in poliestere trattato
all’intradosso della volta esistono due
metodi: viene applicata ai sistemi a for-
bice direttamente dagli addetti durante
il dispiegamento, modalità però lunga
e lenta poichè gli operatori dovrebbero
scalare la struttura e lavorare da sopra,
oppure è possibile sollevare la mem-
brana attraverso un sistema di cavi e
carrucole una volta che la struttura è
già completamente estesa. Con il pro-
totipo Estran 1.1. sono possibili diverse
configurazioni di assemblaggio dei mo-
duli, che può essere lineare, laterale o
centrale, con tre. Il primo di questi è sta-
to utilizzato per la copertura pieghevole
A Taratara in Venezuela nel 2005, che
copriva un’area di 350 mq.
Il gruppo Estran ha perciò dimostrato
la fattibilità di produrre strutture istan-
tanee riducibili a pacchetti compatti di
facile utilizzo, trasporto e stoccaggio. Si
tratta di strutture anche molto resistenti,
poichè dopo ben 50 aperture non era-
no presenti segni significatividi deterio-
ramento delle sue parti in movimento.
Inoltre, la progettazione delle connes-
sioni tra forbici e tessuto è molto com-
plessa, ancora di più quando si tratta di
membrane rimuovibili.
A cavallo tra il ventesimo e il ventune-
simo secolo altri progettisti iniziarono a
sperimentare con i sistemi estensibili
per realizzare strutture temporanee,
coperture e elementi di facciata. Alcu-
ni esponenti dell’Università di Siviglia,
quali Félix Candela, Emilio Pérez Piñe-
ro, Santiago Calatrava, Felix Escrig e
Juan Pérez Valcàrcel del Grupo de In-
vestigation Tecnologia Arquitectonica,
hanno investigato il campo delle strut-
ture estensibili a pantografo e hanno
individuato le principali regole del loro
movimento.
Félix Escrig, insieme al collega josé
Sànchez, ha utilizzato un sistema simi-
le all’Estran per realizzare delle coper-
ture stagionali di una piscina a Siviglia
nel 2005. Lo scopo era di poter usufrire
e riscaldare delle piscine di 50x22 mq
durante la stagione invernale con l’uso
71
91 92
93 a.
93 c
93 b
90
91. Dettaglio del
collegamento fra
le due parti del si-
stema
90. Assonome-
tria della struttura
delle piscine di a
Siiglia di Escrig
93 a.b. Fasi di
apertura
93 c. Fotografia
dall’esterno della
copertura trasfor-
mabile della pisci-
na a Siviglia
92. Vista dell’in-
terno
72
di un tetto completamente rimuovibile
per il resto dell’anno. La copertura è for-
mata da due volte ripiegabili. Le barre
sono realizzate con leghe in alluminio
aventi tutte sezioni di diametro 120.5,
testato per resistere alle forze di vento
e ai carichi incidentali e della neve. La
connessione tra la membrana e la strut-
tura avviene all’altezza dei giunti infe-
riori e, diversamente dal sistema svilup-
pato dal gruppo venezuelano, il tessuto
è già collegato e ripiegato sua interno
già in configurazione compressa. Strut-
tura e membrana lavorano simultane-
amente: al dispiegamento della prima
segue il distendimento della seconda
Escrig elaborò anche un altro tipo di
proposta per un tetto estensibile di una
piscina che preveda l’utilizzo di barre
curvilinee pieghevoli secondo un siste-
ma di snodi a forbice. La distanza tra
i vertici degli archi è di circa 20 m. In
questo caso però non si tratta di una
forma trasportabile facilmente, se non
di dimensioni abbastanza ridotte, poi-
chè, anche in configurazione chiusa, la
struttura è solo impacchettabile, occu-
pando comunque un’ area della stessa
larghezza che avrebbe da aperta. Il
sistema sfrutta l’allargamento nella di-
stanza tra i vertici e il centro delle barre
durante l’apertura, abbassando note-
volmente l’altezza della struttura così
da aumentare la lunghezza dell’area
copribile. La membrana, già montata e
ripiegata insieme alla struttura anche in
configurazione chiusa, è un tessuto im-
permeabile semitrasparente.
Un’altro esempio simile di copertura
pieghevole dello stesso ingegnere è il
tetto per l’Auditorium a Jaén, costruito
in Spagna nel 1999, che consiste in una
serie di archi collegati da snodi a X su
due binari paralleli con rivestimento in
membrana. L’apertura e chiusura della
struttura e della vela avviene automati-
camente in simultanea.
Attualmente alcuni ricercatori dell’
Università Vrije di Bruxelles, Tom Van
Mele, Lars de Laet, Lara Alegria Mira,
stanno sviluppando diverse tipologie
per costruire tetti retrattili, cupole e vol-
te utilizzando sistemi a forbice.
73
95 b
94
96 b96 a
97
95 a
95 a.b. Fasi di
apertura di una
piscina trasforma-
bile con aste cur-
vilinee
94. Sistema di
apertura e chiu-
sura di strutture a
forbice con barre
curvilinee
96 a.b. Fotografie
della copertura
dell’Auditorium a
Jaén
97. Fotografia
dall’esterno della
copertura dell’Au-
ditorium di Jaén,
1999
74
Come si è già visto nel capitolo sulle or-
gini delle coperture convertibili con ten-
segrity si intende un particolare tipo di
sistema spaziale reticolare in una stato
di sollecitazione interna. Tutti i compo-
nenti sono rettilinei. Gli elementi in ten-
sione, i cavi, non hanno resistenza alla
compressione e costituiscono una rete
continua, mentre gli elementi in com-
pressione, le aste, non hanno resisten-
za in tensione e costituiscono una seri
di elementi discontinui. Le barre non si
toccano mai e sono collegate tra di loro
escusivamente dai cavi.
E’ possibile usare questo sistema per
realizzarne uno pieghevole senza utiliz-
zare snodi a forbice. Si può ottenere o
modificando la dimensione delle barre
utilizzando aste telescopiche oppure
modificando la lunghezza o il grado di
tensione dei cavi. La seconda modali-
tà è quella più facile da realizzare. Un
meccanismo elettrificato controlla la
crescita o diminuzione di tensione all’in-
terno dei cavi.
Gli studi che hanno sviluppato questi
modelli sono stati elaborati principal-
mente da M. Bouderbala che applicò le
prime idee di mobilità a delle strutture a
cellula singola di tensegrity (un’unità a
quattro aste) e successivamente a delle
griglie piane a doppio strato composto
da moduli-unità base. Altre importan-
ti figura in questo campo sono René
Montro, presso il laboratorio del Genio
Civile a Montpelier, Robert E.Skelton,
direttore del laboratorio dei sistemi
strutturali e di controllo del dipartimento
di meccanica e aerospaziale dell’Uni-
versity of California a San Diego, dove
lavorano altri ricercatori: Helton, Adhi-
kari, Pinaud e Chan.
Strutture in tensegrity sono già state
usate a fini architettonici e di arreda-
mento, ma le versioni di tipo pieghevo-
le sono ancora ad un livello di studio e
utilizzate principalmente in campo ae-
rospaziale. Le ricerche pratiche e teo-
riche nel settore delle costruzioni però
stanno aumentando e la possibilità che
vengano realizzate strutture estensibili
in tensegrity anche per l’architettura è
reale.
Tensegrity
75
98 a.b.c.d.e.f. .Modello
pieghevole in tensegrity
elaborato dal Laborato-
rio di Strutture Estensibili
del Dipartimento d’Inge-
gneria dell’Università di
Cambridge (2002) con
aste composte da due
parti rigide in alluminio e
una parte semitubolare
a doppia stabilità, in ver-
sione dritta e in versione
piegata.98 e.f
98 c.d.
98 a.b.
76
100 a.b. Modello
di struttura pie-
ghevole in ten-
segrity con aste
telescopiche
99. Schema di
piegamento di
una struttura for-
mata da quattro
cellule base di
tensegrity
di René Montro e
Ali Smaili
99
100 a 100 b
77
Il sistema di coperture a ombrello è una
struttura che utilizza ancora gli snodi tra
aste. In questo caso però non si trat-
ta di un sistema continuo di aste colle-
gate da snodi, ma di un’unico pilastro
centrale da cui, in un unico punto, di-
ramano aste pieghevoli, di dimensioni
più contenute, secondo uno schema a
raggiera. Le coperture che funzionano
con elementi a ombrello sono utilizzate
in tutti i casi in cui sia necessario copri-
re uno spazio aperto oppure anche uno
chiuso, ma per il quale non sia possibi-
le, o sia vietato, sfruttare le sue pareti
come basi d’appoggio della struttura.
Gli svantaggi di questa tipologia sono
che, durante la trasformazione, i bracci
si piegano passando da una posizione
verticale ad una orizzontale, e la coper-
tura urante questo processo è sottopo-
sta a una serie di posizioni instabili, in
cui la membrana non è tesa e la strttura
non è capace di sopportare condizioni
di carico esterne. Inoltre è indispensa-
bile un tessuto con caratteristiche ad
alta prestazione per evitare gli stress
alle continue piegature e ai danni cau-
sati dagli agenti esterni.
Negli anni ‘50, Frei Otto, durante i suoi
Strutture a ombrello
studi sulle superfici minime con i modelli
in film saponosi, sviluppò anche alcune
forme ad ombrello-imbuto con membra-
ne in tensione ed aste in compressione,
rendendo possibile la progettazione di
strutture di grandi dimensioni. La prima
realizzazione fu costruita per la Federal
Garden Exhibition di Colonia nel 1971
in collaborazione con Bodo Rasch. La
struttura aveva 19 metri di diametro e
un sistema di bracci telescopici. Il loro
movimento avviene sui dei binari curvi.
La membrana è fatta in tessuto di po-
liestere rivestito in PVC. Questi ombrel-
li sono ancora in utilizzo ma vengono
aperti di rado, nonostante il tempo di
apertura sia di soli 2.5 minuti.
Nel 1977 venne richiesto a Frei Otto di
progettare delle coperture a ombrello
per i palchi del tour del gruppo mu-
sicale dei Pink Floyd. L’architetto pro-
pose dieci strutture a ombrello, simili
come forma a quelle a imbuto della Fe-
deral Garden Exhibition, di 4.5 metri di
diametro e di divese altezze, tra i 2.50
e i 4.5 metri, che affiancate coprivano
un’area di 128 mq. Erano utilizzati due
meccanismi motorizzati : uno per solle-
vare gli ombrelli chiusi dal palco, il se-
condo per la loro apertura. La soluzione
78
101
101 Copertura a ombrelli alla Federal Garden Exhibition di Colonia
102 a.
102 a.b.c. Ombrelli per il tour dei Pink Floyd
103 a.b.c. Prototipo di Ombrelli dello studio SL Rasch con dettagli del sistema solare
102 b 102 c
103 a. 103 b 103 c
79
riscosse molto successo e ispirò molti
dei progetti successivi.
Alcuni prototipi di ombrelli retrattili
ad energia solare vennero realizzati
in Arabia Saudita dallo studio di Bodo
Rasch, nel 1987. Dovevano essere col-
locati negli spazi esterni della moschea
della Mecca, città natale del profeta
Maometto. Questa tipologia di coper-
ture non risponde a una necessità di
protezione contro la pioggia, ma come
riparo dall’irraggiamento solare eleva-
to del clima arabo. Inoltre era richiesta
una copertura autonoma, che non ad-
dossase la propria struttura alla mo-
schea esistente e che traesse vantag-
gio dalle forti radiazioni solari. Lo studio
SL Rasch sviluppò un prototipo di 5 x 5
mq di ombrelli ad apertura quadrango-
lare con sviluppo ad imbuto della tela di
copertura.
La struttura è composta da bracci pie-
ghevoli fatti da profili in alluminio estru-
so e rivestiti nella parte superiore da 12
celle fotovoltaiche, che immagazzinano
l’energia necessaria per la loro apertu-
ra e chiusura conivogliandola all’inten-
ro dell’allbero. Se non fosse sufficiente
esisono delle batterie di riserva. Il mo-
tore che controlla l’apertura e la chiusu-
ra può essere anche telecomandato a
104 d.
104 a.b.c.d. Se-
quenza delle fasi
di apertura del
prototipo per la
moschea della
Mecca
104 c
104 b
104 a
80
distanza. In caso di forti venti superiori
ai 12 m/sec un anenometro posto sulla
cima di ogni albero li chiude automati-
camente. Gli ombrelli dovevano essere
collocati sopra alle colonne della hall di
preghiera della moschea e i loro 5 metri
di espansione riprendevano la larghez-
za delle campate. La combinazione di
più esemplari aperti avrebbe creato un
tetto di 5 metri di altezza con una serie
di fessure a losanga tra le membrane
degli ombrelli accostati, per la circola-
zione dell’aria.
L’ombrello tipo pesava 240 kg e due se-
rie da 12 prototipi in scala, diversi per
disposzione, fissaggio e tipo di mem-
brana, vennero realizzati nel 1987 per
essere testati per sei mesi nel clima de-
sertico in diverse località sulle rive del
Mar Rosso durante il 1989. Vennero
fatte oltre 40000 prove consecutive di
apertura e chiusura per riprodurre l’u-
tilizzo tipo che se ne sarebbe fatto du-
rante l’arco di 30 anni, per controllare
le reistenze di batterie, motori, compo-
nenti meccanici e della membrana in
seguito ai continui stress di conversio-
ne in presenza di vento, sabbia e ca-
lore. I prototipo passarono la prova e il
migliore fu quello realizzato in membra-
na PTFE.
107 Sequenza
delle fasi di aper-
tura del protoripo
per la mochea di
Medina, durante i
test a Stoccarda
nel 1988 107
106 Particolare
dei bracci biforcu-
ti su un modello
realizzato in scala
1:20 106
105 Schema del
tipo di piegamen-
to dei bracci 105
108 Pianta del-
la copertura dell’
ombrello della co-
pertura della mo-
schea di Medina
109 Prospetto
dell’ ombrello del-
la copertura della
moschea di Me-
dina
81
Il cliente però decise per altre soluzioni,
nonostante ciò questi prototipi costitui-
rono un esempio base costruttivo per
altre coperture ad ombrello progettate
successivamente, tra cui le coperture
per la Moschea del Profeta a Medina,
ancora del gruppo SL Rasch. Anche in
questo caso vennero prima sviluppati
e testati dei prototipi in acciaio aventi
un raggio di 10 metri con sviluppo a im-
buto ad area quadrangolare e settori a
membrana con terminazioni curve in un
nuovo tipo di tessuto, il Teflon. Il parti-
colare sistema di bracci pieghevoli du-
rante le fasi di estensione del tessuto di
copertura si piegavano verso l’alto così
da raggiungere un’altezza massima di
12 metri, rispetto ai 9 quando chiusa.
La loro caratteristica principale è però
il fatto che si tratta di bracci biforcuti
nella loro seconda porzione, così da
avere solo 8 punti di aggancio all’albero
rispetto ai 16 punti di sospensione della
membrana.
La moschea di Medina venne allarga-
ta tra il 1984 e il 1994 e le nuove co-
struzioni, insieme alla preesistente sto-
riche, formano due nuove grandi corti
adiacenti interne, ognuna di 55 m x 37
m. Era allora necessaria una copertura
che riparasse lo spazio dalla forte ra-
diazione, rispettasse la religiosità del
108
109
82
111. Vista dall’in-
terno della corte
della moschea
di Medina con gli
ombrelli aperti 111
110. Vista aerea
delle coperture
aombrello delle
due corti della
moschea di Me-
dina 110
83
ottone laccato e in pietre artificiali.
Il basamento, l’albero e i bracci di ogni
struttura sono realizzati in in acciaio ad
alta resistenza e la loro forma è stata
determinata tramite alcuni test elabo-
rati al computer con software specia-
lizzati ed altre prove reali nella galleria
del vento, con una velocità di spinta
massima di 155 km/h, sia da aperti
che da chiusi. Come per i prototipi per
la moschea della Mecca, anche questi
ombrelli sono dotati di un anemometro
posto in sommità, che manda dei se-
gnali di immediata chiusura al motore
nel caso il vento superasse i 36 hm/h.
Il movimento dei raggi che sostengo-
no e estendono la membrana è simile
al movimento di un comune ombrello
da pioggia, ma al contrario: la sezione
superiore dell’albero è spinta verso il
basso spingengo ed aprendo le braccia
verso l’esterno, fino al punto di maggior
tensione della copertura. Particolare
attenzione è stata fatta al suo aspetto
anche in configurazione chiusa. Du-
rante la chiusura il ripiegamento della
membrana è affidato a piccole linguette
in fibra di carbonio poste lungo i bracci
diagonali e a una sottostruttura di asti-
ne e perni collegati ai bracci principa-
li, che, con un’azione di spinta verso il
luogo e non intaccasse le pareti della
moschea. Inoltre, la tipologia ad om-
brello, permetteva, da un lato, in confi-
gurazione aperta, di controllare il micro-
clima interno, e dall’altro conservava il
carattere di spazio a cielo aperto della
corte, fornendo un tipo di copertura non
permanente.
Bodo Rasch, insieme ai colleghi, finì
il progetto degli effettivi ombrelli, che
vennero poi utilizzati, nel 1992. All’inter-
no della grande corte sono posti dodici
ombrell retrattili, con forma a imbuto, di
17 m x 18 m di apertura, divisi in due
gruppi da 6. Le loro misure furono stu-
diate apposta in proporzione co quelle
della corte. La loro altezza, da chiusi,
è di 19.2 metri, mentre in configurazio-
ne aperta, diventa di 14. Ognuno copre
un’area di 306 mq e in totale, in 12,
una superficie di 3672 mq. Il parasole
è formato in tutto da 12 bracci a sbalzo,
di cui 4 diagonali lunghi, aventi ognu-
no due aste passive soprasaldate, e 8
centrali, di medie dimendioni.
Gli alberi degli ombrelli sono realizzati
come delle colonne e riprendono le de-
corazioni, tipiche della cultura islamica,
della moschea. Il nucleo in acciaio è
ricoperto da un rivestimento in marmo,
adornato sui capitelli con decorazioni in
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Architettura Trasformabile: Evoluzione e Analisi delle coperture convertibili

  • 1. Evoluzione e analisi delle coperture convertibili Laura Pacchioni
  • 2.
  • 3. Tesi di Laurea di primo livello Laura Pacchioni matricola 746238 Scuola di Architettura e Società Corso di Scienze dell’Architettura A.A. 2012/2013 Relatrice: Alessandra Zanelli ARCHITETTURA TRASFORMABILE Evoluzione e analisi delle coperture convertibili
  • 4.
  • 5. La tesi si compone di un’analisi storica dell’ evoluzione del- le coperture trasformabili e di una rassegna critica dei di- versi sistemi di copertura che sono stati proposti in questo campo, analizzandone e confrontandone alcuni esempi realizzati, in base a morfologia, caratteristiche cinemati- che ed efficienza, sia in configurazione chiusa che aperta. ABSTRACT
  • 6.
  • 7. Abstract................................................................................................ Indice .................................................................................................. 1. Introduzione .................................................................................... 1.1 Trasformabilità, trasportabilità e adattabilità................... 1.2 Panoramica sulle conoscenze e sulla normativa attuali 2. Le origini........................................................................................... 2.1 Le tende......................................................................... 2.2 Il velarium....................................................................... 2.3 Le prime strutture mobili................................................. 3. Coperture trasformabili..................................................................... 3.1. Classificazione........................................................ 3.1.1. Coperture trasformabili a membrana........... INDICE pag. 5 >> 7 >> 11 >> 12 >> 15 >> 19 >> 20 >> 25 >> 30 >> 35 >> 36 >> 42
  • 8. 3.1.1.1. struttura di supporto fissa................. 3.1.1.2. struttura di supporto mobile............. 3.1.2. coperture trasformabili a elementi rigidi........ 3.1.2.1. pieghevoli........................................ 3.1.2.2. telescopiche.................................... 3.1.2.3. diaframmi........................................ 3.1.2.4. pivotanti........................................... 3.2. Confronto................................................................ 4. Progetti personali............................................................................. 4.1. Introduzione..................................................... 4.2. Microarchitectural Workshop.......................... 4.3. LLA Workshop................................................. 4.4. Sedia Contesa................................................. pag. 48 >> 62 >> 96 >> 97 >> 100 >> 104 >> 105 >> 106 >> 109 >> 110 >> 112 >> 116 >> 122
  • 9. 5. Conclusioni....................................................................................... 5.1. Considerazioni e ipotesi di sviluppi futuri.............. Bibliografia............................................................................................ Sitografia.............................................................................................. Ringraziamenti..................................................................................... pag. 131 >> 132 >> 135 >> 143 >> 149
  • 10.
  • 11. “I nostri tempi richiedono maggior leggerezza, maggio- re risparmio di energie, maggiori mobilità ed adattabilità; in breve esigono costruzioni più in sintonia con la natura, capaci al tempo stesso di non disattendere le domande di sicurezza e protezione. Queste rinnovate richieste rendo- no necessario un ulteriore sviluppo delle costruzioni legge- re, quali tende, gusci, tendoni e coperture pneumatiche, e promuovono anche l’applicazione di nuovi criteri di mobi- lità, flessibilità e variabilità nelle costruzioni. Lo studio e la ricerca di una “forma performante”, che sappia unire pun- ti di vista etici ed estetici, porteranno una rinnovata com- prensione della natura. É auspicabile che l’architettura di domani sia di nuovo un’architettura essenziale, capace di autogenerare la propria forma e di autoregolare i propri pro- cessi in modo simile a quanto avviene nei sistemi viventi.” Frei Otto Verso un’architettura minimale 1. INTRODUZIONE
  • 12. 12 1.1 Trasformabilità, trasportabilità e adattabilità L’architettura viene generalmente per- cepita come statica, immobile e perma- nente nel tempo. Questa concezione di oggetti pesanti, saldamente ancorati al terreno, viene superata da un modo di pensare l’architettura diverso, che la vede leggera, mobile, trasportabile e capace di cambiare forma e configura- zione. L’architettura trasformabile lascia liber- tà a chi la utilizza di compiere in modo reversibile veri e propri atti costruttivi, come quello di coprire o scoprire uno spazio o di ampliare o ridurre un volu- me. Essa infine, pur nella variabilità de- gli assetti che può garantire. Consente anche un rassicurante e univoco lega- me con il luogo su cui è costruita. [1] A causa del crescente aumento di do- mande per costruzioni che rispettino criteri di flessibilità e adattabilità, negli ultimi decenni, la ricerca e la sperimen- tazione nel campo delle tensostrutture, delle strutture trasformabili e/o traspor- tabili si sta sviluppando e sta coinvol- gendo sempre un maggior numero di progettisti. Lo scopo è di riuscire a re- alizzare spazi e oggetti dinamici, verso un modo di costruire diverso, non più inteso come azione irreversibile e per- manente, ma che si adegui, di volta in volta, elle esigenze di una società in continuo e costante mutamento. Le tensostrutture sono pertanto archi- tetture leggere, flessibili, smontabili, an- che retrattili e quindi immagazzinabili, capaci di configurare spazi a carattere permanente o semipermanente senza operare pesanti modifiche di luoghi; non escludendo la possibilità si realiz- zare costruzioni permanenti e durevoli. [2] Le strutture trasformabili di dimensioni ridotte sono oggetti mobili, smontabili e [1] Zanelli, 2003 [2]Capasso, 1993
  • 13. 13 trasportabili, utilizzati in maniera tem- poranea e in diverse occasioni, come per esempio stand fieristici, tende d’e- mergenza e tendoni militari. Esse sono perciò autonome e utilizzabili, di volta in volta, indifferentemente dal contesto. Le coperture trasformabili progettate per grandi aree sono invece dei sistemi costruttivi generalmente permanenti e fissi, con la possibilità però di essere ri- mosse senza recare danni o demolizio- ni all’edificio che vanno a servire. Infatti, nella maggior parte dei casi, una co- pertura di questo tipo viene realizzata a posteriori rispetto a una costruzione già esistente e deve quindi interagire e integrarsi con essa senza alterarne la struttura o la forma. Generalmente ven- gono usate per edifici di grandi o mo- deste dimensioni, come per esempio stadi, centri commerciali o corti interne. In entrambi i casi si tratta di strutture convertibili capaci di cambiare la loro configurazione attraverso dei passaggi geometrici e cinematici per mezzo dei quali coprire (o scoprire) l’area interna o esterna di una costruzione nel minor tempo possibile, con la possibilità co- stante di poter invertire l’azione di movi- mento in modo da poter assumere con- figurazioni sempre reversibili. Il tempo per passare da una all’altra e il periodo tempo in cui essa debba restare in en- trambe le configurazioni è uno dei crite- ri chiave per la loro progettazione. Le grandi coperture trasformabili han- no l’obiettivo di riuscire ad adattarsi a repentini cambiamenti atmosferici per cui la movimentazione deve esse- re veloce, nell’arco di qualche minuto. Questa particolare abilità viene defini- ta adattabilità climatica. Nel caso in cui le condizioni metereologiche siano più costanti e prevedibili o che la necessità di coprire un’area sia calcolata per un determinato arco temporale, si parla di strutture che rispondono ad una adat- tabilità stagionale, per cui il processo di trasformazione può essere più lungo e meno frequente. Sotto questa classe rientrano la maggior parte delle grandi coperture trasformabili realizzate prima degli anni ‘70, poiché i meccanismi di conversione, nonostante fossero pro- gettati per rispondere a cambiamenti atmosferici improvvisi, erano ancora in fase di sperimentazione e i tempi di apertura e chiusura superavano i 30 minuti. La reversibilità della struttu- ra si limitava perciò ai soli momenti di installazione e di disinstallazione della stessa, assolvendo solo a un criterio di reversibilità costruttiva.
  • 14. 14 La necessità di poter garantire e as- sicurare la continuità di alcuni eventi sportivi, ricreativi, culturali e religiosi, che normalmente vengono vissuti com- pletamente o parzialmente all’aria aper- ta anche in caso di brutto tempo o di condizioni inadeguate, ha fatto sì che ci si interessasse sempre di più a questo argomento. Una copertura trasforma- bile riesce a garantire nei momenti di bel tempo la possibilità di stare “a cielo aperto”, con ventilazione e illuminazio- ne naturali. Invece, in condizioni avver- se, può proteggere gli utenti, sia che si tratti di pioggia, vento, neve o anche di irraggiamento solare elevato. Inoltre, può dare riparo in quantità variabile allo spazio sottostante e permette la possi- bilità, a un numero sempre maggiore di stadi, di far crescere sui propri cam- pi erba naturale. Questo forte grado di adattabilità è perciò determinante nella scelta da parte degli investitori, che la preferiscono alle coperture più tradi- zionali fisse.Tetti retrattili non vengono utilizzati solo in ambito sportivo, ma anche per navi, spazi espositivi, ricre- ativi e automobili, per non parlare delle molte applicazioni di strutture retrattili di cui viene fatto ampio uso in campo ae- rospaziale. Anche gli spazi urbani e le più comuni residenze private sfruttano numerose tensostrutture di questo tipo. 1 2.Teli retrattili in abitazione privata 2 1. Copertura trasformabile di Wimbledon
  • 15. 15 1.2 Panoramica sulle conoscenze e sulla normativa attuali In Italia, l’interesse e la conoscenza in questo settore stanno crescendo, ma a livello di pubblicazioni, informazioni e letteratura si trova ancora una gran- de carenza. Riuscire a reperire libri o riviste è difficile e bisogna essere già esperti nel campo per saper dove cer- care, anche perché, la maggior parte di questi non è in italiano, ma molto spes- so in inglese, oppure anche in spagno- lo, tedesco, francese o addirittura fiam- mingo. La maggior parte delle conoscenze ac- quisite nel corso degli anni è stata for- nita dell’Istituto per le Strutture Leggere di Stoccarda (Institut für Leichte Flae- chentragwerke, IL) e più recentemente dall’Associazione Internazionale per le Strutture Spaziali e a Schocche (IASS). Frei Otto fondò l’Istituto di Stoccar- da nel 1964 e ne fu a capo fino al suo pensionamento, durante la sua carica vennero pubblicati numerosi documenti sull’architettura adattabile e le copertu- re convertibili. La IASS ha invece fatto sviluppare, sotto iniziativa del professor Kazuo Ishii, un documento contenen- te lo stato dell’arte e le linee generali per la progettazione e la costruzione di strutture retrattili a un gruppo di propri specialisti chiamato Working Group nu- mero 16. Il volume elaborato, intitolato “Structural Desing of Retractable Struc- tures” e uscito nel 2000 e fa parte della serie “The Advances in Architecture”. Lo scopo di queste pubblicazioni è di aggiornare la letteratura presente sugli avanzamenti in campi di recente esplo- razione: dai sistemi di architettura vir- tuale, ai materiali di nuova generazione e, appunto, alle strutture e tensotrutture mobili. Attraverso questi compendi le conoscenze più recenti vengono diffu- se ai progettisti che hanno così la pos- sibilità di sfruttarne l’enorme potenziale e sostituirle alle strutture tradizionali e meno vantaggiose.
  • 16. 16 Anche l’aumento della richiesta da par- te degli investitori di strutture trasfor- mabili di grandi dimensioni ha portato ad una loro presenza sempre maggiore nelle città facendolo conoscere ad un pubblico eterogeneo e non specializ- zato, basti pensare al successo della copertura retrattile di Wimbledon. No- nostante la loro recente celebrità e dif- fusione, in Europa non esiste ancora un documento normativo che raccolga gli standard a livello di materiali, calcoli e teoria, esiste solo una norma, la prEN 13782: Temporary structures – Tents – Safety, che concerne solamente le procedure corrette per messa in eser- cizio di strtture teporanee. Per le strut- ture tensili esistono alcuni regolamenti nazionali. In Italia è stata approvata nel 2002 la norma UNI 10949 Sicurezza delle strutture per fiere e parchi diver- timeto – Tende, strutture tessili tem- poranee e/o itineranti, che ne indica le principali regole per la progettazione, la costruzione, il montaggio e la manuten- zione. In piccola parte riguarda anche le strutture retrattili, vi sono infatti alcu- ne prescrizioni per le strutture portanti fisse con membrane retrattili ed è spe- cificato esplicitamente che le strutture a ombrello ne sono escluse. [3] Negli Stati Uniti la Società americana degli ingegneri civili (ASCE) ha pubbli- cato una guida sulla loro forma e ca- ratteristiche e successivamente è stato redatto un codice di pratica normativo. Un’altra guida è stata fatta dall’asso- ciazione delle strutture a membrana in Giappone, ma senza ulteriori conse- guenze. La Commissione Europea ha dato dei contributi al network Tensinet per pro- durre la European Design Guide for Tensile Surface Structures, che è stato pubblicato nel 2004 e in seguito tradot- to e ripubblicato in italiano nel 2007, a cura di Alessandra Zanelli, responsabi- le dell’associazione per l’Italia. [4] Una normativa europea non è ancora disponibile ma l’associazione sta lavo- rando sulla preparazione dell’Euroodi- ce sulle Strutture a Membrana. Tensinet è un grande centro di ricerca europeo sulle strutture a membrana, molto attivo nel divulgare il sapere e gli sviluppi in questo campo. Il gruppo si è formato ufficialmente nel 2001 da Con- sorzio composto da alcuni ricercatori e rappresentati del settore che avevano già lavorato anche con altri progetti del- la Commissione Europea. Il team ora conta più di 200 membri, tra architetti, ingegneri, designer, produttori, appalta- [4] Zanelli 2007 [3] Zanelli 2003
  • 17. 17 3 4 4. Locandina del Tensinet Symposium del 2013 a Instanbul tori, costruttori, ricercatori, professori e studenti. Oltre agli incarichi per la Com- missione Europea il network svolge nu- merose attività presso università di tutta Europa per le quali ha avviato dei cicli di seminari tematici annuali, di cui ven- gono poi realizzate delle pubblicazioni, workshops e concorsi. Ogni anno tutti i membri si incontrano per un incontro generale, ogni due anni viene pubbli- cata la rivista TensiNews newsletter e ogni tre si colloca l’evento Tensinet Symposium. Fino ad adesso sono stati in totale quattro i Simposi: il primo, De- signing Tensile Architecture, si è tenuto a Bruxelles nel 2003, il secondo, Ephe- meral Architecture: Time And Textiles, presso il Politecnico di Milano, nel 2007, il terzo, Connecting Past and Future, a Sofia nel 2010, e l’ultimo, “(Re)thinking lightweight structures”, ha avuto luogo a Instanbul nel maggio del 2013. L’as- sociazione ha anche un proprio sito in- ternet sul quale si trovano un database di progetti, articoli, collegamenti ai pro- duttori, ai progettisti, ai centri di ricerca e software. 3. Locandina del Tensinet Symposium del 2007 a Milano
  • 18.
  • 19. “Le proposte che conosciamo oggi, come molto avanzate e tecnologicamente complesse, basate sulla trasformabilità, sono tuttavia vecchie quanto lo è la civilizzazione. Dal momento in cui l’uomo ha abbandonato le grotte e le caverne per cercare condizioni di vita migliori, ha costruito ripari che assemblava velocemente utilizzando, la maggior parte delle volte, materiali trovati e pezzi facili da trasportare. L’ architettura costruita con terra, canne, rami e pelli è la più remota e antecedente forma di struttura mobile e velo- cemente assemblabile e si collega direttamente con l’ argo- mento di questa attuale ricerca.” F. Escrig General Survey of deployability in architecture 2. LE ORIGINI
  • 20. 20 Le prime applicazioni di architettura tra- sformabile risalgono alle prime forme di rifugi realizzate da diverse civiltà che si trovavano molto lontane tra di loro, ma che usavano tecniche rudimentali mol- to simili. In Russia, Siberia e Nord Ame- rica sono state ritrovate diverse testi- monianze, ma i più antichi insediamenti mobili sono quelli delle popolazioni no- madiche che vivevano sulle terrazze fluviali del fiume Dniester, in un’area a nord ovest del Mar Nero, durante l’e- ra glaciale. Il reperto più datato a noi pervenuto è stato ritrovato in Moldova e si stima essere datato 44.000 a.C. Gli spostamenti di questi gruppi erano dati dall’inseguimento e dalla caccia alle mandrie selvatiche della steppa du- rante l’estate, mentre d’inverno sosta- vano nelle vallate più riparate dai venti glaciali. In mancanza di ripari naturali, avevano bisogno di costruire dei rifugi con le risorse disponibili che trovavano nel luogo o che avevano con sé. E per 2.1 Le tende proteggersi dal clima freddo e ostile, le tende venivano riscaldate all’interno con il carbone. Tende e capanne occasionali veniva- no assemblate rapidamente utilizzan- do come struttura inizialmente ossa di mammut e in seguito anche corna, tronchi, rami o canne, coprendo poi con terra, pelli animali, foglie o stuoia. Con il progressivo miglioramento delle tec- niche si arriva ad avere forme di tenda più evolute, che rispondono alla basila- re necessità per i popoli nomadi di poter essere trasportabili: vengono di volta in volta montate e smontate per essere poi caricate sugli animali da soma, in modo da poter essere utilizzate per tut- to l’arco dell’anno, senza doverne co- struire di nuove ad ogni spostamento. L’adattabilità di questi sistemi si rivela in varie modalità: le tende possono es- sere collocate in ambienti molto diversi
  • 21. 21 tra loro e possono avere configurazioni differenti in base al clima e alle neces- sità. Le trasformazioni principali riguar- dano la copertura, che può essere par- zialmente chiusa o aperta, e il volume interno, variando il numero di pali per allargare o diminuire lo spazio. In base alla situazione climatica quindi, si può optare per avere una tenda meno ca- piente, ma più resistente al forte vento, oppure, più ampia e aperta nei periodi caldi. La leggerezza, l’adattabilità e la reversibilità sono concetti chiave della loro progettazione ancora oggi. Un esempio significativo è la tenda yur- ta, che è stato utilizzata e viene usata ancora oggi dai popoli nomadi che vivo- no tra la Mongolia e e la Cina. Si tratta della forma più evoluta di alcuni ripari in legno dell’età preistorica che all fine dell’età neolitica divennero delle tende circolari, chiamate kurke, con struttura a ombrello, composte da aste e teli su forma conoidale. La yurta compare cir- ca duemila anni fa e riprende le forme di quest’ultima, con base circolare, svi- luppo cilindrico e copertura conoidale, anch’essa in legno e teli. Alla sua estre- mità ha però un tetto a tronco di cono sul quale poggia una semicalotta sfe- rica apribile, che permette l’illuminazio- ne, l’areazione naturali e anche la dif- 6. 7 9 5 9.Ricostruzione tipo di rifugio tra Moldavia e Ucrai- na 40000 a.C. 8 5.Ricostruzione tenda primitiva in Ucraina 28000 a.C. 6.Ricostruzione rifugio siberiano 40000 a.C. 8.Ricostruzione tipo di rifugio tra Moldavia e Ucrai- na 40000 a.C. 7.Ricostruzione tipo di rifugio tra Moldavia e Ucrai- na 40000 a.C.
  • 22. 22 fusione all’esterno dei fumi del focolare interno. La sua forma, inoltre, è stata ricavata preumibilmente attraverso ten- tativi ed esperienza, poichè è partico- larmente resistente e stabile rispetto ai forti venti. Il volume cilindrico ha la superficie la- terale composta da un graticcio di aste in legno di salice sottili, di 3x2 cm, in- crociate a 45 gradi, con un’unico vano che costituisce la porta di entrata. Dal perimetro superiore, agli incroci delle aste, sono legate con corde di pelo al- tre aste più spesse, di 5 cm di diametro e 3 metri di lunghezza, che formano la copertura conoidale. Queste aste sono incurvate alla base, dove si uniscono alla base cilindrica, e diritte all’altra estremità, dove vengono inserite all’in- terno dell’anello di sommità in legno. Perfar sì che una yurta sia abitabile per almeno una famiglia deve avere circa 4 o 5 metri di diametro, con un minimo di 130 aste per il graticcio di base e 65 per la copertura. Le tende per ospitare più famiglie o utilizzate per feste o ce- rimonie hanno invece almeno 10 metri di diametro. Gli accampamenti usavano diverse configurazione di tende yurta in base ai diversi utilizzi che se ne fanno durante 10 1212. Tenda tipi 10. Tenda yurta 11. Tenda bedu- ina 11
  • 23. 23 tutto l’anno: nei periodi caldi e miti se ne fa uso maggiormente per il bestiame e la produzione di latticini e la copertu- ra è fatta solo di pochi e leggeri teli di feltro, nei periodi freddi e ventosi, viene usata come vero e proprio riparo e vie- ne coperta da una consistente sovrap- posizione di strati di tessuto. Il passaggio da un sito ad un altro degli accampamenti di tende yurta comporta il loro disassemblaggio e trasporto. Le si riesce a smontare velocemente, in meno di un’ ora, e successivamente i graticci di aste vengono piegati in fasci e caricati sui dorsi di animali da soma. All’arrivo nel nuovo accampamento le tende vengono rimontate: in genere per ricostruirne una è necessaria un’ ora. Altri esempi interessanti di tende tra- sportabili e trasformabili di popoli no- madi sono la tenda nera e il tipi indiano. La prima è stata usata e viene ancora utilizzata dai beduini nomadi del nord Africa e del deserto del Sahara. Essa è composta da uno o più pali, a seconda della dimensione che si vuole ottenere, e da bande di tela cucite tra loro, in stof- fa di colore scruro in pelo di capra o di lana mista di capra, pecora e cammello. La struttura lavora sia in trazione che 15. Fotografia tenda tipi 150. 13 13. Fotografia tenda yurta 14. Fotografia tenda beduina 14 15
  • 24. 24 come la yurta asiatica, il tipi indiano e lo yaranga siberiano, si ritrovano gli ele- menti alla base della progettazione del- le strutture geodetiche contemporanee e dei sistemi trasformabili. [5] L’uso delle tende come forma abitativa è documentata anche per i popoli egi- ziani e siriani, che iniziarono ad utiliz- zarla anche per scopi militari. In queste zone sono state ritrovate altre tracce di oggetti trasformabili: l’ ombrello e la sedia a forbice. Di quest’ultima si i sono trovati una tavoletta in terracotta babilonese del 2000 a.C. e un dipinto funerario egizio del 1460 a.C. che la rappresentano. [6][6] Escrig, 1996 in compressione, poichè la copertura è messa in tensione attraverso dei tiranti, fatti da funi in legno o cuoio, ancorati a terra, mentre il peso della copertura è scaricato sui pali. La sua forma com- plessa scaturisce dalla ricerca di de- viare le forti correnti delle tempeste di sabbia del deserto. Per gli spostamenti pali, tessuto e corde vengono legati in- sieme e caricati sui camelli. La seconda è la tipica e più conosciuta tenda usata dagli indiani d’america. Il tipi è composto da una decina o dozzi- na di lunghi rami posti in forma conoida- le che si incrociano tra di loro al vertice. Una tipi standard ha 2-3 m di diame- tro ed un’altezza poso superiore.I pali sono in betulla in numero non superio- re a venti. Per il rivestimento vengono usate pelli di bufalo ricavate da circa 20 esemplari. La copertura è formata nella parte inferiore anche da pezzi di cortec- cia di alberi. La ventilazione all’interno è assicurata dall’intercapedine che si forma all’incrocio dei bastoni. Durante le migrazioni da un sito all’altro le aste della struttura vengono montate e ca- ricate su cavalli in modo da diventare loro stesso un mezzo di trasporto per gli oggetti e gli utensili della tribù. Nelle forme strutturali autoportanti [5] Zanelli 2003
  • 25. 25 La civiltà che ha affinato maggiormen- te le tecniche nell’uso di membrane retrattili in architettrura è stata la civiltà romana. I romani infatti avevo una pro- fonda conoscenza di questa tecnolo- gia grazie alla grande esperienza nella navigazione e grazie alla capacità dei fabri navales di studiare e fare proprie le tecnologie navali delle popolazioni conquistate. I velieri romani potevano essere di due tipologie diverse: navi lunghe da guerra oppure navi da carico per le spedizioni commerciali, tra cui quelle lapidarie per il trasporto di marmi e graniti per la co- struzione di palazzi e templi. In entram- bi i casi, l’imbarcazione era armata di vele quadre, così chiamate per la loro forma, infatti potevano essere rettan- golari o trapezoidali, e per il fatto che esse lavoravano ad angolo retto rispet- to alla direzione di navigazione. La vela veniva legata ad un pennone orizzon- 2.2 Il velarium tale superiore e ad uno inferiore, per- pendicolari all’albero, ed era messa in tensione attraverso delle cime ancorate al ponte, che venivano opportunamente cerate per faciitarne lo scorrimento ne- gli anelli in ferro disposti lungo gli alberi. In questo modo il dispiegamento della vela era più rapido e sciolto. Essa era composta da vari teli di canapa cuciti insieme e rinforzata ai bordi con delle corde e nei punti di maggiore sforzo con teli doppi. La conoscenza e l’abilità con le quali i romani dispiegavano e ripiegavano le vele delle imbarcazioni vennero riutiliz- zate anche per realizzare i primi siste- mi convertibili di ombreggiamento che riutilizzavano proprio le vele dismesse delle navi per coprire grandi spazi. Fu Vitruvio, in epoca augustea, a chiamare appunto queste coperture velarium, a causa del loro precedente utilizzo. L’e- sperienza ottenuta dalle imbarcazioni
  • 26. 26 150. 16 16. Raffigurazione di un veliero romano su una mo- neta del I secolo a.C. 17. Tipologie di strutture ligne di sostegno dei velaria 19 18. 18. Tasche in pie- tra sul muro esterno dell’Arena di Verona 19. Pietre forate di ag- gancio nel teatro d’O- range 21. Toldos spagnoli a Zalamea de la Serena, 2009 20. Tempio di Karnak secondo Viollet le-Duc 2120 17
  • 27. 27 a vela incoraggiò i romani nello speri- mentare con vele che venissero aperte e chiuse all’occorenza, piuttosto di tetti a carattere permanente. Lo scopo era di proteggere alcuni eventi o spazi dal- la luce diretta del sole nei momenti più caldi della giornata. In caso di pioggia o di forte vento i velarium venivano chiusi e ripiegati. Questa tecnologia si diffuse anche in altre aree dell’Impero, come la Gallia e le regioni del Nord, dove diver- samente dalle zone mediterranee, i teli venivano oppotunamente impermeabi- lizzati con cera o grasso per resistere anche alle pioggie. I velaria si dividono in tre tipologie fon- damentali in base alla strttura e alla membrana. La prima ha una struttura composta da travi in legno sorrette da aste verticali o fissate a sbalzo o sospese da funi, sulla quale poggiano pannelli di teli discon- tinui. Sul perimetro superiore dell’Are- na di Verona si trovano delle tasche in pietra che servivano appunto per l’inse- rimento dei pali. Anche nel teatro d’O- range si trovano specifiche pietre forate per lo stesso scopo. La seconda utilizza le vele dismesse delle imbarcazioni. Inizialmente veni- [7] Escrig, 1996 vano usate per ombreggiare gli spazi interni della città. Fin dai tempi antichi grandi tele di stoffa venivano dispiegate nelle piazze, strade e all’interno di edi- fici. Si possono notare anche in alcune illustrazioni di Viollet le-Duc del tempio di Karnak, in Egitto, delle grandi vele di tessuto sul viale d’accesso. [7] Questo tipo di ombreggiamento, diffuso anche tra i Romani, veniva usato tra le vie della città, nel foro e nelle corti priva- te. Giulio Cesare, per esempio, durante il suo mandato fece distendere lungo tutto il Foro Romano e la via Sacra fino al Campidoglio vele colorate ombreg- gianti per manifestare la potenza e ric- chezza di Roma. La magnificenza della città veniva celebrata anche attraverso le particolari decorazioni delle stoffe, per esempio Nerone fece distendere sul suo anfiteatro preziose stoffe in lino decorate in blu e stelle d’oro. Ancora oggi se ne trovano alcuni esem- pi sull’area mediterranea. I toldos spa- gnoli sono composti da tanti teli colorati di varie forme, collegati alle estremità superiori degli edifici tra un lato e l’al- tro della via. Vengono aperti nei periodi caldi e per festeggiare alcuni eventi lo- cali nelle vie più turistiche e commercia- li di piccole città.
  • 28. 28 22 22.Tre versioni della tipologia di velaria a vela 24 25. Ricostruzione velaria e mecca- nismi del velarium dell’anfiteatro di Pompei 24. Due tipologie di velaria a tenda 23.Dinamiche a scorrimento pa- rallelo e del rag- grupamento ra- diale 23 25
  • 29. 29 La copertura a vela veniva utilizzata an- che per coprire la cavea del teatro. In base al tipo di tela che si aveva a dispo- sizione si potevano realizzare tre diver- si tipi di copertura. Nel caso di piccole porzioni di tela queste venivano sospe- se una a fianco all’altra al di sopra dello spazio interno. Se si aveva disponibi- lità di vele più grandi queste venivano tagliate in forma trapezoidale e cucine insieme per essere poi tese tra l’anello esterno superiore e un anello interno sospeso, a proteggere solo la parte del pubblico. Se invece era possibile ave- re una grande tela di vaste dimensioni essa veniva disposta come una cupola rovesciata a coprire tutto il teatro. I metodi di scorrimento delle tele deri- vavano dalle tecniche usate in ambito navale, usando cavi cerati e anelli scor- revoli sui margini delle tele. Per le vele ad anello i movimento era di tipo rettili- neo in avanti o all’indietro sui cavi. Per la tipologia a cupola, invece, il moto era di tipo radiale secondo due possibilità, o dal centro verso l’esterno o dal peri- mentro esterno verso l’interno. Un esempio di grande impianto che usa una copertura a vela anulare è il gran- de anfiteatro di Pompei. Sul perimetro esterno superiore erano i pali verticali, inseriti in apposite tasche in pietra, che servivano per sospendere la tela. Il ve- larium era composto da lembi di stof- fa rettangolari ai cui lati si trovano due corde parallele che ne permettevano lo scorrimento e il ripiegamento. Le tec- nologie di dispiegamento e messa in tensione della membrana derivava dal sistema navale ed era costituito da due ordini di corde differenti. La terza tipologia di velaria è una ver- sione archetipa della copertura a tenda dei circhi. Infatti, in questo caso, una copertura di stoffa veniva posta sopra la cavea e veniva sorretta o da pali verticali infissi al suo interno e sul pe- rimetro, oppure veniva sospesa da cor- de collegate ad altri pali sul perimetro esterno del teatro. Si presume che presso i romani le tipo- logia più usata fosse quella ad anello delle coperture a vela, poichè offriva un maggior grado di ventilazione e di dispersione del calore irradiato. Invece in Gallia e nelle aree dai climi piovosi erano preferite le soluzioni in cui veniva coperta l’intera cavea.
  • 30. 30 E’ lecito ipotizzare che, durante il Me- dioevo per i grandi lavori di costruzione delle basiliche, si facesse uso di pon- teggi mobili e facilmente smontabili.Del periodo rinascimentale invece si han- no testimonianze scritte dell’utilizzo e del funzionamento di primitive strutture mobili per il sostegno di oggetti. Grandi invenzioni sono da atribuire a Leonardo da Vinci, come un ombrello di grandi di- mensioni, un sistema a pantografo per il sollevamento di pesi, il progetto di un ponte costituito da un unico pezzo mo- dulare ripetuto e l’ala mobile e articola- ta del primitivi progetti per un aeropla- no. Altri tipi di ponti molto semplici sono stati proposti da Palladio, Veranzio e Primaticcio. [8] Nella prima metà dell 1900 altre impor- tanti strutture mobili vennero progetta- te dall’ architetto statunitense Richard Buckminster Fuller: le cupole geodeti- che pieghevoli, le strutture in tensegrity 2.3 Le prime strutture mobili e il Flying seedpot. Le sfere geodetiche furono l’invenzio- ne che lo resero noto al mondo scien- tifico in particolar modo. La struttura è composta da una complessa rete di triangoli che la rendono molto fote strut- turalmente, facile da costruire. e auto- portante. La prima cupola progettata nel 1949 aveva 12,80 metri di diamen- tro ed era costituita da aste in alluminio rivestite in plastica derivanti da pezzi di tubi di aeromobili. Tra esse si trovava- no delle cerniere che ne permettevano l’impacchettamento. In configurazio- ne chiusa, infatti, la sfera si presenta come un fascio di elementi paralleli facilmente trasportabili. Per azionare il meccanismo di apertura è necessario posizionare il mucchio in direzione ver- ticale e applicare una forza di trazione attraverso l’uso di corde applicate su alcune cerniere. In questo modo si atti- vano i pistoni pneumatici posti sui verti- [8] Escrig, 1996
  • 31. 31 ci e responsabili del movimento. Al suo interno, sull’intradosso, Fuller aveva previsto una membrana in polietilene trasparente, come isolamento termico. L’idea di una struttura simile era nata dal tentativo di risolvere il problema del- la mancanza di alloggi sufficiente. Nel 1954 ottenne il brevetto per le cu- pole geodetiche e continuò a sperimen- tare e progettare sfere dalle dimensioni sempre più grandi, fino ad arrivare a diametri di circa 120 metri, trasportabi- li attraverso l’utilizzo di aerei. Nel 1968 ebbe anche l’idea stravagante di pro- gettare una immensa cupola geodetica, chiamata Dome City, di 3 chilometri di diametro per la città di New York, con lo scopo di mitigarne il clima. In quegli stessi anni portò avanti anche la ricerca di stutture che lavoravano con alcuni elementi soggetti a compressio- ne collegati con una fitta rete di cavi in trazione, che chiamò tensegrity, parola derivata dalla combinazione di tensio- nal integrity (intergità, rigidezza tensio- nale). La facilità e velocità di costruzio- ne lo rendono un sistema trasportabile, anche se non completamente trasfor- mabile, poichè una volta assemblato le forze in gioco sono misurate accurata- mente per farlo stare rigido e fermo. Ul- 2 6 . F o t o g r a f i a della prima cu- pola geodetica di Buckminster Ful- ler26 27. Dome City27 28. Struttura in Tensegrity di B. Fuller28
  • 32. 32 30. Struttura Flying seedpot di B. Fuller 31 31.Teatro trasforbaile di Piñero 29 29. Struttura geodetica pieghevole di Hoberman, allievo di Fuller, 30
  • 33. 33 timamente però gli ultimi sviluppi hanno affiancato al tensegrity dei meccanismi elettrici capaci di diminuire e aumentare la tensione all’interno dei cavi, in modo da poter piegare e dispiegare la struttu- ra. Questi meccanismi vengono studiati e sperimentati a fondo soprattutto nel campo dell’ingegneria aerospaziale e sono stati fatti nunmerosi esperimenti per testatarne il loro funzionamento. Un’altra invenzione di Fuller è stata la Flying Seedpot, una struttura pieghe- vole di grandi dimensioni composta da aste collegate da snodi. Il sistema de- riva direttamente dagli studi fatti sulle cupole geodetiche e le strutture tense- grali. Non vennero però mai fatte vere e proprie realizzazioni. L’architetto che più si cimentò nello studio dei sistemi ad aste pieghevoli fu lo spagnolo Emilio Pérez Piñero. Pur- troppo molti dei suoi lavori rimasero in- compiuti poichè morì a soli trentasette anni, nel 1972. Egli elaborò strutture molto complesse costiuite da elementi rigidi con snodi a tre o più membri di di- mensioni abbastanza grandi da coprire vaste aree e con superfici anche curvili- nee. Tra i suoi progetti si ricordano il te- atro itinerante presentato al Congresso dello U.I.A. a Londra nel 1961, la cupo- la reticolare trasportabile e dispiegabile con un elicottero, la fila di sedute pie- ghevoli, e la cupola a diframmi mobili che rimase incompiuta. Successivamente altri architetti e desi- gners di fama internazionale iniziaromo a progettare strutture mobili. Nel 1976 Ziegler studiò la costruzione di una cu- pola geodetica pieghevole costituita da snodi a forbice. Tre anni più tardi il professor Escrig elaborò una copertura retrattile a diaframmi semisferica e una struttura a poliedro, con 20 venti fac- ce, piegabile attraverso snodi a X tra le aste. Nello stesso anno Calatrava por- tò avanti altri studi su strutture simili al Flying Seedpot.
  • 34.
  • 35. “Modificare l’altezza di una torre come un’ antenna, allar- gare l’estensione di una copertura come una nuvola o au- mentare la lunghezza di un ponte come una molla è un’idea entusiasmante. Costruire una torre, una copertua e un ponte del genere è un’ enorme impresa.” F. Escrig Structural Design of Retractable Roof Structures 3. COPERTURE TRASFORMABILI
  • 36. 36 3.1 Classificazione Le coperture trasformabili non sono fa- cili da classificare e ci sono stati svariati tentativi nel carcare di riuscire a clas- sificarle tutte secondo criteri precisi. I continui progressi in questo campo rendono ancora più complicato questo processo. In alcuni casi, si rischia o di non prendere in considerazione a priori molte delle tipologie oppure, al contra- rio, nela ricerca esagerata di ragguppa- re insieme tutti i diversi tipi di strutture convertibili secondo classi ben distin- te, si cade nell’errore di una divisione estrema tra le varie tipologie, per cui, molte delle quali sono ibride, non si sa sotto quale categoria collocarle. Alcuni parametri base di classificazio- ne possono essere la trasportabilità, le dimensioni, il tipo di trasformabilità, se manuale o elettrificata, e molti altri. La divisione più generale e condivisa riguarda l’utilizzo di membrane o quello di materiali rigidi. Una classificazione generale è stata tuttavia elaborata dai ricercatori dell’I- stituto per le Strutture Leggere dell’Uni- versità di Stoccarda che attraverso una semplice tabella analizzavano le coper- ture convertibili secondo il sistema co- struttivo impiegato, il tipo e la direzione di movimento. Nel caso di struttura fis- sa su cavi il movimento della membra- na può essere di piegatura in direzione parallela, centrale, circolare o periferi- ca, opure se il moto è di avvolgimento, questo può essere parallelo, circolare o periferico. Se invece sia la struttura che la membrana sono trasformabili al- lora si può avere scorrimento parallelo o circolare, piegatura paralella, centrale o circolare oppure rotazione circolare. Per le coperture a scocche invece sono possibili tutte le configurazioni incrocia- te di movimento e direzione. Le tipologie trasformabili, nel cam- po dell’architettura tessile, sono viste
  • 37. 37 32. Schema delle tipologie costrut- tive trasformabi- li dell’Istituto di Strutture Leggere di Stoccarda32
  • 38. 38 Edificio tessile Seconda pelle tessile Membrana per interni Memb. per edifici Memb. per facciata Edificio scocca Scocche per involucro Scocche per interniScocche per copertureScoccche infacciata ApertoChiusoTrasformabileApertoChiusoTrasformabile 33
  • 39. 39 come sistema ibrido che costituisce una classe a sè tra le due più classi- che tipologie a configurazione aperta e chiusa. Questa suddivisione in tre ca- tegorie principali può essere utilizzata anche per gli edifici, i rivestimenti e le coperture in scocche di materiali rigidi. Nel caso più ristretto dell’uso di tetti retrattili per coprire le grandi aree de- gli stadi, Kazuo Ishii ha sviluppato uno schema specifico che sintetizza le so- luzioni esistenti. La matrice ricorda per i criteri utilizzati quella più generale di Stoccarda, infatti si basa sul metodo utilizzato, che può essere di sovrappo- sizione, non sovrapposizione o piega- tura, e tre direzioni di movimento: paral- lela, centrale o verticale. Esistono anche altre suddivisioni che includono strutture convertibili ancora più complesse, come i vari sistemi ibri- di e il tensegrity. I parametri di divisio- ne non sono più l’utilizzo o meno delle membrana e il loro tipo di dispiegamen- to, ma piuttosto i sistemi meccanici attraverso i quali è possibile rendere reversibile il movimento di apertura e chiusura. Le coperture tessili sono per- ciò solo una classe e vengono accomu- nate qualsiasi sia la loro tipologia. Nell’ultimo numero del 2001 della Rivi- 34 34. Classificazio- ne tetti retrattili per stadi secondo K.Ishii, 2000 33. Classificazio- ne architettura tessile e a scoc- che secondo A. Zanelli, 2007
  • 40. 40 35 35. Schema di classificazione delle strutture re- trattili sviluppato dall’Istituto Tecni- co di Haifa, Israe- le, 2001
  • 41. 41 sta Internazione delle Strutture Spaziali è stato pubblicato uno schema riassun- tivo di tutte le strutture retrattili a invo- lucro, ovvero autonome e indipenden- ti. Esse sono divise in base al tipo di meccanismo, se rigido o deformabile, e in base alla morfologia, che comprende strutture reticolari, continue, ad aste, a superfici curve, sistemi a cavo-puntone e membrane messe in tensione. In ogni categoria esistono altre sottoclassi spe- cifiche ad ogni tipo di struttura. Questa tabella è molto interessante perchè comprende anche le coperture geode- tiche e i sistemi pneumatici, che sono inseriti nella stessa famiglia degli invo- lucri a membrana. In altri documenti, in- vece, le strutture composte da elementi tessili messi in tensione attraverso cavi o tiranti e quelle gonfiabili ad aria com- pressa sono nettamente distinte. Anche un noto e importante professore contemporaneo dell’Università di Sivi- glia, Félix Escrig, molto attivo nella ri- cerca e nella pubblicazione degli avan- zamenti in questo campo, ha realizzato una lista dei principali sistemi trasforma- bili. In Mobile and Rapidly Assembled Structures II, di cui è editore insieme a C.A. Brebbia, divide le strutture re- trattili in base alle tendenze costruttive contemporanee piuttosto che secondo schemi rigidi. Le famiglie principali da lui individuate sono: le strutture tensili ripieghevoli, le coperture in tensegrity, i tetti retrattili a scocche, le strutture pie- ghevoli ad elementi rigidi, gli ombrelli. i sistemi mobili, le strutture a snodi im- pacchettabili e i sistemi up and down. In questa tesi ho preferito seguire la classificazione, più classica e condivi- sa, redatta dall’Istituto di Strutture Leg- gere di Stoccarda. Si tratta però di uno schema risalente agli anni ‘70 e quindi con evidenti lacune per quanto riguarda i progressi tecnologici attuali e le nuove tipologie. Ho avuto perciò la necessità di implementarlo in alcune parti, ag- giungendo sistemi retrattili più recenti. Dalla trattazione sono esclusi però i sistemi pneumatici, in modo da focaliz- zare l’attenzione sulle somiglianze e le differenze tra coperture trasformabili a membrana e a scocche.
  • 42. 42 3.1.1. Coperture trasformabili a membrana La costruzione di sistemi tessili retrattili deriva direttamente dalle forme perma- nenti dell’architettura tessile. Le tenso- strutture di piccole o medie dimensioni sono pensate, in genere, per essere montate in maniera fissa per un deter- minato intervallo temporale, in occasio- ne di qualche evento o periodo, e suc- cessivamente smontate. Una copertura trasformabile a membrana invece ha il vantaggio di poter cambiare configura- zione senza dover ricorrere al montag- gio o smontaggio della stessa. La progettazione di strutture trasforma- bili è frutto di studi incrociati sulle prime realizzazioni di tensostrutture e le dina- miche degli antichi velaria romani. Il più importante architetto, all’epoca delle prime sperimentazioni, che si intterro- gò sul loro funzionamento fu lo studio- so tedesco Frei Otto. Assieme ai suoi collaboratori realizzò nel 1955 la prima tensostruttura interamente a membra- na, con bordi in acciaio, per la Federal Garden Exhibition a Kassel. Il padiglio- ne per la musica, chiamato Bandstand, era composto da una vela quadrango- lare in tessuto dalla caratteristica forma a sella, con due vertici opposti tirati ver- so l’alto e legati a due pali in legno di pino, e gli altri due ancorati a terra. La membrana è in tessuto di cotone, misu- ra 17,50 m in diagonale costituita e ha 1 mm di spessore. Ai suoi bordi presenta delle tasche per il passaggio di cavi in acciaio di 16 mm di spessore, in modo da creare la necessaria pretensione. Negli stessi anni Frei Otto incentivò in campo universitario lo studio delle tec- niche romane per il dispiegamento e ri- piegamento dei velaria, promuovendo- ne lo sviluppo e l’evoluzione attraverso nuovi meccanismi meccanici ed elettrici e l’utilizzo di membrane più performan- ti. Meno di una decina di anni più tardi, nella prima metà degli anni ‘60, venne- ro costruite le prime coperture conver- tibili anche di grandi dimensioni. Non si tratta ancora di sistemi retrattili globali, ma di membrane che vengono aperte e ripiegate su una struttura di supporto fissa e permanente. Le primitive sperimentazioni di tipo re- trattile si sovrappongono perciò ai pro- gressi nel campo delle tensostrutture
  • 43. 43 a crattere permanente. Fu in questi anni che l’Istituo di Strutture Leggere di Stoccarda, fondato appunto da Frei Otto nel 1964, che sviluppò lo schema di classificazione delle diverse tipologie costruttive attraverso test delle modali- tà di movimento su modelli in scala. Agli esordi vennero costruite perciò co- perture non completamente trasforma- bili perché costituite da una struttura in cavi fissa per il sostegno e lo scor- rimento della tela. Come per i velaria romani le due principali modalità utiliz- zate erano il dispiegamento rispetto a travi parallele oppure l’apertura radiale della membrana partendo da una confi- gurazione sospesa e raccolta al centro di un’area circolare. Le tre principali re- alizzazioni di questo periodo realizzate da Frei Otto e da suoi stretti collaoratori racchiudono i momenti sgnificativi che porteranno allo sviluppo delle tecnolo- gie attuali dei sistemi trasformabili. Il primo fra tutti fu la copertura per la terrazza del casinò Masque du Fer a Cannes, nel 1965. La struttura era com- posta da un grande albero reticolare molto stretto e talmente inclinato che fece dubitare l’impresa produttrice della sua fattibilità. Dalla cima dell’ albero è collegato un elemento a imbuto rove- 36 3 6 . P a d i g l i o n e della musica alla Garden Exhibition di Kassel 1955 37 37. Modello co- pertura della ter- razza del casinò di Cannes con tela in apertura 38 38. Modello co- pertura della ter- razza del casinò di Cannes con tela aperta
  • 44. 44 39 39. Copertura piscina Boulevard Carnot Parigi in apertura 40 40. Copertura piscina Boulevard Carnot Parigi aperta 41.a. b. c. Dettagli collegamento cavo.carrello- copertura, dell’ancoraggio a terra con carrucola e vista dell’interno della piscina di Parigi 41a 41b 41c
  • 45. 45 sciato per il raccoglimento della mem- brana e dal suo perimetro parte una rete di cavi fissa al terreno. Su di questi scorrono gli otto spicchi della la tela at- traverso un sistema di sedici carrucole fisse e carrelli mobili. La sua estensione da aperta era di 800 mq. La copertura di la piscina al Boule- vard Carnot di Parigi, di solo un anno più tardi, utilizza la stessa tipologia, ma migliora il sistema di movimentazione, infatti sono utilizzati dei trattori elettrici che servono anche per il tensionamen- to della membrana a fine corsa. Il pro- getto di Roger Tallibert che aveva lavo- rato con Frei Otto a Cannes, fa parte di una soluzione in risposta al concorso indetto del governo francese a Parigi per delle piscine copri-scopri. Lo spa- zio coperto è di 1800 mq e il tempo di conversione della tela è inferiore ai 12 minuti. Nel 1959 venne indetto un altro concor- so di idee dalla municipalità di Bad Her- sfeld, in Germania, per la progettazione di una copertura trasformabile per le rovine del castello di Kloster, al fine di poter garantire gli spettacoli all’aper- to che si tengono annualmente nei mesi tra maggio e agosto per il Festival del teatro. I requisiti richiesti erano la non alterazione delle preesistenze storiche e degli spazi di scena, la pronta attiva- zione di un sistema di copertura apribi- le in caso di pioggia e la possibilità di rimozione dell’intero sistema al di fuori del periodo degli eventi della stagione teatrale. Le soluzioni proposte però non soddisfarono l’amministrazione co- munale che dopo otto anni richiese allo studio di progettazione EL di Berlino (Entwicklungsstätte für den Leichtbau), nel quale lavorava Frei Otto, un proget- to esecutivo che combinasse i progetti migliori del concorso. La copertura venne realizzata solo 5 anni più tardi e si ispirava a quella di Cannes. Per il sostegno venne proget- tato un albero maestro di 32 metri di altezza realizzato con un tubo di accio spesso 20 mm e con un diametro ester- no di 559 mm. Esso si trovava esterna- mente alle mura, in modo da rispetta- re i requisiti richiesti. Dalla cima erano tese 16 funi in acciaio, 4 cavi di bordo si collegavano direttamente ai pilastri- ni minori di 11,5 metri, che si trovano al vertice del perimetro rettangolare dell’area da coprire. I cavi si dividevano in 14 cavi-binario per lo scorrimento dei carrelli di trascinamento della vela, e in 2 di equilibrio per la struttura. Inoltre la tela era sostenuta nella parte superiore
  • 46. 46 interna da altri 6 punti di ancoraggio e sospesa da terra tra gli 11 e i 16 metri. Frei Otto sviluppò e migliorò il siste- ma già usato a Cannes di apertura e chiusura progettando una serie di trat- tori semoventi che potevano muoversi sui cavi binario nelle due direzioni. I trattori potevano essere di due tipi: di bordo,che si occupavano del trascina- mento e tensionamento della membra- na oppure intermedi, che si occupavano del posizionamento dei punti di sospen- sione interni ad essa. I meccanismi ele- trici erano in grado di controllare e azio- nare i carrelli sia simultaneamente che singolarmente. I tempi di conversione di questo sistema sono notevolmente in- feriori rispetto ai 12 minuti per l’apertura e chiusura della copertura di Cannes: in soli 4 minuti la corte dell’abbazia di Kloster viene coperta. La membrana era formata da 5 pezzi uniti tra loro in cotone con doppio strato in PVC e fu sostiuita solo 25 anni dopo con un tessuto unico in poliestere spal- mato in PVC bianco. L’area coperta è di 1450 mq. La continua ricerca di Frei Otto e dei suoi collaboratori su questo tipologia di strutture trasformabili, che si con- centrava appunto sul dispiegamento di 42 42. Fasi di apertura della copertura dell’abbazi di Kloster 43 43. Fotografia della copertura dell’abbazia di Kloster
  • 47. 47 una membrana da un bozzolo centrale, in cui questa era ripiegata, a un vasto manto quando veniva aperta, mise le basi per la seguente progettazione del- lo Stadio Olimpico a Montreal, in oc- casione dei giochi del 1976 ospitati in Canada. L’architetto francese Taillibert, infat- ti, aveva previsto che la membrana di copertura dovesse essere contenuta all’interno di un’enorme torre inclinata, alta 168 metri, a fianco dello stadio. All’occorrenza essa doveva essere ri- lasciata ed essere dispiegata attraver- so dei cavi che correvano tra la torre e il perimetro interno della copertura fissa dello stadio. La membrana com- pletamente estesa avrebbe avuto una superficie di 24.000 metri quadri e un peso di 400 tonnellate. Altri cavi all’in- terno dell’anello ellissoidale in cemento arato dello stadio avevano il compito di tenderla una volta che tutti i margini della tela venivano fissati. Tale copertu- ra però non fu completata che ben un- dici anni dopo, a causa del costo molto elevato e a vari scioperi che rallentaro- no la costruzione della torre. Successi- vamente, ad opera ormai completata, la membrana subì dei danneggiamenti che portarono inevitabilmente alla sua sostituzione tramite un tetto fisso. 45 45. Fasi di apertura della copertura dello stadio di Montreal 44 44. Fotografia della copertura dello stadio di Montreal
  • 48. 48 Le tecnologie di piegatura o avvolgi- mento paralleli derivano direttamente dagli antichi velaria romani e dai più recenti toldos andalusi. Le coperture di questo tipo sono preferibili in contesti quali strade o corti interne, poichè i cavi di scorrimento vengono fissati, in gene- rale, sul perimetro superiore degli edifi- ci che si affacciano sull’area da coprire. Nella maggior parte dei casi la mem- brana in posizione ritratta si trova af- fiancata al lato lungo di una delle fac- ciate adiacenti ed è piegata con un metodo ad onda, che la divide in sottili fasce continue come nel disegno della lettera W. Recentemente sono state realizzate numerosisime coperture di questo tipo, di dimensioni ridotte, soprattutto all’in- terno di spazi privati. Negli ultimi 25 anni si distinguono due importanti pro- getti a toldos per grandi aree pubbliche: le coperture per la corte interna della Moschea di Medina e per la corte del palazzo municipale di Vienna. Il toldo per la corte interna della Moschea di Medina è stata progetta- ta dallo studio SL con la direzione di Bodo Rasch nel 1987. Il luogo è una delle maggiori attrazioni a livello di tu- rismo religioso per il credo islamico e data la grande affluenza di pellegrini la moschea originaria venne distrutta ne- gli anni ‘70 per essere sostiuita da una cinque volte più grande con il progetto 3.1.1.1. struttura di supporto fissa Le tipologie di movimentazione possibi- li della vela possono avere diverse dire- zioni di scorrimento: parallelo. circolare, centrale e periferico. Gli ultimi due casi sono stati poco utilizzati e sperimentati a causa di una maggiore funzionalità e semplicità di realizzazione e movimen- tazione dei primi due. In una copertura trasformabile con struttura di supporto fissa la conversio- ne è data dall’apertura e chiusura della membrana attraverso l’utilizzo di parti- colari meccanismi che la dispiegano e mettono in tensione scorrendo su dei cavi tesi fissi e permanenti durante tutto l’arco di vita della stessa. Toldos
  • 49. 49 dell’architetto tradizionalista egiziano Abdel Wahed El Wakil. Per la completa- zione dell’opera fu commissionato allo studio di Rasch il progetto per una co- pertura trasformabile a membrana nel- la grande corte interna di 1000 mq. Lo scopo principale era di regolare e con- trollare la temperatura sia nello spazio interno che negli edifici adiacenti. Gli schemi di funzionamento dimostrano che per mezzo della chiusura dei toldos e di un minimo di raffrescamento attivo si riesce a ridurre la temperatura della corte da quasi 45° a 30° e quella in- terna degli edifici attorno da 33° a 26°, aumentando di molto quindi il livello di comfort. Al contrario, in inverno, la co- pertura viene chiusa solo di notte, per trattenere il calore accumulato al suo interno durante il giorno. Il sistema si compone di due parti a membrana mobili a toldos e di una strut- tura sospesa a cavi, perpendicolare alle due travi reticolari in acciaio, parte por- tante e fissa dell’intera copertura, che si appoggiano alla parte superiore degli edifici esistenti. La chiusura e apertura sulla corte interna avviene tramite l’ac- censione di argani elettrificati che, scor- rendo sui cavi, trascinano le due parti a toldos al di sotto degli stessi, reciproca- mente dispiegando la membrana verso 46 46. Sezione tra- sversale della corte interna della moschea 47. Schemi di fun- zionamento del controllo microclimatico in- terno 47
  • 50. 50 il centro dell’area o ripiegandola verso i due lati perimetrali. I motori sono molto veloci e il tempo di conversione è di soli 50 secondi. La copertura tessile è costituita da due strati di tessuto in poliestere traslucente rivestito in PVC, collegati da una sotto- struttura interna di profili tubolari in allu- minio che sono responsabili della sua configurazione a colmi e valli quando chiusa e della piegatura a strette fasce rettangolari quando aperta. In quest’ul- timo caso, per proteggerla dalla sabbia e dalla polvere, i toldos ripiegati si tro- vano al di sotto delle due grandi travi di sostegno. La copertura della corte interna nel palazzo municipale di Vienna è stata progettata dall’architetto Silja Tillner in collaborazione con lo studio di igegne- ria Schlaich Bergermann und Partners di Stoccarda nel 2000. Questo spazio accoglie numerosi eventi pubblici citta- dini durante il periodo estivo, ma il cli- ma austriaco, anche in questo periodo, è soggetto spesso a pioggie. Per que- sto era necessario adottare una coper- tura in modo da evitare il problema di dover spostare o annullare spettacoli e concerti. Inoltre, la tenda che veniva usata fino a quel momento, in queste 48 48. Toldos piegati con corte a cielo aperto 49 49. Toldos in fase di chiusura sulla corte interna
  • 51. 51 occasioni non si coniugava con l’edifi- cio del municipio ed era poco pratica da montare.Invece, la copertura a toldos si chiude in meno di 5 minuti e prende ri- fermiento dai fronti del palazzo: si trova sospesa al livello del primo marcapia- no e l’andamento a creste e valli della membrana ricalca la sequenza degli ar- chi neogotici. La struttura si divide in una parte fissa e una mobile. La prima è composta da due travi di bordo di 32,5 metri ancorate tramite mensole in acciaio alle facciate laterali interne del municipio a circa 5 metri di altezza e sulle quali sono posti i binari di scorrimento. La parte scorre- vole si divide in quattro travi reticolari in acciaio di 33,7 metri con sezione trian- golare rovesciata e rastremata ai bordi. Ai due lati di ogni trave si trova un trattore semovente elttrico che impri- mono movimento alla struttura mobile e trascinano avanti o indietro la mem- brana. Queste travi a pancia di pesce hanno sia la funzione di guida in fase di apertura e chiusura della membrana, sia funzione portante quando la tenso- struttura è completamente chiusa e in tensione. Sono disposte secondo un passo costante di 11 metri per ripartire in tre parti uguali in dimensioni e peso tutta la copertura. 50 50. Copertura a toldos della corte interna del municipio di Vienna
  • 52. 52 51 51. Copertura ritratta 52. 52. Copertura estesa 53 53. Vista delle selle dall’interno 54. 54. Dettaglio dei binari e delle travi a pancia di pesce 55 55. Sezione trasversale 56 56. Sezione longitudinale
  • 53. 53 La membrana è in tessuto di poliestere con rivestimento in PVC con una tra- slucenza del 15% ed è formata da 323 pannelli individuali calcolati , pretagliati e assemblati insieme in un unico pezzo. Quando ripiegata a fisarmonica, il pac- chetto che si forma è di 4 metri di lun- ghezza e viene coperto da una tettoia in vetro. Quando invece la tensostrut- tura è completamente dispiegata copre un’area di 1000 mq e si divide in nove selle, tre per ogni intervallo tra le travi. La tensione necessaria della membra- na avviene attraverso dei cavi passanti nelle tasche laterali interne che danno la tipica forma sinuisoidale alle nove selle che emulano al contrario la forma delle travi reticolari. Al di sotto di ogni cresta del tessuto scorre un cavo collegato alle due estre- mità a dei carelli che scorrono lungo i binari laterali e che vengono trascinati dai trattori delle travi reticolari. Invece, per assicurare la necessaria rigidità alla membrana e una sufficiente protezione contro il vento, in corrispondenza di ogni piega interna a V sono posizionati degli spessi tubi a scopo sia di zavorra che di sistema di drenaggio delle ac- que. Infatti, ai due lati della membrana, ad ogni compluvio corrisponde un plu- viale in tessuto dentro al quale si tro- va una catena fissata in alto, al tubo di zavorra, e in basso ,alla pavimentazio- ne della piazza, in corrispondenza dei tombini preesistenti. Il sistema di scolo delle acque è l’ultimo ad essere fissato, quando la membrana viene dispiegata, e il primo ad essere rimosso quando viene richiusa. La struttura è composta da sottili profili in sezione circolare di colore bianco per relazionarsi ancora di più alla traslucen- za del tessuto. Il concept d’ illuminazione artificiale venne progettato in collaborazione con il laboratorio Bartenbach. Il sistema lu- minoso funziona attraverso delle sor- genti posizionate secondo due moda- lità diverse: una parte si trovano tra le colonne dei portici laterali, un’altra ag- giuntiva è collocata all’interno delle pie- ghe a valle della membrana. L’energia necessaria è fornita da dei collegamen- ti elettrici montati sui tubi di zavorra.
  • 54. 54 57 57. Assonometria della copertura in posizione aperta 58 58. Pianta strutturale della copertura 59 59. Vista notturna 60 b 60. a.b.c.Dettagli del sistema di drenaggio, dei tubi di zavorra e dei cavi di sostegno delle creste 60 c 60 a
  • 55. 55 Coperture a ragnatela Questa categoria di coperture con- vertibili deriva direttamente da quelle progettate tra il 1960 e il 1980 da Frei Otto. La loro evoluzione però ha com- portato l’eliminazione del grande albero necessario di sostegno a favore di una maggiore leggerezza e sospensione. Questa soluzione viene usata per aree circolari e la membrana rimane raccolta all’interno di un fulcro anulare per poi espandersi radialmente. La prima sperimentazione di questo tipo avvenne per l’Arena di Saragozza In Spagna da parte degli ingegneri della Schlaich Bergermann and Partners nel 1988. L’arena veniva aperta al pubbli- co in occasione delle poche corride e di qualche altro raro evento. Questo spa- zio non aveva esigenze di una copertu- ra retrattile per far fronte a situazioni cli- matiche avverse, ma venne realizzata per riqualificare e promuovere questo luogo, poco utilizzato e frequentato. La copertura venne costruita nel 1994. Trattandosi di un’arena il tetto doveva essere necessariamente di tipo circola- re e con un diametro di 100 metri. La proposta studiata comprendeva una parte fissa in tensostruttura che copriva la porzione esterna e una retrattile inter- na di 23 metri di diametro. La struttura è composta da un sistema a ruota con un fulcro cilindrico centrale in compressio- ne, sospeso all’altezza del centro dell’a- rena e collegato al perimetro interno circolare della copertura fissa attraver- so dei raggi fatti da cavi precompressi. La membrana, completamente ritratta e ripiegata, è appesa all’interno del volu- me dei due anelli centrali collegati tra loro mediante aste in compressione e barre di stabilizzazione. Nel momen- to dell’apertura da 16 motori elettrici tirano alcuni punti del suo perimetro scorrendo sui raggi inferiori. Quando il tessuto raggiunge il perimetro interno della copertura fissa alcuni tenditori la mettono in posizione e la tendono per assicurarne la rigidezza. In tre minuti copre un’area di 1000 mq e il pubblico reagisce alla sua apertura come a un momento di spettacolo, paragonandola all’apertura di un bocciolo. Il materiale della membrana è stato sostituito die- ci anni dopo a causa di un’usura data dai raggi ultravioletti e da alcune lesioni nelle linee di piega. Recentemente, nel 2006, un progetto simile, ma che ha una diversa com-
  • 56. 56 plessità, è stato realizzato per la for- tezza di Kufstein. Dopo il restauro del- le rovine e una campagna iniziata nel 1997 per riattivare questo posto come centro culturale all’aria aperta, è stato perciò indetto un bando per la progetta- zione di una copertura che permettesse di rispettare la scaletta degli spettacoli in programma e la loro continuazione in caso di pioggia nel grande cortile ester- no di Josefburg. Il requisito principale era di non intacca- re in nessun modo le preesistenze stori- che e perciò i progettisti hanno studiato un sistema di cavi a raggiera sostenuto da 15 colonnine di cui 5, che si sareb- bero dovute appoggiare su alcune parti laterali del fortino, sono state realizzate come colonne “galleggianti”: si tratta di colonne aventi solo la porzione supe- riore e sospese grazie a 30 cavi diago- nali collegati a quelle intere. La struttu- ra che vi si appoggia è fatta a ruota di bicletta, ovvero composta da un anello centrale ed uno poligonale esterno for- mato da 15 lati uguali che forma una circonferenza di 52 metri. I 15 raggi che li collegano si dividono in due gruppi di cavi, quelli superiori e quelli inferiori,. Partono entrambi dall’anello centrale e si allontanano sempre più in maniera crescente: quelli superiori si collegano 62 62. Dettagli: ri- piegaento del- la membrana e anello centrale 61 61.Sezione del sistema struttura- le della copertura con la membrana ripiegata 63 63. Sistema di cavi di sostegno e controventamen- to delle colonne sospese
  • 57. 57 64 67. Sistema di cavi per il soste- gno e il contro- ventamento delle colonne galleg- gianti67 6 5 . F o t o g r a f i a dell’anello centra- le con membrana ripiegata65 6 6 . F o t o g r a f i a dell’anello centra- le con membrana distesa66 64. Fasi di apertu- ra della membra- na vista da sotto
  • 58. 58 alla cima delle colonne, mentre quel- li inferiori si attaccano all’incrocio tra i pilastrini e l’anello esterno. Altre serie di cavi connettono i raggi in direzione verticale e stabilizzano le colonne sia fluttuanti che non attraverso dei contro- ventamenti. Questi lavorano sia in oriz- zontale sulla circonferenza esterna che in verticale lungo l’altezza dei pilastrini, infatti dei cavi disposti diagonalmente si trovano tra i punti superiori e quelli dove passa la circonferenza immagi- naria che taglia le colonne sospese. L’immagine dall’esterno della struttura ricorda quella di una corona galleggian- te. Le forze interne che la sostengono portano solo carichi di peso verticali, al di fuori di quelli provenienti dall’azione del vento, alle fondazioni. La membrana è costituita da un tessuto innovativo in PTFE ed ha una grande resistenza agli sforzi. Ha una traspa- renza del 40%, una durabilità di oltre 15 anni e una grande flessibilità ottima per quando si trova in configurazione raccolta al di sotto dell’anello centrale di fulcro della struttura a ruota di bici- cletta. Quando non viene utilizzata ,per proteggerla dalla pioggia, è stata previ- sta una piccola tettoia circolare in poli- carbonato trasparente agganciata all’a- nello centrale. Il tessuto è resistente ai raggi ultravioletti, agli attacchi chimici di tipo ambientale e allo sporco. Durante l’apertura della membrana i 15 settori tessili di cui è composta sono messi in movimento nei loro punti più esterni da motori elettrici e si espandono radial- mente scorrendo sui raggi. Una volta completamente dispiegata viene mes- sa in tensione da 15 cilindrici idraulici. Per il drenaggio delle acque pluviali sono stati progettati dei pluviali flessi- bili, fissati sulla membrana, in collega- mento con un sistema di imbuti e ser- batoi che portano l’acqua dalle colonne fino ai condotti sulla pavimentazione. La porzione del cortile copribile ha un’a- rea di 2000 mq e il tempo di apertura e chiusura della membrana è di soli 4 mi- nuti. Inoltre, l’acustica di questo luogo è migliorata in presenza della membra- na dispiegata, e, data la frequenza di concerti e spettacoli che vengono orga- nizzati, viene aperta anche nei giorni di bel tempo. Poichè molti eventi pren- dono luogo anche in serata l’ambiente viene enfatizzato sfruttando un’illumi- nazione artificiale di vari colori percepi- bile dall’intorno vicino.
  • 59. 59 69. Vista della for- tezza di Kufstein iluminata di notte69 68 d 68 a.b.c.d. Fasi di apertura della membrana vista da sopra 68 c 68 b68 a
  • 60. 60 Una tipologia ibrida tra le coperture scorrevoli parallelamente e quelle ad apertura radiale sono i sistemi che im- primono il movimento alla membrana secondo direzioni libere. La membrana è appesa ripiegata in una maniera simi- le a quelle delle coperture a ragnatela, ma non è raccolta come in questo caso in un piccolo bozzolo, bensì è ripiegata su una superficie più larga come per i toldos. Le realizzazioni di questo tipo sono più numerose perchè pratiche per copri- re aree di forme e contesti ambientali differenti. Tra le prime coperture la più importante è stata progettata da Bodo Rasch nel 1989 per il teatro all’aperto a Wiltz. Anche in questo caso si tratta della necesssità di riparare gli spettaro- ri e gli autori delle performance in caso di pioggia, durante il periodo del festi- val del teatro, che si tiene ogni estate, ed ancora era richiesto che la struttura non intaccasse le preesistenze stori- che del castello di 380 anni. La forma e il volume occupati dalla membrana in configurazione aperta nascono dal- lo studio e dall’analisi del contesto: la morfologia rispecchia ricalca al contra- rio quella dell’anfiteatro e la sua altezza massima si raccorda con le scalinate, che si trovano di fronte, per salire verso il castello. La struttura si divide tra una parte fatta in alberi di acciaio, che si trovano sopra la parte superiore della cavea dell’an- fiteatro e protetta sotto ad una tettoia fissa, e un’altra composta da due profili tubolari in acciao posizionati ai lati del palco nella parte più bassa del giardino. Un set di cavi che parte dalla cima e si allarga a semicerchio collega la prima con la seconda. Quando la membrana è ritratta i lembi perimetrali sono ripie- gati e fissati a delle carrucole fissate sui cavi e il tutto rimane coperto dal tetto fisso. Durante la fase di apertura gli ar- gani comandati elettronicamente trasci- nano la tela e portano in posizione tutti i punti di sospensione dei bordi per poi pretensionarla in modo da farle assu- mere la forma a sella. La conversione avviene in pochi minuti e copre un’area di 1340 mq. Al termine di ogni stagione sistema completo può essere facilmente smon- tato e immagazzinato. Sistema ibrido
  • 61. 61 70 a.b.c. Planime- tria generale e se- zioni trasversale e longitudinale della tensostruttura re- trattile del castello di WIltz 71 d 71 b 71 a.b.c.d. Fasi di apertura della membrana 71 c 71 a 70 a 70 c 70 b
  • 62. 62 3.1.1.2. struttura di supporto mobile Negli anni Ottanta iniziano le prime spe- rimentazioni riguardanti i sistemi aventi sia la struttura che la membrana retrat- tili, così da liberare lo spazio dall’ingom- bro dei cavi e dalle strutture di supporto fisse. In una copertura di questo tipo la conversione della membrana è con- trollata dal movimento della struttura di supporto alla quale è collegata. Le strutture di supporto mobili pos- sono essere di due tiologie: strutture completamente autonome e reversibi- li, composte da aste con snodi che ne permettono il movimento, oppure strut- ture puntuali fisse funzionanti con brac- e distese per coprire lo spazio sotto- stante. In alcuni spazi una copertura completa- mente trasformabile è l’unica soluzione per evitare alcuni svantaggi, come per esempio la proiezione di ombre della struttura portante fissa di una copertu- ra convertibile a membrana, poichè in qualche modo, potrebbero intralciare la partita o lo spettacolo in corso. Un Le coperture trasformabili con struttu- ra pieghevole scorrevole somigliano molto per la loro morfologia a quelle a membrana con struttura fissa. Infatti, anche in questo caso si tratta di una struttura che si appoggia al perimetro superiore interno, di una corte, di una cavea o dele tribune di uno stadio, ma comunque, molto spesso, di un edificio esistente. La copertura costituita da fa- sce ripiegate che vengono poi allargate Strutture pieghevoli ci mobili. In questo modo si garantisce una vera e propria reversibilità della co- pertura, che, in configurazione chiusa e piegata, occupa lo spazio solo per la porzione del perimetro dell’area da co- prire, oppure, nel caso di coperture a ombrello,occupa solo alcune posizioni puntuali in modo da lasciare lo spazio centrale libero, o quasi completamente sgombro, e a cielo aperto.
  • 63. 63 esempio eclatante è la recente coper- tura, realizzata nel 2009. per lo stadio di Wimbledon All England Tennis Club, in funzione dal 1922, dove una soluzione del genere era assolutamen- te richiesta. Il progetto è stato eseguito dall’impresa Populus. Il tetto di Wimbledon è formato da due parti richiudibili e pieghevoli, una for- mata da 4 campate e l’altra da 5, sui due lati corti dello stadio, che, quando azionate, si aprono simultaneamente e si uniscono al centro. Ogni placca pie- ghevole della struttura è rivestita da una membrana saldata e sostenuta da dieci travi in acciaio. Il tetto si apre scorrendo su delle ruote trainate da motori aiuta- ti da bracci e morsetti idraulici. In tutto copre un’area di circa 77 metri e, con la sua altezza, permette il gioco anche a palle alte, fino a 16 metri. La mem- brana utilizzata ha una superficie totale di 5200 mq ed è realizzata in tessuto Tenara di due qualità diverse, una che lascia passare il 40% della luce solare e l’altra solo il 20%. Questa copertura ha riscontrato un enorme successo, tanto da avere un proprio profilo su Twitter per pubbliciz- zare gli eventi e comunicare al pubblico se e quando verrà utilizzata. 72 72. Schema di apertura e chiusura della copertura di Wimbledon 73 73. Fotografia della copertura in fase di apertura 74 74. Fotografia della copertura quasi completamente aperta
  • 64. 64 Le strutture estensibili o espandibi- li sono composte da aste collegate tra di loro attraverso particolari snodi a forbice. Nonostante il loro funziona- mento sia conosciuto fin dall’epoca di Leondarso da Vinci, che ne studiò par- ticolari applicazioni per il sollevamento pesi, queste strutture sono state poco utilizzate, se non per piccole coperture cittadine. Per riparare aree di piccola dimensione, come le zone esterne dei ristoranti e bar, sono spesso usate ten- de apribili con semplici meccanismi a pantografo in direzione parallela. Molti di questi dispositivi di ombreggiamen- to sono montati facilmente a muro e la membrana, attaccata alle due barre tra- sversali di inizio e fine tra i due bracci, viene srotolata e arrotolata automatica- mente insieme al movimento di apertu- ra e chiusura delle forbici. L’utilizzo di strutture a forbice permette di avere membrane ripiegabili su sup- porti anch’essi ripiegabili. Un sistema a forbice è formato da un numero di aste collegate tra loro attraverso dei vincoli che ne permettono la rotazione. Questo comporta la possibilità sia di impacchet- tamento che di completa estensione della struttura. Si possono distinguere due fasi: quella di espansione e quel- la di servizio. Nella prima la struttura è soggetta a una trasformazione di tipo cinematico, nella seconda è in configu- razione aperta e, applicando opportuni vincoli, diventa resistente anche all’ ap- plicazione dei carichi. E’ necessaria avere una conoscenza approfondita del legame tra geometria, funzionamento cinematico e risposta strutturale per realizzare coperture a forbice. Lo snodo a X può assumere diverse configurazioni, in base anche alla tipologia di copertura che si vuole ottenere. Ogni asta è composta tre vincoli, uno superiore e uno inferiore che determi- nano la continuità della struttura, e uno intermedio, che si trova all’incrocio di ogni coppia di aste. In base alla dimen- sione dello snodo a X e alla dimensione delle aste si distinguono diverse tipo- logie di legami: traslazionale, polare e angolato. Lo snodo traslazionale classico è costi- tuito da due aste di dimensione uguale con perno nel loro punto medio. Il loro dispiegamento avviene in linea retta. Strutture estensibili
  • 65. 65 Per avere un’apertura di tipo curvilineo si possono usare due metodi: o utilizza- re due barre di lunghezza diversa come coppia di aste tipo (sistema traslazio- nale curvo), oppure tenerle tutte della stessa misura, avendo lo snodo ad X tra di esse sempre nella stessa posizio- ne, ma spostata rispetto al punto medio dell’asta (sistema polare). Hoberman, allievo di Buckminster Ful- ler, utilizzò per le sue sperimentazioni con le cupole geodetiche un altro tipo di meccasnismo ad aste e snodi con sviluppo curvilineo: il sistema angola- to. Diversamente dagli altri casi, questo metodo non utilizza barre rigide, ma una coppia di elementi imperneati tra di loro aventi un angolo fisso β quan- do in configurazione completamente aperta. In un sistema tridimensionale composto da aste con snodi di Hober- man la trasformazione avviene in ma- niera centripeta, applicando delle forze di trazione lungo direzioni radiali verso l’esterno alla struttura chiusa. Il punto verso cui convergono le rette immagi- narie passanti tra l’incrocio superiore e inferiore di ogni coppia di aste è infatti lo stesso durante tutti i passaggi della conversione. Strutturalmente la forma che assume durante ogni fase rimane rigida senza la necessità di sistemare 76 76. Piccola co- pertura retrattile mobile utilizzata per spazi esterni di bar 75 75. Disegni di Le- onardo da Vinci di strutture di solle- vamento con in- castri a forbice
  • 66. 66 α=γ/2 77 77. Schema delle tipologie di legami a forbice sistema traslazionale piano sistema traslazionale curvo sistema polare sistema angolato
  • 67. 67 80 80. Modello di copertura costitu- ita da due archi a forbice di Tom Van Mele 81 81. Modello di co- pertura ad arco con struttura a forbice e mem- brana all’intra- dosso di Tom Van Mele 79 79. Modello di tri- buna retrattile Ca- brio dello studio SL-Rasch, 1988 78 78 Differenza tra sistema trasla- zionale e sistema polare vincoli aggiuntivi, al contrario delle altre tipologie a forbice. Nel 1998 il gruppo tedesco SL-Rasch GmbH realizza dei prototipi della tribu- na retrattile “Cabrio” caratterizzata da settori modulari costituiti da una coppia di bracci retrattili a forbice connessi da aste parallele sulle quali era collegata una membrana in poliestere-pvc. Un tipo di struttura retrattile a forbice, si- mile a quella elaborata dallo studio di Bodo Rasch, è divisa in due parti ad arco a pantografo che, partendo dalle due estremità fisse, si congiungono nel punto centrale. A causa del loro peso e dello stress dovuto alle continue aper- ture e chiusure, queste strutture han- no bisogno di elementi secondari, ad esempio: archi fissi metallici, sostegni rotanti, sistemi di apertura a bobina oppure di sistemi formati da strutture pneumatiche e cavi. Per schermare l’interno si utilizzano delle membrane disposte ortogonalmente agli archi, af- finché la struttura possa continuare a piegarsi ed estendersi il movimento del- la membrana si deve conciliare a quello delle forbici: il tessuto avrà allora un an- damento ad onda (o a W) caratterizza- to dal fatto che si aggrappa alternativa- mente alle cerniere più basse e a quelle più alte. Altrimenti, si può utilizzare una
  • 68. 68 82 g 82 a.b.c.d.e.f.g.h.. Fasi di apertura del sistema Estran 1 82 h 82 e 82 c 82 a 82 f 82 d 82 b struttura a galleria che utilizza archi a forbice con sistema polare collegati tra di loro. In questo caso, dopo essere stata opportunamente vincolata in posi- zione aperta, ad essa viene fissata una membrana all’intradosso. Nel 2000 il gruppo venezuelano Estran a.c. mise in produzione un nuovo tipo di copertura trasformabile e trasportabile ad aste per usi temporanei. il sistema era frutto di ricerche iniziate nel 1987 e il prototipo prese il nome di Estran 1. La struttura era formata da tre archi pa- ralleli collegati tra di loro da 14 bracci. Ogni arco era composto da 6 gruppi di forbici. Il materiale usato era l’alluminio per rendere la struttura il più leggero possibile. In versione piegata occupava uno spazio di 1 m x 1 m x 4,20 m e da aperta la volta cilindrica assumeva 14 m di larghezza, 8 di lunghezza e pesa- va 500 kg. La seconda versione, Estran 1.1, è l’e- voluzione della prima per un mercato commerciale ed è stata perfezionata e a livello di dimensioni dei componenti per rispettare le norme europee di si- curezza contro il vento e i carichi della neve. Questo prototipo però usa quat- tro archi, due maggiori di 16 m diametro interno e due minori di 12,18 m, tutti pa-
  • 69. 69 87 89.Copertura pie- ghevole a Tarata- ra Falcon, Vene- zuela, del gruppo Estran, 2005 85 85-86 Assonome- trie strutturali di Estran 1 e Estran 1.1. 83-84 Modelli di Estran1 e Estran 1.1. 83 8988 84 88. Fotografia di un sistema Estran 1 87. Tpologie di assemblaggio di moduli di Estran 1.1 86
  • 70. 70 ralleli e collegati da 28 bracci perpendi- colari . In circa cinque minuti è possibile aprire la struttura attrverso l’ausilio di circa 4 operatori e una gru. Ogni ad- detto tira diagonalmente un vetice alla base della struttura mentre nello stesso momento il braccio della gru la solleva. In seguito, viene fissata al terreno e tutte le cerniere vengono bloccate. La volta copre un’area di 186 mq e pesa 900 kg. Da piegata invece occupa 4,90 m x 1,40 m x 0,80 m. Per l’applicazione della membrana in poliestere trattato all’intradosso della volta esistono due metodi: viene applicata ai sistemi a for- bice direttamente dagli addetti durante il dispiegamento, modalità però lunga e lenta poichè gli operatori dovrebbero scalare la struttura e lavorare da sopra, oppure è possibile sollevare la mem- brana attraverso un sistema di cavi e carrucole una volta che la struttura è già completamente estesa. Con il pro- totipo Estran 1.1. sono possibili diverse configurazioni di assemblaggio dei mo- duli, che può essere lineare, laterale o centrale, con tre. Il primo di questi è sta- to utilizzato per la copertura pieghevole A Taratara in Venezuela nel 2005, che copriva un’area di 350 mq. Il gruppo Estran ha perciò dimostrato la fattibilità di produrre strutture istan- tanee riducibili a pacchetti compatti di facile utilizzo, trasporto e stoccaggio. Si tratta di strutture anche molto resistenti, poichè dopo ben 50 aperture non era- no presenti segni significatividi deterio- ramento delle sue parti in movimento. Inoltre, la progettazione delle connes- sioni tra forbici e tessuto è molto com- plessa, ancora di più quando si tratta di membrane rimuovibili. A cavallo tra il ventesimo e il ventune- simo secolo altri progettisti iniziarono a sperimentare con i sistemi estensibili per realizzare strutture temporanee, coperture e elementi di facciata. Alcu- ni esponenti dell’Università di Siviglia, quali Félix Candela, Emilio Pérez Piñe- ro, Santiago Calatrava, Felix Escrig e Juan Pérez Valcàrcel del Grupo de In- vestigation Tecnologia Arquitectonica, hanno investigato il campo delle strut- ture estensibili a pantografo e hanno individuato le principali regole del loro movimento. Félix Escrig, insieme al collega josé Sànchez, ha utilizzato un sistema simi- le all’Estran per realizzare delle coper- ture stagionali di una piscina a Siviglia nel 2005. Lo scopo era di poter usufrire e riscaldare delle piscine di 50x22 mq durante la stagione invernale con l’uso
  • 71. 71 91 92 93 a. 93 c 93 b 90 91. Dettaglio del collegamento fra le due parti del si- stema 90. Assonome- tria della struttura delle piscine di a Siiglia di Escrig 93 a.b. Fasi di apertura 93 c. Fotografia dall’esterno della copertura trasfor- mabile della pisci- na a Siviglia 92. Vista dell’in- terno
  • 72. 72 di un tetto completamente rimuovibile per il resto dell’anno. La copertura è for- mata da due volte ripiegabili. Le barre sono realizzate con leghe in alluminio aventi tutte sezioni di diametro 120.5, testato per resistere alle forze di vento e ai carichi incidentali e della neve. La connessione tra la membrana e la strut- tura avviene all’altezza dei giunti infe- riori e, diversamente dal sistema svilup- pato dal gruppo venezuelano, il tessuto è già collegato e ripiegato sua interno già in configurazione compressa. Strut- tura e membrana lavorano simultane- amente: al dispiegamento della prima segue il distendimento della seconda Escrig elaborò anche un altro tipo di proposta per un tetto estensibile di una piscina che preveda l’utilizzo di barre curvilinee pieghevoli secondo un siste- ma di snodi a forbice. La distanza tra i vertici degli archi è di circa 20 m. In questo caso però non si tratta di una forma trasportabile facilmente, se non di dimensioni abbastanza ridotte, poi- chè, anche in configurazione chiusa, la struttura è solo impacchettabile, occu- pando comunque un’ area della stessa larghezza che avrebbe da aperta. Il sistema sfrutta l’allargamento nella di- stanza tra i vertici e il centro delle barre durante l’apertura, abbassando note- volmente l’altezza della struttura così da aumentare la lunghezza dell’area copribile. La membrana, già montata e ripiegata insieme alla struttura anche in configurazione chiusa, è un tessuto im- permeabile semitrasparente. Un’altro esempio simile di copertura pieghevole dello stesso ingegnere è il tetto per l’Auditorium a Jaén, costruito in Spagna nel 1999, che consiste in una serie di archi collegati da snodi a X su due binari paralleli con rivestimento in membrana. L’apertura e chiusura della struttura e della vela avviene automati- camente in simultanea. Attualmente alcuni ricercatori dell’ Università Vrije di Bruxelles, Tom Van Mele, Lars de Laet, Lara Alegria Mira, stanno sviluppando diverse tipologie per costruire tetti retrattili, cupole e vol- te utilizzando sistemi a forbice.
  • 73. 73 95 b 94 96 b96 a 97 95 a 95 a.b. Fasi di apertura di una piscina trasforma- bile con aste cur- vilinee 94. Sistema di apertura e chiu- sura di strutture a forbice con barre curvilinee 96 a.b. Fotografie della copertura dell’Auditorium a Jaén 97. Fotografia dall’esterno della copertura dell’Au- ditorium di Jaén, 1999
  • 74. 74 Come si è già visto nel capitolo sulle or- gini delle coperture convertibili con ten- segrity si intende un particolare tipo di sistema spaziale reticolare in una stato di sollecitazione interna. Tutti i compo- nenti sono rettilinei. Gli elementi in ten- sione, i cavi, non hanno resistenza alla compressione e costituiscono una rete continua, mentre gli elementi in com- pressione, le aste, non hanno resisten- za in tensione e costituiscono una seri di elementi discontinui. Le barre non si toccano mai e sono collegate tra di loro escusivamente dai cavi. E’ possibile usare questo sistema per realizzarne uno pieghevole senza utiliz- zare snodi a forbice. Si può ottenere o modificando la dimensione delle barre utilizzando aste telescopiche oppure modificando la lunghezza o il grado di tensione dei cavi. La seconda modali- tà è quella più facile da realizzare. Un meccanismo elettrificato controlla la crescita o diminuzione di tensione all’in- terno dei cavi. Gli studi che hanno sviluppato questi modelli sono stati elaborati principal- mente da M. Bouderbala che applicò le prime idee di mobilità a delle strutture a cellula singola di tensegrity (un’unità a quattro aste) e successivamente a delle griglie piane a doppio strato composto da moduli-unità base. Altre importan- ti figura in questo campo sono René Montro, presso il laboratorio del Genio Civile a Montpelier, Robert E.Skelton, direttore del laboratorio dei sistemi strutturali e di controllo del dipartimento di meccanica e aerospaziale dell’Uni- versity of California a San Diego, dove lavorano altri ricercatori: Helton, Adhi- kari, Pinaud e Chan. Strutture in tensegrity sono già state usate a fini architettonici e di arreda- mento, ma le versioni di tipo pieghevo- le sono ancora ad un livello di studio e utilizzate principalmente in campo ae- rospaziale. Le ricerche pratiche e teo- riche nel settore delle costruzioni però stanno aumentando e la possibilità che vengano realizzate strutture estensibili in tensegrity anche per l’architettura è reale. Tensegrity
  • 75. 75 98 a.b.c.d.e.f. .Modello pieghevole in tensegrity elaborato dal Laborato- rio di Strutture Estensibili del Dipartimento d’Inge- gneria dell’Università di Cambridge (2002) con aste composte da due parti rigide in alluminio e una parte semitubolare a doppia stabilità, in ver- sione dritta e in versione piegata.98 e.f 98 c.d. 98 a.b.
  • 76. 76 100 a.b. Modello di struttura pie- ghevole in ten- segrity con aste telescopiche 99. Schema di piegamento di una struttura for- mata da quattro cellule base di tensegrity di René Montro e Ali Smaili 99 100 a 100 b
  • 77. 77 Il sistema di coperture a ombrello è una struttura che utilizza ancora gli snodi tra aste. In questo caso però non si trat- ta di un sistema continuo di aste colle- gate da snodi, ma di un’unico pilastro centrale da cui, in un unico punto, di- ramano aste pieghevoli, di dimensioni più contenute, secondo uno schema a raggiera. Le coperture che funzionano con elementi a ombrello sono utilizzate in tutti i casi in cui sia necessario copri- re uno spazio aperto oppure anche uno chiuso, ma per il quale non sia possibi- le, o sia vietato, sfruttare le sue pareti come basi d’appoggio della struttura. Gli svantaggi di questa tipologia sono che, durante la trasformazione, i bracci si piegano passando da una posizione verticale ad una orizzontale, e la coper- tura urante questo processo è sottopo- sta a una serie di posizioni instabili, in cui la membrana non è tesa e la strttura non è capace di sopportare condizioni di carico esterne. Inoltre è indispensa- bile un tessuto con caratteristiche ad alta prestazione per evitare gli stress alle continue piegature e ai danni cau- sati dagli agenti esterni. Negli anni ‘50, Frei Otto, durante i suoi Strutture a ombrello studi sulle superfici minime con i modelli in film saponosi, sviluppò anche alcune forme ad ombrello-imbuto con membra- ne in tensione ed aste in compressione, rendendo possibile la progettazione di strutture di grandi dimensioni. La prima realizzazione fu costruita per la Federal Garden Exhibition di Colonia nel 1971 in collaborazione con Bodo Rasch. La struttura aveva 19 metri di diametro e un sistema di bracci telescopici. Il loro movimento avviene sui dei binari curvi. La membrana è fatta in tessuto di po- liestere rivestito in PVC. Questi ombrel- li sono ancora in utilizzo ma vengono aperti di rado, nonostante il tempo di apertura sia di soli 2.5 minuti. Nel 1977 venne richiesto a Frei Otto di progettare delle coperture a ombrello per i palchi del tour del gruppo mu- sicale dei Pink Floyd. L’architetto pro- pose dieci strutture a ombrello, simili come forma a quelle a imbuto della Fe- deral Garden Exhibition, di 4.5 metri di diametro e di divese altezze, tra i 2.50 e i 4.5 metri, che affiancate coprivano un’area di 128 mq. Erano utilizzati due meccanismi motorizzati : uno per solle- vare gli ombrelli chiusi dal palco, il se- condo per la loro apertura. La soluzione
  • 78. 78 101 101 Copertura a ombrelli alla Federal Garden Exhibition di Colonia 102 a. 102 a.b.c. Ombrelli per il tour dei Pink Floyd 103 a.b.c. Prototipo di Ombrelli dello studio SL Rasch con dettagli del sistema solare 102 b 102 c 103 a. 103 b 103 c
  • 79. 79 riscosse molto successo e ispirò molti dei progetti successivi. Alcuni prototipi di ombrelli retrattili ad energia solare vennero realizzati in Arabia Saudita dallo studio di Bodo Rasch, nel 1987. Dovevano essere col- locati negli spazi esterni della moschea della Mecca, città natale del profeta Maometto. Questa tipologia di coper- ture non risponde a una necessità di protezione contro la pioggia, ma come riparo dall’irraggiamento solare eleva- to del clima arabo. Inoltre era richiesta una copertura autonoma, che non ad- dossase la propria struttura alla mo- schea esistente e che traesse vantag- gio dalle forti radiazioni solari. Lo studio SL Rasch sviluppò un prototipo di 5 x 5 mq di ombrelli ad apertura quadrango- lare con sviluppo ad imbuto della tela di copertura. La struttura è composta da bracci pie- ghevoli fatti da profili in alluminio estru- so e rivestiti nella parte superiore da 12 celle fotovoltaiche, che immagazzinano l’energia necessaria per la loro apertu- ra e chiusura conivogliandola all’inten- ro dell’allbero. Se non fosse sufficiente esisono delle batterie di riserva. Il mo- tore che controlla l’apertura e la chiusu- ra può essere anche telecomandato a 104 d. 104 a.b.c.d. Se- quenza delle fasi di apertura del prototipo per la moschea della Mecca 104 c 104 b 104 a
  • 80. 80 distanza. In caso di forti venti superiori ai 12 m/sec un anenometro posto sulla cima di ogni albero li chiude automati- camente. Gli ombrelli dovevano essere collocati sopra alle colonne della hall di preghiera della moschea e i loro 5 metri di espansione riprendevano la larghez- za delle campate. La combinazione di più esemplari aperti avrebbe creato un tetto di 5 metri di altezza con una serie di fessure a losanga tra le membrane degli ombrelli accostati, per la circola- zione dell’aria. L’ombrello tipo pesava 240 kg e due se- rie da 12 prototipi in scala, diversi per disposzione, fissaggio e tipo di mem- brana, vennero realizzati nel 1987 per essere testati per sei mesi nel clima de- sertico in diverse località sulle rive del Mar Rosso durante il 1989. Vennero fatte oltre 40000 prove consecutive di apertura e chiusura per riprodurre l’u- tilizzo tipo che se ne sarebbe fatto du- rante l’arco di 30 anni, per controllare le reistenze di batterie, motori, compo- nenti meccanici e della membrana in seguito ai continui stress di conversio- ne in presenza di vento, sabbia e ca- lore. I prototipo passarono la prova e il migliore fu quello realizzato in membra- na PTFE. 107 Sequenza delle fasi di aper- tura del protoripo per la mochea di Medina, durante i test a Stoccarda nel 1988 107 106 Particolare dei bracci biforcu- ti su un modello realizzato in scala 1:20 106 105 Schema del tipo di piegamen- to dei bracci 105 108 Pianta del- la copertura dell’ ombrello della co- pertura della mo- schea di Medina 109 Prospetto dell’ ombrello del- la copertura della moschea di Me- dina
  • 81. 81 Il cliente però decise per altre soluzioni, nonostante ciò questi prototipi costitui- rono un esempio base costruttivo per altre coperture ad ombrello progettate successivamente, tra cui le coperture per la Moschea del Profeta a Medina, ancora del gruppo SL Rasch. Anche in questo caso vennero prima sviluppati e testati dei prototipi in acciaio aventi un raggio di 10 metri con sviluppo a im- buto ad area quadrangolare e settori a membrana con terminazioni curve in un nuovo tipo di tessuto, il Teflon. Il parti- colare sistema di bracci pieghevoli du- rante le fasi di estensione del tessuto di copertura si piegavano verso l’alto così da raggiungere un’altezza massima di 12 metri, rispetto ai 9 quando chiusa. La loro caratteristica principale è però il fatto che si tratta di bracci biforcuti nella loro seconda porzione, così da avere solo 8 punti di aggancio all’albero rispetto ai 16 punti di sospensione della membrana. La moschea di Medina venne allarga- ta tra il 1984 e il 1994 e le nuove co- struzioni, insieme alla preesistente sto- riche, formano due nuove grandi corti adiacenti interne, ognuna di 55 m x 37 m. Era allora necessaria una copertura che riparasse lo spazio dalla forte ra- diazione, rispettasse la religiosità del 108 109
  • 82. 82 111. Vista dall’in- terno della corte della moschea di Medina con gli ombrelli aperti 111 110. Vista aerea delle coperture aombrello delle due corti della moschea di Me- dina 110
  • 83. 83 ottone laccato e in pietre artificiali. Il basamento, l’albero e i bracci di ogni struttura sono realizzati in in acciaio ad alta resistenza e la loro forma è stata determinata tramite alcuni test elabo- rati al computer con software specia- lizzati ed altre prove reali nella galleria del vento, con una velocità di spinta massima di 155 km/h, sia da aperti che da chiusi. Come per i prototipi per la moschea della Mecca, anche questi ombrelli sono dotati di un anemometro posto in sommità, che manda dei se- gnali di immediata chiusura al motore nel caso il vento superasse i 36 hm/h. Il movimento dei raggi che sostengo- no e estendono la membrana è simile al movimento di un comune ombrello da pioggia, ma al contrario: la sezione superiore dell’albero è spinta verso il basso spingengo ed aprendo le braccia verso l’esterno, fino al punto di maggior tensione della copertura. Particolare attenzione è stata fatta al suo aspetto anche in configurazione chiusa. Du- rante la chiusura il ripiegamento della membrana è affidato a piccole linguette in fibra di carbonio poste lungo i bracci diagonali e a una sottostruttura di asti- ne e perni collegati ai bracci principa- li, che, con un’azione di spinta verso il luogo e non intaccasse le pareti della moschea. Inoltre, la tipologia ad om- brello, permetteva, da un lato, in confi- gurazione aperta, di controllare il micro- clima interno, e dall’altro conservava il carattere di spazio a cielo aperto della corte, fornendo un tipo di copertura non permanente. Bodo Rasch, insieme ai colleghi, finì il progetto degli effettivi ombrelli, che vennero poi utilizzati, nel 1992. All’inter- no della grande corte sono posti dodici ombrell retrattili, con forma a imbuto, di 17 m x 18 m di apertura, divisi in due gruppi da 6. Le loro misure furono stu- diate apposta in proporzione co quelle della corte. La loro altezza, da chiusi, è di 19.2 metri, mentre in configurazio- ne aperta, diventa di 14. Ognuno copre un’area di 306 mq e in totale, in 12, una superficie di 3672 mq. Il parasole è formato in tutto da 12 bracci a sbalzo, di cui 4 diagonali lunghi, aventi ognu- no due aste passive soprasaldate, e 8 centrali, di medie dimendioni. Gli alberi degli ombrelli sono realizzati come delle colonne e riprendono le de- corazioni, tipiche della cultura islamica, della moschea. Il nucleo in acciaio è ricoperto da un rivestimento in marmo, adornato sui capitelli con decorazioni in