1. Reato in bacheca su Facebook.
I social networks, oramai, sono quotidianamente presenti nelle aule di
tribunale.
La Cassazione, di recente, ha fornite diverse pronunce relativamente
ad i reati di ingiuria e diffamazione, a mezzo Facebook.
Gli Ermellini, in particolare, si sono pronunciati sulla configurabilità
di tali fattispecie laddove i soggetti, non siano direttamente riconoscibili,
ovvero, nel caso in cui non si faccia palese riferimento ad un nominativo.
Secondo i giudici di legittimità, riferimenti a qualifiche, attività o
status precisi, da cui si possa agevolmente identificare l'oggetto delle
invettive, è bastevole per integrare i reati in commento.
Attenzione quindi a commenti inerenti l'amico del cuore, l'ex di turno,
o il collega di studio. Per i giudici, infatti, è passibile di condanna per
diffamazione colui che pubblica sul proprio profilo Facebook giudizi
"poco lusinghieri" su una persona identificabile anche se a leggere è una
ristretta cerchia di iscritti.
Per la giurisprudenza l'individuazione del soggetto passivo deve
avvenire attraverso la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate,
oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali.
Assoluta rilevanza assume il significato delle parole, essendo
sufficiente che l'agente faccia uso di espressioni socialmente interpretabili
come offensive.
Avv. Alessandro Gammieri