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Qualcosa traspare subito, appena lo incontri, come una genuina e friz-
zante gioia interiore che ti giunge dal suo sguardo vivissimo nonostan-
te le tante primavere. Bisogna però conoscerlo per capire cos’è che
muove da quell’uomo e da dove arriva l’energia che trasmette.
Benito, già il suo nome lo colloca in un certo periodo storico, Mel-
chionna è un cognome dell’Irpinia, la terra del lupo che, non per caso,
compare sul suo curioso biglietto da visita. Me lo porge alla mia richie-
sta di poterlo incontrare di nuovo, dopo quel primo fugace incontro
in un bar del centro, organizzato dalla comune amica Anita Lazzaroni
Betelli. Sotto al suo nome è scritto magistrato e scrittore. Sempre
sul suo biglietto da visita, a sinistra, sulla coda di un maestoso lupo si
legge “Venus et Mars”, bellezza e coraggio. C’è n’è fin troppo per non
incuriosirmi.
In lui convivono uomini diversi, esistenze parallele legate da un filo
conduttore che ha un suo inizio…
Nel soggiorno dove mi accoglie ci sono le foto delle tre figlie e dei
nipoti di cui va orgogliosissimo. In primo piano l’amatissima moglie
che è passata ad altra vita solo un anno fa e alla quale ha dedicato la
sua intensa ultima poesia, l’ultima che ha composto. Mi porge quasi
timidamente il foglio. La leggo ad alta voce.A me viene la pelle d’oca,
a lui i lucciconi.
ì
Nel claustrale silenzio
si dilata il tempo ignudo
prigioniero di straziate sirene
e di cupi rintocchi
presagio di coronavirus
e di morte
Si dissolve un mondo
costruito da vecchi padri
derubati del crepuscolo
e di un’ultima carezza
ai confini del dies irae.
Cuori pesanti di vuoto
prosciugano lacrime di pietà
trafitte da fessure di luce
nel fragile stupore del dolore.
Incurante procede primavera
e nega i suoi tripudi
all’abbraccio degli amanti
e all’allegrezza dei bimbi.
Sulla Mole adriana tornerà
nel fodero la spada
dell’arcangelo Michele
ad annunciare la sconfitta
della pestilenza oscura.
Sonderò nuove strade
per immergermi e fermarmi
dentro le cose semplici
come l’amore.
Mi alzerò con Abramo
a contare le stelle
per congiungermi
alla più bella di nome Wanda
“Cerco di esprimere una tensio-
ne verso l’infinito, verso ciò che
trascende la nostra esperienza
di vita, comunque modesta e
frammentata, anche se dura
cento anni. È il nostro “partico-
lare” che si congiunge all’uni-
versale. È dedicata ai morti da
Covid-19 e soprattutto a mia
moglie come mia musa, ormai
avvolta nell’assoluto e
interiorizzata come simbolo
di gioia e di energia”.
L’ARCANGELO MICHELE E ABRAMO
GIUDICE PER UNA PROFEZIA
POETA PER AMORE
BENITO MELCHIONNA
ILVOLUME IN CUI È INSERITA
LA POESIA QUI A SINISTRA
Quando vi siete conosciuti?
“A Roma nel ’62 quando scrissi la mia prima poesia per lei.A Wan-
da e ai nostri rami fecondi. Rami felici. E lo sono stati: tre figlie, sette
nipoti, ora ancora di più uniti in un cerchio d’amore ogni giorno
vivificato dalla sua presenza che splende nella luce del creato”.
Benito è stato postulante monaco benedettino, guardia carceraria
e infine giudice. Oggi, una vita di studio e tantissime esperienze
vissute, lo portano a scrivere. E lo fa in maniera eclettica con stile
elegante che arriva direttamente al cuore e alla mente. Ha scritto
poesie, sceneggiature teatrali, saggi giuridici e, in tempi non sospetti,
un volume filosofico intitolato “Sanità Malata” dove pronosticava
con lucidità quello che poi ci è accaduto.Ha all’attivo libri sulla tutela
dell’ambiente, per i quali venne soprannominato il PretoreVerde e
per queste opere venne premiato nel 2000 alla Feria internazionale
del libro di Cuba e con il premio nazionale Montefeltro di saggistica
ambientale. Ha scritto anche sul diritto, sulla costituzione, sulla sicu-
rezza. È c’è n’è per tutti. Non risparmia politici, docenti, neppure la
magistratura, in cui è stato immerso per una vita. Infatti sa bene che
molti pensano che nei Tribunali spesso “si amministra il diritto con
ben poca giustizia”.
La sua più conosciuta fatica letteraria è la pièce teatrale “Processo
al Caravaggio”, rappresentata con successo in diversi teatri storici,
dalTeatro Sociale di Bergamo nel 2010
e poi al Vittoriale di Gardone Riviera, al
San Domenico di Crema… Altra opera
di grande respiro culturale è il saggio
dal coraggioso titolo “Elogio della tra-
sgressione”,che ha suscitato interesse di
critica e di pubblico anche perché della
trasgressione ne scrive un ex fraticello,
un ex secondino ed un ex giudice ai
vertici della Magistratura. Trasgredire
però non vuol dire violare le regole,ma
il termine va inteso in senso letterale
come superamento delle convenzioni
stupide. Di solito stiamo alla larga dai
magistrati, che a nostro avviso non do-
vrebbero essere troppo mediatici ed
esposti, ma per lui abbiamo trasgredito
anche noi.
Quindi la zingara aveva visto giusto… Alla fine è diventato
un giudice.
“La mia vera vocazione era diventare critico d’arte. Sono amante
nel profondo della vita e dell’arte perché la mia, come ogni vita, è
sacra, quindi intangibile. Capita però che ci siano vite più complesse
rispetto ad altre. La mia ha avuto un itinerario intenso, molto labo-
rioso e con tante conquiste. Sono nato in Irpinia, vicino ad Avellino,
in una famiglia povera ma ricca di dieci figli e dell’amore sconfinato
di una madre eccezionale.Vivevamo in un paesello, Castel Baronia,
di pochi abitanti, dove ho trascorso i primi anni di vita e dove poi
nel 2011 sono stato ufficialmente annoverato tra i cittadini più illu-
stri.Terra di umori antichi, tra docili declivi cullati da distese di ulivi
a circa 700 metri sul mare. È di una bellezza straordinaria con un
cielo terso e infinito, dove si avvertono le atmosfere del Tirreno e
dell’Adriatico.
Se nasci lì hai la poesia dentro.Anche i contadini di quelle parti sono
forse un po’ rozzi ma sentono la poesia come istinto. E hanno un
senso del diritto e della giustizia molto spiccati con radici arcaiche…
Cristianesimo sì, però coniugato in maniera flessibile, in un sincreti-
smo profano e religioso.
Lì non c’era nessuna chance e il mio destino sarebbe stato diventare
un lavorante subalterno. Invece la maestra mi trovava molto vivace,
diceva “con una grande energia dentro”. Così hanno pensato bene,
per darmi una buona educazione, di spedirmi in convento, prima al
Monastero benedettino di Nemi a sud di Roma e poi alla famosa
Abbazia benedettina di Monte Oliveto Maggiore”.
Per studiare?
“Per poter proseguire negli studi a condizione di avere una vocazio-
ne religiosa. Un mio zio di Napoli si prestò di versare l’obolo per il
mio mantenimento al convento con la promessa di una vocazione.
Lì ho studiato teologia e penso sia stato questo il mio valore ag-
giunto, anche come giudice. La teologia ti fa riflettere sulla caducità
delle cose umane per vederle in una prospettiva non contingente.
L’Abbazia olivetana, risalente al 1300, si trova tra le Crete senesi,
patrimonio dell’umanità come i vicini calanchi dellaVal d’Orcia.
Vivevamo isolati dal mondo in clausura, i professori erano tutti
monaci, quindi latino, greco e canto gregoriano dal mattutino al
vespro in dosi massicce. Lì ho anche imparato a fare il miniaturista
perché i frati si dedicavano al recupe-
ro e alla conservazione dei palinsesti e
degli incunaboli medievali dove in cima
alla pagina, al capolettera, c’è la chiosa
rossa e la miniatura. Ho appreso così il
gusto per i piccoli particolari.È una cosa
in cui credo molto: se non guardi una
persona nei dettagli, non senti emozioni
e sarà sempre una conoscenza superfi-
ciale, vuota. Mentre nel dettaglio, come
si dice, si nascondono sia il diavolo sia
l’arcano della bellezza. Sono stato in
convento fino al primo anno di novizia-
to, durante il quale, oltre alla clausura,
bisognava rispettare il voto del silenzio
e fare promessa di obbedienza, di po-
vertà, di castità…
Quando avrei dovuto fare quella grande promessa, ho lasciato il
convento e sono tornato a Napoli dallo zio che mi tenne con lui
perché gli facevo da babysitter.
A diciassette anni chiesi di arruolarmi nelle guardie carcerarie e
fui assegnato a Milano, a San Vittore, dove mi ritrovai a fare i turni
di guardia sulle torrette. Ero terrorizzato in mezzo alla nebbia…
Esperienza terribile.Tremila detenuti,l’universo degli ultimi,un mon-
do segregato, dimenticato da tutti.Tra l’altro ho avuto un’avventura
che per poco non finiva male e invece, per me, si rivelò fortunata.
Per poter studiare la sera nella semi buia camerata, mi ero fatto
collegare, da un detenuto elettricista, una piccola abat-jour. Era il ’56
ed io, uscito dal convento, non avevo nessun titolo di studio e do-
vetti rifare gli esami delle elementari e delle medie per poi potermi
infine iscrivere a un Liceo classico serale messo a disposizione dal
Comune di Milano.
Una notte, un brigadiere un po’ carogna, mi sorprese con la luce
accesa e mi accusò di rubare elettricità allo Stato.
Fece rapporto al direttore che mi disse che avrebbe dovuto denun-
ciarmi. Mi difesi dicendo che stavo studiando perché volevo diventare un magistrato. Era solo la profezia rivolta da una zingara a
mia madre “incredula” che mi teneva bimbetto in braccio al mercato. Però questa confidenza mi era rimasta dentro. Il direttore mi
prese in simpatia, mi trasferì nella sua segreteria come dattilografo e mi assegnò una stanzetta tutta per me dove potevo concen-
trarmi nello studio.... matto e disperato”.
Dal convento al carcere…
“All’esame di maturità mi presentai come privatista ed ebbi la fortuna di avere, nelle vesti di Presidente della Commissione, Carlo
Bo,personaggio già carico di gloria,Rettore alla storica Università di Urbino,diventato poi Senatore a vita.Alla prova orale sembrava
di essere davanti ad un plotone d’esecuzione e si sapeva che i privatisti erano considerati avventurieri e non venivano quasi mai
promossi. Arrivai davanti al primo esaminatore, quello di italiano. Mi chiese cosa facessi nella vita. Risposi che ero una guardia car-
ceraria e che volevo diventare magistrato.Mi derise con l’aria di chi pensa di avere davanti un cialtrone.Rincarò la dose sostenendo
di essere certo che il mio tema fosse stato copiato. Era un tema sul Foscolo, su cui ero preparatissimo, componimento al quale
avevo aggiunto qualche considerazione personale.
A questo punto, il professore che mi stava esaminando, aprì a caso la Divina Commedia
chiedendomi di leggerne una terzina:“dove siamo - mi incalzò - spiegami perché a questo
punto Dante…”. Io sapevo quasi tutto della Divina Commedia, grazie agli anni in conven-
to, per cui risposi in modo ineccepibile. Lui si arrabbiò perché probabilmente sapevo fin
troppo. Essendosi però bloccata con me la fila degli studenti che dovevano proseguire
l’esame, il presidente Bo venne a verificare cosa stesse accadendo. Il professore gli confidò
il sospetto del tema copiato.Bo prese in mano il mio scritto e lo lesse:ricordo quella come
la prova più difficile della mia vita, anche perché allora si poteva accedere alla facoltà di
Giurisprudenza solo con il diploma di maturità classica. Il presidente venne a sedersi vicino
a noi dicendo che il tema era originalissimo e che voleva conoscere meglio chi lo aveva
scritto. Mi pose qualche domanda sulla poetica di Gabriele D’Annunzio, che io adoravo per
la mia stessa attenzione alla musicalità della parola, il verbo divino che si incarna nell’uomo
come dice l’incipit delVangelo di Giovanni. Il professore invece detestava il Vate, come gran
parte degli intellettuali dell’epoca, che lo ritenevano solo un becero politicante. Bo mise
un nove sul tema, eliminando il punto interrogativo che vi aveva apposto quel razzista
del professore di italiano, lasciandolo con un palmo di naso. Gli altri esaminatori, visto il
blocco della fila, avevano assistito alla scena e non mi tartassarono.Venni però rimandato
in matematica e fisica, un miracolo per un privatista. Dopo due mesi a settembre venni
promosso probabilmente per le mie doti letterarie apprezzate dal grande Bo. Il quale, per
una di quelle misteriose pieghe della storia, qualche decennio dopo mi chiamò a Urbino
per affidarmi l’insegnamento universitario di diritto ambientale e di diritto costituzionale.
Intanto mio fratello Pino, anche lui guardia carceraria, era l’autista del Presidente di Cassa-
zione, eccellenza Ugo Pioletti, che mi volle conoscere. Mi fece trasferire a Roma al Massi-
mario. Lì mi sono iscritto a Giurisprudenza e ho conosciuto mia moglie che era di Roma.
Fu per lei che diventai poeta e scrissi la mia prima poesia, alla quale seguirono molte altre.
Wanda era una ragazza di buona famiglia, di animo gentile e arguto, elegante nei modi,
dolcissima mater mediterranea. Diplomata con il massimo dei voti al LiceoVirgilio di Roma
e poi laureata in Giurisprudenza alla Sapienza con 110 e lode”.
“Ci eravamo incontrati al concorso al Ministero delTurismo l’8 maggio del‘62,data rimasta
storica per noi. Poi siamo stati sposi per 54 anni, in simbiosi perfetta viaggiando attraverso
mezzo mondo per scrutare con curiosità il bello della natura e le suggestioni dell’arte.
Nel ’67 superai il concorso in Magistratura e fui assegnato come uditore alla Procura di
Roma , con il noto P.M. Claudio Vitalone, allora molto legato al mitico Giulio Andreotti”.
Insomma un bell’ambientino, ancor prima dell’inquietante “Sistema” Palamara.
Benito Melchionna, di origine irpina, naturalizzato
romano e poi bergamasco, ha percorso l’intera
carriera di magistrato, con l’attribuzione del grado di
procuratore generale aggiunto della Corte di Cassa-
zione, dopo aver svolto le funzioni di giudice istruttore
alTribunale di Bergamo, di pretore dirigente (curando
in particolare inchieste in tema di salvaguardia dei
beni ambientali) e di procuratore della Repubblica a
Crema, la cui amministrazione comunale, a ricono-
scimento dell’attività svolta, nell’anno 2008, gli ha
consegnato le “chiavi della città”.
In qualità di giudice istruttore penale alTribunale di
Bergamo, nel corso degli anni ’70, seguì con successo
numerose inchieste concernenti il contrasto alla crimi-
nalità eversiva e organizzata, con particolare riguardo
alle imprese criminali di “Prima linea”.
Ha insegnato e insegna in diverse Università in Italia
e all’estero, nelle materie di diritto ambientale e
costituzionale.
Ha pubblicato raccolte di poesie e numerosi saggi
sulla più varia attualità del diritto, approfondendo in
particolare i temi ambientali e le questioni relative
alla bioetica, alla responsabilità professionale, alla
sicurezza e alla educazione scolastica. Nell’agosto
2011 la Giunta comunale di Castel Baronia gli ha
attribuito un “attestato di benemerenza” per avere
particolarmente illustrato il paese natale e il genio
d’Irpinia con la sua poliedrica attività di magistrato,
di docente universitario, di saggista e di poeta.
È stato consulente della Commissione bicamerale sul
ciclo dei rifiuti ed esperto del Comitato economico e
sociale (CESE) dell’Unione europea in Bruxelles
Attualement spiega la legalità nelle scuole e svolge le
funzioni di Presidente di diversi Organismi diVigilanza
in istituzioni pubbliche e private.
VERSO IL CIELO
Antico mio respiro
ti nutriva la bellezza di Arcadia
già quando al cielo salivano
melodiosi i canti
dei miei boschi appassionati.
Anche nei tuoi occhi
correva chiaro il fiume
di corpo aulente
di sogni di ginestre
specchio di veli impossibili
E oggi...
le ninfe dei miei monti
nelle anse ti portano
dei venti voluttuosi.
Del mio dolore la creazione
e smarrimento e incanto
e sete immensa
di annullamento nella tua freschezza
tremante.
LA PRIMA POESIA COMPOSTA PER LA
DONNA CHE DIVENTERÀ SUA MOGLIE
GIUGNO 1962
L’intervista prosegue a pagina 78
BENITO
MELCHIONNA
GIUDICE
PER UNA
PROFEZIA
POETA PER
AMORE
“Infatti non mi dispiacque più di tanto quando venni mandato a fare il Pretore a Crema, la cui
Amministrazione molti anni dopo, nel 2008, mi avrebbe donato per riconoscenza le “Chiavi
della città”. In quello storico splendido centro ebbi l’opportunità di rafforzare la mia vocazione
per la difesa dell’ambiente e mi chiamarono il Pretore verde perché iniziai ad indirizzare la giu-
risprudenza verso la tutela dell’ecosistema e della biodiversità. Per questo mio forte impegno
professionale, nel 1992 fui chiamato a partecipare, al primo Summit ONU sullaTerra, tenutosi
a Rio de Janeiro,dove diedi il mio contributo a definire il fortunato concetto di “sviluppo sosteni-
bile”. Dei crimini contro l’ambiente, allora non ne parlava ancora nessuno. Non c’erano norme
e io, come Magistrato, interpretavo in maniera “evolutiva” le leggi sulla tutela della ittiofauna
per proteggere anzitutto la specie umana. Solo nel ’76 arrivò la legge Merli in materia di tutela
delle acque, prima non c’era nulla.
Mia moglie, che nel frattempo era ispettore delle poste a Roma, volendosi avvicinare, chiese il
trasferimento a Bergamo, città nella quale riuscii a trasferirmi anch’io nel 1970.
Si sviluppò subito il mio amore per questa città di cui ho conosciuto anche i sassi.
Qui sono nate le mie tre figlie che mia moglie, anche rinunciando alla sua importante carriera,
ha cresciuto e forgiato a sua immagine, educandole al rispetto per gli atri, al sentimento etico,
alla correttezza verso il prossimo.
In quegli anni, nelle funzioni di giudice istruttore al Tribunale di Bergamo, curai le indagini di
alcuni sequestri di persona e poi feci la mia parte nel periodo del terrorismo con l’esperienza
di Prima Linea che, grazie alla legge sui pentiti, riuscimmo a smantellare e arrivare al processo
con oltre 100 imputati a vario titolo”.
Veniamo più vicini… Cosa lo ha spinto a scrivere l’Elogio della trasgressione?
“È stata un’esperienza fantastica che ho condiviso con sei promettenti studenti liceali,cercando
di stimolare in loro il dissenso responsabile, attraverso l’analisi su come l’evoluzione della storia
dovrebbe affrancarci dalle convenzioni stupide.Volevo trasmettere l’esortazione a non seguire
il gregge ma a ragionare con la propria testa anche se ciò costa impegno e si diventa scomodi.
Per questo i grandi innovatori della storia di solito sono considerati eversivi e finiscono male,
vedi Socrate, Gesù Cristo, Giordano Bruno, Gandhi… Nel mio ultimo saggio “Cittadinanza e Costi-
tuzione”, che con spirito di volontariato illustro agli studenti per cercare di sconfiggere la po-
vertà educativa, riporto la lettera indirizzata a Corrado Augias da un professore, iI quale ricorda
che il primo giorno di scuola chiese ai propri allievi a che cosa servisse andare a scuola. “La
scuola serve per evadere dal carcere - disse il professore. L’ignoranza è un carcere.Vi vogliono
tenere all’ergastolo degli stupidi e se non salterete il muro dell’ignoranza sarete sempre dei
prigionieri.
Non bisogna aver paura di trasgredire se questo implica la ricerca della verità”.
Cosa c’è nel nostro futuro?
“Purtroppo la nostra civiltà occidentale post-globale è in declino.Abbiamo usato troppo e male
i beni della natura, abbracciando il concetto materialistico che prevede anche lo scarto umano
degli ultimi.C’è una grande mancanza di ordine e di responsabilità perché si ritiene che la liber-
tà consista nel fare ciò che si vuole. È nato e si è sviluppato un neoliberismo che ha prodotto
l’individualismo autocentrante, una malvagia indifferenza che mette in secondo piano la fratel-
lanza, la solidarietà e il bene comune, che invece, come sosteneva Tommaso d’Aquino, devono
essere il centro dello Stato e di ogni comunità.Ha prevalso la logica che colloca l’individuo den-
tro l’arroganza che rischia di farci perdere l’appartenenza, l’identità collettiva. Persona significa
relazione e tutto deve essere finalizzato all’interesse generale, dal quale abbiamo tutela, non
limitazione. Se vogliamo un futuro migliore è su questo che dobbiamo invertire la tendenza.
La pandemia da Covdi-19 ha messo l’uomo tecnologico, trasformatosi da sapiens a creator al
posto di Dio, di fronte alla propria estrema fragilità. Questa consapevolezza può forse far ben
sperare in una nuova spiritualità in grado di traghettare l’umanità nella transizione verso sorti
progressive.
Intanto, per illustrare e diffondere questi scenari futuri, oltre che nelle sedi istituzionali sco-
lastiche, prossimamente avrò anche il piacere di essere ospite di alcuni prestigiosi organismi
culturali del Principato di Monaco.
Ci congediamo da Benito con un grazie per l’avvincente racconto di alcuni sapidi spaccati della
sua vita “trasgressiva”. Con la certezza che un uomo così ha ancora… un grande avvenire
dietro le spalle, tanto per citare Vittorio Gassman.
BENITO MELCHIONNA GIUDICE
PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE
ALCUNI DEI LIBRI SCRITTI
DA BENITO MELCHIONNA
benitomel38@gmail.com

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Giudice per una profezia, poeta per amore, mentore (per mia scelta personale)

  • 1. Qualcosa traspare subito, appena lo incontri, come una genuina e friz- zante gioia interiore che ti giunge dal suo sguardo vivissimo nonostan- te le tante primavere. Bisogna però conoscerlo per capire cos’è che muove da quell’uomo e da dove arriva l’energia che trasmette. Benito, già il suo nome lo colloca in un certo periodo storico, Mel- chionna è un cognome dell’Irpinia, la terra del lupo che, non per caso, compare sul suo curioso biglietto da visita. Me lo porge alla mia richie- sta di poterlo incontrare di nuovo, dopo quel primo fugace incontro in un bar del centro, organizzato dalla comune amica Anita Lazzaroni Betelli. Sotto al suo nome è scritto magistrato e scrittore. Sempre sul suo biglietto da visita, a sinistra, sulla coda di un maestoso lupo si legge “Venus et Mars”, bellezza e coraggio. C’è n’è fin troppo per non incuriosirmi. In lui convivono uomini diversi, esistenze parallele legate da un filo conduttore che ha un suo inizio… Nel soggiorno dove mi accoglie ci sono le foto delle tre figlie e dei nipoti di cui va orgogliosissimo. In primo piano l’amatissima moglie che è passata ad altra vita solo un anno fa e alla quale ha dedicato la sua intensa ultima poesia, l’ultima che ha composto. Mi porge quasi timidamente il foglio. La leggo ad alta voce.A me viene la pelle d’oca, a lui i lucciconi. ì Nel claustrale silenzio si dilata il tempo ignudo prigioniero di straziate sirene e di cupi rintocchi presagio di coronavirus e di morte Si dissolve un mondo costruito da vecchi padri derubati del crepuscolo e di un’ultima carezza ai confini del dies irae. Cuori pesanti di vuoto prosciugano lacrime di pietà trafitte da fessure di luce nel fragile stupore del dolore. Incurante procede primavera e nega i suoi tripudi all’abbraccio degli amanti e all’allegrezza dei bimbi. Sulla Mole adriana tornerà nel fodero la spada dell’arcangelo Michele ad annunciare la sconfitta della pestilenza oscura. Sonderò nuove strade per immergermi e fermarmi dentro le cose semplici come l’amore. Mi alzerò con Abramo a contare le stelle per congiungermi alla più bella di nome Wanda “Cerco di esprimere una tensio- ne verso l’infinito, verso ciò che trascende la nostra esperienza di vita, comunque modesta e frammentata, anche se dura cento anni. È il nostro “partico- lare” che si congiunge all’uni- versale. È dedicata ai morti da Covid-19 e soprattutto a mia moglie come mia musa, ormai avvolta nell’assoluto e interiorizzata come simbolo di gioia e di energia”. L’ARCANGELO MICHELE E ABRAMO GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE BENITO MELCHIONNA ILVOLUME IN CUI È INSERITA LA POESIA QUI A SINISTRA
  • 2. Quando vi siete conosciuti? “A Roma nel ’62 quando scrissi la mia prima poesia per lei.A Wan- da e ai nostri rami fecondi. Rami felici. E lo sono stati: tre figlie, sette nipoti, ora ancora di più uniti in un cerchio d’amore ogni giorno vivificato dalla sua presenza che splende nella luce del creato”. Benito è stato postulante monaco benedettino, guardia carceraria e infine giudice. Oggi, una vita di studio e tantissime esperienze vissute, lo portano a scrivere. E lo fa in maniera eclettica con stile elegante che arriva direttamente al cuore e alla mente. Ha scritto poesie, sceneggiature teatrali, saggi giuridici e, in tempi non sospetti, un volume filosofico intitolato “Sanità Malata” dove pronosticava con lucidità quello che poi ci è accaduto.Ha all’attivo libri sulla tutela dell’ambiente, per i quali venne soprannominato il PretoreVerde e per queste opere venne premiato nel 2000 alla Feria internazionale del libro di Cuba e con il premio nazionale Montefeltro di saggistica ambientale. Ha scritto anche sul diritto, sulla costituzione, sulla sicu- rezza. È c’è n’è per tutti. Non risparmia politici, docenti, neppure la magistratura, in cui è stato immerso per una vita. Infatti sa bene che molti pensano che nei Tribunali spesso “si amministra il diritto con ben poca giustizia”. La sua più conosciuta fatica letteraria è la pièce teatrale “Processo al Caravaggio”, rappresentata con successo in diversi teatri storici, dalTeatro Sociale di Bergamo nel 2010 e poi al Vittoriale di Gardone Riviera, al San Domenico di Crema… Altra opera di grande respiro culturale è il saggio dal coraggioso titolo “Elogio della tra- sgressione”,che ha suscitato interesse di critica e di pubblico anche perché della trasgressione ne scrive un ex fraticello, un ex secondino ed un ex giudice ai vertici della Magistratura. Trasgredire però non vuol dire violare le regole,ma il termine va inteso in senso letterale come superamento delle convenzioni stupide. Di solito stiamo alla larga dai magistrati, che a nostro avviso non do- vrebbero essere troppo mediatici ed esposti, ma per lui abbiamo trasgredito anche noi. Quindi la zingara aveva visto giusto… Alla fine è diventato un giudice. “La mia vera vocazione era diventare critico d’arte. Sono amante nel profondo della vita e dell’arte perché la mia, come ogni vita, è sacra, quindi intangibile. Capita però che ci siano vite più complesse rispetto ad altre. La mia ha avuto un itinerario intenso, molto labo- rioso e con tante conquiste. Sono nato in Irpinia, vicino ad Avellino, in una famiglia povera ma ricca di dieci figli e dell’amore sconfinato di una madre eccezionale.Vivevamo in un paesello, Castel Baronia, di pochi abitanti, dove ho trascorso i primi anni di vita e dove poi nel 2011 sono stato ufficialmente annoverato tra i cittadini più illu- stri.Terra di umori antichi, tra docili declivi cullati da distese di ulivi a circa 700 metri sul mare. È di una bellezza straordinaria con un cielo terso e infinito, dove si avvertono le atmosfere del Tirreno e dell’Adriatico. Se nasci lì hai la poesia dentro.Anche i contadini di quelle parti sono forse un po’ rozzi ma sentono la poesia come istinto. E hanno un senso del diritto e della giustizia molto spiccati con radici arcaiche… Cristianesimo sì, però coniugato in maniera flessibile, in un sincreti- smo profano e religioso. Lì non c’era nessuna chance e il mio destino sarebbe stato diventare un lavorante subalterno. Invece la maestra mi trovava molto vivace, diceva “con una grande energia dentro”. Così hanno pensato bene, per darmi una buona educazione, di spedirmi in convento, prima al Monastero benedettino di Nemi a sud di Roma e poi alla famosa Abbazia benedettina di Monte Oliveto Maggiore”. Per studiare? “Per poter proseguire negli studi a condizione di avere una vocazio- ne religiosa. Un mio zio di Napoli si prestò di versare l’obolo per il mio mantenimento al convento con la promessa di una vocazione. Lì ho studiato teologia e penso sia stato questo il mio valore ag- giunto, anche come giudice. La teologia ti fa riflettere sulla caducità delle cose umane per vederle in una prospettiva non contingente. L’Abbazia olivetana, risalente al 1300, si trova tra le Crete senesi, patrimonio dell’umanità come i vicini calanchi dellaVal d’Orcia. Vivevamo isolati dal mondo in clausura, i professori erano tutti monaci, quindi latino, greco e canto gregoriano dal mattutino al vespro in dosi massicce. Lì ho anche imparato a fare il miniaturista perché i frati si dedicavano al recupe- ro e alla conservazione dei palinsesti e degli incunaboli medievali dove in cima alla pagina, al capolettera, c’è la chiosa rossa e la miniatura. Ho appreso così il gusto per i piccoli particolari.È una cosa in cui credo molto: se non guardi una persona nei dettagli, non senti emozioni e sarà sempre una conoscenza superfi- ciale, vuota. Mentre nel dettaglio, come si dice, si nascondono sia il diavolo sia l’arcano della bellezza. Sono stato in convento fino al primo anno di novizia- to, durante il quale, oltre alla clausura, bisognava rispettare il voto del silenzio e fare promessa di obbedienza, di po- vertà, di castità… Quando avrei dovuto fare quella grande promessa, ho lasciato il convento e sono tornato a Napoli dallo zio che mi tenne con lui perché gli facevo da babysitter. A diciassette anni chiesi di arruolarmi nelle guardie carcerarie e fui assegnato a Milano, a San Vittore, dove mi ritrovai a fare i turni di guardia sulle torrette. Ero terrorizzato in mezzo alla nebbia… Esperienza terribile.Tremila detenuti,l’universo degli ultimi,un mon- do segregato, dimenticato da tutti.Tra l’altro ho avuto un’avventura che per poco non finiva male e invece, per me, si rivelò fortunata. Per poter studiare la sera nella semi buia camerata, mi ero fatto collegare, da un detenuto elettricista, una piccola abat-jour. Era il ’56 ed io, uscito dal convento, non avevo nessun titolo di studio e do- vetti rifare gli esami delle elementari e delle medie per poi potermi infine iscrivere a un Liceo classico serale messo a disposizione dal Comune di Milano. Una notte, un brigadiere un po’ carogna, mi sorprese con la luce accesa e mi accusò di rubare elettricità allo Stato. Fece rapporto al direttore che mi disse che avrebbe dovuto denun- ciarmi. Mi difesi dicendo che stavo studiando perché volevo diventare un magistrato. Era solo la profezia rivolta da una zingara a mia madre “incredula” che mi teneva bimbetto in braccio al mercato. Però questa confidenza mi era rimasta dentro. Il direttore mi prese in simpatia, mi trasferì nella sua segreteria come dattilografo e mi assegnò una stanzetta tutta per me dove potevo concen- trarmi nello studio.... matto e disperato”. Dal convento al carcere… “All’esame di maturità mi presentai come privatista ed ebbi la fortuna di avere, nelle vesti di Presidente della Commissione, Carlo Bo,personaggio già carico di gloria,Rettore alla storica Università di Urbino,diventato poi Senatore a vita.Alla prova orale sembrava di essere davanti ad un plotone d’esecuzione e si sapeva che i privatisti erano considerati avventurieri e non venivano quasi mai promossi. Arrivai davanti al primo esaminatore, quello di italiano. Mi chiese cosa facessi nella vita. Risposi che ero una guardia car- ceraria e che volevo diventare magistrato.Mi derise con l’aria di chi pensa di avere davanti un cialtrone.Rincarò la dose sostenendo di essere certo che il mio tema fosse stato copiato. Era un tema sul Foscolo, su cui ero preparatissimo, componimento al quale avevo aggiunto qualche considerazione personale.
  • 3. A questo punto, il professore che mi stava esaminando, aprì a caso la Divina Commedia chiedendomi di leggerne una terzina:“dove siamo - mi incalzò - spiegami perché a questo punto Dante…”. Io sapevo quasi tutto della Divina Commedia, grazie agli anni in conven- to, per cui risposi in modo ineccepibile. Lui si arrabbiò perché probabilmente sapevo fin troppo. Essendosi però bloccata con me la fila degli studenti che dovevano proseguire l’esame, il presidente Bo venne a verificare cosa stesse accadendo. Il professore gli confidò il sospetto del tema copiato.Bo prese in mano il mio scritto e lo lesse:ricordo quella come la prova più difficile della mia vita, anche perché allora si poteva accedere alla facoltà di Giurisprudenza solo con il diploma di maturità classica. Il presidente venne a sedersi vicino a noi dicendo che il tema era originalissimo e che voleva conoscere meglio chi lo aveva scritto. Mi pose qualche domanda sulla poetica di Gabriele D’Annunzio, che io adoravo per la mia stessa attenzione alla musicalità della parola, il verbo divino che si incarna nell’uomo come dice l’incipit delVangelo di Giovanni. Il professore invece detestava il Vate, come gran parte degli intellettuali dell’epoca, che lo ritenevano solo un becero politicante. Bo mise un nove sul tema, eliminando il punto interrogativo che vi aveva apposto quel razzista del professore di italiano, lasciandolo con un palmo di naso. Gli altri esaminatori, visto il blocco della fila, avevano assistito alla scena e non mi tartassarono.Venni però rimandato in matematica e fisica, un miracolo per un privatista. Dopo due mesi a settembre venni promosso probabilmente per le mie doti letterarie apprezzate dal grande Bo. Il quale, per una di quelle misteriose pieghe della storia, qualche decennio dopo mi chiamò a Urbino per affidarmi l’insegnamento universitario di diritto ambientale e di diritto costituzionale. Intanto mio fratello Pino, anche lui guardia carceraria, era l’autista del Presidente di Cassa- zione, eccellenza Ugo Pioletti, che mi volle conoscere. Mi fece trasferire a Roma al Massi- mario. Lì mi sono iscritto a Giurisprudenza e ho conosciuto mia moglie che era di Roma. Fu per lei che diventai poeta e scrissi la mia prima poesia, alla quale seguirono molte altre. Wanda era una ragazza di buona famiglia, di animo gentile e arguto, elegante nei modi, dolcissima mater mediterranea. Diplomata con il massimo dei voti al LiceoVirgilio di Roma e poi laureata in Giurisprudenza alla Sapienza con 110 e lode”. “Ci eravamo incontrati al concorso al Ministero delTurismo l’8 maggio del‘62,data rimasta storica per noi. Poi siamo stati sposi per 54 anni, in simbiosi perfetta viaggiando attraverso mezzo mondo per scrutare con curiosità il bello della natura e le suggestioni dell’arte. Nel ’67 superai il concorso in Magistratura e fui assegnato come uditore alla Procura di Roma , con il noto P.M. Claudio Vitalone, allora molto legato al mitico Giulio Andreotti”. Insomma un bell’ambientino, ancor prima dell’inquietante “Sistema” Palamara. Benito Melchionna, di origine irpina, naturalizzato romano e poi bergamasco, ha percorso l’intera carriera di magistrato, con l’attribuzione del grado di procuratore generale aggiunto della Corte di Cassa- zione, dopo aver svolto le funzioni di giudice istruttore alTribunale di Bergamo, di pretore dirigente (curando in particolare inchieste in tema di salvaguardia dei beni ambientali) e di procuratore della Repubblica a Crema, la cui amministrazione comunale, a ricono- scimento dell’attività svolta, nell’anno 2008, gli ha consegnato le “chiavi della città”. In qualità di giudice istruttore penale alTribunale di Bergamo, nel corso degli anni ’70, seguì con successo numerose inchieste concernenti il contrasto alla crimi- nalità eversiva e organizzata, con particolare riguardo alle imprese criminali di “Prima linea”. Ha insegnato e insegna in diverse Università in Italia e all’estero, nelle materie di diritto ambientale e costituzionale. Ha pubblicato raccolte di poesie e numerosi saggi sulla più varia attualità del diritto, approfondendo in particolare i temi ambientali e le questioni relative alla bioetica, alla responsabilità professionale, alla sicurezza e alla educazione scolastica. Nell’agosto 2011 la Giunta comunale di Castel Baronia gli ha attribuito un “attestato di benemerenza” per avere particolarmente illustrato il paese natale e il genio d’Irpinia con la sua poliedrica attività di magistrato, di docente universitario, di saggista e di poeta. È stato consulente della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti ed esperto del Comitato economico e sociale (CESE) dell’Unione europea in Bruxelles Attualement spiega la legalità nelle scuole e svolge le funzioni di Presidente di diversi Organismi diVigilanza in istituzioni pubbliche e private. VERSO IL CIELO Antico mio respiro ti nutriva la bellezza di Arcadia già quando al cielo salivano melodiosi i canti dei miei boschi appassionati. Anche nei tuoi occhi correva chiaro il fiume di corpo aulente di sogni di ginestre specchio di veli impossibili E oggi... le ninfe dei miei monti nelle anse ti portano dei venti voluttuosi. Del mio dolore la creazione e smarrimento e incanto e sete immensa di annullamento nella tua freschezza tremante. LA PRIMA POESIA COMPOSTA PER LA DONNA CHE DIVENTERÀ SUA MOGLIE GIUGNO 1962 L’intervista prosegue a pagina 78 BENITO MELCHIONNA GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE “Infatti non mi dispiacque più di tanto quando venni mandato a fare il Pretore a Crema, la cui Amministrazione molti anni dopo, nel 2008, mi avrebbe donato per riconoscenza le “Chiavi della città”. In quello storico splendido centro ebbi l’opportunità di rafforzare la mia vocazione per la difesa dell’ambiente e mi chiamarono il Pretore verde perché iniziai ad indirizzare la giu- risprudenza verso la tutela dell’ecosistema e della biodiversità. Per questo mio forte impegno professionale, nel 1992 fui chiamato a partecipare, al primo Summit ONU sullaTerra, tenutosi a Rio de Janeiro,dove diedi il mio contributo a definire il fortunato concetto di “sviluppo sosteni- bile”. Dei crimini contro l’ambiente, allora non ne parlava ancora nessuno. Non c’erano norme e io, come Magistrato, interpretavo in maniera “evolutiva” le leggi sulla tutela della ittiofauna per proteggere anzitutto la specie umana. Solo nel ’76 arrivò la legge Merli in materia di tutela delle acque, prima non c’era nulla. Mia moglie, che nel frattempo era ispettore delle poste a Roma, volendosi avvicinare, chiese il trasferimento a Bergamo, città nella quale riuscii a trasferirmi anch’io nel 1970. Si sviluppò subito il mio amore per questa città di cui ho conosciuto anche i sassi. Qui sono nate le mie tre figlie che mia moglie, anche rinunciando alla sua importante carriera, ha cresciuto e forgiato a sua immagine, educandole al rispetto per gli atri, al sentimento etico, alla correttezza verso il prossimo. In quegli anni, nelle funzioni di giudice istruttore al Tribunale di Bergamo, curai le indagini di alcuni sequestri di persona e poi feci la mia parte nel periodo del terrorismo con l’esperienza di Prima Linea che, grazie alla legge sui pentiti, riuscimmo a smantellare e arrivare al processo con oltre 100 imputati a vario titolo”. Veniamo più vicini… Cosa lo ha spinto a scrivere l’Elogio della trasgressione? “È stata un’esperienza fantastica che ho condiviso con sei promettenti studenti liceali,cercando di stimolare in loro il dissenso responsabile, attraverso l’analisi su come l’evoluzione della storia dovrebbe affrancarci dalle convenzioni stupide.Volevo trasmettere l’esortazione a non seguire il gregge ma a ragionare con la propria testa anche se ciò costa impegno e si diventa scomodi. Per questo i grandi innovatori della storia di solito sono considerati eversivi e finiscono male, vedi Socrate, Gesù Cristo, Giordano Bruno, Gandhi… Nel mio ultimo saggio “Cittadinanza e Costi- tuzione”, che con spirito di volontariato illustro agli studenti per cercare di sconfiggere la po- vertà educativa, riporto la lettera indirizzata a Corrado Augias da un professore, iI quale ricorda che il primo giorno di scuola chiese ai propri allievi a che cosa servisse andare a scuola. “La scuola serve per evadere dal carcere - disse il professore. L’ignoranza è un carcere.Vi vogliono tenere all’ergastolo degli stupidi e se non salterete il muro dell’ignoranza sarete sempre dei prigionieri. Non bisogna aver paura di trasgredire se questo implica la ricerca della verità”. Cosa c’è nel nostro futuro? “Purtroppo la nostra civiltà occidentale post-globale è in declino.Abbiamo usato troppo e male i beni della natura, abbracciando il concetto materialistico che prevede anche lo scarto umano degli ultimi.C’è una grande mancanza di ordine e di responsabilità perché si ritiene che la liber- tà consista nel fare ciò che si vuole. È nato e si è sviluppato un neoliberismo che ha prodotto l’individualismo autocentrante, una malvagia indifferenza che mette in secondo piano la fratel- lanza, la solidarietà e il bene comune, che invece, come sosteneva Tommaso d’Aquino, devono essere il centro dello Stato e di ogni comunità.Ha prevalso la logica che colloca l’individuo den- tro l’arroganza che rischia di farci perdere l’appartenenza, l’identità collettiva. Persona significa relazione e tutto deve essere finalizzato all’interesse generale, dal quale abbiamo tutela, non limitazione. Se vogliamo un futuro migliore è su questo che dobbiamo invertire la tendenza. La pandemia da Covdi-19 ha messo l’uomo tecnologico, trasformatosi da sapiens a creator al posto di Dio, di fronte alla propria estrema fragilità. Questa consapevolezza può forse far ben sperare in una nuova spiritualità in grado di traghettare l’umanità nella transizione verso sorti progressive. Intanto, per illustrare e diffondere questi scenari futuri, oltre che nelle sedi istituzionali sco- lastiche, prossimamente avrò anche il piacere di essere ospite di alcuni prestigiosi organismi culturali del Principato di Monaco. Ci congediamo da Benito con un grazie per l’avvincente racconto di alcuni sapidi spaccati della sua vita “trasgressiva”. Con la certezza che un uomo così ha ancora… un grande avvenire dietro le spalle, tanto per citare Vittorio Gassman. BENITO MELCHIONNA GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE ALCUNI DEI LIBRI SCRITTI DA BENITO MELCHIONNA benitomel38@gmail.com