XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
Dalla contabilità analitica
1. Capitolo 3
Dalla contabilità analitica
e dal controllo di gestione alla
contabilità direzionale
Bozza maggio 2011
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Carmine D’Arconte.- Aprile 2011
2. Indice
Introduzione 3
Parte prima: dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica
e al controllo di gestione
1. Oltre il bilancio d’esercizio 8
2. Dalle misure globali a quelle parziali 9
3. Valutazione delle singole unità produttive. Standard, centro di costo e
aree di responsabilità 13
4. Pianificazione e budget, sistema informativo e controllo di gestione 17
Parte seconda: dal controllo di gestione alla contabilità dire-
zionale
1. Premessa 25
2. Aspetti e concetti preliminari: costi, ricavi, margine di contribuzione e
conto economico riclassificato 27
• Costi 28
• Ricavi 30
• Conto economico, margine di contribuzione, risultato operativo 31
3. Il modello di base della break-even analysis 35
• Formule di base e rappresentazione grafica 36
• Il volume di indifferenza 40
• Il margine di sicurezza 43
4. L’estensione del modello 45
• Calcolo di un risultato operativo predeterminato 46
• Espressione algebrica e grafico del risultato operativo 48
• Relazione tra la retta dei ricavi, dei costi totali e del risultato
operativo 50
• Approfondimento sulla curva del risultato operativo 51
• Variazione del risultato operativo in funzione della quantità 54
• La leva operativa 55
• Valutazione di redditività degli investimenti pubblicitari 58
• I limiti del modello di base e concetto di intervallo di rilevanza 64
• Superamento dei limiti: verso un modello avanzato di contabilità
direzionale 67
Domande ed esercizi 75
Risposte 82
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 2
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
3. Introduzione
L’obiettivo di questo capitolo è decisamente ambizioso in quanto ci siamo
proposti in primo luogo di far comprendere come l’impresa abbia necessità di
andare oltre la contabilità generale e il bilancio d’esercizio per poter disporre di un
quadro chiaro e dettagliato sull’andamento della gestione. Infatti a tal fine è
indispensabile avere non solo informazioni globali quali quelle che si evincono dal
bilancio ma anche, e forse dovremmo dire soprattutto, informazioni di dettaglio
sulle singole attività grazie ad un sistema contabile specifico definito appunto di
contabilità analitica.
Inoltre, proprio illustrando tale tipo di contabilità, abbiamo avuto modo di
evidenziare come l’impresa, a fronte delle previsioni di vendite, debba predisporre
un piano preciso e dettagliato di impegno di risorse, sia in termini di materiali che di
mano d’opera, sia a volume che a valore, e cioè il budget, in modo da valutare ex
ante l’impegno finanziario previsto nel tempo nonché per fare in modo che le stesse
risorse siano disponibili nella quantità, qualità e tempistica necessaria per la
realizzazione del piano stesso.
Abbiamo poi illustrato, i presupposti fondamentali del budget e cioè i costi
standard, i centri di costo e le aree di responsabilità; a seguire, abbiamo evidenziato
come qualora sia presente un sistema informativo avanzato che consenta ai
responsabili di disporre in tempo reale di informazioni esatte, tempestive e mirate in
merito all’andamento della gestione, sia possibile realizzare un processo manageriale
di primaria importanza, il cosiddetto controllo di gestione.
Per quanto riguarda l’approccio al tema ed in particolare alla metodologia di
“costruzione” del sistema di controllo di gestione, abbiamo semplificato fortemente il
quadro di riferimento sia per motivi di spazio che, soprattutto, per rappresentare un
modello molto semplice, facilmente comprensibile per gli studenti e, speriamo, utile
per l’imprenditore.
Ad esempio per quanto riguarda le “classificazioni di costo” abbiamo
considerato solamente quella a “costi fissi e costi variabili” con un accenno sintetico
ai costi diretti e indiretti, mentre per quanto riguarda la “configurazione dei costi”,
abbiamo fatto riferimento solamente a quella a “costi variabili” (direct costing
semplice) 1.
Tale scelta nasce anzitutto da motivi pratici, in modo cioè da evitare di
complicare troppo il quadro di riferimento per i non addetti ai lavori che
rappresentano proprio il target di tale pubblicazione; ovviamente nulla vieta, una
volta compreso lo schema di base, di effettuare i dovuti approfondimenti ricorrendo
successivamente a testi specializzati 2.
Dobbiamo dire comunque che, a nostro avviso, è senz’altro opportuno che
sia lo studente che soprattutto l’imprenditore non esperto sul tema si concentrino
1
Vedi. per approfondimenti F. Antoldi - Conoscere l’impresa , capitolo 4 - McGraw-Hill
2
Vedi in particolare Management. Budget e controllo di gestione, Il sole 24ore
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 3
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
4. proprio sugli aspetti elementari cui fa riferimento il testo in modo da acquisire un
modello di riferimento, elementare ma funzionale, evitando approfondimenti
eccessivi che possono portare ad ignorare ogni contributo teorico sul tema proprio
perché troppo articolato e comunque troppo generico per poter essere applicato in una
situazione concreta.
Quanto sopra è stato esposto, ci auguriamo in modo semplice e chiaro, in una
prima parte, Dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica e al controllo di
gestione”, che risulta così strutturata:
1. Oltre il bilancio d’esercizio
2. Dalle misure globali a quelle parziali
3. Valutazione delle singole aree produttive. Standard, centri di costo e
aree di responsabilità
4. Pianificazione, budget e controllo di gestione
In secondo luogo, oltre a sintetizzare con chiarezza elementi di certo
estremamente importanti ma anche ampiamente noti, abbiamo tentato di completare
il quadro concettuale sottolineando a più riprese come il controllo di gestione non
debba in nessun modo limitarsi a fornire informazioni dettagliate a consuntivo
sull’andamento di gestione.
Tali informazioni, infatti, debbono essere in primo luogo utilizzate dal
Management per individuare eventuali scostamenti rispetto alle previsioni durante le
fasi del processo produttivo garantendo in tal modo un contributo fondamentale per la
gestione d’impresa. Come si comprende facilmente, già tale approccio è ben diverso
dal tirare le somme a consuntivo e costituisce un driver primario per una gestione
d’impresa efficace ed efficiente, conditio sine qua non per raggiungere gli obiettivi
prefissati ma, giova sottolinearlo, i compiti dell’imprenditore non finiscono certo qui.
Il management infatti è chiamato continuamente a prendere decisioni,
sempre rischiose, effettuando scelte tra possibili alternative; per esempio avendo 3
prodotti su quale è preferibile investire? Conviene fare tutto all’interno o è il caso
anche di esternalizzare almeno una parte della produzione? E’ meglio fare pubblicità
in televisione o alla radio? E’ opportuno prendere il finanziamento A o il
finanziamento B?.
E’chiaro che se è certamente di grande importanza ottimizzare la gestione a
fronte di scelte già prese, di gran lunga più importante è effettuare a monte le scelte
giuste che sono per lo più irreversibili e quasi mai equivalenti in termini di
conseguenze per l’impresa. E’ bene sottolineare infatti che una scelta errata
comporta sempre una perdita sia di denaro che, spesso, anche di opportunità e di
immagine ma, a volte, può significare il fallimento di un prodotto o servizio o
addirittura di un’intera impresa e, si badi bene, questo può avvenire anche
disponendo del sistema di controllo di gestione più avanzato al mondo.
E’ proprio in tale ambito che un controllo di gestione evoluto può fornire il
principale contributo; stiamo parlando, come vedremo meglio, di analisi di
redditività e di analisi differenziale, che, in estrema sintesi, significa valutare le
alternative disponibili e scegliere la migliore per l’impresa dal punto di vista
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 4
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
5. economico-reddituale, fermo restando la necessità di tenere nella dovuta
considerazione anche altri aspetti anch’essi di fondamentale importanza, quali quelli
strategici, sociali, politici ecc.
A tale riguardo dobbiamo dire che, in genere, la maggior parte delle
pubblicazioni approfondiscono moltissimo il tema del controllo di gestione, a volte
anche in modo eccessivo, mentre tendono viceversa a trascurare molto gli aspetti
connessi alle scelte imprenditoriali che invece sarebbero di grande interesse per il
Management dato che quest’ultimo, giova ricordarlo, nel “breve periodo deve
confrontarsi quasi quotidianamente con l’analisi di convenienza tra alternative
decisionali di utilizzo di una data capacità produttiva, nell’ipotesi che non sia
modificabile nell’orizzonte temporale considerato 3.
Nella fase iniziale di progettazione e di lancio di un nuovo prodotto o
servizio si agisce evidentemente in ottica di lungo periodo ed è possibile effettuare
ogni tipo di scelta, purché ragionevole, in merito a struttura, impianti, tipo di
organizzazione, tecnologie, target, posizionamento ecc.
Una volta effettuate le scelte e avviato il processo, i cambiamenti sostanziali
possibili si riducono ovviamente in modo drastico; per esempio una volta comprata
una macchina da stampa o un qualsiasi altro bene ad utilità pluriennale non è
pensabile di alienarlo dopo pochi mesi. Di conseguenza, dopo che sono state
effettuate tali scelte, il management si trova a dover operare in ottica di breve
periodo e questo significa sostanzialmente che dovrà essere in grado di ottenere il
massimo possibile con i mezzi al momento a disposizione.
Nella prima fase abbiamo quindi la predominanza dell’elemento strategico,
della visione imprenditoriale, della capacità di prevedere possibili scenari futuri ecc.,
ed è una fase sostanzialmente di breve durata; nella seconda predomina invece un
approccio più pratico, quello cioè che l’imprenditore deve assumere ogni giorno per
confrontarsi con i problemi dell’impresa riconducibili per lo più a scelte da
effettuare. E’ ovvio che proprio qui si decide la sorte del business, in quanto errori
ripetuti in quest’ultima fase portano inevitabilmente al fallimento anche le idee più
geniali.
Di conseguenza, nella seconda parte abbiamo illustrato un modello, molto
noto ma del tutto trascurato, che soprattutto se ampliato ed adeguato rispetto alla sua
formulazione elementare, può a nostro avviso porsi come l’asse portante della
contabilità direzionale o, come noi preferiamo chiamarla, del managerial
accounting, una metodologia di supporto alle scelte manageriali che va ben oltre il
semplice controllo di gestione in quanto mira appunto a supportare il Management
nelle decisioni da prendere.
Ribadiamo che, data la sede, è stato possibile dare solo un primo cenno su un
tema di gran lunga più complesso che il lettore potrà eventualmente approfondire
consultando testi specializzati sul tema 4.
3
F. Antoldi 107 - Conoscere l’impresa , capitolo 4 - Mc GrawHill
4
C.D’Arconte Metodi quantitativi per la gestione d’imresa. Dispensa e Anthony, Hawkins, Macrì e R. N. Anthony-
David F. Hawkings – D.M. Macrì – K. A. Merchant - Sistemi di Controllo - 1994 - Mc Graw Hill
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 5
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
6. La seconda parte “Dal controllo di gestione alla contabilità direzionale”,
dopo una breve premessa, risulta così strutturata:
• Aspetti e concetti preliminari
• Un modello di riferimento
• L’estensione del modello
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 6
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7. Parte prima
Dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica e al
controllo di gestione
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 7
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
8. 1. Oltre il bilancio d’esercizio
Il bilancio d’esercizio è uno strumento contabile di primaria importanza per
rappresentare il risultato globale della gestione d’impresa relativamente ad un
determinato periodo definito di norma “risultato d’esercizio”; consente inoltre di
effettuare una valutazione in merito alla variazione del reddito rispetto ad un
periodo precedente al fine di comprendere se la gestione abbia determinato o meno
una variazione della “ricchezza” complessiva sia in incremento che in diminuzione.
Il bilancio assolve anche ad una funzione informativa di tutto rilievo nei
riguardi degli stakeholder dell’impresa o “portatori d’interesse” e cioè di tutti coloro
che a vario titolo hanno necessità, e a volte diritto, ad avere informazioni mirate
sullo stato e sull’andamento della gestione d’impresa; parliamo ovviamente di
clienti, fornitori, finanziatori e azionisti ma anche di manager, personale dipendente,
sindacati, governo ecc.
Il bilancio è poi la base di riferimento per gli indispensabili adempimenti
fiscali e infine, con i dati ed i risultati gestionali ed economici che evidenzia, è anche
il punto di partenza in base al quale è possibile effettuare una valutazione del valore
d’impresa sia per l’acquisto che per la vendita come pure per il reperimento di
eventuali finanziamenti.
Tessute le dovute lodi al bilancio d’esercizio la cui redazione comporta a
volte difficoltà di grandissimo rilievo, ci proponiamo ora di sottolineare come lo
stesso, pur fornendo dati di fondamentale importanza, non esaurisca affatto il
fabbisogno informativo necessario per comprendere in dettaglio come si sia pervenuti
ad un determinato risultato. Per prima cosa infatti, partendo dalla costatazione che
la maggior parte delle imprese produce più prodotti o eroga più servizi, dal Bilancio
non si evincono dati dettagliati sulle singole attività svolte e quindi manca il
presupposto indispensabile per poter effettuare un’adeguata valutazione del
contributo di tali attività al risultato globale.
In tali condizioni, è evidente come non sia possibile analizzare e tantomeno
valutare l’efficacia e l’efficienza della gestione in quanto può avvenire, e spesso
avviene, che un’impresa pur essendo nel complesso in attivo anche in modo
significativo, abbia comunque aree di gestione non ottimali e/o attività tutt’altro
che redditizie.
Di conseguenza, proprio parlando di modalità ed efficacia di gestione, come
vedremo con maggior dettaglio nel prosieguo, il Management ha necessità di disporre
costantemente di dati precisi e aggiornati che consentano durante lo svolgimento
delle attività, e non certo solo a consuntivo, di effettuare un monitoraggio continuo
delineando un quadro dell’andamento produttivo dettagliato per ogni singola attività
e questo anche al fine di poter intervenire tempestivamente “in corso d’opera”
adottando gli opportuni correttivi.
Per sintetizzare, possiamo quindi dire che il Bilancio d’esercizio fornisce,
una macrofotografia d’insieme di primaria importanza in merito alla situazione a
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direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
9. consuntivo dell’impresa ad una data determinata ma che è poi fondamentale essere in
grado di effettuare anche quanto segue:
• ripartire i macrovalori di sintesi tra le varie attività dell’impresa al fine
di evidenziare come ognuna di queste abbia concorso alla
determinazione dei ricavi, dei costi e quindi del margine di utile.
• valutare l’operato delle singole unità produttive, reparti o uffici o altro,
coinvolti nella produzione di beni o nell’erogazione di servizi sia in
termini di efficienza e di efficacia che di rispetto degli obiettivi
dell’impresa, con possibilità di intervenire prontamente per indirizzare
e ottimizzare la gestione
• predisporre il budget previsionale, partendo dalla previsione delle
vendite e sulla base degli n sub-budget delle n unità organizzative
dell’impresa stessa e realizzare il controllo di gestione, monitorando
costantemente i risultati raggiunti in relazione agli obiettivi
precedentemente stabiliti
Come si vede si tratta di tre diverse esigenze di capitale importanza che
andremo ora ad analizzare.
2. Dalle misure globali a quelle parziali
Immaginiamo che l’imprenditore Rossi abbia 3 clienti e che desideri avere
ad una determinata data, per esempio alla fine dell’anno, un quadro esatto dello stato
di salute economico-finanziario della sua impresa.
Per raggiungere tale obiettivo il nostro imprenditore dovrà ovviamente
predisporre un conto economico, calcolando l’ammontare dei ricavi e dei costi
relativi al periodo preso in esame e, per detrazione, potrà calcolare il Ro, cioè il
cosiddetto risultato operativo lordo, o utile lordo.
Per fare questo, volendo banalizzare in modo estremo un processo in realtà di
gran lunga più complesso, il nostro imprenditore, relativamente al periodo oggetto
d’analisi, dovrà:
• calcolare il totale delle fatture cosiddette attive, cioè quei documenti
contabili che riportano il totale dei ricavi sia relativi a importi già
incassati che ancora da incassare da terzi (di norma clienti)
• calcolare il totale delle fatture cosiddette “passive” e cioè quei
documenti contabili da dove si possono evincere i costi totali, in parte
già sopportati e in parte ancora da sopportare, per il pagamento di terzi
(di norma fornitori a vario titolo, materie prime, consulenze, affitti,
utenze ecc. ecc.)
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 9
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10. • calcolare il costo totale sopportato per la mano d’opera interna, quindi
stipendi e oneri vari connessi quali risultano dalle buste paghe, distinte
versamento contributi vari ecc.
• valutare e valorizzare le rimanenze
• detrarre dal totale ricavi il totale dei costi in modo da calcolare il
risultato operativo lordo
Supponiamo ora che a seguito di tale analisi emergano i seguenti risultati
riferiti al periodo temporale in esame:
• ricavi totali 100.000 euro
• costi totali 70.000 euro
• risultato operativo 30.000
E’ evidente come questo primo risultato, se non è stato effettuato a monte un
investimento spropositato, può sicuramente fornire una prima rassicurazione al nostro
imprenditore in quanto la sua azienda, nel complesso, è in attivo e produce reddito in
ragione del 30% sui ricavi, pari a 30.000 euro in valore assoluto.
Questi dati, pur importanti, sono tutavia valori aggregati che non consentono
di avere una rappresentazione completa e dettagliata in merito all’efficienza e
all’efficacia della gestione dell’impresa in quanto, a parte il risultato complessivo,
nulla ci dicono circa la redditività delle singole attività e/o dei diversi clienti.
Immaginiamo infatti per semplicità che l’impresa abbia tre clienti, con una
sola attività ciascuno, e che, effettuando l’analisi dei ricavi e dei costi per ognuno di
questi, si evidenzi la seguente situazione:
Clienti A B C TOT
Ricavi 60.000 20.000 20.000 100.000
Costi 40.000 8.000 22.000 70.000
Margine 20.000 33,33% 12.000 60% -2.000 -10% 30.000
% su ricavi tot. 60,00% 20% -0,02 %
% margine tot 66,66% 40% -0,06%
Figura 1 Analisi redditività per singola commessa
Come si vede, con un risultato nel complesso positivo, i 3 clienti concorrono
in modo molto diverso al risultato globale medio dell’impresa tanto è vero che il
prodotto C è addirittura in perdita e “contribuisce” solo a peggiorare il risultato
finale.
A parte questo, l’analisi consente anche di valutare adeguatamente
l’importanza o per così dire il diverso “peso” che hanno le varie attività; infatti
basandosi superficialmente sulle percentuali si potrebbe pensare che il prodotto
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 10
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11. “ottimale” sia B visto che evidenzia il margine di commessa più alto (60%) mentre
invece, a ben vedere, il prodotto trainante dell’impresa é A in quanto da solo
assicura il 60% dei ricavi e il 66,66 % del margine totale .
L’esempio ci fa capire come sia indispensabile disporre di dati analitici,
specifici per ogni singola attività e come non sia più sufficiente basarsi su valori
aggregati per natura, cioè per costi e ricavi come avviene nella contabilità generale;
occorrono invece dati e valori per “destinazione” rispetto all’oggetto di calcolo (v.
figura 2), grazie ad un sistema contabile definito appunto di contabilità analitica.
Figura 2 Contabilità generale con valori aggregati per natura e contabilità analitica con valori
aggregati per destinazione. Da F.Antoldi - Conoscere l’impresa - Mc GrawHill
Questo risulta ancora più importante se si considera che in base al principio di
Pareto 5, l’80 % del fatturato aziendale viene di norma assicurato dal 20% delle
attività (v. figura 3); tale principio empirico ha avuto ampie conferme nella realtà e
sottolinea in modo ancora più marcato come sia impensabile di voler gestire
adeguatamente un’impresa prescindendo da un valido sistema di contabilità
analitica.
E’ per tale motivo che si è avvertita l’esigenza di andare anche oltre la
contabilità analitica tradizionale e sono state sviluppate metodologie contabili
evolute quali per esempio l’Activity Based Costing 6.
5
Pareto Vilfredo Federico Damaso Pareto (Parigi, 15 luglio 1848 – Céligny, 19 agosto 1923)
6
Activity based costing: metodo di controllo strategico che imputa i costi in base alle diverse attività che si svolgono
lungo la catena del valore dell’impresa per poi ripartirli tra i diversi output che l’azienda produce”. G. Metallo, (1995),
Tipici strumenti di Analisi Finanziaria, Cedam
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 11
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
12. Figura 3 Il contributo delle diverse attività ai ricavi aziendali secondo il principio di Pareto
ABC a parte, l’impresa deve quindi disporre di un sistema valido di
contabilità analitica al fine di ripartire, con la massima precisione possibile, sia i
ricavi che i costi tra le diverse attività ed è abbastanza intuitivo come le maggiori
difficoltà si incontrino non già nella individuazione dei ricavi quanto proprio nella
determinazione dei costi di competenza.
Si supponga a titolo di esempio di essere in una azienda grafico-editoriale e
di analizzare il processo di produzione di un quotidiano o di una rivista; in tal caso i
ricavi delle vendite, anche se con una certa semplificazione del quadro, saranno dati
dalle quantità vendute moltiplicato il prezzo di vendita.
Il costo sarà dato invece necessariamente da una stima, spesso soggettiva, di
molteplici fattori; per esempio quanta carta e quanto inchiostro, quante ore di lavoro
del personale addetto, quanta energia elettrica consumata ecc., in sintesi il totale delle
risorse consumate specificamente per la produzione di quel bene. E’ evidente che
a tale fine occorre disporre di un sistema di rilevazione dei consumi molto efficiente
che comunque, in nessun caso, ci consentirà di trovare il costo “vero” ma solo una
stima approssimata dello stesso.
Solo per fare un esempio si immagini la difficoltà di calcolare con precisione
la carta e l’inchiostro consumati per stampare una rivista, magari provenienti da
forniture diverse pagate ad un prezzo differente, come valorizzare il costo del
personale di due squadre turniste dove i singoli membri guadagnano in modo diverso
da squadra a squadra ecc..
Si badi inoltre che a prescindere da tali difficoltà oggettive, esistono anche
metodologie di calcolo diverse, tutte logiche e corrette ma che si basano su approcci
diversi e quindi, ovviamente, portano a risultati differenti.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 12
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
13. 3. Valutazione delle singole unità produttive. Standard,
centri di costo e aree di responsabilità.
Per consentire una comprensione approfondita dell’andamento della gestione
e poter intervenire tempestivamente, non è sufficiente la conoscenza del consumo di
risorse per destinazione; non basta cioè sapere a consuntivo che la macchina da
stampa per una determinata rivista ha consumato x kg di carta o n litri di inchiostro,
occorre infatti anche essere in grado di valutare se i consumi che risultano a
consuntivo siano o meno “congrui”.
In sostanza, per ogni fase di tutte le possibili situazioni produttive che hanno
luogo all’interno dell’impresa, occorre individuare specifici criteri in base alla
propria esperienza e a quella di altre imprese che operino nello stesso campo e in
situazioni analoghe, e cioè un valore standard ottimale di riferimento relativo
all’impiego delle risorse, siano esse materiali o mano d’opera.
Per essere più chiari e tecnicamente più precisi, immaginiamo per esempio
di dover stampare 30.000 copie di una rivista a 4 colori in bianca e volta di 48 pagine,
nel formato 21 x 28 netto, avendo a disposizione una macchina offset 64 x 88; in un
caso del genere evidentemente pregresse esperienze, nostre o di altre imprese,
possono consentirci di disporre di parametri di riferimento per stabilire le quantità
di risorse ottimali necessarie per stampare la rivista, per esempio i tempi di
lavorazione, l’inchiostro e la carta da stampa necessaria.
Se consideriamo quest’ultima, è evidente come solo il parametro di
riferimento o standard ci consentirà di giudicare l’efficienza del processo di
produzione relativamente al consumo di carta in quanto, se lo standard fosse in tal
caso x chili o y tonnellate è ovvio che i nostri consumi dovranno avvicinarsi a tale
valore di riferimento e magari risultare inferiori.
La stessa cosa ovviamente dovrà essere fatta per tutte le altre “risorse”
necessarie per la produzione del bene in oggetto, siano esse materiali o mano d’opera;
in tal modo infatti, e solo in tal modo, sarà possibile valutare la congruità delle risorse
consumate; possiamo quindi affermare che “il calcolo delle misure parziali richiede
la preliminare definizione delle dimensioni di controllo rispetto alle quali effettuare
le misurazioni 7”, che potremmo definire il teorema centrale del controllo di
gestione.
In sostanza non è sufficiente disporre di un sistema di rilevazioni dei
consumi quanto più preciso possibile, è anche necessario avere parametri di
riferimento o standard per ogni impiego di risorse, siano esse materiali o mano
d’opera, che ci aiutino a valutare l’efficienza del sistema produttivo.
Tali parametri di riferimento, a ben vedere, possono essere considerati veri e
propri obiettivi dei singoli processi di produzione o di erogazione di servizi e,
ovviamente, tutti insieme concorrono alla definizione degli obiettivi dell’impresa.
7
F. Antoldi - Conoscere l’impresa, capitolo 4 - Mc GrawHill 2004
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 13
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
14. E’ovvio inoltre che, a parte la valutazione dell’operato di reparti ed uffici
nell’impiego di risorse, gli stessi standard sono indispensabili anche nella fase di
preventivazione e di determinazione del prezzo finale; infatti da un lato occorre uno
standard di riferimento per stimare e quindi valorizzare i consumi, d’altra parte è
ben noto come non sia pensabile, in particolare per un’impresa profit, di predisporre
un prezzo adeguato per un prodotto o servizio senza avere un’idea precisa di quanto
quest’ultimo verrà a costare.
Per completare il quadro serve ora un altro elemento di grande importanza e
cioè individuare nella totalità dell’apparato dei processi produttivi o di erogazione del
servizio, persone, macchinari e processi che, logicamente e funzionalmente,
costituiscono un insieme omogeneo da un punto di vista produttivo.
Per esempio la macchina da stampa con il suo personale, la carta, l’inchiostro
l’energia elettrica consumata ecc., può essere considerata un’unità produttiva
funzionalmente omogenea che, in una fase ben definita della lavorazione complessiva
(e cioè la stampa), “consuma” determinate quantità di risorse. Lo stesso dicasi degli
altri reparti produttivi ma anche dell’ insieme degli addetti amministrativi, l’insieme
dei venditori e così via; a tali unità o centri funzionalmente omogenei, afferiscono o
per meglio dire sono imputabili i costi per la realizzazione di una determinata fase del
processo produttivo e quindi possono essere definite “centri di costo”.
E’ evidente che ogni unità organizzativa dell’impresa genera costi che
devono essere, o quantomeno dovrebbero essere, sia preventivabili che consuntivabili
e in tal senso tutte costituiscono un centro di costo; tuttavia nell’ambito del controllo
di gestione con tale espressione alcuni autori 8 sottintendono, a nostro avviso in modo
del tutto corretto, un significato particolare e cioè che sia possibile calcolare il
rapporto tra input consumato e output prodotto sussistendo tra quest’ultimi una
relazione nota ed oggettiva.
Questo, facendo un passo in più, significa dire che nei centri di costo è
possibile mettere in relazione costi e ricavi e quindi determinare il contributo della
singola unità produttiva al risultato globale.
Per quanto riguarda autonomia ed indicatori di performance i centri di costo
hanno di norma una limitata autonomia nella gerarchia organizzativa e la loro
performance viene valutata in base ad indicatori di efficienza.
Qualora viceversa non sia possibile stabilire un rapporto tra input consumato
e output prodotto, si tende a parlare di centro di spesa; in tal caso i costi sono
consuntivabili più a livello globale che in dettaglio e comunque, non essendo
associabili ad output specifici, sono difficilmente prevedibili e spesso sono misurabili
a corpo piuttosto che in dettaglio; l’autonomia è limitata e gli indicatori di
performance sono ovviamente indicatori di spesa.
Esistono anche altri tipi di centri quali per esempio:
8
F. Antoldi - Conoscere l’impresa, capitolo 4 - McGraw-Hill, 2004
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 14
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
15. • centri di ricavi: quando l’unità organizzativa è responsabile dei ricavi e
quindi di volumi, di mix dei prodotti e di prezzi; l’autonomia è elevata
e gli indicatori di performance sono di fatturato
• centri di reddito (o di profitto): quando l’unità organizzativa è
responsabile del profitto e quindi di ricavi e costi escludendo gli
investimenti, l’autonomia è elevata e gli indicatori di performance
sono di profitto
• centri di investimenti: quando l’unità organizzativa è responsabile degli
investimenti e delle modalità di finanziamento; l’autonomia è molto
elevata e gli indicatori di performance sono gli indici di redditività.
La delineazione e determinazione dei vari centri rientra nel tema
dell’organizzazione aziendale che si concretizza sia nell’organigramma, con la
precisazione di ruoli e funzioni, che nella determinazione di flussi e processi; per tali
aspetti, come pure per un approfondimento sulla funzione e utilità di tali centri,
rimandiamo a testi specializzati.9
Il focus in tale sede vuole essere ovviamente sui centri di costo in modo da
evidenziare la necessità per l’impresa di attribuire i “consumi di risorse” alle varie
unità organizzative coerentemente con la loro funzione aziendale e quindi con il loro
ruolo specifico nel processo produttivo e di valutarli in base a determinati valori
standard.
Sempre per restare in tema grafico editoriale, possiamo immaginare di avere
un ufficio acquisti che ordina la carta, un magazzino che la riceve e la tiene in
deposito, un reparto stampa che richiede la carta nelle quantità idonee per stampare e
restituisce al magazzino l’eccedenza e così via.
Ognuna di queste unità organizzative ovviamente evidenzia consumi sia di
materiali che di mano d’opera che possono e debbono essere prevedibili e misurabili
facendo riferimento ad un parametro di riferimento condiviso tra impresa e unità in
questione e, affinché questo sia possibile, è necessario poter stabilire una relazione
univoca tra input e output. In tal modo possiamo dire che l’unità organizzativa
diventa un centro di costo vero e proprio, cioè nel senso del controllo di gestione,
dove possono e debbono essere rilevati ed imputati i consumi ed i relativi costi ed è
possibile mettere in relazione gli stessi con il valore generato. Inoltre, come
dicevamo, i parametri di riferimento o standard sono la guida per monitorare e
ottimizzare lo svolgimento delle diverse attività e sono anche la base di riferimento
per determinare gli obiettivi aziendali.
Altro aspetto di fondamentale importanza, come giustamente evidenziano
Brusa e Dezzani 10, è che per definire correttamente e compiutamente un centro di
costo non è sufficiente la relazione input-output ma è indispensabile che gli insiemi
omogenei di produzione o unità produttive che dir si voglia, ricadano in un’area di
9
Vedi per esempio L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore
10
L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 15
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
16. responsabilità e di relativi poteri di gestione di risorse ben definita. Tale aspetto è
una conditio sine qua non, sia per la predisposizione che, soprattutto, per la gestione
del budget.
Va detto che il problema non si esaurisce qui in quanto l’obiettivo primario
dell’impresa è in ultima analisi quello di realizzare un profitto tramite la vendita di
un prodotto o servizio; quindi il passo successivo è quello di essere in grado di
ascrivere e riportare i risultati dei singoli centri di costo alle varie attività o
commesse in carico all’azienda e aggregare tali risultati in modo da avere la
rappresentazione del costo totale di ogni attività e dei relativi ricavi.
Come si vede si tratta di due processi diversi ma strettamente connessi in
quanto l’efficienza del primo (analisi dei centri di costo) condiziona fortemente il
secondo (analisi dei margini di commessa); un’attività formalmente in passivo
potrebbe essere in effetti in attivo qualora per esempio ci siano stati errori di
rilevazione o si siano verificati eventi eccezionali e non ripetitivi che abbiano
inficiato il processo produttivo; può avvenire ovviamente anche il contrario è cioè
che un’attività risulti solo sulla carta in attivo in quanto il controllo di gestione non è
riuscito ad imputare correttamene i costi relativi.
Come si vede il tema è complesso e, inoltre, resta ancora un problema da
affrontare e cioè come comportarsi per i costi generati dagli altri tipi di centro cui
abbiamo accennato precedentemente.
A tale riguardo, al di là dei problemi tassonomici che cercano, spesso invano,
di rinchiudere in poche categorie i multiformi aspetti dell’impresa, va detto che non
solo non è possibile in certi casi associare con precisione input ed output ma anche
che gli stessi costi spesso non sono attribuibili con facilità e precisione a singole
attività; è il caso per esempio del Direttore Generale e della Dirigenza in genere ma
anche degli impiegati amministrativi, della segretaria e di tutte le funzioni aziendali
che operino su “n” attività o che lavorino su processi generali.
Si parla spesso a tale riguardo di costi indiretti, in contrapposizione a quelli
diretti che possono più facilmente essere attribuiti ad un determinato prodotto e/o
servizio e, in questo caso, non essendo disponibile un parametro certo ed oggettivo
per una precisa attribuzione dei costi di competenza occorre ricercare quella che
viene chiamata una base di ripartizione, un indicatore che dovrebbe misurare in
modo adequato, il grado di assorbimento dei costi indiretti da parte dell’oggetto
finale di calcolo.
Il tema è complesso e non è certo questa la sede per approfondirlo; basti solo
sottolineare come un simile indicatore non possa essere in nessun modo oggettivo
ma, al contrario, il frutto di un’interpretazione soggettiva in merito alla stima del
rapporto tra volumi di produzione del fattore diretto e concomitante consumo di
fattore indiretto.
Spesso la soluzione più semplice che viene adottata è quella di “recuperare”,
in quota parte i costi indiretti (come pure i costi fissi) applicando una maggiorazione
percentuale predefinita sui costi diretti di produzione. Il tema è ovviamente molto
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 16
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
17. complesso e anche per approfondire tali aspetti dobbiamo rimandare il lettore a testi
specializzati sul tema 11.
Compresa la necessità di misure parziali da definire per destinazione rispetto
all’oggetto di calcolo, avendo chiarito il concetto di standard, di centro di costo e di
aree di responsabilità, abbiamo gli elementi di base per definire altri aspetti
fondamentali per la gestione d’impresa e cioè la pianificazione, il budget, il sistema
informativo e il controllo di gestione.
4. Pianificazione e budget, sistema informativo e control-
lo di gestione
Come si intuisce dalla formulazione del titolo del paragrafo, ancorché molto
sintetico, si tratta di temi di assoluto rilievo per l’impresa dove, a nostro avviso,
possiamo individuare tre aspetti fondamentali strettamente correlati:
• un processo di pianificazione dove la chiave di volta è costituita dalla
previsione delle vendite e di tutto ciò che occorre per la produzione e la vendita
stessa; tale processo porta alla redazione di un documento amministrativo,
contabile e gestionale, e cioè il budget dove si evidenziano i risultati che
l’azienda intende raggiungere, declinati per aree di responsabilità e centri di
costo e formulati sulla base di costi standard predeterminati. Il budget,
ovviamente, deve riportare in modo dettagliato anche l’ammontare di risorse
previsto per ogni centro di costo e la relativa valorizzazione.
• un sistema informativo 12 adeguato per la rilevazione del consumo di risorse e la
relativa valorizzazione monetaria per singola unità produttiva, in grado di
produrre in tempo reale report precisi e mirati per i responsabili aziendali e
strutturato in modo da fornire alla contabilità analitica i dati necessari per
l’attribuzione dei costi alle varie attività.
• il controllo di Gestione, un vero e proprio processo direzionale volto a guidare
la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di
pianificazione
Il processo di pianificazione può essere schematizzato in estrema sintesi
come riportato nella figura 4 dove si vede come l’idea di business maturata nella
fase analitico strategica (fino all’analisi dei punti di forza e di debolezza), debba poi
essere declinata, dal punto di vista quantitativo e temporale, in modo preciso e
dettagliato in modo da consentire, dopo aver definito il piano degli investimenti e
quello finanziario, di valutare i risultati globali a livello di conto economico e stato
patrimoniale.
11
P. Miolo Vitali – Strumenti per l’analisi dei costi - Giappichelli 1997
12
Per sistema informativo deve intendersi in senso lato “l’insieme di persone, procedure e apparecchiature il cui compito
è quello di presidiare un adeguato flusso di informazioni all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Il sistema
informativo, in particolare quando il volume di dati è modesto, prescinde dal suo livello di automazione. La parte
automatizzata del sistema informativo è il sistema informatico” . F. Antoldi – Conoscere l’impresa – McGraw–Hill.
2004
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 17
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
18. Non possiamo in tale sede approfondire il tema della pianificazione per la
quale rimandiamo a testi specializzati 13 qui ci basti aver ben chiaro come l’impresa,
definiti i propri obiettivi fondamentalmente su una previsione delle vendite quanto
più possibile accurata e precisa, debba poi prevedere per ogni singola unità
produttiva il fabbisogno di risorse necessarie sia in termini di materiali che di mano
d’opera avendo a riferimento precisi standard di produzione sperimentati e condivisi.
Figura 4 Fasi del processo di pianificazione L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di
gestione- 1983 - Giuffrè Editore
Consideriamo per esempio un’azienda produttrice e venditrice di autovetture
che abbia come obiettivo la vendita di 3.000.000 di vetture l’anno sulla base delle
previsioni effettuate dal Management.
Si comprende immediatamente quanto possa essere critica tale previsione in
quanto è su tale base che l’impresa dovrà organizzarsi in termini di impianti, di
personale e di materiali; subito dopo dovranno essere calcolati i costi totali necessari
per produrre tale quantità di vetture partendo dai materiali, dal costo dello
stabilimento, da quello del personale, dalla distribuzione, dalle spese pubblicitarie
13
L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 18
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
19. ecc., e, ovviamente, tale costo totale dovrà essere per così dire “esploso” tra tutte le
unità organizzative interne e gli eventuali fornitori esterni.
Ovviamente si dovranno poi valutare i ricavi e la manifestazione temporale
degli stessi al fine di effettuare previsioni in merito al Ro, o risultato operativo lordo,
valutando anche l’eventuale fabbisogno finanziario.
Non è difficile immaginare quali conseguenze devastanti potrebbero derivare
per l’impresa nel caso le previsioni dovessero risultare nel tempo significativamente
errate; a fronte di una stima sbagliata per eccesso (e quindi con vendite effettive
inferiori al previsto) l’impresa non solo non raggiungerebbe gli obiettivi ma si
potrebbe ritrovare con una struttura organizzativa sovradimensionata che comunque
genera costi e con materiali in eccesso magari già pagati o comunque da pagare.
D’altra parte nel caso contrario, di stima cioè per difetto, pur a fronte di una
situazione certamente migliore della precedente potrebbe ritrovarsi nella condizione
di dover trovare precipitosamente soluzioni alternative per fronteggiare l’eccesso di
domanda e, di norma, la fretta e l’improvvisazione non portano i migliori risultati né
in termini di redditività né d’ immagine.
Valutata con la massima attenzione la fattibilità degli obiettivi commerciali
occorre poi, come già evidenziato, passare alla stesura del Budget vero e proprio che
è la traduzione in termini analitici ed operativi della pianificazione; ogni reparto o
ufficio interessato sarà chiamato a predisporre il budget di competenza dove i
responsabili dovranno dichiarare le loro necessità in termini di persone e materiali
per raggiungere l’obiettivo di competenza.
Figura 5. Schema di predisposizione del budget
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 19
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
20. Gli n sub-budget dovranno poi confluire in modo logico e armonico nel
budget mastro e cioè nel budget aziendale e questo sarà possibile solo seguendo un
processo di tipo iterativo nel senso che saranno di norma necessari “ritorni di
informazioni” ed aggiustamenti anche reiterati (processo di feedback) prima che il
budget possa diventare esecutivo. La figura 5 può dare un’idea del processo di
formulazione del budget coinvolgendo i reparti o uffici interessati.
Esaurita comunque la fase previsionale e deciso di entrare in quella
operativa, si dovrà avere estrema cura di monitorare costantemente i risultati ottenuti
e questo sarà possibile solo se sarà disponibile un adeguato sistema informativo che
garantisca attività di reporting tempestive e mirate.
Ovviamente, strumenti a parte, saranno indispensabili procedure e flussi
informativi (workflow management) che consentano di rilevare e analizzare i risultati
della gestione, realizzando un raffronto sistematico tra obiettivi prefissati e risultati
conseguiti; in tal modo, individuando rapidamente eventuali scostamenti, sarà anche
possibile intervenire adottando gli opportuni correttivi (analisi degli scostamenti) .
In sostanza, se il prodotto finito del reporting si configura come un insieme
di rapporti di gestione, la loro costruzione e la loro interpretazione deve
necessariamente aver luogo sulla base di un adeguato processo organizzativo.
Non è possibile approfondire in questa sede tali aspetti ma è evidente come
le varie funzioni aziendali abbiano bisogno non solo di informazioni approfondite,
corrette e tempestive ma, soprattutto, “mirate” nel senso che ad ogni risorsa
aziendale deve pervenire tutto ciò che occorre per verificare e gestire l’andamento
dei processi produttivi di competenza con il livello di dettaglio adeguato allo
specifico ruolo.
In tal modo sarà possibile confrontare i risultati ottenuti in relazione agli
obiettivi stabiliti nella fase iniziale e, in caso di scostamenti, spesso inevitabili, si
potrà procedere ad un’analisi approfondita in modo da individuare le cause ed
intervenire tempestivamente, evitando di limitarsi a predisporre soltanto consuntivi
Figura 6 Il processo formale di programmazione e controllo F.Antoldi - Conoscere l’impresa -
2004 - Mc Graw Hill
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 20
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
21. quando ormai gli eventi hanno avuto il loro corso e non è più possibile modificarli.
Qualora lo scostamento sia dovuto ad errori/imprecisioni nella fase iniziale o
a sopravvenuti cambiamenti nel contesto di riferimento, si dovranno necessariamente
rivedere le attività, i programmi, gli obiettivi o addirittura le strategie effettuando se
del caso anche le opportune revisioni di budget (vedi figura 6). .
Il processo che abbiamo descritto, sia pure in estrema sintesi, è appunto
quello che viene denominato “controllo di gestione” la cui struttura si fonda, come
indicato nella figura 7, su 3 elementi fondamentali e cioè:
• La contabilità analitica
• Il budget
• Il sistema di reporting:
Contabilità
analitica
Budget Reporting
centri di costo tempestivo
costi standard mirato
Controllo
di
gestione
Figura 7 Gli elementi fondamentali nell’architettura del controllo di gestione
Ricordando quanto detto al punto 2 (dalle misure globali a quelle parziali) e
a quanto illustrato nella figura 1, si può ora comprendere come il controllo di gestione
svolga davvero una funzione fondamentale.
L’impresa sopravvive e si sviluppa solo se, come regola generale, riesce ad
avere per le attività che effettua per conto dei clienti un ricavo superiore al costo
necessario per la loro realizzazione; è fondamentale quindi riuscire prima a
prevedere e poi ad imputare con la massima precisione possibile il consumo di risorse
alle singole attività perché solo in tal modo il Management, confrontando i costi ai
relativi ricavi, potrà stabilire se una determinata attività x sia in attivo, in passivo o in
pareggio e quindi determinare che “peso” abbia sul risultato globale.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 21
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
22. D’altra parte il controllo di gestione non si pone come obiettivo solo un ruolo
di tipo ragionieristico, complesso e preciso quanto si vuole ma di tipo passivo, come
una sorta di notaio che registra, individua e avvalla i risultati. Al contrario interviene
sia a monte, nella fase di progettazione e di valutazione ex ante di processi e flussi,
che durante la realizzazione delle attività per segnalare scostamenti e anomalie
rispetto al budget previsionale.
Si può intuire quale ruolo fondamentale possa avere il controllo di gestione
sia nella definizione iniziale dei processi aziendali (process engineering) come pure
nelle successive variazioni e/o ottimizzazioni (process re-engineering)
In sintesi, i dati rilevati sia in corso d’opera che a consuntivo per le singole
attività, possono essere visti, nel caso di una funzione di controllo di gestione
avanzata ed evoluta, come risultati conseguiti grazie ad un gioco di squadra dove il
controllo di gestione, per usare una metafora calcistica, non si limita solo a fare
l’arbitro o il segnalinee ma partecipa al gioco contribuendo attivamente al risultato
finale.
Quanto detto fa comprendere come la condizione di successo del controllo di
gestione nell’impresa riposi, oltre che sulla strutturazione adeguata e l’integrazione
funzionale degli elementi riportati nella figura 7, anche sulla figura chiave del
Controller e cioè del responsabile dell’intero sistema di programmazione e controllo
insieme ovviamente ai suoi collaboratori.
Come giustamente evidenzia Antonella Cifalino 14, il Controller non può
essere e non deve essere visto soltanto come il progettista e il manutentore di una
struttura tecnico-contabile ma come un manager che, oltre a conoscere bene il proprio
mestiere, tecnicamente parlando, abbia anche elevate capacità relazionali giacché,
nella realtà operativa, il processo del controllo di gestione si esplica e si manifesta in
una continua e sistematica interazione tra i responsabili delle diverse unità
organizzative.
Si tenga presente a tale riguardo come la funzione del Controller, pur molto
variegata a seconda dei poteri conferiti dall’azienda, è spesso impopolare in quanto
istituzionalmente tenuta ad intervenire per segnalare uno scostamento rispetto a
quanto previsto nel budget richiedendo esplicitamente spiegazioni e/o giustificazioni
in merito.
D’altra parte è sempre il Controller che confermando il raggiungimento degli
obiettivi sia di singole persone che di uffici o reparti, magari di conserta col
Responsabile Amministrativo, sancisce il successo o l’insuccesso, le promozioni o al
limite anche i licenziamenti, la liquidazione di incentivi o meno ecc.
Un altro aspetto fondamentale, sempre riferendomi al contributo di
Antonella Cifalino su tale tema, è quello comportamentale in quanto, di fatto, il
controllo di gestione dovrebbe essere in grado di influenzare positivamente il
comportamento umano all’interno dell’organizzazione in modo da rendere gli
14
F. Antoldi – Conoscere l’impresa - Capitolo 4 – McGraw–Hill. 2004
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 22
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
23. obiettivi individuali quanto più coerenti con quelli dell’organizzazione, la cosiddetta
“goal congruence” come indicato già a suo tempo da Anthony e Govindarajan.
A tale riguardo si noti come la funzione di un buon Controller dovrebbe
spingersi a propugnare o quantomeno ad evidenziare con forza e convinzione la
soluzione migliore per l’impresa anche quando il Management o addirittura la
Proprietà propendano per soluzioni alternative.
Si comprende quindi come il Controller, oltre ad essere molto competente
dal punto di vista “tecnico” nonché un abile negoziatore per superare invitabili
controversie e spesso veri e propri conflitti, debba anche essere in grado di porsi
come un educatore capace di introdurre e valorizzare il sistema, portando i singoli
individui, ovviamente portatori di interessi individuali, a ragionare quanto più
possibile nell’ottica dell’azienda.
Per ricapitolare quanto già detto, diamo ora una definizione del controllo di
gestione:
In un'azienda il controllo di gestione è il processo volto a guidare la gestione
verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione
operativa. Tale processo, basandosi su valori standard, centri di costo e di
responsabilità, rileva, attraverso la misurazione di appositi indicatori,
l’eventuale scostamento tra obiettivi pianificati e risultati conseguiti rendendo
disponibili in modo tempestivo dati dettagliati sugli scostamenti stessi,
affinché la Direzione e i responsabili possano intervenire immediatamente e
attuare tempestivamente le opportune azioni correttive 15. La figura del
Controller riveste un ruolo fondamentale per il successo del sistema di
controllo di gestione.
Quanto sopra indicato dovrebbe consentire di comprendere come il controllo
di gestione non sia riconducibile ad un mero fatto contabile ma come si tratti invece
di un vero e proprio processo manageriale di primaria importanza, da cui nessuna
impresa che voglia sopravvivere e crescere nel tempo può pensare di poter fare a
meno.
Abbiamo percorso gli step logici necessari per delineare il quadro d’insieme e
possiamo ora focalizzarci sul tema centrale del nostro contributo che, prendendo le
mosse proprio dal controllo di gestione, si propone di porre il focus su una
metodologia manageriale che possa fornire un supporto per la gestione d’impresa in
generale ed in particolare per effettuare le scelte più proficue.
15
Adattato da http://it.wikipedia.org/wiki/Controllo_di_gestione
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 23
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
24. Parte seconda
Dal controllo di gestione alla
contabilità direzionale
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 24
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
25. 1.Premessa
A costo di sembrare superficiali, siamo stati estremamente sintetici sui temi
precedenti e questo, come già detto, per due ordini di motivi, intanto per lo spazio a
disposizione che non ci consente di dilungarci molto sul tema ma, soprattutto, per
una scelta precisa in quanto riteniamo che quanto finora detto sui temi precedenti sia
già sufficiente per comprendere le dinamiche fondamentali dell’impresa in termini di
pianificazione, budget, costi standard, centri di costo e di responsabilità e controllo
di gestione.
Di certo ci auguriamo che chi voglia confrontarsi con l’avventura
dell’impresa, senta il bisogno di approfondire tali tematiche riportandole tra l’altro al
proprio contesto di riferimento e, a tale proposito, vogliamo formulare una
raccomandazione importante e cioè quella di farsi supportare da professionisti per
impiantare nella propria impresa un sistema funzionale e mirato di controllo di
gestione senza cedere alla tentazione di improvvisarsi esperti sul tema, cosa che
potrebbe avere anche gravi conseguenze.
Ciò premesso volevamo ora aggiungere che, a nostro avviso, non è solo in
tale ambito che l’imprenditore si deve sentire chiamato primariamente ad esercitare le
proprie capacità; se infatti prescindiamo dall’idea di business e dalla previsione delle
vendite che comportano lumi imprenditoriali ed elevate capacità di previsione, tutto
quello che abbiamo descritto, ancorché difficile complesso e impegnativo, è a ben
guardare un lavoro di alta ragioneria che richiede una metodologia rigida e precisa
costruita ad hoc sulla specifica struttura dell’organizzazione
Non è certo cosa semplice ma, a ben vedere, ben altri compiti e responsabilità
attendono invece il nostro imprenditore che deve confrontarsi ogni giorno con scelte
difficili e complesse a fronte di possibili alternative per di più in un contesto socio-
economico altamente turbolento senza che, a nostro avviso, la pur consistente
letteratura sul tema riesca ad offrirgli un supporto pratico e concreto.
Il passo successivo sarà di conseguenza proprio in questa direzione
riportando gli elementi base di quello che a nostro avviso costituisce l’evoluzione del
controllo di gestione tradizionale e cioè la contabilità direzionale o managerial
accounting, secondo la nostra personale interpretazione.
A tale fine cominceremo con l’introdurre aspetti e concetti chiave quali tipi di
costi, ricavi, modello di conto economico riclassificato a ricavi e costi variabile
(margine di contribuzione).
Introdurremo poi un modello di riferimento, quello della break-even
analysis, molto noto, ma in modo assolutamente ingiustificato del tutto trascurato, e
partendo da questo, con i dovuti aggiustamenti e perfezionamenti, vedremo di
ampliarlo in modo che possa essere effettivamente d’aiuto per l’imprenditore
soprattutto nei casi in cui le valutazioni debbano e possano essere fatte sul piano
quantitativo ed in particolare facendo riferimento alla redditività.
Avremo quindi nell’ordine:
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 25
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
26. • Aspetti e concetti preliminari; costi, ricavi, margine di contribuzione e
conto economico riclassificato
• Il modello di base della break-even analysis
• L’estensione del modello
Nel corso dell’esposizione riporteremo esempi di come i temi ed i concetti
illustrati possano essere utilizzati come guida per effettuare le scelte appropriate.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 26
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
27. 2. Aspetti e concetti preliminari; costi, ricavi, margi-
ne di contribuzione e conto economico riclassificato
CONTO ECONOMICO
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 27
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
28. 2.1 Costi
Il costo può essere definito come “l’onere, il sacrificio da sopportare per
ottenere la disponibilità di determinati beni e/o servizi”.
In tal sede prenderemo in considerazione 3 tipi di costi.
Costi fissi: sono i costi che non si modificano al variare del livello
produttivo almeno fino ad un determinato intervallo di produzione. Es. gli
ammortamenti, il costo del personale dipendente, dell’affitto ecc.; in sostanza i “costi
di struttura” che di norma hanno anche la caratteristica di “non essere evitabili” nel
senso che vanno sostenuti anche se non si produce nulla. All’aumentare dei volumi
di produzione si raggiunge un valore limite (X) superato il quale i costi fissi
subiscono un incremento a “sbalzi” o a “gradino”, secondo una scala denominata
“scala del Pantaleoni”, incremento di solito di notevole impatto. La rappresentazione
grafica dei costi fissi, in un sistema di assi cartesiani con le quantità sulle ascisse e i
costi sulle ordinate, sarà (v. figura 8) del tipo Y = K ed essendo nel nostro caso K =
CF, avremo:
Y = CF
Figura 8. Andamento costi fissi Figura 9. Ripartizione costi fissi
Volendo invece considerare l’incidenza dei costi fissi sul prodotto questa
avrà un andamento decrescente in quanto è intuitivo che, all’aumentare della quantità
prodotta e fino al limite massimo della capacità produttiva, i costi fissi verranno
ripartiti su una quantità sempre maggiore. Indicando con Iu l’incidenza unitaria dei
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 28
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
29. costi fissi (CF) e con Q il volume di produzione avremo una funzione di tipo
iperbolico (v. figura 9), come segue:
Iu = CF/Q
Se Q sarà la massima capacità produttiva, il dominio della funzione sarà
compreso tra 0 e Q
Costi variabili: sono i costi che variano al variare della quantità prodotta e
che inoltre si configurano come “costi evitabili” nel senso che, decidendo di non
produrre, si può evitare di sostenerli. Si pensi per esempio ad una azienda tipografica
che consuma carta e inchiostro solo se stampa, o ad una compagnia aerea che
consuma carburante solo se gli aeromobili volano e così via.
Per la nostra analisi assumeremo inoltre che i costi variabili siano
proporzionali alla quantità prodotta16; l’espressione algebrica dei costi variabili
(proporzionali) sarà dunque:
Y = Cv x Q
In tale espressione Cv è il costo variabile unitario e Q la quantità prodotta;
quindi la funzione che esprime i costi variabili è una retta che parte dall’origine (v.
fig. 10) con coefficiente angolare Cv; ovviamente la rappresentazione tramite una
retta con “pendenza” costante (e quindi sempre lo stesso coefficiente angolare)
significa che il costo variabile unitario Cv non subisce variazioni.
Costi semivariabili: sono i costi caratterizzati da un componente fissa ed
una che varia invece con il volume produttivo. Si pensi ad un canone periodico fisso,
come nel caso di un’utenza telefonica o di un collegamento internet, da
corrispondere anche in caso di non utilizzo, cui vada aggiunto un costo per ogni
chiamata o contatto che si andrà ad effettuare. Algebricamente un costo del genere
“misto” o semivariabile è rappresentabile nel modo seguente:
Dove CF è il costo fisso e Cv x Q il totale dei costi variabili che cresce in
modo proporzionale alla quantità; la retta quindi rappresenta i costi totali, avrà
pendenza Cv e intersecherà l’asse delle Y in CF (v. oltre figura 13).
Y = CF + (Cv x Q)
16
I costi, oltre che proporzionali, possono essere “progressivi” o “degressivi” e cioè aumentare o diminuire
rispettivamente all’aumentare delle quantità; difficile se non impossibile riscontrare nella realtà costi “regressivi” quelli
cioè che diminuiscono proporzionalmente all’aumentare delle quantità salvo casi particolari come per es. i costi fissi la
cui incidenza diminuisce con la quantità anche se non in modo lineare.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 29
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
30. Fig. 10. Tipologie di andamento dei costi variabili
2.2 Ricavi
Il ricavo è propriamente parlando il “compenso ottenuto da un soggetto
economico in seguito alla vendita di beni e/o servizi in precedenza acquistati o
prodotti; i ricavi ai quali facciamo riferimento in tale sede sono il risultato della
cosiddetta “gestione ordinaria e caratteristica” e cioè quelli legati alla realizzazione
della “missione” specifica dell’impresa prescindendo da proventi finanziari, atipici e
straordinari).
Il ricavo complessivo o fatturato, si ottiene semplicemente moltiplicando il
prezzo di vendita del prodotto per la quantità totale venduta (in tale sede faremo
riferimento solo ad aziende monoprodotto17). In formula:
R=PxQ
Anche in tal caso l’espressione, in assenza di variazione di prezzi, può essere
rappresentata con un retta che avrà P come coefficiente angolare.
17
Ovviamente nel caso vengano venduti più prodotti, per esempio 3 nelle quantità q 1, q 2 e q 3 rispettivamente al prezzo
p1, p2 e p3 i ricavi complessivi saranno dati da Rt = ( p1 x q 1) + ( p2 x q2) + (q 3 x p3 .). Per approfondimenti relativi
ad aziende pluriprodotto vedi C.Darconte. Metodi quantitativi per la gestione d’impresa. Dispensa
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 30
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
31. 2.3 Conto economico, margine di montribuzione, risultato
operativo.
Il passo successivo è il riferimento al Conto Economico del Bilancio
d’Esercizio riclassificato a ricavi e costi variabili (margine di contribuzione) come
segue:
Schema Conto Economico a Ricavi e Costi variabili18
Ricavi di vendita
+ Rimanenze iniziali di magazzino
- Rimanenze finali di magazzino
- Costi variabili
Margine di Contribuzione
- Costi fissi
Risultato operativo
± Proventi e oneri finanziari
± Proventi e oneri atipici
± Proventi e oneri straordinari
Risultato prima delle imposte
- Imposte sul reddito
Risultato netto (utile o perdita d’esercizio)
Esaminiamo due definizioni importanti:
Margine di Contribuzione. Dal prospetto si evince che è la differenza tra i
ricavi e i costi variabili (la nostra analisi prescinderà dalle rimanenze) e può essere
complessivo o unitario ed essere espresso in valore assoluto o percentuale. Il primo
sarà dato dal totale ricavi meno il totale dei costi variabili (e verrà indicato con
Mct), il secondo dalla differenza tra prezzo unitario e costo variabile unitario (sarà
indicato con Mc); entrambi possono essere espressi sia in valore assoluto che
percentuale e, in quest’ultimo caso, saranno indicati con Mct% o Mc%.
Da notare che l’espressione nasce dal fatto che la differenza residua tra ricavi
e costi variabili “contribuisce” appunto al recupero dei costi fissi. 19 In sostanza se
vendo 1000 prodotti a 3 euro l’uno e spendo 1,5 euro ciascuno per costi variabili di
produzione, avremo 1,5 euro x 1000 = 1500 euro, diciamo “residui”, che andranno a
contribuire alla copertura dei costi fissi (vedi fig. 11).
Quanto sopra ci aiuta a capire subito due aspetti di grande importanza è cioè
che:
- finché il prezzo di vendita è superiore al costo variabile di
produzione è di norma preferibile vendere piuttosto che non vendere perché
18
F. Bartoli, 2006, Tecniche e strumenti per l’analisi economico-finanziaria, Franco Angeli.
19
Si badi che tale affermazione è corretta fino al punto di pareggio; superato quest’ultimo il margine di contribuzione
di ogni pezzo venduto contribuisce invece al profitto lordo
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 31
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
32. essendo Mc>0, ogni pezzo venduto contribuisce a coprire i costi fissi
(ovviamente non dovrà essere la strategia di pricing prevalente ed inoltre
occorrerà fare attenzione ai successivi oneri che l’impresa dovrà sopportare
quali oneri finanziari, tasse ecc.)
- dovendo scegliere tra due prodotti, a parità di altre condizioni,
(precisazione che chiariremo meglio in seguito) conviene di norma orientarsi
verso il prodotto con margine di contribuzione più elevato.
Il margine di contribuzione*
RICAVI
Solo dopo avere riempito il
“recipiente dei costi fissi “ il
Ru R.O. è > 0
.
Costi Variabili
Margine di Contribuzione
Cvu Mc
Costi Fissi
* Sistemi di Controllo Analisi
economiche per le decisioni Risultato operativo
Aziendali – Antony Merchant
McGraw-Hill
Fig. 11. Ru rappresenta il ricavo unitario che “transita” nell’ impresa e in quota parte immediatamente
“fuoriesce” a coprire il costo variabile di produzione Cvu; il residuo confluisce nel contenitore dei
costi fissi e solo quando quest’ultimo è pieno (cioè i costi fissi sono stati coperti) “deborda” e perviene
nel contenitore finale a costituire il risultato operativo positivo o profitto.
Vediamo ora un’applicazione di questi due aspetti.
Notiamo anzitutto come il fatto che Mc>0 vuol dire che l’impresa riesce a
realizzare e vendere un determinato prodotto o servizio ad un prezzo superiore al
costo totale di produzione e vendita; questa condizione è ovviamente la conditio sine
qua non per la stessa sussistenza dell’impresa profit ma, è opportuno precisare che si
tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.
Il prezzo di un prodotto non può essere solo superiore al costo variabile di
produzione ma deve anche consentire il recupero dei costi fissi di competenza e degli
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 32
direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011
33. altri oneri, di tipo finanziario e legati alle imposte, e deve ovviamente consentire di
generare utili. Di conseguenza il prezzo è parte integrante di un progetto
imprenditoriale, complesso e completo e nello stesso tempo, con la sua congruità, è la
condizione di successo del progetto stesso.
Decidere di vendere un prodotto ad un determinato prezzo solo sulla base del
fatto che lo stesso prezzo è superiore al margine di contribuzione non può e non deve
essere quindi una strategia stabile di pricing ma può essere viceversa una strategia
valida in un determinato momento e per un determinato periodo. Si pensi ad
un’impresa che abbia in produzione una macchina obsoleta che al costo pieno
porterebbe l’impresa ad essere fuori mercato; in un caso del genere ha senso vendere
ad un prezzo più basso purché si recuperino i costi variabili di produzione e resti
comunque un margine di contribuzione positivo che aiuti l’impresa a coprire i costi
fissi. E’ evidente tuttavia che non può essere la soluzione definitiva che potrà essere
piuttosto la dismissione della macchina, con conseguente abbandono della relativa
produzione, oppure la sua sostituzione con una più efficiente.
Ciò premesso vediamo ora una prima applicazione del secondo punto
illustrato e cioè la scelta tra due prodotti sulla base del margine di contribuzione.
Si consideri infatti di dover scegliere tra due prodotti dalle seguenti
caratteristiche e che abbiano entrambi una richiesta elevata da parte del mercato su
questo punto saremo più chiari nel prosieguo, vedi oltre a pagina 39)
Dati Prodotto Prodotto
A B
Costi fissi 500.000 650.000
Prezzo vendita 60 50
Cost variabile uni 25 20
In un caso del genere, cioè con una domanda elevata per entrambi i prodotti,
non c’è alcun dubbio che sia opportuno scegliere A in quanto ogni prodotto venduto
apporta un Mc di 35 euro contro 30 di B; inoltre, nel caso di A, i costi fissi sono
minori.
Ovviamente i casi possibili possono essere anche di altro tipo per esempio
che il prodotto con margine di contribuzione unitario più alto abbia anche i costi fissi
più alti e in tal caso il ragionamento da fare dovrà essere diverso. Ritorneremo su tale
punto appena avremo introdotto i concetti necessari e cioè quello di risultato
operativo e del modello del break even point.
Risultato operativo lordo (o reddito operativo lordo)20. E’, in termini
semplici, la differenza tra ricavi totali e costi totali, differenza che, si badi bene, può
anche essere - e spesso è - “negativa”; quindi il risultato operativo può coincidere
20
Si noti come il Ro si avvicini molto all’Ebit = Earnings before interests and taxes. L’Ebit si differenzia in quanto
prende in considerazione anche i proventi e gli oneri non strettamente connessi alla gestione. Segnaliamo per
completezza anche un altro indicatore molto usato e cioè il cosiddetto Ebitda o Mol (margine operativo lordo) che
sostanzialmente corrisponde all’Ebit più gli ammortamenti.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 33
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34. con il “profitto”, in caso il saldo sia “attivo” ma anche con la “perdita” in caso risulti
un “disavanzo” tra ricavi e costo totale della produzione.
Per chiarezza tale valore sarà sempre indicato nel testo come “risultato
operativo” o “Ro”; su tale risultato incideranno i proventi e gli oneri finanziari
nonché quelli atipici e straordinari e avremo il risultato prima delle imposte; su
quest’ultimo graverà poi la tassazione e avremo infine il risultato netto21.
Abbiamo ora tutti gli elementi di base per introdurre il modello di base della
break-even analysis
21
Vedremo meglio che il risultato “netto” così calcolato coincide con quanto indicato di norma in Bilancio ma che, in
realtà, dovrebbe essere ulteriormente ridotto per far fronte ad altri tipi di costi tra cui il “costo opportunità” ( vedi oltre,
capitolo 4). Vedremo inoltre come il Ro, essendo sostanzialmente la differenza tra ricavi e costi totali, non tiene conto
dei tempi di manifestazione degli stessi (cioè di flussi di cassa) e, di conseguenza, di norma non coincide con il saldo
monetario.
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35. 3. Il modello di base della break-even analysis
Costi Ricavi totali
Ricavi area di profitto
Fatturato
di pareggio
Costi totali
Totale costi
area di perdita variabili
CF area di perdita
Costi
fissi
Volume
α
β di pareggio
Volumi di vendita
Il modello di un sistema esprime la conoscenza di un fenomeno e come tale consente di rispondere a
domande sul sistema senza la necessità di compiere un esperimento. Esso costituisce quindi un potente
mezzo di descrizione e di previsione del comportamento del sistema stesso.
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 35
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36. 3.1 Formule di base e rappresentazione grafica22
Chiariti i concetti di fondo possiamo ora scrivere la seguente espressione che
costituirà l’oggetto della nostra successiva analisi:
Risultato operativo = Ricavi totali – Costi totali
I ricavi totali, per quanto già detto in precedenza, saranno dati da P x Q; i
costi totali saranno dati ovviamente dalla somma dei costi variabili (Cv x Q) e di
quelli fissi e cioè: CT = (Cv x Q)+ CF e quindi, nel caso di un’azienda
monoprodotto, avremo che:
Ro = PxQ – [(Cv x Q) + CF ] 1
Poiché stiamo cercando il punto di equilibrio e cioè la quantità tale per cui i
ricavi eguaglino i costi totali, dovrà essere Ro = 0
e quindi P x Q = CT cioè P x Q = (Cv x Q) + CF
Portiamo a sinistra Cv x Q; mettiamo in evidenza Q e otteniamo
Q x (P-Cv) = CF da cui
Qbep = CF/(P-Cv) 2
Abbiamo ottenuto in tal modo la formula“madre” su cui costruire ogni
ulteriore passaggio o ragionamento; tale formula ci consente di rispondere facilmente
ad una domanda fondamentale per l’imprenditore e cioè:
“dato un determinato prodotto/servizio qual è la quantità minima da
vendere ad un prezzo x affinché vengano recuperati i costi sostenuti?”
Vediamo subito un esempio numerico e applichiamo la formula nel caso di
costi fissi pari a 300.000, prezzo 100 euro e costo variabile unitario pari a 70; la
quantità di equilibrio potrà essere calcolata immediatamente come segue:
300.000/(100-70) = 10.000
Ovviamente sarà possibile calcolare in modo analogo uno qualunque dei 4
elementi che compaiono nella formula purché siano noti gli altri 3. Esempio “che
prezzo devo praticare per riuscire ad essere in pareggio con 10.000 prodotti
22
Giova fin d’ora sottolineare, in particolare per coloro che dovessero limitarsi alla lettura di questa parte o che
conoscessero solo il “modello di base”, che quest’ultimo si fonda su ipotesi semplificatrici che comportano
ovviamente limiti alla sua applicazione (v. oltre, limiti del modello).
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 36
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37. venduti, CF =300.000 e Cv = 70 ?” Con dei semplici passaggi ovviamente troveremo
10.000 = 300.000/(p-70); da cui p = 100
La 2 può essere inoltre formulata anche in un modo diverso; ricordando
infatti che (P-Cv) = Mc o margine di contribuzione unitario e sostituendo nella 2
avremo:
Qbep = CF/Mc 2bis
Da notare che un Mc = 30 si può ottenere da 100-70 ma anche da 130-100,
da 3500-3470 ecc. ecc.; in sostanza, a parità di costi fissi, la quantità di equilibrio Q,
calcolata tramite la 2 bis, può rappresentare il punto di pareggio per situazioni di
partenza diverse per quanto riguarda il prezzo e il costo variabile.
Ovviamente va tenuto presente che situazioni del genere, pur evidenziando
elementi del tutto identici, e cioè lo stesso volume di pareggio e lo stesso margine di
contribuzione unitario, sono in realtà molto diverse se consideriamo sia i ricavi che
l’impiego di capitali (vedi figura 12).
CF € 300.000,00 € 300.000,00 € 300.000,00
P € 100,00 € 130,00 € 3.500,00
CV € 70,00 € 100,00 € 3.470,00
Mc € 30,00 € 30,00 € 30,00
Qbep 10.000,00 10.000,00 10.000,00
Ricavi € 1.000.000,00 € 1.300.000,00 € 35.000.000,00
Cvt € 700.000,00 € 1.000.000,00 € 34.700.000,00
CF € 300.000,00 € 300.000,00 € 300.000,00
CT € 1.000.000,00 € 1.300.000,00 € 35.000.000,00
Figura 12. Esempio di 3 situazioni che evidenziano la stessa quantità di equilibrio e lo stesso margine di
contribuzione unitario ma che evidenziano ricavi e “impieghi” di capitale molto diversi tra di loro
La formula “madre” ci consente inoltre di rispondere anche ad un altro
quesito di primaria importanza che riguarda non più le quantità ma il fatturato o i
ricavi di equilibrio e cioè: “qual è il fatturato minimo di un determinato
prodotto/servizio che deve essere realizzato affinché i costi, sia fissi che variabili,
siano integralmente coperti?”
Ovviamente, una volta nota la quantità di pareggio, è immediato trovare il
fatturato di equilibrio; sarà infatti sufficiente moltiplicare tale quantità per il prezzo di
vendita.
Esiste tuttavia una formula “ad hoc” che vale la pena di conoscere anche
perché consente di evidenziare aspetti decisamente interessanti e inoltre diventa come
vedremo imprescindibile in determinate situazioni; per trovare tale formula partiremo
dalla 2 e moltiplicheremo entrambi i membri per il prezzo P e avremo:
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 37
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38. P x Q = [CF/(P-Cv)] x P
Il primo membro corrisponde appunto ai ricavi o fatturato di equilibrio.
Il secondo membro può essere scritto prima come: CF ( P − CV ) P e poi,
semplificando, avremo:
CF
Fbep = Cv
3
1−
P
Tale formula costituisce un altro importante punto di riferimento qualora si
cerchino i ricavi di equilibrio piuttosto che le quantità; la 3 inoltre è imprescindibile
in caso si voglia calcolare il fatturato di pareggio e non siano noti i valori puntuali di
P e Cv, ma solo il loro rapporto, per esempio Cv/P = 0,7.
In tal caso per trovare il fatturato di pareggio basta dividere i costi fissi per
1- 0,70 = 0,30
La formula introduce inoltre un aspetto nuovo; il denominatore infatti
corrisponde al margine di contribuzione espresso in valore percentuale (essendo
P − Cv
).
P
Esempio se il prezzo di vendita è 100 e il costo variabile di produzione è 70 il
rapporto Cv/P = 0,70 e 1 - 0,70 = 0,30 che corrisponde esattamente al margine di
contribuzione percentuale (100 - 70 diviso il prezzo 100).
La 3 può quindi essere anche scritta come segue:
Fbep = CF/MC% 3bis
Tale formulazione ci consente di effettuare una riflessione; infatti il rapporto
Cv/P, uguale nel nostro caso a 0,70, si può ottenere con un numero praticamente
infinito di rapporti come per es. 700/1000 o 70.000/100.000 ma anche 63/90,
210/300 , 280/400 ecc. ecc., in definitiva da quell’insieme di coppie di numeri il cui
rapporto sia pari a 0,70.
Per esempio se i costi fissi sono pari a 300.000 avremo lo stesso fatturato di
equilibrio pari a 1.000.000 sia che P sia uguale a 100 e Cv a 70 sia nel caso P sia
uguale a 10.000 e Cv a 7.000; ovviamente cambieranno le quantità in gioco.
In sostanza, in modo analogo alla “2bis” la “3bis ” porta ad un risultato
che non rappresenta una situazione unica ma “n” situazioni e cioè tutte quelle in
cui, a parità di costi fissi, sussista lo stesso rapporto Cv/P.
Riportiamo ora nella figura 13 il grafico del punto di pareggio con i valori
(ricavi e costi) in ordinate e le quantità in ascisse; da tale grafico si evidenzia che:
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39. • I costi fissi sono rappresentati da una retta parallela all’asse delle
ascisse.
• I costi variabili sono rappresentati da una retta che parte
dall’origine con coefficiente angolare pari al costo variabile Cv (nel grafico la
retta è tratteggiata) .
• I costi totali sono la somma dei costi fissi e dei costi variabili -
sono quindi un costo semivariabile - e sono rappresentati da una retta,
parallela a quella dei costi variabili, che interseca l’asse delle Y nel punto
corrispondente al totale dei costi fissi.
• I ricavi sono rappresentati da una retta che parte dall’origine con
il prezzo unitario P come coefficiente angolare.
• L’intersezione della retta dei ricavi con la retta dei costi totali
individua un punto le cui coordinate forniscono:
1. sulle ascisse, la quantità di equilibrio
2. sulle ordinate, il fatturato di equilibrio
Il grafico del punto di pareggio
Costi Ricavi totali
Ricavi area di profitto
Fatturato
di pareggio
Costi totali
Totale costi
area di perdita variabili
CF area di perdita
Costi
fissi
Volume
α
β di pareggio
Volumi di vendita
Figura 13. Il grafico del punto di pareggio
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 39
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40. Da notare, anche se del tutto ovvio, che la condizione per cui possa esistere
il punto di equilibrio è che il coefficiente angolare della retta dei ricavi sia
maggiore, anche di poco, del coefficiente della retta dei costi totali.
La retta dei ricavi dovrà avere quindi un’angolazione maggiore rispetto a
quella dei costi variabili e di conseguenza l’angolo α formato dalla retta dei ricavi
con l’asse delle ascisse (v. figura 13) dovrà essere sempre maggiore del
corrispondente angolo β formato dalla retta dei costi totali; per dirla più
semplicemente, dovrà sempre essere P > Cv e cioè il prezzo maggiore del costo
variabile.
Considerazione ancora più importante è che, superato il punto di pareggio,
il risultato operativo positivo, e quindi il profitto lordo, evidenzia un incremento
più che proporzionale rispetto all’aumento dei volumi di vendita; tale effetto,
denominato effetto leva (v. oltre, effetto leva, per i necessari approfondimenti)
risulta massimo subito dopo il punto di pareggio e tende a diminuire man mano che
aumenta la quantità venduta.
Si noti per quanto riguarda il margine di contribuzione che all’aumentare
della quantità venduta il valore unitario resta immutato (sarà sempre il prezzo
unitario meno il costo variabile unitario) mentre invece aumenterà il valore
complessivo.
3.2 Il volume di indifferenza
Ritorniamo ora sull’esempio già visto a pag. 33 in cui l’impresa, per
investire, doveva scegliere tra due prodotti A e B e dove avevamo visto che la scelta
non comportava difficoltà in quanto uno dei due prodotti (A) evidenziava il margine
di contribuzione unitario più alto e nello stesso tempo i costi fissi più bassi.
Consideriamo ora invece il caso in cui A abbia sempre il margine di
contribuzione unitario più alto ma anche i costi fissi più alti, per esempio come segue:
Dati Prodotto Prodotto
A B
Costi fissi 650.000 500.000
Prezzo vendita 60 50
Costo variabile uni 25 20
In tale caso si comprende come i volumi di vendita giochino un ruolo
fondamentale e vogliamo ora analizzare le varie possibilità che si possono presentare;
cominciamo con l’evidenziare che qualora le vendite fossero illimitate sarà
comunque A il prodotto da preferire in quanto ci sarà sempre un volume di vendite
tale per cui il maggior margine unitario del prodotto A riuscirà a compensare i
maggiori costi fissi. Qualora viceversa la domanda fosse contenuta, occorrerà stimare
quale sia per entrambi i prodotti la massima quantità che potrà essere richiesta dal
L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità 40
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41. mercato ed effettuare le opportune valutazioni calcolando appunto il cosiddetto
volume di indifferenza
Con tale espressione si intende un volume di vendita tale per cui il risultato
operativo apportato da entrambi i prodotti sarà identico; ovviamente tale volume
potrà esistere solo nel caso che essendo Mc 1 >Mc 2 sia anche CF 1 >CF 2 come nel
caso in oggetto (o anche Mc 1 <Mc 2 ma con CF 1 <CF2 ) . In tale contesto, si
comprende facilmente come prima di raggiungere tale volume di vendite sarà sempre
più vantaggioso il prodotto con costi fissi minori (B nel nostro caso) mentre superato
lo stesso volume di indifferenza sarà il prodotto A ad essere più conveniente e, tra
l’altro, lo sarà sempre di più man mano che si continuerà a vendere (in altre parole
la “forbice” tenderà ad allargarsi nel tempo, vedi figura 14).
Ciò premesso per calcolare il volume di indifferenza Qi, tale per cui le due
alternative producano lo stesso reddito, dovrà essere necessariamente
Qi = Ro 1 = Ro 2 cioè (Q x Mc 1 ) - CF 1 = (Q x Mc 2 ) – CF 2 quindi
Qi = CF1 – CF2 4
Mc1 - Mc2
Dalla formula possiamo calcolare immediatamente il volume di indifferenza
che sarà dato da (650.000- 500.000)/ (35-30) = 30.000
Qualora la domanda di mercato sia quindi in un intorno di 30.000 pezzi i due prodotti
producono esattamente lo stesso reddito e in tal caso potrebbe essere opportuno
investire sul prodotto che richiede il minor investimento in quanto ha i costi fissi più
bassi.
Si badi che nel caso il volume massimo di vendite per entrambi i prodotti
fosse pari a 17.500 pezzi è facile vedere come A non raggiungerebbe neppure il
volume di pareggio (650.000/35 = 18.571) per cui investire su A significherebbe una
perdita in quanto avremmo [(35x17.500) - 650.000] = - 37.500; di conseguenza in
tale contesto sarà preferibile investire su B che per 17.500 vendite apporterebbe
invece un utile di 25.000 euro. Infatti [(30x17.500) - 500.000] = 25.000 euro.
Ovviamente A, anche dopo che le vendite avranno superato il punto di
pareggio, pur in attivo, continuerà ad essere meno profittevole di B fino a che non
sarà stato raggiunto il volume di indifferenza e, solo dopo, comincerà a produrre un
reddito superiore.
Concludendo, nella scelta tra due prodotti che evidenzino una delle due
situazioni:
1) Mc 1 >Mc 2 e CF 1 >CF 2
oppure
2) Mc 1 <Mc 2 CF 1 <CF 2
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