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SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
FACOLTÀ DI PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
PER LA PERSONA E LA COMUNITÀ
A.A. 2005/06
Prova finale in
PSICOLOGIA GENERALE
L’intelligenza emotiva
Relatore: Candidato:
prof. Olimpia Matarazzo Carmine Acheo Matr. 857/845
INDICE
1. Le basi neurologiche delle emozioni …………………………… 3
2. Che cos'è l'intelligenza emotiva…………………………………. 5
3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva ………… 11
4. Sviluppare l'intelligenza emotiva ………………………………. 16
5. Conclusioni ……………………………………………………... 19
6. Bibliografia ……………………………………………………... 20
1. Le basi neurologiche delle emozioni
Le emozioni rappresentano un'interfaccia che media tra l'input e l'output e
uno sganciamento dello stimolo dalla risposta che consente all'organismo di
interporre un periodo di latenza tra la valutazione dello stimolo e una
risposta rapida e appropriata (Scherer, 1984). La valutazione di uno stimolo
è il primo passo per dare inizio ad un episodio emotivo ma spesso essa
avviene in modo non consapevole, infatti, secondo lo psicologo Robert
Zajonc, l'emozione precede la cognizione e non ne dipende, quindi,
l'esposizione agli stimoli basta a creare delle preferenze. Anche quando
siamo coscienti dell'esito di una valutazione emotiva non vuol dire che
capiamo consciamente il motivo della valutazione ma l'esito cosciente si può
basare sui intuizioni non verbalizzate, "viscerali" invece che su un insieme
verbalizzabile di proposizioni. Durante una risposta emotiva una persona
può essere del tutto inconsapevole della causa reale dell’evento emozionale.
Per esempio: quando un padre inveisce verbalmente sui figli può
razionalizzare il suo comportamento dicendo che i bambini erano stati
disubbidienti (causa apparente) ma quell’accesso d'ira potrebbe essere stato
legato a una brutta giornata in ufficio o addirittura a come lui stesso veniva
trattato dai genitori da piccolo. La causa di un’emozione può quindi essere
ben diversa dalle ragioni che adduciamo per spiegarla a posteriori a noi e
agli altri (causa/e reale/i).
MacLean (1949) ipotizzò che le nostre emozioni, al contrario dei nostri
pensieri, ci risultassero difficili da capire per via delle differenze strutturali
tra l'organizzazione dell'ippocampo - il nucleo del cervello viscerale - e
quella della neocorteccia dove risiede il cervello pensante della parola: " la
cito architettura corticale della formazione ippocampale indica che sarebbe
un analizzatore scarsamente efficiente rispetto alla neo corteccia "(1949,
pp.383-353). Si deduce che il sistema ippocampale tratti l’informazione
soltanto in maniera molto rozza e sia un cervello troppo primitivo per
analizzare il linguaggio. Si potrebbe immaginare, per esempio, che sebbene
3
il cervello viscerale non possa aspirare a concepire il colore rosso con una
parola di quattro lettere o con una particolare lunghezza d'onda, lo associ
comunque simbolicamente a oggetti molto diversi, come il sangue, lo
svenimento, la lotta, ecc. In assenza dell'aiuto e del controllo della
neocorteccia, le sue impressioni verrebbero trasmesse senza modifiche
all'ipotalamo e ai centri inferiori. Considerato alla luce della psicologia
freudiana, il cervello viscerale avrebbe numerosi attributi dell'inconscio.
Tuttavia, si potrebbe sostenere che il cervello viscerale non sia affatto
inconscio ma che sfugga all'intelletto perché la sua struttura animalistica e
primitiva gli rende impossibile comunicare in termini verbali. La vita
emotiva dei pazienti psicosomatici diventa spesso una questione di
"invisceramento " e di "esvisceramento" come se la persona non avesse mai,
da un punto di vista emotivo, " imparato a camminare ". Nel paziente
psicosomatico, sembrerebbe che non ci sia quasi nessuno scambio diretto tra
il cervello viscerale e quello pensante, e che i sentimenti emotivi prodottisi
nella formazione ippocampale, invece di venire trasmessi all'intelletto per
essere valutati, trovino un'espressione immediata attraverso i centri
autonomi. L'informazione sugli stimoli esterni raggiunge l'amigdala da
percorsi diretti provenienti dal talamo (strada bassa) e da percorsi che vanno
dal talamo alla corteccia all'amigdala. La via talamo-amigdala è più breve, il
sistema di trasmissione è più veloce, tuttavia, siccome il percorso diretto
evita la corteccia, non può sfruttare l'elaborazione corticale e quindi fornisce
all'amigdala solo una rappresentazione rozza dello stimolo. Si tratta di un
percorso di elaborazione veloce e impreciso, che ci consente di rispondere a
stimoli potenzialmente pericolosi prima di sapere esattamente che cosa
siano. È molto utile nelle situazioni pericolose, tuttavia, il percorso corticale
deve essere in grado di prevalere sul percorso diretto. È possibile che
quest’ultimo sia responsabile del controllo delle risposte emotive che non
capiamo. Potrebbe essere il modo di funzionamento dominante negli
individui che soffrono di certe turbe emotive e prodursi in ognuno di noi
solo occasionalmente.
In presenza di un pericolo o di stimoli che avvisano di un pericolo, vengono
espresse delle risposte comportamentali, autonome ed endocrine, e vengono
modulati dei riflessi. Ogni risposta è controllata da un insieme diverso di
segnali in uscita dal nucleo centrale dell'amigdala. Le lesioni del nucleo
centrale bloccano l'espressione di tutte le risposte, mentre le lesioni dei
percorsi in uscita bloccano soltanto singole risposte. Il nucleo centrale
dell’amigdala comunica con le seguenti strutture: il grigio centrale che
predispone ad una risposta di immobilità, l'ipotalamo laterale che controlla
la pressione sanguigna, l'ipotalamo paraventricolare che regola gli ormoni
dello stress e il reticulo pontis caudalis che attiva il riflesso di trasalimento.
2. Che cos'è l'intelligenza emotiva
L'intelligenza emotiva mira a far maturare nell'individuo la capacità di
motivare sé stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le
frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; e
modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di
pensare; e la capacità di essere empatici e di sperare. Molti dati testimoniano
che le persone competenti sul piano emozionale - quelle che sanno
controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli
efficacemente, - si trovano avvantaggiati in tutti i campi della vita, sia nelle
relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo
politico. Gli individui con capacità emozionali ben sviluppate hanno anche
maggiori probabilità di essere contenti ed efficaci nella vita, essendo in
grado di adottare gli atteggiamenti mentali che alimentano la produttività;
coloro che non riescono ad esercitare un certo controllo sulla propria vita
emotiva combattono battaglie interiori che finiscono per sabotare la loro
capacità di concentrarsi sul lavoro e di pensare lucidamente. Lo psicologo
Sternberg con altri studiosi domandò ad un certo numero di soggetti di
descrivere una persona intelligente: fra le caratteristiche principali venivano
citate le capacità pratiche delle relazioni personali, intese come attributi
socialmente rilevanti: interesse per il mondo in genere (Sternberg et al.
5
1981). Tali ricerche indussero Sternberg a trovarsi in linea con il pensiero di
Thorndike e confermare che l'Intelligenza Sociale è distinta dalle capacità
scolastiche ed è parte integrante delle doti che consentono alle persone di
realizzarsi negli aspetti pratici della vita.
Gardner, psicologo della Harvard School of Education, sosteneva che non
esistesse un unico tipo monolitico di intelligenza fondamentale per avere
successo nella vita, ma piuttosto che ce ne fosse una ampia gamma, dalla
quale individuava sette varietà fondamentali o sette modi differenti di
conoscere il mondo e cioè, attraverso il linguaggio, l'analisi logico
matematica, la rappresentazione spaziale, il pensiero musicale, l'uso del
corpo, la comprensione degli altri individui, la comprensione di noi stessi.
(Gardner 1991,1993). L'intelligenza interpersonale è la capacità di
comprendere gli altri, le loro motivazioni nel loro modo di lavorare,
scoprendo nel contempo in che modo sia possibile interagire con essi in
maniera cooperativa. L'intelligenza intrapersonale è una capacità correlativa
rivolta verso l'interno: è l'abilità di formarsi un modello accurato e veritiero
di sé stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita. Le componenti
dell'intelligenza interpersonale sono: capacità di organizzare gruppi,
capacità di negoziare soluzioni, capacità di stabilire legami personali e la
capacità ed analisi della situazione sociale. La capacità di organizzare gruppi
è l’abilità essenziale del leader, che comporta la capacità di coordinare gli
sforzi di una rete di individui. La capacità di negoziare soluzioni è il talento
del mediatore, capace di prevenire conflitti o di risolvere quelli già in atto.
Gli individui dotati di questo talento eccellono nelle trattative, riescono a far
bene da arbitri o da mediatori nelle controversie. La capacità di stabilire
legami personali implica la dote dell'empatia e del sapere entrare in
connessione con gli altri. Essa facilita l'inizio di interazione, il
riconoscimento di sentimenti e delle preoccupazioni degli altri e stimola la
risposta adeguata. La capacità ed analisi della situazione sociale è la capacità
di riconoscere e di comprendere i sentimenti, le motivazioni e le
preoccupazioni altrui. Questa conoscenza del modo in cui si sentono gli altri
può facilitare l'intimità e rapporti. Nel caso migliore, questa abilità porta ad
essere terapeuti o consulenti competenti.
Peter Salovey ha mappatto molto dettagliatamente i vari modi in cui è
possibile portare l'intelligenza nella sfera delle emozioni. Questo concetto
d’intelligenza si distaccava completamente da un approccio cognitivo che
concepiva il pensiero come diviso dall'emozione e da chi, come Gardner,
dava enfasi non tanto alle emozioni, quanto al pensiero che le riguarda, ossia
sulla meta cognizione. Salovey e Mayer (1990), nella loro fondamentale
definizione d’intelligenza emotiva includono le intelligenze personali di
Gardner, estendendo questa abilità a cinque ambiti principali:
1. Conoscenza delle proprie emozioni. L'autoconsapevolezza è la capacità di
riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, ovvero la
capacità di monitorare istante per istante i propri sentimenti anche quando si
stiano provando emozioni molteplici o contrastanti.
2. Controllo delle emozioni. E’ la capacità di controllare sentimenti in modo
che essi siano appropriati, e si fonda sull'autoconsapevolezza.
3. Motivazione di se stessi. La capacità di dominare le emozioni per
raggiungere l'obiettivo è una dote essenziale per concentrare l'attenzione, per
trovare motivazione e controllo di sé, per la creatività. Il controllo
emozionale è la capacità di ritardare la gratificazione e di reprimere gli
impulsi. La capacità di entrare nello stato di "flusso" ci consente di ottenere
prestazioni eccezionali di qualsiasi tipo.
4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L'empatia offre un'altra capacità
basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è fondamentale nella
relazione con gli altri.
7
5. Gestione delle relazioni. L'arte delle relazioni consiste in larga misura
nella capacità di dominare le emozioni altrui.
Affine al costrutto d’intelligenza emotiva è il concetto di resilienza dell'Io
(Block, 1995). Una delle sue componenti è il senso di autoefficacia, ossia la
convinzione di avere il controllo sugli eventi della propria vita e di poter
accettare le sfide nel momento in cui esse si presentano. Lo sviluppo di una
competenza di qualunque tipo rafforza questa sensazione di sapersi
controllare e monitorare le situazioni in cui ci troviamo, aumentando la
disponibilità dell'individuo a correre dei rischi e a tentare imprese sempre
più difficili. A sua volta, il superare queste difficoltà aumenta il senso
d’autoefficacia. Chi è dotato d’autoefficacia può riprendersi più facilmente
dai fallimenti ed è maggiormente in grado di gestire le situazioni senza
preoccuparsi di ciò che potrebbe andare eventualmente male. Un'altra
componente importante della resilienza dell'Io è l'intelligenza sociale che si
fonda in parte sull’empatia. L'empatia proviene dal mimetismo motorio
presente fin dai primi mesi di vita. Essa, secondo Tichener (1920), scaturiva
da una sorta di imitazione fisica della sofferenza altrui, che poi evocava gli
stessi sentimenti anche nell'imitatore. Tichener cercava una parola che fosse
distinta da simpatia, la benevola compassione che si può provare per la
sofferenza altrui ma che non comporta alcuna condivisione. Il mimetismo
motorio svanisce dal repertorio di bambini intorno all'età di due anni e
mezzo, quando essi capiscono che il dolore altrui è diverso dal proprio e
riescono a consolare meglio gli altri. Daniel Stern (1987) ha studiato ripetuti
scambi che hanno luogo fra genitori e figli ed egli crede che i fondamenti
della vita emotiva vengano posti in questi momenti di grande intimità. Di
tutti questi istanti, i più critici sono quelli che consentono al bambino di
sapere che le sue emozioni incontrano l'empatia dell’altro, sono accertate e
ricambiate, in un processo chiamato " sintonizzazione ". Stern sostiene che
gli infiniti momenti di sintonizzazione e desintonizzazione fra genitori e
figli plasmano le aspettative emotive che gli adulti immettono nel rapporto,
forse molto di più di quanto non facciano gli eventi più drammatici di
infanzia. La sintonizzazione avviene tacitamente: viene inserita come un
elemento ritmico della relazione. Egli ha scoperto che attraverso la
sintonizzazione, le madri comunicano ai figli di percepire i loro sentimenti
ciò significa che questo processo è diverso dalla semplice imitazione, cioè è
molto di più del sapere che cosa l'altro faccia, bensì è la capacità di
riprodurre i sentimenti dell'altro in un altro modo. Nella vita adulta, il fare
l'amore è l'atto che forse si avvicina di più a questa sintonizzazione fra
madre e figlio. Secondo Stern, l'atto sessuale implica la percezione dello
stato soggettivo dell’altro: la condivisione del desiderio, un’armonia di
intenzioni, e un’attrazione reciproca sincronizzata. La trascuratezza
emozionale sembra smorzare l'empatia, nei soggetti sottoposti a violenze
psicologiche intense e prolungate. Minacce crudeli e sadiche, umiliazione e
completa miseria, possono produrre conseguenze paradossali. I bambini che
sopportano tali abusi possono, infatti, sia essere completamente insensibili
agli stati emotivi altrui, sia diventare ipersensibili alle emozioni altrui.
Quest’ultima è una reazione derivante da una vigilanza post-traumatica agli
indizi segnalanti una minaccia.
Secondo Hoffmann (1984) le radici della moralità siano da ricercarsi
nell'empatia, dal momento che gli individui si sentono spinti ad aiutare gli
altri - qualcuno che soffre, è in pericolo o patisce per una privazione -
proprio perché empatizzano con queste potenziali vittime e quindi ne
condividono la pena. Hoffmann propone che la stessa capacità di trovare un
affetto empatico, in altre parole di mettersi nei panni degli altri, induca la
gente a seguire certi principi morali. Egli ritiene che l'empatia vada
sviluppandosi in modo naturale a partire dall'infanzia e questa capacità,
nell'adolescenza, può portare al radicarsi di convinzioni morali imperniate
sul desiderio di alleviare l'infelicità e l'ingiustizia. L'empatia è alla base di
molti aspetti del giudizio e dell'azione morale. Studi condotti in Germania e
negli Stati Uniti (Hoffmann, 1984) hanno rivelato che quanto maggiore è
9
l'empatia degli individui, tanto più essi approvano il principio secondo il
quale le risorse dovrebbero essere distribuite in base alle reali esigenze delle
persone.
Una delle competenze sociali e fondamentali dell'individuo è la capacità di
esprimere, bene o male, i propri sentimenti. Ekman (1973) usa il termine
“regole di esibizione” per indicare il consenso sociale che prescrive quali
sentimenti possono essere esibiti in modo appropriato al contesto sociale, e
quando. Esistono diversi tipi fondamentali e di regole di esibizione:
minimizzare o esagerare ciò che si sente oppure sostituire un sentimento con
un altro. L'abilità nell'applicare queste strategie, e il saperle usare al
momento opportuno, sono fattori importanti dell'intelligenza emotiva. Ad
esempio: se un bambino riceve il messaggio" sorridi e dici grazie per questo
bel regalo " da un genitore che in quel momento è duro, severo e freddo -
che sibila il messaggio invece di suggerirlo con calore - probabilmente
imparerà qualcosa di molto diverso e risponderà alla persona che gli ha fatto
il regalo con un'espressione corrucciata e un " grazie " secco e reciso.
L'esibizione delle emozioni, naturalmente, ha conseguenze immediate
sull'impatto che esse hanno sulla persona che le riceve. Queste regole
d’espressione delle emozioni non sono solo gli elementi base per un
comportamento sociale appropriato: esse stabiliscono il tipo d’impatto che i
nostri sentimenti avranno sugli altri. Seguire correttamente queste regole
significa avere un impatto ottimale; farlo male significa invece fomentare il
caos emozionale. In ogni interazione noi inviamo segnali emozionali che
influenzano le persone con le quali ci troviamo. Quanto più siamo
socialmente abili, tanto meglio riusciamo a controllare i segnali che
emettiamo; dopo tutto, il riserbo previsto dalla buona educazione non è che
un mezzo per assicurarsi che nessuna fuga emozionale destabilizzi
l'interazione. L'intelligenza emotiva comporta la capacità di gestire le
transazioni tra le persone: saper gestire le proprie emozioni in relazione al
contesto in cui si generano vuol dire risultare piacevoli agli altri e far stare
bene sé stessi e gli altri. Le persone capaci di aiutare le altre a placare i
propri sentimenti hanno una dote sociale particolarmente apprezzata; sono
queste le persone alle quali gli altri si rivolgono nei momenti di maggiore
bisogno.
3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva
L'autoconsapevolezza richiede l'attivazione della neocorteccia, e
particolarmente delle aree del linguaggio, che consentono di dare un nome
alle emozioni sbagliate. " Essere consapevoli di sé significa essere
consapevoli sia del nostro stato d'animo che dei nostri pensieri su di esso
" (Salovey e Mayer, 1990). Il controllo delle emozioni di eventi negativi dal
forte impatto emotivo implica spesso delle modificazioni nel sistema di
credenze su di sé e sul mondo e una minaccia per il conseguimento degli
scopi rilevanti degli individui. Il loro carattere potenzialmente traumatico
richiede la messa in atto di meccanismi di coping di vasta portata al fine di
padroneggiare l'impatto emotivo e di rimaneggiare gli schemi cognitivi
preesistenti per integrare le nuove informazioni. Liberarsi da stati d'animo
negativi vuol dire anche fermare pensieri ossessivi distraendosi,
minimizzando o condividendo le proprie emozioni con gli altri.
Se ci si trova in una situazione di vacuità emozionale, ovvero si soffre di
alessitimia, non si hanno parole per descrivere i propri sentimenti. In effetti,
gli alessitimici sembrano mancare anche dei sentimenti stessi, sebbene
questa impressione possa essere causata dalla loro incapacità di esprimere
l'emozione, e non dalla totale assenza dell'emozione in quanto tale. Gli
aspetti clinici che contrassegnano i pazienti alessitimici comprendono la
difficoltà nel descrivere sentimenti propri ed altrui, la presenza di un
vocabolario emozionale molto limitato, la difficoltà a discriminare tanto fra
emozioni diverse quanto fra emozioni e sensazioni fisiche. Questi pazienti
arrivano, infatti, al punto di lamentarsi di un senso di vuoto allo stomaco,
palpitazioni, sudorazione e vertigini, senza sospettare minimamente che
11
possa trattarsi di ansia. Essi raramente piangono, ma se lo fanno, non
risparmiano le lacrime. Tuttavia, restano sconcertati se si chiede loro il
perché del loro pianto. Essere incapaci di tradurre i propri sentimenti vuol
dire che la neocorteccia non è più in grado di classificarli e di completarli
aggiungendo loro le sfumature del linguaggio: non aver parole per
descrivere sentimenti significa non potersi appropriare di essi (Sifneos,
1972). Ascoltare i propri segnali provenienti dalle viscere ci aiuta a decidere
del nostro destino: per esempio ci facilita nel dover decidere quali carriere
intraprendere, se conservare un posto di lavoro sicuro o passare a un altro,
con chi avere una relazione, chi sposare, dove vivere, quale appartamento
affittare o quale casa acquistare, eccetera. La logica da sola non potrà mai
servire come base per decidere chi sposare o in quale persona riporre
fiducia, e nemmeno quale lavoro scegliere; questi sono tutti campi nei quali
la ragione, se non è coadiuvata dal sentimento, è cieca. Damasio (1995)
chiama i segnali intuitivi che ci guidano nei momenti decisionali della vita e
che sentiamo sotto forma d’impulsi provenienti dalle viscere e regolati dal
sistema limbico: "marker somatici". Essi sono un tipo d’allarme automatico,
che solitamente attira l'attenzione su un pericolo potenziale proveniente da
un’azione in corso di svolgimento. Molto spesso questi marker ci distolgono
da una scelta sconsigliata dall'esperienza, ma possono anche allertarci di
fronte a una occasione importante. Ogni qualvolta compare una sensazione
viscerale, possiamo immediatamente abbandonare una certa strada o
proseguire su di essa con maggiore sicurezza, riducendo la gamma delle
scelte disponibili a una matrice più maneggevole. La chiave per scandagliare
i nostri processi decisori personali è dunque quella di essere in sintonia con i
propri sentimenti.
Quando le emozioni sono suscitate da eventi negativi particolarmente
salienti esse possono diventare delle vere e proprie “tempeste emozionali”
(Goleman, 1996). Ad esempio essere pesantemente insultati vuol dire
recepire un segnale di pericolo ma più precisamente significa avere una
minaccia simbolica all’autostima o alla dignità della persona. Questa
percezione di pericolo è il fattore innescante che scatena una tempesta nel
sistema limbico, producendo un duplice effetto sul cervello. Parte di tale
tempesta si traduce nel rilascio di catecolamine, che induce un’onda rapida
ed episodica d’energia. Questa tempesta d’energia dura qualche minuto,
preparando l'organismo ad un buon combattimento o ad una fuga veloce, a
seconda del modo in cui cervello emozionale giudica la situazione
contingente. Nel frattempo, la seconda reazione, guidata dall'amigdala e
mediata dalle ghiandole surrenali, crea una condizione tonica di fondo che
predispone all'azione e che dura molto più a lungo della tempesta di energia
legata al rilascio delle catecolamine. Questo eccitamento corticosurrenale
generalizzato può durare per ore e anche per giorni, con effetto di mantenere
il cervello emozionale in uno stato di particolare attivazione e diventando
così la base sulla quale è possibile innescare molto velocemente eventuali
reazioni successive (Zillmann, 1993). Per disinnescare delle reazioni a
catena all'interno del cervello un’alternativa più sicura, rispetto a fomentare
la collera, è quella di fare una lunga passeggiata o altrettanto utili possono
essere le tecniche di rilassamento, come la respirazione profonda e il
rilassamento muscolare: infatti, queste modalità servono a far passare
l'organismo da uno stato di attivazione generale ad uno stato di minore
attivazione. Dare libero sfogo alla collera è uno dei modi peggiori per
raffreddarla: di solito gli scoppi di collera alimentano l'attivazione del
cervello emozionale, lasciando l'individuo ancora più adirato, di certo non
più calmo. Un’altra emozione che può presentarsi come “tempesta” è
l’ansia.
L’ansia si presenta in due forme: cognitiva ossia sotto forma di pensieri
preoccupanti; somatica con i classici sintomi, quali la sudorazione,
l'aumento della frequenza cardiaca, la tensione muscolare. In uno stato
d'ansia la preoccupazione in certo senso ripercorrere mentalmente gli eventi,
in modo da isolare ciò che potrebbe andare male e decidere come affrontare
13
il problema; la funzione della preoccupazione in quanto reazione è quella di
escogitare soluzioni positive nelle situazioni pericolose della vita,
anticipandole prima che le si presentino. Il problema sorge nel caso in cui le
preoccupazioni diventino croniche e ripetitive, nel caso in cui continua a
riciclarsi all'infinito, senza mai fare intravedere una soluzione positiva.
Quando questo ciclo di preoccupazione persiste e si intensifica, esso sfuma
in veri e propri sequestri emozionali, ossia nei disturbi ansiosi: fobie,
ossessioni, compulsioni, attacchi di panico in ciascuno di questi disturbi la
preoccupazione assume una connotazione distinta: nel paziente fobico, le
ansie si fissano sulla situazione oggetto della paura; in quello ossessivo,
sulla necessità di evitare una qualche calamità; nel caso degli attacchi di
panico, infine, le preoccupazioni possono concentrarsi sulla paura di morte o
sulla prospettiva stessa degli attacchi. Nel momento in cui la preoccupazione
finisce per sfuggire ad ogni controllo bisogna frenare l'attivazione di pensieri
molesti mettendolì in discussione, contemplando tutta una gamma di punti
di vista ugualmente plausibili, ci si vieta di considerarli veri e di accettarli
ingenuamente (Goleman, 1996).
Nella malinconia, invece, l'individuo continua a rimuginare sulla propria
depressione ovvero su quanto si sentano stanchi, sulle loro poche energie e
sulla loro scarsa motivazione. L'isolarsi e pensare a quanto ci si sente male
porta la persona affetta da depressione a giustificare il fatto che si ha il
bisogno di rimanere soli con sé stessi per cercare di capirsi meglio, in realtà,
queste persone stanno innescando sentimenti di tristezza senza far nulla che
possa davvero migliorare il loro stato d'animo. Per modificare questo stato
mentale è importante imparare a mettere in discussione i pensieri, oggetto
delle ruminazioni, e ad escogitare alternative più efficaci. Un'altra tattica è
quella di programmare ad hoc eventi piacevoli che li distraggano dai
pensieri ossessivi oppure per sollevare il morale di una persona depressa
questa può aiutare altre persone in difficoltà, poiché la depressione è
alimentata da pensieri e preoccupazioni riferiti al sé, nel momento stesso in
cui empatizza con altre persone sofferenti e le aiuta, si sente sollevata
(Goleman, 1996).
Una modalità che può regolare diversi tipi di emozione è riuscire ad entrare
nel “flusso” ovvero entrare in uno stato di armonia emozionale: questa
modalità rappresenta il massimo livello di imbrigliamento e sfruttamento
delle emozioni al servizio della prestazione e dell'apprendimento. Nel flusso
le emozioni non sono solamente contenute e incanalate, ma positive,
energizzate e in armonia con il compito cui ci si sta dedicando. La
sensazione che il flusso determina è quella simile ad una gioia spontanea, è
una situazione in cui l'individuo è assorbito in ciò che sta facendo e presta
attenzione esclusivamente ad un determinato compito. L'attenzione è
talmente concentrata che l'individuo che la vive è consapevole solo della
ristretta gamma di percezioni immediatamente legate a ciò che sta facendo e
perde ogni cognizione dello spazio e del tempo. Il flusso è uno stato in cui
l'individuo si disinteressa di sé, l'opposto del rimuginare e del preoccuparsi,
quindi, invece di perdersi nella preoccupazione nel nervosismo la persona si
spoglia delle piccole preoccupazioni della vita quotidiana e di sé stesso e
vive questa esperienza estatica. Ci sono diversi modi per entrare nel flusso,
come quello di concentrarsi esclusivamente e intenzionalmente su ciò che si
sta facendo; arrivare ad uno stato di profonda concentrazione è l'essenza
stessa del flusso. Esso è possibile " in un fragile territorio che si trova fra la
noia e l'ansia " (Goleman, 1996, pp. 118-121).
15
4. Sviluppare l'intelligenza emotiva
"Insegnare l'alfabeto delle emozioni per aiutare i ragazzi a diventare giovani
e uomini, equilibrati e sereni... la capacità di leggere e comprendere le
proprie emozioni quelle degli altri. Questo processo è molto simile a quello
nel corso del quale s’impara a leggere... Analogamente, l'alfabetizzazione
emotiva comporta il riconoscimento dell'aspetto e delle sensazioni associati
alle nostre emozioni, e in un secondo tempo l'uso di tale abilità per
comprendere meglio noi stessi e gli altri. Impariamo così ad apprezzare la
complessità della vita emotiva e questo migliora le nostre relazioni personali
e professionali, invitandoci a rafforzare i legami che arricchiscono la nostra
vita " (Kindlon e Thompson, 2000)
Il programma della Scienza del sé si pone come modello per l'insegnamento
dell'intelligenza emotiva. I contenuti della Scienza del sé corrispondono
quasi punto per punto ai componenti dell'intelligenza emotiva e alle abilità
fondamentali consigliate per la prevenzione dei pericoli che minacciano i
giovanissimi (Karen F. Stone e Harold Q. Dillehunt, Self Science: The
Subject Is Me, 1978). I contenuti dell'insegnamento comprendono
l'autoconsapevolezza, ossia la capacità di riconoscere i sentimenti e di
costruire un vocabolario per la loro realizzazione; cogliere nessi tra pensieri,
sentimenti e reazioni; sapere se si sta prendendo una decisione in base a
riflessioni o a sentimenti. L'autoconsapevolezza può anche servire per il
riconoscimento delle proprie forze e delle proprie debolezze e nel saper
considerarsi in una luce positiva, ma realistica. Un altro aspetto che viene
sottolineato è come controllare le emozioni: capire che cosa sta dietro un
sentimento imparare come trattare l'ansia, la collera, la tristezza. Si dà anche
molto risalto all'assunzione di responsabilità relativamente a decisioni e
azioni e al mantenimento degli impegni assunti. Un'abilità sociale
fondamentale è l'empatia, ossia il comprende i sentimenti altrui e la capacità
di assumere il loro punto di vista, rispettando i diversi modi in cui le persone
considerano la situazione. Un'attenzione particolare viene dedicata ai
rapporti interpersonali. La trattazione di questo tema comprende: imparare a
saper ascoltare e a porre domande; distinguere tra ciò che qualcuno dice o fa
e le proprie reazioni o i propri giudizi; essere sicuri di sé, invece di
arrabbiarsi o restare passivi; imparare l'arte di collaborare, di risolvere i
conflitti e negoziare i compromessi. Questa sorta di alfabetizzazione
emozionale amplia la nostra visione del compito delle scuole, conferendo a
esse più esplicitamente un ruolo sociale nell'impartire ai ragazzi lezioni
essenziali per la vita. Il programma funziona ancora meglio quando le
lezioni a scuola sono coordinate con quello che avviene a casa. Molti
programmi di alfabetizzazione emozionale comprendono corsi speciali per i
genitori, per insegnare loro ciò che i figli che stanno imparando a scuola. Lo
scopo non è soltanto quello di consentire ai genitori di integrare ciò che
viene impartito a scuola, ma anche quello di aiutare quei genitori che
sentono il bisogno di rapportarsi con la vita emotiva dei figli. In tal modo i
ragazzi ricevano messaggi coerenti di competenza emozionale in ogni
ambito della loro vita. Si crea così un intreccio più saldo tra la scuola, i
genitori e la comunità. Si aumenta la probabilità che ciò che i ragazzi
imparano nei corsi di alfabetizzazione emozionale non rimanga solo
un'esperienza scolastica, ma venga messo alla prova, praticato e affinato
nelle sfide reali della vita. Un altro modo in cui l'introduzione di questo
tema riforma le scuole è nella costruzione di una cultura scolastica che
trasformi l'istituto in una comunità d’assistenza, un luogo in cui gli studenti
si sentono rispettati, seguiti, curati e legati ai compagni, agli insegnanti della
scuola stessa.
Gli studenti che avevano seguiti corsi di alfabetizzazione emotiva ne hanno
tratto un esteso beneficio per la loro condotta dentro e fuori la classe e per la
loro capacità di apprendimento. Si è verificato miglioramento in tutte le aree
classiche dell'intelligenza emotiva:
Autoconsapevolezza emozionale
17
Migliore capacità di riconoscere e denominare le proprie emozioni, di
comprendere le cause dei sentimenti, di riconoscere la differenza tra
sentimenti e azioni.
Controllo delle emozioni
Miglioramento della sopportazione della frustrazione e controllo della
collera, della capacità di affrontare lo stress, miglioramento della condotta
che diventata meno aggressiva o autodistruttiva; si sono rilevati, inoltre: una
minore frequenza di umiliazioni, scontri/disturbi in classe; una minor
solitudine e ansia nei rapporti sociali; minor numero di sospensioni ed
espulsioni; sentimenti più positivi sul proprio io, sulla scuola e sulla
famiglia.
Indirizzare le emozioni in senso produttivo
Maggior senso di responsabilità, maggiore capacità di concentrarsi sul
compito che si ha di fronte, di fare attenzione, minore impulsi vitali,
maggiore autocontrollo, migliori risultati delle prove scolastiche.
Empatia: leggere le emozioni
Migliore capacità di assumere il punto di vista altrui, maggiore empatia e
sensibilità verso i sentimenti altrui, migliore capacità di ascoltare gli altri.
Gestire i rapporti
Migliore capacità di analizzare e comprendere i rapporti, di risolvere i
conflitti, di negoziare i contrasti, di risolvere problemi nei rapporti.
Maggiore sicurezza di sé, maggiore capacità di comunicare, maggiore
simpatia e socievolezza.
Maggiore interesse da parte dei coetanei e premura verso gli altri. Minor
individualismo e maggiore disposizione alla collaborazione in gruppo.
Maggiore spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a
rendersi utili agli altri. Maggiore democrazia nel trattare con gli altri.
5. Conclusioni
Grazie alle prospettive date dall’Intelligenza Emotiva si può rispondere
all’esigenza di ricostruire una nuovo modello di scuola che non si
accontenta di insegnare solo le competenze cosiddette accademiche: leggere,
scrivere e far di conto, ma è in grado di adeguare i percorsi educativi alla
luce delle nuove conoscenze sull’apprendimento e sullo sviluppo
dell’individuo: dalle teorie di Gardner sulle Intelligenze Multiple alla teoria
sull’Intelligenza Emotiva. Goleman (1996) sostiene che probabilmente la
prossima grande frontiera dell’apprendimento, l’area in cui potremo
esplorare affascinanti possibilità è rappresentata dalla dimensione
emozionale, l’immenso spazio che appare ancora con i caratteri
dell’illogicità e dell’irrazionale e che, forse per tale motivo, sollecita la
ricerca scientifica all’acquisizione di nuove conoscenze e strumenti. In
ambito accademico si spera che le scienze cognitive diventino scienze della
mente perché emozioni e cognizioni non siano più divise ma siano integrate
in un modello unitario dove le due componenti abbiano lo stesso peso e la
stessa dignità. Concludo con una frase molto significativa di S. Denham sul
ruolo di una buona alfabetizzazione emozionale: “Sappiamo oggi che se nei
primi anni di vita del bambino prestiamo attenzione alla sua competenza
emotiva, la comprendiamo e la favoriamo, ciò produrrà incalcolabili
benefici. Spero ardentemente, dunque, che d’ora in poi si comincerà ad agire
di conseguenza” (Denham, 1998).
19
BIBLIOGRAFIA
Bowlby J., A secure base: Parent – child attachment and healthy human
development, Basic, New York, 1988
Damasio A. R., L’errore di Cartesio, Adelphi ed, Milano, 1995
Denham S. A., Lo Sviluppo emotivo nei Bambini, Astrolabio editrice,
Ubaldini editore, Roma, 2001
Ekman P. Darwin and Facial Expression: a century of research in review –
Academic Press, New York, 1973
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(trad. it. Emozioni. Bologna, Il Mulino, 1990).
LeDoux, J. E., The Emotional Brain. The Mysterious Underpinnings of
Emotional Life (trad. it. Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni,
Baldini Castaldi Dalai ed.,Milano, 2003 2004)
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Neuroscience” n. 2, 1991, pp 169-199
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Gardner H., La nuova scienza della mente, Feltrinelli, Milano, 1989
Goleman D., Emotional Intelligence, Bantan, New York, 1995, (trad. it.
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diventerà uomo, Rizzoli ed., Milano, 2000
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Medicine” n. 11, pp 338-353, 1949
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Salovey P., Mayer J.D. (1990). Emotional intelligence. Imagination,
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Psychoterapy and Psychosomatic 46, 1986, pp 96-104
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approach, in Approaches to Emotion, a cura di K. R. Scherer e P. Ekman,
Erlbaum, Hillsdale, NJ, pp 293-317, 1984
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1987
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York, 1985
Sternberg R., Stili di pensiero, Erickson, Trento, 1998
Thorndike E. L., The Psychology of Learning, Teachers College Press, New
York, 1913
Zajonc R.B., feeling and thinking : Preference need no inferences,
«American Psychologist » n. 35, pp 151-175, 1980
Zajonc R.B. (1984). On the primacy of affect. American Psychologist, 39,
117-123
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  • 1. SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FACOLTÀ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE PER LA PERSONA E LA COMUNITÀ A.A. 2005/06 Prova finale in PSICOLOGIA GENERALE L’intelligenza emotiva Relatore: Candidato: prof. Olimpia Matarazzo Carmine Acheo Matr. 857/845
  • 2. INDICE 1. Le basi neurologiche delle emozioni …………………………… 3 2. Che cos'è l'intelligenza emotiva…………………………………. 5 3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva ………… 11 4. Sviluppare l'intelligenza emotiva ………………………………. 16 5. Conclusioni ……………………………………………………... 19 6. Bibliografia ……………………………………………………... 20
  • 3. 1. Le basi neurologiche delle emozioni Le emozioni rappresentano un'interfaccia che media tra l'input e l'output e uno sganciamento dello stimolo dalla risposta che consente all'organismo di interporre un periodo di latenza tra la valutazione dello stimolo e una risposta rapida e appropriata (Scherer, 1984). La valutazione di uno stimolo è il primo passo per dare inizio ad un episodio emotivo ma spesso essa avviene in modo non consapevole, infatti, secondo lo psicologo Robert Zajonc, l'emozione precede la cognizione e non ne dipende, quindi, l'esposizione agli stimoli basta a creare delle preferenze. Anche quando siamo coscienti dell'esito di una valutazione emotiva non vuol dire che capiamo consciamente il motivo della valutazione ma l'esito cosciente si può basare sui intuizioni non verbalizzate, "viscerali" invece che su un insieme verbalizzabile di proposizioni. Durante una risposta emotiva una persona può essere del tutto inconsapevole della causa reale dell’evento emozionale. Per esempio: quando un padre inveisce verbalmente sui figli può razionalizzare il suo comportamento dicendo che i bambini erano stati disubbidienti (causa apparente) ma quell’accesso d'ira potrebbe essere stato legato a una brutta giornata in ufficio o addirittura a come lui stesso veniva trattato dai genitori da piccolo. La causa di un’emozione può quindi essere ben diversa dalle ragioni che adduciamo per spiegarla a posteriori a noi e agli altri (causa/e reale/i). MacLean (1949) ipotizzò che le nostre emozioni, al contrario dei nostri pensieri, ci risultassero difficili da capire per via delle differenze strutturali tra l'organizzazione dell'ippocampo - il nucleo del cervello viscerale - e quella della neocorteccia dove risiede il cervello pensante della parola: " la cito architettura corticale della formazione ippocampale indica che sarebbe un analizzatore scarsamente efficiente rispetto alla neo corteccia "(1949, pp.383-353). Si deduce che il sistema ippocampale tratti l’informazione soltanto in maniera molto rozza e sia un cervello troppo primitivo per analizzare il linguaggio. Si potrebbe immaginare, per esempio, che sebbene 3
  • 4. il cervello viscerale non possa aspirare a concepire il colore rosso con una parola di quattro lettere o con una particolare lunghezza d'onda, lo associ comunque simbolicamente a oggetti molto diversi, come il sangue, lo svenimento, la lotta, ecc. In assenza dell'aiuto e del controllo della neocorteccia, le sue impressioni verrebbero trasmesse senza modifiche all'ipotalamo e ai centri inferiori. Considerato alla luce della psicologia freudiana, il cervello viscerale avrebbe numerosi attributi dell'inconscio. Tuttavia, si potrebbe sostenere che il cervello viscerale non sia affatto inconscio ma che sfugga all'intelletto perché la sua struttura animalistica e primitiva gli rende impossibile comunicare in termini verbali. La vita emotiva dei pazienti psicosomatici diventa spesso una questione di "invisceramento " e di "esvisceramento" come se la persona non avesse mai, da un punto di vista emotivo, " imparato a camminare ". Nel paziente psicosomatico, sembrerebbe che non ci sia quasi nessuno scambio diretto tra il cervello viscerale e quello pensante, e che i sentimenti emotivi prodottisi nella formazione ippocampale, invece di venire trasmessi all'intelletto per essere valutati, trovino un'espressione immediata attraverso i centri autonomi. L'informazione sugli stimoli esterni raggiunge l'amigdala da percorsi diretti provenienti dal talamo (strada bassa) e da percorsi che vanno dal talamo alla corteccia all'amigdala. La via talamo-amigdala è più breve, il sistema di trasmissione è più veloce, tuttavia, siccome il percorso diretto evita la corteccia, non può sfruttare l'elaborazione corticale e quindi fornisce all'amigdala solo una rappresentazione rozza dello stimolo. Si tratta di un percorso di elaborazione veloce e impreciso, che ci consente di rispondere a stimoli potenzialmente pericolosi prima di sapere esattamente che cosa siano. È molto utile nelle situazioni pericolose, tuttavia, il percorso corticale deve essere in grado di prevalere sul percorso diretto. È possibile che quest’ultimo sia responsabile del controllo delle risposte emotive che non capiamo. Potrebbe essere il modo di funzionamento dominante negli individui che soffrono di certe turbe emotive e prodursi in ognuno di noi solo occasionalmente.
  • 5. In presenza di un pericolo o di stimoli che avvisano di un pericolo, vengono espresse delle risposte comportamentali, autonome ed endocrine, e vengono modulati dei riflessi. Ogni risposta è controllata da un insieme diverso di segnali in uscita dal nucleo centrale dell'amigdala. Le lesioni del nucleo centrale bloccano l'espressione di tutte le risposte, mentre le lesioni dei percorsi in uscita bloccano soltanto singole risposte. Il nucleo centrale dell’amigdala comunica con le seguenti strutture: il grigio centrale che predispone ad una risposta di immobilità, l'ipotalamo laterale che controlla la pressione sanguigna, l'ipotalamo paraventricolare che regola gli ormoni dello stress e il reticulo pontis caudalis che attiva il riflesso di trasalimento. 2. Che cos'è l'intelligenza emotiva L'intelligenza emotiva mira a far maturare nell'individuo la capacità di motivare sé stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; e modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e la capacità di essere empatici e di sperare. Molti dati testimoniano che le persone competenti sul piano emozionale - quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente, - si trovano avvantaggiati in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo politico. Gli individui con capacità emozionali ben sviluppate hanno anche maggiori probabilità di essere contenti ed efficaci nella vita, essendo in grado di adottare gli atteggiamenti mentali che alimentano la produttività; coloro che non riescono ad esercitare un certo controllo sulla propria vita emotiva combattono battaglie interiori che finiscono per sabotare la loro capacità di concentrarsi sul lavoro e di pensare lucidamente. Lo psicologo Sternberg con altri studiosi domandò ad un certo numero di soggetti di descrivere una persona intelligente: fra le caratteristiche principali venivano citate le capacità pratiche delle relazioni personali, intese come attributi socialmente rilevanti: interesse per il mondo in genere (Sternberg et al. 5
  • 6. 1981). Tali ricerche indussero Sternberg a trovarsi in linea con il pensiero di Thorndike e confermare che l'Intelligenza Sociale è distinta dalle capacità scolastiche ed è parte integrante delle doti che consentono alle persone di realizzarsi negli aspetti pratici della vita. Gardner, psicologo della Harvard School of Education, sosteneva che non esistesse un unico tipo monolitico di intelligenza fondamentale per avere successo nella vita, ma piuttosto che ce ne fosse una ampia gamma, dalla quale individuava sette varietà fondamentali o sette modi differenti di conoscere il mondo e cioè, attraverso il linguaggio, l'analisi logico matematica, la rappresentazione spaziale, il pensiero musicale, l'uso del corpo, la comprensione degli altri individui, la comprensione di noi stessi. (Gardner 1991,1993). L'intelligenza interpersonale è la capacità di comprendere gli altri, le loro motivazioni nel loro modo di lavorare, scoprendo nel contempo in che modo sia possibile interagire con essi in maniera cooperativa. L'intelligenza intrapersonale è una capacità correlativa rivolta verso l'interno: è l'abilità di formarsi un modello accurato e veritiero di sé stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita. Le componenti dell'intelligenza interpersonale sono: capacità di organizzare gruppi, capacità di negoziare soluzioni, capacità di stabilire legami personali e la capacità ed analisi della situazione sociale. La capacità di organizzare gruppi è l’abilità essenziale del leader, che comporta la capacità di coordinare gli sforzi di una rete di individui. La capacità di negoziare soluzioni è il talento del mediatore, capace di prevenire conflitti o di risolvere quelli già in atto. Gli individui dotati di questo talento eccellono nelle trattative, riescono a far bene da arbitri o da mediatori nelle controversie. La capacità di stabilire legami personali implica la dote dell'empatia e del sapere entrare in connessione con gli altri. Essa facilita l'inizio di interazione, il riconoscimento di sentimenti e delle preoccupazioni degli altri e stimola la risposta adeguata. La capacità ed analisi della situazione sociale è la capacità di riconoscere e di comprendere i sentimenti, le motivazioni e le
  • 7. preoccupazioni altrui. Questa conoscenza del modo in cui si sentono gli altri può facilitare l'intimità e rapporti. Nel caso migliore, questa abilità porta ad essere terapeuti o consulenti competenti. Peter Salovey ha mappatto molto dettagliatamente i vari modi in cui è possibile portare l'intelligenza nella sfera delle emozioni. Questo concetto d’intelligenza si distaccava completamente da un approccio cognitivo che concepiva il pensiero come diviso dall'emozione e da chi, come Gardner, dava enfasi non tanto alle emozioni, quanto al pensiero che le riguarda, ossia sulla meta cognizione. Salovey e Mayer (1990), nella loro fondamentale definizione d’intelligenza emotiva includono le intelligenze personali di Gardner, estendendo questa abilità a cinque ambiti principali: 1. Conoscenza delle proprie emozioni. L'autoconsapevolezza è la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, ovvero la capacità di monitorare istante per istante i propri sentimenti anche quando si stiano provando emozioni molteplici o contrastanti. 2. Controllo delle emozioni. E’ la capacità di controllare sentimenti in modo che essi siano appropriati, e si fonda sull'autoconsapevolezza. 3. Motivazione di se stessi. La capacità di dominare le emozioni per raggiungere l'obiettivo è una dote essenziale per concentrare l'attenzione, per trovare motivazione e controllo di sé, per la creatività. Il controllo emozionale è la capacità di ritardare la gratificazione e di reprimere gli impulsi. La capacità di entrare nello stato di "flusso" ci consente di ottenere prestazioni eccezionali di qualsiasi tipo. 4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L'empatia offre un'altra capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è fondamentale nella relazione con gli altri. 7
  • 8. 5. Gestione delle relazioni. L'arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le emozioni altrui. Affine al costrutto d’intelligenza emotiva è il concetto di resilienza dell'Io (Block, 1995). Una delle sue componenti è il senso di autoefficacia, ossia la convinzione di avere il controllo sugli eventi della propria vita e di poter accettare le sfide nel momento in cui esse si presentano. Lo sviluppo di una competenza di qualunque tipo rafforza questa sensazione di sapersi controllare e monitorare le situazioni in cui ci troviamo, aumentando la disponibilità dell'individuo a correre dei rischi e a tentare imprese sempre più difficili. A sua volta, il superare queste difficoltà aumenta il senso d’autoefficacia. Chi è dotato d’autoefficacia può riprendersi più facilmente dai fallimenti ed è maggiormente in grado di gestire le situazioni senza preoccuparsi di ciò che potrebbe andare eventualmente male. Un'altra componente importante della resilienza dell'Io è l'intelligenza sociale che si fonda in parte sull’empatia. L'empatia proviene dal mimetismo motorio presente fin dai primi mesi di vita. Essa, secondo Tichener (1920), scaturiva da una sorta di imitazione fisica della sofferenza altrui, che poi evocava gli stessi sentimenti anche nell'imitatore. Tichener cercava una parola che fosse distinta da simpatia, la benevola compassione che si può provare per la sofferenza altrui ma che non comporta alcuna condivisione. Il mimetismo motorio svanisce dal repertorio di bambini intorno all'età di due anni e mezzo, quando essi capiscono che il dolore altrui è diverso dal proprio e riescono a consolare meglio gli altri. Daniel Stern (1987) ha studiato ripetuti scambi che hanno luogo fra genitori e figli ed egli crede che i fondamenti della vita emotiva vengano posti in questi momenti di grande intimità. Di tutti questi istanti, i più critici sono quelli che consentono al bambino di sapere che le sue emozioni incontrano l'empatia dell’altro, sono accertate e ricambiate, in un processo chiamato " sintonizzazione ". Stern sostiene che gli infiniti momenti di sintonizzazione e desintonizzazione fra genitori e figli plasmano le aspettative emotive che gli adulti immettono nel rapporto,
  • 9. forse molto di più di quanto non facciano gli eventi più drammatici di infanzia. La sintonizzazione avviene tacitamente: viene inserita come un elemento ritmico della relazione. Egli ha scoperto che attraverso la sintonizzazione, le madri comunicano ai figli di percepire i loro sentimenti ciò significa che questo processo è diverso dalla semplice imitazione, cioè è molto di più del sapere che cosa l'altro faccia, bensì è la capacità di riprodurre i sentimenti dell'altro in un altro modo. Nella vita adulta, il fare l'amore è l'atto che forse si avvicina di più a questa sintonizzazione fra madre e figlio. Secondo Stern, l'atto sessuale implica la percezione dello stato soggettivo dell’altro: la condivisione del desiderio, un’armonia di intenzioni, e un’attrazione reciproca sincronizzata. La trascuratezza emozionale sembra smorzare l'empatia, nei soggetti sottoposti a violenze psicologiche intense e prolungate. Minacce crudeli e sadiche, umiliazione e completa miseria, possono produrre conseguenze paradossali. I bambini che sopportano tali abusi possono, infatti, sia essere completamente insensibili agli stati emotivi altrui, sia diventare ipersensibili alle emozioni altrui. Quest’ultima è una reazione derivante da una vigilanza post-traumatica agli indizi segnalanti una minaccia. Secondo Hoffmann (1984) le radici della moralità siano da ricercarsi nell'empatia, dal momento che gli individui si sentono spinti ad aiutare gli altri - qualcuno che soffre, è in pericolo o patisce per una privazione - proprio perché empatizzano con queste potenziali vittime e quindi ne condividono la pena. Hoffmann propone che la stessa capacità di trovare un affetto empatico, in altre parole di mettersi nei panni degli altri, induca la gente a seguire certi principi morali. Egli ritiene che l'empatia vada sviluppandosi in modo naturale a partire dall'infanzia e questa capacità, nell'adolescenza, può portare al radicarsi di convinzioni morali imperniate sul desiderio di alleviare l'infelicità e l'ingiustizia. L'empatia è alla base di molti aspetti del giudizio e dell'azione morale. Studi condotti in Germania e negli Stati Uniti (Hoffmann, 1984) hanno rivelato che quanto maggiore è 9
  • 10. l'empatia degli individui, tanto più essi approvano il principio secondo il quale le risorse dovrebbero essere distribuite in base alle reali esigenze delle persone. Una delle competenze sociali e fondamentali dell'individuo è la capacità di esprimere, bene o male, i propri sentimenti. Ekman (1973) usa il termine “regole di esibizione” per indicare il consenso sociale che prescrive quali sentimenti possono essere esibiti in modo appropriato al contesto sociale, e quando. Esistono diversi tipi fondamentali e di regole di esibizione: minimizzare o esagerare ciò che si sente oppure sostituire un sentimento con un altro. L'abilità nell'applicare queste strategie, e il saperle usare al momento opportuno, sono fattori importanti dell'intelligenza emotiva. Ad esempio: se un bambino riceve il messaggio" sorridi e dici grazie per questo bel regalo " da un genitore che in quel momento è duro, severo e freddo - che sibila il messaggio invece di suggerirlo con calore - probabilmente imparerà qualcosa di molto diverso e risponderà alla persona che gli ha fatto il regalo con un'espressione corrucciata e un " grazie " secco e reciso. L'esibizione delle emozioni, naturalmente, ha conseguenze immediate sull'impatto che esse hanno sulla persona che le riceve. Queste regole d’espressione delle emozioni non sono solo gli elementi base per un comportamento sociale appropriato: esse stabiliscono il tipo d’impatto che i nostri sentimenti avranno sugli altri. Seguire correttamente queste regole significa avere un impatto ottimale; farlo male significa invece fomentare il caos emozionale. In ogni interazione noi inviamo segnali emozionali che influenzano le persone con le quali ci troviamo. Quanto più siamo socialmente abili, tanto meglio riusciamo a controllare i segnali che emettiamo; dopo tutto, il riserbo previsto dalla buona educazione non è che un mezzo per assicurarsi che nessuna fuga emozionale destabilizzi l'interazione. L'intelligenza emotiva comporta la capacità di gestire le transazioni tra le persone: saper gestire le proprie emozioni in relazione al contesto in cui si generano vuol dire risultare piacevoli agli altri e far stare
  • 11. bene sé stessi e gli altri. Le persone capaci di aiutare le altre a placare i propri sentimenti hanno una dote sociale particolarmente apprezzata; sono queste le persone alle quali gli altri si rivolgono nei momenti di maggiore bisogno. 3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva L'autoconsapevolezza richiede l'attivazione della neocorteccia, e particolarmente delle aree del linguaggio, che consentono di dare un nome alle emozioni sbagliate. " Essere consapevoli di sé significa essere consapevoli sia del nostro stato d'animo che dei nostri pensieri su di esso " (Salovey e Mayer, 1990). Il controllo delle emozioni di eventi negativi dal forte impatto emotivo implica spesso delle modificazioni nel sistema di credenze su di sé e sul mondo e una minaccia per il conseguimento degli scopi rilevanti degli individui. Il loro carattere potenzialmente traumatico richiede la messa in atto di meccanismi di coping di vasta portata al fine di padroneggiare l'impatto emotivo e di rimaneggiare gli schemi cognitivi preesistenti per integrare le nuove informazioni. Liberarsi da stati d'animo negativi vuol dire anche fermare pensieri ossessivi distraendosi, minimizzando o condividendo le proprie emozioni con gli altri. Se ci si trova in una situazione di vacuità emozionale, ovvero si soffre di alessitimia, non si hanno parole per descrivere i propri sentimenti. In effetti, gli alessitimici sembrano mancare anche dei sentimenti stessi, sebbene questa impressione possa essere causata dalla loro incapacità di esprimere l'emozione, e non dalla totale assenza dell'emozione in quanto tale. Gli aspetti clinici che contrassegnano i pazienti alessitimici comprendono la difficoltà nel descrivere sentimenti propri ed altrui, la presenza di un vocabolario emozionale molto limitato, la difficoltà a discriminare tanto fra emozioni diverse quanto fra emozioni e sensazioni fisiche. Questi pazienti arrivano, infatti, al punto di lamentarsi di un senso di vuoto allo stomaco, palpitazioni, sudorazione e vertigini, senza sospettare minimamente che 11
  • 12. possa trattarsi di ansia. Essi raramente piangono, ma se lo fanno, non risparmiano le lacrime. Tuttavia, restano sconcertati se si chiede loro il perché del loro pianto. Essere incapaci di tradurre i propri sentimenti vuol dire che la neocorteccia non è più in grado di classificarli e di completarli aggiungendo loro le sfumature del linguaggio: non aver parole per descrivere sentimenti significa non potersi appropriare di essi (Sifneos, 1972). Ascoltare i propri segnali provenienti dalle viscere ci aiuta a decidere del nostro destino: per esempio ci facilita nel dover decidere quali carriere intraprendere, se conservare un posto di lavoro sicuro o passare a un altro, con chi avere una relazione, chi sposare, dove vivere, quale appartamento affittare o quale casa acquistare, eccetera. La logica da sola non potrà mai servire come base per decidere chi sposare o in quale persona riporre fiducia, e nemmeno quale lavoro scegliere; questi sono tutti campi nei quali la ragione, se non è coadiuvata dal sentimento, è cieca. Damasio (1995) chiama i segnali intuitivi che ci guidano nei momenti decisionali della vita e che sentiamo sotto forma d’impulsi provenienti dalle viscere e regolati dal sistema limbico: "marker somatici". Essi sono un tipo d’allarme automatico, che solitamente attira l'attenzione su un pericolo potenziale proveniente da un’azione in corso di svolgimento. Molto spesso questi marker ci distolgono da una scelta sconsigliata dall'esperienza, ma possono anche allertarci di fronte a una occasione importante. Ogni qualvolta compare una sensazione viscerale, possiamo immediatamente abbandonare una certa strada o proseguire su di essa con maggiore sicurezza, riducendo la gamma delle scelte disponibili a una matrice più maneggevole. La chiave per scandagliare i nostri processi decisori personali è dunque quella di essere in sintonia con i propri sentimenti. Quando le emozioni sono suscitate da eventi negativi particolarmente salienti esse possono diventare delle vere e proprie “tempeste emozionali” (Goleman, 1996). Ad esempio essere pesantemente insultati vuol dire recepire un segnale di pericolo ma più precisamente significa avere una
  • 13. minaccia simbolica all’autostima o alla dignità della persona. Questa percezione di pericolo è il fattore innescante che scatena una tempesta nel sistema limbico, producendo un duplice effetto sul cervello. Parte di tale tempesta si traduce nel rilascio di catecolamine, che induce un’onda rapida ed episodica d’energia. Questa tempesta d’energia dura qualche minuto, preparando l'organismo ad un buon combattimento o ad una fuga veloce, a seconda del modo in cui cervello emozionale giudica la situazione contingente. Nel frattempo, la seconda reazione, guidata dall'amigdala e mediata dalle ghiandole surrenali, crea una condizione tonica di fondo che predispone all'azione e che dura molto più a lungo della tempesta di energia legata al rilascio delle catecolamine. Questo eccitamento corticosurrenale generalizzato può durare per ore e anche per giorni, con effetto di mantenere il cervello emozionale in uno stato di particolare attivazione e diventando così la base sulla quale è possibile innescare molto velocemente eventuali reazioni successive (Zillmann, 1993). Per disinnescare delle reazioni a catena all'interno del cervello un’alternativa più sicura, rispetto a fomentare la collera, è quella di fare una lunga passeggiata o altrettanto utili possono essere le tecniche di rilassamento, come la respirazione profonda e il rilassamento muscolare: infatti, queste modalità servono a far passare l'organismo da uno stato di attivazione generale ad uno stato di minore attivazione. Dare libero sfogo alla collera è uno dei modi peggiori per raffreddarla: di solito gli scoppi di collera alimentano l'attivazione del cervello emozionale, lasciando l'individuo ancora più adirato, di certo non più calmo. Un’altra emozione che può presentarsi come “tempesta” è l’ansia. L’ansia si presenta in due forme: cognitiva ossia sotto forma di pensieri preoccupanti; somatica con i classici sintomi, quali la sudorazione, l'aumento della frequenza cardiaca, la tensione muscolare. In uno stato d'ansia la preoccupazione in certo senso ripercorrere mentalmente gli eventi, in modo da isolare ciò che potrebbe andare male e decidere come affrontare 13
  • 14. il problema; la funzione della preoccupazione in quanto reazione è quella di escogitare soluzioni positive nelle situazioni pericolose della vita, anticipandole prima che le si presentino. Il problema sorge nel caso in cui le preoccupazioni diventino croniche e ripetitive, nel caso in cui continua a riciclarsi all'infinito, senza mai fare intravedere una soluzione positiva. Quando questo ciclo di preoccupazione persiste e si intensifica, esso sfuma in veri e propri sequestri emozionali, ossia nei disturbi ansiosi: fobie, ossessioni, compulsioni, attacchi di panico in ciascuno di questi disturbi la preoccupazione assume una connotazione distinta: nel paziente fobico, le ansie si fissano sulla situazione oggetto della paura; in quello ossessivo, sulla necessità di evitare una qualche calamità; nel caso degli attacchi di panico, infine, le preoccupazioni possono concentrarsi sulla paura di morte o sulla prospettiva stessa degli attacchi. Nel momento in cui la preoccupazione finisce per sfuggire ad ogni controllo bisogna frenare l'attivazione di pensieri molesti mettendolì in discussione, contemplando tutta una gamma di punti di vista ugualmente plausibili, ci si vieta di considerarli veri e di accettarli ingenuamente (Goleman, 1996). Nella malinconia, invece, l'individuo continua a rimuginare sulla propria depressione ovvero su quanto si sentano stanchi, sulle loro poche energie e sulla loro scarsa motivazione. L'isolarsi e pensare a quanto ci si sente male porta la persona affetta da depressione a giustificare il fatto che si ha il bisogno di rimanere soli con sé stessi per cercare di capirsi meglio, in realtà, queste persone stanno innescando sentimenti di tristezza senza far nulla che possa davvero migliorare il loro stato d'animo. Per modificare questo stato mentale è importante imparare a mettere in discussione i pensieri, oggetto delle ruminazioni, e ad escogitare alternative più efficaci. Un'altra tattica è quella di programmare ad hoc eventi piacevoli che li distraggano dai pensieri ossessivi oppure per sollevare il morale di una persona depressa questa può aiutare altre persone in difficoltà, poiché la depressione è alimentata da pensieri e preoccupazioni riferiti al sé, nel momento stesso in
  • 15. cui empatizza con altre persone sofferenti e le aiuta, si sente sollevata (Goleman, 1996). Una modalità che può regolare diversi tipi di emozione è riuscire ad entrare nel “flusso” ovvero entrare in uno stato di armonia emozionale: questa modalità rappresenta il massimo livello di imbrigliamento e sfruttamento delle emozioni al servizio della prestazione e dell'apprendimento. Nel flusso le emozioni non sono solamente contenute e incanalate, ma positive, energizzate e in armonia con il compito cui ci si sta dedicando. La sensazione che il flusso determina è quella simile ad una gioia spontanea, è una situazione in cui l'individuo è assorbito in ciò che sta facendo e presta attenzione esclusivamente ad un determinato compito. L'attenzione è talmente concentrata che l'individuo che la vive è consapevole solo della ristretta gamma di percezioni immediatamente legate a ciò che sta facendo e perde ogni cognizione dello spazio e del tempo. Il flusso è uno stato in cui l'individuo si disinteressa di sé, l'opposto del rimuginare e del preoccuparsi, quindi, invece di perdersi nella preoccupazione nel nervosismo la persona si spoglia delle piccole preoccupazioni della vita quotidiana e di sé stesso e vive questa esperienza estatica. Ci sono diversi modi per entrare nel flusso, come quello di concentrarsi esclusivamente e intenzionalmente su ciò che si sta facendo; arrivare ad uno stato di profonda concentrazione è l'essenza stessa del flusso. Esso è possibile " in un fragile territorio che si trova fra la noia e l'ansia " (Goleman, 1996, pp. 118-121). 15
  • 16. 4. Sviluppare l'intelligenza emotiva "Insegnare l'alfabeto delle emozioni per aiutare i ragazzi a diventare giovani e uomini, equilibrati e sereni... la capacità di leggere e comprendere le proprie emozioni quelle degli altri. Questo processo è molto simile a quello nel corso del quale s’impara a leggere... Analogamente, l'alfabetizzazione emotiva comporta il riconoscimento dell'aspetto e delle sensazioni associati alle nostre emozioni, e in un secondo tempo l'uso di tale abilità per comprendere meglio noi stessi e gli altri. Impariamo così ad apprezzare la complessità della vita emotiva e questo migliora le nostre relazioni personali e professionali, invitandoci a rafforzare i legami che arricchiscono la nostra vita " (Kindlon e Thompson, 2000) Il programma della Scienza del sé si pone come modello per l'insegnamento dell'intelligenza emotiva. I contenuti della Scienza del sé corrispondono quasi punto per punto ai componenti dell'intelligenza emotiva e alle abilità fondamentali consigliate per la prevenzione dei pericoli che minacciano i giovanissimi (Karen F. Stone e Harold Q. Dillehunt, Self Science: The Subject Is Me, 1978). I contenuti dell'insegnamento comprendono l'autoconsapevolezza, ossia la capacità di riconoscere i sentimenti e di costruire un vocabolario per la loro realizzazione; cogliere nessi tra pensieri, sentimenti e reazioni; sapere se si sta prendendo una decisione in base a riflessioni o a sentimenti. L'autoconsapevolezza può anche servire per il riconoscimento delle proprie forze e delle proprie debolezze e nel saper considerarsi in una luce positiva, ma realistica. Un altro aspetto che viene sottolineato è come controllare le emozioni: capire che cosa sta dietro un sentimento imparare come trattare l'ansia, la collera, la tristezza. Si dà anche molto risalto all'assunzione di responsabilità relativamente a decisioni e azioni e al mantenimento degli impegni assunti. Un'abilità sociale fondamentale è l'empatia, ossia il comprende i sentimenti altrui e la capacità di assumere il loro punto di vista, rispettando i diversi modi in cui le persone considerano la situazione. Un'attenzione particolare viene dedicata ai
  • 17. rapporti interpersonali. La trattazione di questo tema comprende: imparare a saper ascoltare e a porre domande; distinguere tra ciò che qualcuno dice o fa e le proprie reazioni o i propri giudizi; essere sicuri di sé, invece di arrabbiarsi o restare passivi; imparare l'arte di collaborare, di risolvere i conflitti e negoziare i compromessi. Questa sorta di alfabetizzazione emozionale amplia la nostra visione del compito delle scuole, conferendo a esse più esplicitamente un ruolo sociale nell'impartire ai ragazzi lezioni essenziali per la vita. Il programma funziona ancora meglio quando le lezioni a scuola sono coordinate con quello che avviene a casa. Molti programmi di alfabetizzazione emozionale comprendono corsi speciali per i genitori, per insegnare loro ciò che i figli che stanno imparando a scuola. Lo scopo non è soltanto quello di consentire ai genitori di integrare ciò che viene impartito a scuola, ma anche quello di aiutare quei genitori che sentono il bisogno di rapportarsi con la vita emotiva dei figli. In tal modo i ragazzi ricevano messaggi coerenti di competenza emozionale in ogni ambito della loro vita. Si crea così un intreccio più saldo tra la scuola, i genitori e la comunità. Si aumenta la probabilità che ciò che i ragazzi imparano nei corsi di alfabetizzazione emozionale non rimanga solo un'esperienza scolastica, ma venga messo alla prova, praticato e affinato nelle sfide reali della vita. Un altro modo in cui l'introduzione di questo tema riforma le scuole è nella costruzione di una cultura scolastica che trasformi l'istituto in una comunità d’assistenza, un luogo in cui gli studenti si sentono rispettati, seguiti, curati e legati ai compagni, agli insegnanti della scuola stessa. Gli studenti che avevano seguiti corsi di alfabetizzazione emotiva ne hanno tratto un esteso beneficio per la loro condotta dentro e fuori la classe e per la loro capacità di apprendimento. Si è verificato miglioramento in tutte le aree classiche dell'intelligenza emotiva: Autoconsapevolezza emozionale 17
  • 18. Migliore capacità di riconoscere e denominare le proprie emozioni, di comprendere le cause dei sentimenti, di riconoscere la differenza tra sentimenti e azioni. Controllo delle emozioni Miglioramento della sopportazione della frustrazione e controllo della collera, della capacità di affrontare lo stress, miglioramento della condotta che diventata meno aggressiva o autodistruttiva; si sono rilevati, inoltre: una minore frequenza di umiliazioni, scontri/disturbi in classe; una minor solitudine e ansia nei rapporti sociali; minor numero di sospensioni ed espulsioni; sentimenti più positivi sul proprio io, sulla scuola e sulla famiglia. Indirizzare le emozioni in senso produttivo Maggior senso di responsabilità, maggiore capacità di concentrarsi sul compito che si ha di fronte, di fare attenzione, minore impulsi vitali, maggiore autocontrollo, migliori risultati delle prove scolastiche. Empatia: leggere le emozioni Migliore capacità di assumere il punto di vista altrui, maggiore empatia e sensibilità verso i sentimenti altrui, migliore capacità di ascoltare gli altri. Gestire i rapporti Migliore capacità di analizzare e comprendere i rapporti, di risolvere i conflitti, di negoziare i contrasti, di risolvere problemi nei rapporti. Maggiore sicurezza di sé, maggiore capacità di comunicare, maggiore simpatia e socievolezza.
  • 19. Maggiore interesse da parte dei coetanei e premura verso gli altri. Minor individualismo e maggiore disposizione alla collaborazione in gruppo. Maggiore spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a rendersi utili agli altri. Maggiore democrazia nel trattare con gli altri. 5. Conclusioni Grazie alle prospettive date dall’Intelligenza Emotiva si può rispondere all’esigenza di ricostruire una nuovo modello di scuola che non si accontenta di insegnare solo le competenze cosiddette accademiche: leggere, scrivere e far di conto, ma è in grado di adeguare i percorsi educativi alla luce delle nuove conoscenze sull’apprendimento e sullo sviluppo dell’individuo: dalle teorie di Gardner sulle Intelligenze Multiple alla teoria sull’Intelligenza Emotiva. Goleman (1996) sostiene che probabilmente la prossima grande frontiera dell’apprendimento, l’area in cui potremo esplorare affascinanti possibilità è rappresentata dalla dimensione emozionale, l’immenso spazio che appare ancora con i caratteri dell’illogicità e dell’irrazionale e che, forse per tale motivo, sollecita la ricerca scientifica all’acquisizione di nuove conoscenze e strumenti. In ambito accademico si spera che le scienze cognitive diventino scienze della mente perché emozioni e cognizioni non siano più divise ma siano integrate in un modello unitario dove le due componenti abbiano lo stesso peso e la stessa dignità. Concludo con una frase molto significativa di S. Denham sul ruolo di una buona alfabetizzazione emozionale: “Sappiamo oggi che se nei primi anni di vita del bambino prestiamo attenzione alla sua competenza emotiva, la comprendiamo e la favoriamo, ciò produrrà incalcolabili benefici. Spero ardentemente, dunque, che d’ora in poi si comincerà ad agire di conseguenza” (Denham, 1998). 19
  • 20. BIBLIOGRAFIA Bowlby J., A secure base: Parent – child attachment and healthy human development, Basic, New York, 1988 Damasio A. R., L’errore di Cartesio, Adelphi ed, Milano, 1995 Denham S. A., Lo Sviluppo emotivo nei Bambini, Astrolabio editrice, Ubaldini editore, Roma, 2001 Ekman P. Darwin and Facial Expression: a century of research in review – Academic Press, New York, 1973 Frijda N.H. (1986). The emotions. Cambridge, Cambridge University Press (trad. it. Emozioni. Bologna, Il Mulino, 1990). LeDoux, J. E., The Emotional Brain. The Mysterious Underpinnings of Emotional Life (trad. it. Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini Castaldi Dalai ed.,Milano, 2003 2004) LeDoux J. E., Emotion and the limbic system concept, “Concepts in Neuroscience” n. 2, 1991, pp 169-199 Le Doux J. E., Emotion, in Handbook of Physiology. Section I: The Nervous System. Vol. 5: Higher Functions of the Brain, a cura di F. Plum, American Physiological Society, Bethesda, MD, pp 419-460,1987 Gardner H., Formae mentis, Feltrinellli ed., Milano, 1987 Gardner H., La nuova scienza della mente, Feltrinelli, Milano, 1989 Goleman D., Emotional Intelligence, Bantan, New York, 1995, (trad. it. L’intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996) Hoffmann M. L., “Empathy, Social Cognition and Moral Action” in Moral Behavior and Development: Advances in Theory, Research and Applications, a cura di W. Kurtines e J. Gerwitz, John Wiley and Sons, New York, 1984
  • 21. Kindlon D., Thompson M., Intelligenza Emotiva per un bambino che diventerà uomo, Rizzoli ed., Milano, 2000 MacLean P. D., Psychosomatic disease and the “visceral brain”: Recent development bearing on the Papez theory of emotion, “Psychosomatic Medicine” n. 11, pp 338-353, 1949 Mayer J. D., Salovey, The Intelligence of Emotional Intelligence – Intelligence, 17 (4), 433-442, 1993 Salovey P., Mayer J.D. (1990). Emotional intelligence. Imagination, Cognition and Personality, 9, 185-211. Saarni C. (1990), "Emotional competence: How emotions and relationships become integrated", in Thompson R. (ed.), Socioemotional development. Nebraska Symposium on Motivation, vol.36, 115-182. Sifneos P., “Affect, Emotional Conflict, and Deficit: An Overview”, Psychoterapy and Psychosomatic 46, 1986, pp 96-104 Scherer K. R., On the nature and function of emotion: A component process approach, in Approaches to Emotion, a cura di K. R. Scherer e P. Ekman, Erlbaum, Hillsdale, NJ, pp 293-317, 1984 Stern D., The Interpersonal World of the Infant, Basic Books, New York, 1987 Sternberg R., Beyond IQ. A triarchic theory of human intelligence, New York, 1985 Sternberg R., Stili di pensiero, Erickson, Trento, 1998 Thorndike E. L., The Psychology of Learning, Teachers College Press, New York, 1913 Zajonc R.B., feeling and thinking : Preference need no inferences, «American Psychologist » n. 35, pp 151-175, 1980 Zajonc R.B. (1984). On the primacy of affect. American Psychologist, 39, 117-123 21